Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo II/Libro I/Capo VI

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Capo VI - Medicina

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Capo VI.

Medicina.

I. No„ vi è scienza la qual sembri che dovess’essere coltivata tanto studiosamente in Roma, quanto la medicina; e nondimeno non vi è scienza per avventura che più sia stata per molti secoli trascurata ivi e negletta. In vece di applicarsi a conoscer l’origine e la natura de’ mali, e a scoprirne quindi i più opportuni rimedii, i medici de’ tempi di cui parliamo (che di essi soli io intendo di ragionare) altro pensier non aveano che di oscurare la gloria de’ lor rivali, e d’innalzarsi sopra le loro rovine. Se uno erasi acquistata gran fama, sorgeva un altro, e derideva ei’impugnava il metodo seguito dal primo, non perchè fosse pericoloso o nocivo, ma perchè quegli ne era stato l’autore. In meno di un’secolo tre diversi sistemi di medicina vidersi introdotti in Roma da Asclepiade, da Temisone, da Antonio Musa, come nel precedente volume si è dimostrato. Ciascheduno di questi sistemi fu ricevuto dapprima con sommo plauso; e si credette che gli uomini usando di esso, per poco non sarebbono stati immortali. Ma al proporsene un altro,il primo fu tosto dimenticato, anzi all’averlo seguito imputaronsi le malattie e le morti di’ erano finallora accadute, e che nel nuovo sistema ancora accaddero ugualmente. Questa medesima incostanza mantennesi in Roma anche a’ tempi di cui ora dobbiam favellare, [p. 314 modifica]3 I 4 LIBRO come vedremo seguendo singolarmente la scorta di Plinio il Vecchio, a cui io penso che i medici non fossero tenuti molto dell’espressioni di cui egli usò a loro riguardo. Costoro, dic’egli (l. 29, c. 1), bramosi di acquistarsi fama colla novità dei loro sistemi, fanno traffico della nostra vita. Quindi quelle funeste contese de’ medici presso il letto degl’infermi, mentre tutti sono di parere diverso , per non sembrar di accostarsi all’opinione altrui; quindi quella iscrizione che su qualche scpolcro si è posta, in cui il defunto si duole di essere stato ucciso da una turba di medici Ogni giorno si cambia metodo; così spesso noi ci lasciamo aggirare dall’incostanza de’ Greci; e noi veggiam chiaramente che. chiunque tra essi è dotato di eloquenza nel ragionare, si fa tosto arbitro e sovrano della nostra vita e della nostra morte. II. A’ tempi di Tiberio e di Caligola non veggiamo che nuova setta di medici sorgesse in Roma (32). Ma nell’impero di Claudio fu celebre il nome di Vezio Valente, di cui non sappiamo la patria. Ma ei dovette la sua celebrità singolarmente alle disonestà (di Messalina moglie di Claudio, di cui egli fu complice (Plin. ib.), e per cui poscia fu dall’iinperadore (a) lina specie di nuova selta sorse però a questi tempi detta de’ Pneumatici, di cui fu capo Ateneo uscito dalla scuola di Teinisnnc; indi Magno e Agatino di lui discepoli , e Arcliigene scolaro di Agatino. Ma sembra eli’ essa non avesse nè gran nome, nè lunga vita (A. Goulin, Vieni, pour servir à l’Hist.dc la AJédeC. an. 1775,/?. 226, ec.). [p. 315 modifica]dannato a morie (Tue. I. 11 Ann., e. 35). lira egli, come dice Plinio, uomo eloquente; e perciò più facilmente ottenne autorità, e fecesi capo di una nuova setta, di cui però non sappiamo quali fossero i principj (33). Nè punto meno famoso, o, a dir meglio, infame, si rendè Senofonte, benchè non troviamo che nuova setta fosse da lui istituita. Claudio che f avea fatto suo medico, per mostrarsegli grato dichiarò esenti da ogni tributo gli abitanti di Coo patria di Senofonte (Tac. l. 12 Ann. c. 61). Ma il perfido troppo male gli corrispose, poichè non molto dopo fattosi complice di Agrippina, sotto pretesto di rimedio diegli, come si crede, il veleno (ib. c. 67). III. Ma assai maggior nome ottenne in Roma Tessalo nativo di Tralle, perchè di assai maggiore impostura ei seppe usare. Fu a’ tempi di Nerone, e si prefisse di volersi fare autore di un nuovo sistema di medicina, ch’egli pure a somiglianza di Temisone chiamò metodico. Perciò, com’era necessario, tutti prese a combattere i principj de’" medici che l’aveano preceduto , e ad inveire con un cotal rabbioso trasporto contro di essi (Plin. l. c.) senza perdonarla ad alcuno; e per assicurarsi che la sua fama non perisse colla sua vita, fattosi innalzare un sepolcro nella via Appia, diede (a) Lo stesso M. Goulin reca alcuni, a mio parere, assai buoni argomenti per dimostrare che il V e?zio Valente ucciso per ordin di Claudio pe’ delitti commessi con Messalina, è diverso da Valente il medico di cui qui ragioniamo (l. c. , p. , ec.). ni. St$ti ma metodico ritrovato dii Tersalo. [p. 316 modifica]3i6 Lir.fto a se stesso il superbo nome di vincitore de’ medici. Una si sfacciata alterigia in vece di renderlo vile e spregevole a’ Romani, come avrebbe dovuto accadere, il fece anzi salire in sì grande riputazione che, come dice lo stesso Plinio, non vi fu mai nè attore nè cocchiere alcuno famoso per le vittorie riportate ne’ solenni giuochi , che per le vie di Roma avesse seguito e accompagnamento più numeroso. Ma se ei lusingossi di render così immortale il suo nome, ei fu certo in errore. Galeno venuto a Roma a’ tempi di Marco Aurelio, come a suo luogo vedremo, scoprì ne’ suoi libri la profonda ignoranza di questo impostore. Il primo de’ libri da lui scritti Del Metodo di medicare è quasi interamente impiegato a distrugger la stima che molti ancora ne avevano. Ei reca un passo (Medi. cur. /. i > di una lettera da Tessalo scritta a Nerone, in cui fra le altre cose così gli dice: Avendo io fondata una nuova setta, la qual sola è vera, poichè tutti i medici che innanzi a me sono stati, non hanno insegnata cosa alcuna che sia utile o a conservare la sanità, o a curare le malattie, ec. Quindi, continua a dire Galeno , costui nel decorso di una sua opera dice che Ippocrate ci ha dati precetti dannosi, ed ha ancora coraggio di contradire con somma sua vergogna agli Aforismi di lui... Per la qual cosa parmi essere mio dovere (benchè io non sia uso a riprendere acerbamente i malvagi) il dir qualche cosa contro costui per l’ingiuriosa maniera con cui egli ha trattati gli antichi. E perchè mai, o Tessalo, osi tu calunniosamente riprendere ciò [p. 317 modifica]die ben fatto, a fin ili piacere alla moltitudine; mentre potresti, se tu fosti uom saggio e amante del vero, renderti illustre ned esaminarlo studiosamente? Perchè ti abusi tu per tal modo dell’ignoranza de’ tuoi uditori per malmenare gli antichi? Vorrai tu forse, impudentissimo uomo, che gli artigiani pari a tuo padre debban dar giudizio de’ medici? Innanzi a tali giudici tu vincerai certamente , qualunque cosa tu dica o contro Ippocrate... o contro qualunque altro tra gli antichi. E poco appresso: Io credo certo che tu non abbi letti giammai i libri d’Ippocrate, o almeno che non gli abbi intesi; e se pure gli hai intesi, tu non puoi certo giudicarne, tu che fosti da tuo padre istruito a scardassare insiem colle donne la lana. Perciocchè non voler pensare che noi non sappiamo o l’illustre tua nascita , o il tuo-profondo sapere. In tal tenore continua lungamente Galeno un’amarissima invettiva contro di Tessalo, cui non cessa più altre volte di mordere e rimproverare aspramente (l. 1 de Crisibius, c. 9; De Simiplic. Medicam. Facultat. l. 5, i3, ec.); e i titoli di stoltissimo, d’ignorantissimo, di arditissimo sono comunemente gli encomj di cui ne accompagna il nome. Galeno sarebbe forse degno di maggior lode, se parlato ne avesse con moderazione maggiore. Ma degno è ancora di qualche scusa il trasporto di un dotto medico che vede rendersi quasi divini onori a un ignorante impostore. IV. La setta però di Tessalo non si sostenne in Roma fino alla venuta di Galeno, senza cbe [p. 318 modifica]318 LIBRO vi trovasse contrasti, e che altre sette sorger sero ad essa opposte. Crina nativo di Marsiglia , venuto a Roma, per rivolgere a sè gli occhi ed acquistarsi la stima (di tutti, usò, come narra Plinio (l. 29, c. 1), di un altro genere d’impostura, cioè dell’astrologia giudiciaria; perciocchè considerando i movimenti celesti, secondo la lor varietà variava i cibi e i rimedi, e a quell’.ore determinate li porgeva agl’infermi, in cui una tal congiunzion di pianeti dovea accadere. È egli possibile che sì rozzi fosser gli uomini che si lasciassero ingannare da sì sciocco artificio? E nondimeno, come lo stesso Plinio afferma, egli con ciò ottenne autorità maggiore di Tessalo, e sì grandi ricchezze, che lasciò morendo dieci milioni di sesterzj, ossia diigentocinquantamila scudi romani, dopo avere spe:*a una somma pressochè uguale nel fabbricare le mura della sua patria e di altre città. Questo a me pare che sia il senso delle parole di Plinio: Centies 11-S. reliquit, muris patriae, maenibusque aliis pene non minori summa exstructis; e non già quello che loro han dato i dotti Maurini nella loro Storia Letteraria di Francia (t. 1, p. 210), cioè ch’egli lasciò morendo per testamento la detta somma, a fine d’innalzare le mura della sua patria. V. Sembra che Tessalo ancor vivesse, quando Crina sen venne a Roma a contrastargli l’impero su’ corpi umani. Perciocchè Plinio così prosegue: Questi due reggevano il destino della vita degli uomini, (quando entrò improvvisamente Carmide, nativo egli pur di Marsiglia; [p. 319 modifica]e condennando non solo i medici che l’aveano preceduto, ma anche i bagni caldi da essi prescritti, persuase di usare anche fra ’l rigore del verno de’ bagni freddi. Ed ecco un nuovo medico, e aulor di un nuovo sistema, che, appena apre bocca in Roma, è udito come un oracolo, e fa cadere in dimenticanza e Tessalo e Crina. Il rimedio de’ bagni freddi era già stato prescritto, come si è veduto nel primo volume , dal medico Antonio Musa. Ma convien dire che fosse poscia dimenticato. Carmide volle rinnovarlo, e il fece con sì felice successo, che noi vedevamo, dice Plinio, gli stessi vecchi consolari tuffarsi ne’ bagni freddi, e starvi per un cotal fasto ostinati fino ad intirizzirne. Chi ’l crederebbe che anche il severo Seneca usasse de’ bagni alla moda? Eppure abbiamo le sue Lettere in cui ci narra ch’egli anche nel primo dì di gennaio gittavasi nell’acqua fredda (ep. 53, 83). Così anche i più dotti uomini lasciavansi aggirare da questi vani impostori. Quanto durasse il regno di Carmide, nol sappiamo, e pare ch’ei fosse ancor vivo quando Plinio scriveva. E non sappiam pure se altri capi di setta venissero dopo Carmide a Roma. Ciò che è certo, si è che il favor popolare di cui goderono i medici mentovati di sopra, pose in tal credito la medicina, che moltissimi ne abbracciaron lo studio e la professione. Già abbiam veduto di sopra come se ne dolesse Plinio c F iscrizione da lui rammentata con cui taluno lagnavasi di essere stato ucciso dalla moltitudin de’ medici. Più amaramente ancora se ne duole Galeno 5 e quindi [p. 320 modifica]320 L1BHO avviene , egli dice (De meth. medendi l. 1) che anche i calzolai, i tintori, i falegnami i ferrai, abbandonate le arti loro, divengon medici. Coloro poi che impastino o i colori a’ pittori, o le droghe a’ profumieri, pretendono ancora di avere il primo luogo. Il che tanto più facilmente doveva accadere, perchè non richiedendosi allora legale approvazione a esercitare quest" arte, bastava, come dice Plinio, che un si vantasse di esser medico, perchè tosto se gli avesse fede. A questo gran numero di medici allude scherzevolmente.Marziale , e accenna il costume fin d’allora introdotto, che i più rinnomati tra essi andassero alla visita de’ loro infermi accompagnati da’ loro discepoli, i quali aneli’ essi voleauo far sull’infermo le attente loro osservazioni , e gli eran con ciò di noia anzi che di sollievo. Languebam: sed tu comitatus protinus ad me Venisti centum, Symmache , discipulis. Centum me tetigere manus Aquilone gel.Uae: Non habui lebrim , Sj uimache * nunc habeo. L. 5, epigr. 9. VI. Non giova dunque ch’io mi trattenga a | ricercare i nomi de’ medici che a questo tempo vissero in Roma; e molto più che furono quasi tutti stranieri. Molti di essi si posson vedere annoverati nella Storia di Daniello le Clerc (par. 3, l. 2). Ma qualche più distinta menzione vuolsi far- di coloro che la medicina illustrarono co’ loro scritti. Tra questi vuol nominarsi tra’ primi Aurelio, o , come sembra ad altri dovevasi leggere (V. Morgagni ep. 4 in Cels.), [p. 321 modifica]Alilo Cornelio Celso. Di qual patria ei fosse , nè egli nè alcun altro amico scrittore ce ne ha lasciato indicio. Ch’ei fosse veronese, come alcuni hanno creduto, lo stesso march. Maffei confessa (Verona illutr. par. 2, l. 1) che non si può asserire con alcun probabile fondamento. S’egli non fu romano, certo almen convien dire oli1 ei vivesse in Roma, perchè ci parla di Asclepiade, di Temisone, di Cassio (praef.l. 1), che furon medici in Roma, come d1 uomini da lui conosciuti 5 e di Cassio singolarmente ei dice: Cassio il più ingegnoso medico del secol nostro, che abbiam di fresco veduto [a). (1) ¡Vel fissare l’età di Celso ho seguita l’opinion comune a tutti coloro che fin qui ne han ragionalo. Il eh. sig. consigliere Bianconi è stato il primo a ribattere un tale errore nelle graziose non meno che dotte sue [tenere Ceìsiane scritte nel 1776, e stuuipate nel 1779. tigli ha osservato che Quintiliano fa Celso più antico di Gallione il padre: Scripsil... nou miai pater G litio, accuratius vero priores Gallione Celsus et Lenas, ec. (Insili. l.3,c. 1). Or certo essendo che Gallione il padre fiori verso la metà del reguo d’Augusto , ne viene in seguilo che prima di essa scriveva e fioriva Celso. Celso inoltre parla di Temisone come d’uomo poc’anzi morto: T’emison nuper (praef /. 3,c. 4)Or Temisone era stato scolaro di Asclepiade; e questi era morto prima dell’anno di Roma fitì3. in cui inori Crasso , perciocché questi per bocca di Cicerone ne parla come d’uomo già morto (de Orai. I. t , c. i4). Temisone dunque dovea esser nato almen venticinque o treni’anni prima della morte dì Asclepiade, cioè al più lardi circa l’anno 638, o 635; e per quanto lunga vecchiezza gii si conceda, ei dovelte morire certo non molto dopo la morte di Giulio Cesare avvenuta Tiraboschi, Voi. II. 21 [p. 322 modifica]322 LIBRO E ch’egli fosse almeno italiano, spesse volte l’accenna egli stesso, quando volendo recare il nome con cui latinamente appellasi una tal cosa, dice: i nostri la chiamano (l. 4 , c. 4; l. 8, c. 1, ec.). Dalle sopraccitate parole raccogliesi ancora ch’egli visse su gli ultimi anni d’Augusto, e poscia sotto alcuni degl’imperadori che gli succederono. Del rimanente niima l’anno 710. Inoltre Celso che pur nomina moltissimi medici, non fu menzione alcuna di Antonio Musa , il quid pare clic non sarebbe*! ria lui ommesso, se non gli fosse stato anteriore Benché il sccon lo di questi argomenti possa ammettere qualche risposta, perciocché ’eneca che scriveva a’ tempi di Nerone, adopera la voce iitifier parlando de" tempi di Augusto: Votesus nuprr sub rii< r>.’/affusto piocunsul Asine, ec (De tra l. a, *>); e il terzo argomento ancora non essendo che negativo non abbia gran parte , col primo nondimeno , snsteniito da più altie diligenti osservazioni c da molte congetture ingegnose, egli ha si bene provata l’opinion sua c ha si ficilmente sciolte lulic le difficoltà che ad ess i potevano opporsi , eh" io fin d’allora ini diedi vinto con una mia lettera a lui diretta, eh’egli ha voluto aggmgnere alle sue. In esse pni tante e si belle notizie egli ha saputo raccogliere intorno alla vita, agl’impieghi, alle opere di questo celebre scrittore di medicina, che se questi potesse risorgere, dovrebbe certo protestarsi tenuto di molto a chi si bene ne hi rinnovala e illustrata la quasi estinta memoria. Rimaneva solo di’ei soddisfacesse a l’espetlazione che nelle st> s-e Lettere ci avoa risvegliata, di vedere una sua storia di Ovidio e degli altri poeti che convisscr con lui, la qna’e sarebbe stata lei onda di nuovi lumi e di belle notizie su quel si celebre secolo. Ma la morte che rei rapi il i.° di gennaio del 1781 , ci ha rapita insiem la speranza di veder questa e più altre opere ch’egli avea disegnate [p. 323 modifica]parlicolar notizia ci è rimasta intorno alla sua vita, agli impieghi da lui sostenuti, e al tempo della sua morte. Se ei fosse medico di professione , si è dubitato da alcuni, e parmi che il più forte argomento a negarlo sia quello che traesi dall’autorità di Plinio da noi altrove allegata (V. t. 1, p. 325), ove egli afferma’ che i Romani non si erano ancor degnati di esercitare quest’arte. Ma forse Plinio parla solamente de’ veri Romani, e non di que’ che vi eran venuti altronde, o che aveano per privilegio il diritto della cittadinanza, e Celso era forse un di questi, nato in altra città d’Italia, e trasferitosi a Roma) ovvero Plinio intende sol di affermare che ordinariamente i Romani non professavano la medicina, benchè alcuni pochi si allontanassero in questo dall’universale costume. Certo il eh. Morgagni da varj passi di Celso mostra chiaramente (ep. 4 in Cels.) ch’egli parla in modo che non converrebbe a chi non fosse medico di professione. Egli è vero però , che Celso non si ristrinse alla medicina, ma presso che ogni genere di scienza coltivò felicemente. Quintiliano ne parla spesso con molta lode, e dice ch’egli assai diligentemente scrisse precetti di eloquenza (l. 3 Instit orat. c. 1) (di che altrove ragioneremo), benchè il riprenda di troppo amore di novità in quest’arte (l. 9, c. 1): rammenta ancora alcuni libri filosofici da lui scritti con chiarezza e con eleganza, nei quali egli avea seguite le opinioni degli Sceptici (l. 10, c. 1). Che se egli in altro luogo il chiama uomo di mediocre ingegno (l. 12, c. 11), pare che ciò sia indirizzalo a [p. 324 modifica]Vii. Sue opere e Imo car.llte re. 3a4 libro rilevarne maggiormente lo studio e la diligenzaj perciocché soggitigne che è a stupire ch’egli su tutte le scienze scrivesse libri, e sull arte militare ancora , sull’agricoltura e sulla medicina (35). De’ libri d’agricoltura scritti da Celso fa menzione più volte ancor Columella (l. 1, c. 8; l. 2, c. 9; l. 3, c. 2, ec.), e ne loda spesso come saggi e opportuni i precetti; e il chiama dottissimo uomo (l. 9, c. 2), e non solo nell’agricoltura, ma in tutta la naturale scienza perito (l. 2, c. 2). Plinio il Vecchio parimenti spesso lo nomina, e singolarmente nel catalogo degli autori di cui egli si è giovato. VII. Di tutte le opere di Celso niuna ci è rimasta, fuorchè i suoi otto libri di Medicina. Lo stile ne è quale si conviene ad autore vissuto in parte al buon secolo, terso comunemente e colto. Ma alcuni hanno affermato che altro non abbia egli fatto che recar dal greco in latino alcuni precetti di medicina; e Jacopo Bodley singolarmente ne parla come di scrittore (n) Quanto piacere avrebbe sentito il consigliere Bianconi se avesse veduta l’opc a altre volte citata di M. Gnutn. in cui parlando della taccia di mediocre ingegno data da Quintiliano al suo bolso, osserva che un medico olandese. non son molti anni, ha corretto quel p sso. mostrando che è corso errore nel lesto; che nel codice su cui si fece la prima edizione di Quintiliano dovea essere scritto Ccl’us mrd. acri nir mgcnio; e che l’ediloie in vece di leggere C’elsus medii uè neri, cc legge incautamente Crleus mediocri, ec. (Mdn> pour errar à l’Hiet, di hi Médrr. an. 177.8, p. 280)! Sarebbe desiderabile che qualche antico codice venisse a sostenere questa ingegnosa spiegazione. [p. 325 modifica]superficiale, mancante e poco esatto (Essai de Crit sur les Ouvr. des Medicins, lett. 2). Altri nondimeno ne sentono diversamente, e non temono di darne a Celso il nome d’Ippocrate latino. Giovanni Rodio nella Vita che ha scritto di questo autore, nomina parecchi medici illustri che di Celso han parlato con grandi elogi. Veggasi la mentovata Storia della Medicina del le Clerc (par. 2, sect. 2, c. 4, ec.), e la recente Storia dell’Anatomia e della Chirurgia di M. Portal (t. 1, p. 64, ec.), la dissertazione latina di Domenico Peverini sopra l’eccellenza nell’arte medica di Celso, di Areteo e di Aureliano (Nuova Racc. (d’Opusc. t. 5, p. 51), e singolarmente le lettere intorno a Celso del dottissimo prof. Giambatista Morgagni (Ante Celsi libros, ed. patav. \ ’¡So), al cui giudizio in ciò che è medicina credo che ognuno possa arrendersi con isperanza di non andare ingannato. Si posson vedere ancora le Riflessioni di M. Mahudel sul carattere, sulle opere e sull’edizioni di Celso (Hist. de l’Acad. des Inscr. t 8. p. 97), e una memoria di M. Bernard medico del re d’Inghilterra sulla chirurgia degli antichi, di cui ha pubblicato un estratto l’erudito M. Dutens (Recherches sur l’origine des decouvertes, ec. t. 2. p. 59), ove mostra che Celso in più cose ha aperta la strada alle scoperte f.itte poi da’ moderni. Due lettere sotto il nome di Celso si veggon nel libro de’ Medicamenti di Marcello Empirico; ma di esse credesi autore Scribonio Largo, di cui ora favelleremo (V. Fabr. Bibl. lat. t 1, p. 386). Un altro Celso, detto ancora Apuleio e siciliano di nascita, è rammentato [p. 326 modifica](a) Scribonio dedicò il suo libro a Caio Giulio Callisto liberto dell’itnperadore t laudio, e con ciò ci mostra il tempo a cui egli scriveva , il quale ancora da altri passi della sua opera è manifesto. (i) Tnfone non poteva rammentare Scribonio, perchè anzi Scribonio si vanta di averlo avuto a maestro, e oltre ciò osserva M. Goulin che ’i r.fone era già morto quando Celso scriveva (l. rii. p. 228;. 3i>(j libro come suo maestro dallo stesso Scribonio (De Compos. medie ameni p. 471), e dovette perciò vivere al tempo medesimo del nostro Celso, di cui vuolsi da alcuni, ma senza ragione, che sia un libro delle Erbe, che da altri si attribuisce a Lucio Apuleio (V. Fabr. Bibl. lat. t. 2, p. 25). VIII. Contemporaneo a Celso fu il mentovato - Scribonio Largo, come da alcuni suoi passi raccoglisi chiaramente (De. Compos. medicament. c. 97, 120) (36). Ma di qual patria egli fosse, nol possiamo conghietturare. Di lui abbiamo un libro intitolato De Compositione Medicamentarum; il quale credono alcuni che da Scribonio fosse scritto in greco, e poi qualche secolo dopo recato in latino. Ma altri pensano che da lui fosse scritto in latino, quale or l’abbiamo (V. Fabr. Bibl. lat. t. 2:p.579). Checchè sia di ciò, egli è certo, come osserva il soprallodato M. Portal (t. 1, p. 71), che molte cose i medici che venner dopo, presero da Scribonio, senza pur fargli l’onore di nominarlo, di che egli arreca le prove tratte dalle opere di Trifone (37), di Glicone. cliTrasea, d’Aristo e d’altri medici e chirurghi dell’età [p. 327 modifica]susseguenti. A questi tempi ancora dovette vivere un Cassio, cui Celso chiama praef ad l.1) il più ingegnoso medico del secol nostro. Ma s’egli sia quel desso di cui abbiamo alcune opere scritte in greco, non è agevole a diffinire; perciocchè molti vi furono di questo nome; nè abbiamo dagli antichi scrittori quel lume che sarebbe necessario a discernere ciò che a ciaschedun di essi appartenga. Alquanto più tardi, cioè a’ tempi di Nerone, di cui era medico, viveva Andromaco, di cui dice Galeno (l. de Theriaca ad Pisonem, c. 5) (se egli è l’autore del trattato della teriaca) che fu uomo degno di memoria, e di cui egli ha inserito nella sua opera un poemetto in versi greci elegiaci sulla teriaca < l. 1 de Antidotis, c. 6). « A’ tempi pur di Nerone dicesi vissuto Marino illustre anatomico, di cui ci ha conservato alcuni frammenti Galeno, li quali ci fanno soffrire con dispiacere che il restante dell’opera ne sia perito ». A’ tempi di Traiano,.secondo Suida, fu in Roma ancora Sorano d’Efeso, medico celebre pe’ suoi scritti, tra’ quali uno n’ è stalo non ha molto per la prima volta dato alla luce ed illustrato dal celebre dott. Cocchi. Chi di (questi e di altri medici di questa età brama saper altre cose, vegga l’erudito e diligente Catalogo de’ medici antichi del Fabricio (Bibl. gr. t. 13, p. 15, ec.), e vegga ancora la Storia della Medicina di Daniello le Clerc, e la più volte citata Storia dell’Anatomia e della Chirurgia; poichè a me non appartiene Fan* noverare i nomi e l’esaminare il carattere di tutti i medici che furono in Roma, e di quelli [p. 328 modifica]IX. Frrori commessi da altri nel ragi«»n.»re dui medico Demostene. 028 LIBKO singolarmente de’ quali niuna opera ci è rimasta. IX. Per questa ragion medesima io ho lasciato di parlar di Demostene medico natio di Marsiglia, che visse verso questo medesimo tempo, e molto più ch’io non trovo argomento alcuno a provare ch’ei dimorasse in Roma. Solo, giacchè ne ho fatta menzione, avvertirò un errore in cui, s’io non m’inganno, sono caduti i moderni autori che di lui han parlato, e singolarmente i Maurini nella Storia Letteraria di Francia (t. 1, p. 208), e il loro compendiatore l’ab. Longchamps (Tabl. hist, ec. t. 1, p. 86). Essi dicono che Demostene scrisse tre libri sulle malattie degli occhi, e citano l’autorità di Galeno e di Aezio. Prima di essi avea ciò asserito il Fabricio (Bibl. gr. t. 13, p. 138), il quale anche arreca le parole stesse di Galeno. Ma io nel luogo da lui accennato (De differ. pulsuum l. 4, c. 5) trovo che Galeno nomina tre libri intorno a’ polsi; e dove il Fabricio nel testo greco legge Trqsi ¿(pSxAuùv. io leggo nell’edizion del Carterio mpl; e nella traduzion latina leggo de pulsibus, e non de oculis, come secondo il Fabricio dovrebbe leggersi. Io non ho potuto vedere l’edizion greca di Aldo, di cui par che valgasi il Fabricio; ma parmi impossibile che Galeno in quel luogo ove spiega le opinioni di Demostene intorno a’ polsi, nomini i libri da lui scritti intorno agli occhi; e il contesto medesimo che lo persuade; perciocchè Galeno venendo a spiegare le dette opinioni, dice: Hic tres reliquit de pulsibus libros apud mullos commendatosi [p. 329 modifica]e quindi dice qual fosse intorno a’ polsi il sentimento di questo scrittore. Che hanno dunque a fare con ciò i libri su gli occhi? Maggior fondamento si può fare sull’autorità di Aezio j perciocchè egli veramente recita (Op. medici l. 7) molte sentenze di Demostene intorno alle malattie degli occhi5 dal che si raccoglie ch’egli avea scritto su questo argomento- ma Aezio non dice quanti libri ne avesse scritto. Un altro leggiadro equivoco ha preso nel favellar di Demostene l’ab. Longchamps. I Maurini citano, come si è detto, l’autorità di Aezio nativo di Amida; ee’egli fedelmente traduce: negli scritti di Aezio e di Amida.