Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VI/Libro I/Capo V

Da Wikisource.
Capo V – Scoprimento e raccolte d’antichità

../Capo IV ../Capo VI IncludiIntestazione 8 aprile 2019 25% Da definire

Capo V – Scoprimento e raccolte d’antichità
Libro I - Capo IV Libro I - Capo VI

[p. 262 modifica]unno Capo V. Scoprimento e raccolte d' antichità.

I. Dall’universale entusiasmo degli Italiani nell’andare in traccia de’ codici, non poteva andare disgiunto un uguale impegno nella ricerca de’ monumenti antichi. A ben intendere i primi, giovanili non poco i secondi, e i secondi a vicenda non poteansi molte volte spiegare senza il soccorso de’ primi. Al tempo medesimo adunque che molti uomini eruditi si andavano aggirando per l’Europa tutta e per l’Asia in cerca di libri, altri correan le stesse provincie per osservare ove fosser rimaste iscrizioni, medaglie, statue, bassirilievi, ed altri somiglianti avanzi d’antichità; e con ducendo seco ciò che potean trasportarne, e disegnando e copiando ciò che non era possibile di recare con esso loro, se ne ritornavano alle lor case lieti non altrimenti che di un solenne trionfo. Quindi ebber origine e i gabinetti e le gallerie di cotai monumenti, e i libri in cui essi venivano copiati, o descritti. Cola da Rienzo e il Petrarca ne avean dato nello scorso secolo il primo esempio; ma ciò non era stato che un tenue saggio di quell’ardore che in questo secolo si accese universalmente per tale studio. Noi verrem qui ragionando di quelli che in ciò furon più illustri, avvertendo però, che qui non si ha a trattar di coloro che rischiararono co’ loro libri gli antichi monumenti, ma sol di quelli che ne andarono in cerca, e ne fecer raccolta. [p. 263 modifica]PRIMO 263

II. Il primo e il più famoso tra essi fu Ciriaco d’Ancona, uomo in cui l’amore della antichità giunse fino al trasporto, e diede occasione ad alcuni di farsene beffe, come vedremo. Molti hanno scritto di lui, e più diligentemente di tutti F ab. Mehus nella prefazione premessa all’Itinerario dello stesso Ciriaco, da lui pubblicato in Firenze l’anno 1742» e il co- Mazzucchelli (Scritti ital. ti 1 , par. 2, p. 682, ec.). Essi però non ci danno di questo instancabile viaggiatore una tal idea che corrisponda alla fama da lui ottenuta, e non distinguono abbastanza l’epoche de’ diversi viaggi da lui intrapresi. E veramente dai monumenti che essi hanno veduti, non si poteva a ciò raccogliere bastevol lume. Questi sono in primo luogo il suddetto Itinerario, nel quale Ciriaco racconta in breve alcuni suoi viaggi. Ma il codice che l’ab. Mehus ne ha pubblicato, è guasto e disordinato per modo, cbe f come vedremo, confonde insieme ogni cosa invece di rischiararla. Sono in secondo luogo i frammenti delle antichità da lui esaminati e raccolti nel suo viaggio d’Oriente, i quali dal Cardinal Barberini furon fatti pubblicare a Roma l’anno 1664, per opera del suo bibliotecario Carlo Moroni. Ma questi frammenti ancora , benchè ci dieno molte notizie per le sue ed altrui lettere che Ciriaco vi ha a quando a quando inserite, son nondimeno in più luoghi disposti fuor d’ordine, di che vedrem fra poco le pruove. Finalmente altri frammenti delle antichità da Ciriaco vedute e raccolte ne’ suoi viaggi d’Italia, i quali sono stati dati alla luce in Pesaro nel 1764 [p. 264 modifica]afi/f LIBRO dall1 eruditissimo monsig. Compagnoni vescovo d’Osimo, morto l’anno 1774 e con dotte annotazioni illustrati dal celebre sig. Annibale degli Abati Olivieri. Ma in questi ancora, benchè sien meglio ordinati, trovansi alcune cose che non sembrano a luogo loro, per colpa del codice che ha servito di esemplare alle stampe. E io penso che la ragion del disordine che in tai frammenti si vede, sia l’aver Ciriaco uniti insieme i monumenti da lui veduti in più viaggi così in Grecia come in Italia, in tal maniera che sembrino essere stati tutti da lui scoperti in un sol viaggio, mentre realmente più volte, come vedremo, ei corse le stesse provincie, e in più volte raccolse que’ monumenti che poi unì in un sol corpo. A me non sarebbe stato possibile il gittar qualche lume maggiore su cotai viaggi, se la gentilezza del sig Lodovico Burchelati trivigiano non mi avesse conceduto, ad istanza del dottissimo sig. co. Rambaldo degli Azzoni Avogaro canonico della stessa città, da me altre volte lodato, l’uso di un suo pregevolissimo codice, che a tal fine mi ha cortesemente trasmesso. Contiene esso la Vita del nostro Ciriaco, scritta da Francesco Scalamonti anconitano, di lui amico, al quale abbiamo una lettera da Ciriaco scritta nel 1438, pubblicata tra’ frammenti del cardinale Barberini (p. 4*)* Esso però non è l’originale, ma fu scritto da Felice Feliciano, raccoglitore esso pure d’antichità, di cui diremo in breve, e ciò si raccoglie dalla iscrizione ossia prefazione da lui premessavi. Fi Hoc Felicianus J’reronensis hunc transcrip sit libi Ilarn noni ine ac [p. 265 modifica]PRIMO 2(Ó rogaUi clari et optimi Samuelis fil. Jacobini Tridentensis (l. Tradatensis) viri magnanimi Ulte ac ingenio atque omni virtute decorati, qui ad illustrissimam dicatus est Gunzagiam Regiam, ec. E di questo codice ancora si può dire ciò che di altri scritti per man di Felice osservò il marchese Maffei, cioè ch’essi sono con molta pulitezza trascritti (/ t. illustr. par. 2, p. 191, ed. in 8), benchè pure vi sieno non pochi errori. La Vita di Ciriaco non giunge che all’anno 1433, o perchè lo Scalamonti non si stendesse più oltre, o perchè il Feliciano questa parte sola ne trascrivesse. A ciò però, che vi manca , suppliscono molti frammenti dal medesimo Feliciano aggiunti, che contengono lettere e opuscoli di Ciriaco, e iscrizioni da lui vedute, e descrizioni di altri suoi viaggi, e poesie in lode di esso, ed altri simili monumenti, de’ quali faremo uso. La prefazione dallo Scalamonti indirizzata a Lauro Querini è stata già pubblicata dal P. degli Agostini (Scritt. venez. t. 1, p. 227.ec.), e in essa ei diceche quanto gli scrive intorno a Ciriaco, allor già morto, avea egli parte raccolto dalla madre, da’ parenti, da lui medesimo, parte veduto egli stesso per la lunga amicizia che tra essi era stata. Quindi deesi questo considerare come autorevolissimo monumento, e tanto più importante, quanto più belle e sconosciute son le notizie che ci somministra. E forse mi risolverò un giorno a darlo alla luce, sicuro di recar con esso molto vantaggio alla storia di que’ tempi (a). (a) L‘ idea formala, e in parie già eseguila dal [p. 266 modifica]266 LIBRO

III. Manca per isventura la terza pagina di questa Vita, in cui dovean nominarsi i genitori di Ciriaco, e forse indicarsi l’anno in cui egli nacque. Ma abbiamo di che supplire a tal mancanza. Appena merita di essere accennata l’opinione di alcuni che l’han creduto greco di patria, perciocchè da mille passi e dc’.le sue opere, e di questa Vita, è indubitabile ch’ei nacque in Ancona. In una iscrizione fatta da Ciriaco al sepolcro di sua madre, pubblicata da monsig. Compagnoni (p. 2), e che leggesi ancora nel codice trivigiano (p. 165), ella è detta Masiellae Ki. fil Silvaticai, cioè Masiella figliuola di Ciriaco Selvatico; e il padre è indicato colle lettere Ph. che probabilmente significa Filippo. La famiglia di lui ivi si dice Picenicolles; ma, come osserva il sig. Annibale degli Abati Olivieri (l. cit), nelle carte dell’archivio di Ancona ella è detta de Pizzicollis. L’anno della nascita di Ciriaco si raccoglie da altri passi della Vita medesima. Perciocchè vedremo tra poco che l'anno 1404 egli era nel xiv anno di sua età, e oonvieu dire perciò, di’ ei nascesse circa il 1 3q i. Avea egli appena nove anni, come narra lo Scalamonti, di cui cominciamo a valerci, che cominciò in lui a scoprirsi quell’ardor di viaggiare, che mai non si estinse. Avendo udito che Ciriaco Selvatico, suo avolo materno, dovea recarsi a Vesig. abate Giuseppe Colucei, d’illustrare le antichità e la storia della Marca d’Ancona , mi ha indotto a cedcrpli di buon grado la copia da me l’atta di questo codice , sperando eh’ ci sia per farne uso ul suo argomento opportuno. [p. 267 modifica]PRIMO s(^ nezin, volle ad ogni modo seguirlo, e, benché con dispiacer della madre (il padre mai non si nomina, e sembra che fosse già morto), si pose in viaggio, e a’ 13 d’aprile, essendo doge Michele Steno, giunse a quella grande città. In qual anno ciò accadesse, lo Scalamonti nol dice. Ma essendo lo Steno salito a quella dignità nel gennaio del i.foo, allo stesso anno si dee riferire questo primo viaggio, quando appunto egli avea circa nove anni di età. Da Venezia venne Ciriaco coll’avolo a Padova, ove vide con istupore la magnificenza della,corte di Francesco da Carrara, che poscia nell’anno 1405 fu spogliato di quel dominio, e, fra le altre cose, nota lo Scalamonti, che ivi vide Ciriaco per la prima volta leoni vivi. Tornato ad Ancona , fu inviato da sua madre alla scuola di un certo Zampetta che era ivi pedante. Ma a Ciriaco, più assai che gli studj, piacevano allora i viaggi. Giunto all’età di dodici anni, udì che l’avolo dovea intraprendere un altro viaggio per andare alla corte del re Ladislao in Napoli. E Ciriaco non si potè trattenere, sicchè, malgrado le lagrime della madre, non si unisse con lui. Veduta Napoli e quella corte, si avanzò coll’avolo nella Calabria, ove dovendosi questi arrestare un anno per suoi affari in Maida, a Ili dò ivi il giovinetto Ciriaco a un suo amico, perchè da qualche maestro gli facesse apprendere i primi elementi della lingua latina. Tornati poscia a Napoli, vi ritrovarono una galea anconitana, colà inviata per andar fino a Roma, e di là trasportare il pontefice Bonifacio IX a’ bagni di Pozzuoli. [p. 268 modifica]268 LIBRO Abbiamo in fatti nella Cronaca di Teodorico da Niem, citata ancor dal Rinaldi (Ann. eccl, ad an. 1404 n• 1)j che al principio dell’anno 1404 avea il pontefice risoluto di recarsi a que’ bagni, e che perciò avea ordinato che alcune galee venissero a tal fine da diversi luoghi, e nominatamente da Ancona fino a Roma; benchè poscia veggendo che alla nuova di questo viaggio erasi alquanto ingelosito il re Ladislao, ne deponesse il pensiero. Poichè il giovinetto Ciriaco fu tornato in Ancona, veggendo l’avolo stesso che le carezze materne potevano di leggieri ammollirlo di troppo, ed essendo allora quella città tutta rivolta al commercio, il pose per sette anni, essendo egli allora nel xiv di età, preso un certo Pietro ricco mercante, perchè ivi si addestrasse all’arte di trafficare. Ciriaco allora si volse allo studio dell’aritmetica, e anche della geometria, per tal modo e con sì felice successo, che senza maestro alcuno si rese in quelle scienze, e in tutto ciò che appartiene al commercio, espertissimo * talché, passati appena due anni, Pietro, per attendere più seriamente a’ pubblici affari, abbandonò a Ciriaco tutto il pensiero non sol del traffico, ma ancora de’ suoi poderi. Mentre egli occupavasi di tal maniera nella mercatura, prima ancor di giungere all’età dalle leggi prescritta, fu eletto tra’ sei che presiedevano al governo della città, e poscia fatto ancor senatore. Così giunse Ciriaco all’età di ventini anni circa il 1412. Quando, passato il tempo eli’ egli avea pattuito di star con Pietro, tornossene a vivere colla madre. Ma insofferente dell’ozio, e avido [p. 269 modifica]PRIMO 269 sempre più di viaggiare, essendogli offerta la favorevole occasione di un suo parente, detto Cincio de’ Pizzecolli, che andava con una sua nave in Egitto, si unì con lui, prendendo l’impiego di secondo scrittore nella medesima nave. Giunto con essa in Alessandria, e vedute nel viaggio le isole di Rodi, di Cipro, ed altri paesi dell’Asia e dell’Europa, tornò in Italia, e approdò a Gaeta, ove scaricata la nave, e venuto a Castellamare, prese un nuovo carico di castagne e di noci avellane (che questa merce soltanto si nomina dallo Scalamonti), e rivolse di nuovo le vele verso l’Egitto. Balzato da una tempesta al porto di Trapani, vide parte della Sicilia, e poscia rimessosi in mare, e arrivato in Alessandria, tornossene finalmente dopo sei mesi d’assenza alla paterna sua casa. Ivi egli ebbe occasione ancora di dar pruova di valore nell’armi j perciocché, assalita improvvisamente di notte tempo, a’ 7 di ottobre, Ancona dall’armi di Galeazzo Malatesta, ei combattè insieme con più altri cittadini per respingere, come venne lor fatto, il nimico. Di questo assalto parla a lungo il Saracini storico d’Ancona (Notizie istor. par. 2, l. 10), che prima lo fissa al 1412, poscia all’anno seguente, se pure non dee ancor differirsi, come mi par più probabile, al 14 *4- Aggi tigne lo Scalamonti, che Ciriaco descrisse questo fatto d’armi in versi italiani, nel quale studio dice ch’egli erasi esercitato al tempo in cui attendeva al traffico, leggendo, nell’ore che gli rimanevano libere, le poesie di Dante, del Petrarca e del Boccaccio. E a questa occasione ei riporta alcuni [p. 270 modifica]27O LIUllO sonetti di proposta e risposta, che corser tra lui e 011 certo Crasso, Alberto da Fabriano e Leonardo Giustiniani; e due del Giustiniani a Ciriaco sono stali pubblicati dal P. degli Agostini (Scritt. venez. L 1 , p. 1.r4, ec.). I\. Eran quasi due anni che Ciriaco se ne stava tranquillo in Ancona, occupato solo talvolta nella magistratura. Quando invogliato di nuovo di aggirarsi pel mondo, in età di venticinque anni, e verso il principio del 1.417? caricate su una nave alcune merci, parte del suo antico padrone e parte sue. mise vela verso la Sicilia, e giuntovi ne vide parecchie città, e fra le altre Taormina, Messina e Palermo’ , e il monastero di S. Martino. A questa occasione comincia a dirci lo Scalamonti, che Ciriaco prese ad osservare le antichità, e fra quelli da’ quali fu perciò assistito in Palermo, nomina Jacopo Pizzigo , Ruggiero Spadafora cavaliere, e Giovanni conte di Ventimiglia. Giovane però, come era allora Ciriaco, e che degli studj appena avea veduti i primi elementi, poco frutto potè raccogliere da un tale esame. Trattenutosi qualche tempo in Sicilia , essendo venute a Palermo quattro galee venete, che sotto il comando di Niccolò Donato tornavano dall’Inghilterra, con esse si pose in mare verso V enezia. Sceso su’ lidi della Dalmazia, e accolto onorevolmente in’Zara da Sante Veniero e da Pietro Loredano, che erano ivi in carattere di correttori, intese da essi l’elezion del pontefice Martino V, seguita nel sinodo di Costanza agli 11 di novembre del 14 * 7- Venuto a Venezia, vendute ivi le merci, e tornato in [p. 271 modifica]PRIMO 27I patria, eccolo dopo pochi giorni imbarcarsi di nuovo per andare a Costantinopoli, ove in fatti egli giunse a’ 7 di ottobre del 1418. Ne osservò le più magnifiche fabbriche, vide f impera dorè Mannello Palcologo, visitò i monasteri e le belle biblioteche adorne di vaghissimi codici, e, soddisfatta la curiosità, fece ritorno ad Ancona, donde qualche tempo appresso intraprese un altro viaggio a Pola nell1 Istria^ e colf aiuto di Andrea Contarmi, che ertivi podestà, vide gli avanzi di quella città antichissima. Restituitosi in patria, narra lo Scalamonti, che in più altre navigazioni ei rivide Costantinopoli e le Isole dell’Arcipelago; ma non dice quando ciò avvenisse, e queste navigazioni sembra che debbano riferirsi agli anni seguenti, come vedremo. Trattennesi allora Ciriaco per qualche anno in Ancona, ove venuto nel 14a 1 il Cardinal Gabriello de’ Condolmieri, che fu poi Eugenio IV, legato del pontefice Martino V, e volendo egli ristorare quel porto, Ciriaco fu trascelto a questore col carico di tenere i conti delle spese che perciò doveansi fare. Nel che si condusse egli sì destramente, che non solo ridusse i libri del Pubblico a miglior forma , ma ottenne ancora di sollevarlo da molti pesi onde era aggravato. Di questa sua carica fa menzione egli stesso nel suo Itinerario scritto vent’anni appresso, e indirizzato al medesimo cardinale già divenuto pontefice (p. 38). Nel tempo stesso ei ripigliò gli studj già intramessi, e non solo coltivò la poesia italiana, di che qui ancora dà qualche saggio lo Scalamonti, recando alcuni sonetti che a vicenda si scrissero egli e Serafino [p. 272 modifica]

I j | I j JH

2^2 LIBRO da Urbino; ma alfine il1 intender meglio la Commedia di Dante, volle studiare il sesto libro dell’Eneide, e si pose perciò sotto la direzione di Tommaso da Camerino , detto ancor Seneca, celebre gramatico di quei tempi, che teneva allora pubblica scuola in Ancona. Essi patteggiarono insieme, che il maestro spiegar dovesse allo scolaro Virgilio, e lo scolaro al maestro dovesse leggere Dante. Ma innanzi di compiere questo vicendevole magistero, Tommaso abbandonò Ancona e Ciriaco; e questi, trovatosi senza guida, con tal impegno continuò in quello studio, che non solo giunse ad intendere per se stesso Virgilio, e a possedere la lingua latina , ma avendo da Virgilio appreso a conoscere Omero , se ne invaghì!, e formò fin da allora risoluzione d’imparare ancora la greca. Quindi a ragione Carlo Aretino in un suo Epigramma riferito, dopo altri, dal conte Mazzucchelli, loda Ciriaco, perchè senza l’aiuto d1 alcun maestro era divenuto uom dotto; ne è vero ciò che il Cardinal Furietti ha affermato (praef. ad Barzizior. Op. p. 16), el11 ei fosse scolaro di Francesco Filelfo. Il Cardinal Condolmieri partì da Ancona per recarsi a Bologna, ove era stato destinato legato, l’anno 1423, e vi entrò a’ 16 di agosto (Script. rer. ital. vol. 18, p. 613). Ciriaco allora si dimise dall1 impiego da lui addossatogli, per abbandonarsi tutto agli studj. E questa è veramente l’epoca del rivolgersi ch’egli fece con grandissimo ardore a ricercare le antichità.

V. Si avvenne egli a vedere in Ancona gli avanzi del bel monumento innalzato a Traiano [p. 273 modifica]pniiwo 3^3 per memoria del porto da lui ivi aperto. E la vista di questo oggetto gli accese in cuore un ardentissimo desiderio di andare in ogni parte cercando di cotai monumenti per rinnovarne, se fosse possibile, e renderne più durevole la ricordanza. Ei volle cominciare da Roma: ne’ doveva in fatti dare altro principio alle sue ricerche. Il tempo del suo arrivo a quella città si fissa chiaramente dallo Scalamonti: Martino V. Pontifice ejusdem pont A. I II. et ad III. Non. dec. diem cioè a’ 3 di dicembre del «424j l,a qual epoca ei conferma con ciò che poscia soggiugne, cioè che Ciriaco ritrovò il Cardinal Condolmieri che, poco prima lasciata la legazion di Bologna, si era colà recato. Perciocchè troviamo che quel cardinale nel giugno appunto di quest’anno partì da Bologna (ib. p. G14)• Ciriaco fu da lui ricevuto con somma allegrezza , e nei quaranta giorni di’ ei traltcnnesi in Roma, volle ch' egli usasse sempre di un suo bel cavallo di bianco pelo per aggirarsi per quella città, affin di osservar, come fece, e copiare e descrivere i monumenti antichi, in cui incontravasi. Lieto delle scoperte ivi fatte, tornò nel gennaio dell’anno 1425 ad Ancona, ove fu di nuovo eletto al magistrato de’ sei, e attese colf usata sua diligenza agli affari della repubblica. Frattanto Zaccaria Contarini veneziano (che dallo Scalamonti si dice parente di Ciriaco) gli scrisse , pregandolo a volersi incaricare de’ suoi affari mercantili nella Marca , ovver nella Puglia. Ciriaco aspirava a cose troppo migliori, e desiderava ardentemente di passar di nuovo in Grecia , per Tira boschi, Voi. VII. ìtf [p. 274 modifica]2^4 LIBRO apprendere quella lingua. Portatosi perciò, terminato l’anno della magistratura, a Venezia, ottenne dal Contarini di essere spedito in Cipro a regolarvi il traffico che ivi egli facea. Di che lieto Ciriaco, tornato ad Ancona, si pose presto in mare, e navigò a Costantinopoli. Ivi mentre aspetta un legno che muova per Cij.ro, cominciò ad apprendere la lingua greca, finché, offerto gli si l’incontro di un’altra nave anconitana che andava in Soria , su essa si pose, e vi strinse amicizia con Andreolo Giustiniani, da cui fu poscia molto aiutato nella ricerca de’ monumenti, e per cui mezzo ottenne di comperare un bellissimo codice del nuovo Testamento per venti scudi d’oro. Giunto a’ Rodi, indi passato a Berito, e poscia a Damasco, trovò in questa città Ermolao Donato patrizio veneto e uomo dottissimo, da cui fu scorto nell' osservare e nel ricopiare quanto avea in quella città d’antichi monumenti. Poco mancò che non accettasse ancor f occasione che ivi gli si offerse di andare nell’Etiopia e nell’India; ma il desiderio di eseguir gli ordini del Contarini il condusse a Cipro, ove, mentre sta da lui aspettando alcune lettere necessarie a regolarne gli affari, fu scelto a vicario del podestà in Amoceste, come leggesi nel codice trivigiano, che è probabilmente Amoccosto promontorio di quell’isola nominato da Tolommeo. Ivi Ciriaco voltosi allo studio delle leggi, da lui prima non mai intrapreso, sì felicemente ne apprese i principj, che potè esaminare e decidere con sommo applauso le liti. Giunte frattanto le lettere del Contarini, ei recossi a [p. 275 modifica]PRIMO 2^5 Leucosia capitale dell1 Isola, ove in men di un anno ne ridusse a buon sistema gli affari. Ebbe insieme la sorte di incontrar grazia presso il re Giano 7 che dal 1412 fino al 1431 fu signor di quell1 isola, e da cui fu onorato del titolo di suo famigliare, e annoverato tra’ primarii cortigiani. Oltre all1 osservare le antichità di quell’isola , Ciriaco vi fece acquisto della Iliade e dell’Odissea d’Omero, delle Tragedie di Euripide , e di qualche altro codice greco , coll’aiuto de’ quali egli s’innoltrò tanto nello studio di quella lingua , che nel corso di questo viaggio recò in latino una breve vita d1 Euripide, c la inviò al suddetto Andreolo Giustiniani, Tornato a Rodi, colf aiuto di Boezio da Tolentino agostiniano e metropolitano in quell’isola, e del cavaliere Fantino Querini, ne osservò attentamente le antichità , e comperatene alcune , mandolle innanzi ad Ancona. Lo stesso fece in più altre isole dell’Arcipelago e in più altre città di que’ contorni, e singolarmente in Andrinopoli, ove arrestossi qualche tempo, sempre più innoltrossi nello studio della lingua greca , e comprò molti libri , il che pur fece in Tessalonica. Venuto poscia a Gallipoli, per lettere che gli venner da Ancona, ebbe il lieto avviso che il Cardinal Condolmieri era stato eletto pontefice col nome d’Eugenio IV. Questa elezione accadde nel marzo del 1431 , e da ciò raccogliamo che già da cinque o sei anni Ciriaco era assente d1 Ancona, essendone egli partito nel 1 \z(, o al più tardi nel seguente. Avea egli risoluto di fare un viaggio in Persia insieme con Niccolò Ziba genovese , % [p. 276 modifica]276 * LIBRO da lui conosciuto in Andrinopoli, il quale è quel medesimo Niccolò Ceba (*) a cui abbiamo più lettere del Filelfo, e una singolarmente del 1441 (cp. 4) , in cui gli rammenta un viaggio clfei l’atto avea nella Persia. Ma il desiderio di vedere il nuovo pontefice il fece risolvere a ritornare in Italia. Prima però volle vedere alcune altre cose maravigliose in quelle provincie, come il tempio di Cizico , le antichità di Mitilene , e di alcune altre città; e fece ancora acquisto , per opera di Federigo Giustiniani suocero di Andreolo, di alcune medaglie d’oro di Filippo e di Alessandro e di Lisimaco. Finalmente , dopo sì lungo viaggio , tornato ad Ancona , e trattenutosi pochi giorni in casa, ne partì per Roma con Astorgio vescovo di quella città. Giunto a’ piedi di Eugenio IV, ne fu accolto con somma amorevolezza , e lungamente si trattenne con lui favellando de’ mezzi con cui riunire i Greci alla Chiesa romana, e domar la potenza de’ Turchi. Diedesi poscia Ciriaco a ricercare le antichità di diverse città del Lazio. Quando venuti a Roma due ambasciadori dell’imperador Sigismondo , che già giunto a Siena (il che accade nel 1432), volea recarsi a ricevere la corona imperiale dal papa, essi nel tornarsene a Siena presero a lor (*) Quel Niccolò Ceba qui nominato era della nobil famiglia Grimaldi. Io ho tratta questa notizia da una lettera d I Longolio a Ottaviano Grimaldi, in cui gli scrive: Ut ami ci/in nostra hand panilo sii illustrior ca farti 1 liani al c , quae JVicolao Grimoaldo Ccbae avo tuo cum Francisco Fliilclpho viro (Indissimo iutcrcessiC (Longol. cpist. I. 3, pag. 362, cd. Lugdun. 154a). [p. 277 modifica]PRIMO 377 compagno Ciriaco, e il presentarono a Cesare. Questi, udito chi egli fosse, lo accolse con singolare bontà, e in presenza di due suoi consiglieri, Brunoro dalla Scala veronese e Battista Cicala genovese, il dichiarò suo famigliare.

VI. Di tutto ciò che abbiamo sinora accennato , niun indicio si trova nè nell’Itinerario di Ciriaco , nè ne’ frammenti pubblicatine dal Cardinal Barberini e da monsignor Compagnoni; ma ne dobbiam la notizia al pregevolissimo codice trivigiano. Io non ne ho recate le stesse parole, sì per non annojare chi legge con soverchie citazioni, sì per la speranza che ho di darlo un giorno alla luce, il che servirà non solo di pruova a ciò ch’io ho affermato, ma darà ancora più altre belle notizie da me per brevità tralasciate. L’Itinerario pubblicato dall’ab. Mehus comincia dal ragionamento che tenne Ciriaco in Roma collo stesso imperadore Sigismondo, quando questi vi si recò finalmente nel maggio dell'anno 1433 , perciocchè tutto ciò che ad esso precede, non comprende che i nomi degli uomini dotti che aveano approvato il disegno da lui formato di raccogliere le antichità, e gli elogi di cui l’aveano onorato. Prende poscia a narrare (p. 21), e quasi colle stesse parole si narra ciò ancora dallo Scalamonti, che in Roma avendo egli mostralo alP imperador Sigismondo , quanto obbrobriosa fosse f indifferenza che aveasi comunemente pe’ monumenti antichi, egli ne approvò sommamente il pensiero, e lo esortò a continuar con coraggio l’opera incominciata. Dopo questo colloquio, nel suddetto Itinerario Ciriaco balza [p. 278 modifica]II78 LIBRO improvvisamente a Milano, poscia con salto nulla minore a Napoli, indi in Sicilia. Di là tornato al regno di Napoli, passa nella Marca d’ Yncona, di là a Ravenna , a Bologna, a Modena, a Mantova, a Verona, a Padova, quindi a Ferrara , a Venezia, ad Adria, e finalmente ritorna ad Ancona. Ma assai diversa è la descrizione che ne abbiamo presso lo Scalamonti. Ed io ben so che maggior fede è dovuta a un racconto che sia disteso da quel medesimo che ne è il soggetto, che non a quello di uno straniero. Ma poichè la relazione dello Scalamonti è assai meglio ordinata che quella dell’Itinerario di Ciriaco , e in questo s’incontran più co.se che difficilmente ammettono spiegazione, rimane a dire che il codice da cui esso’ fu tratto, sia stato guasto da qualche ignorante copista , il quale abbia cuciti insieme alla peggio diversi pezzi delle memorie di Ciriaco.) laddove lo Scalamonti ci assicura, come abbiamo veduto, di aver tratta ogni cosa dalle lettere e dalla bocca medesima di Ciriaco e de’ parenti di esso, e perciò dee riceversi ciò eh1 ci ci racconta , come appoggiato ad ottimi fondamenti. Nan a egli adunque che Ciriaco, risoluto di continuare le sue ricerche, partì da Roma, e andossene a Pisa , e osservatene le antichità, passò a Firenze. Ivi descrive lo Scalamonti, quanto piacere provasse Ciriaco nel conversare con Cosimo de’ Medici (il quale essendo stato esiliato nel settembre di quest’anno medesimo 1433, dovette perciò Ciriaco recarsi a Firenze innanzi a quel tempo), con Niccolò di Uzzano, con Palla Strozzi, con Leonardo c [p. 279 modifica]PRIMO 379 Cado il’Arezzo , con Francesco Filelfo, elicivi allora teneva scuola , come vedremo, e singolarmente con Niccolò Niccoli (morto al principio del 1437)di cui celebra con somme lodi!la vastissima erudizione e l’instancabile diligenza nel raccogliere libri. Accenna ancora le più pregevoli cose che ivi vide Ciriaco, la biblioteca del suddetto Niccoli , le medaglie ed altre antichità vedute nel palagio di Cosimo, i bei lavori in marmo e in bronzo di Donatello e di un certo Nencio, i famosi libri delle Pandette, la libreria della Certosa, e finalmente le antiche mura di Fiesole. Da Firenze passato a Bologna, venne a Modena, ove alla cortesia del vescovo Scipione attribuisce I’ aver Ciriaco vedute molte iscrizioni che vi si conservano, alcune delle quali ha a questo luogo inserite lo Scalamonti. L’Ughelli Ital. Sacra, t. 2 in Episc. Mutin.) fissa nel 1436 l’elezione a questo vescovado di Scipione Mainenti, e a confutare il Sillingardi, che afferma che Carlo Bojardo di lui antecessore morì nel 1431 , reca gli Atti del Concilio di Firenze del 1439), in cui il Bojardo è sottoscritto: Carolus Episcopus olim Mutinensis. Ma ciò pruova bensì che quel vescovo viveva ancora; non prnova el11 egli avesse rinunciato sol nel 143(; e questo passo della vita di Ciriaco ci fa vedere che se il Sillingardi errò nel creder morto il Bojardo nel 1431 , non s’ingannò probabilmente nel dargli in quell1 anno a successore il Mainenti. Da Modena passò Ciriaco a Reggio, a Parma e a Piacenza; indi veduta Pavia, ove trovò Antonio Panormita , giunse a Milano, ove fu cortesemente accollo [p. 280 modifica]a8o LIBRO dal duca Filippo Maria. Molte iscrizioni da lui ivi vedute rapporta lo Scalamonti 7 e poscia aggiugne ch’egli andossene a Brescia, indi a Verona, poi di nuovo a Milano, ove alcuni giorni si stette col detto duca. Di là si volse a Mantova, e da Mantova a Genova, ove rammenta lo Scalamonti le più rare cose che Ciriaco vide; e fra’ primarj cittadini, da’ quali egli fu onorevolmente trattato e convitato lautamente, annovera Giovanni Grillo, Francesco Spinola , Benedetto Negrone e Paolo Imperiali; e tra gli eruditi, Jacopo Bracelli e Niccolò Camullio. Da Genova fece ritorno a Roma, e al pontefice Eugenio IV. Questi, a’ 18 di maggio del 1434, fu costretto ad uscire da quella città, e a ritirarsi a Firenze, e perciò l’arrivo di Ciriaco dee fissarsi qualche tempo prima delle rivoluzioni che costrinsero il pontefice a uscir di Roma. Trattenutosi qualche giorno in quella città, ne partì per Napoli, ove dalla reina Giovanna II, che avea già conosciuto Ciriaco Salvatico di lui avolo, ebbe favorevole accoglimento. A questo luogo si uniscono lo Scalamonti e l’Itinerario di Ciriaco nel descrivere i monumenti da lui in quel regno veduti, e nel raccontare che offertaglisi l’occasione di una nave che conduceva in Sicilia Daniello vescovo di Parenzo e Giovanni Boscolo fiorentino , inviati del papa al re Alfonso, con essi tragittò a quell1 isola. Ma poscia discordano 1’ 11110 dall’altro. Perciocchè l’Itinerario continua a condurre Ciriaco in giro coll’ordine poc’anzi accennato, e ci mette innanzi tal serie di viaggi che dovettero tenerlo per lungo tempo loutau [p. 281 modifica]PRIMO 28l dalla patria. Al contrario, lo Scalamonti racconta che salito in Sicilia su alcune navi anconitane armate contro certi corsari della città stessa , che infestavan que’ mari, non avendo quelle potuto ottenere il lor fine, tornò colle stesse ad Ancona; e con ciò finisce la Vita di Ciriaco, scritta dal suddetto autore. Ed è certo che Ciriaco nel settembre del 1435 era in questa città , e ne abbiamo in pruova il racconto da lui stesso disteso della battaglia navale che a’ 5 d’agosto di quell1 anno medesimo seguì presso f isola Ponza, e in cui il re Alfonso fu fatto prigione da’ Genovesi. Questo opuscolo di Ciriaco trovasi nel codice trevigiano , dopo la Vita finor mentovata , e in esso si parla di quella battaglia , come accaduta di fresco , e alfine si legge: exactum Anconi Idib. Septemb. Dobbiam dunque attenerci al racconto dello Scalamonti, e credere che Ciriaco , tornato dalla Sicilia nel regno di Napoli, si restituisse ad Ancona nel 1435, ed ivi qualche tempo si trattenesse. E veramente a provare quanto sia. disordinato l1 Itinerario di Ciriaco pubblicato in Firenze, mi basti recarne un sol passo, ove egli parla della sua gita in Ferrara, la quale, secondo la serie ivi seguita, dovrebbe fissarsi all1 anno 1435 , o al seguente. Fra i personaggi eh1 ei dice di aver ivi trovati, nomina (p. 31) Lodovico marchese di Saluzzo, e gli ambasciadori de’ Veneziani, de’ Fiorentini e del duca di Milano, cioè Fantino Micheli e Prosdocimo Conti pe’ primi, Palla Strozzi pe’ secondi, e il vescovo di Como, cioè Gherardo Landriani, che fu poi cardinale, per [p. 282 modifica]282 % LIBRÒ 1’ultimo. Or mi si dica di grazia, in qual anno tutti questi personaggi si trovarono uniti in Ferrara? Nella Storia veneta di Marino Sanudo , pubblicata dal Muratori, abbiamo Script. Rer. ital. t. 22, p. io3i) che l’anno 1.(32 fu preso di mandare a Ferrara un Oratore nostro (cioè de’ Veneziani), e fu eletto Fantino Micheli il Procuratore, e per la Comunità di Firenze, c/i era in lega , fu mandato Messer Palla Strozzi, e il Duca di Milano mandò Messer Francesco Gallina, e andò a Ferrara etiam il Marchese di Mantova e il Marchese di Saluzzo, per veder la conclusione di tali trattamenti. E si aggiogo e poscia (ib. p. 1032) che a’' 7 di aprile del 1 $33 si conchiuse ivi la pace , e della pace ivi conchiusa parla pure Ciriaco (p. 32), che con poca diversità di giorni la fissa a’ 26 di aprile. Par dunque che questa sia l’occasione in cui i personaggi suddetti trovaronsi in Ferrara. Ma in primo luogo, come potè Ciriaco, dopo aver veduto l’impcrador Sigismondo in Roma nel maggio del 1433, trovasi in Ferrara nel 1432, o al più tardi nell’aprile dell’anno seguente? In secondo luogo, a quel congresso non troviamo che intervenissero nè Prosdocimo Conti, di cui veggiam solamente che fu inviato a un altro congresso del 1429 (Fasti Gymn. patav. pars 2, p. 27); nè Gherardo Landriani, clic era legato allora del Concilio di Basilea in Inghilterra, e in altre lontane provincie (Collect. Concil. Harduin. t. 8, p. 1313 ,• Argel. Bibl. Script, mediol.t 2, pars 1, p. 772), il quale ancor non poteva nel 1433 esser vescovo di Como , al qual [p. 283 modifica]PRIMO 283 vescovado non fu promosso che nel Nè può replicarsi che forse uno o due anni appresso si tenesse un altro somigliante congresso in Ferrara , perciocchè, oltre non aversene alcun monumento, Palla Strozzi nel 1434 come altrove si è detto, fu esiliato da Firenze , nè potè perciò essere dopo quel tempo inviato de’ Fiorentini. In (qual maniera possa essere stato sì stranamente confuso l’Itinerario di Ciriaco , non saprei congetturarlo. Ma il saggio che ne abbiam dato, ci fa vedere quanto poco possiamo ad esso affidarci.

VII. In altro non minore imbarazzo ci gittano due lettere di Ambrogio camaldolese. Nella prima, scritta da Venezia a’ 29 di aprile (l. 8, ep. 45), e che dall’editore si assegna all’anno 1433, benchè per error di stampa si legga 1432, scrive Ambrogio al Niccoli di aver trovato in Venezia Ciriaco, il quale gli avea mostrate quelle medaglie d’oro da noi già Mentovate. Offendi Ciriacum antiquitatis studiosum. Ostendit aureos et argenteos nummos, eos scilicet , quos ipse vidisti. Lysimachi, Philippi, et. Alexandri ostendebat imagines. Sed an Macedonum sint, scrupulus est. Scipionis Junioris in lapide onychino, ut ipse ajebat. effigiem... vidi summae elegantiae Eam tibi nequaquam conspectam adseverat, sive sponte subtraxi rii, sive illam, postea quam profectus a nobis est, nactus fuerit. Nella seconda, scritta a’ 20 di giugno dello stesso anno, afferma che Ciriaco era partito per l’Oriente (ib. ep. 47): Cyriacus Anconitanus hinc abiit Orientem petiturus. Or come è probabile che Ciriaco, il qual nel [p. 284 modifica]284 LIBRO maggio del i$33 era in Roma, e intraprese poi il mentovato giro d’Italia, fosse nell’aprile dello stesso anno in Venezia, e nel giugno ne fosse partito per l’Oriente? Io sospetto che anche nelle lettere di Ambrogio si trovi qualche disordine, e potrei arrecarne altre conghietture. Ma io temo di essermi ormai troppo allungato in cotai discussioni. Ciò che possiam per certo affermare, si è che Ciriaco verso la fine del i$35 intraprese un altro viaggio per l’Oriente, e vi si trattenne ne’ due anni seguenti. Alcune lettere aggiunte all Itinerario rii Ciriaco, e i frammenti pubblicati dal Cardinal Barberini appartengono a questo nuovo viaggio. Ma credo insieme che in essi abbia Ciriaco ancora inserito i monumenti da lui nei precedenti viaggi veduti. Questi frammenti stessi però, come già ho accennato, non son troppo ben ordinati, e ne abbiamo, fra le altre pruove, il dir che egli fa , dopo aver descritte le antichità nell’Isole dell’Arcipelago e ne’ paesi vicini da lui vedute, che a’ 22 di giugno era venuto a Manfredonia nella Puglia, e a’ 24 a Barletta (p.d’j)j poi agli 8 di luglio all’isola di Citera, e a’ 12 nella Morea; e così pure il mischiare tra le antichità della Grecia quelle di Venezia, di Padova e di Ferrara (p. 26). Di questo suo viaggio parla ancora Ciriaco nell’Itinerario (p. 49 G ove aggiugne di esser giunto fin nell’Egitto. Una lettera da lui scritta allo Scalamonti , e inserita ne’ sopraccitati frammenti (p. 41), ci mostra che nel 1438 egli era in Ancona sua patria, e che era di nuovo stato ascritto nel magistrato de’ sci, e in Ancona [p. 285 modifica]PRIMO 285 pure cel mostra nei primi giorni del 14^9 l1 ultima delle sue lettere aggiunte all1 Itinerario. Da Ancona ei passò di nuovo a Firenze, ove certamente trovavasi verso la fine del 1439 e nell’anno 1441 * Perciocché in una lettera da lui scritta da Firenze a Francesco Sforza a’ 22 di novembre del 1441? che leggesi nel codice trivigiano (p. 129), dice che due anni addietro, essendo in quella città, avea udita la nuova della liberazion di Verona dall’armi del Piccinino per opera dello stesso Francesco avvenuta: Dum haec in florentissima Latinorum urbe mi/ti mora ri versarive contigerat.... laeto percepimus animo, Veronam ab hostili exercitu Pie miniano per triduum fortiter occupatam, celerrime tua inexplicanda virtù te libatati pristinaeque Venerum ditioni restitutam esse. Il qual fatto accadde appunto nel 1439 (Murat Ann. di Ital. ad h. a.). Soggiugne poscia, che di fresco avuta erasi la notizia della pace d’Italia , da lui pubblicata in Cremona, e questa pubblicazione seguì in fatti nel detto anno 1441 Or io congetturo che in tutto questo frattempo Ciriaco per lo più si trattenesse in Firenze. Non abbiamo in fatti indicio di verun viaggio che da lui in questi anni s’intraprendesse; e troviamo inoltre che i Fiorentini molto si adoperassero in encomiarlo j e ne son pruova parecchi loro epigrammi, altri dallo stesso Ciriaco pubblicati nella introduzione al suo Itinerario, altri o dati in luce, o accennati dal1’abate Mehus (praef. ad Vit. Ambr. camald. p. 17, 27, 53, 68), altri che si leggono nel codice trivigiano. Ed uno tra essi è degno di [p. 286 modifica]28(3 LIBRO special ricordanza, cioè un’elegia del celebre poeta Porcellio, in cui esorta i Fiorentini a onorar Ciriaco dell’alloro, e si volge perciò agli uomini più eruditi che allora fossero in Firenze. Quare agite , o celcbres, laut o cxornate Poetala, Aut hederis crincni cingile utrmque, Hat ics. 1 uque Aretine prior, qui cantai laude Poetam, Karole. sic jubeo, sit tibi primus honos Post alii subeant • Oralor Pogg’ms die, Vegius altiloquus, Flavius Historicus. Huc ades, o Cinthi, Romanae gloria linguae , Huc Dathus: hunc certe vatibus ad.io utcis. Ilo’ duuius Aurtspac voleri de gente Sicana, Vatibus in mediis hoc damus orbe locum. Altre poesie si aggiungono nel codice stesso in occasione di questa corona d’alloro, che par certamente che fosse conferit i a Ciriaco. E clic esse appartengano a questi tempi, pruovasi chiaramente e dal non esservi nominato il Niccolò amicissimo di Ciriaco e morto nel 1437 il quale non sarebbe stato omesso, se fosse stato ancor vivo j e dall' esservi nominato l’Aurispa, che allora appunto era in Firenze segretario di Eugenio IV, come di lui parlando vedremo. Ivi egli scrisse il suo Itinerario , come raccogliesi dalle ultime parole di esso: Ad liane Jlorentis simam Tuscorum urbem (p. 52). Ed esso appunto fu scritto l’anno i \ \ i, come bene ha provato l’abate Mehus (praef, ad Itiner. p. 36.). Di questo non si ha nel codice trivigiano, che il principio dell1 introduzione al pontefice Eugenio IV, fino a quel passo in cui comincia Ciriaco a recitare gli elogi oud1 egli è stato onorato, de’ quali nulla si vede [p. 287 modifica]pniMO 287 nel detto codice; ma ivi in vece conchiude Ciriaco la sua lettera al pontefice con esporre l’idea di un altro ancor più arduo viaggio eli’ ei pensava di fare, cioè di penetrare fin dentro all’Egitto inferiore, e di vedere l’antica città di Tebe, di passar quindi in Etiopia, e poscia di andarsene al tempio di Giove Ammone, e di là fino al monte Atlante, e poi passando per la Libia e per la Getulia tornare in Italia a’ piedi dello stesso pontefice. Il qual passo è stato pur pubblicato dall’abate Mehus, tratto da un codice del canonico Biscioni (praef. ad Vit Ambr. camald. p. 2^). Vili. Prima però di accingersi a questo viaggio, un altro ne intraprese per esaminar di nuovo le antichità italiane; e ad esso appartengono i frammenti pubblicati da monsignor Compagnoni, ne’ quali sono ancor inseriti que’ monumenti che da Ciriaco erano stati veduti nel primo viaggio, e che perciò si producono dallo Scalamonti nella descrizione ch’ei ce ne ha dato. Questo viaggio fu da lui cominciato l'anno 1442? come raccogliesi da alcune lettere in esso inserite (p. 3,4? ec*)? e (h» un’altra del codice trivigiano, scritta da Milano a Bartolommeo Rovarella allora cameriere del papa e poi cardinale. Firenze, Pisa, ov’egli era al principio di agosto , e Volterra sono le prime città che in esso egli nomina, e in quest’ultima città racconta che fu onorevolmente accolto da Gasparo Zacchi, uomo assai dotto, segretario allora del Cardinal Bessarione, e poscia vescovo di Osimo, e aggiugne che i magistrati e i più ragguardevoli cittadini di Volterra lo vennero [p. 288 modifica]288 LIBRO accompagnando nell’osservare le antichità che ivi erano degne d’esser vedute. Egli ha inserita ancora in questo suo viaggio (p. 8) una lettera di Girolamo da Ronco al medesimo Gasparo , in cui esalta con somme lodi l’erudizion di Ciriaco, la diligenza con cui osservava e notava ogni cosa, e la prontezza con cui di tutto rendeva ragione. Siegue poscia la descrizione delle antichità di Lucca (ove dice gran lodi di Giovanni Cirrignano famoso giureconsulto, e avuto ivi in altissima stima per la sua probità non meno che pel suo sapere), di Carrara, di Sarzana, di Luni, e di altre città della Toscana, finchè tornato a Firenze ne parte col Cardinal Branda Castiglione per andare a Milano (p. 20), e per via osserva e descrive le antichità di Modena, di Reggio, di Parma, di Piacenza e di Pavia, e in quest’ultima città trova Gianlucido Gonzaga figliuolo del marchese di Mantova, presso cui dice di aver veduta gran copia di antiche medaglie. A’ 30 di ottobre del detto anno arriva a Milano, ove trova il Cardinal Gherardo Landriani vescovo di Como, e Uguccione de’ Contrari ministro del marchese di Ferrara; ma prima di tutti ei va a visitare Francesco Filelfo suo antico amico , che ivi allor si trovava (p. 27). Ei fa ancora menzione di Teodoro Gaza, che parimente ivi era, e di Catone Sacco, dotto giureconsulto e amicissimo del Filelfo, che gli scrisse più lettere, e una ancora gliene scrisse Ciriaco da lui qui inserita (p. 36). Descritte le antichità di Milano, fra le quali troviam registrata la famosa iscrizione [p. 289 modifica]PRIMO 2 8t) in cui è nominata la biblioteca (di Plinio, e (di cui Ciriaco fu il primo a darci una fedel descrizione , ei passa a Novara, ad Arona e ad Anghiera sul Lago Maggiore, e a Vercelli; e quindi, tornato a Milano, parte per Como , accompagnato con una lettera di Giovanni Toscanella a Baldassarre da Modena dottissimo canonista, che allor trovavasi in Como, nella quale gli raccomanda Ciriaco, e gliene dice gran lodi. Egli stesso l’ha inserita in questa sua opera (p. 44)• Nel viaggio passa per Monza, di cui diligentemente descrive le antichità non solo, ma ancora il tesoro della regina Teodolinda. Arrivato a Como, e osservati ivi pure i monumenti antichi, si avanza sul lago per vedere singolarmente il fonte di Plinio. Si reca poscia a Lodi, e ritorna a Milano, ove il veggiamo nel primo giorno dell’anno 1443 La malattia del Cardinal Banda, che poi il tolse di vita in Castiglione sua patria, borgo presso Varese nella diocesi di Milano, diede occasione a Ciriaco di visitare le antichità ancor di que’ luoghi e di altri circonvicini. Morto poscia il cardinale, senza ripassar per Milano, andossene a Cremona, a Mantova, a Faenza, a Rimini, e indi al campo di Alfonso re di Napoli , che allora assediava Ascoli nella Marca (p. (64) , e di là probabilmente fece ritorno ad Ancona. A questo suo viaggio egli aggiugne ancora alcune iscrizioni che il suo amico Giovanni Toscanella vedute avea in Brescia e in Toscanella (p. (35). TlIUBOSCHl, Voi. VII. »9 [p. 290 modifica]3f)0 LIBRO

IX. Due lettere del Filelfo scritte da Milano, l’una a Francesco Barbaro, l’altra a Leonardo Giustiniani (l. 5, ep. 22, 23), al fine dell’anno 1442 e consegnate per avventura allo stesso Ciriaco, ci mostrano che questi avea risoluto di andar da Milano di nuovo a Venezia. Se ei veramente vi andasse, e quando, non saprei affermarlo. Ma è certo che questo instancabile viaggiatore un altro viaggio intraprese verso l’Oriente. Ne abbiamo un solo frammento nel codice trivigiano (p. 140 ec)? in cui descrive alcuni monasteri da lui veduti in Grecia, e i libri da lui osservati nelle loro biblioteche, e in esso due volte e in due diverse maniere esprime l’anno che allora correva: ri 11 Kalendas Januarias anno milleno quatercenteno quinto et quaderno, e poscia Eugenii P. An. XIII, cioè nell’anno 1445 Io credo perciò, che sia corso error nella data di una lettera del Filelfo, in cui ringrazia Ciriaco di quattro iscrizioni che avea portate dalla Morea: Reddita, sunt mihi quatuor pulekerrima epigramma fa, quae nuper ex Peloponneso in Italiam advexisti (l. 5, ep. 50). Essa è segnata a’ 3i di ottobre del 1444- se ,nel dicembre del 1445 Ciriaco era ancora in Grecia, non par possibile ch’ei ne fosse tornato nell’anno innanzi; se pure non vogliam credere che due diversi viaggi in quei due anni facesse Ciriaco In un’altra lettera, scritta nel dicembre del i (4^ (l. (6, ep. 4t)) lo ringrazia parimente il Filelfo di altre iscrizioni mandategli, e di una singolarmente del sepolcro d’Omero , che Ciriaco si lusingava, come ha fatto con ugualmente infelice [p. 291 modifica]PRIMO 21)1 successo un viaggiatore moderno, di avere scoperto. Nel che però il Filelfo non si lasciò sì buonamente sedurre, come altri ha fatto. Da questa lettera non raccogliamo ove allora fosse Ciriaco. Ma nel 1449) il troviamo in Ferrara. Ne dobbiam la notizia al codice trivigiano, in cui leggesi la descrizione (p. 157, ec.) di un bellissimo quadro che il marchese Lionello gli avea mostrato nel suo palazzo di Belfiore, e un organo di ammirabil lavoro, opera di Costantino Fantino modenese; il quale tanto piacque a Ciriaco, che ornar lo volle di alcuni epigrammi , e di questo fra gli altri: Organa Pierides nova miro cernite cantu , Quae Constantinus alter Apollo dedit. Stirpis Fantina vi min Mutinensis contulit; atque Hic honor hujus (sic) artis et ingenii. Dopo questo viaggio, io non trovo più menzion di Ciriaco, ed è probabile che non molto dopo ei morisse. Certo egli era morto già da alcuni anni nel 1457 Perciocchè un certo Antonio di Leonardo veneziano, in una sua lettera a Felice Feliciano scritta nel detto anno, ed esistente nel codice trivigiano (p. 198 versa), così gli dice: Multa in his literis de Kiriaco nostro Anconitano se ribis, qui utinam viveret! Nam superioribus annis vitae suae finem fecit. È certo inoltre el11 egli morì in Cremona, forse nell’atto di intraprendere qualche altro viaggio per la Lombardia. Ciò è stato provato dall’abate Mehus (Vita Ambr. camald p. 4*4) j colf autorità dell1 epitafio che ne compose Maffeo Vegio. E ad esso io posso aggiugnerne un altro [p. 292 modifica]293 LIBRO (l’incerto autore , clic si legge nel codice trivigiano (p. 177): O Kinace vi rum velerum monumenta requirens Aethiopes, Indos, A ruba s, Theucroscjue petisti. Ossa Cremona tenet!: animus (tamen astra petivit: Gloria Picenum, Piceni carmen habebis.

X. Abbiam finora seguito Ciriaco nell1 aggirarsi el11 ci fece in molte provincie affin di raccogliere e di copiare iscrizioni ed altri monumenti pregevoli dell’antichità. Or convien ricercare qual autorità e qual fede si debba alle raccolte ch’ei ce ne ha date. Alcuni scrittori, e tra essi monsignor Antonio Agostini, monsig. Filippo delle Torre , il Bigot, e più altri citati dal co. Mazzucchelli ci danno Ciriaco come un solenne impostore che a suo talento fingeva iscrizioni, statue, medaglie, come meglio piacevagli, e vuolsi ancora che perciò non si continuasse in Roma a’ tempi del Cardinal Barberini la sopraccennata edizione di tali antichità. Al giudizio di questi moderni scrittori si aggiugne quello di due antichi e contemporanei a Ciriaco , cioè del Poggio e di Pier Candido Decembrio. Il primo , in una sua lettera a Leonardo aretino (Op. p. 330, ed. Basil. 1538), lo chiama uomo insulso, ridicolo, incostante, loquace, stolido, ciarlone, che non sa che si legga, ne che si scriva; che confonde le parole greche colle latine , ed ha uno stile incolto e barbaro; che dalla Grecia altro non ha seco portato che leggerezza e pazzia; pieno di debiti, e degno di esser punito più col bastone che colla lingua. Ognun però vede tosto in questa maniera di v [p. 293 modifica]PRIMO 293 favellare il consueto trasporto del Poggio contro di coloro che in qualche opinione gli eran contrarj. E tale era Ciriaco, che nella contesa insorta tra Poggio e Guarino da Verona, intorno a Cesare e a Scipione, di cui altrove diremo, teneva le parti di Guarino. E questo bastò, perchè Poggio e qui e nelle sue Facezie (p- 442) ne parlasse con biasimo e con disprezzo, laddove in altra lettera, scritta prima che tal quistione nascesse, il dice uom dotto e amico degli studiosi (p. 328), e abbiam veduto di fatti che egli tra’ Fiorentini era uno de’ più grandi stimatori di Ciriaco. Il Decembrio narra (Vita Phil. M. Vicecom. Script. rer. ital. vol 20. c. 63) che essendo Ciriaco venuto innanzi al duca Filippo Maria Visconti, e avendogli promesse gran cose, questi il conobbe per impostore, e da sè discacciollo. L’ab. Mehus e il co. Mazzucchelli rispondono che non deesi molta fede al Decembrio, scrittor facile a dir male d1 altri, e perciò da aversi in sospetto. Ma il ch. signor Annibale degli Olivieri saggiamente riflette (in not. Cyriaci fragm, p. 56, nota 308) che il veder che Ciriaco, dopo la morte del Cardinal Branda , non tornò più a Milano , ma incamminossi al campo del re Alfonso, sembra, a dir vero, indicarci che poco favorevole accoglimento avesse egli in questo secondo viaggio avuto da quel sovrano. Ciò però potè forse avvenire per suggerimento di qualche invidioso che screditasse Ciriaco presso quel duca; che questi non era sì dotto, che potesse per se stesso conoscere quanto quegli [p. 294 modifica]29 \ LIBRO valesse nello studio delle antichità Checchè sia di ciò, è certo che la maggior parte degli eruditi che allor vivevano, ebber Ciriaco in concetto d’uomo dottissimo, e ne scrissero con grande elogio. Oltre alle lettere a lui scritte , che egli spesso ha inserite nella sua Raccolta d’Antichità , e che da noi sono state accennate, abbiam veduto quale stima ne avesse Francesco Fi lei fo. che pur non era l’uom più liberale nel lodar altri. Ambrogio camaldolese ne parla con molta lode in due delle sue lettere da noi già accennate (l. 8, ep. 45, 47)* One altre ne abbiamo a lui scritte da Leonardo Bruni (l. 6, cp. cp, /. 9, cp. 5), piene esse pure di encomj. Angelo Decembrio (che dal co. Mazzucchelli è stato a questo luogo confuso col suddetto Pier Candido) lo dice uom celebre e studiosissimo delle antichità greche De Politia liter. p. 5 1). Biondo Flavio ne fa onorevole menzione parlando di Ancona (hai. Ulti str. rcg. 5). Aggiungansi le testimonianze onorevoli da noi già citate, e quelle di più altri scrittori di questo secolo , e singolarmente del celebre Francesco Barbaro , che si accennano dal medesimo ab. Mehus p. 21, 25, 53, 68), il qual nomina ancora i molti signori italiani, da’ quali Ciriaco fu distintamente onorato. Ad essi però conviene aggiugnere Alfonso re di Napoli, di cui racconta Gioviano Pontano (de. Magnificent c. de Munerib.), che avendo da Ciriaco ricevuto in dono un pezzo d’ambra , in cui era racchiusa una mosca, l’ebbe carissimo, e ne mostrò un’incredibile allegrezza. Or il vedere [p. 295 modifica]PRIMO 21)5 questo univorsal consenso de’ dotti, e quindi ancora, come suol avvenire, de’ grandi nell’encomiare Ciriaco, e ciò in un secolo in cui le lettere e le scienze fecer grandi progressi , e in cui i letterati non si adularono comunemente l’un l’altro, ma anzi si lacerarono a vicenda , a me sembra che formi un ben fondato favorevole pregiudizio ad onor di Ciriaco. In fatti, come osserva il co. Mazzucchelli, parecchie delle iscrizioni da lui riferite sono poscia state vedute da altri ancora, e copiate più esattamente. A quelle ch’egli accenna, si possono aggiugnere quelle altre moltissime che dal sig. Annibale degli Olivieri nelle nota aggiunte a’ frammenti da lui pubblicati si mostrano o ancora esistenti, o da altri dopo Ciriaco vedili c ed esaminate. Inoltre nella prima dissertazione del ch. sig. canonico Frisi pubblicata di fresco sulle antichità di Monza , alcune iscrizioni da Ciriaco riferite si veggono ancora da lui recate, come tuttora esistenti; e lo stesso dicasi de’ raccoglitori delle antichità di Milano, di Como e di altre città d’Italia. Egli è dunque certissimo che molte delle iscrizioni e de’ monumenti inseriti da Ciriaco nei suoi Comentarj esistono veramente ne’ luoghi stessi da lui indicati, benchè nel copiarli sia egli stesso caduto in errore, cosa necessaria a que’ tempi, in cui lo studio delle antichità era del tutto nuovo. Or ciò presupposto, se nell’opera di Ciriaco incontriamo iscrizioni, o altre antichità di tal genere, che or più non si trovano, e che anzi sembran supposte, che dobbiamo inferirne? Nuli’ altro, a mio credere, se non clic [p. 296 modifica]D.gCl LIBRO Ciriaco non era abbastanza cauto nel discernere il vero dal falso , e che talvolta ebbe in conto di gemma ciò che non era che un fragil pezzo di vetro. Nè poteva allora avvenire altrimenti, mentre erano ancor sì scarsi i lumi e gli ajuti a questo studio necessarj. Ma eli’ ei fosse un impostore, e che a bella posta fingesse iscrizioni , come può mai provarsi? Qual fine poteva egli in ciò avere? Qual gloria venivagli dal frammischiare ai monumenti veri e legittimi i falsi e supposti? Se Ciriaco avesse avuta qualche contesa con altri, o se si fosse preso di mira di provar qualche sua opinione, si potrebbe intendere per qual ragione avesse egli voluto usar di tal frode..Ma ei non è che un semplice viaggiatore che riferisce ciò che ha veduto. Nè si può dire di lui ciò che agli altri viaggiatori si oppone, cioè che spesso ingrandiscono, o fingono a capriccio tai cose che non han mai rimirate. Essi voglion con ciò dilettare chi legge, e procurare più pronto esito al loro libro. Ma qual maggior diletto potea recare Ciriaco, e quindi qual poteva sperar vantaggio, se fra molte vere iscrizioni ne avesse frapposte alcune false? Io non veggo in somma qual motivo ei potesse avere di fingere, e credo perciò, che si possa con sicurezza affermare eh1 ei s’ingannò bensì molte volte , che si fidò forse troppo alle altrui relazioni, che fu spesso poco felice nell’intendere e nel copiare i monumenti; ma ch’ei fu uomo di buona fede, che scrisse sinceramente ciò di’ egli credeva vero, e che non perdonò a diligenza per accertare, come meglio poteva , ogni cosa. [p. 297 modifica]PRI’ HO 21 Intorno a che e degno d’essere riferito ciò che il suddetto Antonio di Leonardo , nella lettera poc’anzi accennata, racconta, che trovandosi Ciriaco in Grecia, ed essendo già salito in mare per tornare in Italia, poichè ebbe fatte ottanta miglia di viaggio, udì da un suo amico di un’iscrizione che era dietro alle mura di una città da lui ancora non osservata , e che fattosi porre a terra diede addietro per sì lungo tratto di via sol per vederla e copiarla. Lo stile ne è rozzo ed oscuro, e diviene ancora più intralciato per una importuna affettazione di erudizione antiquaria , che vedesi nelle descrizioni di Ciriaco , e che non rare volte è sparsa di non piccioli errori. Oltre f opere da noi già citate , alcune altre se ne annoverano dal conte Mazzucchelli, che si conservano manoscritte. Egli accenna inoltre alcune poesie italiane di Ciriaco , che si hanno in diversi codici a penna. Alcune lettere ancora ne ha pubblicate monsignor Mansi (ad calccm voi ( Il ibi med. et inf. Latin, p. 12), parte delle quali però, com’egli stesso avverte, son tratte dall’opera da lui scritta sulle antichità dell’Illirico (*).

XI. L ab. Mehus avverte (praef. ad Vit. Ambr. camald, p. 23) che nel suddetto codice del canonico Biscioni si contiene ancora un’epistola di Ciriaco a Cosimo de’ Medici, con cui, dopo il pontefice Eugenio IV, a lui ancora (*) Alle opere inedite di Ciriaco ancon tnno debbonsi aggiugnere gli Scolii da lui scritti in gì eco sulla Geografia di Strabone, che si ramuieuOm dal itemesio (Sj ntagrna lnscript. p. 223, ec.). [p. 298 modifica]21)8 libro indirizza il suo Itinerario, c confessa di esser molto tenuto alla liberalità con cui egli assistevalo. In fatti, a’ tempi di questo gran protettore de’ letterati, veggi amo che si accese tra’ Fiorentini singolarmente non ordinario fervore nel ricercare e nel raccogliere ogni sorta d’antichità. Di Niccolò Niccoli dice Foggio nell' orazion funebre che ne recitò nelf esequie, che avea la casa piena di statue e di quadri antichi, e una serie copiosissima di monete e di medaglie fino da’ primi tempi (Op. p. u’ jG ed. Basil. 1538). Il medesimo Poggio era instancabile nel ricercare di tai monumenti, e l’abate Mehus ne reca parecchie lettere (l. cit. p. 52), nelle quali ben mostra quanto fosse in ciò trasportato; Io ho una camera, scrive al suddetto Niccoli, piena di teste di marmo, una delle quali è bella ed intera; ad alcune altre manca il naso, ma pure esse ancora debbon piacere a un valente artefice. In altre lettere parla dei viaggi che perciò avea fatti ad Arpino, a Ferentino, a Tivoli, a Frascati, a Monte Casino ed altrove, e delle statue e delle iscrizioni che aveane seco recate, per arricchirne una sua villa; e spiega a Niccolò Niccoli il suo giubilo, perchè un certo maestro f Francesco da Pistoja, spedito dal pontefice in Grecia, aveagli scritto di aver fatto acquisto per lui di tre teste di marmo, che diceansi lavoro di Prassitele e di Policleto; e che inoltre sperava di poter ancor comperare alcune statue di un Calogero, il quale cento ne avea trovate dentro una spelonca. Ma non pare che il Mehus abbia avvertito che Poggio amaramente poscia si dolse di essere stalo [p. 299 modifica]PRIMO 21)9 deluso da questo frate, il quale, tornando da Grecia, nulla aveagli dato di ciò che promesso gli avea, e invece aveane fatto de’ doni a chi più gli era piaciuto, e singolarmente a Cosimo de’ Medici (Op. p. 329, ep. ad Andreol. Gjustin.). Due lettere da Leonardo aretino scritte allo stesso Niccoli (l. 3, ep. 9; l. 4, ep. 3), nelle # quali gli descrive le antichità vedute in Rimini e nel suo viaggio a Costanza, ci mostrano ch’egli ancora dilettavasi molto di tali ricerche. Di esse ancora compiacevasi assai Ambrogio camaldolese, come ricavasi da due lettere ch’egli scrisse al Niccoli medesimo (l. 8^, ep. 38, 48), nelle quali ragiona delle ricerche che pel Niccoli facea nella Sori a il suddetto f Francesco da Pistoja, e di alcune belle antichità el11 egli vedute avea in Venezia. Abbiamo inoltre poc’anzi veduto che gran copia di antiche medaglie vide Ciriaco presso Gian Lucido Gonzaga figliuolo del marchese di Mantova.

XII. Lorenzo de’ Medici sopra 11110111 ato il Magnifico in questo ancora diede a conoscere (fin dove possa arrivare un lusso veramente regale. Niccolò Valori, nella Vita che di lui ha scritto, racconta (p. 17) che tanto egli era amante dell’antichità, che niuna cosa avea più cara; che avendo desiderata lungo tempo un’immagine di Platone, e avendone da Girolamo Roscio pistojese avuta una , che diceasi trovata fra le rovine della scuola di questo filosofo, ne tripudiò d’allegrezza; che chiunque volea recargli piacere, altro non avea a fare che offerirgli qualche medaglia, o altro simile monumento [p. 300 modifica]300 LIBRO d’antichità, e che molti perciò gliene venivan recando da ogni parte del mondo; e aggiugne di se medesimo, che avendogli portati da Napoli due busti di marmo, non era possibile lo spiegare con (quale allegrezza li ricevesse. De’ tesori poscia da lui profusi nel comperare cotai monumenti, reca l’ab. Mehus (praef ad T it. Ambr. camald. p. 5 \) parecchie pruove, e quella singolarmente di varj codici che ancor si conservano nella Laurenziana. i quali per opera di Lorenzo furono superbamente ornati di antichi cammei e di preziosissime gemme. Ei però qui non fa alcuna menzione della Raccolta di antiche Iscrizioni che a Lorenzo dedicò il celebre f Giocondo veronese domenicano, di cui parleremo più a. lungo nell’ultimo capo di questo tomo. Ma di ciò ci ha poi egli lasciata altrove memoria (praef adItincr. Cyr.p. 58, 59)), facendo un cenno del codice di antiche Iscrizioni ch’egli offrì a Lorenzo de’ Medici. Di questo parla più a lungo il marchese Maffei, che aveane copia (F'er. illustr. par. 2, p. 262), e dice che vi è premessa una lettera dedicatoria con questo titolo: Frater Joannes Jucundus Veronensis Laurentio Medices Sal. pl. D. (a). Egli avverte insieme di averne un’altra copia veduta in Firenze nella libreria del cavaher Marmi, in cui le Iscrizioni son da lui dedicate a Lodovico Agnelli mantovano, arcivescovo di Co(a) La lettera dedicatoria di F. Giocondo a Lorenzo de’ Medici è stata pubblicata da monsignor Fabroni (Vita Laur. Med. t. 2, p. 279). [p. 301 modifica]PRIMO 301 senza. Angiolo Poliziano parla con somma lode di questa raccolta e dell1 autore di essa, ed egli era certamente uomo a poterne giudicar saggiamente: In collectaneis miteni, ilice egli (Misceli c. 77), ijuae impernine atl Laure ni i um Me dice ni Jucuiulus misti, vir units, opinar, ti tulorum moninicnforuniijue vele rum supra mortales ceteros non diligentissimus solum, sed etiam sine controversia peritissimus. In fatti osserva il marchese Maffei, che nel riferire le Iscrizioni da sè raccolte, egli avverte talvolta clic alcune di esse non gli sembrano antiche. Al medesimo tempo raccoglieva con grande studio statue e medaglie antiche Bernardo Rucellai fiorentino, come pruova l1 ab. Mehus (praef. ad Viti Ambr. camald. p. 56); e ne compose egli pure una Raccolta , che manoscritta si conserva in Firenze nella libreria del marchese Gabriello Riccardi. Il che parimente fecero Bartolommeo Fonte, di cui direm tra’ gramatici di questo secolo, e più altri che si rammentano dal sopraddetto ab. Mehus (ib.).

XIII. Men conosciuto è un altro raccoglitore d1 antichità, cbe pur merita di essere annoverato fra’ primi, cioè Michele Fabricio Ferrarini carmelitano e reggiano di patria. Grandi cose di lui ci racconta Giovanni Guasco (Slor. delf Accad. di Regg. p. 26, ec.), rappresentandolo come uomo in tutte le scienze versato, teologo, filosofo , oratore, poeta , storico , antiquario, dotto nelle lingue ebraica , greca e latina, e autore di molte opere. Forse tutto ciò sarà vero; ma non veggo qual pruova se ne additi. Ciò poi , che il Guasco soggiugne , eh1 ei fosse [p. 302 modifica]3oa libro ordinato vescovo di Corsica , non so con11 egli possa affermarlo. Perciocchè nè egli ci dice di qual chiesa fosse fatto vescovo, nè nell1 Ugliclli si trova di lui alcuna menzione, e nel decreto del Pubblico di Reggio, che or ora rammenteremo , fatto dopo la morte del Ferrarini, ei non ha altro titolo che quel di frate. Ma egli non ha bisogno d’incerte lodi; e a noi, per dargli luogo onorevole in questa Storia, basta il sapere el11 ei raccolse con molta sollecitudine da tutta f Italia quante potè trovare antiche iscrizioni, e copiatele con quella maggior esattezza che gli fu possibile, ne formò un ampio volume, che ancor si conserva in Reggio nella libreria de’ PP. Carmelitani. Il suddetto Guasco ne ha pubblicato il proemio , ossia la lettera dedicatoria, la quale però non si sa a chi sia indirizzata. In essa eidice dice ch’essendo egli stato da’ più teneri anni assai amante delle antichità, avea sempre procurato con molta sollecitudine e con non picciola spesa di raccogliere da tutte le città d’Italia, per quanto gli avean permesso i sagri suoi ministeri, tutte le iscrizioni che avea potute trovare; e che lusingavasi di non averne ommessa alcuna, purchè fosse dissotterrata. Egli fa insieme le sue scuse, se al suo codice aggiunti non avea gli ornamenti onde le iscrizioni eran fregiate, sì per risparmio di spesa, sì per non ingrossare soverchiamente il volume. Questo codice rimase, come si è detto, presso i suoi religiosi in Reggio; e quel Pubblico giustamente sollecito ch’esso non si perdesse, a1 13 di febbraio delKaiino 1.(ij3, fece un decreto, che io non so se debba dirsi più onorevole al [p. 303 modifica]phimo 3o3 Ferrarmi, o al Pubblico stesso. Il ch. ab. Zaccaria lo ha pubblicato (Iter liter. p. 87), e comincia cosi: Exinde prefati Domini Antiani scientes, qui bonae memoriae Fr. Michaelem de Ferrarinis Ord. Carmelit. de Observ. velati zelali tissi/nu/n conservationis antiquitatum et gloriae et honoris hujus civitatis peragrasse montes et planitiem i et totam pene Italiam, et exposuisse et edidisse unum magnum et pule rum librum et codicem ominium antiquitatum Epitafiorum et Epigrani matum, que potuit habere in toto Orbe Terrarum, quod est opus tam rarum et unicum et. preclarum, et scientes illum esse in hoc Conventu et in hac Bibliotheca Carmelitarum hujus Civitatis in chartis membranis bene et eleganter conscriptum et figuratum, repaginatum et copertum, ec. Quindi si continua a dire che essendosi inteso che molti nobili e potenti cercavano con premura di avere il detto codice per farlo trasportare altrove, e sembrando cosa poco onorevole alla città di Reggio il sofferire la perdita di sì pregevol tesoro, si deputano tre cittadini, cioè Lodovico Maleguzzi, Antonio de’ Gazzoli, e Bartolommeo Cartari. i quali debban recarsi al Convento de’ Carmelitani, e ingiugnere al priore e a’ frati, che per niuna cagione permettano che si estragga dal lor convento tal libro, dovendosi esso serbare non altrimenti che il famoso codice delle Pandette; e si aggiugne per ultimo la relazione de’ suddetti tre cittadini, con cui danno avviso al Pubblico di aver eseguita la lor commissione , e di aver trovati que’ religiosi disposti ad ubbidire esattamente a un tal comando. [p. 304 modifica]3o/) LIBRO L’ab. Melius avverte (prnef. ad Itiner. Cyr. p. 58), e prima li lui avvertito avealo il Muratoli (pracf. ad Thès. Inscrìpt.), che una copia dell opera del Ferrarmi si conserva nella biblioteca del re di Francia, nel cui Catalogo vedesi in fatti segnata (t. 4 , p. 206, cod. 6128); e dice che ivi, dopo le antichità da lui osservate in Reggio, sieguono quelle che esistevano in Roma, le quali egli stesso dice che avea raccolte da Felice Feliciano creduto, dice egli, veronese, ma veramente reggiano, e da Ciriaco d’Ancona: Et a Felice Feliciano conterraneo meo, nec non a Kiriaco Anconitano, ad delectationem legentium recollegi. L’opera del Ferrarini non è mai venuta alla luce, ed egli altro non ha pubblicato che il trattato di Valerio Probo sulle Abbreviature degli antichi, con alcune sue giunte, il qual libro fu stampato a Bologna nel 1486 (a).

XIV. Il suddetto Feliciano, mentovato poc’anzi , fu egli pure a questi tempi medesimi studioso raccoglitor d’iscrizioni, e n’ebbe perciò il soprannome d’Antiquario. Il marchese Maffei parla di un codice Ver. illustr. par. 2, p. 189) eli’ egli ne avea , a cui era premessa una lettera scritta dal Feliciano, nel gennajo del 1463, ad Andrea Mantegna padovano, con questo titolo: Felicis Feliciani Veronensis Epigrammaton ex vetustissimis per ipsum fuleliter lafa) Del Ferrarmi veggasi ciù che più a lungo si è dello mila Biblioteca Modenese (t. 2, /. 277; /.6, j). 111 , ove anche si è prodotta la lettera «li esso , in cui attenua che il Feliciano eru veramente reggiano di patria. [p. 305 modifica]PIUMO 3o5 pidibus cjrscriptorum ad splendisi imum vi rum Andre ani Mantegriam Patavum Pictorem incomparabilem liber incipit. La qual lettera , con qualche altro frammento , è stata da lui medesimo pubblicata (ib. p. 519). Dal titolo di essa, com’egli avverte, è nato l’error del Fabricio (Bibl. lat. l. 4 c. 5) e di altri, che hanno affermato essere stato il Mantegna un de’ primi a far raccolta di tai monumenti. Lo stesso marchese Ma Ilei reca ottimi argomenti a provare che altri raccoglitori d’iscrizioni, e singolarmente il suddetto Ferrarini, il Marcanuova e il Bologni, de’ quali diremo fra poco , molto si son giovati delle fatiche del Feliciano. A lui dobbiamo il bel codice trigiviano , di cui abbiamo fatto uso nel favellar di Ciriaco. Al fin di esso si hanno due lettere dello stesso Felice, nelle quali racconta l’aggirarsi ch’ei fece con Andrea Mantegna, con Samuello da Tradate e con altri per varj luoghi presso al lago di Garda, raccogliendone i monumenti, e la festa che si fece per la loro scoperta; e molte iscrizioni ivi si arrecano in que’ contorni osservate. Egli fu ancora poeta italiano , e il mentovato marchese Maffei rammenta alcuni codici di rime da lui composte» e di altre da lui copiate; e una Raccolta di antiche rime da lui compilata era pure presso Apostolo Zeno (Note al Fontan, t. 2, p. 3). Ma fra questi bei pregi, ebbe ancora Felice una non leggiera taccia , cioè di andar follemente perduto dietro l’alchimia. Così abbiamo nelle Novelle Porretane di Sabadino degli Arienti bolognese. Voi Tuia boschi , Voi. VII. 20 [p. 306 modifica]3o6 LIBRO t love te, dice ivi Gregorio Lavagnolo (nov. 3), nella terra vostra, magnifico Conte , gì marosi gentiluomini, e voi nobilissime matrone, aver conosciuto un Feliciano, homo egregio de claro et erudito ingegno, litterato e de virtù laudevole pieno, e de graziosa e lepida conversazione tutto ornato , e cognominato Antiquario per aver lui quasi consumati gli anni suoi in cercare le generose antiquità de Roma, de Ravenna , e de tutta Italia Costui dunque avendo oltre le antiquità posto ogni suo studio e ingegno in cercare ed investigare l’arte maggiore, cioè la (quinta essenzia, si trasferì per tal cagione in la Marca Anconitana per trovare un Eremita. E altrove si aggiugne (Nov. 14) che perciò egli avea impegnato il suo patrimonio, i suoi amici medesimi e quasi la sua propria vita, sicchè per poco non era ridotto alla mendicità. Io non so se a ciò ancor concorresse la professione di stampatore , el11 egli esercitò, e ne abbiamo le Vite degli Uomini illustri del Petrarca in lingua italiana, da lui insieme e da Innocente Ziletti stampate in Pogliano presso Verona l1 anno 1476, a cui Feliciano premise un suo ragionamento , e un componimento in terza rima, che dal marchese Maffei non è accennalo.

XV. Non men pregevole è la Raccolta d1 lscrizioni falla da Giovanni Marcanuova. Egli è detto comunemente di patria padovano; ma Apostolo Zeno con certissimi documenti ha provato ch’ei fu veneziano, benchè avendo fatti i suoi studj in Padova, ed ivi avendo presa [p. 307 modifica]]a laurea , egli stesso si chiami talvolta padovano (Diss. voss. t. 1 , p. 140, ec.) Il Papadopoli , seguendo gli altri scrittori padovani , ce lo dipinge (Hist. Gymn. patav. t. 2», p. 166) come valentissimo medico (a), della qual arte però nè fu pubblico professore, nè lasciò opera alcuna. Solo l’Alidosi lo dice professor di (filosofia in Bologna dal 1452 (fino al 1467 (Dott. forest. p. 35); e prima sostenuta avea la medesima cattedra in Padova, ove l'anno 1445 gli fu raddoppiato lo stipendio che avea di 20 ducati (Facciol. Fasti pars 2 , p. 104)• Il P. degli Agostini rammenta (Scritt. venez. t.. 1 , p. 31) un’orazione da lui recitata a nome del collegio de’ filosofi nell’ingresso che nel 1448 fece in Padova il nuovo vescovo Fantino Dandolo , la qual si conserva nella biblioteca Ambrosiana , ed è forse una di quelle molte da lui composte, che si accennano dal Tommasini (lì ibi. rns. p. 31) come esistenti nella libreria di S. Giovanni in Verdara, col titolo Repertorium Orationum. Ciò che qui dobbiam osservare, si è ch’egli lasciò un’ampia raccolta d1 Iscrizioni da sè copiate, più però, come sembra , da qualche altra raccolta, che da’ monumenti medesimi da lui veduti viaggiando 7 perciocché non troviamo ch’egli a questo fine andasse aggirandosi per diverse provincie, come fecer molti de’ già nominati. Il suddetto Apo(n) Giovanni Marcanuova non trovasi clic fosse laureato in medicina, ina solo nelle arti a‘ iH «li marzo de! 1440, benché per essere ascritto a «pici collegio s intitoli Anima ac Mcdicituic Dactor, come dagli Alti del collegio medesimo ha raccolto 1’ab. Donghel’.o. [p. 308 modifica]3o8 LIBRO stolo Zeno, che avea veduto un tal codice nella libreria di Lorenzo Patarolo, accuratamente ce lo descrive: Difficilmente, dice egli (l. c.p. i j3), potrebbe rinvenirsene un altro di tale argomento meglio conservato, e più accuratamente scritto di questo, che è in foglio, tutto in carta pecora, con bellissime miniature. , e con eccellenti disegni , i quali rappresentano le antichità di Roma e di altre Città, massimamente d’Italia, (Gli stessi caratteri delle Iscrizioni, tutti capitali e Romani e Greci, sono distinti qual d oro, qual di rosso, daltri colori. Egli ne ha ancor pubblicata la lettera dedicatoria che il Marcanuova vi premise a Malatesta Novello signor di Cesena, scritta in Bologna nel 1465. E in essa veramente non si vanta già egli di aver intrapresi più viaggi affin di raccogliere cotai iscrizioni, ma dice solo di averle in un sol corpo unite: omnia enim epigrammata, quae per universum terrarum orbem variis dispersa locis passim reperiebantur, undique conquisita in unum redegi volumen. E infatti osserva il marchese Maffei (l. c. p. 190) che il Marcanuova recando una certa iscrizione di Verona , dice Amphitheatro nostro , copiando ciò dal Feliciano, e non avvertendo che a lui non ben conveniva quell’espressione. Questo bel codice fu da lui posto nella libreria de’ Canonici regolari di S. Giovanni in Verdara in Padova, la quale, secondo il Pignoria (Symbolae. epist. n. 3), fu da lui stesso formata e arricchita non solo di molti codici, parecchi de’ quali vi si conservan tuttora, ma di antiche medaglie ancora e di altri monumenti da lui raccolti. [p. 309 modifica]P1UMO 3ot) Il codice delle iscrizioni però, come abbiam detto, passò poscia , non si sa quando nè in qual modo, ad altre mani. In qualche passo del medesimo libro egli accenna di avere scritto intorno alle dignità, al trionfo, e alla milizia de’ Romani , delle quali opere non ci rimane memoria alcuna. Ei morì, secondo gli scrittori padovani, l’anno 1467 in Padova, ove, terminata la lettura in Bologna, si era restituito, ed ebbe sepolcro nella chiesa di S. Agostino. Quell’Antonio di Leonardo veneziano, da noi più volte in questo capo medesimo nominato, raccolse egli pure alcune iscrizioni da lui osservate in Murano e in Torcello , le quali si leggono a piè della lettera da noi già accennata del codice trivigiano.

XVI. Di Girolamo Bologni trivigiano parleremo più a lungo tra’ poeti latini. Qui avvertirem solamente eli’ ei pure deve aver luogo tra’ primi raccoglitori d’iscrizioni. Ei ne raccolse parte dalle altrui collezioni, parte da’ monumenti da lui stesso veduti singolarmente nel viaggio che nel 1480 fece da Trevigi a Milano. Ad esse premise una dissertazione latina dell’origine delle terre soggette a Trevigi, e degli uomini illustri della stessa città, che è poi stata data alle stampe (Supplem. al Giorn. de’ Letter. d’Ital, t. 2, i15). La Raccolta delle Iscrizioni è inedita, e se ne conserva copia in Trevigi nella libreria del sig. dottore Gianfrancesco Burchelati, ed una pure ve 11’ ha nella biblioteca del re di Francia (Cat. MSS. Bibl. reg. paris. t, 4, p. 169, cod. 6881) e un’altra in quella che già fu d’Apostolo Zeno, il quale [p. 310 modifica]3tn LIBRO giustamente riflette (Lettere ti 2, p. 384) che il Bologni è stato per avventura il primo a darci raccolta d’iscrizioni colla loro spiegazione, perciocchè il Marcanuova , il Feliciano, Ciriaco e il Ferrarini le avean pubblicate semplicemente , senza aggiugnervi comunemente dichiarazione alcuna. Clic se egli nelle sue spiegazioni non è spesso molto felice, non è a stupirne, atteso il secolo in cui scriveva. Al Bologni aggiugniamo un altro collettor d' iscrizioni , cioè un certo P. Sabino , a me sconosciuto, di cui si ha una lettera scritta a Marco Antonio Sabellico, stato già suo maestro (Inter Episti Sabellici l. 9 t. ep. 1), nella quale gli dà avviso di una gran raccolta d’iscrizioni, clT egli avea fatta. Scito me eo usque in ejusmodi veterum monumentorum indaginem progressum , ut partem ex iis, quae ipse hinc inde conquisivi, partem ex Cyriaci Anconitani et cujusdam Fratris Jucundi plusculis quaternioni bus, quos Laurentio Medici obtulit, fidelissime conscripta, et ex tota fere Europa collecta , neglectis rejectisque vulgaribus ac plane gregalibus epigrammatis, unum corpus concesserim. Ma di ciò che sia avvenuto di questa più esatta Raccolta, non trovo chi ci abbia lasciata memoria.

XVII. Roma, che nella copia e nella sceltezza de’ monumenti antichi supera di gran lunga ogni altra città, meritava di avere chi particolarmente prendesse a ricercarne le antiche iscrizioni. Ed ella lo ebbe in Pomponio Leto, di cui abbiam già brevemente parlato ne’ capi precedenti, e direm più a lungo, ove [p. 311 modifica]PRIMO 3 I 1 tratterem degli storici. A conoscere quanto egli fosse amante di tai ricerche, basta il riflettere che dalla scuola di lui uscirono Marc’Antonio Sabellico, Corrado Peutingero, Andrea Fulvio, che poscia illustraron non poco lo studio delf antichità. In fatti peritissimo in tal genere d’erudizione vien egli detto da Angiolo Poliziano (Miscell c. 83), da Giovanni Scopa (Collectan. c. 34), da Gioviano Pontano De Serm. l. 6, p. 105, ed. Flor. 1520), e da molti altri scrittori di que’ tempi. Avea egli ornata la sua casa nel Quirinale di marmi e di altri monumenti antichi di varie sorte. E quindi il Mazzocchio , che nel secol seguente pubblicò le Iscrizioni antiche di Roma, ne inserì tra esse alcune che erano nella casa di Pomponio (p. 42); e in un codice ms. di questa biblioteca Estense, scritto da Martino de’ Sieder tedesco, 1 anno 15o3, clic contiene un gran numero d’iscrizioni di ogni parte del mondo, raccolte, per quanto a me sembra , dalle diverse collezioni finor nominate, molte se ne annoverano, come esistenti nella medesima casa. Alcuni inoltre di tai monumenti furono da lui mandati a Lorenzo de’ Medici , come abbiamo da Pier Crinito. E tanto erasi agli innoltrato nella cognizione delle romane antichità , che Michel Ferno nell’elogio che ne scrisse a Jacopo Antiquario, pubblicato da monsignor Mausi (/ /. calem voi, G fi ibi. mcd. et inf. Latin, p. 8), dice che non v1 era in Roma fabbrica , o monumento di sorta alcuna, eli’ ei non sapesse additare. Ma colla lode, che perciò si dee a Pomponio , non deesi dissimulare il biasimo [p. 312 modifica]3 r 2 LIBRO ch’egli incorse, secondo il comun sentimento, per aver finte alcune antiche iscrizioni; e tale credesi da’ più dotti il testamento di Lucio Ciri spidio e l’cpitafio ilei poeta Claudiano (Vr. Zeno Diss. voss. t. 2. p. , j5o) di cui abbiam noi pure parlato a suo lungo (t. 2, p. (ì jr)); benché potrebbe dirsi per avventura, a difesa di lui, ciò che abbiam detto degli altri, cioè ch’egli ancora fu ingannato da chi per amor di guadagno spacciava merci non vere.

XVIII. Sia f ultimo tra’ ricercatori delle antichità chi per f altezza del grado dovea essere a tutti antiposto, cioè il pontefice Paolo II; e nel parlare di lui avremo insieme notizia di un altro che in ciò pure adoperossi con sommo impegno. Tra le Lettere del Cardinal Jacopo Ammanati ne abbiamo una (ep. 303) da lui scritta ad Eliano Spinola, in cui, ragguagliandolo di una commissione che per lui avea eseguita presso il detto pontefice, gli racconta che questi aveagli detto , fra l’altre cose , che ben conosceva Eliano uomo illustre e nobile , che sapeva aver lui quel genio che aveva egli pure; perciocchè avendo occhi sagaci a discernere ciò che è di pregevol lavoro, molti bei monumenti raccolti avea dalla Grecia, dall’Asia e da altre provincie; che Emiliano perciò poteva senza suo danno far cosa che gli sarebbe stata gratissima , non già eli’ ei volesse ricevere alcuna cosa in dono, ma sì gli avrebbe comperati assai volentieri a quel prezzo che si credesse giusto. Soggiugne poscia il cardinale, che Paolo avea già molti di cotai monumenti; e consigliando Eliano intorno al modo con cui [p. 313 modifica]PRIMO 3 »3 dovca contenersi, gli dice che mandi a Roma tutti i suoi monumenti, che li faccia offrire al pontefice, pregandolo a gradirne in dono un de’ migliori, e a stabilire ei medesimo il prezzo agli altri; ma insieme gli aggiugne che il pontefice non vorrà certamente ricevere un tal donativo. In fatti lo stesso Platina, a cui certo niuno apporrà la taccia di avere adulato questo pontefice, afferma che da ogni parte ei raccoglieva statue antiche ad ornamento di un suo palazzo: Quippe qui statuas veterum undique ex tota urbe conquisitas in suas illas aedes , quas sub Capitolio construebat, congereret (a). Così i sovrani, non meno che i privati, con questa diligente ricerca delle antichità riparavano, quanto più era possibile, il grave danno che l’indolenza de’ lor maggiori avea ad esse recato (*). (a) Dell' impegno di Paolo 11 nel raccoglier medaglie, staine e altri monumenti dell’antichità. si possono vedere altre lestmonianze nell.» \ ita che ne ha scritta il Canensio, pubblicata dal Cardinal Querini, e in quella che ne ha seri ita Gaspare veronese, il cui primo libro è stato pubblicato dall’abate Marini (Digli Archiatri pontif f. i , p. 179), che più altre pruove nc ha recate nelle Note alla \ ila medesima aggiunte (ivi p. ipH). (*) Tra’ collettori delle antichità nel secolo XV. deesi anche annoverare Pandolfo Collenucci, altrove da noi rammentato. L eruditissimo sig. Annibale degli Abati Olivieri ha osservato (Diss. sopra il Dittico (Quir.), che per testimonianza di Giglio Gregorio Giraldi fu egli il primo che si accingesse a raccogliere iscrizioni etnische. F.truscorurn inquarti , dice questo scrittore (De Poetar. Hist. di al. J, Opus. t. 2, p. 16, ed. A ni stelo:!. 1 bqG), quorum litlcraruni adtiuc eutant charactercs