Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. II)/Libro nono - Capo III

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Libro nono - Capo III

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C a p o   III.


Circostanze della Grecia dopo la guerra pelonnesiaca — Artisti di quel tempo — Canaco – Naucide – Dinomene – Patrocle — Rivoluzioni della Grecia nell’olimpade c. – Artisti... Policle – Cefissodoto — Leocare — Ipatodoro — Altre rivoluzioni all'olimpiade civ. – Statuarj... Prassitele... Suo Sauroctono – Pittori... Panfilo... pregio de’ suoi quadri – Eufranore – Parrasio – Sensi – Nicia — Osservazione.

Circostanze della Grecia dopo la guerra pelonnesiaca

Ritorno alla storia e all’infelice guerra peloponnesiaca, che finì nell’anno primo dell’olimpiade xciv., ma colla perdita della libertà d’Atene, e per conseguenza con danno grandissimo dell’arte. La città assediata da Lisandro dovè arrendersi e sottoporsi al pesante braccio degli Spartani e del loro duce, che al suono di stromenti musicali il porto ne distrusse, demolì il gran muro di Temistocle, per cui era unito alla città il porto di Pireo, e cangionne interamente la forma del governo. Il consiglio dei trenta, da lui istituito, cercò di distruggere anche il seme della libertà, facendo perire i più ragguardevoli cittadini.

§. 1. In mezzo a quelle calamità però comparve Trasibulo, e fu il liberatore della sua patria. In capo a otto mesi i tiranni o n’erano stati scacciati, o messi a morte; e dopo un anno, ordinandosi con pubblico editto di tutte obbliare le passate vicende, si richiamò la pace e la tranquillità ad Atene. Quella città si rialzò principalmente allorché Conone sollevò contro Sparta la possanza de’ Persi, e postosi alla testa d’una flotta persiana combattè quella de’ Lacedemoni, andò in Atene, eresse nuovamente il muro fra la città e ’l porto, per la [p. 218 modifica]cui fabbrica i soli Tebani mandarono cinquecento tra muratori e scarpellini1.

Artisti di que’ tempi. §. 2. L’arte, che aveva avuto dianzi lo stesso destino d’Atene, risorse con essa, e comparvero, al riferir di Plinio2, nella seguente olimpiade xcv. gli scolari dei celebri maestri summentovati, cioè Canaco, Naucide, Dinomene, e Patrocle.

Canaco. §. 3. Canaco oriondo di Sicione, e fratello d’Aristocle, altro celebre scultore, fu scolare di Policleto3. Io ho già dianzi fatta menzione di due Muse, opera di que’ due fratelli, e d’una terza, lavoro di Agelada, delle quali si fa particolar menzione in un greco epigramma. Non ne segue però che que’ lavori siano d’un medesimo tempo, sebbene ammettersi possa senza difficoltà che il maestro e gli scolari abbiano scolpite delle statue al tempo stesso. Sembra altresì che Pausania in un luogo parli di Canaco come d’uno scolare di Policleto, ma altrove lo fa molto più antico; poichè, parlando d’una Diana di Menecmo e di Soida d’avorio e d’oro formata, soggiugne potersi congetturare che l’artista di essa abbia vissuto non molto dopo Canaco di Sicione, e Callone d’Egina4; la qual maniera di esprimersi sembra indicare un tempo più antico di quello in cui visse Canaco, secondo Plinio.

§. 4. Potrebbe congetturarsi però che Pausania non riflettesse qui all’età propria di Canaco, ma solo abbiane giudicato dallo stile, quale, come leggiamo in Cicerone5, era oltre natura rigido e duro, cioè simile a quello de’ più antichi maestri. Da questo giudizio possiam rilevare che Canaco, comechè scolare di Policleto (le cui figure secondo Cicerone medesimo erano molto più belle), o non abbia mai [p. 219 modifica]potuto giugnere alla perfezione del suo maestro, o per un capriccio abbia voluto imitare la maniera dura de’ suoi predecessori, affinchè più antiche sembrassero le sue figure. Quindi ne segue che sovente nel tempo medesimo sia stato lavorato secondo stili differenti. Chi però vuole formarsi un’ idea dello stile di Canaco veda la mentovata Musa del palazzo Barberini.

§. 5. Fra i lavori di questo scultore v’erano a Milesia e a Tebe due fra di loro simili statue d’ Apollo, formate d’avorio e d’oro, che aveano sul capo un non so che detto da Pausania πόλον6, voce non ben intesa dai suoi interpreti. Quello era probabilmente un nimbo (nimbus), ossia quel cerchio con cui sogliono circondarsi le teste de’ santi, e fu esso già dai più antichi tempi dato principalmente ad Apollo, come Sole7. Tale pur si rappresenta il Sole in compagnia della Luna nella pittura d’un antico vaso di terra della biblioteca Vaticana da me pubblicato8. Si comprende da ciò perchè Esichio spieghi la voce πόλος dicendo κύκλος καὶ τόπος κορυφῆς κυκλοειδής ἢ ἄξων: ove però in vece di τόπος dovrebbe leggersi τύπος, come già altri hanno osservato. Dee pure essere stato un nimbo il πόλος posto in capo ad un’antica statua della Fortuna, lavoro di Bupalo a Smirne9, e quello della Pallade di legno intagliata da Endeo scultore antichissimo10.

[p. 220 modifica] Naucide. §. 6. Naucide di Argo formò la sua Ebe d’avorio e d’oro, come la Giunone di Policleto, e vicino a questa la collocò11. Pausania non dice quali attributi le abbia dati, ma noi possiamo figurarcela con in mano la tazza in cui mescea l’ambrosia agli dei, qual vedesi effigiata quella dea della gioventù su una nota bellissima gemma, e fu due altre del museo Stoschiano, senonchè in quelle gemme è ignuda, laddove la statua era vestita.

Dinomene §. 7. Di Dinomene ci son noti ben pochi lavori, e Plinio non altro di lui rammenta che la statua d’un lottatore, e quella di Protesilao12 che fu il primo a saltare sul lido trojano, e fu ucciso da Ettore13. La sua figura sarà probabilmente stata distinta dall’attributo del disco, poiché superò tutti gli altri nell’abilità di gettarlo; e quindi gli è stato messo un disco ai piedi su un basso-rilievo in cui rappresentasi la sua morte14.

Patrocle. §. 8. Patrocle, il quarto fra i celebri scultori dell’olimpiade xcv., si è principalmente distinto per le statue de’ famosi atleti15. Lavorò pure insieme con Canaco e con altri alle trentuna statue di bronzo pel tempio d’Apollo Delfico, erette ad altrettanti capi delle greche città, che aveano avuta parte nella vittoria di Lisandro contro la flotta ateniese presso le foci del fiume Egi16. Unitamente a quelli due artisti molti altri men celebri maestri fecero le figure di molte divinità, le quali dopo la mentovata vittoria furono collocate nel medesimo tempio da Lisandro, di cui pur v’era la statua coronata da Nettuno.

Rivoluzione della Grecia nell’olimpiade c. §. 9. Non molto dopo quest’epoca, cioè nell’olimpiade c. le cose della Grecia presero un altro aspetto. [p. 221 modifica]Epaminonda, il più grand’uomo che abbia avuto la Grecia, cangiò il sistema di tutti gli stati, sollevando Tebe sua patria, che dianzi era stata poco considerata, sopra Atene e Sparta, dopo che quella per breve tempo, cioè per lo spazio di trent’anni, a tutta la Grecia aveva signoreggiato17. Lo spavento unì allora quelle due città, le quali fecer lega nell’olimpiade cii.

§. 10. Quella concordia, e con essa la tranquillità universale della Grecia fu indi a poco vieppiù rassodata per la mediazione del re di Persia che nella mentovata olimpiade spedì ambasciatori a’ Greci affinchè, mettendo fine a tutte le guerre intestine, formassero una lega generale. Seguì la nazione sì saggio avviso, e fu conchiusa una pace universale fra tutte le città, eccettuatane Tebe18. forse Plinio ebbe in mira quella restituita tranquillità della Grecia quando fissò all’olimpiade cii. il fiorir di Policle, di Cefissodoto, di Artisti. Leocare, e d’Ipatodoro19.

§. 11. Delle statue di Giunone, che in seguito di tempo collocate furono nel tempio di quella dea entro i portici d’Ottavia20, una lavoronne Policle.Policle, e l’altra Dionisio suo fratello, amendue figliuoli dello scultore Timarchide. A Cefissodoto Cefissodoto. fanno egualmente onore le sue opere21, e l’affinità sua col celebre Focione che ne sposò la sorella22. Leocare diede prove de’ suoi talenti nella statua del Leocare. bell’Autolico, che da fanciullo avea riportato il premio del Pancrazio, e a cui onore Senofonte scrisse il suo Convito23. Della sua nota statua di Ganimede24 vedesi tuttavia nella villa Medici la base coll’iscrizione:

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ΓΑΝΙΜΗΔΗС
ΛЄΟΧΑΡΟΥС
ΑΘΗΝΑΙΟΥ25


la quale sembra piuttosto fatta in Roma, che dalla Grecia trasportatavi colla statua, poiché né i Greci né i loro artisti erano soliti mettere il nome ad una sì nota figura26.

§. 12. A questa medesima epoca comincia l’ultima età de’ grandi uomini della Grecia, il tempo de’ loro ultimi eroi, dei savj, degli scrittori eleganti, e de’ grandi oratori: fiorivano allora Senofonte e Platone.

Altre rivoluzioni nell'olimpiade civ. §. 13. Ma tale tranquillità della Grecia fu di breve durata, e una nuova guerra insorse fra Tebe e Sparta, in cui prese parte la nazione intera, essendo alleati degli Spartani gli Ateniesi. Finì quella guerra colla battaglia di Mantinea, in cui i Greci, che non eransi mai trovati in campo in sì gran numero, combatterono gli uni contro gli altri, ed Epaminonda duce de’ Tebani terminò, dopo una compiuta vittoria, la sua gloriosa carriera. Questa vittoria operò immediatamente una nuova pace per tutta la Grecia, la quale fu conchiusa nell’anno secondo dell’olimpiade civ.27, in cui Trasibulo pur liberò Atene sua patria dal giogo degli Spartani e dai trenta tiranni28, ond’essa alzò nuovamente il capo. Statuarj. Questa pace universale, e principalmente le circostanze felici degli Ateniesi, sono senza dubbio il fondamento fu cui Plinio fissò a questa olimpiade l’epoca in cui fiorirono Prassitele, Panfilo, Eufranore, ed altri chiari artisti29.

Prassitele... $. 14. Prassitele lavorò del pari in bronzo e in marmo; ma, al dir di Plinio30, più in quello che in quello fu [p. 223 modifica]celebre, sebbene di lui rammemori più monumenti in bronzo che in marmo. Volendo giudicare secondo l’ordine ch’egli tiene nel ragguaglio che ce ne dà, pare che l’Apollo Sauroctono ...suo Apollo Sauroctono fosse di bronzo. Ivi Apollo era probabilmente rappresentato da pastore, mentre serviva il re di Tessaglia Admeto, a ciò ridotto per avere ucciso colle sue frecce Sterope uno de’ ciclopi inservienti a Vulcano31; il che gli avvenne nella sua prima giovinezza32.

§. 15. Quando per tanto Plinio dice: fecit & puberem Apollinem subrepenti lacertæ cominus sagitta insidiantem33, a mio credere dee piuttosto leggersi impuberem; e v’ha di ciò più d’una ragione. La prima si è il vero significato della voce puber messo in confronto della figura d’Apollo. Puber significa un giovane che entra nell’adolescenza, in quell’età che si manifesta per la lanugine del mento e del pettignone; all’opposto impuber è colui nel quale non se ne scorge ancora nessun indizio34. Ora senz’ombra di pelo sono tutte le figure d’Apollo, sebben in alcune compiutamente formate siano le parti sessuali, come nell’Apollo di Belvedere. La ragione di ciò si è, perchè in lui e in altre divinità giovanili, si è sempre voluto rappresentare una perpetua adolescenza35, e la primavera della vita, siccome osservammo al Libro V.36. Quindi è che tutte le figure d’Apollo devono sempre chiamarsi impuberi. In secondo luogo, osservo [p. 224 modifica]che Marziale, parlando della nostra statua, chiama Apollo fanciullo:

Ad te reptanti, puer insidiose, lacertæ
Parce, cupit digitis illa perire tuis37.

In terzo luogo tre figure d’Apollo Sauroctono si sono fino a noi conservate: una in marmo nella villa Borghese, sebbene sia alta quanto un giovane adulto, pure ha le fattezze d’un fanciullo, e dee tal Apollo chiamarsi impubere. Tale è un’altra più piccola figura dello stesso dio nella medesima villa, ed hanno amendue unito il tronco e la lucerta. La terza è nella villa Albani: essa è di bronzo, e già ne parlammo al Libro VII.38. La figura che ho pubblicata ne’ miei Monumenti39, è presa dalla villa Borghese, poiché a quella della villa Albani, che probabilmente è lavoro dello stesso Prassitele40, mancava il tronco e la lucerta, quando fu disotterrata41.

[p. 225 modifica]§. 16. Riccoboni, seguito poi da altri, pretende che Prassitele fosse nativo della Magna Grecia, ed abbia poi ottenuta la cittadinanza romana42, ma egli, facendo un grande anacronismo, ha col greco artista confuso Pasitele43. Quelli viveva ai tempi di Cicerone, ed incise in argento la figura del famoso Roscio, quale avealo veduto in culla la sua nutrice circondato da un serpente44. Ove per tanto in Cicerone leggesi Praxiteles dee leggersi Pasiteles45. I figliuoli del celebre Prassitele abbracciarono l’arte del padre; e Pausania parla della statua della dea Enio, e di Cadmo, alle quali unitamente aveano lavorato46. Uno di essi chiamavasi Cefissodoro, e v’era di lui in Efeso un symplegma47, cioè un gruppo di due lottatori48. D’un altro Prassitele cisellatore parla Teocrito49.

Pittori. §. 17. Come Prassitele la scultura, così Panfilo di Sidone50 maestro d’Apelle, Eufranore, Seusi, Nicia, e Panfilo... [p. 226 modifica]Parrasio, quelli furono che portarono la pittura ad un certo grado di perfezione51. Seusi e’l maestro suo Apollodoro erano stati i primi ad usare i lumi e le ombre52; anzi secondo Plinio, poco prima di quell’epoca, cioè nell’olimpiade xc.53, ... prezzo de’ suoi quadri. la pittura avea, per così dire, appena presa una certa forma da poterli chiamare un’arte54. Panfilo può in qualche maniera paragonarsi al nostro Guido, non riguardo ai talenti pittorici, ma per la riputazione in cui furono amendue55. Guido, come ognun sa, fu il primo che tenne in prezzo i suoi quadri, laddove i suoi antecessori, e principalmente i Caracci, eran malissimo pagati. Agostino Caracci ebbe soli cinquanta scudi pel s. Girolamo che riceve il Viatico56, e con istento fu accordata la stessa somma al Domenichino per dipingere il medesimo soggetto57. Oggidì non v’è chi non ammiri questi due quadri, come due [p. 227 modifica]capi d’opera. Così Panfilo voleva essere ben ricompensato delle sue fatiche: egli non riceveva gli scolari che per dieci anni, e questi per essere istruiti non poteano dargli meno d’un talento, cui pur pagarongli Apelle e Melanto. Quindi avveniva che non solo gli scolari suoi erano ingenui, poiché fra i Greci gli uomini di condizione servile non poteano esercitare le arti del disegno, ma eziandio ricchi cittadini. Quanto celebri fossero le pitture di Panfilo, anche lui vivente, argomentar lo possiamo dalla maniera con cui vien recato ad esempio presso Aristofane di lui contemporaneo58 quel suo quadro in cui erano rappresentati gli Eraclidi, ossia i discendenti d’Ercole, che co’ rami d’olivo in mano imploravano la protezione ed ajuto degli Ateniesi. Allora le pitture, che aveansi in grande stima, a caro prezzo pur si pagavano. Mnasone, tiranno di Elate nel paese di Locri, pagò mille mine (cioè 10000. scudi romani) un quadro d’Aristide59, contemporaneo di Apelle, in cui v’erano cento figure ragguagliate al prezzo di dieci mine per ciascuna, e rappresentava una battaglia contro i Persi; e fu più generoso ancora con Asclepiodoro, a cui diede trecento mine per ognuna delle dipinte figure de’ dodici dei maggiori60. Trecento mine ebbe pur da lui Teomneste per ciascheduno degli eroi d’ordine suo dipinti61. Ne’ tempi seguenti e presso i Romani Lucullo pagò due talenti un quadro rappresentante la famosa Glicera sedente con una corona di fiori in mano, sebbene fosse questo una copia, e non l’originale di Pausia62. Così il celebre Ortensio comprò gli Argonauti, quadro di Cidia, al prezzo di 144000. sesterzj, cioè di 14400. fiorini63; e superiore a tutti questi fu il prezzo di ottanta [p. 228 modifica]talenti pagati da Giulio Cesare per due quadri di Timomaco, de’ quali uno rappresentava Ajace, e l’altro Medea64.

Eufranore. §. 18. Insigne nella pittura, e nei lavori in bronzo e in marmo fu Eufranore, il quale è celebre per essere stato il primo a dare nelle pitture una certa dignità agli eroi65, e ad introdurre nelle sue figure quella proporzione che da Plinio vien detta simmetria; ma sebbene abbia egli in ciò superati i suoi predecessori, ha nondimeno fatte le sue figure un pò sottili e smilze, e ha data loro una testa più grande dell’ordinario. Parche ne’ suoi disegni vi fosse più sapere che bellezza delle forme, poiché, al dire del prefato scrittore, avea dato alle giunture delle ossa un risalto soverchio (articulisque grandior); anzi convenne egli stesso, che meno amabili e graziose erano le sue figure che quelle di Parrasio; poiché, avendo amendue dipinto Teseo „quel di Parrasio (disse) è stato nutrito di rose, e’l mio di carne„66; la qual espressione non dee punto intendersi del colore, siccome vuole Dati67. L’osservazione che fa Plinio della testa grossa e delle membra fortemente espresse nelle figure di Eufranore, può applicarsi eziandio a quelle di Seusi, come già dianzi osservammo68. Fra le sue statue in bronzo era celebre quella di Paride, in cui volle che al tempo stesso si ravvisasse il giudice della beltà delle tre dee, l’amante d’Elena, e l’uccisor d’Achille69.

[p. 229 modifica] Parrasio. §. 19. Parrasio efesino fu il primo che alle teste, le quali dianzi avean un’aria rozza e dura, diè delle sembianze amabili e della grazia, e ne dispose con maggior eleganza i capelli70. Il suo merito principale consisteva nel ben contornare le figure, e ritondarne le forme, giustamente collocando i lumi e le ombre, nel che tutti gli antichi artisti gli accordarono la preferenza71. Molti però lo superarono nel ben esprimere l’ossatura e i muscoli, e in tutto ciò, che in termine d’arte chiamar si suole la notomia72. Così a mio parere deve spiegarsi il giudizio di Plinio intorno a Parrasio, e non già come spiegollo il mentovato Carlo Dati73, il quale senza intenderlo letteralmente così tradusse: Sembrò egli di gran lunga inferiore in paragon di sè stesso nell’esprimere i mezzi delle figure74. Della stima che faceasi delle sue pitture [p. 230 modifica]può essere argomento la somma che pagò Tiberio pel di lui quadro rappresentante l’Archigallo, cioè il prefetto degli evirati sacerdoti di Diana Efesina, che probabilmente esprimeva una di quelle beltà ambigue fra i due sessi, di cui parlammo altrove75. Pagollo l’imperatore 60000. sesterzj76.

Seusi. §. 20. Aristotele parlando di Seusi ebbe a dire ch’egli dipingeva senza ἦθος77, la qual voce alcuni de’ traduttori hanno omessa, altri, come Giunio78, hanno sinceramente confessato di non ben intendere, ed altri hanno mal interpretata, come Castelvetro79 che spiega ciò del colorito. Questo giudizio d’Aristotele può intendersi dell’espressione presa nel suo più stretto senso, poichè ἦθος, parlandosi di figura umana, significa quel che i latini diceano vultus, e noi diremo ciera, cioè l’aria del volto, e l’espressione del sembiante e de’ gesti8081. Or si paragoni con quello detto d’Aristotele ciò che ebbe a rispondere Timomaco, altro chiaro pittore, a colui che biasimar volle l’Elena di Seusi: „Prendi i miei occhi, gli disse, e ti sembrerà una dea„82; dal che s’inferisce, che il pregio de’ lavori di Seusi consistesse nella [p. 231 modifica]beltà delle figure83; e ove questi due passi insieme si combinino, par verosimile che quel pittore sacrificasse una parte dell’espressione alla bellezza, e che mirando egli principalmente a far figure della maggior venustà, abbia lor date sembianze insignificanti; poiché ogni menomo sentimento o affetto, che esprimere si voglia sul volto, ne altera i tratti, e può essere alla pura beltà svantaggioso84.

§. 21. Altronde però v’è ragion di credere che Aristoteleabbia con tal detto voluto.biasimare le pitture di Seusi, perchè senza mossa fossero e senza azione, le quali cose vengono pur espresse dalla voce ἦθος; e in tal senso usa egli l’aggettivo ἠθική nella sua Rettorica85. Malvasia ed altri ebbero a dir lo stesso di qualche figura di Raffaello.

§. 22. Comunque però s’intenda, è probabile che Seusi abbia dato luogo al giudizio d’Aristotele per voler ricercare la più pura bellezza. Ma seppe ben egli schivar quella taccia nella sua Penelope, in cui dipinse i costumi (mores), al dir di Plinio, il quale ripetè il giudizio d’un Greco, e tradusse la parola ἦθος col più comune vocabolo, senza spiegarsi poi chiaramente. Caylus che, volendo indicare i caratteri e le proprietà degli antichi pittori, adduce questo passo del romano storico senza punto rischiararlo86, stato forse sarebbe del mio parere se avesse confrontato la notizia di Plinio col giudizio d’Aristotele; tanto più che quegli altrove interpreta la greca voce ἦθος (in plurale ἤθη) dell’espressione, così scrivendo del pittor Aristide: Is omnium primus animum [p. 232 modifica]pinxit, & sensus hominis expressit, quae vocant Græci ethe87. Fu questi nella pittura ciò che nell’arte di dire era Lisia, a cui Dionisio88 attribuisce la più perfetta ἠθοποιίαν89.

Nicia. §. 23. Tanta fama di sapere e d’ abilità nell’ arte aveasi acquistata Nicia ateniese che, Prassitele interrogato quali delle proprie opere riputasse le migliori, quelle rispose, delle quali Nicia avea ritoccato e migliorato i modelli. Così almeno intendo questo passo di Plinio: Hic est Nicias, de quo dicebat Praxiteles interrogatus, quæ maxime opera sua probaret in marmoribus: quibus Nicias manum admovisset; tantum circumlitioni ejus tribuebat90. Immagina il mentovato scrittor fiorentino, che qui parlisi di certo pulimento e lustro, che Nicia desse alle statue altrui91, e adduce a questo proposito un passo di Seneca, ove trattasi d’ impellicciatura fatta d’ altro sasso, e di marmi rari, il quale non ha punto che fare al caso [p. 233 modifica]stro, sebbene ivi pur trovisi la voce circumlitio92. Il lustro alle statue si dà a forza di braccia da operaj, che non hanno alcuna intelligenza dell’arte; e generalmente quando lo scultore ha terminato il suo lavoro secondo il modello, e levata la mano dall’opera, più non si può migliorare. Ma un abile amico dell’artista, può essergli utile nel modello; e quindi io credo che la voce circumlitio significhi quel riandarvi sopra collo stecco e migliorarlo. Linere diffatti chiamasi quell’aggiugnere o raschiar la creta che si fa nel ritoccare un modello; e poichè quelli di Prassitele richiedeano miglioramenti appena sensibili, Plinio, volendo ciò esprimere, ha usato un sol vocabolo, che indica un ripassarvi sopra dolcemente. Prende anche un più grand’abbaglio Arduino immaginandoli che Nicia desse alle statue di Prassitele una leggerissima tinta, da cui acquisistlero un più vivo lustro.

§. 24. Quando Pausania93 dice di quell’artista: Νικίας ζῷα ἄριστος γράψαι τῶν ἐφ᾽ αὑτοῦ. parole che sono state così tradotte: in pingendis animalibus cœteris ætatis suæ longe præstantissimus, non dee ristringersi ai soli animali bruti, ma intendersi deve eziandio delle unane figure; poiché dalla voce ζῷα deriva il nome ζῳγράφος, che dar si suole generalmente al pittor di figure. Ciò s’inferisce da molti passi d’altri scrittori, ove incontrasi la voce ζῷα a proposito de’ lavori dell’arte. Cosi Dione Grisostomo, parlando di tazze auree ed argentee lavorate a basso-rilievo, dice: ἔτι δὲ καὶ ζῷα ἔξωθεν κύκλῳ ἔχειν 94; e ivi la parola ζῷα non sol delle figure d’animali, ma pur delle umane si deve intendere. Scioglie ogni dubbio intorno a ciò un passo di Filemone presso Ateneo, ove chiamasi ζῷον una statua di certo tempio di Samo, della quale taluno erasi innamorato; ed Ateneo soggiugne che tale statua [p. 234 modifica](ἄγαλμα) era lavoro di Ctesicle95. Quando però tal voce s’adopera in diminutivo ζῴδια, sembra aver altro senso, e significare principalmente ornati di piccioli animali, e grotteschi. Cosi Esichio dicendo Λύγδος εἰς τὰ ζῴδια, volle probabilmente indicare che il marmo pario (Λύγδος, λύγδινος) il più atto fosse, come lo era in fatti, per tai fini e delicati lavori96.

§. 25. La tavola, cui Nicia stimava più d’ogn’altra sua opera, era la Necromanzia d’Omero, così detta perchè rappresentava il tratto principale del libro dell’Odissea che ha tal titolo, cioè il colloquio d’Ulisse col cieco indovino Tiresia nell’inferno. Per quell’opera fu ordinato che se gli pagassero sessanta talenti; ma egli, essendosi arricchito, ricusolli, e volle piuttosto far dono del quadro ad Atene sua patria97. La medesima tavola dipinta avea due volte Polignoto nello nello tempo e luogo, cioè a Delfo98; e nella villa Albani vedesi espressa in un basso-rilievo da me pubblicato99.

Osservazione. §. 26. I poeti e gli artisti, che si renderono celebri a questa epoca, in cui la Grecia già cominciava a sentire il giogo de’ Macedoni, denno considerarsi ancora come germogli d’una generosa pianta cresciuta all’ombra della libertà. I costumi nazionali obbligavano gl’ingegni a ricercare l’eleganza e la finezza possibile sì ne’ lavori dell’arte, che nelle produzioni dello spirito. L’amico d’Epicuro, Menandro, a cui primo [p. 235 modifica]mostrossi la Grazia comica in tutta la sua amabilità, portò allora sulla scena un più colto linguaggio, un metro più armonioso, e più puri costumi, affine di dilettare ed istruire nel tempo medesimo, pungendo con attico sale il vizio e gli abusi. I pochi, ma pregevoli avanzi, che ci restano di cento e più sue commedie, possono darci un’idea della stretta unione che allor v’era tra la poesia e le arti del disegno, e dell’influenza loro reciproca; e unitamente al testimonio d’altri scrittori farci fede della beltà de’ lavori che Apelle e Lisippo ornarono di tutte le grazie.


Note

  1. Diod. Sic. lib. 14. §. 85. pag. 709.
  2. lib. 34. cap. 8. sect. 19. princ.
  3. Paus. lib. 6. cap. 13. pag. 483.
  4. id. lib. 7. cap. 18. pag. 570.
  5. Canachi signa rigidiora sunt quam ut imitentur veritatem. De cl. orat. c. 18.
  6. Paus. lib. 2. cap. 10. pag. 134. in fine. [Lo dice d’una statua di Venere solamente, opera di quell’artista.
  7. Ved. Tom. I. pag. 89.
  8. Monum. ant. ined. n. 22.
  9. Paus. lib. 4. cap. 30. pag. 355. princ. [Alla Fortuna conviene più il modio in capo, che il nimbo; e lo ha diffatti la figura di quella dea nelle figure citate nel Tomo I. pag. 204. n. 1., e quella col nome di Bupalo, della quale abbiamo parlato qui avanti alla pag. 167. not. d. Que’ nimbi, o lune, dette da’ Greci μηνίσκεις, menischi, si solevano mettere in capo alle statue esposte nelle piazze, o altri luoghi aperti, per ripararle dalle immondezze degli uccelli, che svolazzavano per l’aria, come ce lo attestano chiaramente Aristofane in Avib. v. 1114 e ivi lo Scoliaste. In appresso diventò semplice ornamento delle immagini degli dei, degl’imperatori, e de’ santi presso i cristiani. Vegg. Buonarruoti Osservaz. sopra alcuni frammen. di vasi, ec., Tav. 9. pag. 60. e 61., il quale peraltro lo vuole un ornamento originario degli Egizj, e il dotto monsignor Stefano Borgia De cruce velit. S. 34. pag. LII., §. 34, pag. CXXVI.
  10. Paus. lib. 7. cap. 5. pag. 534. in fine,
  11. Paus. lib. 2. cap. 17. pag. 148. lin. 27.
  12. lib. 34. cap. 8. sect. 19. §. 15.
  13. Philostr. Heroic.proœm. in fine, p.666., & cap. 2. n. 5. p. 676. [ Ausonio Epitaph. 12.
  14. Monum. ant. num. 123. Par. iI. c. 5. pag. 165.
  15. Plin. lib. 34. cap. 8. sect. 19. §. 34.
  16. Paus. lib. 10. cap. 9. pag. 820.
  17. Dion. Hal. A. R. lib. 1. cap. 3. pag. 3.
  18. Diod. Sic. lib. 15. §. 38. p. 31. Tom. iI.
  19. Plin. lib. 34. cap. 8. sect. 19. princ.
  20. id. lib. 36. cap. 5. sect. 4. §. 10.
  21. id. lib. 34. cap. 8. sect. 19. §. 17.
  22. Plut. in Phoc. op. Tom. I. pag. 750. C.
  23. Plutar. in Lysandro, oper. Tom. I. pag. 441. F., Plinio loc. cit.
  24. Nominata da Taziano Advers. Græcos cap. 34. pag. 272.
  25. Spon. Miscell. erud. antiq. sect. 4. p. 127. Ganimede opera di Leocare ateniese.
  26. Veggasi appresso al Libro X. Capo I. §. 15.
  27. Diod. Sic. lib 15. §. 89. p. 73. Tom. iI.
  28. Scalig. Animad. in Eus. chron. p. 109. [ Dice estinti i tiranni sul principio dell’anno primo dell’olimpiade xcv.
  29. lib. 4. cap. 8. sect. 19. princ.
  30. lib. 4. cap. 8. sect. 19. §. 10. Properzio lib. 3. eleg. 10. vers. 16. ci vuol dire lo stesso:
    Praxitelem propria vindicat arte lapis
  31. Apollodoro Bibl. lib. 1. cap. 9. §. 15. pag. 46., Servio ad Æneid. lib. 6. v. 398., lib. 7. v. 761.
  32. Val. Flacc. Argon. lib. 1. v. 445. [Non dice di che età. Sappiamo all’opposto da Euripide nel prologo dell’Alceste, che Apollo non solamente aveva già avuto il figlio Esculapio, ma gli era anche stato ucciso da Giove.
  33. loc. cit. §. 10.
  34. Nella lingua latina, e presso i giureconsulti Instit. lib. I. tit. 22. princ., si dice impubere sino alli 14. anni, dopo si dice pubere; e pubere relativamente a questa età poteva dirsi Apollo, come dai greci scrittori, e tra gli altri nell’Antologia lib. 4. c. 12. n. 6. v. 1., e da Fornuto De nat. deor. cap. 2. è detto βούπαις fanciullo adulto: Puberem ætatem, scrive quest’autore, habet Apollo. Quotquot enim in ista ætate sunt, forma præditi sunt pulchriore quam ulla habeat ætas. Il puber in questo luogo può equivalere al viriliter puer, come dice lo stesso Plinio del Doriforo di Policleto lib. 34. c. 8. sect. 19. §. 2.
  35. Puer æternus è chiamato da Ovidio Metam. lib. 4. vers. 17.
  36. Capo I. §. 10. segg. pag. 294. segg.
  37. lib. 14. n. 172. [Il dotto P. Paoli nella più volte lodata dissertazione Della Relig. de’ Gentili, ec. par. iiI. §. LXVI. pag. 177. nega, che Marziale intenda parlare di questa figura, e vuole, che nel di lui distico non debbasi riconoscere altro, se non se un volo di fantasia, e un pensiere spiritoso da poeta, col quale nel mentre che di un’aria nobile all’azione, fa ancora al fanciullo stesso un elogio. Ma pure è chiaro, che Marziale parla di quella statua. Ne è una prova chiarissima il titolo stesso dell’epigramma, Sauroctonos corinthius, che combina con quello di Plinio; e ce ne persuade l’atteggiamento della figura, al quale non ha fatto avvertenza il lodato scrittore. Si veda la stampa in fine di quello Tomo. Marziale non poteva descriverlo meglio, e più spiritosamente, che appunto col dire: O fanciullo insidioso, perchè vuoi tu uccidere quella lucertola? Non vedi che da per sè stessa vuol morire nelle tue dita: Apollo mezzo nascosto tende insidie ad una lucertola per ucciderla con una saetta in una mano, mentre essa rampicandosi per il tronco dell’albero va incontro all’altra mano appoggiata in cima del medesimo, colle dita mezzo piegate, in atto come di stringere. Neppure è stato capito Marziale dall’Arduino nelle emendazioni al detto libro di Plinio, n. XII., ove lo spiega come se la bestiola avesse desiderato morire nobilmente, morendo per le mani di un sì nobile fanciullo: e così scrisse perchè non aveva veduto né la statua, né le figure in rame del Saurottono.
  38. Cap. iI. pag. 36. Una ve n’ha nel palazzo Costaguti, nominata da Winkelmann nei Monumenti antichi, al luogo, che cita qui. Un’altra, anche in marmo, ne ha il Museo Pio-Clementino, di cui si dà la figura nel Tom. I. di esso Tav. 13.
  39. num. 40.
  40. Il sig. ab Visconti alla detta Tav. 13. la crederebbe piuttosto una copia alquanto minore dell’originale, perchè le altre di marmo sono più grandi, e alcune, fra le quali quelle del Museo Pio-Clementino, e di villa Borghese, sono di più elegante lavoro.
  41. Non meno celebri dell’Apollo Sauroctono furono, oltre la Venere di Guido, il suo Satiro (Περιβόητος) e il suo Cupido. Da un fatto riferito da Pausania l. 1. c. 20. pag. 46. ben si scorge quanto fossero care allo stesso Prassitele queste due statue. Era desiderosa Frine, celebre cortigiana, di aver in dono una delle sue opere, che avesse egli stesso giudicate delle più eccellenti. Benché Prassitele, che l’amava appassionatamente, non avesse cuor di negargliela, pure non sapeva mai risolversi a pronunziarne il giudizio. Che fece ella adunque? Con fina destrezza guadagnò un di lui servo, il quale, mentre Prassitele seco lei intertenevasi in geniale conversazione, ansante entrò ed impaurito esclamando: la vostra sala, Prassitele, va tutta a fuoco, e buona parte si è già consumata delle opere vostre. Quali volete voi che si salvino? Povero me, ripigliò Prassitele, tutte le mie fatiche fon perdute, se le fiamme non l’hanno perdonata al mio Satiro e al mio Amorino. State di buon animo, soggiunse allora la scaltra donna: nulla v’è di sinistro, ed io son contenta d’aver saputo quanto bramava. Prassitele più non potendo tergiversare, le lasciò la scelta; ed ella si prese il Cupido, che mandò a Tespi sua patria, ove per lungo tempo fu l’oggetto della curiosità de’ forestieri.
  42. Not. ad fragm. Varr. in Comment. de hist. pag. 133., e l’autore dell’opera, Lettre sur une prétend. méd. d’Alexandre, p. 3.
  43. Del quale parla Plinio lib. 35. cap. 12. sect. 45., lib. 36. cap. 5. sect. 4. §. 12.
  44. Cic. De divin. lib. 1. cap. 6.
  45. Leggesi Praxiteles nei due antichissimi codici mss. della biblioteca di s. Marco di Venezia, e della Lorenziana di Firenze. [ Il nostro autore nel Tratt. prelimin. Cap. IV. pag. LXXXVI. avverte, che Pasiteles dovrebbe emendarsi anche in Plinio lib. 33. cap. 12. sect. 55. A me pare che sia il medesimo Pasitele, di cui parla Plinio nei luoghi citati qui avanti, e che in questo luogo fissa circa i tempi di Pompeo. Arduino non vi ha badato, nè Davisio al luogo citato di Cicerone, Torrenio nelle note a Valerio Massimo lib. 8. cap.it. num. 4. not. zi., nè tanti altri.
  46. lib. I. cap. 8. pag. 20. [Lo dice della statua di Enio, ossia Bellona, solamente.
  47. Plin. lib. 16. cap. 5. sect. 4. §. 6.
  48. Non in Efeso, ma bensì in Pergamo scrive Plinio loc. cit. essere stato il symplegma. di Cefissodoro. Avverte il medesimo lib. 34. cap. 8. sect. 19. § 27. che due furono di questo nome, ed amendue abili scultori. Il secondo però non Cefissodoro, ma Cefissodoto vien detto da Pausania l. 8. c. 30. p. 664., lib. 9. c. 16. pag. 741. in fine, e da Taziano Advers. Gric. e. } 7. p. Z70., [e Cesissodoto ha emendato l’Arduino nel citato luogo di Plinio, secondo i codici manoscritti.
  49. Idyl. 5. vers. 105.
  50. Macedone. Plinio lib. 35. cap. 10. sect. 36. §. 8.
  51. Il signor Winkelmann dà la gloria a Panfilo, Eufranore, Seusi, Nicla, e Parrasio d’aver portata la pittura assai prosilma alla perfezione. Altri però, come Rollin Storia antica, Tom. XII. l. 22. c. 5. art. 2. p. 217. seq., ai nominati sostituiscono Paneno, fratello di Fidia, il quale dipinse la battaglia di Maratona, Plin. lib. 35. c. 8. sect. 34.; Polignoto, autore dei due famosi quadri da noi accennati di sopra pag. 69. n. 1., ed Apollodoro, il quale, al dir di Plinio lib. 35. c. 9. sect. 36. §. 1. aprì le porte alla pittura, essendo egli stato il primo che abbia mescolati i colori, e ben espresse le ombre. Plut. Be1lone an pace clar. fuer. Athen. op. Tom. I. pag. 346. [ Ved. Tom. I. pag. 260. not. a.
  52. Quintil. Inst. orat. lib. 12. c. 10.
  53. Plinio lib. 35. c. 9. sect. 36. §. 2. mette Seusi nell’olimpiade xcv. anno iv., e riprova quelli, che lo mettevano nell’olimpiade lxxxix. È probabile che abbia vivuto lungamente, e che abbia dipinto anche prima della detta olimpiade lxxxix.; poiché Plutarco lo mette tra i pittori di Pericle, come ho detto all pag. 189. not. a. Quintiliano loc. cit. lo fa non molto distante da Parrasio, e circa i tempi della guerra peloponnesiaca; ma poi Parrasio lo fa arrivare sino ai tempi dopo Alessandro. Può vederli anche Bayle Diction. hist. ec., art. Zeuxis, rém. A., ove però sbaglia nel dire, che Arduino abbia malamente emendato il numero lxxxix. in lxxix. nel detto luogo di Plinio, quando anzi sostiene tutto l’opposto nella nota num. 3
  54. Plin. lib. 35. cap. 8. sect. 34.
  55. Panfilo d’Antipoli fu il primo ad accoppiare l’erudizione alla pittura; onde non è maraviglia se i suoi quadri sieno riusciti, a così dire, ragionati, Quintil. lib. 12. c. 10. Applicossi specialmente all’aritmetica e alla geometria, senza le quali scienze dicea egli essere impossibile l’arrivare alla perfezion dell’arte. Effetto de’ suggerimenti suoi è stata quella disposizione datasi in Sidone primieramente, di poi nella Grecia tutta, che i figliuoli di condizione libera s’avessero ad esercitare, avanti ogn’altra cosa, nel disegno, e che la precedenza si desse tra le arti liberali alla pittura. Plin. lib. 35. c. 10. sect. 36. §. 8.
  56. In Bologna nella foresteria di san Michele.
  57. Che si venera in s. Girolamo della Carità in Roma. Il Bellori Le vite de’ pittori, ec., racconta quel fatto del Domenichino nella di lui vita, pag. 185., ove descrive anche il quadro. D’Agostino Caracci, di cui fa anche la vita, non lo dice, benché gli attribuisca quell’altro quadro, che descrive pag. 61. segg., da altri attribuito a Lodovico Caracci.
  58. in Plut. vers. 385. [ Lo porta per paragone della composizione ad un altro fatto.
  59. Plin. lib. 35. cap. 10. sect. 36. §. 19.
  60. ibid. §. 21.
  61. ibid.
  62. ibid cap. 11. sect. 40. §. 23.
  63. ibid. §. 26. [ 3600. scudi romani.
  64. Da lui collocati nel tempio di Venere Genitrice in Roma. Plin. loc. cit. §. 30.
  65. Plutarco Bellone an pace clar. fuerint Athen. princ. op. Tom. iI. pag. 46. A.
  66. Plin. lib. 35. cap. 11. sect. 40. §. 25. [Plutarco loc. cit.
  67. Vite de’ pitt. pag. 76.
  68. Tomo I. pag. 349. ove crede abbia errato Plinio nel tacciar Seusi di un tal difetto. Ma siccome a Plinio si accorda Quintiliano Inst. orat. lib. 12. cap. 10., adducendone per ragione, ch’egli credeva di dar così maggior grandiosità, e dignità alle figure, a somiglianza d’Omero, cui piacevano le forme robuste anche nelle femmine; possiamo pensare che tale giudizio ne fosse portato generalmente da tutti.
  69. Plin. lib. 34. c. 8. sect. 19. §. 16. [ Può vedersi Falconet nella nota a quello luogo di Plinio, oeuvr. Tom. iiI. pag. 132. segg., ove cerca come poteva una sola figura tre cose rappresentare, che pare abbiano del contradittorio.
  70. Si pregiava in modo particolare di mettere il suo nome ai suoi quadri. Ateneo l. 15. cap. 10. pag. 687. B.
  71. Confessione artificum in lineis extremis palmam adeptus: hic est in pictura summa sublimitas. Corpora enim pingere, & media rerum, est quidem magni operis, sed in quo multi gloriam tulerint. Extrema corporum facere, & desinentis pictura modum includere, rarum in successu artis invenitur: ambire enim debet se extremitas ipsi, & sic desinere, ut promittat alia post se, ostendatque etiam quæ, occultat. Plin. lib. 35. c. 10. sect. 36. §. 5.
  72. Minor tamen videtur sibi comparatus in mediis corporibus exprimendis. Ibid.
  73. loc. cit. pag. 48.
  74. Facendo Plinio il confronto dei contorni delle figure di Parrasio, ne’ quali non ebbe l’eguale, col pieno ossia col mezzo delle figure, nel che ei non riusciva come nel formarne i contorni, l’esposta interpretazione di Dati non sembra poi sì lontana dal vero, come la suppone il nostro Autore. Chechè ne sia: tra le molte di lui tavole, delle quali fa Plinio lib. 35. cap. 10. sect. 36. §. 5. una lunga enumerazione, nobilissimo, oltre l’Archigallo, è stato il quadro, ove pinse l’indole degli Ateniesi; e quell’altro dei due giovani, uno de’ quali per la troppo forzata corsa sembrava bagnato di sudore, e l’altro nel dcpor le armi mostravasi come ansante. Lasiò egli altresì ad uso dei pittori una raccolta di disegni sulla pergamena. Narra Seneca lib. 5. contr. 34. che, volendo Parrasio rappresentar al vivo un Prometeo, abbia applicato un servo alla tortura, e con essa toltagli la vita. Lo stesso dicesi ancora di Apelle: crudeltà che da alcuni, ma senza bastevole ragione, si pretende rinnovata dal Buonarruoti nel dipingere un Cristo crocifisso. Se Parrasio vinse Seusi nella celebre diffida, in cui quegli colla finta tela che sembrava ricoprir il quadro, ingannò l’emolo, che vantavasi d’aver colle sue uve dipinte ingannati gli uccelli, in un’altra disfida fu vinto Parrasio da Timante, che meglio di lui seppe rappresentare Ajace sdegnato contro i Greci, per aver essi aggiudicato ad Ulisse le armi d’Achille. Plin. l. cit., Athen. lib. 12. cap. 11. pag. 543. E., Ælian. Variar. hist. lib. 9. cap. 11.
    Di questo Timante il signor Winkelmann non fa cenno alcuno, che pur meritava d’essere nominato, essendo egli stato uno de’ più valenti pittori di que’ tempi. [ Dionisio Alicarnasseo De adm. vi dic. in Demosth. n. 50. oper. Tom. iI. pag. 314.] Il suo carattere distintivo nella pittura fu l’invenzione, Plin. lib. 35. cap. 10. sect. 36. §. 6., e i suoi quadri ebbero questo bel pregio che davano allo spettatore il piacere d’immaginar di più che non vi fosse dipinto. Dopo l’Ajace, con cui superò Parrasio, celebratissimo è stato il quadro d’Ifigenia, con cui vinse Colore Tejo Quint. lib. 1. cap. 13., Val. Max. l. 8. c. 11. n. 6. in extern. [ Cicerone De oratore, c. 22. ], & Eusthat. ad Iliad. lib. ult. v 163. p. 1343. lin. 60. Vi si vedeva il sacerdote Calcante immerso in profonda tristezza, Ulisse più mesto ancora, e con tutta la maggior possibile afflizione Menelao. Restava Agamennone padre d’Ifigenia: come mai esprimere il suo dolore? Con un velo gl’involse il capo, lasciando così ad ognuno l’immaginare quanta esser dovesse allora la sua afflizione. Euripide però Iphig. in Aul. v. 1550. prima di lui rappresentato avea nella sua tragedia Agamennone in tale atteggiamento. [ Eustazio l. cit. non da altro vuole che abbia derivata l’idea di quella pittura, che dalla grandezza del dolore espresso nei versi d’Omero. Tutti gli altri scrittori par che lo facciano un di lui pensiere originale. Se ha imitato Euripide, potrebbe piuttosto credersi, che abbia coperto il viso ad Agamennone, perchè, se questi come padre non poteva trattenere da dare segni del maggior dolore, non gli conveniva come sovrano, ch’egli era, di farsi vedere in pubblico in uno stato di tant’afflizione, che avviliva il suo carattere; e perciò Euripide v. 446. segg. gli avea fatto dire, che come re arrossiva di sparger lagrime, e come padre sfortunato arrossiva di non versarne. Vegg. Falconet Du tableau de Timanthe, ec., oeuvr. Tom. V. pag. 62. segg. Altrimenti converrà dire, che Timante non abbia avuta in vista la legge della decenza nell’espressione, di cui parla Winkelmann nel T. I. pag. 341. segg.
  75. Lib. IV. Cap. iI. pag. 283. segg.
  76. Plin. lib. 35. cap. 10. sect. 36. §. 5., e sono i 1500. scudi romani. Winkelmann diceva, circa 1000. scudi di Germania.
  77. Arist. Poet. cap. 6.
  78. Catal. arch. pict. &c. pag. 231.
  79. Poet. d’Arist. volgar. par. iiI. p. 143.
  80. Philostr. Jun. Icon. 2. p. 865. lin. 28. Casaub. ad Theophr. Char. cap. 8. pag. 207.
  81. Ved. Tom. I. pag. 329.
  82. Stobeo Serm. 61. pag. 369. princ.
  83. Egli dipinse un Cupido coronato di sole nel tempio di Venere in Atene, menzionato dallo Scoliaste d’Aristofane in Acharn. vers. 991. e da Cicerone De invent. lib. 2. princ. sappiamo, ch’egli superava tutti gli altri pittori di gran lunga nel dipingere figure di donne.
  84. Questo può dirsi delle passioni forti; ma una sensazione, o affetto piacevole, e moderato espresso anche sul volto non dovrebbe alterare le forme; e piuttosto deve rendere l’espressione più piacevole, e per conseguenza più bella.
  85. lib. 3. cap. 7.
  86. Reflex. sur quelq. chap. du 35. livre de Pline, iiI. part. Caract. des peintr. grecs, Acad. des Inscript. Tom. XXV. Mém. p. 195.
  87. Plin. lib. 35. p. 10. sect. 36. §. 19.
  88. De Lys. jud. n. 8. op. Tom. iI. p. 133.
  89. Ebbe Seusi la sorte di trovar la porta della pittura aperta da Apollodoro, onde incominciò egli la sua carriera dal punto in cui l’altro terminata l’avea. Sdegnato questi per ciò contro lo scolaro che oli avesse surata l’arte, con una satira ne fece la vendetta. Di molte pitture di Seusi rimane tuttora il catalogo presso Plinio lib. 35. c. 9. sect. 36. §. 2. Tra quelle, oltre l’accennata Penelope, merita speciale osservazione la Giunone fatta per gli Agrigentini sul vivo e nudo modello di cinque delle più avvenenti donzelle del paese. Cicerone De invent. lib. 2. princ., Dionisio [ De prisc. script. cens. cap. 1. n. 1. oper. Tom. iI. pag. 122. ], e Valerio Massimo [ l. 3. cap. 7. n. 3. in extern. ] Vogliono essere stata questa un’Elena eseguita da lui pei Crotoniati nella maniera divisata. [ Vedi Tomo I. pag. 285. not. c. ]. Opera pur singolare di Seusi fu l’atleta, di cui egli tanto si compiacque che vi aggiunse un’iscrizione, colla quale dicea che sarebbe stato questo più facilmente un oggetto di critica che d’imitazione. Plutarco Bellona an pace clariores fuer. Athen. oper. Tom. iI. pag. 46. attribuisce l’istesso motto ad Apollodoro. Forse l’hanno usato amendue; siccome amendue diedero altri simili saggi di vanità e di ostentazione. Fu tenuto Seusi in tanto credito dagli antichi pittori, che nell’effigiar gli dei e gli eroi non osavano dipartirli dalla fisonomia e dal carattere dato loro dal medesimo: motivo per cui fu chiamato legislatore. Quintil. lib. 12. cap. 10. [ Paria di Parrasio, non di Seusi. Di questo abbiamo da Luciano in Zeuxi, sive Antiocho, §. 3. oper. Tom. I. pag. 840., che non voleva dipingere cose popolari, e comuni, o almeno ben poche ne faceva come per esempio qualche divinità, eroe, o battaglie; ma voleva fare sempre nuovi soggetti, e che uscissero dal solito. Egli descrive §. 4. 5. tra questi un quadro, di cui una fedele copia era restata in Atene ancora a’ suoi giorni, e l’originale probabilmente era perito in mare allorché li trasportava in Italia per ordine di Silla. Vi era dipinta una Centauretta, che allattava due piccoli Centauri gemelli; e il padre loro, il quale ridendo teneva nella destra un leoncino per mostrare di far loro paura. I pittori vi ammiravano l’esattezza delle proporzioni, la grazia dei contorni, il bel colorito, e il chiaroscuro; ed egli vi lodava particolarmente una graziosa varietà, e la naturale espressione degli affetti: il che contradirebbe a ciò, che dice Winkelmann nella pagina precedente.
  90. lib. 35. cap. 11. sect. 40. §. 28.
  91. Dati Vite de’ pitt. pag. 68.
  92. Questo stesso diceva Dati.
  93. lib. 1. cap. 29. pag. 74. in fine.
  94. Orat. 30. pag. 307. D.
  95. Deipn. lib. 13. cap. 8. pag. 606. princ.
  96. Tutto quello discorso è giusto preso generalmente; ma per Pausania potrebbe non esserlo. Non nega questo scrittore, che Nicia sia stato valente anche nel far le figure d’uomini. Vuol rilevare il merito di lui particolare, per cui era superiore a tutti i pittori de! suo tempo, cioè quello di fare egregiamente le figure degli animali: nel che si accorda con Plinio, il quale nel lib. 35. c. 11. sect. 40. §. 28. dopo averlo commendato per le figure d’uomini, lo distingue eziandio per la sua eccellenza particolare nel dipinger quadrupedi, e cani specialmente. Da Plutarco Bellone, an pace clar. fuer. Athen. Tom. iI. p. 346. A. è lodato per le sue pitture di battaglie; e in queste mostrava maggior eccellenza per le figure de’ cavalli, secondo la testimonianza ii Demetrio Falereo De elocut. §. LXXVI. Altrimenti intendendosi Pausania, converrà dire, ch’egli facesse Nicia per ogni riguardo il più grande fra tutti i pittori de’ suoi tempi.
  97. Plinio lib. 35 c. 11. sect. 40. §. 28.
  98. Paus. lib. 10. cap. 28. pag. 866., c. 29. pag. 870.
  99. Monum. ant. ined. num. 157.