Dal diario d'un tedesco

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Johann Wilhelm Muehlon XX secolo 1918 Anonimo Indice:Muehlon - Dal diario d'un tedesco, Milano, 1918.djvu Diari Dal diario d'un tedesco Intestazione 3 settembre 2021 100% Autobiografie


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Dal Diario

d’un_Tedesco

“LA DEVASTAZIONE DELL’EUROPA„

(Die Verheerung Europas)

di

G. MUELHON

MILANO

COMITATO LOMBARDO UNIONE INSEGNANTI

UNIVERSITÀ BOCCONI


1918

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Le pagine che seguono non hanno bisogno di commenti. Esse sono scritte dal Dott. Guglielmo Muelhon, membro del Comitato direttivo delle officine Krupp, che era in rapporti di intimità col Dott. Helfferich e col capo della casa Krupp. I giudizi di questo tedesco sui suoi compatriotti sono interessanti a conoscersi, non solo per la guerra, ma anche e specialmente pel dopo-guerra.

PREFAZIONE


L’autore occupò poco prima della guerra e sino verso la fine del 1914 un posto elevato in un grande opificio tedesco avente estesi rapporti internazionali. La sua attività si svolse in un’atmosfera che annunziava la guerra. Quando la guerra scoppiò, l’autore rinnovò i suoi sforzi per liberarsi dal suo odioso ufficio. Nei mesi che passarono prima che egli si liberasse furono scritte le seguenti Note. Dopo un tentativo inutile di pubblicarle, esse rimasero giacenti più di tre anni.

Solo da pochi mesi tornarono nelle mani dell’autore. Sebbene gli sembrino incomplete rispetto all’enorme sviluppo preso da allora dalla guerra e dalle nostre vedute riguardo alla guerra, l’autore pensa tuttavia di doverle presentare nella forma originaria. Furono solo omessi alcuni lunghi brani riguardanti il campo speciale della sua attività.

Importa specialmente all’autore di rivolgere al lettore tedesco la domanda: Non pensi anche tu così, mentre così devono pensare tutti gli uomini che senza malizia o violenza aspirano alla verità ed alla giustizia? Al contrario importa poco all’autore di conquistarsi la troppo spesso traviata fiducia del lettore riguardo ai fatti qua e là narrati. Gli basta di indurre il lettore a riflettere sulle impressioni ed esperienze proprie ed a trarne le conseguenze che può.

Marzo 1918.

L’Autore.

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L’omicidio dell’arciduca Francesco Ferdinando

e l’ultimatum austriaco alla Serbia.

Primi d’agosto 1914.

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Il 17 luglio mi trovai a Berlino per affari, e seppi da una persona molto bene informata quanto segue:

Immediatamente prima che l’imperatore intraprendesse il suo viaggio nel Nord, ebbe luogo a Berlino una conferenza cogli austriaci. L’imperatore dichiarò loro che egli stavolta sarebbe con loro a tutti i costi. Gli austriaci dichiararono, coll’approvazione del loro Governo, che avrebbero inviato entro otto giorni una Nota corazzata alla Serbia, la quale conterrebbe, con intimazione di risposta entro 48 ore, tutte le richieste necessarie per procurare rispetto e quiete all’Austria, cioè: punizione degli ufficiali serbi compromessi nell’omicidio, scioglimento di tutte le associazioni serbe, inoltre una serie di immediate soddisfazioni. Io ebbi l’impressione che il testo della Nota non fosse stato concertato; omissione certo pericolosa della diplomazia tedesca, visto il rischio che era in gioco.

Il Governo di Vienna aveva così carta bianca. La Germania doveva incondizionatamente approvare tutto quanto conterrebbe la Nota.

Qualche giorno dopo una eminente personalità mi comunicò di aver parlato di tale omissione al segretario di Stato agli Esteri suo amico. Questi gli disse, che si era bensì pensato di redigere la Nota d’accordo, ma che l’approvazione dell’imperatore era stata tanto rapida ed incondizionata, che non si era più potuto pensare a mettere innanzi da parte dei tedeschi esigenze o restrizioni. Infine riteneva anche il segretario di Stato, che la dichiarazione di non aver conosciuto la Nota potrebbe far buona impressione a Roma ed a Pietroburgo. [p. 6 modifica]

Seppi pure che nel colloquio del 17 luglio a Berlino l’imperatore aveva dichiarato espressamente che, se la Russia non si adattasse alle richieste di Vienna alla Serbia e mobilitasse, egli mobiliterebbe subito, e ciò significherebbe la guerra. Gli austriaci tornarono dunque a Vienna con assicurazioni tali, che più ampie non si sarebbero potute pensare. Quando io dissi al mio informatore, che in tali condizioni la guerra era inevitabile ed imminente, egli si strinse nelle spalle e disse che così appunto pareva.

Io feci quell’uso di queste comunicazioni al quale esse erano destinate, e seppi in tale occasione dall’amico del segretario di Stato, che l’imperatore si era espresso anche con lui nello stesso senso.

Tuttavia, con mia sorpresa, non si voleva ancora ammettere nel circolo in cui io viveva, che la guerra fosse imminente. Solo quando 8 giorni dopo fu noto il testo della Nota di Vienna alla Serbia, si parlò altrimenti.

Questa Nota aveva la forma più aspra, che si potesse pensare, conteneva le più forti lagnanze contro il governo Serbo, ed esponeva richieste, che nessuno Stato europeo avrebbe potuto presentare ad un altro. L’Austria-Ungheria voleva la rottura colla Serbia, esclusa qualunque mediazione. Invero la Nota conteneva solo affermazioni unilaterali senza prove, non dava tempo per l’esame, ma esigeva sottomissione immediata ed assoluta senza discussione. Ora ognuno vedeva chiaro che l’Austria voleva agire, che faceva domande esagerate per rendere impossibile un accomodamento, per riacquistarsi il rispetto col colpire brutalmente.

La Serbia aveva accettato nel termine stabilito quasi tutte le richieste, pensando saggiamente che l’Austria aveva perduta la partita se non riusciva a sfoderare la spada, se pure la Serbia si umiliasse. Però a mio avviso la Serbia avrebbe dovuto semplicemente rispondere che accettava tutti i punti della Nota, e l’Austria non si sarebbe dichiarata soddisfatta (per quanto si sarebbe trovata in una condizione difficile), ma avrebbe affermato ciò che affermò di fronte alle effettive concessioni della Serbia: che la risposta della Serbia era piena di uno spirito di falsità, in realtà dunque cinismo, scherno e superbia. In altre parole, la cosa sta come si è detto, l’Austria voleva subito e a tutti i [p. 7 modifica]costi la guerra colla Serbia. La ragione stava in certo modo nell’aria. Non importava più di definirla con parole. Era l’esplosione di un violento furore a lungo compresso, che voleva affrontare il nemico, sia che esso pregasse o minacciasse, sia che si sottomettesse o resistesse.

I Serbi riconobbero ciò, mobilitarono e lasciarono Belgrado, prima ancora che la Nota serba giungesse a Vienna e si conoscesse la risposta austriaca. È molto significativo il fatto che l’ambasciatore austro-ungarico, appena ricevuta la Nota serba, la dichiarò insufficiente e ruppe i rapporti, senza chiedere a Vienna se colà si ritenessero soddisfatte le esigenze del Governo. E tuttavia nessuna di tali esigenze era stata respinta.

I tedeschi nell’imminenza della guerra.

Quali erano le disposizioni degli animi in Germania? Tutte le classi della popolazione compresero dall’ultimatum austriaco che esso significava guerra dell’Austria contro la Serbia e quindi guerra mondiale. Si sentiva che, per la lunga alleanza, si doveva astenersi da ogni critica e porsi dalla parte della duplice monarchia, poichè una umiliazione di questo Stato, fosse pure diplomatica, sarebbe stata un’umiliazione della Germania. La tensione crebbe tosto, quando si comprese che la risoluzione della vertenza e le decisioni avrebbero dovuto seguire molto rapidamente, perchè la Triplice Intesa non avesse tempo per abili combinazioni e non togliesse di mano alla Germania il maggiore dei vantaggi, la preparazione più rapida.

Si può dire anche, che il popolo tedesco si aspettava lo scoppio, e lo salutò come un sollievo. Troppo spesso si era visto prossimo alla guerra, troppo spesso la politica estera aveva mutato o aveva avuto sbalzi impetuosi, troppo gravi ed opprimenti erano divenuti i pesi per i preparativi di guerra. E tuttavia si era fatta sempre più forte nel popolo la coscienza deprimente che la stima dei tedeschi nel mondo non era cresciuta ma diminuita. La Germania si era fatta ricca e materialmente potente, ma la ripugnanza all’estero per tutto ciò che è tedesco era incredibilmente cresciuta. I tedeschi erano considerati in Europa come corpi estranei, che si dovevano espellere, spazzare, assorbire. Si trovavano i tedeschi [p. 8 modifica]brutali quando facevano della politica, crudeli dove dominavano, privi di scrupoli negli affari, insignificanti e rigidi quando insegnavano, inabili e pretensiosi dove si intromettevano, privi di gusto negli acquisti, ridicoli quando volevano sembrare distinti, vili quando si tratta di convinzione individuale, privi di sincerità quando dovrebbero farsi credere, striscianti quando vorrebbero imparare, ingiusti quando giudicano di cose straniere. Erano considerati come una peste, ed anzi i più ricchi e quelli in posizione più elevata tra essi destavano la maggiore antipatia. Il tedesco semplice, di vecchio stampo, veniva sopportato, perchè non disturbava. Tutto ciò ogni tedesco lo sentiva; anche se egli non aveva passati i confini, sapeva che il tedesco dappertutto all’estero era sgradito, che lo si evitava o ci si turava il naso dinanzi ad esso.

Era questa una terribile discordanza, perchè in patria coloro che davano il tono facevano come se il popolo tedesco illuminasse il mondo intero e ne costituisse l’ideale futuro: la sua morale, la sua forza, i suoi principii, i suoi fini erano più alti e più profondi di quelli di ogni altro popolo. Veramente nessuno sapeva con precisione in quale rapporto ciò sussistesse, nessuno sentiva nel profondo della sua coscienza la verità di tali asserzioni. All’opposto ci si vedeva nella stessa Germania divisi nelle più forti opposizioni, ci si sentiva reciprocamente insopportabili; Sud e Nord, cattolici e protestanti, nobili, democratici e socialisti, l’imperatore e i principi della confederazione, e si potrebbe continuare all’infinito la lista di tali contrapposti.

Specialmente poi l’inconciliabilità dei polacchi, danesi, alsaziani e lorenesi mostrava al popolo tedesco, che nessuno straniero riconosceva la superiorità morale della tendenza tedesca dominante, che nessuno restava volentieri, voleva imparare, adattarsi, anzi neppure si piegava alla violenza, ma piuttosto affrontava il supplizio. Dove è dunque il grande pensiero, l’alto programma, la luce più chiara, che la Germania porta innanzi e che le dà diritto all’egemonia? ci si chiedeva. Noi lavoriamo molto e con metodo, siamo divenuti più agiati e abbiamo maggiori aspirazioni, ma abbiamo progredito di pari passo in ogni altro rapporto? Non avevamo forse nel tempo della maggior divisione politica e povertà economica maggior valore per la coltura universale, per il progresso del pensiero umanno, che non oggi? [p. 9 modifica]

Insomma la Germania era lacerata da dubbi, da un miscuglio di opinioni diverse, diffidente verso i suoi propri predicatori, pessimista sul corso ufficiale della nave dello Stato. Si vedeva condotta da un gruppo di burocratici prussiani protestanti, di militari, agrari, industriali, verso un’era di pretesa grandezza e splendore, ma non vedeva alcun miglioramento. Chi era d’opinione contraria doveva tacere. Ogni opposizione era condannata a priori anche in società, solo le tasse costantemente crescenti erano gravose per tutti. Nessuna meraviglia che il popolo tedesco volesse vedersi messo alla prova, che si sentisse liberato da un incubo, quando vide che finalmente qualcosa avveniva, quando pensò che si sarebbe visto a che punto si era. Quasi può dirsi, che il pensiero dell’esito passò in seconda linea di fronte al sentimento più forte che così non si poteva più continuare, che si doveva venire in chiaro, che il carico doveva essere gettato. Se va male, si pensava, ci orienteremo di nuovo, più modestamente, più semplicemente, più simpaticamente, meglio. Se va bene, noi, il popolo, che ne abbiamo il merito, potremo esigere di condurre una vita più degna d’essere vissuta e di riconciliarci cogli attuali nemici, dopochè questi nemici, che ci circondano e che ci hanno misconosciuti, saranno vinti.

Quanto grande era la parte che avevano questi sentimenti, se non queste coscienti riflessioni, nei più larghi circoli popolari, si può comprendere, a mio avviso, da ciò, che anche la stampa di sinistra (come il Berliner Tageblatt) accentuò subito la gravità della situazione e le sue conseguenze quasi senza alcuna critica. Il governo doveva agire, giustificarsi, non doveva poter dire di essere stato ostacolato. Questo contegno tenne la stampa stessa che prima usava criticare più aspramente la politica e gli atti del Governo. La stampa di destra era naturalmente col Governo, non aveva un contegno proprio ed era in fondo molto più inquieta, perchè non capiva quanto era forte, persino nei circoli più bassi, il sentimento della impossibilità di mantenere lo stato attuale sì all’estero che all’interno. Giornali indipendenti, come la Rheinisch-Westphalische Zeitung, cercavano bensì da principio di sostenere, che la Serbia non era un motivo di guerra per noi, che non dovevamo associarci senz’altro alla politica austro-ungarica. Questa idea era suggerita dalla sincera preoccupazione che il Governo [p. 10 modifica]tedesco potesse di nuovo fare delle “sciocchezze„. La stampa estera volle ingiustamente dedurre dal contegno di quel giornale la contrarietà dei grandi industriali alla guerra, ma bentosto dovette constatare che anche esso fece adesione alle idee comuni quando vide che la teoria spesso propugnata del rapido e violento assalto teutonico veniva dal Governo ora più che mai adottata. La stampa del centro era anche assolutamente per l’appoggio incondizionato a Vienna, se non altro perchè la duplice monarchia mantiene in tutti i suoi popoli il pensiero cattolico.

Solo la stampa democratico sociale era furiosa contro l’Austria, e diceva che neppure una goccia di sangue tedesco doveva scorrere per questa causa, che la pace universale doveva essere mantenuta dal proletariato eventualmente anche colla violenza. Ma anche i capi dei socialisti rinunciarono ad ogni opposizione, appoggiarono completamente il Governo, quando videro che tutto il loro seguito non voleva far discussioni nè appartarsi, ma voleva lasciar libero il Governo di agire con tutto il popolo dietro a sè, perchè l’insucesso condannasse definitivamente il Governo, o la riuscita portasse nuova vita, riconoscenza e progresso alle masse tedesche. I milioni di operai socialisti non vollero in quest’occasione separarsi dal popolo, al quale appartenevano, e che volevano sempre più attrarre a sè. Il popolo doveva condurre e sostenere la guerra, quindi si doveva assisterlo, non danneggiarlo e combatterlo rifiutando obbedienza al Governo. I socialisti improvvisamente ne ebbero abbastanza della discordia. Essi vollero andare con tutto il popolo, legarsi ad esso più strettamente, per poi raggiungere più facilmente con esso i loro fini. Certo non fecero ciò per amore del Governo.

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Diffamazione dei nemici da parte della Germania.

4 agosto.

È probabile che in simili occasioni in tutti i paesi si proceda più o meno sventatamente e si attribuiscano al nemico i più inverosimili e i più orribili delitti. Ma io mi propongo di mettere innanzi agli occhi a me stesso ed ai miei compatriotti le loro proprie colpe e debolezze, non quelle del nemico. Non dobbiamo [p. 11 modifica]dire: Anche il nemico fa così, ma far meglio di lui; così anche il nemico si migliora e ci stima di più.

Devo estendere queste osservazioni pessimistiche anche alla corona, accennando al contegno dello stesso imperatore. Egli ebbe uno scambio attivo di dispacci collo Czar, nel quale, accentuando la tradizionale cordialità, osservava insistentemente che l’Austria non voleva fare conquiste territoriali in Serbia. Lo Czar risponde, che il contegno dell’Austria verso la Serbia non può allatto essere approvato dalla Russia, che l’imperatore potrebbe farsi intermediario tra Pietroburgo e Vienna. L’imperatore si dichiara pronto a farlo, a condizione che la Russia non prenda alcuna misura militare che abbia significato di guerra. Lo Czar fa sapere che, a causa dei preparativi austriaci, non può ritirare l’ordine di mobilitazione, che però la Russia non farà alcun atto di guerra finchè non sieno rotte le trattative. Intanto giunge fra noi la notizia della mobilitazione di tutte le forze russe; noi presentiamo subito l’ultimatum e dichiariamo la guerra. Non ci contentiamo però di questo, ma l’imperatore pubblica lo scambio di dispacci collo Czar, e fa diffondere notizie ufficiali o semiufficiali, in cui si rimprovera alla Russia la più odiosa perfidia (“astuzia moscovita„) ed anche la persona e il carattere dello Czar vengono oltraggiati in modo inaudito. Così la rottura fra i due sovrani vien messa in pubblico in una forma irreparabile e che non era nè necessaria, nè utile, nè giusta. Poichè si sa bene che lo Czar non ha le mani libere, e forse fu spinto, e che il governo russo non poteva permettere al nemico che premeva fortemente di approfittare della lentezza della sua mobilitazione, appunto come la Germania non era disposta a rinunciare al vantaggio di una mobilitazione rapida. Io non so vedere alcuna perfidia nella preparazione pubblica della mobilitazione in Russia. Ma, anche se ci fosse perfidia, perchè l’imperatore ne fa una personalità, perchè lo Czar dev’essere moralmente annientato? Giova egli al principio monarchico, alla sua propria posizione, esponendosi così? Egli non può credere di stare più saldo screditando la dinastia dei Romanoff, o di essere più stimato dai capi degli altri Stati, se fosse vero ciò che nell’ira del primo momento grida a tutto il mondo. Un po’ di riserva sarebbe ben migliore per lui, giacchè egli guasta orribilmente il tono ed il contegno della nostra stampa e degli alti [p. 12 modifica]tutori della opinione pubblica, i quali, seguendo il suo esempio, non sono mai stanchi di insultare tutto il mondo.

Del resto noi siamo soli ad insultare. Gli inglesi pesano freddamente le parole, parlano della guerra senza odio nè passione, come se fosse un giuoco di gentiluomini. I francesi vantano anzitutto se stessi e le cose loro, ma non considerano come loro compito principale di trascinar nel fango il nemico in modo così violènto e oltraggioso come facciamo noi. E se pure mi si mostra che la stampa dell’uno o dell’altro paese ha in parte un tono molto acre, l’intervento dell’imperatore resta unico tra i sovrani. Nè lo Czar, nè il re d’Inghilterra, nè l’imperatore d’Austria sono intervenuti con una parola nel dibattito. L’imperatore con questo sistema finirà coll’esporsi tanto e coll’addossarsi tali responsabilità, da non poter più sostenersi. Oggi nessuno ne parla, ma, se le cose andassero male, tutti lo segnerebbero a dito, e, se andranno bene, il popolo gli strapperà il portavoce di mano. Che la stampa già ora prorompe in odiose grida: Vae victis e sempre grida: Vae victis, è da attribuirsi in non piccola parte all’alto esempio dell’imperatore.

Non dirò mai abbastanza ai tedeschi, che con la violenza e la prepotenza non si sostituisce ciò che manca di elevatezza morale, e che colle minacce non si intimorisce il nemico, ma lo si centuplica e lo si rende immortale.

Non c’è da meravigliarsi che voci straniere designino non la Russia ma la Germania come il paese pericoloso, rozzo, dispotico, e considerino l’imperatore come la personificazione dei cattivi istinti tedeschi, e come il perturbatore della pace d’Europa, che deve esser tolto di mezzo.

L’invasione del Belgio.

5 agosto.

Il Reichstag approvò ieri senza discussione tutte le proposte, compreso il credito di 5 miliardi. Ricevetti la sera stessa un estratto del resoconto telegrafico diffuso dal Wolff Bureau su questa seduta, e sto leggendo appunto il discorso del Cancelliere, quando mi arresto e provo un vero brivido trovandovi le seguenti parole: “In questo momento le nostre truppe sono entrate nel Belgio. Necessità non ha legge. Noi ripareremo questa illegalità„. [p. 13 modifica]

Ho appena tempo di dire, che è molto brutto il nostro modo di trattare l’Europa, di trattare i piccoli Stati, quando ricevo l’annuncio telefonico che l’Inghilterra da un’ora ci ha dichiarato la guerra. Subito dopo giungono a casa i dispacci Wolff, le dichiarazioni di Grey alla Camera dei Comuni, che annunciano già la guerra colla Germania in causa del Belgio, il rifiuto del Belgio di permettere ai tedeschi il passaggio in Francia.

Raccolgo i miei pensieri, e trovo che la nostra irruzione in Belgio significa per noi un terribile danno morale, che noi abbiamo agito senza scrupoli peggio di un Bismarck, e che neppure una guerra vittoriosa ci renderà la fiducia dell’Europa e del resto del mondo.

Era per me evidente che solo motivi strategici avevano consigliato l’entrata nel Belgio. Ammessa la giustezza e l’urgenza di tali motivi, il contegno verso il Belgio era così brutale, così violento, così contrario ad ogni consuetudine e dovere politico, così poco diplomaticamente preparato, che il Belgio non avrebbe potuto aderire senza rendersi spregevole per sempre. Non si poteva pertanto sperare la tolleranza del Belgio. Ma allora si doveva prevedere lo schiacciamento del Belgio, la devastazione delle sue città, la distruzione del suo mercato e, più ancora, l’oppressione dell’intero popolo, che si sarebbe difeso colla massima ostilità contro gli invasori. Ciò esigeva a sua volta un tempo ed un impiego di forze, poco minori di quelli che sarebbero stati necessari per le più aspre battaglie al confine franco-tedesco, a parte poi, che il campo di battaglia divenne molto più ampio e complicato.

Io andai oggi a cercare tutti coloro, in cui presupponevo occhio aperto e intelligenza retta in rapporto alla violenza contro il Belgio, e non nascosi il mio orrore. Purtroppo non trovai assenso da nessuna parte. L’uno diceva: Se non fossimo entrati nel Belgio, l’avrebbero fatto i francesi. Io risposi che non lo credevo; perchè mai i francesi si sarebbero lasciati trascinare in una simile avventura, che avrebbe anche prodotto una dispersione delle già inferiori loro forze? In ogni modo noi avremmo potuto aspettare senza pericolo che i francesi facessero per primi questo passo; gli esploratori ci avrebbero avvisato a tempo del primo loro movimento. Le voci che corrono, che i francesi siano già in Belgio, non sono degne di fede. Basta del resto riflettere un poco, per [p. 14 modifica]persuadersi che i belgi sarebbero altrettanto ostili ai francesi che a noi. Il Belgio non ebbe mai alcun timore più grande che quello di un’offesa della sua indipendenza o neutralità. Si può leggere in tutti i giornali, che prima della nostra invasione le disposizioni verso di noi non erano cattive. Ma, se pure l’opinione pubblica era francofila, credo impossibile che i belgi avessero fatto causa comune coi francesi. Essi non erano affatto persuasi che la Francia vincerebbe, e avrebbero avuto ogni motivo di temere la nostra vendetta. No, i belgi, come gli olandesi, erano decisi a mantenere la loro neutralità da tutte le parti; in caso si sarebbero piegati davanti ai tedeschi, la cui prepotenza temevano maggiormente.

Un altro diceva: Dobbiamo aver fiducia nello Stato Maggiore, che sa perchè è entrato nel Belgio e non l’avrebbe fatto senza i più urgenti motivi. Probabilmente, minacciando i francesi dal confine Nord, si vuol obbligarli ad abbandonare l’idea della marcia verso l’Alsazia-Lorena e a volgersi al Nord. Quale confusione ciò produrrà ai francesi, Ella può comprenderlo, specialmente se noi irromperemo dalla parte dell’Alsazia-Lorena e prenderemo il nemico dai due lati. Forse si vuol tenersi sulla difensiva in Alsazia-Lorena e con minor spargimento di sangue giungere attraverso il Belgio a Parigi. Comunque, non dobbiamo criticare, ma subordinare le nostre idee. Io risposi: Forse possiamo attenderci vantaggi strategici dall’invasione del Belgio, ma io non sento nessuna ragione convincente della necessità di tale misura. È una cosa ben diversa. Il re del Belgio, un principe tedesco, disse giustamente che considerazioni strategiche non debbono prevalere su patti giurati. Del resto anche i vantaggi strategici vanno in gran parte perduti, se non si è sicuri di una marcia senza ostacoli.

Un terzo mi diceva: Nulla importa se la marcia nel Belgio sia giusta o no, necessaria o arbitraria. L’importante è che noi siamo i più forti, mostrare ciò al mondo, e a chi avesse a dire qualcosa contro di noi battere sulla bocca finchè tace. Chi parlava era uno dei tedeschi più educati e di più fine sentimento, che si possano incontrare, e inoltre, come le altre persone sopra accennate, in posizione eminente. Io gli risposi: Mi meraviglio come sia poco sviluppata in Germania la coscienza universale. Persino i romani 2000 anni fa non avrebbero potuto dominare con questi principii. La loro forza non stava nei loro eserciti, ma nella loro onesta [p. 15 modifica]giustizia, nella loro benevolenza verso grandi e piccoli popoli. Ma non sono queste le sole qualità, che mancano ancora ai tedeschi. Se la politica tedesca consistesse solo nell’egoismo e nel calcolo, non sarebbe, malgrado l’assenza di alti e nobili fini, così spregevole, come lo è oggi per la forte mistura di rozzezza. La vendetta verrà, quando tutti si accorgeranno di poter ricevere dalle mani tedesche la stessa sorte dei belgi. Io stimo il re dei belgi, perchè non si lasciò disonorare. Spregevole sarebbe stata la sua sorte, se avesse avuto la conservazione del suo paese dalla grazia dei tedeschi, e l’imperatore gli avesse con beffarda degnazione battuto sulla spalla dichiarandosi suo amico.

Altra cosa è il Lussemburgo, che abbiamo pure occupato. Questo paese era troppo piccolo per poter difendersi anche un istante, e si comprende come la granduchessa abbia voluto salvare il paese e gli abitanti da una sorte spaventevole non tentando la resistenza. Poichè il Lussemburgo non avrebbe potuto difendersi nemmeno contro i francesi, il prevenirli da parte tedesca può in certo modo giustificarsi. E’ però significativo, che i francesi non fecero nessun tentativo di entrare per i primi nel Lussemburgo. Di più il nostro contegno simultaneo verso il Belgio dà un aspetto peggiore alla nostra invasione del Lussemburgo, la cui popolazione come la belga deve essersi formata sulla morale tedesca un’opinione, che molte generazioni non basteranno a modificare.

6 agosto.

Nessuna voce di protesta per il Belgio nell’opinione pubblica o privata! Il noto parroco Traub diceva in un articolo nella Kölnische Zeitung coll’audacia tipica della Prussia protestante: “Chi critica questo passo è un traditore. Dacchè il Cancelliere ha confessato il nostro torto, esso è diventato un diritto„. Ciò il mondo deve attendersi da uomini considerati liberi pensatori, progressisti e non ortodossi.

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I primi fatti di guerra. Atrocità nel Belgio.

14 agosto.

Corre voce che le truppe inglesi sieno sbarcate a Calais. Ciò mi sembra più verosimile che uno sbarco ad Anversa. Il Belgio [p. 16 modifica]secondo me non sarà il campo di grandi battaglie, ma dovremo tenervi grandi forze per difenderci dall’irritazione dei belgi. Ma è inutile fare ipotesi. Io sono tentato a farle, perchè il colpo contro il Belgio mi sembra così vile e odioso, che vorrei vedere al più presto la dimostrazione della sua inutilità. Questo è certo, che, pel fatto del Belgio, sugli allori che le truppe potranno riportare da questa guerra starà attaccato ancor più fango che sangue. Prima che venisse la notizia dell’invasione del Belgio, il movimento generale mi aveva tanto trascinato, che io mi chiedeva se non dovessi dividere volontariamente la sorte dei nostri soldati, senza riguardo al mio punto di vista personale, solo per l’impulso naturale di essere con quelli che devono lottare e soffrire. Ma l’invasione del Belgio ha distrutto in germe questo sentimento. Neppure se fossi obbligato andrei. Perchè ho io delle convinzioni, se non rimango ad esse fedele e non le sostengo?

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15 agosto.

Voglio riportare uno o due fatti a cui il mio informatore [Una persona inviata dal Ministero della guerra a visitare i forti di Liegi dopo la loro caduta] ha assistito. In un luogo si era sparato contro truppe che passavano. I soldati tedeschi si precipitano da tutte le parti ed aprono un fuoco micidiale. Quando tutto si è calmato, il mio informatore va in quel luogo con un ufficiale, e vede alcuni soldati che trascinano fuori da una casa quattro uomini e tre donne. Essi dicono che da questa casa fu sparato, che le sette persone devono morire. L’ufficiale osserva: Forse vi sono in mezzo degli innocenti: conduceteli davanti ai nostri superiori, perchè li possano interrogare nella loro lingua. Quando i due dopo un quarto d’ora ripassano dalla stessa strada, vedono davanti a quella casa i sette cadaveri, attorno a cui s’aggirava un gran numero di ragazzi piangenti e disperati.

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Insomma, la miseria orribile di questo popolo pacifico mi opprime, di questo popolo che — a testimonianza tedesca — ancora pochi giorni fa accolse i primi tedeschi fuggiaschi dalla Francia al confine belga colle parole: Salute, signori, buon giorno, signore, voi siete salvi, voi siete in Belgio!

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I sentimenti dell’Alsazia-Lorena.

18 agosto.

I francesi non hanno mentito, parlando della loro entrata in Alsazia e del giubilo della popolazione. I bugiardi siamo stati noi. La verità è venuta in luce in questo modo. Mentre prima era stato fatto agli alsaziani ed ai lorenesi un caldo ma sospetto elogio ufficiale, strombazzato per tutto il mondo, per i loro sentimenti tedeschi, leggiamo ora proclami militari e civili tutti diversi in Alsazia-Lorena. Si minaccia di radere al suolo ogni villaggio, in cui venga sparato da non combattenti contro un soldato tedesco, e di fucilare il borgomastro. Inoltre si avverte che a Mulhouse vi sono ancora soldati francesi nascosti, che questa colpa è passibile di morte, che anche il proprietario della casa sarà fucilato, ecc. Da ciò si vede abbastanza, che i francesi hanno ricevuto un’accoglienza simpatica in Alsazia e non sono arrivati a Mulhouse soltanto sopra aeroplani. Ma una lettera di un cappellano cattolico da Mulhouse ci illumina meglio. La stampa ebbe forse il permesso di pubblicare ora la lettera, perchè le autorità del “dominio dell’impero„ vogliono forse lasciar cadere la maschera. Il sacerdote dice che l’entrata dei francesi a Mulhouse fu una marcia trionfale. Già nei villaggi furono cosparsi di fiori e salutati con lacrime di gioia come liberatori. In Mulhouse è entrata un’infinità di soldati, tutti con mazzi di fiori alle baionette, carichi di regali e salutati con ardenti discorsi. La popolazione ha demolito e incendiato le caserme. Poi le truppe tedesche hanno occupato di nuovo Mulhouse, accolte dagli abitanti con un mortale, ostile silenzio.

Insomma: i tedeschi diffondono la verità o la bugia, secondochè a loro conviene.

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Violazione di proprietà private.

22 agosto.

Per quanto importante sia stata la battaglia di ieri, non può essere che la prima scena del primo atto d’una lunga tragedia. Molto probabilmente in seguito le vittorie sulla Francia passeranno in seconda linea e rimarranno sterili, perchè sempre nuove [p. 18 modifica] costellazioni richiederanno nuovi sforzi e nuovi sacrifici, sicchè infine vincitori e vinti precipiteranno insieme nella miseria e nella barbarie, se al momento giusto una mano forte ed una mente forte non potrà imporre loro farresto.

Oggi si legge che le autorità militari hanno requisito la grande acciaieria belga John Cockerill in Seraing presso Liegi. Questa casa privata aveva finora tra l’altro fabbricato anche materiale da guerra, ed ora dovrà dedicarsi tutta alla costruzione di tale materiale per i tedeschi. L’amministrazione dell’officina è sciolta e arrestata. Un colonnello prussiano prende la direzione. Io vorrei sentire le grida dei tedeschi, se i francesi, penetrando in Germania, trattassero così le ditte private. Quando noi in una circostanza siamo i più deboli, esigiamo dall’avversario un trattamento, che noi stessi non concediamo mai, quando siamo i più forti.

Il Dio tedesco.

Gli scrupoli non sono la debolezza dei circoli dominanti della nuova Germania. Il popolo però conserva il suo fondo buono, mentre è anche uno strumento pieghevole della politica, brutale. Oggi si vede il gregge tedesco tramutato a piacere in una mandra di elefanti, i cui piedi calpestano tutte le vite. Questo cambiamento si ottiene con vari mezzi. Si persuade il popolo, che la morale pubblica e la privata sono due cose del tutto diverse. Nello stesso tempo si dà l’esempio di grande devozione. Da tutti i balconi dei castelli, da tutti i gabinetti dei ministri, da tutti gli accampamenti siamo stati negli ultimi tempi costantemente ammoniti a precipitarci nelle chiese, ad inginocchiarci, ad invocare il Dio giusto, che sostiene la nostra causa, e difende noi perseguitati ed assaliti, a lodare il Dio tedesco, che ci condurrà vittoriosi attraverso il mondo, perchè non può trovar migliore impiego per il giardino della sua creazione, di quello di farvi accendere il nostro fuoco domestico. Spero che ci siano molti, i quali non si inginocchino e non preghino, almeno a questo Dio e per questo. Piuttosto tacere e meditare e mostrare poi nella liberazione quella forza e quella fede che oggi si manifestano nella servitù. Una ripugnante adulazione e insidia, sprezzo del popolo e inquietudine di colpevoli stanno in questa pietà ufficiale. Essa non vanta altro [p. 19 modifica]che la santificazione della menzogna, l’adorazione della brutalità, la divinizzazione di Guglielmo II.

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Furti e saccheggi.

24 agosto.

Più importante è per me il sapere che la guerra dei franchi tiratori in Belgio non è ancora cessata. Le truppe procedono con crudeltà spaventevole appena parte anche un sol colpo da una casa. Ultimamente fucilarono 200 abitanti d’un villaggio. Purtroppo avvengono molti errori; p. es. i nostri soldati sparano in una via, ed altri nostri soldati in un’altra via credono che i franchi tiratori abbiano sparato dalle case e radono tutto al suolo.

Ho molto riflettuto sulla notizia di un mio informatore, di un ufficiale, che i nostri soldati si danno molto al furto e al saccheggio. Essi penetrano nelle case, e, mettendo agli abitanti la baionetta sul petto e minacciandoli di tagliar loro il collo, esigono tutto quanto c’è in casa; non solo viveri, ma denaro, gioielli e spesso anche gli oggetti più inutili e più singolari. Anche il bestiame viene senza bisogno raccolto, per poi lasciarlo perdere. Automobili, carri da munizioni ed ogni altro veicolo vengono riempiti di questi oggetti rubati.

Il mio informatore dice, che ieri ordinò ai suoi uomini di restituire gli oggetti rubati e di pagare i viveri presi. Egli spera che presto il Comando prenderà misure rigorose contro il saccheggio. A Liegi, dove i soldati hanno tormentato e saccheggiato la cittadinanza, sono avvenute negli ultimi giorni ripetute battaglie nelle vie, in cui abbiamo usato cannoni e mitragliatrici. I soldati sono inselvatichiti, non sono stati acquartierati da più settimane, ma accampano fuori dell’abitato, perchè sono da temersi aggressioni omicide in letto, e persino nel lazzaretto, e col continuo sparare contro la popolazione e colla distruzione di numerosi paesi hanno perduto la misura e il giudizio di ciò che è e che non è permesso in guerra.

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Se i tedeschi vincessero...

25 agosto.

I tedeschi confidano nella prevalenza numerica e nel migliore [p. 20 modifica] armamento. Essi non credono di vincere per valore, fermezza, abilità od altre qualità speciali. Sono tranquilli, se possono sperare di avere la prevalenza numerica; credono al più di poter fare quanto gli altri popoli, non di più. Di vergognarsi della loro forza numerica quando schiacciano un nemico debole, come il Belgio, non pensano neppure. Celebrano le loro imprese tanto più altamente e allegramente, quanto più hanno la sicurezza della massa. Sono come i selvaggi, che si inebriano della vittoria, anche se contro una vittima inerme, e con giubilo barbarico si dividono il bottino di uomini e tesori sul campo. Se un nemico forte e coraggioso, della cui presenza nella gioia della vittoria non si fossero accorti, li sorprendesse, essi raggiungerebbero in fuga precipitosa le loro paludi e le loro foreste, e vi resterebbero tanto volontieri, come volevano prima scorrazzare all’infinito su tutta la terra senza considerazioni di distanze e di rapporti.

Se i tedeschi ottengono ora l’egemonia in Europa, si vedrà una fuga generale degli europei. I tedeschi stessi non potranno sopportarsi l’un l’altro e si divideranno. Gli angoli più remoti d’Europa saranno i rifugi più ricercati; un enorme spostamento dei centri della vita spirituale avrà luogo. E se nessun punto vi sarà più in Europa non dominato dai tedeschi, avverrà una vera emigrazione dei popoli al di là del mare, chi sa dove, certo in un luogo sicuro dai tedeschi. L’Europa diventerà una parte della terra, che per le molte incomodità non varrà la pena di visitare. Però i tedeschi non dovranno lasciarsi vedere fuori dei confini della nuova Germania; essi dovranno fuggire, o gli altri ritirarsi. Con superbia e dispregio ciascuno vorrà risparmiarsi la vista dei tedeschi. Solo quando questa inondazione sarà cessata, ciò che per l’esperienza dei tempi delle emigrazioni dei popoli si può sempre sperare, ritornerà forse la vita europea.

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La Prussia e l’Europa futura.

29 agosto.

Manonvillers, la maggior fortezza francese, è caduta iersera, la via tra Epinal e Toul è aperta. Secondo il piano di guerra francese pubblicato dalla Tribuna, il perno della difesa francese starebbe tra Épinal e Verdun col centro a Toul. Ma qui nessuno [p. 21 modifica] crede che esista ancora un’armata francese intatta. Io ho la convinzione che la Francia non può cadere. La sua salvezza verrà. Dai tedeschi non può certo aspettarsi alcuna pietà. Oggi persone serie ed influenti dicevano in mia presenza, che l’impero tedesco deve aggregarsi tutto il territorio da Calais a Marsiglia. La popolazione dovrebbe essere cacciata, se non emigrasse spontaneamente o non si dichiarasse favorevole ai tedeschi. Alcuni credono anche, che la Francia si staccherà dall’Inghilterra, e, per salvarsi, marcerà colla Germania contro l’Inghilterra, l’antica nemica del continente. Ma costoro sono sciocchi. La Francia non è calcolatrice come i tedeschi e non vende i suoi sentimenti.

Se i tedeschi, o, più esattamente, i prussiani, fossero del tutto diversi da ciò che sono, si potrebbe augurar loro, una volta che c’è la guerra, la vittoria sull’Europa e l’onore della sistemazione dei futuri rapporti internazionali. Noi tutti in Europa aspettiamo colui che appiani infine le eterne lotte e porti pace e concordia. Poichè il salvatore non è venuto dall’alto, i popoli avevano cominciato ad avvicinarsi tra loro, nella speranza che esso salisse dal loro profondo. Ma quale trionfatore e dominatore occorrerebbe, per riunire l’Europa! Egli dovrebbe avere la potenza illimitata di prendere tutto per sè, di tenersi tutto per sè, di lasciar sussistere l’ingiustizia, di distruggere la giustizia, e dovrebbe essere di tal natura, da non voler nulla per sè, da distribuire tutto come il suo spirito illuminato creda meglio, da creare con bontà un diritto più perfetto, da diminuire le ingiustizie allontanando ogni predominio ed ogni differenza, per quanto è possibile nell'epoca nostra. Se la Francia fosse vinta, dovrebbe essere sollevata più in alto con nobile amore, riavere la sua indipendenza e i suoi fratelli perduti, dovrebbe mantenere tutta la sua grandezza e la sua importanza spirituale, dovrebbe respirare più superbamente e più liberamente, dacchè nessuna minaccia la offusca, nessun pegno la opprime. Non altrimenti dovrebbe essere per gli altri popoli. Le barriere doganali dovrebbero cadere, l’aggio essere soppresso come tutto ciò che divide e rende stranieri. A un simile autocrate, che con potenza, bontà e saggezza priva se stesso per far giustizia agli altri, i popoli ancor oggi si sottometterebbero. Essi saprebbero che egli è pronto a rinunciare al suo potere appena esso non sia più necessario, e non continuerebbero a lottare colle proprie forze divise per il bene, invece di riceverlo dalla sua mano potente. [p. 22 modifica]

Chi si dipinge questo quadro utopistico si accorge con orrore che la Prussia non può mai dare all’Europa questa pace, che la Prussia d’oggi può solo portare un più profondo odio tra i popoli europei, anzi farlo salire ad una vera ossessione. Essa ruberà tutto ciò che potrà per tenerselo; darà solo ciò che non le interessa, ed anche questo a spese d’altri; non toglierà mai il piede dal collo del vinto o del caduto; obbligherà ogni civiltà straniera ad adorare la sua barbarie. Essa crede solo al pugno forte all’interno ed all’esterno; non riconosce altra forza sulla terra che la violenza.

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Il soldato tedesco. Le distruzioni nel Belgio.

30 agosto.

Noi ripetiamo continuamente a noi stessi ed agli altri che siamo un popolo profondamente colto, e ci si risponde: Voi siete Unni e barbari. Il Capo di Stato Maggiore von Moltke ha ieri dichiarato al mondo, che il soldato tedesco non è un assassino, che solo di mala voglia agisce contro la popolazione nemica che ha preso parte alla lotta. Ma io ho sentito i nostri stessi ufficiali deplorare più volte che i soldati non si possano più tenere e saccheggino e incendino anche senza bisogno.

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Mi fu ripetutamente narrato che dei soldati cominciarono a sparare contro le case perchè i loro camerati sparavano in un’altra via. Se non fosse la terribile fretta con cui il soldato tedesco fa il suo dovere anche contro i cittadini innocenti, molte cose si chiarirebbero, molte distinzioni potrebbero farsi. Se i comandanti sapessero parlare in modo opportuno alla cittadinanza, tranquillizzarla, usare a vicenda indulgenza e rigore, il soldato imparerebbe da questo esempio e userebbe una riflessione più benefica per sè e per il nemico, di ciò che non faccia. Come egli è istruito e agisce, si distingue appena dal livello del soldato russo. Nessuna circostanza giustifica l’incendio di Lovanio. Si poteva, dopo aver sedata la sollevazione, istituire un tribunale di guerra, ma con criterio. Non si doveva incendiare la città, neppure se si fosse dato alla popolazione il tempo di ritirarsi. Anche a Namur le cose devono essere andate in modo incredibile. Un testimonio narrava che la piazza del mercato e vari quartieri della città bruciavano [p. 23 modifica] perchè si era ancora sparato sui soldati; che il vice governatore della città cercava invano un ufficiale responsabile con cui discorrere del modo di salvare la città e di procurarle i viveri; che migliaia di donne e fanciulli piangenti fuggivano dalla città al largo senza saper dove andare; che centinaia di persone gridavano spaventate dalle case, chiedendo che cosa dovevano fare per non esser prese a fucilate, se dovevano lasciar le porte aperte, se dovevano restare nelle cantine o dove dovevano andare. Si legga del resto ciò che i nostri stessi informatori scrissero in questi giorni. E’ grottesco che ci sia un informatore, il quale dica, che la popolazione di Namur non ha patriottismo, che fraternizza indegnamente coi nostri soldati.

È cosa terribile, pazza, insensata. Abbiamo conquistato Namur, ma non siamo padroni della situazione, non vi riusciamo spiritualmente e moralmente. Non sappiamo distinguere tra una guardia civica e un franco tiratore, tra un casamento e una città, tra colpa e innocenza. Vogliamo vincere con tutti i mezzi, vogliamo riavere al più presto la nostra quiete. A questo scopo passiamo sopra ad ogni cadavere. “Necessità militare„ è la giustificazione che copre ogni orrore.

Ieri parlavamo di nuovo di queste cose terribili in un grande circolo di persone molto rispettabili. Non c’era alcuno fuori di me, che le disapprovasse. Nessuno pensa ad indulgenza, neppure verso il Belgio. I belgi sono soltanto nemici, l’origine della inimicizia si dimentica. Si gioisce perchè tutti i giornali debbono uscire colà in lingua tedesca dacchè fu istituito un governatore tedesco. Che la gente comprenda o no il tedesco, non importa. Dovrà impararlo. La notizia che un Zeppelin ha lanciato bombe sugli edifici pubblici di Anversa riempie di soddisfazione. Anversa è fortezza, quindi si ha il diritto di farlo; inoltre è utile spargere il terrore dove si può. Un generale scrive nel Tag: “Il Belgio è e rimane ora tedesco. Non già perchè noi vogliamo avere i due milioni di persone che vi abitano, no, essi possono andarsene; ma perchè ci occorrono i loro campi, le loro miniere, innanzi tutto le loro coste e i loro porti, per tenere a dovere gli inglesi„. Siccome io contestava queste affermazioni, mi si rispose ad una voce: È così, come egli dice. Giustissimo„.

Nessun dubbio che essi vogliono seminare solo odio e [p. 24 modifica]violenza, e che raccoglieranno tempesta. Per ora divenir tedeschi ed essere privi di ogni diritto è per i belgi la stessa cosa.

Chi come il nostro Cancelliere ha dichiarato all’umanità, che necessità non ha legge, ha perduto il diritto di irritarsi moralmente per l’insidia dei franchi tiratori. Anche questi sono in necessità. Noi non abbiamo avuto alcun riguardo ai trattati; non possiamo aspettarci dagli altri popoli una condotta verso di noi diversa da quella da noi tenuta. Ma col nostro punto di vista non riusciremo. C’è un elemento morale nello sviluppo dell’umanità, che ci vincerà, quanto più noi lo offendiamo.

Ora imparo a conoscere bene i miei concittadini. Ora comprendo lo scherno di uno dei nostri diplomatici che, volendo caratterizzare un ambasciatore olandese, mi diceva: “Questo è un uomo che crede alla santità dei trattati, come se fosse questa l’ultima parola„.

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La Francia cavalleresca.

1 settembre.

Si legge che la flotta francese del Mediterraneo salutò con tamburi e bandiere a mezz’asta la nave austriaca Zenta, affondata dopo eroica lotta. “Teatro„, mi disse qualcuno sprezzantemente. Io vedo in ciò un sentimento cavalleresco, che preserva dal completo imbarbarimento, una certa rispettosa imparzialità, un tentativo di riconciliarsi coll’avversario cadente, di mostrarsi liberi di odio e di gioia malvagia. Colle parole “superfluo e inutile„ non si giudicano simili gesti del nemico. Un’altra volta essi possono portare una grande benedizione, e forse saremo allora riconoscenti di cuore che un tale “teatro„ ci venga offerto.

Ancora il Dio tedesco.

Le invocazioni e le esaltazioni di Dio non cessano. Non v’è dispaccio, in cui l’imperatore non dica che Dio ha aiutato, aiuterà, dovrà aiutare, il Dio dei cristiani, il Dio tedesco, il Dio delle battaglie, che non abbandona la causa giusta. Che cosa dirà egli, se si perdesse la guerra? Farà altre frasi, o parlerà della prepotenza del nemico, del tradimento degli amici, degli errori della politica [p. 25 modifica]o dei generali, della raccolta di nuove forze, di prossima vendetta, o di prudente rassegnazione alla forza delle cose? Ammetteranno egli ed i suoi seguaci di essersi ingannati riguardo a Dio, di averlo lodato troppo presto? Ammetteranno l’ingiustizia della loro causa, se il giudizio di Dio ci sarà contrario? Riconosceranno allora che non c’è un Dio di partito? Questo continuo riferirsi a Dio è in parte anche un modo ristretto di considerare la vita, o è solo sapienza di governo? Appare al vero credente come bestemmia o come ispirazione? E quali sono i sentimenti dello scettico, del miscredente?

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Il Libro Azzurro inglese.

2 settembre.

Ho letto il Libro Azzurro inglese sulla preistoria della guerra europea. Non è possibile farsi idee esatte senza confrontare tra loro tutte le pubblicazioni diplomatiche; scriverò quindi solo alcune impressioni ricevute dalla lettura. La ripugnanza dell’Austria a trattare dei suoi passi verso la Serbia con Londra o Pietroburgo è evidente. Il suo ultimatum alla Serbia mi fa di nuovo l’effetto del pugno di uno Stato che sa che in una discussione verbale avrebbe la peggio. La risposta della Serbia mi appare ancora più remissiva di quanto mi fosse rimasto in mente. Essa accetta tutte le richieste dell’Austria, senza timore di perder nulla agli occhi del mondo cercando di calmare con garbo e cortesia un furente. La mia impressione, che il governo serbo volesse sinceramente evitare la guerra, si è rafforzata. Le proposte di conferenza e di mediazione di Sir Edward Grey dimostrano buona volontà, grande precauzione e prudenza. Il punto di vista tedesco, che nessuno debba immischiarsi nella vertenza tra Vienna e Belgrado, mi riesce ancora più chiaro in tutta la sua malignità insidiosa. Il punto di vista della Russia guadagna molto di fronte a quello tedesco e austriaco. Gli sforzi della Germania per venire ad un accordo colla Inghilterra riguardo alla sua neutralità mi riuscirono interessanti, le risposte dell’Inghilterra mi paiono giuste. Mi sembra però che sarebbe stato meglio se la Germania avesse potuto contare con certezza di vedere l’Inghilterra al fianco della Francia. Grey non poteva dirlo chiaramente sin dal principio; però, se l’avesse [p. 26 modifica] potuto fare, mi pare che la Germania e l’Austria avrebbero rinunciato al loro contegno bellicoso.

Il Libro Azzurro mette in una luce abbastanza curiosa alcuni dei nostri diplomatici. Il segretario di Stato agli Esteri di Berlino dichiara all’ambasciatore inglese, che il Governo serbo non avrebbe potuto inghiottire alcune delle pretese austriache, che egli non aveva conosciuto la Nota, che questa lasciava molto a desiderare. Al contrario l’ambasciatore tedesco a Vienna dice al suo collega inglese, che egli sottoscrive ogni parola della Nota; si afferma anche che ne conoscesse il testo prima dell’invio e lo telegrafasse all’imperatore. L’ambasciatore tedesco a Pietroburgo affermò sempre al suo governo, che la Russia non avrebbe mai fatto la guerra.

Molti punti del Libro Azzurro attestano della volontà leale del Belgio di conservare e difendere contro chiunque la sua neutralità. Ne risulta pure, che tanto la Francia che l’Inghilterra erano ben lontane dal violare la neutralità del Belgio. L’Inghilterra non solo esigeva dal Belgio la resistenza contro ogni violazione della neutralità, ma prometteva pure il suo appoggio.

Anche chi non lo sapesse prima può vedere dal Libro Azzurro, che fu la Germania a scatenare la guerra, perchè non solo rispose alla mobilitazione russa colla propria, ma intimò la smobilitazione russa in un termine brevissimo e senza indugio entrò in guerra. Se la mobilitazione tedesca non avesse significato guerra immediata, se la Germania avesse lasciato al mondo un po’ di tempo per riflettere, tutto avrebbe potuto aggiustarsi con un briciolo di buona volontà. Si vede dal Libro Azzurro che, nello stesso momento in cui la Germania saltava alla gola ai vicini colle sue dichiarazioni di guerra, Vienna e Pietroburgo erano in sostanza d’accordo; grazie alla mediazione di Lord Grey, Pietroburgo ammetteva infine che l’Austria si prendesse una soddisfazione in Serbia, purchè restassero intatte l’integrità e la sovranità della Serbia. Basta leggere la dichiarazione dell’ambasciatore russo a Vienna del 1° agosto. Non già fu invincibile la tensione fra Russia e Austria, ma quella tra Germania e Russia, indipendentemente dagli interessi dell’Austria, provocò il flagello.

È interessante anche rilevare dal Libro Azzurro, che l’Inghilterra non fece obiezioni per la violazione della neutralità del Lussemburgo ma si riferì, a quanto pare, ad un principio di non intervento che risale al 1867. [p. 27 modifica]

Infine osservo, che il governo italiano comunicava a quello francese in data 1° agosto, che la Germania aveva informato l’Italia del suo ultimatum alla Russia e alla Francia e aveva chiesto quali fossero le intenzioni dell’Italia; che il governo italiano aveva risposto, la guerra intrapresa dall’Austria avere, secondo la stessa parola dell’ambasciatore tedesco, uno scopo aggressivo, essere quindi in contraddizione col carattere puramente difensivo della Triplice Alleanza: che quindi in questo caso l’Italia rimarrebbe neutrale.

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Giudizi dei letterati sulla guerra.

5 settembre.

Maeterlinck, Wells, Shaw, Jerome ed altri scrittori si sono sentiti spinti al principio della guerra a prendere posizione contro la causa tedesca, come alcuni dei nostri letterati, p. es. Hauptmann, si sono pronunciati a favore della Germania. Il modo in cui la stampa tedesca reagisce è una testimonianza orribile del modo di pensare tedesco. Essa chiama questi stranieri ingrati e traditori, perchè sono stati resi celebri e ricchi dai lettori tedeschi. Come se ciò li obbligasse a modificare le loro idee a seconda delle correnti dominanti in Germania! E’ il proverbio tedesco: di chi mangio il pane canto la canzone! E’ vergognoso avere una simile pretesa verso tali persone, il cui valore e il cui merito sta appunto nella loro indipendenza.

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I prigionieri.

8 settembre.

Il mio primo viaggio in ferrovia dopo la dichiarazione di guerra....

Nel viaggio da Berlino a Dresda il treno passa vicino ad un grande campo di prigionieri: un pezzo di prato circondato da una rete metallica. L’impianto delle baracche e delle tende non è ancora finito. Molti soldati in calzoni rossi e giubbe azzurre erano sparsi sulla rada erba. Nulla vi era a loro difesa tranne un tendone. Ciò ricorda molto un giardino zoologico.

A Dresda mi si parlò di un altro campo vicino contenente [p. 28 modifica]40000 prigionieri. Dormono a tre a tre in una scuderia sulla paglia, senza lume; devono ritirarsi appena è buio. Il loro vettovagliamento è affidato ad un imprenditore, che per 60 pfennig per giorno e per testa fornisce al mattino caffè, al mezzogiorno patate e riso, talvolta un pezzo di carne, alla sera zuppa. Chi ha denaro può comprarsi qualche cosa nella cantina escluso l’alcool. I francesi hanno in generale molto denaro, i russi non più di pochi rubli. I francesi sono ben nutriti ed educati, i russi sono bestie affamate.

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Sconfitta degli austriaci in Galizia.

10 settembre.

Si annuncia la seconda sconfitta degli austriaci presso Leopoli. Tutte le truppe austriache fra Leopoli e Lublino sono state ritirate in una posizione imprendibile per raccoglierle e rinforzarle. L’offensiva austriaca irresistibile, di cui tanto si parlava, è finita. Discorsi meno altezzosi e minacce meno radicali contro i futuri vinti mi mostrano, durante il viaggio di ritorno a Berlino, come presto la popolazione si abbatte, ed anche che soltanto dai rovesci, non già dai cosidetti ravvedimenti elevati, si può sperare un cambiamento della Prussia.

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La potenza dell’oro secondo i tedeschi.

26 settembre.

I tedeschi spiegano l’avversione generale di cui sono oggetto col fatto di non avere abbastanza corrotto la stampa estera. Si badi bene, corrotto, non illuminato o istruito! Nel cervello tedesco l’imagine del mondo, per quanto riguarda l’estero, è molto semplice. Anche la grande politica deve farsi nella stessa semplice guisa. Ciò che non riesce alla intelligenza dei diplomatici deve ottenerlo l’asino carico d’oro. Quando l’ufficio degli Esteri e i militari non trovano la propria strada, chiedono alle grandi ditte commerciali se abbiano all’estero persone fidate che possano offrire agli statisti i milioni necessari per mutarne le idee. Si ammette senz’altro, che i ministri, e non solo la stampa, degli Stati neutrali sieno già stati corrotti dai nemici, e che occorra [p. 29 modifica] vincerli colla concorrenza. Alla possibilità che alcuno resista ad un’offerta abbastanza forte e preferisca una politica indipendente ed onesta pel meglio del proprio paese, nessuno sembra più credere. Io avrei molto da raccontare su queste pratiche, che odio da tempo, ma mi limito oggi ad osservare, come sarebbe orribile che, per grosse somme versate nelle tasche di ministri disonesti, interi popoli venissero sacrificati e venduti alla guerra. Vi sarebbe forse uno storico, che potesse cercare e dimostrare tali motivi?

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Le truppe russe e le truppe tedesche.

5 ottobre.

Ci erano stati raccontati i più orribili particolari sulla crudeltà dei russi.... Non posso descrivere ciò che provo apprendendo da fonte autentica che nessuna offesa al diritto delle genti ha avuto luogo da parte loro. La Commissione fa sapere — naturalmente non al pubblico — che i russi in generale non sono stati così privi di ritegno come poteva aspettarsi in guerra. Popolazioni e autorità locali si sono espresse con lode e riconoscenza sul contegno dei russi....

Che cosa fecero invece le truppe di Hindenburg quando vinsero i russi? Corrono le voci di bocca in bocca: non basta aver cacciato il nemico nelle paludi; decine di migliaia, che volevano arrendersi e cercavano di uscire dal fango, furono ricacciati dentro colla baionetta, finchè furono soffocati od annegati. Non si doveva concedere grazia, non si volevano troppi prigionieri. Per giorni e notti si sentivano le grida dei morenti, così penetranti, che superavano il tuonare delle artiglierie, e parecchi, udendo queste grida di disperazione, impazzivano. In una battaglia furono fatti 90000 prigionieri, ma si dice che molti più sieno stati uccisi mentre non potevano difendersi e chiedevano aiuto. Non ho modo di accertarmi se ciò sia vero, ma tutti lo dicono, e nessuno ha una parola di compassione. Anzi tutti approvano, e dicono essere questo l’unico modo giusto di procedere. Questo sentimento è per me più importante della questione sulla verità del fatto. Oggi appunto mi diceva un giornalista che è anche ufficiale, un tipo originale, che aveva inteso dire che non si farebbe più grazia, [p. 30 modifica]che ciò è giusto, che noi abbiamo già nel paese 200000 prigionieri, i quali sono un peso ed un pericolo, e meglio sarebbe se fossero stati uccisi sul campo; più presto si uccide la forza e il fiore delle nazioni nemiche, e più presto è finita la guerra e assicurato il nostro dominio. Tutto ciò diceva il giovane col noto sorriso fanciullesco germanico e col tranquillo occhio azzurro. Egli stesso sarebbe stato lieto di uccidere dei prigionieri, Egli non ci pensa molto, non considera neppure che il nemico potrebbe anch’esso uccidere i suoi prigionieri. Giacchè noi abbiamo un maggior numero di prigionieri dei nemici!

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La futura sistemazione dell’Europa.

6 ottobre.

Oggi ho veduto un nuovo piano della futura sistemazione dell’Europa nel caso della nostra vittoria, come ne aveva visti già altri. Comincio a raccogliere questi documenti di ridicolaggine, senza spendervi una parola. Però, se in seguito io sentissi in Germania una voce parlare di giustizia, umanità o progresso spirituale dopo la guerra o la vittoria, entrerò in discorso con fierezza e diffusamente, anche se si trattasse di persona insignificante e ignota. Lo chiamerò il primo europeo in Germania. Purtroppo però quelle numerose, avide e violente pretese sono tutte messe innanzi da uomini appartenenti ai circoli influenti e dominanti. Non fa meraviglia che la Germania non abbia amici all’estero; non merita di averne. Un amico estero sarebbe una persona sospetta, un amico del materialismo, della menzogna e della corruzione.

Leggo ora la copia d’un carteggio fra due personaggi molto importanti, in cui si parla delle cattive disposizioni verso la Germania del popolo e della stampa olandese, e si raccomanda come mezzo efficace per mutare completamente tali disposizioni la distribuzione di denaro in grandissima quantità. La spesa, che l’ufficio degli Esteri dovrebbe anticipare sui fondi della guerra, dovrebbe essere poi coperta colla indennità di guerra. La convinzione, con cui viene fatto questo progetto, scuote persino me, che sono avvezzo a molte cose. Il personaggio a cui è diretta la proposta risponde di ritenere che questo mezzo, da lui usato e raccomandato anche per il seguito in Belgio, Italia e Rumenia, sia [p. 31 modifica] meno efficace presso una parte degli olandesi che non le buone parole, di avere però già parlato di questa preziosa proposta agli Esteri e di aver saputo che già emissari degli Esteri forniti di larghi mezzi si adoperano a questo scopo tanto in Olanda che negli altri paesi.

Figuriamoci il magnifico quadro morale dell’avvenire, se cogli eserciti tedeschi anche gli altri metodi germanici rimarranno vincitori.

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25 ottobre.

Sì, o tedeschi, imparate ancora, se non è troppo tardi, che nessuno vuole le ossa della vostra preda, che voi pensate di gettargli, che tutti invece sono decisi ad assalirvi per la carne e la vita fiorente che avete ucciso. Nè la Francia nè l’Olanda si lascerà adescare da voi con una fetta del Belgio. L’Europa comincia a darsi ad una nuova religione, voi invece siete rimasti pagani.

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Non più prigionieri!

10 novembre.

Una lettera dal campo mi porta l’incredibile notizia che l’imperatore stesso dichiarò davanti ad una riunione di ufficiali, che di prigionieri ne aveva abbastanza, che sperava gli ufficiali si sarebbero interessati perchè non se ne facessero altri. La notizia viene da fonte degna di piena fede. Quale complemento al proclama del principe ereditario di Baviera! Quale continuazione dell’appello dell’imperatore alle truppe della spedizione in Cina: Non si deve far grazia!

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Gli intellettuali tedeschi.

11 novembre.

L’ambasciatore francese a Londra rilevò giustamente in questi giorni in un discorso, che il più terribile in questa guerra non consiste negli errori delle classi inferiori, ma nelle dichiarazioni della cosidetta èlite spirituale della Germania, dei professori e simili, che manifestano una specie di barbarie regolamentare e sistematica, e sembra non comprendano che vi è una comunità [p. 32 modifica] spirituale fra gli altri popoli abbastanza forte per distruggere l’egoismo tedesco. Invece non si può scrivere in modo più leggero e superficiale di quanto abbia fatto in questi giorni in un giornale uno dei nostri professori di diritto pubblico, già educatore ed amico stimato dell’imperatore. Chi ha letto questo articolo comprende ciò che intenda dire l’ambasciatore francese.

Qualcuno mi susurrò come un gran segreto, che le principali convenzioni internazionali di guerra non sono valide, perchè il Montenegro, che non le ha sottoscritte, prende parte alla guerra, essendovi un patto che in simile caso tutte le convenzioni tra gli altri belligeranti cessano di sussistere. Se ciò fosse, ne nascerebbero conseguenze incalcolabili. E’ cosa caratteristica. Noi siamo tali uomini di regolamento e moralisti estrinseci, che crediamo che ogni nazione, appena sappia che i patti non sono validi, si dia a commettere sfrenatamente ogni delitto possibile, appunto perchè non c’è la proibizione. Il proprio onore, la propria intelligenza, la dignità umana ci sembra non contino nulla.

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Resipiscenza?

In questi giorni uno dei tedeschi più rappresentativi mi confessa, che noi abbiamo voluto la guerra, che ci sarebbe stato facile evitarla, che Vienna e Pietroburgo erano già d’accordo; ma che abbiamo sbagliato i conti, non avendo potuto abbattere la Francia entro due mesi. Tanta saggezza mi fece venire alla bocca la domanda: Sì, certamente, questa è anche la mia convinzione, ma da quando pensa Ella così? Al che egli rispose sorridendo con indescrivibile amabilità: Queste cose non si dicono prima che venga il momento opportuno, ed in ogni caso mai al pubblico!