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I «Cavalli» di Ferdinando I d'Aragona

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Arthur Sambon

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I «Cavalli» di Ferdinando I d’Aragona Intestazione 6 ottobre 2011 75% Numismatica

Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1891
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I “ CAVALLI „


DI


FERDINANDO I D' ARAGONA


RE DI NAPOLI




Dagli Svevi in poi era andata affatto in disuso, presso di noi, la moneta di schietto rame; e, pel piccolo commercio, coniavasi moneta erosa, di bassissima lega, detta denaro, che, secondo le successive occasioni, venne pure variamente denominata imperiale, regale, gherardino, picciolo e via dicendo.

Già sotto Federico II di Svevia, il denaro s’era ridotto cosi scarso d’argento che il Pontefice Gregorio IX, nella scomunica del 1239 poté dire, e giustamente, che Federico coniava moneta di puro rame, rivestita appena di sottilissima pellicola d’argento: dum aëra cudit diverso charactere argenti tenui superinducta cuticula1. Infatti da uno specchietto assai particolareggiato delle successive emissioni del denaro svevo, redatto nel XIII secolo, vediamo ridotto l’argento di questa monetazione, perfino alla derisoria proporzione di 1/162.

[p. 326 modifica]Carlo d’Angiò non fece meglio dello Svevo, e la monetazione erosa continuò tra lagnanze e querimonie. Del resto in tutta Europa prevaleva tanto, allora, questa abbondanza di lega nella moneta argentea, che il Carli, per esprimerne il rapido progresso ed i tristi effetti, acconciamente la chiamò Peste monetaria.

Regnando Ferdinando I d’Aragona, essendo nei denarelli aragonesi assai scarsa proporzione d’argento,3 e quindi considerevole il guadagno che la Regia Curia traeva da quella sleale monetazione, n’ era venuto di conseguenza che, nel Reame e negli stati circonvicini, continuamente si falsassero. Per la quel cosa i pubblici uffiziali, destinati a riscuotere le imposte del reame, ricorsero al re, dicendo che sui mercati era maggior copia di moneta adulterata, di quella coniata dalla Regia Zecca.

Ferdinando allora, per consiglio di Orso Orsini [p. 327 modifica]duca d’Ascoli, con sua lettera del 16 febbraio 1472 4, diretta agli ufficiali della Regia Camera della Sommaria bandì che fossero vietati i denari di biglione, battuti per lo innanzi, e che si coniassero, invece, monete di puro rame, grosse quanto le antiche medaglie, ossia mezzi carlini degli Angioini; sulle quali monete essendo scarso il guadagno, non troverebbero utilità alcuna i falsarli.

Ordinava inoltre Ferdinando che, da una parte di detta moneta fosse ritratta la sua effigie, e che, dall’altra si ponesse una qualche digna cosa proposta dal Conte di Maddaloni, Diomede Carafa, che ne addimostrano le monete, essere stato un cavallo, con attorno l’epigrafe ÆQVITAS REGNI che, complicata col tipo mercè la somiglianza delle voci equus ed æquitas veniva a glorificare la savia disposizione data da Ferdinando, essendo evidente prova codesta, come Ferdinando avesse a cuore il benessere del popolo, preferendo rinunziare al guadagno che traeva dalla monetazione erosa pur d’impedire il danno che arrecava ai minuti commerci del reame. Una curiosa circostanza ci permette di rintracciare i fatti che suggerirono il tipo di questa moneta.

È noto a tutti qual copia di preziosi avanzi [p. 328 modifica]dell’antichità avesse radunato il Conte di Maddaloni. Di lui, dice l’Aldimari: «fu il Conte di Maddaloni, Diomede, historico et antiquario celeberrimo, fondando tutti i suoi consigli sopra gli esempi degli antiqui e nei libri di conto delle sue cose familiari, si trovò scritto havere speso 17.000 scudi, somma grandissima in questi tempi, in medaglie et statue et altre antichità delle quali ne lasciò adornato il suo palagio, magnificamente da lui eretto nel quartiere di Nido.»

Diomede Carafa era stato aio di Ferdinando, di cui fu sempre fido e sagace consigliere; e sempre Ferdinando ebbe per lui grande ammirazione e rispetto. A lui si rivolse adunque, perchè gli consigliasse un tipo pel rovescio di questo nuovo denaro di schietto rame. Non si servi però il Conte di esempî antichi; ma come diremo in seguito, fu assai probabilmente indotto a tale scelta da un’opera di un suo contemporaneo, rinomatissimo artista, il fiorentino Donatello.

Il Vergara e poi il Lazari, dando credito alla favolosa leggenda riferita dal compilatore della cronaca di Partenope, dal Collenuccio e da altri scrittori, dissero che il cavallo posto su questi denari era ricordo di un’opera greca di gran pregio e rinomanza che per lungo tempo era stata in sulla piazza del Duomo, sinché un arcivescovo, per togliere certa superstizione, di cui era cagione, non avesse ordinato venisse distrutta, nel 1322, per convertirla in campane pel Duomo. Il Tarcagnota, a questa leggenda aveva poi aggiunto di suo che «quella gran testa che si vede ora in casa del signor Duca di Maddaloni potrebbe essere reliquia di quel cavallo;» ed il Summonte riportò poi questa notizia, non più come una ipotesi, ma come un fatto accertato. Per la qual cosa il Lazari, accettando [p. 329 modifica]questo intreccio di fantastiche notizie, asserì che il Duca di Maddaloni propose a Ferdinando I di porre sui denari il ricordo di «quel cavallo colossale di bronzo, la cui stupenda testa tuttavia s’ammira nel Museo Borbonico, eh’ è fama stesse eretto dinnanzi l’antica Cattedrale di Napoli, ecc.» Ma il Capecelatro, e dopo di lui il Capasse, addimostrarono l’assurdità di tale favola ed il Filangieri in un suo scritto: «sulla testa di Cavallo di bronzo già di casa Maddaloni»5 dimostrò che questa opera non era, come da parecchi sinora si era creduto, di tempi antichi, ma sibbene del XV secolo e, siccome già aveva osservato il Vasari, dello scultore Donatello. Il Filangieri fece trascrivere dall’Archivio di Stato di Firenze la lettera del conte di Maddaloni, in data 12 luglio 1471, inviata da Napoli a Lorenzo il Magnifico, per ringraziarlo del dono di una testa di cavallo in bronzo foggiata dal Donatello. Ricevendo poco dopo, da Ferdinando, l’ incarico di ideare un tipo per la nuova moneta di rame, pare a me che il pensiero di quello stupendo lavoro del Donatello, che doveva riuscire tanto più grato al Conte, per essere il cavallo, ad un tempo, insegna del Seggio di Nido e della città di Napoli, determinasse la scelta di lui per il tipo della nuova moneta.

Nulla di più probabile anche, ch’egli avesse conoscenza della popolare leggenda, di cui il compilatore della Cronaca di Partenope (XIV secolo) ci ha tramandato notizia; secondo la quale Carlo I, venuto a Napoli, ammirando un maestoso cavallo, insegna della città, vi facesse scrivere il seguente distico:

Hactenus effrenis, domini nunc paret habenis
Rex domat hunc aequus Parthenopensis equum.

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Venne così egli nella determinazione di proporre il cavallo napoletano, il quale, ad un tempo, doveva raffigurare la città di Napoli, di cui era glorioso simbolo e significare la giustizia del re, mediante la simiglianza delle voci equus ed æquus. E, per rendere più chiaro questo pensiero, un po’ stentato in verità, fece scrivere all’intorno EQVITAS • REGNI • Dalla quale rappresentanza venne a questa moneta di rame il nome di cavallo che durò per cosi lungo tratto di tempo6. Cosi dal Carafa fu rimesso sulla moneta il simbolo cittadino che, come ho dimostrato in un mio lavoretto sulle monete del Ducato Napoletano, ebbe già a figurare su monete del XII secolo, e su di un prezioso denaro, coniato quando Napoli, nel 1251, ribellossi agli Svevi, ergendosi a Comune, sotto la protezione di Innocenzo IV.

I cavalli di Ferdinando I d’Aragona furono coniati nelle zecche di Amatrice, Aquila, Brindisi, Napoli7 e, come dimostrerò in seguito, mediante un prezioso e, sinora unico esemplare della mia collezione, anche nella zecca di Sulmona.

In ogni libbra tagliavansi 180 cavalli, 12 dei quali formavano un grano. Di modo che l’intera libbra di rame monetato, veniva ad essere rappresentata dal valore nominale di 15 grana. Detta libbra veniva a costare alla Regia Curia circa 13 grana8, e quindi vi era un utile di solo due grani. [p. 331 modifica]

Fu coniata questa nuova moneta per la prima volta ai 18 di aprile di detto anno 1472, siccome si rileva da lettera della R. Camera della Sommaria9; «havendo vostra maestà mandato se facesse moneta de pizoli in nostra ceccha in la forma data per vostra maestà fo comenzato ad farese a 18 de aprile. »

Ebbero le nuove monete gran voga durante il regno del primo Ferdinando; ma il rapido succedersi della signoria francese e del nuovo dominio aragonese, la facile concessione di zecca, durante l’invasione di Carlo VIII, ed in ispecial modo la riduzione considerevole del peso, ne cagionarono ben presto il discredito. Già Carlo VIII si avvide del danno che ne veniva al commercio e cercò di ripararvi. Ho trovato di lui, nelle copie de’ privilegi, conservate nell’archivio di Napoli, un interessantissimo documento, con cui, addì 6 maggio 149510, si toglie a Sulmona la concessione datale di coniar moneta, e ciò a cagione della diversità e della adulterazione avvenuta per le tante zecche e si ordina che si coni moneta solo nelle zecche di Napoli ed Aquila.

Il Summonte, nella sua storia di Napoli11, dice che Alfonso coniò un cavallo, coll’effigie sua e l’ epigrafe ÆQVITAS REGIS LÆTITIA POPVLI. Dice di aver [p. 332 modifica]posseduto questa moneta; ma è possibile ch’egli abbia male interpretato le epigrafi di qualche altro cavallo o logore o poco intelligibili per riconio posteriore12. Ad ogni modo nessun esemplare se ne conosce al giorno d’oggi.

Di Ferdinando II si conoscono soltanto due cavalli coniati a Brindisi, di cui uno, posseduto già dal Fusco13, è ora nella raccolta privata di S. A. il Principe di Napoli. E fu tralasciato evidentemente il conio dei cavalli da questi due sovrani, a cagione della soverchia abbondanza di moneta siffatta, sia per le numerose emissioni del primo Ferdinando, sia per quelle recentissime ed anche eccessive di Carlo VIII; poiché, se si fosse subito bandita tutta la moneta di rame del monarca francese, ne sarebbe venuto considerevole danno al commercio del reame, come ben chiaramente addimostrano i ricorsi delle città di Chieti e di Aquila a Federico d’Aragona, perchè si permettesse ancora la circolazione de’ cavallucci di Carlo VIII14. Annuì da principio Federico apponendo però il placet regiae maiestati colla riserva ad eius beneplacitum. Intanto Notar Giacomo15 avverte che Federico, sul principio del suo regno, vietò si spendessero più «li cavallirazi de rame che haveano facti li francisi, con lo signo de la croce et deli III gigli, de rame.»

Si vede che la quistione de’ cavalli diè parecchio [p. 333 modifica]fastidio a Federico, che non sapeva come provvedere con soddisfazione di tutti. Notar Giacomo osserva che, in sulla fine del 1496, Federico venne in Napoli «per conciare multe cose et maxime le monete.» Le città di Chieti e di Aquila chiedevano intanto novella concessione di zecca, ed io trovo nelle Cedole di Tesoreria per l’anno 1497, addì 23 ottobre, che «Lodovico de Jacobo de Marco da 500 ducati quali dona a la regia Corte per la gratia che el S. R. li ha facta che pocza bacter cavallucze in Apruzzo16

Passano intanto pochi mesi, ed ecco che, secondo narra Notar Giacomo, «addi XIII de iennaro 1498 fo pubblicato banno che perlo advenire in nesciuno loco del regno se facessero cavalluzi et che ciascheuno li devesse spendere et pigliare dudece per uno tornese (ossia 24 per grano) et questa per la quantità senne faceva et diminucione della rame17;» e poi addi 13 marzo dell’anno medesimo: «ando banno reale che li cavalli non si spendessero et nesciuno le pigliasse per certe cause in lo banno contente18.» Evidentemente Federico, vedendo caduta in discredito questa moneta, che era a stremo tale ridotta, da non corrispondere più nemmeno alla metà dell’intrinseco dei cavalli di Ferdinando I e che perciò di nuovo impunemente si falsava, determinò di bandire tutta quella che era in commercio per coniare poi nuova moneta di rame a miglior ragione dell’antica. E Notar Giacomo ci dice che: «adì XXI de sectembre 1498 ando banno reale come sua maestà havea facto fare per utilita del regno una moneta erea nominata sextina [p. 334 modifica]che quilli si havessero da spendere sei per uno tornese19. » Si coniò questo doppio cavallo o sestina nelle zecche di Napoli e di Sulmona.

Rivisse cosi questa moneta, e per lungo tratto di tempo, tra continue mutazioni di Signoria, con tipi assai vari, se ne continuò il conio, restando però sempre immutabile, presso il volgo, la denominazione di cavallo.


AMATRICE.


Amatrice, piccola terra dell’Abruzzo Ulteriore II, e capoluogo di cantone del distretto di Civitaducale, mantenutasi fedele a Ferdinando d’Aragona, nel 1485, durante la congiura dei baroni, n’ebbe in ricompensa privilegi e donazioni, di cui è memoria in una nota di un diploma smarrito, trascritta nei repertori aragonesi20: «In anno 1486 re Ferrante concede all’Università et homini della città d’Amatrice ob fidelitatem erga eum observatam la terra di Civita Regale, la quale alias fu di detta città e per esso re era stata concessa alla città dell’Aquila, per rebellione della quale è devoluta ad esso re, e perciò la restituisce alla detta Università; etiam concede la terra della Rocca e li casali della Montagna di Rosito, le quali olim furono di detta città dell’Aquila rebelle, come appare in Privileg. fol. 70.» Nel medesimo anno, se non proprio mercè questo documento, di cui ci mancano i particolari, dovè concederle Ferdinando il privilegio della Zecca. Giuseppe Maria Fusco riportò pel primo [p. 335 modifica]due cavalli di Amatrice, di diverso tipo, nella sua pregevole monografia: Intorno ad alcune monete aragonesi21; di nuovo li descrisse il Lazari in quel suo prezioso lavoretto: Zecche e monete degli Abruzzi22.

Si conservano amendue nel Museo Nazionale di Napoli (Sezione Medioevale, Caselle 3233 e 3234).

Cavallo.
D/. — FERRANDVS ..... REX •

Testa coronata del re a destra.

R/. — FIDELIS • AMATRIX •

Cavallo sciolto gradiente a destra; sopra al dorso, nel vano del campo, lo stemma di Amatrice; all’ esergo, una rosa tra due perline.

Rame.

Tipo identico; ma invece dello scudetto sopra al dorso del cavallo, una rosa; e, nell’esergo del rovescio, un M fra due rose.

Rame.

Un secondo esemplare di questo tipo conservavasi nella collezione Tafuri, e nel 1880 passò nella ricca raccolta del Cav. Ercole Gnecchi. Son riuscito a trovare due nuovi tipi di questa zecca: uno dei quali differisce poco dal secondo esemplare, descritto dal Fusco. Ne do qui il disegno:

L’altro ha il seguente tipo:

Cavallo.

D/. — FERRANDVS •• REX •

Testa con corona radiata a destra; sotto, 5 perline. [p. 336 modifica]

R/EQVITAS • REGNI •

Cavallo a destra; sopra, rosa; all’ esergo, M, fra due rose. Dinnanzi al cavallo, scudetto colle armi di Amatrice.

Rame, Coll. Sambon.

Ne ho due esemplari; in uno de’ quali però è appena visibile lo scudetto. Il busto, che è sul dritto di questa moneta, è perfettamente identico a quello del secondo esemplare edito dal Fusco, di modo che sono sicuro che un conio medesimo ha servito pel dritto delle due monete, e che solo il rovescio del mio esemplare è stato rifatto.

Il suddetto cavallo è certamente posteriore ai due pubblicati dal Fusco e dal Lazari. È da pensare che, se nelle prime emissioni fu concesso all’ardimentosa cittadina di porre per intero il suo nome, siccome attestato solenne della fedeltà coraggiosamente serbata al sovrano, per le successive, però, fu evidentemente obbligata a riprodurre esattamente i tipi della zecca principale di Napoli, aggiungendo solo, in sul rovescio il suo stemma; cosi come usarono sempre le altre minori zecche di Brindisi, Aquila, ecc.

Il Fusco, nel far menzione dello stemma posto nel campo del cavallo di Amatrice, annotò: forse ad Amatrice s’appartiene. Ma basterebbe il confronto di questo nuovo tipo, collo stemma soltanto, che ha il dritto dell’istesso conio di quello colla epigrafe FIDELIS AMATRIX, e all’esergo del rovescio la medesima sigla di zecchiere, per addimostrare che quel forse [p. 337 modifica]non ha più ragione di essere. Per maggiore evidenza dirò che, nella raccolta degli Stemmi dei Comuni, conservata nell’Archivio di Napoli, è un disegno dello stemma di Amatrice eseguito nel XVII secolo, il quale raffigura una croce sormontata da tre gigli. Forse per la ristrettezza dello spazio si poterono appena indicare i tre gigli con tre perline, sulla nostra moneta.


AQUILA.


Alfonso I, addì 2 aprile 1443, concedeva, vita durante, la zecca di Aquila ad Aloisio de Camponischis conte di Montorio dandogli facoltà di coniare tutte le monete che si coniavano nella zecca napoletana. Non sappiamo se si occupasse lui stesso della direzione della zecca o se altri l’amministrasse per lui. Nel 1451, però, Alfonso gli fece sapere che desiderava rivenisse alla Curia ogni diritto sulla zecca aquilana ed il Camponischis, per far cosa grata al sovrano, vi rinunziò ricevendo in compenso l’annua provvigione di 400 ducati23. Verso il 1451, fu nominato mastro di zecca Colantonio de Cagnano. Di lui fa menzione un documento della Regia Camera della Sommaria dell’ anno 145824, dal quale si rileva che, in questo anno, non era più maestro di zecca il Cagnano, e che, a quel che pare, le cose della zecca non erano andate a modo, poiché si era pensato di fare un’inchiesta sull’amministrazione durante l’ esercizio del detto Cagnano. Si rileva pure da questo documento, che in Aquila coniavasi moneta d’oro, dicendosi [p. 338 modifica]quivi che una cassetta del Cagnano, trasportata alla Regia Camera della Sommaria, conteneva certi assaggi di moneta d’argento e di oro coniata in Aquila, che dovevano essere verificati da Giliforte d’ Urso magister probe. Tale notizia è confermata dal cronista Francesco di Angeluccio, di Bazzano25, il quale dice che, nel 1475, Nardo de Cagnano coniava in Aquila ducati d’oro. Nei primi anni del regno di Ferdinando, tenne la zecca d’Aquila Benedetto de Cotrullo, che aveva nel contempo anche la zecca napoletana26. A lui, nel 1469, successe il figliuolo, Giacomo Cotrullo, e tenne la zecca sino al 147427. Nel 1475 fu surrogato da Leonardo de Cagnano28, figliuolo di quel Colantonio, che fu mastro di zecca sotto Alfonso I.

Al Cagnano successe Gian Carlo Tramontano che al tempo stesso aveva pure la direzione della zecca di Napoli. Venuto il regno in potere di Ludovico XII, il Tramontano perde l’ufficio e fu nominato, in sua vece, mastro delle zecche di Napoli ed Aquila, il milite napoletano Giovanni Acziopacia29. Il Tramontano riebbe però, nel 1503, la direzione della zecca di Napoli e nel 1504 quella della zecca Aquilana30. Il Lazari riportò un brano di diploma del 30 aprile 1520 col quale Carlo V e Giovanna sua madre concessero agli aquilani il riaprimento della loro zecca; ma pensò che Aquila non abbia potuto valersi di [p. 339 modifica]tale diritto e che quella zecca fosse stata definitivamente chiusa sotto Ludovico XII di Francia. Ma la zecca aquilana continuò, invece, ancora durante il regno di Ferdinando il Cattolico e quello di Carlo V essendo tuttavia, nel 1552, in piena attività; poiché rilevo da rescritto della Camera Esecutoriale31 che in quell’anno fu concesso a Giovan Battista Ravaschiero di Napoli l’ufficio di mastro di zecca delle città di Napoli ed Aquila, essendo stato tolto tale ufficio al Conte di S. Agata, a cagione della di lui pessima amministrazione. Ma, poiché tra tante monete di Ferdinando il Cattolico e di Carlo V non ve n’è alcuna che rechi il solito contrassegno della zecca aquilana, si deve, credo, supporre che, servendo solo il conio per maggior comodità di quella provincia e non per ostentare particolare predilezione da parte del sovrano, non vi si mettesse più, dal 1504 in poi, alcun simbolo distintivo di zecca.

Sotto Alfonso I, e durante i primi anni del regno di Ferdinando I, i conii di Aquila furono incisi dall’orefice napoletano, Francesco Liparolo scultor et fabricator cuneorum necessariorum in regiis siclis huius regni. Ne trovo menzione, per la prima volta, in un documento dell’8 giugno 145632, in cui Alfonso, considerando che la paga da lui percepita di 1 1/2 tornese per ogni libbra d’argento e rame, era tenuissima, ordina che gli si diano 3 tornesi per libbra di moneta fatta coi conii che dovrà incidere nella zecca di Napoli, o in altra qualsiasi zecca del reame. Per la moneta d’oro percepiva 5 grani d’oro per ogni libbra. Francesco Liparolo mori verso il 146833. Gli successe [p. 340 modifica]Girolamo Liparolo. Sin dal 146834 fu chiamato a fabbricare i conii della zecca di Aquila, diretta allora da Benedetto de Cotrullo, e pel viaggio e dimora di lui e dei suoi artefici, e per ogni spesa necessaria per l’incisione dei conii, gli furono dati sei ducati. Fece di nuovo ritorno ad Aquila, addì 11 settembre 146935, chiamato dal nuovo maestro di zecca, Giacomo Cotrullo, e cosi ancora nel 147036, nel 1472, e via dicendo. Questo ne attesta la grande attività della zecca aquilana, la quale pressoché ogni anno variava uno od altro conio. Il 21 marzo del 1480 però chiesero ed ottennero gli Aquilani di valersi di artefici propri37.

Ecco i tipi dei cavalli aquilani di Ferdinando I d’Aragona:

Cavallo.

D/FERDINANDVS * REX

Busto a destra, con corona radiata.

R/• EQVITAS * * (aquiletta) * REGNI .

Cavallo gradiente a destra.

Varianti. — Parecchie varietà, delle quali molte di pessimo disegno e con leggende erronee. Il nome è variamente scritto: FERDINAND∀SREXFERDINANOVS • REXFERDINANVS • REXFEDINANVS • REX; l’epigrafe del rovescio: EQVITAS * * * RENGNI — EQ∀ITAS • REGNIEQVITAS • RENGIEQVITAH * * REGNI e via dicendo. La gran varietà, poi, nella disposizione delle epigrafi, nel numero delle stellette o perline che le dividono, ci addimostra l’abbondanza d’emissione che ebbe questo conio38. [p. 341 modifica] Questi cavalli sono anteriori al 1485, quando Aquila si ribellò al Sovrano. È noto che Aquila coniò in quel tempo gran copia di cavallucci aventi, in sul dritto, il triregno e le chiavi decussate con attorno il nome del pontefice: INNOCENTIVS • PP • VIII, al riverso, un’aquila coronata e la leggenda: AQVILANA LIBERTAS.

Nel novembre del 1488 però gli Aquilani supplicarono Ferdinando concedesse loro il conio di nuovi cavallucci; « Preterea, quantunque li nostri denarelli cognati qui al tempo delle travallie passate, che sonno della forma et valuita de cavallucci, non se intendano esse extra Regnum, pur per non esserce la imprompta de V. M. seria lo animo nostro levareli via che non andassino più adtorno et fareli refundere in zecca, supplicamo ad la M. V. che per questo respecto se digna concedere che in dieta zecca pessimo far bactere de cavallacci fino in duimilia o mille et cinquecento ducati che ancora questo haveremo per una grandissima et necessaria gratia per privarcene de quisti altri. Ex sua civitate Aquile die 25 nov. 148839.» Ma Ferdinando non ne voleva sapere di ridare loro la zecca e ordinava nel 1489 che non si dovessero spendere « se non li cavalluczi del nostro regno et quilli che se trovano facti sino al presente di tantum40.» Di [p. 342 modifica]nuovo quindi gli Aquilani si facevano a supplicare «et perche questa cita non pò vivere senza moneta de rame et de quelle e in maxima penuria non ce correndo al presente né quattrini né celle marchesiane né altra moneta minuta supplicarete se digna farece gratia de posser far bactere almeno mille ducati de cavallucci, attento che senza quilli non tanto questa cita ma tucti li convecini non poteriano vivere 41» e Ferdinando, convinto della necessità di concedere agli aquilani il conio di quella moneta, dié finalmente l’ambito permesso. Scrisse poi, il 18 sett. del 1489, agli aquilani che facessero mettere in ordine la zecca e apparecchiassero tutto per dame consegna a Gian Carlo Tramontano mastro della zecca Napoletana42. Ecco i tipi coniati sotto la direzione del Tramontano:

D/FERRANDVS oooo REX

Busto a destra con corona radiata.

R/ EQVITAS • REGNI • (aquiletta) ••

Cavallo gradiente a destra; nel campo, una rosa; all’esergo, T fra due rose.

Varianti. — L’aquiletta si trova variamente disposta in modo da tagliare diversamente l’epigrafe. Ne do qualche esempio: — 1) EQVITAS • REGN (aquiletta) I • — 2) EQVITAS • REG — NI • — 3) EQVITAS o RE ∞ — GNI • In alcuni esemplari si ha all’esergo la T fra due cerchietti invece di due rose.

D/FERRANDVS ooo REX •

Busto a destra con corona radiata.

R/EQVITAS RE — GNI •

Cavallo gradiente a destra; sopra, una rosa, e sotto la gamba sinistra anteriore, sollevata in alto, un T. All’esergo, aquiletta tra due rose. [p. 343 modifica]Varianti. — Le varietà di questo conio non sono cosi numerose come quelle dei due antecedenti. Eccone alcune: 1) R/.EQVITAS • REG •••• NI • — 2) R/.EQVITAS • REGNI ••••


BRINDISI.


La zecca di questa città aveva già coniato monete di oro, d’argento, di rame e di biglione pei Normanni, gli Svevi e gli Angioini. Nel 1278 cessò il conio dell’oro, avendo determinato Carlo d’Angiò che si coniasse solo nella zecca di Napoli; continuò però il conio della moneta erosa, sotto il primo Carlo, Carlo II, Roberto, ecc. e perciò, d’allora in poi, vien detta sempre nei documenti parva sicla Brudusii.

Brindisi fu tra le poche città che ostinatamente resistettero ai francesi nel 1495. A memoria di tanta fedeltà, Ferdinando II le concesse il conio di cavalli, colla lusinghiera epigrafe: BRVNDVSINA FIDELITAS • Ho le seguenti varietà del cavallo di Ferdinando I d’Aragona:

Cavallo.

D/. – FERRANDVS • • • REX •

Busto con corona radiata a destra.

R/. — — EQVITAS • REGNI •

Cavallo a destra. Sopra, rosa. Dinnanzi, colonna sormontata da corona. All’ esergo o T o

Rame, Coll. Sambon.
D/. – FER — RANDVS REX •

Busto a destra.

R/. – EQVITAS • REGNI •
Cavallo gradiente a destra; sopra, rosa; dinnanzi, una colonna con corona. All’esergo T fra due rosette.
Rame, Coll. Sambon.
R/. – La colonna è posta fra due globetti.
Rame, Coll. Sambon. [p. 344 modifica]


NAPOLI.


La zecca napoletana, nel XV secolo, era posta di fronte alla chiesa di S. Agostino. L’avea trasportata quivi re Roberto43 nel 1333, avendo comperato, per 700 once, le case de’ fratelli Adinolfo e Nicolò de Somma figli di Nicolò Maestro Razionale della Regia Curia44.

Diressero la zecca napoletana, durante il regno di Alfonso I, messer Francesco Insignier45 e Salvatore de Miraballis, banchiere napoletano46. Nel 1459 fu nominato maestro di zecca, Antonio de Miraballis, 47. Nel 1460 subentrò il milite, Benedetto de Cotrullo, che tenne la zecca napoletana sino al 146848. Gli successe Nicolò Spinello; di che fa menzione un documento del febbraio 1475, con cui Ferdinando I rinnova per altri sei anni l’appalto della zecca49. Nel 1488 egli era tuttavia mastro della zecca di Napoli. Trovo la notizia nei registri di Curia della Camera della Sommaria degli anni 1488 e 148950. Sbagliano [p. 345 modifica]adunque il Fusco ed il Lazari51, nell’asserire che il Tramontano era mastro della zecca napoletana, dal 1476 in poi. Della immediata successione del Tramontano52 allo Spinelli fa cenno lo Zocchis ufficiale della Zecca di Napoli, nel 1555, di cui si ha un ragguaglio sulla monetazione del Reame, da Alfonso I in poi53. Parlando di Ferdinando I, dice: “nel qual tempo fu maestro de zecca lo quondam magnifico Carlo Spinelli (Cola invece di Carlo) poi del quale successe in detto offitio lo spettabile quondam Gioan Carlo Tramontano conte de Matera„54. Durante il regno di Alfonso I, come già abbiamo detto, era intagliatore dei conii, per tutte le zecche del Reame, Francesco Liparolo, orafo [p. 346 modifica]napoletano. Nel 1468 successe Girolamo Liparolo55 fratello di Francesco, ma di assai minore età. Girolamo Liparolo durò in questo ufficio per tutto il regno di Ferdinando I, ed era ancora incisore dei conii nell’ottobre del 1494, poiché Alfonso II con sua lettera di quell’anno, ordinando al Tramontano la fabbricazione delle diverse monete d’oro e d’argento, dice: «havemo scripto ad hieronimo leparolo a che debia fare tucti li cugni et stampe necessarie a de diete monete de argiento et de oro56». Il Liparolo avea pure l’incarico di eseguire l’incisione dei suggelli del Sovrano. Trovo in un registro della Camera della Sommaria, l’ ordinazione data nel maggio del 1472 a Girolamo Liparolo di foggiare due suggelli d’oro del peso, ciascuno, di once 2 1/257. Dovè eseguirli in un giorno solo. Per la rappresentanza di questi suggelli si veda: Leon Cadier, Études sur la Sigillographie des rois de Sicile, che riporta un suggello di Ferdinando apposto ad un diploma del 1472.

Nel 1497 fu scelto per intagliatore de’ conii il fedele e dilecto mastro Bernardino de Bove, siccome si rileva da documento dell’8 aprile nel vol. 9 Collaterale Comune58.

Ecco i tipi che ho potuto raccogliere:

1) Cavallo.

D/FERRANDVS ooo REX •

Busto a destra con corona radiata. [p. 347 modifica]

R/EQVITAS REGNI •

All’esergo, S fra due rose e due cerchietti.

Rame.

3 Cavalli (Fusco, peso gr; 5,40). 4 Cavalli (Collezione Sambon, peso gr. 7,80). 8 Cavalli (Museo Nazionale di Napoli, peso gr. 14,25).

Rame.

Il Fusco crede che l’S dell’esergo indichi il nome di Nicolò Spinelli, e credo sia nel vero, poiché nella lettera di Alfonso pel conio delle sue monete, addì 23 ottobre del 1494, vien detto al Tramontano “et che voi como ad mastro de dicte cecche possate fare la prima lettera del nome o cognome vostro como e stato facto in le monete de la felice memoria del serenissimo S. Re nostro patre colendissimo et ad quisto effecto havemo scripto ad hieronimo leparolo, ecc.” 59. Non si sa però come dar ragione di altre lettere, poste nell’esergo di questi cavallucci: A, C, I, ecc., essendo certo, come già ho dimostrato, che allo Spinelli successe immediatamente il Tramontano, che tenne la zecca di Napoli oltre la morte di Ferdinando I d’ Aragona. Trovando però in un documento del 12 ottobre 1472 che in quel tempo disbrigava gli affari di zecca certo “Paolo de Senis locumtenens magistri sicle dicte civitatis neapolis” e considerando che il contratto, per l’appalto della zecca, del 1475 si dice stipulato tra “il nobile ed egregio viro Nicolò Spinelli maestro di zecca et compagni et la Maestà del Re Ferdinando”, penso si potrebbe dare una spiegazione abbastanza probabile di quelle altre lettere, coll’ammettere che, in certe occasioni, per assenza del direttore della zecca, altri, assumendone [p. 348 modifica]l’ufficio, abbia fatto segnare colla propria iniziale la moneta emessa sotto la sua sorveglianza e direzione, di cui era responsabile verso lo Spinello e verso il Sovrano.

2) Cavallo.

D/FERDINANDVS — REX •

Basto a destra.

R/EQVITAS ooo REGNI •

Cavallo gradiente a destra. Presso la zampa anteriore, sollevata in alto, un A.

Rame.

Varianti. — L’ A si trova anche sotto la pancia del cavallo, e su di un esemplare il cavallo poggia la zampa anteriore sul vertice dell’ A. La leggenda del dritto è variamente spezzata: FERDINA— NDVS • REX, FERDINAN — DVS • REX, FERDINAND — VS • REX • Su di un esemplare, al rovescio: EQVITAS • REDNI •

3) Cavallo.

D/FERNANDVS — REX •

Busto a destra.

R/EQVITAS • REGNI •

Cavallo a destra, sotto la zampa, C.

Rame.

Varianti. — D/FERDINA — NDVS • REX •
R/ — Cavallo a destra racchiuso in un cerchio; dinanzi al cavallo, fuori del cerchio, CI

4) Cavallo.

D/FERDINANDVS • • REX •

Busto a destra.

R/EQVITAS — REGNI •

Cavallo a destra, sotto la zampa, CA in monogramma .

Rame, Coli. Sambon.

Variante. — FERDINA — NDVS • REX • Il Fusco pensa che questo monogramma indichi la città di Capua.

[p. 349 modifica]

5) Cavallo.

D/FERDINANDVS .. REX •

Busto a destra.

R/EQVITAS • • • REGNI •

Cavallo a destra; e sotto la sbarra su cui poggia, un I.

Rame. R.

Varianti. — D/FERDIN — ANDVS • RX, FERDI — NANDVS ° R, ° FERDINANDVS ° REXR/ — La lettera I è posta tra le gambe del cavallo e, sotto la sbarra, vi è una stelletta.

6) Cavallo.

D/•• FERRANDVS • • • REX •

Busto a destra.

R/EQVITAS • • • REGNI •

Cavallo a destra; sopra, un cerchietto. All’esergo *• Sn -’

Rame. R.

Il Fusco pensa che questo monogramma indichi la città di Brindisi.

Sono posteriori al 1488 i seguenti cavalli colla sigla di Gian Carlo Tramontano.

7) Cavallo.

D/FERRANDVS ..... REX

Busto a destra.

R/+ EQVITAS . REGNI . SICIIE . (in due cerchi).

Nell’area cavallo gradiente a destra; sopra, rosa; sotto, la sbarra su cui poggia una T fra due rose.

Rame, R3 Coll. Sambon.

Variante. — R/+ EQVITAS : REGNI : SIC

Rame, B3 Coll. Sambon.
[p. 350 modifica]

8) Cavallo.

D/FERRANDVS o o REX •

Busto a destra.

R/EQVITAS .. REGNI •

Cavallo a destra, sopra rosa; sotto la gamba T. All'esergo tre rose di cui quella al centro più grande.

Rame.

Varianti. — 1) FERRANDVS : S R o S o (R2, Museo Nazionale Napoli) — 2) D/FERRANDV<o • REX •R/ — All'esergo, una rosa fra due cerchietti. — 3) D/ — La T è posta innanzi al petto del cavallo. — 4) D/FERRAN — DVS - REX • Busto colla corona radiata ornata di trifogli. — R/ – La T, dinnanzi al petto del cavallo, divide la leggenda EQVITAS • REGNI • – (R2) – 5) D/FERRANDVS • D • G . R .R/ — Identico al precedente (R2, Coll. Fusco).

9) Cavallo.

D/FERRANDVS • • • REX •

Busto a destra.

R/EQVITAS • REGNI • •

Cavallo a destra; sopra, rosa. All'esergo, T fra due rose.

Rame.

10) Cavallo.

D/FERRANDVS • • • REX •

Busto a destra con corona radiata di cui i raggi ter- minano a cerchietti.

R/EQVITAS • RE - GNI •

Cavallo a destra; sopra, rosa. Sotto la gamba anteriore sollevata, un T. All'esergo un T che vien fuori da una rosa tra sei globetti (graziosissimo tipo).

Rame, R2 Coll. Sambon, antica Coll. Fusco.


[p. 351 modifica]

11) Cavallo.

D/FERRANDVS : D : G : R • SI •

Busto a destra.

R/EQVITAS • REGNI •

Cavallo a destra; sopra, cerchietto. All’esergo, T fra due cerchi.

Rame, R3, Mus. Naz. di Napoli.

Varianti. — 1) D/FERRANDVS • R • SI • — 2) D/: FERRANDVS • D • G • REX — 3) D/FERRANDVS : D : G : R • S •R/ — Una rosa al disopra del cavallo, e la leggenda spezzata cosi: EQVITAS : REG — NI •

Abbiamo poi i seguenti tipi senza sigla di zecchiere.

12) Cavallo.

D/FERDINANDVS • • REX •

Busto a destra.

R/EQVITAS • • REGNI •

Cavallo a destra.

Rame.

Varianti. — D/FERDINAND — VS • REX, FERDINAN — DVS • • • REX, FERDINA — NDVS • REX • In un esemplare del Museo Naz. di Napoli, il busto è racchiuso in un cerchio. R/ EQVITAS + • • REGNI, EQVITA + S • REGNI ovvero EQ — VITAS • + • • REGNI • attorno ad un cerchio che racchiude il tipo dell’area.

13) Cavallo.

D/FERDINA — NDVS • REX.

Busto a destra.

R/+ REX • REGNI • EQVITAS •

Cavallo a destra.

Rame, R3 Coll. Sambon.

Varianti. – D/FERDI — NANDVS • Busto a destra. R/ — Il cavallo è racchiuso in un cerchio.

14) Cavallo.

D/FERDI — NANDVS •

Busto a destra. [p. 352 modifica]

R/+ REX • REGNI • SICI • EQVITAS •

Cavallo a destra (graziosissimo conio).

Rame, R2, Coll. Sambon.

Variante. D/FERDIS — NANDVS • (Museo Nazionale di Napoli).

15 Cavallo.

D/FERDINANNVS ∗ REX

Busto a destra.

R/EQVITAS • REGIS •

Cavallo a destra (Lavoro mediocre).

Rame, Museo Nazionale, casella 3080.

Nel 1477, in occasione del matrimonio di Ferdinando con la cugina Giovanna d’Aragona, fu coniata moneta di rame, per essere gittata al popolo, durante la festività dell’incoronazione. Notar Giacomo e Giuliano Passero descrivono a lungo le sontuose feste ch’ebbero luogo a Napoli, dal 9 al 18 settembre, per la venuta e gli sponsali di Giovanna. Narra il Passero come, addì 16 settembre, dopo la incoronazione, finite tutte le funzioni ecclesiastiche, presso «un catafalco molto degno et bene lavorato fatto denanti la Incoronata» dove sedevano i sovrani « se gettare monete d’argento de più sorte con gran festa et gaudio » 60. Lo Zocchis, ufficiale della Regia Zecca di Napoli, verso il 1555, lasciò scritto un ragguaglio delle monete coniate per lo innanzi a Napoli61 e inquesta distinta, parlando delle monete di Ferdinando I d’Aragona dice « et poi nel anno 1477 se cugnorno carlini, da una [p. 353 modifica]banda scolpita la effigie della serenisima Regina sua consorte, li quali debbero servire a buttarli al triumpho nutiale.» Questa notizia avrebbe un riscontro colle parole del Passero e di Notar Giacomo: se gettaro monete d’argento de più sorte. È da avvertire però che lo Zocchis, mercè quella sua lettera, si addimostra persona abbastanza ignorante, e spesso dà prova di non conoscere monete che sono al di d’oggi comunissime. Egli dice, a mo’ d’esempio, che non v’ha ricordo alcuno che Alfonso II abbia mai coniato moneta. Riguardo all’asserzione di Notar Giacomo, farò notare che numerosi esempi addimostrano che queste monete che si gettavano al popolo erano in parte argentate ed in parte dorate; di modo che pareva che, dalla tribuna o dal trofeo, o altro ingegno, donde venivano gettate, cadesse sul popolo una fitta pioggia di oro e argento. Sicché si può congetturare che il cronista dicesse moneta d’argento questa di rame ch’io pubblico, perchè effettivamente aveva allora parvenza di questo metallo, per essere intinta in un bagno d’ argento. Con ciò però non voglio assolutamente negare la notizia data dallo Zocchis, e nel dubbio preferisco nutrire ancora la vaga speranza che sia smentita questa mia ipotesi, trovandosi il grazioso carlino da lui accennato62.

Ecco intanto la descrizione della moneta:

D/• F • • R •

Busto a destra, con corona radiata ornata di gemme e trifogli63. [p. 354 modifica]

R/IOHAN — NA o REGINA •

Busto della regina a destra con ricca corona gemmata.

Rame, Museo Nazionale di Napoli.



Altra moneta battuta, per esser gittata al popolo, è quella che reca al rovescio un carro trionfale guidato da genio alato, ed attorno la scritta VICTOR SICILIE.

Il Vergara ne riportò un esemplare, e l’Heiss lo riprodusse nella sua pregevole opera sulle Monete ispano-cristiane64.

Ne do qui diversi esemplari inediti:



D/FERRANDVS : D : G R • SI

Busto a destra, con corona a trifogli ornata di gemme (tipo identico a quello del n. 11 colla sigla del Tramontano).

R/VICTOR SICILIE

Quadriga a destra, guidata da un genio alato.

Rame, R2 Coll. Sambon (argentato). [p. 355 modifica]Lo stesso tipo avente al diritto il busto, con corona

radiata senza gemme.

Rame, R3 Coll. Sambon (argentato).

Altra simile col SICIL — IE diviso dalle zampe dei cavalli.

Rame, R3 Museo Nazionale di Napoli.
DFERDINANVS : REX

Busto a destra con corona radiata.

R/ — Quadriga a destra. All’esergo: VICTOR.
Rame, R4, Coll. Sambon e Museo Nazionale di Napoli.

Tutti e due questi esemplari sono dorati.

SULMONA.


Giuseppe Maria Fusco pubblicò un raro carlino di Ferdinando I d’Aragona, coniato a Sulmona65. Ora io pubblico, per la prima volta, il cavallo impresso in questa zecca col nome di quel sovrano.

[p. 356 modifica]

Cavallo.

D/FERRANDVS •••• REX

Busto a destra con corona radiata.

R/EQVITAS • • • • REGNI

Cavallo a destra; sopra, rosa. All’esergo un cartellino oblungo colle lettere SMPE (Sulmo mihi patria est.... Ovidio, X elegia del IV libro delle Tristi).

Rame, Coll. Sambon.

Napoli, 29 aprile 1891.


Note

  1. Raynaldi, Annales ecclesiastici T. II, p. 213, anno 1239, § XII. Muratori, R. I. S., Vol 3, parte I, p. 584.
  2. Blancard, Monete dell’Imp. Federico II e di Carlo d’Angiò, «Revue Numismatique», 1864.
  3. Ho trovato un interessantissimo documento del 1459, con cui Ferdinando I revoca la concessione, precedentemente fatta ad Antonio de Miraballis, maestro della zecca di Napoli, di coniare ogni anno mille ducati di piccioli della stessa lega di quelli coniati da Messer Insignier e da Salvatore de Miraballis. Della quale revoca è cagione che, avendo presa debita informazione, era venuto a sapere che, ai tempi di Salvatore Miraballis e di Francesco Insignier, si erano coniati piccioli di lega assai più bassa, di quanto era prescritto; di modo che, mentre ai tempi di re Ladislao e della regina Giovanna II, ogni libbra di piccioli conteneva diciassette sterlini di argento, ai tempi di Alfonso non ne conteneva più che dodici. (Camera della Sommaria-Comuni. Vo7. 7 fol. 70 e 78). In altra lettera del luglio 1459 Ferdinando riviene sa questa decisione e dice di volere che Antonio Miraballis «exercisca la zecca in modo et forma che la teneva et exercitava quondam Salvatore Miraballe et etiam Misser Sogner et maxime in lo bactere deli pizuli con dodece sterlini per libra non obstante altre nostre lettere in contrario facte perche questa he la nostra volunta et non volimo sia costritto ad fare più che he stato solito in li tempi passati vivendo la felice memoria del Re nostro patre.» (R. C. S. Curia 4, fol. 26).
  4. Regia Camera della Sommaria-Curia. Voi. 7, anni 1469-1472 altimo foglio, 157 t. Trascrivo qui parte di questo documento: « S. M. ha deliberato et vole che de continente V. S. doneno ordine che se facciano li pizoli o moneta de rame al modo ditto per lo Duca de Ascoli ciò è che sia la moneta tutta de rame et grossa al modo delle medaglie antique con la imagine de la Maestà Sua et con lo reverso de qualche digna cosa como ad lo S. Conte de Magdalone et a V. S. parerà et che sia tolta la facultà de posserese falsificare et per ciò le S. V. habiano hieronimo li parole stampatore et fazano fare li cugni secondo parerà al detto S. Conte et se done ordene ad facere la moneta minuta accioche se provveda ad quieti dapni contenuti in ditta protestatione. Reccomandamo alle Signorie Vostre. Ex Arnone XVI, februarii 1472. »
  5. Archivio storico per le prov. Napoletane. Anno VII.
  6. Sin dal 1487 trovo nelle lettere della curia la denominazione di cavallucci per i piccioli di rame (3 marzo 1487, vol. 20, fol. 186).
  7. Il Fusco crede si coniassero pare a Capua e attribuisce a quella zecca i cavalli colle lettere C A in monogramma.
  8. Salvatore Fusco in certi suoi studii sulle monete aragonesi (mns. Bibl. di San Martino) ha determinato il costo approssimativo di queste monete. Riporto qui le sue parole: « Dal quaderno delle spese e pagamenti fatti dalla zecca di Lecce nell’anno 1465 e da varie comissioni dell’anno 1472 ho potuto raccogliere che ciascuna libbra di rame valeva presso a poco 7 1/2 a 8 grana e la manifattura per improntarla in 180 pezzi doveva essere di circa 4 1/2 a 5 grana, come dai calcoli fatti su un diploma di re Filippo secondo ho raccolto, sicché unite insieme le due partite del costo del metallo e della sua manifattura, si ha la somma di grana 18 circa che costava alla zecca ciascuna libbra di rame monetato e vi era quindi il meschino guadagno di grani 2 ».
  9. Curia 8, fol. 105, 14 maggio 1472.
  10. Privilegi, 2, fol. 178. Però i capitoli de’ privilegi concessi a Sulmona addì 18 maggio (D. Pietro, Memorie storiche della città di Sulmona) ne addimostrano che revocò il prudente divieto di zecca.
  11. Tomo III, libro VI, p. 494.
  12. Esiste un cavallo di Ferdinando il Cattolico colle epigrafi: ivstvs rex e leticia popvli.
  13. V. Catalogo 1880, p. 33, n. 427.
  14. «Como in la dieta cita e stata bactuta la sicla et cognata multa quantità de moneta de rame su l’arme francese se supplica V. M. se digne far valere et spendere diete monete che altrimente seria la disfazione de dieta cita, per esser quella in grande numero et quantità in potere de dicti citatini.» Ravizza, Dipl, Chietini. t. III, p. 26.
  15. Cronaca di Napoli p. 212.
  16. Cedole di Tesoreria, 1947, fol. 42.
  17. Cronaca di Napoli, p. 218.
  18. ivi.
  19. Ivi, p. 224.
  20. T. 1. Rep. Prov. Aprutii citra et ultra, t 127, t. Quinternioni.
  21. Pag. 4 e seg., tav. I, n. 5 e 6.
  22. Pag. 14, tav. I, n. 1.
  23. Regia Camera della Sommaria, Comuni, vol. 4, fol. 21.
  24. Comuni, vol. 7, fol. 26.
  25. Muratori, Ant. Ital. VI, 916.
  26. R. C. S. Comuni, 14, fol. 161 t.
  27. R. C. S. Comuni, 10, fol. 129; ne trovo menzione sino al 1474. R. C. 8. Comuni, 20.
  28. R. C. S. Comuni, 20.
  29. Cam. Esecut 1 fol. 52; 15 fol. 79.
  30. Repertorii dei privilegi, n. 14, fol. 121. Nella conferma dei privilegi aquilani nel marzo del 1507 è menzionata la zecca.
  31. Repert. fol. 290.
  32. R. C. S. Comuni 5 fol. 119 t.
  33. 18 dicembre, Comuni 10 fol. 21.
  34. R. C. S. Comuni 10 fol. 81.
  35. R. C. S. Comuni 11 fol. 165 t
  36. R. C. S. Comuni 18 fol. 147.
  37. Regia Munificentia, ecc., p. 246.
  38. Di questa abbondanza di cavallucci aquilani trovo notizia nelle lettere della Curia. Vien scritto, nel marzo del 1487, dalla Regia Camera della Sommaria a Gasparo de Zizo: « A la parte scrivite che in questa provintia è tanta abundantia de cavalluzzi aquilani che ad pena se trova altra moneta et vui ne havite facti tornare in dereto certi sachi: ve respondemo che in questi ve governate con quilli migliori modi porrite circa lo pigliar de dicta moneta per che credimo che dicta cità de laquila habia licentia del S. Re de fare dicti cavalluzzi sino ad certam summam et nui anchora interea ne consultarimo lo S. Re et ayisarimone. » R. C. S. Curia, Vol. 20, fol. 186.
  39. R. C. S. Curia 23 bis, fol 60 e 61.
  40. R. C. S. Curia 23 bis, fol 74 t.
  41. R. C. S. Curia 23 bis, fol. 95.
  42. R. C. S. Curia 23 bis, fol. 104.
  43. In un processo della Regia Camera della Sommaria (Pandetta antica, Processo, n. 289, vol. 43, fol. 107), Marino Caraczolo dice che la detta casa fa comperata e adibita per la zecca durante il regno di Giovanna II; ma la notizia è evidentemente inesatta. — Nell’edifizio ove era la zecca abitavano i coniatori con le famiglie ed anche talvolta i mastri della zecca. Gian Carlo Tramontano, nel 1495, prese per sè il locale dove prima si radunava la corte dei mastri razionali.
  44. V. Capasso, Sulla casa di Pietro della Vigna in Napoli. — Accademia Pontaniana, 1859, p. 5.
  45. R. C. S. Comuni 7, fol. 26; id. fol. 70 e 78; Camera Esecut. vol. I, fol. 253 t.
  46. R. C. S. Comuni 7, fol. 70 e 78; Esecut. I, fol. 253, t, 348 e 542.
  47. R. C. S. Comuni 7, fol. 70 e 78.
  48. R. C. S. Comuni 7, fol. 138, t, fol. 143 e 10, fol. 81.
  49. Privilegi, 19, fol. 31. In eodem reg. fol. 208.
  50. Vol. 22, fol. 27. V. Repert. essendo perduti i primi fogli del Reg.
  51. Zecche d’Abruzzo, p. 41.
  52. Gian Carlo Tramontano, figliuolo di Ottaviano Fiola Penta, popolano, fu nomo audace e prepotente, e seppe da bassissima condizione elevarsi a tanto da conseguire i più alti uffici del regno. Avendo cominciata la sua fortuna sotto gli Aragonesi, a quelli si mostrò sempre assai devoto; benché la sua devozione sembri motivata solo dall’interesse proprio. Creato Eletto del popolo, addì 8 giugno 1495 (Notar Giacomo, p. 191, Passero, 78) cooperò moltissimo al ritorno di Ferdinando II. Per la qual cosa il Tramontano venne in tanta boria, che fece cacciare, colla forza delle armi, i mastri razionali dal locale, nell’edifizio della zecca, dove tenevano la corte, e se ne impossessò per propria abitazione (Faraglia, p. 102; Arch. storico per le prov. Nap. Anno V, fasc. I). Comprò nel 1497 da Federico d’Aragona, per 25,000 ducati, la terra di Matera (Vol. I, Repert. Quintern. Basilic. ed Otranto). Il conte di Matera fu fatto prigioniero nella lotta tra Spagnuoli e Francesi; ma riscattatosi, fu uno de’ baroni che dopo la battaglia di Cerignola corsero a Napoli per ridurla alla signoria Spagnuola, e gli fu quindi ridata la zecca di Napoli nel giugno del 1508 (Ced. 168, fol. CVIX), e nel 1504 quella dell’Aquila. Avendo però vessato oltremodo que’ di Matera col superbo contegno e la continua richiesta di denaro, venne assassinato la mattina del 29 dicembre 1514, mentre si recava alla Messa nel Vescovado.
  53. Bibl. Nazionale di Napoli, n. 18-28 del mscr. XI, c. 44.
  54. In un processo della Regia Camera della Sommaria. — Processo cit, n. 289. Joannes de Caro magister actorum (1516) cita i maestri della zecca Benedetto de Cutruglio e Gola Spinelli anteriori al Tramontano.
  55. Comune 15, f. 56 (15 agosto 1473), Comune 15, f. 63 (2 aprile 1478), Comune 16, f. 58-54, Curiae 7 (16 febbraio 1472), Cedole di Tesoreria, f. 857 t.
  56. Curia della Cancelleria Aragonese, voi. II, f. 109 (28 ottobre 1494). V. Fusco, Diss. sul ducato di Ruggieri, p. 83, doc. XII, e N. Barone, Arch. stor. per le prov. nap. Anno XIV, fasc. II. Notizie raccolte dai Reg. Curiae della Cancelleria Aragonese, p. 197.
  57. R. C. S. Comuni 14 fol. 234 t.
  58. Debbo questa notizia al gentile amico Conte Rogadeo di Torrequadra.
  59. Curia, vol. II, f. 109.
  60. Passero, Diurnali, p. 85. Lo stesso dice Notar Giacomo: « lo serenissimo Re Ferrando fe XX cavalieri et iectaose più sorte de monete d’argento». (Cronaca di Napoli, p. 137).
  61. Bibl. Nazionale di Napoli, n. 13-23 del ms. XI e 44.
  62. Fabio Giordano scrittore del XVI secolo, nella sua storia delle cose napoletane (Msc. della Bibl. nazionale) a pag. 87 dice pare che si coniarono carlini nel 1477 aventi da una parte la testa del re e dall’altra quella della regina. La notizia però è cassata.
  63. Passero notò la ricchezza della corona del re, dicendo che le gemme della corona e quelle sparse sulla gualdrappa del cavallo su cui cavalcava la regina potevano valere circa 20,000 ducati, somma abbastanza vistosa per quell’epoca.
  64. Description general de las monedas hispano-cristianas desde la invasion de los Arabes. Madrid, 1865-69. Tre vol. in-4.
  65. Addì 16 febbraio 1462 la zecca di Sulmona fu affidata a Marnio de Jan Cane, Amico de Cola, de Aymone e Matteo de Pietri, de Cola, de Simone. Potevano coniare carlini, tornesi e piccioli. (V. N. Faraglia, Cod. dipl. sulm. p. 354).