Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo IV/Libro III/Capo II

Da Wikisource.
Capo II – Poesia provenzale

../Capo I ../Capo III IncludiIntestazione 6 marzo 2019 25% Da definire

Libro III - Capo I Libro III - Capo III
[p. 514 modifica]

CAPO II.

Poesia provenzale.

I. A qual tempo e a qual occasione cominciassero gli Italiani ad invaghirsi della poesia provenzale e a coltivarla, si è già esposto da noi, ove dell’origine di questa e della italiana poesia abbiam ragionato (l. 3, /. 4)• Abbiamo ivi osservato che Folchelto da Marsiglia genovese di patria è il primo tra gl’italiani di cui ci sia rimasta certa memoria che verseggiasse in tal lingua. Ma nel decorso del secolo susseguente assai maggiore fu in Italia il numero de’ poeti provenzali. Noi dobbiam qui ragionarne, e ci conviene esaminar questo punto di storia letteraria colla maggior esattezza che ci sia possibile, per ripurgarlo dalle innumerabili favole di cui l’ha ingombrato il Nostradamus, e di cui non l’hanno liberato abbastanza nè il Crescimbeni, il quale pure ha usato in ciò la maggior diligenza che allora era possibile, nè il Quadrio, il qual sembra narrarci ciò che meglio [p. 515 modifica]TERZO 5I5 gli piace, senza recarcene per lo più pruova di alcuna sorte, come abbiamo in parte veduto nel precedente tomo, e come farassi ancora più manifesto da ciò che in questo capo ne dovrem dire (a). Prima però di entrare ad esaminare le notizie de’ poeti provenzali, convien dir qualche cosa del pregio in che erano i lor versi in Italia, e del favore con cui essi erano accolti alle più splendide corti. Io non parlerò delle corti e de’ signori di Provenza, e degli onori di cui essi erano liberali a cotali poeti. Questo nulla appartiene alla storia della letteratura italiana; e chi brami averne contezza, oltre i molti scrittori francesi, può ancor vedere l’altre volte citata opera di monsignor Fontanini (Dell’Eloq. ital. l. 1, c. 18). Io non debbo parlare che degli Italiani; e benchè questi dalla munificenza de’ signori provenzali, alle cui corti probabilmente si recavan talvolta, potessero venir animati a coltivare la poesia, nondimeno nelle corti italiane ancora trovavano essi e stimolo e premio a’ poetici loro studi. II. Un bel monumento ne abbiamo nel pregevolissimo codice di Poesie provenzali scritto, come altrove si è detto, l’anno 1254, che(; insieme con un altro assai più recente conservasi in questa Estense biblioteca (*). Verso il (a) Dulie Vile de"’ Poeti provenzali senile da M. Millot si è detto nel tomo precedente, ed avremo in questo capo frequente occasione di esaminarle. (*) Uu altro bel codice di Poesie provenzali , die contiene z —i» canzoni, e clic fu scritto nel izttrf, cii.è quattordici anni sulo dopo l’Estense, conservasi nulla libreria Nani in Venezia (Codici MSS. dlla [Ahr. Ni ori, />. ì , cu.). Ma niun poeta di patria italiano >i io nominato, fuorché Polchello di Marsiglia. [p. 516 modifica]5i6 LIBRO line del più antico si trova il nome di chi raccolse le poesie che in esso contengonsi, colla seguente annotazione scritta in provenzale, e ch’io recherò in italiano secondo la traduzione fattane dal Muratori (Ant. Est. t. z, p. 11). Maestro Ferrari fu da Ferrara, e fu giullare (cioè buffone di corte), e s’intendeva meglio ili 7 ’rovare o sia Poetar Provenzale, che alcun uomo che fosse mai in Lombardia: e sapea molto ben lettere, e nello scrivere persona non avi a chi l pareggiasse. Fece di molti buoni libri e belli. Cortese uomo fu di sua persona; andò e volentieri servì a baroni e cavalieri, e a’ suoi tempi stette nella casa d Este. E quando occorreva che i marchesi facessero festa e corte, vi concorreano ¡giullari giullari s’intènde s’intendeano della lingua provenzale, e andavano tutti a lui, e il chiamavano lor maestro. E se alcun vi venia che se n intendesse meglio degli altri, e che facesse quistioni di suo trovare, o d’altrui, maestro Ferrari gli rispondi a all’improvviso , in maniera eli egli era primo campione nella corte del marchese d’Este (Azzo VII). Non fece però mai che due canzoni e una retruenza: ma di serventesi e coble (nomi tutti di poesie provenzali di diverso metro) ne compose assai e delle migliori del mondo; e di cadauna canzone, o serventese trasse una, o due, o tre. coble di quelle che portano le sentenze delle canzoni, e dove son tutti i motti tirati. Questo estratto è scritto qui innanzi. E nel medesimo estratto non volle na ttere alcuna delle sue coble. Ma colui di cui è il libro, ve ne fece scrivere, acciocchè restasse memoria [p. 517 modifica]j TERZO ^I7 di lui. E mastro Ferrari, quando era giovane, attese ad una donna che avea nome madonna Turca, e per quella donna fece di molte buone cose. E quando arrivò ad essere vecchio , poco andava attorno; pure si portava a Trivigi a messer Girardo da Camino e suoi figliuoli, che gli faceano grande onore , e il vedeano volentieri, e con molte accoglienze, e il regalavano volentieri per la bontà di lui, e per amore dei marchese d Este. III. Da questo raro ed unico monumento noi veniamo a conoscere l’indole ed il costume de’ poeti provenzali di questa età. Essi eran detti giullari, che è lo stesso che buffoni, nome certamente poco onorevole alla dignità de’" poeti, ma più spesso dicevansi Trovatori, nome che sembra nato dal trovar ch’essi facevano i concetti e le rime per poetare. Ma se ben riflettiamo alla lor maniera di verseggiare, vedremo che non male loro si conveniva anche il primo nome. Essi in primo luogo , come raccogliesi dal passo soprarrecato, sfidanvansi l’un l’altro a verseggiare e a rimare innanzi a’ principi e ai gran signori. E quando alcun di questi celebrar volea solenne festa , costoro non mancavano di venirvi in folla per dar saggio del lor valore poetico e farsi gran nome. Quindi innanzi a numerosa assemblea si veniva alla sfida, che consisteva singolarmente nel trovar prontamente i pensieri e le rime con cui rispondere a chi sfidava. Cotali sfide e cotali rime improvvise dovean naturalmente dar occasione a molte piacevoli incidenze, e porger materia di trattenimento e di riso agli spettatori. in. Caratura di qurati poeti. [p. 518 modifica]5l8 LIBRO Aggiungasi. che le lor poesie eran comuneniente d1 amore; ed essi o il fossero, o nol fossero, dovean mostrarsi innamorati, parlare dell’oggetto da essi amato, e rammentare, o fingere le prodezze per esso operate. E quindi forse ebbero origine quelle sì strane e sì romanzesche vicende che leggiamo nelle lor \ ite scritte dal Nostradamus, e buonamente adottate dal Crescimbeni e dal Quadrio, ove non veggiam altro che lunghi pellegrinaggi per amore intrapresi, duelli per amor sostenuti, erbe, beveraggi , veleni, e per fin demoni adoperati per ismorzare o per accendere amore, disperazioni e morti per ultimo cagionate da amore; talchè par che costoro altra occupazion non avessero che amare e cantare, e amando e cantando impazzire. Io credo che non andrebbe lungi dal vero chi credesse che cotali pazzie fossero da’ provenzali poeti immaginate, o finte per destar maraviglia co’ loro versi, e per superare in fama i loro rivali, mostrando di superarli in impeto e in forza d’amore; talché fosse creduto miglior poeta non sol chi facesse versi migliori, ma ancora chi narrasse di se medesimo più strane vicende. Le quali cose, che altra esistenza non avean avuta mai che nella poetica lor fantasia, poteron credersi da alcuni veramente avvenute, e riputarsi degne che se ne tramandasse a’ posteri la memoria. Or poeti che in tal maniera e di tal argomento rimavano, come dovean essere di trastullo a chi gli udiva, così non è maraviglia che il nome ne ricevessero di giullari. Come però fra le loro pazzie essi davano ancora a [p. 519 modifica]TEr.zo 5tg eonoacere il loro ingegno, e nelle lor poesie trovavansi spesso sentimenti vivi e ingegnosi (a), che furon poscia imitati da1 poeti che vennero appresso, così essi erano ancor avuti in gran pregio) e i principi italiani garcggiavan tra ioro nel chiamarli alle lor corti e nel1’onorarli. IV. Dal monumento poc’anzi prodotto veggiamo che il marchese Azzo VII d’Este , che dall’anno t2i5 fino al 1264 hi uno de’ più saggi e più possenti signori d’Italia , godeva di averli sovente alla sua corte , e rendeva lor quell’onore che a’ lor talenti e a’ loro studi credeva doversi (b), dando con ciò a’ gloriosi suoi successori i (a) Non può negarsi che sentimenti vivi e ingegnosi non si trovin talvolta nelle poesie provenzali. Ma io sono ben lungi dal volerle proporre come modello degno d’imitazione. Pochi pensieri volti e rivolti in mille fogge diverse, e. nessuna molto felice, espressioni basse e volgari, nojosa monotonia e insoffribile prolissità, versi duri e difficili, rime strane e stentate, sono le doti che generalmente accompagnano le provenzali poesie. Questo è il carattere delle poesie provenzali che fa un ingegnoso scrittore, l’ab. D. Giovanni Andres (Dell’Orig. ec. d’ogni Letterat. t. 2, p. 50) , a cui certo niuno potrà rimproverare una cieca prevenzione contra Hi esse. (/>) Le frequenti adunanze de’" Provenzali , che si tenevano nelle corti del march. Azzo d’Este e di altri principi italiani, ci fanno conoscere che a questi principi assai più che alla visita fatta dal conte di Provenza all’imperadore Federigo I deesi il fervore con cui si prese a coltivare in Italia la poesia provenzale. A ciò dovette concorrere anche l’imperatore Federigo II, a cui venivano da ogni parte , come altrove osserviamo , trovatori, sonatori, ec. Quindi deesi rigettar come falsa l’opinione proposta già dal Gravina (Delia R ig’on poetica, l. 1, c. 7), poscia avidamente abbracciata c IV. All*» principi ¿taluni lor proiettori. [p. 520 modifica]5:*o libro primi esempi di quella splendida munificenza con cui essi in ogni età hanno avvivate e protette le lettere e i letterati. •> Quindi non è maraviglia se di lui e delle principesse di lui figlie si parla spesso con lode da’ Provenzali. In una canzone di Rambaldo di Vaqueiras, riportata da M. Millot (t. 1, p. 278), ei nomina lafiglia del marchese d’Este. la quale è in possesso) di tutte le cortesie e virtù. Osserva lo stesso scrittore che Raimondo d’Arles ha 5 canzoni in lode di madonna Costanta d’Este (t. 3, p. 431), la quale appunto fu figlia di Azzo VII (Murat. Antich. Est. t. 2, p. 20), e che Americo di Peguilain ne ha alcune dirette a madonna promossa dall’ab. Lampillas (Sagg. della Lette/-. spagn. par. 1 , t. 2, p. 192), e dal!’al». Arteaga (Rieoi. del Teatro munir, ital. t. 1 , p. 149 , ed. Ven.), riot? die quando Carlo d1 Augii) , per usar le parole di quest’ultimo scrittore, discese di nuovo per impadronirsi di Aapoli e di Sicilia , molte truppe di Mcnestrieri cominciarono a farsi conoscere di qua da’ Monti, ore insieme, colla loro maniera di poetare introdussero anche presso al popolo la Musica. ec. Il sig. Aapoli Sigiiordli a ribattere questa opinione osserva giustamuite die se la venuta di Carlo 1 al regno di A’apoli avesse concorso a promuover lo studio deila provenga] poesia, ninna parte d’Italia sarebbe stata cosi feconda di poeti provenzali, quanto quel regno. Or al contrario noi ne troviamo quasi in ognuna delle nostre provincie, iuurchè in quel regno , ove non se n’ è finora scoperto un solo (Vicende della Coltura nelle Due Sicilie, t. 3, p. 5i, ec.). Aggiungasi a ciò, che quasi lutti i poeti provenzali da me qui rammentati furono anteriori n’in venuta di Carlo 1, e pochissimi dopo il regno di quel sovrano se ne incontrano, li pare perciò che fosse quella I epoca del cessare anziché del fiorire iti Italia la poesia provenzale. [p. 521 modifica]TERZO Vii Beatrice il1 Esle (l. a, p. 237), la quale o è quella figlia dello stesso Azzo VII, che abbandonato poi il mondo, e rendutasi monaca in Ferrara , fu celebre per santità (Murat. l. cit. p. 21), o è un’altra Beatrice figlia del marchese Aldovrandino fratello di Azzo maritata nel 1234 ad Andrea re d’Ungheria (ivi t. 1, p. 419)- Veggiamo ancor nominato nel passo già riferito come protettore de’ Provenzali Gherardo da Camino signor di Trevigi. Anche Bonifacio III marchese di Monferrato dal 1225 fino al 1254 fu splendido mecenate di que’ poeti. Lo stesso Rambaldo di Vaqueiras, nominato poc’anzi, venuto di Francia in Italia, fermossi alla corte di esso, e ne ebbe il grado di cavaliere e di compagno d1 armi. Anzi ivi ei si accese d’amore per Beatrice sorella del marchese, e moglie del signor del Carretto (Millot t. 1, , 270), cioè di quell’Arrigo del Carretto che è nominato negli Annali antichi di Genova all’anno 1226 (Script. rer. ital. col. 6, p. 442) e altrove. Di essa e del marchese Bonifacio ei parla assai spesso nelle sue poesie, e rammenta ancora (Millot t. 1, p. 286) l’andar eli’ ei fece con lui in Terra Santa , il che pare che debba, intendersi della spedizione dell’anno 1224, in cui Bonifacio accompagnò il marchese Guglielmo suo padre che ivi poi finì di vivere l’anno seguente (Murat. Ann. di Ital. ad an. 1224). Anche di Folchetto di Romans si racconta (l. cit. t. 1, p. 460) che venuto in Italia, fu alla corte di Federigo II, del marchese di Monferrato e del signor del Carretto. Dello stesso marchese Bonifacio fa menzione [p. 522 modifica]5aa libro anche Giovanni d’Aubusson, che accenna la lega da lui stretta l’anno 1229 con Federigo II (t. 2, p. 207). Nelle poesie mentovate poc1 anzi di Guglielmo di Vaqueiras veggiamo ancor rammentate le Dame di Vercelli, e Agnese di Lantù e di Ventimiglia , e Madama di Savoja (t. 1, p. 279), la quale è Beatrice figlia del conte Tommaso di Savoja, e moglie di Raimondo Berengario conte di Provenza. Di questa parla anche un altro poeta provenzale detto Americo di Belenvei, il quale insieme loda Agnesina di Saluzzo, la contessa Beatrice di lei cugina , la dama di Massa e la contessa del Carretto (t. 2, p. 334) , le quali seguita aveano la suddetta contessa in Provenza. Cosi le principesse e le dame italiane col proteggere e favorire i poeti provenzali ottenevano insieme di essere co’ versi lor celebrale ». E non è a dubitare che altri ancor tra’ principi italiani non imitassero i loro esempii, e non venisser così animando vie maggiormente cotai poeti. Finalmente vuolsi riflettere che la Lombardia singolarmente e il Piemonte eran fecondi di coltivatori della poesia provenzale, come raccogliesi da’ monumenti medesimi. Così veduto qual fosse l’indole e quali i costumi dei poeti provenzali, passiamo a parlare di ciascheduno di quelli tra gli Italiani che in essa si esercitarono, e che da noi si annovereranno con quell’ordine stesso con cui dal Quadrio sono stati disposti. V. Il primo che dopo Folchetto vien rammentato dal Quadrio, è Niccoletto da Torino piemontese. Il Crescimbeni non altra notizia ce ne somministra (Comm. della volg. Poes. t. 2, [p. 523 modifica]TERSO 5j3 par. I, p. aio), se non di aver vedute alcuno cobole di questo poeta in un codice della Vaticana. Il Quadrio vi aggiugne (Stor. della Poes. t. 2, p. iig)j ma senza recarne alcun fondamento, ch’egli venne più volte a tenzon poetica con Ugo di S. Ciro del territorio di Cahors, il quale , secondo il Nostradamus, morì l’an 1225 per dispiacere di non veder corrisposto il suo amore, genere di morte ne’ provenzali poeti frequente assai (*). Di questo poeta niun componimento si legge ne’ due codici estensi. Italiano ancor sembra che fosse Pietro della Caravana , come scrivono il Crescimbieni (l. cit. p. 213) e il Quadrio (l. cìt. p. 213) , o della Gavarana, come leggesi nell’antico codice estense; il che si raccoglie per congettura da un suo componimento che leggesi ancora nel suddetto codice estense (p. 206), in cui esorta i Lombardi a non fidarsi troppo ai Tedeschi. Non vi ha però indicio ad accertare a qual tempo ei vivesse. Di questi due poeti non leggesi alcuna di quelle romanzesche vicende che nelle Vite de’ Provenzali sì spesso s’incontrano , e che noi comincieremo a vedere ne’ due seguenti. (*) Di Nicoletto ila Turino fa un breve cenno SVI. iVIi!lot, e ne cita i Coni plot* uvee lingue* de Saint- Cyr sur unc aventure galante (flist. de* Tinbadnur*, t 1, p. 4to), e ci rimette all’articolo Hi Folguet de Roman*. Io ho veduto questo articolo (t. 1. p. 46), e quello ancora ili Lgo di.S. Ciro (l. 2, p. 174)1 e non v* trovo menzione di Nicoletto. Di Pietro della Rovere ei parla assai brevemente (l. 3, p. 4*4)[p. 524 modifica]5a4 LIBRO VI. Souo essi Bonifacio Calvi genovese, e i Bartolomineo Giorgi veneziano. Del primo narraci il Nostradamus, seguito dal Crescimbeni (p. 81) e dal Quadrio (p. 124), che giovinetto lasciò la patria , e andò alla corte del re Ferrando che regnava in Castiglia, l’anno 1248; che il re il distinse con molti onori e il creò cavaliere; che si accese d’amore per Berlinghiera nipote del re; che scrisse una canzone in tre lingue, cioè nella provenzale, nella spagnuola e nella toscana ad Alfonso re parimente di Castigliapersuadendolo a muovere guerra al re di Navarra e di Aragona. Aggiugne il Nostradamus che, secondo qualche altro scrittore , Bonifacio si recò alla corte di Alfonso, e non già di Ferrando; e che mandato da lui al conte di Provenza, vi ebbe in moglie una damigella della casa de’ conti di Ventimiglia , con cui non visse che poco tempo. Conchiude finalmente dicendo che tutta la felicità di questo poeta non durò che un anno, e che morì verso il tempo suddetto, cioè circa l’anno 1248. Il Nostradamus qui non fa alcuna menzione dell’amicizia ch’egli ebbe con Bartolommeo Giorgi, anzi di questo secondo poeta ei non fa motto nella sua Storia. Ma di lui trovansi alcune notizie in un codice della Vaticana , citato dal Crescimbeni (p. 187) e dall’eruditissimo Foscarini (Letterat, venez. p. 39, nota 98), e ad esse sono conformi quelle che leggonsi nel più recente codice estense (p. 271). Dicesi in essi che il Giorgi fu uomo di senno, e che viaggiando fu preso da’ Genovesi i quali [p. 525 modifica]TERZO avean guerra coi Veneziani; che condotto a Genova vi stette sette anni prigione, e che avendo egli ivi composta una serventese in biasimo de’ Genovesi, il Calvi, che benchè genovese, era nondimeno favorevole a’ Veneziani, un’altra del medesimo argomento ne fece, e che indi nacque la stretta amicizia fra questi due poeti ne’ sette anni in cui il Giorgi si stette prigione in Genova; che questi liberatone finalmente, tornò a Venezia, e fu mandato castellano a Corone ove morì (’). Io non so di qual antichità sia il codice vaticano in cui si hanno cotali notizie. L’estense è certamente moderno assai; e non possiamo conoscere se le poche Vite de’ Provenzali che in esso leggonsi, sieno esse pure di autor moderno, o se sian tratte da codice più antico. Ciò che è certo, si è che la Vita del Calvi scritta dal Nostradamus non è in alcun modo conforme a quella del Giorgi, che leggesi ne’ detti codici; perciocchè nella prima il Calvi parte giovinetto da Genova, e non vi fa più ritorno, e non si vede alcuna amicizia di lui col Giorgi; nella (*) Le Vite di Bartolommeo Giorgi e di Bonifacio Calvi, che ci ha date Al. Millot (t. 2, p. 344), sono fi a le più esatte notizie si abbiano nella sua Storia; e bei lumi intorno a varii fatti di quell’età ci danno alcune loro canzoni che ci ne ha pubblicate. Egli ancora però afferma die il Calvi era iti Castiglia , quando il Giorgi compose la su i canzone che diede occasione a’ due poeti di stringersi in amicizia l’un l’altro; e nel Giornale di Modena (l. p, p. 74) si b l’alto osservare che c assai più piobahile , come altri codici delle Vite di questi poeti raccoutano , che anche il Calvi fosse allora in Genova. [p. 526 modifica]5a6 libro seconda si vede il Calvi in età sufficientemente matura essere in Genova , e stringer col Giorgi un’amicizia d’alcuni anni. Per altra parte anche nel codice estense si leggono i due sopraccennati componimenti, da’ quali nacque amicizia fra questi due poeti; onde il racconto del codice vaticano e dell1 estense non è improbabile. Sembra al medesimo tempo che non possa dubitarsi della gita di Bonifacio alla corte di Castiglia; perciocchè nel codice estense si trovano alcune canzoni da lui scritte a quel sovrano. Nè io crederò già così facilmente che quegli fosse il re Ferrando, come dice il Nostradamus , che regnava l’anno 1248; perciocchè questi era il santo re Ferdinando, il quale tutto intento a combattere co’ Mori, non dovea certo fare gran conto di un innamorato poeta; ma è più verisimile che fosse il re Alfonso X, che succedette a S. Ferdinando suo padre l’anno 1252, e ch’era splendido protettore de’ dotti. Se dunque è vera l’amicizia dal Calvi contratta col Giorgi in Genova, come sembra provarsi dalle lor poesie, converrà dire che ciò avvenisse prima che il Calvi n’andasse in Castiglia, ovvero ch’egli dopo alcun tempo tornato a Genova, ivi conoscesse il Giorgi. Di amendue questi poeti leggonsi molte poesie nell’accennato moderno codice estense, cioèi.14 del Giorgie e 17 del Calvi (p. 266, 271). Non dee qui ommettersi un grave errore del Fontanini, il quale dice (Dell’Eloq. ital.l. 1, c. 19) che il Giorgi compose una canzon provenzale in morte di Federigo il Bello austriaco figliuolo di Alberto f, e morto l’anno i.33o. Ma il Foscariiu usseri a [p. 527 modifica]TERZO 527 (l. cit.) che il Federigo di cui il Giorgi ragiona, è quel Federigo d’Austria che preso insieme con Corradino, fu con lui decapitato in Napoli per comando del re Carlo I l’anno 1268. VII. Abbiam già confutati altrove i romanzeschi racconti che il Nostradamus ci ha fatti intorno al celebre Guglielmo di Durante, che benchè non fosse italiano, visse nondimeno assai lungamente in Italia , nè fa perciò bisogno che di nuovo prendiamo qui a favellarne. Il Crescimbeni (p. 185) e il Quadrio (p. 127) nominano ancora un certo Alberto Cailla ossia Quaglia , cui dicono natìo d’Alberges o d’ALbenga città della Riviera occidentale di Genova, e di cui il Quadrio fissa l’età dopo la metà del secolo XIII. Di lui abbiamo una sola canzone nel più moderno codice estense (p. 165), ove ei dicesi natìo d’Albezer, e se ne recano quelle stesse poche notizie che ne producono i due suddetti scrittori (*). Nulla ancor possiam dire di Paolo Lanfranchi pistojese , o secondo altri pisano, di Simone Doria genovese , che si nominan dal Crescimbeni (p. 211, 218) e dal Quadrio (ib. p. 128), seppure questi è diverso da quel Princivalle o Percivalle, di cui ora ragioneremo, e di quel Migliore degli Abati (*l Di Guglielmo (li Durante, di Alberto Quaglia, di Simone e di Percivalle Dona, e di Migliore degli Abati, o ni una, o solo una superficiale menzione si troia presso l’ab. Millot. Di Paolo Laufranchi si accennano alcuni frammenti di poesie provenzali che ci sono rimasti (t. 3, p. 4’23); e dimenticati pure, o appena accennati sono Ugo Cai ola, Guglielmo di.Silvacaua e Pieno della Mula. [p. 528 modifica]\ 5a8 Mano fiorentino, di cui fa menzione monfignor Fontanini (l. cit. c. 12). Solo di quest1 ultimo ini è avvenuto di trovar menzione nelle Cento Novelle Antiche, ove così di lui si dice (Nov. 79): Messer Miglior degli Abati di Firenze si andò in Cilicia al re Carlo per impetrar grazia che sue case non fossero disfatte. Il Cavaliere era molto ben costumato, e seppe il Provenzale oltre misura ben pmferere. Vili. Più celebre è il nome di Percivalle Doria , che dal Nostradamus si dice (Crescimb. p. 9.5) gentiluomo genovese, governatore e podestà d’Avignone c ri’ Arles per Carlo I re di Sicilia, filosofo e poeta assai buono, e autore di più poesie provenzali e anche italiane? come dice il Quadrio (l. c.), e di una provenzale singolarmente sulla guerra tra Carlo I e Manfredi re di Sicilia , in cui si mostra favorevole al primo, e riprende e maltratta il secondo; e finalmente morto in Napoli l’an 1276. Due Percivalli Doria io trovo a questi tempi medesimi, ch’io credo non sol di persona ma di famiglia interamente diversi. Perciocché non v’ ha chi non sappia che oltre la nobilissima famiglia de’ Doria genovesi, un’altra ve n’ebbe in Napoli, che dalla signoria della città di Oria in quel regno prese il cognome, che prima era de’ Bonifaci, la qual famiglia estinta essendosi infelicemente nel secolo xvi, quel principato fu dato a’ Borromei, e da S. Carlo venduto per soccorrere a’ poveri , fu poscia da Filippo II conceduto a Davide Imperiali, i cui posteri ancora il posseggono (Ammirato Famig. napol. t. 2, p. 377). Egli è ben vero che la signoria [p. 529 modifica]TERZO SaQ d’Oria solo nel secolo xiv fu conceduta alla famiglia de1 Boni faci; ma potrebb’essere che qualche altra famiglia l’avesse di questi tempi. Or io trovo nelle antiche Cronache genovesi che Percivalle Doria genovese l’anno 1255 fu mandato ambasciatore da quella città a’ Lucchesi e a’ Fiorentini (Script, rer. ital. vol. 6, p. 52 1), e l’anno ia58 fu collo stesso titolo inviato con altri nobili Genovesi ad Alessandro IV (ib. p. 525). E questi probabilmente è quel desso ch’era già stato podestà in Parma r anno 1243 , come abbiamo nell’antica Cronaca di quella città: In mccxliii Dominus Princivalus de Oria de Janua fuit Potestas Parmae (Script. Rer. ital. vol. 8, p. 769). Veggiamo al tempo medesimo che Manfredi re di Sicilia nominò suo vicario nella Marca d’Ancona Percivalle Doria, di cui parlano il continuatore di Niccolò di Jamsilla (ib. p. 586) e Saba Malaspina (ib. p. 800); e dicono ch’egli era affine e famigliare del re medesimo; il che ci rende assai probabile ch’egli fosse natìo del regno. Di lui raccontano gli storici stessi (ib. p. 594, 810) che l’anno 1264, combattendo pel re Manfredi contro le truppe pontificie, nel passaggio di un piccol fiume rimase sommerso. Ei dunque non può essere il poeta di cui trattiamo , perciocchè questi , secondo il Nostradamus , era certamente seguace del re Carlo , e nemico perciò di Manfredi. E sembra quindi che le poesie provenzali attribuir si debbano al Genovese. E molto più che il Percivalle Doria seguace del re Manfredi, essendo morto, come abbiam detto, l’anno 1264), non potè cantare Tiraboschi, Voi. IV. 34 [p. 530 modifica]IX. Alberto marchese IMjlaspina. 530 LiBKU la guerra tra lui e il re Carlo, perciocchè questi non venne in Italia che l’anno 1265. Di questo poeta niun componimento ritrovasi ne’ due codici Estensi. IX. Quattro altri provenzali poeti veggiam poco appresso nominati dal Quadrio (l. cit. p. 129, ec.), de’ quali il Nostradamus non fa menzione: Lughetto Catello che sembra lo stesso che nel più antico codice Estense , ove se ne ha un componimento (p. 208), si dice Ugo Catola. di cui non sappiamo la patria, e di cui il Quadrio, seguendo il Crescimbeni, dice che molte poesie scrisse contro le tirannie de’ principi, il che ci rende credibile ch’ei fosse italiano 5 Alberto marchese, cioè de’ marchesi Malaspina di Lunigiana, valente uomo, liberale, cortese e dotto, di cui pure hassi una canzone nell’antico codice Estense (p. 146) (*)} Guglielmo di Silvacana che sembra italiano, o certo vissuto in Italia, poichè dice il Quadrio ch’egli morì per troppo amore di una dama della Rovere; e Pietro della Muta monferrino, del quale ancora nel medesimo codice Estense si leggono tre canzoni (p. 197). Noi ci arresterem brevemente su quello solo tra essi che (*) Del marchese Alberto Mulaspina ha pubblicate alcune poesie M. Millot, il quale pur congettura, come noi abbiam fatto, eh’ei vi’esse sulla fine del X secolo, e accenna gli elogi con cui ne han ragionato il Bembo, r Equicula e il Creseimbeni 11. 1 , p. 334, ec-)• Eyli ha ancor pubblicata una tenzone del marchese Alberto con Rambaldo di Yaqueiras; ma ei medesimo osserva 1 he non è possibile che il marchese ne sia autore, e agli argomenti eli’ egli ne reca, si può aggiuguere che sembra che il mai« licse tosse anteriore d’eli» a Rambulilo. [p. 531 modifica]TEUZO 53I per l’antichità e nobiltà della sua famiglia è degno di più distinta menzione, cioè il marchese Alberto Malaspina. Nella erudita ed esatta Genealogia che di questa famiglia ha tessuto l1 avvocato Migliorano Maccioni professore di legge nell’università di Pisa (Expositio Rationum prò Tre schietti Investitura, p. 8 , ec.), due Alberti veggiamo che a questo tempo appartengono, uno figliuolo secondogenito di Opizzone che vivea nel 1202, l’altro figliuolo di Opizzino ossia Oppizzone III che vivea l’anno 1275, e che probabilmente visse ancora più anni dopo; poichè Niccolò Marchesotto figliuolo di questo Alberto era ancor vivo l’anno 1339. Ora il vedere che nel più antico codice Estense, scritto nel 1253, si veggono poesie del marchese Alberto, mi rende probabile ch’esse al primo attribuire si debbano, e non al secondo. Quindi ei fu probabilmente quell’Alberto Malaspina di cui nelle antiche Cronache di Genova si legge (Script. Rer. ital. vol. 6, p. 381) che l’anno 1 198, essendo condottiero de’ Tortonesi e de’ loro alleati , combattè con poco felice successo contro de’ Genovesi; e quel medesimo che è nominato in un contratto di Bonifacio marchese di Monferrato fatto l’anno 1202, e accennato da Benvenuto di S. Giorgio (ib. vol. 23, p. 363). Non può però dirsi ch’ei non possa in alcun modo essere il secondo Alberto, di cui ancor vivente, e probabilmente ancor giovane, si inserissero le poesie tra quelle de’ Provenzali. X. Da questi passa il Quadrio al famoso Sordello da Mantova, che è il più illustre tra tutti i poeti provenzali di questa età, e di cui [p. 532 modifica]53a libro perciò dobbiain qui favellare colla maggior esattezza che ci sia possibile (*)• E per proceder con ordine, noi verrem prima recando ciò che ne dicono il Nostradamus e il Crescimbeni e il Quadrio; poscia vedremo ciò che ne narrano i recenti storici mantovani; finalmente porremo ad esame ciò che avrem veduto narrarsi da essi con ciò che ne narrano i più antichi e a lui più vicini scrittori. Il Nostradamus (‘) Non vi ha tra’ poeti provenzali alcuno, le ricerche della cui vita siano state così trascurate da M. Millot, quanto quelle di Sordello, benchè pure la celebrità di un tal nome esigesse qualche particolar diligenza. Se si porrà a confronto il poco ch’egli ne dice (t. 2, p. 79) con ciò che noi abbiam procurato di rischiarare , si vedrà chiaramente quanto in questa parte sia stato superficiale l’autor francese, il quale però è degno di lode pel darcene ch’egli ha fatto alcune poesie tradotte. La reale accademia di Mantova ha procurato di eccitare i concittadini di Sordello a fare sulla vita di esso diligenti ricerche , proponendone l’elogio per argomento di concorso ad uno de’ consueti premii. Niuno finora ne è stato giudicato degno. Ma io ho veduto un eloquente ed erudito elogio di questo illustre poeta e non men illustre guerriero, non presentato al concorso, ma letto nell’accademia dal ch. sig. co. Giambattista d’Arco, uno de’ principali ornamenti di quella adunanza, il quale a mia richiesta me ne ha cortesemente trasmessa una copia. Benchè in esso non si producano nuovi monumenti , che invano finora si son ricercati, a illustrazione delle imprese di Sordello, i meriti nondimeno così verso le lettere, come verso la patria di quel celebre uomo vi sono esposti in buon lume. Un nuovo pregio però ha egli attribuito a Sordello sull’autorità di un certo Riccardo da Modigliana, cioè l’aver tradotte tre volte le Storie di Cesare, e due volte quelle di Curzio, e l’aver presentati al Consiglio della sua patria certi suoi scritti sull’arte di difender le piazze. [p. 533 modifica]TERZO 533 adunque, Iradotto dal Crescimbcni (p. 114 > > altro 11011 dice, se non che Sordello fra gli Italiani fu il più elegante scrittore di poesie provenzali j che nelle sue poesie non trattò mai di amore, ma di filosofia solamente; che Raimondo Berlinghieri!, ultimo di questo nome tra’ conti di Provenza, negli ultimi giorni di sua vita chiamollo alla sua corte, essendo Sordello di età di soli 15 anni; e aggiugne poscia l’analisi di una canzone da lui composta poco dopo l’anno 1181 nella morte di Blancasso gentiluom provenzale; e nomina ancora alcuni trattati che in prosa provenzale egli scrisse. Quindi il Crescimbeni soggiugne che in un codice della Vaticana altre notizie si trovano di Sordello, che son quelle appunto riferite poscia dal Quadrio (p. 130), cioè eh1 ei fu originario di Goito castello del Mantovano, e figliuolo (Tun povero cavaliero detto Elcort. Quindi racconta che egli andato in corte del conte di S. Bonifacio, s’invaghì della moglie di lui, e non trovolla insensibile alle sue lusinghe; clic essendo poscia il conte divenuto nemico de’ fratelli della moglie, e perciò essendo questa da lui maltrattata, i fratelli medesimi (cioè Ezzelino e Alberico da Romano) la fecero involare al conte insiem con Sordello , il quale presso lei e presso i fratelli dimorò lungo tempo; che andato poscia in Provenza, e divenuto caro pel suo valore nel poetare al conte Raimondo, ebbe da. lui la signoria di un castello e una gentil moglie. Cosi il codice Vaticano. Segue il Crescimbeni narrando che nelle Vite de’ Poeti scritte da Alessandro Zilioli , ma non mai [p. 534 modifica]XI. Prodesse di Sordello in flalia , secondo la narrazione d.! Platina. 534 I.IBRO venute alla luce, si dice che Sordello fu de’ Visconti di Mantova; che ottenne gran nome giostrando anche alla corte del re di Francia; che ebbe per moglie Beatrice figliuola di Ezzelino; che fu rettore e capitan generale di Mantova e nemico di Ezzelino. Le quali notizie, benchè tra loro così diverse, ha nondimeno il Quadrio congiunte insieme felicemente, come se fosser tratte da un medesimo fonte, tacendone solo le giostre, ed aggiugnendo che Sordello finalmente morì vecchissimo verso il 1 2S0. Fin qui questi scrittori, i quali ognun vede quanto sien poco tra lor concordi, e qual aria vi abbia ne’ lor racconti di favoloso e di romanzesco. Ma tutto ciò è nulla in confronto di quello che ne narrano alcuni recenti scrittori della Storia di Mantova, da’ quali sembra che raccogliesse le sue notizie il Zilioli. Io scelgo quello che tra’ recenti è il più antico, cioè Bartolommeo Platina morto l’anno 1.481, la cui Storia di Mantova, pubblicata già dal Lambecio, e stata di nuovo data alla luce dal Muratori (Script. Rer. ital. vol. 20, p. 609). Ed ecco in breve ciò ch’egli assai lungamente racconta (ib. p. 680, ec.). XI. Sordello nacque l’anno 1189 da nobile e ricchissimo padre della famiglia de’ Visconti orionda da Goito, e superiore a tutte le altre in dignità e in potere. Istruito nelle lettere, scrisse ancor giovinetto un libro cui diè il nome di Tesoro. Giunto a 25 anni di età, intermessi per qualche tempo gli studi, si volse a’ militari esercizii, e in tutti divenne sì valoroso, che non v’era chi gli si pareggiasse. Mediocre [p. 535 modifica]TERZO •f>3Ó ili statura, di bello aspetto, di corpo agile e nato ad ogni fatica, non ricusò giammai di venire a tenzone, e spesso ne riportò onorevoli spoglie. E qui comincia una serie continuata di tai prodezze, che le somiglianti non si lessero mai. Ruggieri re della Puglia, essendo a lui giunta la fama del gran valor di Sordello. chiama a sè Leonello, il più forte cavalier del suo regno 5 e, Poiché, gli dice, qui non vi ha più alcuno che voglia venir teco a disfida, vanne a Mantova; ivi troverai il famoso Sordello; con lui ti azzuffa e torna a me vincitore. Leonello con nobile accompagnamento sen viene a Mantova, e il terzo giorno, dappoichè vi era giunto, venuto in piazza, e dall’ostiere additatogli Sordello, se gli fa incontro, e gentilmente gli espone il motivo della sua venuta. Sordello accetta non men cortesemente la sfida; e perchè essa riesca solenne, si fissan 10 giorni a farne gli apparecchi. Già ne eran trascorsi sette; quana ecco giugnere a Mantova Galvano ambasciadore di Luigi re di Francia con lettere del suo sovrano a Sordello , che invitavalo con ampie promesse a passare in Francia. Sordello il prega a trattenersi tre giorni, finchè egli abbia soddisfatto al solenne impegno, e frattanto alloggia f anibasciadore in sua casa. Venuto il gran giorno, Sordello e Leonello vengono al cimento. Il Platina ci descrive sì minutamente l’un dopo E altro i colpi e le divei’ se loro vicende, che tu diresti ch’ei vi fosse stato presente. Sordello al fine riman vincitore, e steso a terra Leonello , Or tu, gli dice, poichè sei mio, ne [p. 536 modifica]536 LIBRO anelerai insiem con Galvano al re di Francia, e gli narrerai la pruova che hai fatta del mio coraggio. Prima però con cortesia da cavaliere egli sel conduce in casa a guarire dalle ferite; e poscia lo accompagna egli stesso per qualche tratto di via insiem con Galvano. Già apparecchiavasi egli stesso a partir presto per Francia, quando Ezzelin da Romano, bramoso di conoscere un uomo sì valoroso , il prega che a lui ne venga a Verona. Sordello il compiace, e poco appresso sen va anche a Padova ad istanza di Alberico fratel di Ezzelino. Ma qui lo attendeva un’altra tenzone. Corrado valoroso soldato austriaco lo sfida. Sordello con lui ancora combatte, lo vince, lo atterra, e lui pure manda in Francia a dar nuove di sua fortezza. Era stata presente a questo conflitto Beatrice sorella di Ezzelino , e il vedere un sì generoso guerriero gliene avea destato in seno ardentissimo amore. Tanto adoperossi, che ottenne pur di parlargli 5 e gli scoprì il desiderio che avea di averlo a marito, poichè ella era ancora zitella. Sordello alle preghiere, alle lagrime , a’ deliquii di Beatrice si stette fermo, allegando con cortesi parole a scusa del suo rifiuto, ch’ella sorella di sì possenti signori non dovea aver a marito un cavalier privato , qual egli era. E senza più sen torna a Mantova. Beatrice, a cui il rifiuto avea acceso in cuore fiamma maggiore, in abito d’uomo sen fugge, e viene a Mantova in casa di un cotal Pietro Avogadro amico e parente di Ezzelino, e gli scuopre il motivo di sua venuta. Sordello avvisatone da Pietro vola a Padova, e si giustifica [p. 537 modifica]TERZO 537 presso Ezzelino. Questi lo ammira per modo, che ad ogni patto vuol che abbia in moglie Beatrice; e fattala venir da Mantova , ivi se ne festeggian le nozze con solennissima pompa. Ma pochi giorni appresso, ricordevole della sua promessa al re di Francia, Sordello sen parte, e passate l’Alpi, giunge a Troyes. Ivi viene a tenzone con un certo Zachetto famosissimo cavaliere; e vintolo, secondo il costume , lo obbliga a venir seco a Parigi. XII. Ed ecco Sordello nell’atrio della real corte, che aspetta che il re se n’esca, per presentarsegli. Esce egli in mezzo a numerosa schiera di cavalieri; Sordello se gli getta a’ piedi, e gli dice che è quel desso cui per mezzo di Galvano egli ha invitato. Il re due volte gli chiede s’ei sia veramente Sordello. Questi sdegnato di cotal dubbio si rizza in piedi, e sen va. Il re lo chiama, e gli chiede ove e perchè sì improvvisa partenza. Io torno a Mantova, ripiglia Sordello, per condur meco chi di me faccia fede. Allora il re abbracciatolo lo accoglie con sommo onore. Era ben verisimile che tosto si offerisse occasion a Sordello di farsi conoscere. Uno de’ cortigiani detto Grisolfo sotto voce il motteggia per la corta e lacera veste ch’avea in dosso. Sordello lo ode, lo sfida, si fissa a 15 giorni dopo il cimento; e allora innanzi al re e a un’immensa folla di popolo da ogni parte accorso, venuti i due guerrieri a battaglia, Grisolfo è costretto ad arrendersi vinto. Lasciamo stare le altre non poche prodezze da lui operate in Francia, che dal Platina distesamente ci si raccontano, e [p. 538 modifica]538 lipuo ricominciati] Sordelio in Italia. Eran già omai quattro mesi eli1 egli era in Francia; e chiese perciò al re il suo commiato. Questi avrebbe voluto ritenerlo seco 5 ma non potendo a ciò ridurlo, onoratolo della dignità di cavaliere , di una somma di 3000 franchi e di molti doni, e fra gli altri di uno sparviere d’oro, onore non conceduto che a’ cavalieri reali, gli diè congedo. Nel suo viaggio tutte le città, per cui gli avvenne di far passaggio, lo accolsero con sommi onori, e tutti segnavanlo a dito come il maggior guerriero che fosse allora in Europa. I Mantovani gli uscirono incontro, e con festosi applausi gli renderon grazie che tanto celebre avesse renduta la loro patria. Riposatosi alquanti giorni, ad istanza di Ezzelino andò a Padova, ove la moglie impazientemente attendevalo; e trattenutosi ivi alcun tempo , onorato con giuochi e feste solenni da Ezzelino, tornò colla moglie a Mantova 5 e i Mantovani per otto giorni celebrarono in onor di lui giuochi militari e civili. Sordello allora, che era giunto all1 età di quarant1 anni, cominciava in un tranquillo riposo a coltivar di nuovo gli antichi suoi studi; quando ebbe avviso che Ezzelino, radunate gran forze, si disponeva ad assediare e a soggiogar Mantova e tutto quel territorio. Perciò ripigliati i pensieri di guerra, si diè a munir la città, e a ridurla a stato di sostenere coraggiosamente 11 assedio. Questo assedio , che dal Platina si dice avvenuto l’anno 1250 , e durato tre anni, si descrive da lui assai lungamente 5 e la fedeltà , il coraggio, l’eloquenza di Sordello vi trionfano ad ogni [p. 539 modifica]TF.nzo 53}) passo. La ribellione dei Padovani costringe finalmente Ezzelino a scioglierlo; egli accorre a Padova; rispintone entra in Brescia; e poco dopo venuto a battaglia co’ Milanesi e co’ loro alleati, tra’ quali era Sordello, riceve una mortal ferita, e trasportato a Soncino vi muore. E qui finisce presso il Platina la Vita di Sordello. In che si occupasse egli poscia, fin a quando vivesse, quando morisse, egli nol dice. XIII. Or qui riflettiamo dapprima quanto bene accordinsi insieme i varii scrittori, i sentimenti de’ quali abbiam finor riferito. Il Nostradamus fa Sordello nato di padre povero; il Platina lo dice uscito di ricca e nobil famiglia, cioè de’ Visconti di Goito. Presso il Nostradamus Sordello in età di 15 anni va in Provenza, e non si accenna ch’ei più tornasse in Italia. Nel codice Vaticano Sordello non va in Provenza che dopo varie avventure amorose. Secondo questo medesimo codice, Sordello s’invaghisce della sorella di Ezzelino moglie del conte di S. Bonificio; presso il Platina la sorella stessa ancor nubile s’invaghisce di lui. Secondo il codice Vaticano la sorella di Ezzelino è tolta per forza al marito, e da’ suoi fratelli ricondotta a casa insieme con Sordello; secondo il Platina essa corre dietro a Sordello, e ne ricerca le nozze. Secondo il codice Vaticano Sordello prende per moglie una Provenzale; secondo il Platina ei divien marito di Beatrice. Nel codice Vaticano per ultimo Sordello va dopo le avventure colla famiglia di Ezzelino a poetare in Provenza; presso il Platina ei va a duellare in Parigi. Fra questi sì disparati racconti a quale ci appiglierem noi? XIII. Coti (radili zioni e in rnwnno «l questi rac muli. [p. 540 modifica]54o LIBRO Ma andiamo innanzi e veggiamo singolarmente quanto sia fedele ed esatta la narrazione del Platina che più lungamente di tutti ne ha ragionato. Sordello nasce secondo lui l’anno i i8g. In età di venticinque anni, cioè l’anno 1214, si applica agli esercizii cavallereschi, e ottiene in essi tal fama, che Ruggieri re di Puglia manda il suo più prode campione a sfidarlo. Or ci si dica di grazia chi fu egli mai questo re Ruggieri? Dall’anno 1197" fino al 1250 quel tratto d’Italia non ebbe altro sovrano che Federigo II. Ove troverem noi dunque il re Ruggieri del Platina? Chi era inoltre quel Luigi re di Francia a cui recossi Sordello? Questi, come dice il Platina , in poco tempo ottenne negli esercizi di cavaliere gran fama. Supponiam dunque che avesse allora circa 30 anni di età. Secondo questa supposizione egli andò in Francia l’anno 1219, o certo non molto dopo. Or regnava in que’ tempi in Francia Filippo l’Ardito che morì l’anno 12 23. Direm noi forse, come accenna il Zilioli, ch’ei fosse Luigi VIII che succedette a Filippo , o il santo re Luigi IX che salì al trono l’anno 1226? Parmi assai difficile a credere che il primo, continuamente occupato in gravissime guerre, potesse volgere il pensiero a sollazzar la sua corte col far venire d’Italia un cavaliere errante; e molto più parmi ciò improbabile del secondo che era giovinetto di circa 12 anni e sotto la reggenza della saggia reina Bianca, e in tempi ancora sconvolti da pericolose guerre. Che direm noi di Beatrice sorella di Ezzelino, e moglie, secondo il Platina, di Sordello? Gherardo Maurisio, scrittore [p. 541 modifica]TERZO 54I contemporaneo e suddito di Ezzelino, ci narra che Beatrice, di cui non sappiam la famiglia, era moglie di Alberico da Romano; che Cuniza era la sorella del medesimo Alberico e di Ezzelino: che questa fu presa in moglie dal conte Ricciardo di S. Bonifacio; che Ezzelino prese a moglie Giglia sorella del medesimo conte, e che questi tre matrimonii seguirono mentre era podestà di Vicenza Guglielmo Amato (Script. rer. ital. vol. 8, p. 26), cioè, come abbiami dalla Cronaca di Niccolò Smerego (ib. p. 98), dall’an 1219 all’anno 1221, il che coincide a un di presso col tempo in cui si vuole dal Platina che Sordello prendesse in moglie la supposta Beatrice sorella di Ezzelino. Che se voglia dirsi che il Platina abbia scritto per errore Beatrice in vece di Cuniza, questa ancora a quel tempo medesimo o era già , o divenne moglie del co. Ricciardo. Finalmente Sordello torna da Francia, e giunto a quaranta anni di età, cioè l’anno 1229, si volge di nuovo agli antichi suoi studi; ma tosto l’assedio posto a quella città da Ezzelino il costringe a ripigliar P armi, difende valorosamente per tre anni la città , e poco appresso Ezzelino ferito in battaglia muore. Così il Platina unisce felicemente in 3 anni, o poco più, ciò che avvenne nell’intervallo di trent’anni; perciocché perciocchè l’assedio di Mantova, se pur può dirsi assedio il guasto furiosamente dato a’ contorni di quella città da Ezzelino, non seguì che 1’anno 1 -j56 , come abbiamo da tutti gli storici di quel tempo , e singolarmente dal Monaco Padovano (ib. p. 691), ed Ezzelino morì poscia l’anno 1259. [p. 542 modifica]54‘J LIltRO XIV. Ma come è egli possibile che il Platina di tanti errori e di tanti anacronismi empiesse la sua Storia? Egli era pure uom dotto, e nella storia versato, come ci mostra la sua Storia de’ romani Pontefici, che benchè abbia non pochi falli, è ben lungi però dall’essere così ingombra di gravissimi errori, come il passo da noi recato. A scusarlo nella miglior maniera che sia possibile, altro non si può dire, a mio credere, se non ch’egli trascrisse, senza chiamar le cose ad esame, ciò che trovò scritto da altri. In fatti, benchè egli sia, per quanto io sappia, il primo tra gli storici mantovani che abbia scritte tai fole, egli però non ne fu l’inventore. Buonamente Aliprando poeta e cittadino mantovano che al principio del xv secolo scrisse in terza rima una Cronaca, com’egli la intitolò, o, a dir meglio, un favoloso romanzo, per ciò che appartiene a’ tempi antichi, della sua patria , data alla luce dal Muratori (Antiq. Ital. t. 5. p. 1065, ec.), opera in cui non si sa se maggior sia la rozzezza de’ versi, o la semplicità de’ racconti, avea prima del Platina narrate ancora più lungamente tutte le prodezze di Sordello, ma solo fino al suo ritorno in Italia , poichè dell’assedio di Mantova egli non fece motto. Si confronti ciò che ne dice il poeta, con ciò che ne narra lo storico, e si vedrà che questi non ha fatto che recare in prosa e compendiare alquanto la poesia dell’Aliprando, che su questo argomento ha esercitata l’elegante sua musa in dodici ben lunghi capitoli. E forse ancora non fu lo stesso Aliprando il primo ritrovator di tai favole, se è vero, come [p. 543 modifica]TERZO 543 sembra accennare il eh. Muratori (ib. p. io(j4), eh’esse si trovino inserite anche in una più antica storia di Napoli pubblicata sotto il nome di Giovanni Villani. Eccoci dunque a qual sorgente attignesse il Platina cotesti sì strani racconti. Onde poi egli traesse ciò che abbiam udito da lui narrarsi dell’assedio di Mantova, non saprei dirlo. Noi vedremo fra poco che debba probabilmente pensarsene. XV. Benchè tante e sì grandi cose ci narri il Platina di Sordello , ei non dice però ch’ei fosse signor di Mantova; anzi racconta che avendo Ezzelino cercato di subornarlo, perchè si adoperasse a dargli in mano quella città, promettendogliene la signorìa, Sordello rigettò costantemente l’offerta. Solo egli ce lo rappresenta come il più potente e il più ragguardevole cittadino in una città libera, e condottier delle truppe. Il Volterrano è il primo che abbia chiamato Sordello principe di Mantova (Comnu-nt. urbana. l. 4), se pur egli usando latinamente la voce princeps, non ha anzi inteso solo di dire eli’ egli era il principale tra’ cittadini. E forse da questa parola medesima fu tratto in errore Leandro Alberti, il quale più chiaramente scrisse ch’egli fu il primo principe di Mantova dopo la contessa Matilde (Descr. della Lomb.). Gli altri storici mantovani che son venuti appresso, come Mario Equicola , il Donesmondi, il Possevino e l’Agnielli, tutti hanno fatto Sordello signor di Mantova, e quai più, quai meno hanno adottati e nelle storie loro inseriti i maravigliosi racconti del Platina e dell’Aliprando, da’ quali pure par che abbia attinte le sue [p. 544 modifica]

>qj LIBRO

notizie il Zilioli. Ma non giova il trattenersi in ripetere e in confutare ciò ch’essi hanno scritto , aggiugnendo ancora talvolta errori nuovi agli errori antichi. Passiamo anzi a veder finalmente ciò che con qualche maggior certezza si possa credere di Sordello , esaminando perciò che ne abbian detto gli scrittori più antichi che vissero o al tempo stesso con lui, o non molto dopo. XVI. E primieramente di tutti gli scrittori di que’ tempi non v’ ha pur uno che ci narri alcuna delle cavalleresche avventure di Sordello. Essi, sì minuti ne’ lor racconti, sì avidi d inserire nelle loro storie fatti maravigliosi, pare che non abbian pure saputo che ci fosse al mondo un Sordello. Rolandino è il solo che ne faccia menzione; ma egli presso questo scrittore è ttilt1 altro che cavalier generoso. Perciocchè Rolandino, parlando della famiglia di Ezzelin da Romano e nominatamente di Cuniza di lui sorella, racconta (Script. rer. ital. vol. 8, p. \"]Z) eh1 essa fu data in moglie al co. Ricciardo di S. Bonifacio: ma che poscia per ordin del padre, cioè di Ezzelino II, padre del famoso Ezzelin da Romano, Sordellus de ipsius familia Dominam ipsam latenter a marito subtraxit, cum qua in patris curia permanente dictum fuit ipsum Sordellum concubuisse. Se Rolandino con quelle parole de ipsius familia intenda spiegar parentela, ovver servigio, giacchè sembra che si possan intendere nell1 un senso e nell’altro, o se o la parentela o il servigio debban intendersi a riguardo dello stesso Ezzelino, ovver del co. di S. Bonifacio, non si [p. 545 modifica]TERZO 545 può accertare, perchè non vi ha altro storico che ce ne parli più chiaramente. Comunque sia, noi veggiam qui adombrato quel fatto medesimo che abbiam veduto narrarsi, benchè alquanto diversamente, dal Nostradamus , e vi veggiamo insieme rappresentato Sordello non in aria di cavaliere, ma di segreto trafugatore, con qualche altra circostanza, secondo almen la voce che allor ne corse, non troppo a lui onorevole. Segue poi a narrar Rolandino che Sordello, probabilmente per la circostanza accennata , fu da Ezzelino cacciato di casa, e quindi racconta le diverse vicende della stessa Cuniza, che sembrano oscuramente accennate da Dante (Parad. c. 9, v. 34), nelle quali non vedesi più avere alcuna parte Sordello, e che perciò non appartengono punto a questa mia Storia. XVII. Dopo Rolandino io non trovo alcuno che parli del nostro Sordello, fino a Dante. Ma ei ne parla in modo ad accendere maggiormente , anzichè ad appagare la nostra curiosità. Egli, aggirandosi col suo Virgilio per que’ luoghi ove stavan coloro che, secondo la particolar sua teologia, per avere indugiato fino a morte la penitenza, doveano ancora indugiare ad entrare nel Purgatorio, e quelli singolarmente che morendo di morte violenta, solo in quel punto pentiti si erano delle lor colpe, vede in disparte uno spirito cui a qualche esterior contrassegno conosce esser lombardo: Venimmo a lei: o anima lombarda, Come ti stavi altera e disdegnosa, E nel muover degli occhi onesta e tarda! TiaABOscm, Voi. IV. 35 xvu. Si esamina il passo in cui Dante na ragiona. [p. 546 modifica]5/,6 LltUO Ella non ci diceva alcuna cosai Ma lasciavane gir solo guardando A guisa di leon, quanda si posa. Purg. c. 6, v. 61, ec. Questa descrizion di Sordello ci fa conoscere ch’egli era uomo d’alto affare e ¿I1 indole generosa: che d’un uom plebeo, o d’un ozioso poeta non avrebbe Dante così parlato. Virgilio l’interroga della via per entrare nel Purgatorio: Sordello non risponde; ma poichè ode che chi con lui ragionava, era mantovano, Sorse ver lui dal luogo ove pria stava, Dicendo■■ O Mantovano, io son Sordello Della tua terra; e l’un l’altro abbracciava. Dall’amor patriotico che.vede in Sordello, Dante trae occasione di una lunga invettiva contro l’Italia , ove l’amor della patria sembrava omai per le civili guerre continue interamente estinto. Quindi Virgilio si dà a conoscere più chiaramente a Sordello (c. 7, ec.); seguono i complimenti e le interrogazioni vicendevoli; e poscia Virgilio prega di nuovo Sordello a condurlo al Purgatorio: Rispose: luogo certo non s’ è. posto: Licito ni c andar suso ed intorno Per quanto ir posso , a guisa mi t’accosto. Ciò detto, Sordello conduce Virgilio e Dante su un colle onde veggon l’anime de’ principi e d’altri gran personaggi, i quali pure aspettavano che venisse il tempo di purgarsi delle lor colpe; e dopo vedute altre cose che nulla montano al nostro intento, Dante si addormenta; e allo svegliarsi più non vede Sordello, ed entra sol con Virgilio nel Purgatorio. Tutto [p. 547 modifica]TERZO 547 questo passo di Dante non altro ci scuopre, se non che Sordello era di nascita, o almeno di animo nobile e signorile; che era mantovano , cioè o della città, o di alcun luogo del territorio; ch’era anch’egli tra coloro che non potean ancora entrare nel Purgatorio, perchè differita aveano la penitenza; benchè la libertà a lui conceduta di andare qua e là aggirandosi sembri indicare eli’ egli in questo medesimo fosse men reo degli altri. E noi saremmo pure assai più tenuti a Dante, se di questo celebre uomo ci avesse data qualche più minuta contezza. XVIII. Veggiam almeno se l’antico suo comentatore Benvenuto da Imola, che fiorì verso la metà del secolo xiv, ce ne somministri migliori notizie. Egli interpretando il passo sopra recato, dice che fuit quidam civis Mantuanus nomine Sordellus, nobilis et prudens miles et curialis (Antiq. Ital. t. 1, p. 1166). Ed eccoci in poche parole spiegate non poche particolarità intorno a Sordello , cittadin mantovano, nobile, guerriero e curiale, cioè, come credo che qui debba intendersi, cortigiano. Aggiugne Benvenuto ch’ei visse, ut aliqui volunt, al tempo di Ezzelin da Romano; la qual maniera di ragionare ci pruova che fin d’allora, mentre pur non era corso che circa un secolo dopo la morte di Sordello, già cominciavano ad aversene poche certe notizie. E tra queste il medesimo Benvenuto ripone quella ch’ei segue narrando, de quo audivi, non tamen affirmo. Ed ecco la leggiadra novella che sembra aver avuta origne dal racconto sopra recato di xvm. E il colutalo sopra «sso di Ben »«nulo da Imola. [p. 548 modifica]548 LIBRO Rolamlino, ed averla data alle favole che di Sordello si son narrate da’ posteriori scrittori. Avea, dice Benvenuto, Ezzelino una sorella detta Cuniza, la quale, essendo accesa d’amor per Sordello , ordinogli che a se venisse per la porta della cucina del palazzo che avea Ezzelino in Verona. Per giugnere ad essa, conveniva passare per un viottolo pien di sozzure; e Sordello faceasi perciò portare da un servo fino alla porta ove Cuniza il riceveva. Ezzelino, che n’ebbe contezza travestitosi una sera da servo, portò egli stesso Sordello, e poichè l’ebbe deposto , scoprendosi a lui, sì gli disse: Or si basti, o Sordello, e. non voler più passare per luogo sì sozzo a più sozzo disegno. Sordello atterrito, il pregò di perdono, e gli promise quanto egli volle. Tamen, continua Benvenuto , Cunitia maledir ta traxit eum in p rimum fallum; e perciò Sordello, temendo il furor d’Ezzelino, se ne fuggì; ma fu poscia, come alcuni dicono, ut aliqui ferunt, fatto trucidare dal medesimo Ezzelino. Ecco di nuovo Benvenuto non bene informato della vita di Sordello , e costretto a seguire le popolari opinioni , prevenendo però saggiamente il lettore della loro incertezza. Alla stessa maniera continua egli a comentare questo passo di Dante; e ove questi descrive il luogo solitario in cui stava Sordello, ei ne adduce a ragione il grandemerito di questo uomo; perciocchè, dice, ei fu di singolare virtù nel mondo, benchè impenitente in vita; ovvero , aggiugne , il pone in disparte, perchè Sordello amava la solitudine; e odo ch’ei fece un libro che è [p. 549 modifica]TERZO 54q intitolato Thesaurus Thesaurorum. cui però non ho veduto giammai■ Quindi a spiegare perchè Dante il dipinga in atteggiamento sdegnoso ed altero? dice che Sordello era <f indole risentita, e. sdegnavasi al vedere, o all’udire cosevergognose e turpi, e che era uomo composto e ben costumato; il che però non troppo bene s’accorda colla novella riferita poc anzi. Così sembra che Benvenuto vada anzi indovinando, che narrandoci con certezza qual uomo fosse Sordello. XIX. Questi sono i soli scrittori del XIII e del xiv secolo ne’ quali io ho potuto trovare qualche notizia della vita del famoso Sordello; e l’esser queste così scarse ed incerte , ci mostra che ciò che i moderni ne han finto a capriccio , è assai più di quello che ne han saputo gli antichi. Ora a stabilire finalmente da tutto il detto fin qui ciò che probabilmente si possa credere, e ciò che debbasi rigettare intorno a Sordello , parmi in primo luogo che non possa rivocarsi in dubbio ch’ei fosse mantovano. Il testimonio di Dante non soffre eccezione , anzi in un altro passo, che riferiremo fra poco, lo stesso Dante gli dà il nome di Gotto Mantovano, il che ci pruova ch’egli era natìo del luogo di Goito. Ma eli’ ei ne fosse Visconte e Cattano, come afferma il Fontanini (Dell’Eloq l.1, c. 12), non è abbastanza provato. Ben sembra cerio eh1 ei fosse di nobil lignaggio , o almen di animo nobile, qual dallo stesso Dante ei viene descritto. Tutte le cavalleresche avventure che ne abbiamo accennate, e il viaggio alla corte del re di Francia, si [p. 550 modifica]550 LIBRO vogliono avere in quel medesimo conto in cui si hanno le belle e pellegrine notizie, cioè le ridicolissime favole che la Cronaca dell’Aliprando ci ha date intorno a Virgilio: Sogni ti infermi, e fòle di romanzi. Qualche intrigo d1 amore con Cuniza sorella di Ezzelin da Romano par che non possa negarsi, essendovene il testimonio del contemporaneo Rolandino, e di Benvenuto non molto lontano. Che in età di quindici anni ei fosse poeta già sì famoso, che il conte di Provenza l’invitasse alla sua corte, il Nostradamus troverà pochi che gliel vogliano credere. Non è però improbabile che Sordello per qualche tempo fosse in Provenza, ed ivi apprendesse a scrivere in quella lingua con sì rara eleganza. Che ei fosse uomo di guerra, cel persuade agevolmente e il costume di quell’età in cui appena era mai che un nobile non maneggiasse l’armi, e la testimonianza di Benvenuto. Quindi non è improbabile che nelle guerre che i Mantovani ebbero a sostenere, mentre Sordello vivea , egli avesse non poca parte. Ma l’assedio di Mantova durato per tre anni, che il Platina assai eloquentemente, ma poco fedelmente descrive, è smentito da tutte le Storie. Ezzelino entrò nel territorio di Mantova al principio del mese di maggio l’an 1256, come abbiamo da Rolandino (Script. Rer. ital. vol. 8, p. 283), e si diè a farne orribile guasto con intenzione di espugnare ancor la città. A’ 20 di giugno dello stesso anno il legato del papa entrò in Padova togliendone la signorìa ad Ezzelino (ib. p. 205). Tre giorni dopo Ezzelino, mentre dall’aver devastato il territorio di [p. 551 modifica]TERZO 55I Manlova tornava a Verona, udì la perdita che fatta avea di Padova, e colà accorse per ripararla, se era possibile (ib. p. 304). Lo stesso abbiam dalla Storia del Monaco Padovano (ib. p. 692), il qual pur ci descrive il grande apparecchio che Ezzelino avea fatto per espugnar Mantova, perciocchè ei diceva ch’era questa la sola città che impedivagli il dominio su tutta la Lombardia: ma questo storico ancora altro non narra, se non che Ezzelino diede il guasto a ogni cosa fino alle rive della laguna, e che poscia fu costretto a partirsene, per recarsi al soccorso di Padova. D’allora in poi non troviamo che Ezzelino pensasse all’assedio di Mantova. Tutte le cose adunque che il Platina ci racconta delle prodezze da Sordello in quell’assedio operate, debbonsi rigettar tra le favole. Non è però improbabile che in quel frangente Sordello , uomo guerriero quale egli era, e di ragguardevole condizione, avesse tra le truppe de’ suoi Mantovani qualche autorità e comando. Ma ch’egli fosse signor di Mantova, nè si pruova colf autorità di antichi scrittori, nè è verisimile. Gli storici di questi tempi, che sì minutamente ci nominano i signori non solo delle principali città, ma anche delle castella, non ci avrebbono certamente taciuto, come pure hanno fatto, il nome di un sì ragguardevole principe. Nè Rolandino che vivea allor quando Ezzelino dava il guasto a quel territorio, e che fa menzione di Sordello, come abbiamo veduto , poteva ignorare, nè avrebbe dissimulata tal cosa: nè Dante gli avrebbe fatto dire soltanto: O Mantovano, io son Sordello della tua [p. 552 modifica]552 LIBRO terra; nè finalmente Benvenuto, che ci mette innanzi gli altri titoli di Sordello, ci avrebbe taciuto il più onorevol di tutti. Benchè il marchese Azzo VII d’Este, il conte Ricciardo di S. Bonifacio e il conte Lodovico di lui figliuolo avessero verso questi tempi qualche potere in Mantova, non sembra però che nè essi nè alcun altro ne fosse assoluto signore. Matteo da Correggio n’ebbe poscia il dominio per alcuni anni, come abbiamo dalla Cronaca antica di Parma (ib. vol. 9, p. 785), finchè l’an 1272 Pinamonte de’ Bonacossi di lui nipote, cacciatol da Mantova, se ne fece signore, e in questa famiglia se ne mantenne il dominio fino all’anno 1328, in cui ella ne fu spogliata da Luigi Gonzaga (Chron. Ver. ib. vol. 8, p. 845). Si può dunque concedere come probabile che Sordello per coraggio e per senno ottenesse nome tra’ Mantovani, e quella autorità che hanno in ogni repubblica cotai personaggi; ma ch’egli avesse la signorìa di quella città, non si può asserire, finchè non se ne producano certi argomenti. Finalmente il vedersi Sordello posto da Dante nel numero di coloro che avean finiti i loro giorni con morte violenta, sembra indica ei ch’ei morisse o combattendo in guerra , o in altra maniera ucciso. Piaccia al Cielo che un giorno veggiam la storia di Mantova rischiarata da qualche erudito scrittore, più che non è stata finora dal Platina, dall’Equicola, dall’Agnelli, dal Donesmondi, dal Possevino. Col ricercare diligentemente gli archivii, col diseppellire le antiche Cronache, delle quali parmi impossibile che sia rimasta priva una sì illustre [p. 553 modifica]TERZO ">53 e si aulica città, coll’esaminare le Storie delle altre città vicine, si verrà certamente in chiaro di molte cose che finor son rimaste oscure ed incerte , e si potrà sperare , fra l’altre cose , di aver qualche più accertata notizia intorno a Sordello. Noi il possiamo sperare singolarmente da quella reale Accademia , a cui non mancan soggetti per erudizione e per ingegno chiarissimi, che accingendosi a tale impresa, la conducano a felice riuscimento. Allor vedremo compiti i desiderii ed avverati gli augurii di uno de’ più valorosi poeti, e dei più illustri ornamenti di quella città, che , esortandola alcuni anni addietro a ciò fare colf esempio della vicina Verona, così cantava: Vedrem, vedremo dal lune; ozio a gara Emerger novi ingegni, opre novelle; E forse alcun T orme vincendo e ’l nome D’Agnello e Possevin, sgombrar la notte Da le patrie Memorie, ambe le faci Del vero e dello stil la via scoprendo; Onde illustrata alfin Mantova aneli essa Non arrossisca al paragon vicino. Diodoro Delfico, Versi sciolti, p. 316 ed. di Mil. 1758 (a). (a) Potevam lusingarci che nuova luce su questo argomento spargesse il dottor Giambattista Visi, che due tomi ci avea già dati della Storia di Mantova. scritta con erudizione e con esattezza. Ma la morte troppo presto ce lo ha rapito. Possiamo però sperare che la perdita ne sarà ben compensata dalla diligenza e dall’ingegno del ch. sig. avvocato Leopoldo Cammillo Volta, prefetto di quella real biblioteca, il qual sappiamo che, oltre il pubblicare il terzo tomo composto in gran parte dall’autore, nuovi lumi si apparecchia a spargere sulla storia di qui l!a illustre città. [p. 554 modifica]554 LIBRO XX. Ci siam finor trattenuti intorno alla vita civile e militar di Sordello. Or ci rimane a cercar dell’opere d’ingegno ch’egli ci ha lasciate, nel che non avremo ad incontrare molte difficoltà. Egli fu uno de’ più felici coltivatori della poesia provenzale. Nell’antico codice Estense abbiamo nove componimenti poetici di Sordello (p. 84, i4o, 2.58), c tre altri nel più recente (p. 344)• U*1 ili css* è stato pubblicato da Mario Equicola nella sua Cronaca di Mantova (pag. 45, ed. di Mant. 1607). Il Nostradamus afferma, come abbiam detto, che Sordello nelle sue poesie non cantò mai di amore. Io non so quai fossero le poesie che il Nostradamus ne lesse; ma certo in quelle de’ codici Estensi non poche volte ei tratta di argomenti amorosi , e tale è fra le altre quella che poc’anzi abbiam rammentata. In prosa provenzale scrisse ancora Sordello alcuni trattati che si annoverano dal Nostradamus, se pur questo scrittore ci può bastare perchè il crediamo. Sordello non coltivò solamente la lingua provenzale, ma la italiana ancora. E perciò Dante parlando de’ dialetti d’Italia e del molto che ognun di essi prende da’ suoi vicini, ne reca in esempio Sordello, dicendo ch’ei mostra che la sua Mantova prendeva molto da’ dialetti delle vicine città di Cremona, di Brescia e di Verona, e insieme il loda che uomo, com’egli era, di grande eloquenza non sol nei poemi, ma in qualunque modo parlasse , pure si discostava dal volgar gaidialetto della sua patria: Ut Sordellus de Mantua sua ostendit, Cremonae, Brixiae atque Veronae confini, qui tantus eloquentiae vir existens [p. 555 modifica]TERZO 555 non solum in poetando, sed quomodolibet loquendo patrium vulgare deseruit (Eloq. l. 1, c. 15). E a questo luogo appartiene, se non m’inganno, un altro passo di Dante, ove parlando de’ poeti che dilettaronsi di scriver canzoni, come fu, dice (ib. l. 2, c. 13), Gotto Mantuano, il quale fin qui (nell’originale latino si legge oretenus) ci ha molte sue buone canzoni intimato. Costui sempre tesseva nella stanzia un verso scompagnato, il qual esso nominava chiave. Il Crescimbeni (Comment, t. 2, par. 2, p. 23) e il Quadrio (t 2, p. 161) di questo Gotto fanno un nuovo poeta, di cui confessan però, che non trovasi alcuna certa notizia, nè poesia alcuna. Ma io penso di’ ei non sia diverso dal nostro Sordello (*). Egli era, come si dice nel codice Vaticano, oriundo da Goito, il qual nome si può facilmente cambiare scrivendo in Gotto; nè è cosa rara negli scrittori di questi tempi l’appellare uno dal nome della sua patria. Dante vi aggiugne ancor Mantovano; il che ci rende sempre più probabile questa opinione, poichè Goito è appunto nel territorio di Mantova. Quindi una (*) Io ho congetturato che Sordello, il quale era natio , o oriondo da Goito, fosse lo stesso che quel Gotto mantovano di cui ragiona Dante nella sua Eloquenza. Al sopraddetlo sig. co. di Arco e al sig. ab. Bettinelli (Delle Lettere ed Arti man/, p. 3i) sembra che le diverse cose che Dante di essi dice, e la diversa maniera con cui nomina amendue, indichino due personaggi diversi. io non voglio ostinarmi nel sostenere il mio sentimento, e cedo volentieri all’’autorità di due uomini che sono presso di me in molta stima. [p. 556 modifica]XXI. Altri poeti provenzali. 556 LIBRO tal somiglianza di nome, e il non trovarsi alcun1 altra menzione di questo Gotto , mi rende quasi evidente che Sordello e Gotto mantovano non siano che un sol poeta. Abbiamo veduto che il Platina e prima di lui Benvenuto rammentano un’opera da Sordello composta e intitolata il Tesoro, o il Tesoro de’ Tesori, senza spiegarci che cosa ella fosse. Alessandro Vellutello ne’ suoi Comenti sul passo della Commedia di Dante, da noi poc’anzi recato, sembra darcene più distinta contezza. Finge il poeta d’aver trovata P anima di Sordello mantovano, per aver scritto un libro da lui intitolato il Tesoro de’ Tesori, nel qual trattò de’ famosi gesti di tutti quelli che seppe essere eccellenti nel governo de’ regni, delle repubbliche, de’ magistrati. Io non credo però, che questo scrittore avesse veduta l’opera di Sordello, di cui ragiona, e temo che niuno abbia avuta la sorte di averla sott’occhio. Io certo non trovo scrittore che ce ne parli come di libro da lui veduto; e lo stesso Benvenuto da Imola confessava fin a’ suoi tempi, che ne parlava solo per tradizione. XXI. Io lascio in disparte le solenni pazzie che il Crescimbeni , sull’autorità del codice vaticano, ci narra di Guglielmo della Torre (p. 207), di cui il Quadrio dubita (p. 131) che fosse d’origine italiano, e di cui conservansi tre canzoni nell’antico codice Estense (p. 259); e quelle pur che si narrano di Pietro della Rovere (Crescimb. p. 135), che dal Nostradamus dicesi gentiluomo piemontese, sì perchè le cose ch’ei ne racconta, anzi che alla [p. 557 modifica]TERZO 55" gloria de’ poeti, appartengono a quella de’ pazzi, die è di troppo ampio argomento, perchè io debba entrare a parlarne; sì perchè non possiamo altronde raccoglierne più certe notizie. Così pure io passo sotto silenzio alcuni che dal Nostradamus si dicono Provenzali, ma da altri voglionsi italiani, come Gioffredo Rodello che dal Rossotti si annovera tra gli scrittori piemontesi, Guglielmo Figuiera che da’ Genovesi si vuole loro concittadino, e Raimondo Feraldo che da alcuni si dice natìo di Nizza di Provenza; intorno a’ quali veggansi le correzioni del Crescimbeni (Comment. t. 5, p. 126, ec.). Io farò dunque fine a queste mie ricerche su’ poeti provenzali italiani col favellare di Lanfranco Cicala, di cui 18 componimenti poetici si leggono nel moderno codice Estense (p. 292) e tre nel più antico (p. 258). In quello alle poesie di Lanfranco si premette qualche breve notizia intorno all’autore, dicendo che fu gentiluomo genovese e savio e cavaliere, ma che menava vita viziosa: la quale però nol trattenne dal prendere spesso ad argomento delle sue poesie Dio e la Vergine di lui Madre; e in fatti molti di tali argomenti si veggono ne’ mentovati codici Estensi. Nell’antiche Cronache genovesi io trovo nominato tra’ giudici di quella città l’anno 1243 e l’anno 1248 Lanfranco Cicala (Script.. rer. ital. vol. 6, p. 50l, 514)J ed è verisimile ch’ei fosse il poeta di cui scriviamo (*). Ma ciò che il Nostradamus, e dopo (*) M. Millot dice (t. 2,p.) che Guglielmo della Torre era natìo del Castello della Torre nel [p. 558 modifica]508 unno lui il Crescimbeni (L 2, par. i, p. 131) e il Quadrio (l. c. p. 335) raccontano, cioè ch’egli fosse da’ suoi mandato col titolo di ambasciadore a Raimondo conte di Provenza, e che questi avesse assai caro Lanfranco, e che per riguardo a lui prendesse Genova sotto la sua protezione, e che nel ritornarsene alla patria fosse dagli assassini ucciso l’anno 1278, io temo che debba aversi in quel conto che abbiam veduto doversi fare comunemente delle Vite de’ Poeti provenzali, di cui essi ci han fatto dono. E basti il riflettere che f ultimo Raimondo conte di Provenza era morto l’anno 1245, e dopo lui quella contea era passata nella real casa di Francia per le nozze di Beatrice figliuola di Raimondo con Carlo di Angiò fratello del re S. Luigi, e poi re di Sicilia. Forse potrebbe Lanfranco aver avuta parte nell’ambasciata che l’anno 1249 inviarono i Genovesi al re di Castiglia S. Ferdinando, come leggesi nelle Cronache genovesi (Script. Rer. ital. vol. 6, p. 516), ove però, forse per errore di stampa, ei dicesi Federigo. Ma le stesse Perigord; ma eh’ei non vuole negare eh’ei fosse italiano d’origine, e che certo visse in Lombardia , come ci mostra anche un componimento eh’egli ne riferisce. Di Pietro della Rovere ei non fa motto. Parla di Giolfredo Rodello (l. 1, p. 85, ec.), ma non esamina l’autorità ilei Rossotto che il dice piemontese, nè quella degli scrittori genovesi che fanno loro concittadino Guglielmo Figuiera (/.a, p. 448» ec.), e passa anche sotto silenzio Raimondo Feraldo. Nel parlar finalmente di Lanfranco Cicala esamina assai superficialmente la vita di questo poeta, di cui per altro ci dà tradotti parecchi componimenti (t. 2, p. i 53, ec.). [p. 559 modifica]TERZO 551) CronacJie non ci bau tramandali i nomi di questi ambasciadori 5 e di Lanfranco non ci danno altra più certa notizia. XXIL Questi sono gl’italiani che nel XIII secolo coltivaron con lode la poesia provenzale, della maggior parte dei quali ci son rimaste pruove del poetico loro valore (’). Ella seguitò ad essere coltivata in Francia anche nel sccol seguente) ma in Italia ella fu quasi interamente dimenticata, benché pure nella serie di essi tessuta dal Crescimbeni e dal Quadrio uno o (*) Oltre i poeti provenzali da noi nominati, alcuni altri Italiani s’incontrano nell’opera di M. Millot, come il Monaco di Fossano (t. Lauza che avea il titolo di marchese (ib.p. 3 io), Guglielmo Boyer di Nizza, di cui narra fra le altre cose che presentò al re Roberto di Napoli un’opera assai erudita intorno alla storia naturale (t. 3, p. 271), e ad essi deesi ancora aggiugnere Lambertino di Buvarello bolognese, di cui alcune poesie si contengono nel bel codice Estense da noi più volte citato. « Di questo Rambertino o Lambertino Buvarello, che fu d’illustre famiglia e onorato di cospicue dignità, veggansi esatte notizie negli Scrittori bolognesi del co. Fantuzzi (t. 2, p. 350, ec.). A questi poeti provenzali italiani un altro dovrebbe aggiugnersi, ma tale da non gloriarsene molto, se dobbiam credere al carattere che ne fa Pietro d’Alvernia che vivea al principio del XIII secolo, il quale in un suo componimento, riferito da M. Millot, così ne dice: Il duodecimo (parla di alcuni poeti provenzali) è un picciol Lombardo nominato Sicardo. Egli appella poltroni i vicini suoi; e ad ogni pericolo frigge. S} insuperbisce delle arie grossolane ch’egli adatta a parole le quali non hanno senso. Sarebbe mai questi il celebre Sicardo vescovo di Cremona, che a questi stessi tempi vivea? Ma chiunque egli sia, non è a far molto caso dell’odioso carattere che ne fa Pietro d’Alvernia poeta orgoglioso e satirico, e perciò poco degno di lede ». X\li. Quando « pcn In* rcsaasac in Italia la pot-sia jil u’ l’iualir. [p. 560 modifica]due si trovino che ci si danno per autori di poesie provenzali. La lingua italiana che nel secolo xiii non era ancor troppo elegante e vezzosa, perchè non era ancora ben formata, difficilmente poteva allettare i poeti ad usarne cantando. Al contrario la lingua de’ Provenzali, già da molto tempo usata, e fatta, per così dire, arbitra della rima e del verso, pareva al poetar più opportuna; e perciò anche in Italia molti f antiponevano alla natìa lor lingua. Ma dappoichè questa venne successivamente acquistando nuove bellezze, e giunse a segno di poter gareggiare con ogni altra lingua con sicurezza di non venir meno nel paragone, gl’italiani presero più universalmente ad usarla e nella prosa e nel verso, e non curarono qualunque altra lingua straniera. Ma noi dobbiam ora vedere in qual maniera e per cui opera cominciasse fino da questo secolo ad essere coltivata la poesia italiana.