Wikisource:Testo in evidenza/Archivio/2014
5 gennaio
[modifica]Lezioni e racconti per i bambini di Ida Baccini (1882)
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Una donnina.
L’Eduvige era una bambina proprio sgomenta. Volere un gran bene alla mamma e vedersela là, in un fondo di letto, con una tossaccia ostinata che non le dava pace nè giorno nè notte, era una gran passione. Almeno avesse potuto prestarsi in qualche cosa e aiutare il babbo, pazienza! Ma di che cosa può esser ella capace una bambinuccia di otto o nov’anni? C’erano tanti bisogni in quella casa! Il babbo andava all’uffizio la mattina alle dieci e tornava alle cinque. È vero che prima d’andar via, metteva la carne al fuoco, dava una ripulitina alla casa e custodiva la malata: ma la sera avrebbe avuto bisogno di trovar tutto all’ordine. E invece doveva rifarsi da una parte: riattizzare il fuoco, far bollire il brodo, buttar la minestra e disimpegnare insomma tutte quelle minute faccenduole, alle quali non si suol dare una grande importanza, ma che nonostante portano via il loro tempo! L’Eduvige s’ingegnava, poverina. |
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12 gennaio
[modifica]Notizie sulla vita del conte Pietro Verri di Pietro Custodi (1843)
“ | Nacque il conte Pietro Verri in Milano ai 12 dicembre dell’anno 1728. Il di lui padre Gabriele dovette in gran parte ai personali suoi meriti l’essere stato successivamente promosso a diverse eminenti cariche; e fu per ultimo Reggente del Senato. Egli si è pure distinto nelle lettere; e si hanno di lui un quadro storico delle leggi municipali, dei commenti al principal codice di esse, varie dotte consultazioni politico-legali, e una voluminosa compilazione della storia della Lombardia, che rimase manoscritta.
Chi bramasse di conoscere tutti i più minuti tratti della fanciullezza e della prima gioventù del nostro autore, potrà riscontrarli nell’Elogio che ne ha pubblicato l’abate Isidoro Bianchi, già per altre opere benemerito de’ buoni studj. Egli ha seguito un’altra via da quella che io tengo, essendosi proposto di esporre esattamente tutte le notizie delle quali ha trovato traccia; invece fu mio scopo di limitarmi a riferir di Verri quel solo che può servire a far distinguere il suo carattere, o che gli ha meritato di tramandare la sua memoria alla posterità. |
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19 gennaio
[modifica]Piccolo mondo antico di Antonio Fogazzaro (1896)
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PARTE PRIMA
CAPITOLO I. Risotto e tartufi.Soffiava sul lago una breva fredda, infuriata di voler cacciar le nubi grigie, pesanti sui cocuzzoli scuri delle montagne. Infatti, quando i Pasotti, scendendo da Albogasio Superiore, arrivarono a Casarico, non pioveva ancora. Le onde stramazzavano tuonando sulla riva, sconquassavan le barche incatenate, mostravano qua e là, sino all’opposta sponda austera del Doi, un lingueggiar di spume bianche. Ma giù a ponente, in fondo al lago, si vedeva un chiaro, un principio di calma, una stanchezza della breva; e dietro al cupo monte di Caprino usciva il primo fumo di pioggia. |
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26 gennaio
[modifica]Alcuni discorsi sulla botanica di Santo Garovaglio (1865)
“ | La Botanica Belle, utili, amene sono le scienze Naturali, e bella e utilissima fra molte la Botanica. Ampio quanto l’orbe terrestre è il suo campo: dall’oriente all’occidente, dall’equatore ai poli, non vi ha recesso sì ascoso sulla faccia della terra, né caverna sì impenetrabile negli abissi delle acque, che non alberghi qualche vegetale ricchezza. «Varie d’aspetto secondo il suolo che le produce, l’aere che le alimenta, il sole che le riscalda, le piante colla vaghezza delle forme, colla pompa dei colori, colla soavità dei profumi abbelliscono, animano e ricreano tutta quanta la terra.» Acconciandosi esse a tutti i climi, e a tutte le posture dei luoghi, le vediamo, sotto forma di licheni polverosi o fogliacei, rivestire di variopinto mantello la nudità delle aride rocce; vellutare di morbido musco le grotte ombrose; ravvivare la morta superficie delle acque stagnanti, e delle fangose maremme. |
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2 febbraio
[modifica]Vincenzo Bellini di Calcedonio Reina (1902)
“ | Se ai tempi felici della Grecia due semplici e meravigliosi pastori con la tibia e col verso trassero improvvise soavi armonie, ispirandosi a questa natura sempre maestosa e pittoresca, dopo lungo volgere di secoli e di sventare ai nostri giorni, successe a Dafni e a Tirsi chi rinnovò con le note musicali gli antichi incanti. Teocrito, intitolando del nome di Tirsi il primo dei suoi più leggiadri idilli, rapito di entusiasmo, esclamava:
«Incipite buculicon, o dalces Musae, incipite carmen; Questi esametri potrebbero racchiudere l’indole melodiosa, l’elegia e l’idillio che tutta comprese l’anima del Bellini; ed opportuni luoghi furono questi ove si svolsero i primi germi di quell’arte, che nata con Dafni e con Tirsi, trovò in lui il Maestro più ispirato e più sapiente. |
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9 febbraio
[modifica]Elegia sopra un cimitero di campagna di Thomas Gray (1750), traduzione dall'inglese di Melchiorre Cesarotti (1772)
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Che ’l cavo bronzo copritor del foco |
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16 febbraio
[modifica]Rime di Lapo Gianni (1895)
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I.
Amore, i’ prego la tua nobiltade |
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23 febbraio
[modifica]Monsignor Celestino Cavedoni di Placido Brandoli (1870)
“ | Ben degna cosa si è, che fra noi si mantenga in osservanza il nobilissimo costume tramandatoci dai maggiori, d’encomiare qualche insigne nostro concittadino, nel giorno sacro al solenne rinnovamento dei corsi scientifici. Non è necessario vagare fra le tenebre d’età remote, per incontrarvi le sembianze di un personaggio memorabile, a cui la posterità riconoscente debba ravvivare la luce di quell’aureola che gli cinsero intorno al capo i secoli passati. In breve volger di tempo, la città nostra rimase orbata di uno splendido drappello di dotti che ne formavano la gloria: in pochi anni, ha veduto rapirsi celebri scienziati, letterati valorosi, giureconsulti prestantissimi. Fra tanti nomi che offrirebbero argomento di ben meritato encomio, io trascelsi, non senza grandissima trepidazione, quello di Mons. Celestino Cavedoni, precarissimo ornamento ad un tempo della città nostra e di questo Ateneo. | „ |
2 marzo
[modifica]Alessandro Manzoni - studio biografico di Angelo De Gubernatis (1879)
“ | Il Discorso che segue, col quale tentai di studiare la vita del primo tra i nostri moderni scrittori, fu letto in tre giorni consecutivi dello scorso maggio in una sala della Taylorian Institution di Oxford, innanzi ad eletto uditorio che mi è venuto intorno, fino all’ultimo, crescendo per numero e benevolenza.
Dovendo ogni lettura restringersi al breve giro di un’ora, dovetti pure, per non abusare della pazienza de’ miei cortesi uditori, sopprimere parecchie parti del Discorso che io avea preparato per la importante e splendida occasione, e che un’ora non avrebbe bastato a svolgere. Desidero ora dunque ricolmare nella stampa le inevitabili lacune di que’ discorsi, lieto d’offrire, per intiero, ai dotti e gentili Curatori dell’Istituto Oxoniano e a’ miei proprii concittadini il frutto di que’ pochi studii da me fatti sopra lo scrittore italiano, che ho più ammirato nell’età nostra e dal nome del quale tolse pure il proprio il carissimo fanciullo, nel quale io ho riposto le mie migliori speranze. |
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9 marzo
[modifica]Saggio di racconti di Pietro Thouar (1840)
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ILARIO
La natura ci ha dato il padre e la madre e le dolcezze del loro amore. Il quale amore incomincia dal momento che la madre ci dà il suo latte per mantenerci una vita ricevuta da lei; questo amore accresce e regge le forze e le fatiche del padre per educarci e per istruirci; questo amore ci protegge contro i pericoli dai quali è sempre minacciata la nostra infanzia. Beati quei figliuoli che sanno meritare l’amore e l’assistenza dei genitori! Ma ohimè! non tutti i bambini godono sempre di questi beni! I genitori di un fanciullo potrebbero diventare tanto poveri, od essere tanto malati da non aver più mezzo di mantenerlo, o da doverlo abbandonare all’altrui carità perchè non perisca! |
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16 marzo
[modifica]Novelle lombarde di Cesare Cantù (1878)
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LA MADONNA D’IMBEVERA
L’esame dei luoghi e alcuni storici riscontri convincono che, sedici o diciotto secoli fa, quel tratto della Brianza che chiamasi il Pian d’Erba e le bassure circostanti erano occupate da un lago, chiamato l’Eupili, il quale, alimentato dagli scoli delle montagne, per la Valmadrera doveva comunicare con quello di Lecco e coll’Adda; e versavasi pel Lambro, di cui basta osservare il letto per accertarsi come un tempo corresse più ricco di acque. A foggia d’isole o penisole qui e qua sporgevansi in asciutto alcuni dossi, sui quali erano fabbricati villaggi e casali, i cui abitatori campavano pescando nei luoghi, dove i loro discendenti oggi fendono colla marra le gratissime glebe. Quando e come questo lago sparisse, mal si potrebbe dire; nè qual violenta crisi abbia sollevato il suolo così, da interromperne la comunicazione con quello di Lecco, e sprofondatolo in alcune parti per modo che, ivi raccogliendosi le acque dapprima diffuse, venissero a formarsi i laghetti di Pusiano, di Annone, di Alserio, lasciando in secco il restante. |
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23 marzo
[modifica]Del sistema in genere di Francesco Acri (1867)
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DEL
SISTEMA IN GENERE
DISCORSO
LETTO NELL’UNIVERSITÀ DI PALERMO
addì 15 gennaio 1867
Avanti ch’io incominci l’insegnamento della filosofia specolativa che mi venne commesso, giudico essere bene dire alcune opinioni mie intorno al sistema pigliato in significazione generale. Esso è la rappresentazione che persona fa dell’universo a sè medesimo; ed è ciò che il filosofo vagheggia con inestimabile costanza, e cerca di raggiungere con tutte le più efficaci industrie dello affetto; ed è la essenza stessa della filosofia. Le vulgari persone non sanno rappresentarsi l’universo per alcun modo, ma soltanto vedono le parvenze di quello senza isvolgimento interiore: e quegli poi che cultivano l’altre scienze sono soddisfatti di guardare e di considerare non l’intero universo, bensì alcuna sua parte nella quale s’asconde come la immagine della concordia del tutto. |
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30 marzo
[modifica]Leila di Antonio Fogazzaro (1910)
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CAPITOLO PRIMO.
Preludio mistico.
I.
«Signorina» disse Giovanni, il domestico, entrando frettoloso, ansante, nella sala da pranzo. Aveva cercato inutilmente la signorina Lelia nel giardino, nel salone, nella sua camera. Erano le nove di sera, il padrone e la signorina avevano finito di pranzare prima delle otto, il padrone si era chiuso quasi subito nel suo studio, la signorina era uscita in giardino, a Giovanni non poteva venire in mente che fosse ritornata nella sala da pranzo. Ella era lì, alla finestra. Pareva guardare l’oscuro bosco di castagni, a levante della villa, oltre il borro dove un’acquicella querula scende dal piccolo lago nascosto, più su, dietro un giro di erbosi dorsi, cinto alla grande, severa montagna di Priaforà. Tendeva in fatto l’orecchio a un remoto fragore che cresceva e mancava collo spirare del vento: al fragore di un treno ancora lontano, in corsa verso quella conca della Val d’Astico che la villa signoreggia. |
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6 aprile
[modifica]Della consolazione della filosofia di Anicio Manlio Torquato Severino Boezio (VI secolo), traduzione dal latino di Benedetto Varchi (1551)
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LIBRO PRIMO
Si duole e rammarica in questo libro Boezio colla Filosofia dell’acerbità delle sue sventure, inasprite ancora più dalla rammemorazione delle grandezze e felicità passate.
LE PRIME RIME.
Io che, già lieto e verde, alto cantai |
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13 aprile
[modifica]Mastro-don Gesualdo di Giovanni Verga (1890)
“ | PARTE PRIMA. I.Suonava la messa dell’alba a San Giovanni; ma il paesetto dormiva ancora della grossa, perchè era piovuto da tre giorni, e nei seminati ci si affondava fino a mezza gamba. Tutt’a un tratto, nel silenzio, s’udì un rovinìo, la campanella squillante di Sant’Agata che chiamava aiuto, usci e finestre che sbattevano, la gente che scappava fuori in camicia, gridando: — Terremoto! San Gregorio Magno! Era ancora buio. Lontano, nell’ampia distesa nera dell’Àlia, ammiccava soltanto un lume di carbonai, e più a sinistra la stella del mattino, sopra un nuvolone basso che tagliava l’alba nel lungo altipiano del Paradiso. Per tutta la campagna diffondevasi un uggiolare lugubre di cani. E subito, dal quartiere basso, giunse il suono grave del campanone di San Giovanni che dava l’allarme anch’esso; poi la campana fessa di San Vito; l’altra della chiesa madre, più lontano; quella di Sant’Agata che parve addirittura cascar sul capo agli abitanti della piazzetta. Una dopo l’altra s’erano svegliate pure le campanelle dei monasteri, il Collegio, Santa Maria, San Sebastiano, Santa Teresa: uno scampanìo generale che correva sui tetti spaventato, nelle tenebre. |
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20 aprile
[modifica]Novellette e racconti di Gasparo Gozzi (1841)
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I.
La Dote.
Nella contrada di San..... fecesi a’ passati dì un pajo di nozze sì sontuose e di sì nuova invenzione, che merita di aver luogo nel presente foglio. Abitava quivi M. R., sartorella di professione, la quale nell’esercizio dell’arte sua essendo molto perita, avea perciò acquistate molte avventore e pratiche, ch’erano vestite da lei con ogni qualità di abiti alla francese, alla prussiana, e in somma in qualunque modo avessero voluto. La celebrità sua le arrecava per le continue faccende un gran guadagno a casa, tanto che la vicinanza, come si fa, quando ragionava di lei, chiamavala fortunata, e dicea ch’ella aveva un monte di oro, e che l’era pazza a non cominciar ad investire per apparecchiarsi un ozioso stato al tempo della sua vecchiaja. Un gondoliere non fu sordo alle cose che venivano dette; e forse pensando fra sè che lo investire si riduce ad una piccola entrata, e ch’egli è meglio godere un tratto del capitale, che stentare a poco a poco col frutto, volle ajutare la povera sartorella col suo consiglio. |
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27 aprile
[modifica]Rivista di Scienza - Vol. I di Autori vari (1907)
“ | LA SCUOLA CLASSICA INGLESE DI ECONOMIA POLITICA.Nessuno può giustamente comprendere ed apprezzare la Scuola classica inglese di Economia Politica, se non ha prima capito quale sia stato lo scopo e il fine dei suoi studi. Nella controversia, accesasi vent’anni or sono, intorno alla questione del metodo in economia, si trascurò frequentemente, anzi generalmente, il fatto che le scuole rivali ebbero anzitutto scopi alquanto diversi e volevano acquistare cognizioni di genere diverso: sicchè era inevitabile che impiegassero anche metodi differenti. Per non avere riconosciuto questo fatto iniziale, gran parte della discussione intorno al metodo proprio della scienza economica è stata fatta del tratto fuor di proposito. In ciò peccarono specialmente coloro che assalirono la scuola classica inglese, caratterizzando il metodo di questa come metafisico ed astratto, come a priori e dedutivo. Il fatto è che i primi scrittori inglesi e scozzesi di economia politica, s’interessavano direttamente dei problemi dell’arte pratica di governo che allora occupavano l’attenzione di cotesti popoli praticissimi. |
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4 maggio
[modifica]Il momento politico di Biagio Camagna (1900)
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Avrei accettato senz’altro l’invito fattomi nella Luce da un gruppo di elettori, se l’invito stesso non fosse stato preceduto da dubbi e da diffidenze che debbo altamente respingere, e perfino da affermazioni che nessuna buona fede può avere dettato. Si dice di volermi sostenere, mentre si dubita delle mie intenzioni; si fa le viste di volere palpitare con me, mentre si diffida dei voti da me apertamente e ripetutamente dati; si parla di diserzioni a mio danno, mentre queste sono sconosciute nel campo dei miei amici ed elettori, i quali, dal 1892 ad oggi, in quattro votazioni, crebbero sempre di affetto e di numero, con la coscienza e con l’entusiasmo che solamente il popolo può avere per i suoi figli. Il mio programma fu sempre di fede illimitata nella libertà di stampa, di associazione, di riunione e di parola - soli beni dalla rivoluzione e dall’unità venuti all’Italia - sole franchigie per la nazione. |
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11 maggio
[modifica]Il diamante di Paolino di Ida Baccini (1901)
“ | oloro, e non sono pochi, che hanno trascorso qualche tempo tra i pittoreschi monti di B... devono aver sentito parlare spesso della volùta, serpente alato, creatura magica, che traversa il cielo, simile ad una stella cadente, si tuffa nelle onde, e porta in fronte un diamante fulgentissimo, grosso come una noce. Molti credono che la volùta non sia altro che il simbolo della fortuna che essa raffigura con la rapidità del suo volo, lo splendore della sua gemma e le contorsioni capricciose del suo corpicino elegante.
Ciò che i vecchi nonni affermano si è che la volùta prima di tuffarsi nelle sorgenti solitarie e ne’ ruscelli misteriosi, lascia sulla sponda il magnifico diamante che è il suo cuore, la sua pupilla, la luce sua. Se nel momento in cui ella s’abbandona al piacere dell’immersione, qualcuno potesse destramente impadronirsi di quel diamante senza prezzo, celato nel cespuglio più folto, questo qualcuno non avrebbe più bisogno di lavorare: poichè nessuna miniera terrestre ha mai svelato allo sguardo avido dell’operaio e dello studioso un diamante più splendido. |
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18 maggio
[modifica]Avventure di Robinson Crusoe di Daniel Defoe (1719), traduzione dall'inglese di Gaetano Barbieri (1842)
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Primi anni di gioventù.
Nacqui l’anno 1632 nella città di York d’una buona famiglia, benchè non del paese, perchè mio padre, nativo di Brema, da prima venne a mettere stanza ad Hull; poi venuto in buono stato col traffico e lasciato il commercio, fermò sua dimora in York; nella qual città sposò la donna che fu poi mia madre. Appartiene questa alla famiglia Robinson, ottimo casato del paese; onde io fui chiamato da poi Robinson Kreutznaer: ma per l’usanza che si ha nell’Inghilterra di svisar le parole, siamo or chiamati, anzi ci chiamiamo noi stessi e ci sottoscriviamo Crusoe, e i miei compagni mi chiamarono sempre così.
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25 maggio
[modifica]Difesa del sig. Raffaele Colarusso di Biagio Camagna (1888)
“ | Il 14 luglio 1888, alla stazione della Ferrovia in Bagnara Calabra era moltissima gente in attesa della partenza del treno e si affollava allo sportello per la distribuzione de’ biglietti.
Tra quella gente era il signor Raffaele Colarusso fu Pasquale, egregio gentiluomo di Palmi, Consigliere Provinciale, conosciutissimo nella nostra città e nella intera provìncia, dove ha molti parenti ed amici che lo stimano e lo amano. Con lui erano sua moglie e tre suoi figliuoletti. Dovevano recarsi in Cannitello per la stagione de’ bagni. Ad un tratto, dal fianco del signor Colarusso cade a terra il revolver e parte un colpo. Il revolver fu ripreso da terra e nessuno dei presenti s’era accorto che da quel colpo era stato ferito un certo Tegani Raffaele da Polistena, il quale a poco a poco si ripiegò su se stesso e in brevi minuti spirò. Gli astanti e lo stesso signor Colarusso non potevano credere a tanta sventura e, quando compresero la dolorosa realtà, non sapevano darne conto a se stessi. |
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1 giugno
[modifica]Vangelo di Nicodemo di Anonimo (II secolo), traduzione dal greco di Anonimo (XV secolo)
“ | Il Passio o Vangelo di Nicodemo (noto anche sotto il titolo di Acta Pilati) è una narrazione di fatti precedenti e susseguenti alla morte del nostro Redentore. Quantunque in molte parti si trovi conforme a quella lasciataci dagli Evangelisti, devesi ritenere per commentizia; e tra i libri apocrifi del Nuovo Testamento la pubblicò nel testo latino il dotto Fabricio. A lui rimando chi volesse conoscere i pareri e le critiche che ne furono scritte da’ tempi di san Giustino martire fino al secolo decimosettimo; bastandomi d’accennare, che se ne conosce il testo greco (traduzione dell’originale ebraico), che se ne hanno stampe molto antiche, e versioni in varie lingue.
Nel nostro volgare, stando al Lami (De eruditione Apostolorum, pag. 636), non si conosceva che una parafrasi di questo Passio, in un codice Riccardiano: e veramente nel manoscritto cartaceo, anticamente segnato P. iii, n. xiv, e odiernamente n. 1362, sta dalla carta 16 alla 26 El Vangielo di Nicchodemo, o più tosto un sunto di quel Vangelo, diviso in queste sette rubriche: [...] |
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8 giugno
[modifica]Novella di Dioneo e Lisetta di Anonimo (XVI secolo)
“ | Perocchè gli accidenti del lusinghevole amore, gli avvenimenti della instabile fortuna sono varii molto, avviene che malagevolmente da’ suoi colpi si possono i mortali schermire, onde spesse fiate, come nelle istorie antiche si legge, avvenne che di coloro eziandio, li quali dagli abitanti di questo secolo erano per Dei riputati, altri nelle amorose panie invescati, altri dagli empiti della ingiuriosa fortuna percossi rimasero. Non doverà dunque maraviglia parere a chiunque la presente novella leggerà, che lo Giovane di carne e d’ossa essendo, e oltre a ciò, naturalmente alle ardentissime fiamme del concupiscibile amore soggetto, ne’ lacci suoi strabocchevolmente caduto sia, come chiaramente in essa appare: la quale cosa ho voluto, quanto più semplicemente per me s’è potuto, in carte stendere, non già perchè io ne speri nè utile nè gloria alcuna conseguire, nè altro che forse pietà appo coloro agli orecchi de’ quali questo mio amoroso e fortunevole caso perverrà. | „ |
15 giugno
[modifica]Un'escursione nei quartieri poveri di Londra di Louis Laurent Simonin (1862), traduzione dal francese di Anonimo (1882)
“ | Era il mese di luglio 1862. Io mi trovava a Londra col mio amico M. D. B. pittore, ed un suo allievo. Ritornavamo dalle miniere di Cornovaglia e dai distretti industriali tanto curiosi del paese di Galles.
Londra era allora popolata da dieci volte più di forastieri che non ne contenga d’ordinario; era tutta intenta alla grande Esposizione, che per la seconda volta in undici anni riuniva nelle sue mura i popoli ed i prodotti dell’universo. Io avevo già visitato a più riprese la gran navata e le traverse, le gallerie e gli annessi del palazzo di Kensington, ammirate le mostre dell’industria dell’uno e dell’altro emisfero, riunite colà in sì poco tempo come sotto il colpo d’una bacchetta magica. In sulle prime i miei amici mi avevano seguito; ma poi, stanchi più presto di me di questo spettacolo sempre uguale, non avevano tardato a domandare a Londra altre distrazioni; [...] |
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22 giugno
[modifica]Ricordi di Londra di Edmondo De Amicis (1882)
“ | Pioveva, il mare era agitato, il bastimento ballava come una barchetta; a una mezz’ora appena da Dièppe, provai, per la prima volta in vita mia, i sintomi del mal di mare. C’erano a bordo molte signore, la maggior parte inglesi, che sgranocchiavano allegramente cacio e prosciutto, senza neppur mostrarsi d’accorgersi di quel tremendo ballottìo che sconvolgeva le viscere a me e ad altri, qualcuno dei quali s’era già lasciato sfuggire dalla bocca più che dei lamenti. Ebbene, è proprio vero che il mal di mare rende l’uomo superiore a tutte le vanità umane. Se una mezz’ora prima m’avessero detto: — Guarda qui c’è tanto denaro da stare a Londra un mese invece di quindici giorni, come ci starai tu; e poi da fare un giro in Scozia, e poi una scappata in Irlanda; questo denaro è tuo, se tu pigli davanti a queste signore un atteggiamento che ti renda ridicolo; — confesso la mia vanità, l’avrei rifiutato. Una mezz’ora dopo, invece, stavo con un infinito disprezzo di me medesimo, sopra due sacchi sucidi, un piede a oriente e uno a occidente, [...] | „ |
29 giugno
[modifica]Vita di Omero di Giovanni Bonfanti (1823)
“ | Quanto è grande la fama di Omero, altrettanto è incerta la condizione di Lui. Molti scrissero la storia della sua vita, e niuno seppe darne un esatto racconto senza frammischiarvi delle favolose tradizioni. Gli Egiziani ed i Greci idearono cose prodigiose sulla nascita sua, e questi ultimi ne presentarono un’assai lunga genealogia. Diciannove Città, al detto di Suida, si contrastarono l’onore d’esser patria di Omero. Sembra però che Smirna e Chio abbiano più titoli onde reclamarlo per suo; ma resta ancora dubbioso a quale di queste due appartenga; perciocchè sì dall’una che dall’altra parte mostransi monumenti eretti alla sua gloria. Alcuni poi vollero che il nome di Lui fosse Meonide, ed altri Melesigene, e di soprannome Omero: chi ancor disse, esser egli un idolo immaginario ed un nome senza soggetto; ma certamente un uomo immaginario non avrebbe prodotto due poemi, se questi non sieno di più autori come la intesero alcuni, ai quali ragionevolmente ripugna un saggio letterato, dicendo: “sia che si riguardi al soggetto, o al piano, o alla condotta, o alle macchine; sia che si riguardi allo stile, al ritmo, all’armonia, si sente ben tosto che tutto è in Omero, tutto è di lui„: [...] | „ |
6 luglio
[modifica]Scavo di miniere di piombo nella Valsassina di Gabriele Rosa (1863)
“ | Dopo l’invenzione del fuoco, che per la sua importanza primordiale si disse divina, venne seguace l’arte di cavare e trattare i metalli, strumento indispensabile ed efficacissimo di civiltà, segno sicuro d’intelligenza, di ricchezza, di forza. Onde i popoli più civili si distinsero dall’arte di produrre e lavorare i metalli, ed i Fenici che recarono all’Europa i primi semi di coltura, furono metallurgici per eccellenza, come ora sono gli Inglesi che rappresentano quelli ne’ tempi moderni. La squisita civiltà de’ Greci e de’ Romani ci è dimostrata dai lavori finissimi d’ogni maniera di metalli che sapeano condurre, e che restano ancora sparsi per l’antico mondo, documento di loro prevalenza materiale e morale.
In Italia, come è molto remota la civiltà, è vetusta la metallurgia; ed il venerando poeta ricorda come trenta secoli sono sulle coste della Calabria si cambiassero rame e ferro. Ma quando Roma convocò al banchetto della sua civiltà i vari popoli assisi sul Mediterraneo, volle allontanare dal seno della antica madre Italia lo spettacolo degli schiavi dannati allo scavo de’ metalli, [...] |
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13 luglio
[modifica]In memoria di Alfonso della Valle di Casanova di Francesco Acri (1872)
“ | La notizia della morte del più dolce e caro amico ch’io aveva, di Alfonso casanova, non mi maravigliò. L’ultima volta ch’io fui a Napoli, è un anno, a vederlo dimagrato, e che, parlando, una tosse lenta interrompevagli la parola, subito un presentimento tristo m’occupò l’animo. Persico, Bonanno, Bernardi, la famiglia Fornari, io, chè tutti l’amavamo, e quanto! ragionando insieme dicevamo: tra breve questa preziosa vita ci si dileguerà dagli occhi. E già sono cinque giorni che Alfonso ci si è dileguato, e per volgere di anni non ci comparirà mai più.
Questo giovine, di nobile casato, ricco, bello, vivace di modi e d’aspetto, visse amando principalmente due cose, i bambini, per amore di Cristo, e Dante. Abbattendosi in bambini soleva per ordinario mettersi a ragionare con essi, e, accomodandosi alla capacità loro, fare interrogazioni molte a fine di destare gentili e nuovi pensieri nella loro mente; e di questa conversazione prendeva grande diletto più che se ragionato avesse con grandi uomini. |
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20 luglio
[modifica]Monete medaglie e sigilli dei principi Doria di Agostino Olivieri (1858)
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LA FAMIGLIA DORIA
Sin dal principio del Comune genovese veggonsi ricordati nelle pubbliche e private contrattazioni individui, cui il cognome si attribuisce di Auriae. Essi sono tra i primi, che ottengono l’onore del Consolato, e la Repubblica non compie alcuna grande impresa senza che vi prendano parte principalissima. Chi fossero, donde venuti, la storia nol dice; nè ciò dee recar meraviglia, che l’origine delle più antiche ed illustri famiglie è tuttavia involta nelle tenebre, nè più valgon oggi le invenzioni dei Genealogisti per innalzare alle stelle i primordi di esse. Nei secoli scorsi da molti, da taluno oggidì, si sostien tuttavia, che la casa dei Doria avesse a suo stipite un Ardoino Conte di Narbona, che, recatosi in Genova nel 960, come afferma il Giustiniani, togliesse in moglie un’Orietta dell’illustre famiglia dei Della Volta, e che i figli di costei, soprannominati filii Auriae, tramandassero ai discendenti tal nome. |
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27 luglio
[modifica]Alcune prose giovanili di Francesco Acri (1857)
Ho ancora alla memoria quando ragionavamo insieme, come amici, andando a diporto per gli aperti e ariosi viali della campagna; e i vostri volti li ho così vivamente impressi nell’anima, che tuttavia mi par di vedervi e parlare. Questo è perchè le vostre immagini m’entrarono per le vie del cuore ne’ giocondi e sereni giorni di giovinezza, pria che le sopravvegnenti disillusioni d’un età più matura quelle si fossero chiuse. Com’eravamo contenti! la scuola era dappresso ai focolari della casa; e la tenevamo al segreto per le dolorose distrette in cui si trovava la patria nostra; e non alcuna necessità ma libero volere ci univa; e l’insegnare e l’apprendere, che in altrui moveva paura e odio, per noi era cagione che ci volessimo più gran bene.
3 agosto
[modifica]Lettere autografe edite ed inedite di Cristoforo Colombo (1863)
10 agosto
[modifica]Questioni Pompeiane di Raffaele Garrucci (1853)
17 agosto
[modifica]Senza titolo di William Girometti (1973)
...Questa notte
ed altre ancora
ve ne saranno,
ma usciremo dall'embrione.
Se il cielo ed il mare
son neri come l'inchiostro
i nostri cuori, li conosci,
sono pieni del colore del sole.
Avrà luce e calore
il giorno nascente
uscirà dalla notte
con le membra affaticate.
24 agosto
[modifica]Le cento novelle antiche di Anonimo (XIII secolo)
NOVELLA I.
31 agosto
[modifica]Penombre di Emilio Praga (1864)
Noi siamo i figli dei padri ammalati;
Acquile al tempo di mutar le piume,
Svolazziam muti, attoniti, affamati,
Sull’agonia di un nume.
Nebbia remota è lo splendor dell’arca,
E già all’idolo d’or torna l’umano,
E dal vertice sacro il patriarca
S’attende invano;
S’attende invano dalla musa bianca
che abitò venti secoli il Calvario,
E invan l’esausta vergine s’abbranca
Ai lembi del Sudario...
7 settembre
[modifica]Vita di Galileo Galilei di Giovanni Bonfanti (1819)
Ne’ suoi primi anni venne istruito a Firenze nella lingua latina, italiana e greca, nella poesia, nella musica, e si dilettò ancora della pittura.
14 settembre
[modifica]La Valle Seriana di G. Zidimeco (1900)
Gli è perciò che una Guida descrittiva, storica, artistica e pratica di questa Valle ci è parsa non solo opportuna ma necessaria, per non dire indispensabile. — Far meglio conoscere i suoi prodotti, il suo commercio, le sue industrie, renderne più note e più apprezzate le sue bellezze, farla meta gradita di deliziose escursioni e di piacevole soggiorno ai nazionali e ai forestieri — ecco lo scopo della medesima.
21 settembre
[modifica]Cuore infermo di Matilde Serao (1882)
28 settembre
[modifica]Elogio alla celebre italiana Maria Gaetana Agnesi di Rinaldo Marcucci Ricciarelli (1860)
Nacque questa donna illustre nella bella e dotta Città di Milano, patria degli Ambrogi, dei Manzoni, dei Cantù, ec. il 16 marzo 1718. Sino dai primordi di sua vita si dette a coltivare con ardore le facoltà dell’intelletto, in guisa che toccava appena il terzo lustro; allorquando spiegava in modo sorprendente, i passi i più oscuri degli autori latini. Non paga la giovinetta Maria delle profonde cognizioni dei due patri idiomi, apprese con pari facilità; il franecese; l’inglese; lo spagnuolo; l’ebraico; il greco; ec.
5 ottobre
[modifica]Vita dei campi di Giovanni Verga (1881)
Una volta, mentre il treno passava vicino ad Aci-Trezza, voi, affacciandovi allo sportello del vagone, esclamaste: «Vorrei starci un mese laggiù!»
Noi vi ritornammo, e vi passammo non un mese, ma quarantott’ore; i terrazzani che spalancavano gli occhi vedendo i vostri grossi bauli avranno creduto che ci sareste rimasta un par d’anni. La mattina del terzo giorno, stanca di vedere eternamente del verde e dell’azzurro, e di contare i carri che passavano per via, eravate alla stazione, e gingillandovi impaziente colla catenella della vostra boccettina da odore, allungavate il collo per scorgere un convoglio che non spuntava mai. In quelle quarantott’ore facemmo tutto ciò che si può fare ad Aci-Trezza: passeggiammo nella polvere della strada, e ci arrampicammo sugli scogli; col pretesto di imparare a remare vi faceste sotto il guanto delle bollicine che rubavano i baci; passammo sul mare una notte romanticissima, gettando le reti tanto per far qualche cosa che a’ barcaiuoli potesse parer meritevole di buscarsi dei reumatismi, e l’alba ci sorprese in cima al fariglione, [...]12 ottobre
[modifica]Intorno ad alcuni avanzamenti della fisica in Italia nei secoli XVI e XVII di Baldassarre Boncompagni (1846)
19 ottobre
[modifica]Il dottor Antonio di Giovanni Ruffini (1855), traduzione dall'inglese di Bartolomeo Aquarone (1856)
In un bello e splendido giorno di aprile del 1840, una elegante carrozza da viaggio tirata da quattro cavalli di posta correva di pien galoppo nella strada della Cornice, famosa fra gli eleganti giramondo: strada, come ognun sa, che percorre da Genova a Nizza tutta la riviera di ponente.
Poche strade più belle di questa sono in Europa; — e poche certamente, come questa, riuniscono in sè tre condizioni di bellezza naturale: il Mediterraneo da un lato, dall’altro gli Appennini, e di sopra il puro cielo d’Italia. Per sovrappiù, l’industria dell’uomo ha fatto ogni sforzo, se non per superare, almeno per non rimanere inferiore alla natura. Un seguito di città e di paeselli, alcuni graziosamente stesi sulla riva, bagnati ai piedi dalle onde argentine; altri sparsi come una mandra di bianche agnelle sui fianchi della montagna, o pittorescamente elevati sulla cima di una catena di monti sublimi; qua e là qualche santuario sospeso in alto sopra uno scoglio bagnato dal mare, o mezzo perduto sulla collina fra il verde del bosco; [...]26 ottobre
[modifica]La zecca di Scio di Domenico Promis (1865)
È bensì vero che sopra le monete a quest’epoca appartenenti molte opere già esistevano pubblicate sin dallo scorso secolo, ma nulla ancora si aveva per quelle coniate in Oriente dai Latini in seguito alla prima crociata.
Ora di esse il primo che di proposito trattò fu il Marchant colle lettere settima e ventesima inserte ne’ suoi Mélanges de numismatique et d’histoire impressi nel 1817 e 1818; in seguito abbiamo molti articoli nelle pubblicazioni periodiche destinate a questo ramo di erudizione ed uscite di Francia, Germania, Inghilterra e Russia, ma soprattutto sono pregievoli le opere speciali del Saulcy col titolo La numismatique des Croizades e Die Munzen des Johanniter - Ordens auf Rhodus del Friedländer.2 novembre
[modifica]Una salita al Monviso di Quintino Sella (1863)
Carissimo amico,
Siamo riesciti; ed una comitiva d’italiani è finalmente salita sul Monviso! Io fui qualche momento in dubbio se te ne dovessi scrivere. È una vera crudeltà il venire a te, cui il dovere tenne incatenato sotto quest’afa canicolare in mezzo a carte aride e fastidiose come il polverio che infesta le strade, e parlarti delle impareggiabili soddisfazioni da noi godute appiè delle nevi, in mezzo alle inarrivabili sublimità degli orrori alpini. Ma non vorrei che mi tacciassi di mancator di parola, ed eccoti un breve cenno della nostra gita.
Ci si doveva essere un diluvio di gente, ma poi allo stringer del sacco ci trovammo solo in quattro, il conte di S. Robert, suo fratello Giacinto, il deputato Barracco ed io. Parecchi strumenti che si erano ordinati non furono neppure all’ordine, sicchè i progetti di una serie di osservazioni fatte contemporaneamente in stazioni diverse andarono tutti in fumo. Ci limitammo quindi a trovar modo di giungere alla vetta del Monviso.9 novembre
[modifica]Ordini della magnifica comunità di Alzano di Sotto teritorio di Bergamo di Anonimo (1744), traduzione dal latino di Giovanni Carrara (senza data)
16 novembre
[modifica]Novelle di Francesco Vettori (XVI secolo)
23 novembre
[modifica]Memorie storiche del Santuario della B.V. della Misericordia di Castelleone di Bartolomeo Chiappa (1822)
30 novembre
[modifica]Le strade ferrate in Italia durante il mese di luglio 1854 di Anonimo (1854)
7 dicembre
[modifica]Le avventure d'Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll (1865), traduzione dall'inglese di Teodorico Pietrocòla-Rossetti (1872)
CAPITOLO I.
giù nella conigliera.
ALICE cominciava a sentirsi mortalmente stanca di sedere sul poggio, accanto a sua sorella, senza far nulla: una o due volte aveva gittato lo sguardo sul libro che leggeva sua sorella, ma non c’erano imagini nè dialoghi, “e a che serve un libro,” pensò Alice, “senza imagini e dialoghi?”
E andava fantasticando col suo cervello (come meglio poteva, perchè lo stellone l’avea resa sonnacchiosa e grullina), se il piacere di fare una ghirlanda di margherite valesse la noja di levarsi su, e cogliere i fiori, quand’ecco un Coniglio bianco con gli occhi di rubino le passò da vicino.
Davvero non c’era troppo da meravigliarsi di ciò, nè Alice pensò che fosse cosa troppo stravagante di sentire parlare il Coniglio, il quale diceva fra sè “Oimè! Oimèi! ho fatto tardi!” (quando se lo rammentò in seguito s’accorse che avrebbe dovuto meravigliarsene, ma allora le sembrò una cosa assai naturale): [...]14 dicembre
[modifica]Saffo in Leucade di Giuseppe Alborghetti (1810)
Abbandonata la Celebre Poetessa Saffo da Faone, di cui era perdutamente innamorata, si portò al Tempio di Apollo Leucadio per implorare l’assistenza di quel Dio, acciò gli ammorzasse il foco dell’amore che l’accendeva. — L’oracolo gli vaticinò, che questo amore non si sarebbe estinto, che cimentandosi al gran salto di Leucade. Come in effetto coraggiosamente Saffo eseguì.
CANTATA
Si vede spuntare la Luna dall’Orizzonte. Spiaggia di Mare. Promontorio altissimo di Leucade di Marmo bianco, Tempio di Apollo Leucadio. La Spiaggia è ingombra dei Monumenti di coloro, che perirono nel salto, o ne sortirono felicemente. Iscrizioni sugli uni, e sugli altri. Il più magnifico è quello di Deucalione, che fu il primo ad esporsi al cimento. [...]
SAFFO.
Ecco il Tempio bramato: ecco la meta
De’ miei lunghi sospir. Quivi a seconda
Delle voci del Dio,
O la vita, o l’amor lasciar degg’io.
21 dicembre
[modifica]Trattato del diritto delle genti di Immanuel Kant
Le società politiche sono di loro natura indipendenti l’una dall’altra e tendono a mantenersi tali.
Nello stato di una selvaggia indipendenza nulla vi ha che regoli le loro esteriori relazioni.
Il potere arbitrario e la forza sono esercitati di pien diritto.
Ne risulta quindi uno stato di guerra perpetua che sussiste, quantunque le ostilità non siano sempre assolutamente permanenti.
La sola stanchezza produce la tregua.
Ma la tregua non potrebbe aver mai effetto senza una mutua convenzione.
Questa convenzione indispensabile per assicurarsi un momentaneo riposo è il primo passo che fanno le società politiche per uscire dallo stato selvaggio.
Esse sostituiscono al brutale loro sistema un metodico procedimento.
Il termine della tregua determina il cominciamento delle ostilità.
Frattanto la permanenza della guerra espone le società politiche a perpetui cimenti per parte del più forte.
Per ovviare a questo inconveniente si formano unioni tra due o più potenze.28 dicembre
[modifica]La favorita del Mahdi di Emilio Salgari (1887)
Era la sera del 4 Settembre 1883. Il sole equatoriale, rosso rosso, scendeva rapidamente verso le aride e dirupate montagne di Mantara, illuminando vagamente le grandi foreste di palme e di tamarindi e le coniche capanne di Machmudiech, povero villaggio sudanese, situato sulla riva destra del maestoso Bahr-el-Abiad o Nilo Bianco, a meno di quaranta miglia a sud di Chartum.
Da ogni parte dell’orizzonte accorrevano bande di superbe antilopi e di sciacalli che venivano a dissetarsi sulle poetiche sponde del fiume, e nell’aria svolazzavano arditamente schiere di fenicotteri dalle penne rosee e le estremità delle ali fiammeggianti, schiere di ibis sacre che calavan sulle foglie arrotondate e galleggianti del loto, e file di grossi pellicani che s’appiattavano fra i canneti, cacciando i pesci.
Sul molo e per le viuzze del villaggio, Negri, Arabi e Turchi, andavano e venivano rumorosamente, gli uni affacendati a scaricare cammelli e asini, altri a condurre mandrie di buoi tigrati e di cammelle ai pozzi, e altri ancora a tirar a secco le barche o a disarmarle.