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Le opere di Galileo Galilei - Vol. V/Scritture in difesa del sistema Copernicano/Lettera a madama Cristina di Lorena

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Lettera a madama Cristina di Lorena

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Scritture in difesa del sistema Copernicano - Lettera a Mons. Piero Dini Scritture in difesa del sistema Copernicano - Considerazioni circa l'opinione Copernicana

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LETTERA


A


MADAMA CRISTINA DI LORENA


GRANDUCHESSSA DI TOSCANA.


[1615.]



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ALLA SERENISSIMA MADAMA

LA GRAN DUCHESSA MADRE

GALILEO GALILEI.1




Io scopersi pochi anni2 a dietro, come ben sa l’Altezza Vostra Serenissima3, molti particolari nel cielo, stati invisibili sino a questa età; li quali, sì per la novità, sì per alcune conseguenze che da essi dependono, contrarianti ad alcune proposizioni naturali comunemente ricevute dalle scuole de i filosofi4, mi eccitorno contro non piccol numero di tali professori; quasi che io di mia mano avessi tali cose collocate5 in cielo, per intorbidar la natura e le scienze. E scordatisi in certo modo6 che la moltitudine de’ veri concorre all’investigazione, accrescimento e stabilimento delle discipline, e7 non alla diminuzione o destruzione8, e dimostrandosi nell’istesso tempo più affezionati alle proprie opinioni che alle vere, scorsero a negare e far9 prova d’annullare quelle novità, delle10 quali il senso istesso, quando avessero voluto con attenzione riguardarle, gli averebbe potuti render sicuri; e per questo produssero varie11 cose, ed alcune scritture pubblicarono ripiene di vani discorsi, e, quel che fu più grave errore, sparse di attestazioni delle Sacre Scritture, tolte da luoghi non bene da loro intesi e lontano dal proposito addotti: nel quale errore12 forse non sarebbono incorsi, se avessero avvertito un utilissimo documento [p. 310 modifica]che ci dà S. Agostino, intorno all’andar con riguardo nel determinar resolutamente sopra le cose oscure e difficili ad esser comprese per via del solo discorso; mentre, parlando pur di certa conclusione naturale attenente a i corpi celesti, scrive così: Lib. sec. De Genesi ad literam, in fine.Nunc autem, servata semper moderatione piae gravitatis, nihil credere de re obscura temere debemus, ne forte quod postea veritas patefecerit, quamvis libris sanctis, sive Testamenti Veteris sive Novi, nullo modo esse possit adversum, tamen propter13 amorem nostri erroris oderimus.

È accaduto poi che il tempo è andato successivamente scoprendo a tutti le verità prima da me additate14, e con la verità del fatto la15 diversità degli animi tra quelli che schiettamente e senz’altro livore non ammettevano per veri tali scoprimenti, e quegli che all’incredulità aggiugnevano qualche affetto alterato: onde, sì come i più intendenti della scienza astronomica e della naturale restarono persuasi al mio primo avviso, così si sono andati quietando di grado in grado gli altri tutti che non venivano mantenuti in negativa o in dubbio da altro che dall’inaspettata novità e dal non16 aver avuta occasione di vederne sensate esperienze; ma quelli che, oltre all’amor del primo errore, non saprei qual altro loro immaginato interesse gli rende non bene affetti non tanto verso le cose quanto verso l’autore, quelle17, non le potendo più negare, cuoprono sotto un continuo silenzio, e divertendo il18 pensiero ad altre fantasie, inacerbiti più che prima da quello onde gli altri si sono addolciti e quietati, tentano di progiudicarmi con altri modi. De’ quali io veramente non farei19 maggiore stima di quel che io mi abbia fatto dell’altre contradizzioni, delle quali mi risi sempre, sicuro dell’esito che doveva avere20 ’l negozio, s’io non vedessi che le nuove calunnie e persecuzioni non terminano nella molta o poca dottrina, nella quale io scarsamente pretendo, ma si estendono a tentar di offendermi con macchie che devono essere e sono da me più aborrite che la morte, so né devo contentarmi che le sieno conosciute per ingiuste da quelli solamente che conoscono21 me e loro, ma da ogn’altra persona ancora22. Persistendo dunque nel primo loro instituto, di voler con ogni immaginabil maniera23 atterrar me e le cose mie; sapendo come io ne’24 miei [p. 311 modifica]studi di astronomia e di filosofia tengo, circa alla costituzione delle parti del mondo, che il Sole, senza mutar luogo, resti situato nel centro delle conversioni de gli orbi celesti, e che la Terra, convertibile in sé stessa, se gli muova intorno; e di più sentendo che tal posizione vo confermando non solo col reprovar le ragioni di Tolommeo e d’Aristotile, ma col produrne molte in contrario, ed in particolare alcune attenenti ad effetti naturali, le cause de’ quali forse in altro modo non si possono assegnare, ed altre astronomiche, dependenti da molti rincontri de’ nuovi25 scoprimenti celesti, li quali apertamente confutano il sistema Tolemaico e mirabilmente con quest’altra posizione si accordano e la confermano; e forse confusi per la conosciuta verità d’altre proposizioni da me affermate, diverse dalle comuni; e però diffidando ormai di difesa, mentre restassero nel campo filosofico; si son26 risoluti a tentar di fare27 scudo alle fallacie de’ lor discorsi col manto di simulata religione e con l’autorità delle Scritture Sacre, applicate da loro, con poca intelligenza, alla confutazione di ragioni né intese né sentite.

E prima, hanno per lor medesimi cercato di spargere concetto nell’universale, che tali proposizioni sieno contro alle Sacre Lettere, ed in consequenza dannande ed eretiche; di poi, scorgendo quanto per lo più l’inclinazione dell’umana natura sia più pronta ad abbracciar quell’imprese dalle quali il prossimo ne venga, ben che ingiustamente, oppresso, che quelle ond’egli ne riceva giusto sollevamento, non gli è stato difficile il trovare chi per tale, ciò è per dannanda28 ed eretica, l’abbia con insolita confidenza predicata sin da i pulpiti, con poco pietoso e men considerato aggravio non solo di questa dottrina e di chi la segue, ma di tutte le matematiche e de’ matematici insieme; quindi, venuti in maggior confidenza, e vanamente sperando che quel seme, che prima fondò radice nella mente loro non sincera, possa diffonder suoi rami ed alzargli verso il cielo, vanno mormorando tra ’l popolo, che per tale ella sarà in breve dichiarata dall’autorità suprema. E conoscendo che tal dichiarazione spianterebbe non sol queste due conclusioni, ma renderebbe dannando tutte l’altre osservazioni e proposizioni29 astronomiche e [p. 312 modifica]naturali, che con esse hanno corrispondenza e necessaria connessione, per agevolarsi il negozio cercano, per quanto possono, di far apparir questa opinione, almanco appresso all’universale, come nuova e mia particolare, dissimulando di sapere che Niccolò Copernico fu suo autore più presto innovatore30 e confermatore31, uomo non solamente cattolico, ma sacerdote e canonico32, e tanto stimato, che, trattandosi nel concilio Lateranense, sotto Leon X, della emendazion del calendario ecclesiastico; egli fu chiamato a Roma sin dall’ultime parti di Germania per questa riforma, la quale allora rimase imperfetta solo perchè non si aveva ancora esatta cognizione della giusta misura dell’anno e del mese lunare: onde a lui fu dato il carico dal Vescovo Semproniense, allora soprintendente a quest’impresa, di cercar con replicati studi e fatiche di venire in maggior lume e certezza di essi movimenti celesti; ond’egli, con fatiche veramente atlantiche e col suo mirabil ingegno, rimessosi a tale studio, si avanzò tanto in queste scienze, e a tale esattezza ridusse la notizia de’ periodi de’ movimenti celesti33, che si guadagnò il titolo di sommo astronomo, e conforme alla sua dottrina non solamente si è poi regolato il calendario, ma si fabbricorno le tavole di tutti i movimenti de’ pianeti: ed avendo egli ridotta tal dottrina in sei libri, la pubblicò al mondo a i preghi del Cardinal Capuano e del Vescovo Culmense34; e come quello che si era rimesso con tante fatiche a questa impresa d’ordine del Sommo Pontefice, al suo successore, ciò è a Paolo III, dedicò il suo libro delle Revoluzioni Celesti, il qual, stampato pur allora, è stato ricevuto da Santa Chiesa, letto35 estudiato per tutto il mondo, senza che mai si sia presa pur minima ombra di scrupolo nella sua dottrina. La quale ora mentre si va scoprendo quanto ella sia36 ben fondata sopra manifeste esperienze e necessarie dimostrazioni, non mancano persone che, non avendo pur mai veduto tal libro, procurano il premio delle tante fatiche al suo autore con la nota di farlo dichiarare eretico; e questo solamente per sodisfare ad37 un lor particolare sdegno, concepito [p. 313 modifica]senza ragione contro di un altro, che non ha più interesse col Copernico che l’approvar la sua dottrina38.

Ora, per queste false note che costoro tanto ingiustamente cercano39 di addossarmi, ho stimato necessario per mia giustificazione appresso l’universale, del cui giudizio e concetto40, in materia di religione e di reputazione, devo far grandissima stima, discorrer circa a quei particolari che costoro vanno producendo per detestare ed abolire questa opinione, ed in somma per dichiararla non pur falsa, ma eretica, facendosi sempre scudo di un simulato zelo di religione e volendo41 pur interessar le Scritture Sacre e farle in certo modo42 ministre de’ loro non sinceri proponimenti, col voler, di più, s’io non erro, contro l’intenzion43 di quelle e de’ Santi Padri, estendere, per non dir abusare, la loro autorità, sì che anco in conclusioni pure naturali e non de Fide, si deva lasciar totalmente il senso e le ragioni dimostrative per qualche luogo della Scrittura44, che tal volta sotto le apparenti parole potrà contener sentimento diverso. Dove spero di dimostrar45, con quanto più pio e religioso zelo procedo io, che non fanno loro46, mentre propongo non che non si danni questo libro, ma che non si danni, come vorrebbono essi, senza intenderlo, ascoltarlo, né pur vederlo, e massime sendo autore che mai non tratta di cose attenenti a religione o a fede, ne con ragioni dependenti in modo alcuno da autorità di Scritture Sacre, dove egli possa malamente averle interpetrate, ma sempre se ne sta su conclusioni naturali, attenenti a i moti celesti, trattate con astronomiche e geometriche dimostrazioni, fondate prima sopra sensate esperienze ed accuratissime osservazioni47. Non che egli non avesse posto cura a i luoghi delle Sacre Lettere48; ma perchè benissimo intendeva, [p. 314 modifica]che sendo tal sua dottrina dimostrata, non poteva contrariare alle Scritture intese perfettamente: e però nel fine della dedicatoria, parlando al Sommo Pontefice, dice così: Si fortasse erunt mataeologi, qui, cum omnium mathematum ignari sint, tamen de illis iudicium49 assumunt, propter aliquem locum Scripturae, male ad suum propositum detortum, ausi fuerint hoc meum institutum repraehendere ac insectari illos nihil moror, adeo ut etiam illorum iudicium tanquam temerarium contemnam. Non enim obscurum est, Lactantium, celebrem alioqui scriptorem, sed mathematicum parum, admodum pueriliter de forma Terrae loqui, cum deridet eos qui Terram globi formam habere prodiderunt. Itaque non debet mirum videri studiosis, si qui tales nos etiam ridebunt. Mathemata mathematicis scribuntur, quibus et hi nostri labores {si me non fallit opinio) videbuntur etiam Reipublicae Ecclesiasticae conducere aliquid, cuius principatum Tua Sanctitas nunc tenet.

E di questo genere50 si scorge esser questi che s’ingegnano di persuadere che tale autore si danni, senza pur vederlo; e per persuadere che ciò non solamente sia lecito, ma ben fatto, vanno producendo alcune autorità della Scrittura e de’ sacri teologi e de’ Concilii: le quali sì come da me son reverite e tenute di suprema autorità, sì che somma temerità stimerei esser quella di chi volesse contradirgli mentre vengono conforme all’instituto di Santa Chiesa adoperate, così credo che non sia errore il parlar mentre si può dubitare che alcuno voglia, per qualche suo interesse, produrle e servirsene diversamente da quello che è nella santissima intenzione di Santa Chiesa; però, protestandomi (e anco51 credo che la sincerità mia si farà per sé stessa manifesta) che io intendo non solamente di sottopormi a rimuover liberamente quegli errori ne’ quali per mia ignoranza potessi in questa scrittura incorrere in materie attenenti a religione, ma mi dichiaro52 ancora non voler53 nell’istesse materie ingaggiar lite con nissuno, ancor che fussero punti disputabili: perchè il mio fine non tende ad altro, se non che, se in queste considerazioni, remote dalla mia professione propria, tra gli errori che ci potessero essere dentro, ci è qualche cosa atta ad eccitar altri a qualche avvertimento utile per Santa Chiesa circa ’l determinar sopra ’l [p. 315 modifica]sistema Copernicano, ella sia presa e fattone quel capitale che parrà a’ superiori; se no, sia pure stracciata ed abbruciata la mia scrittura, ch’io54 non intendo o pretendo di guadagnarne frutto55 alcuno che non fusse pio e cattolico56. E di più, ben che molte delle cose57 che io noto le abbia sentite con i proprii orecchi, liberamente ammetto e concedo a chi l’ha dette che dette non l’abbia, se così gli piace, confessando poter essere ch’io abbia franteso; e però quanto rispondo non sia detto per loro, ma per chi avesse quella opinione58.

Il motivo, dunque, che loro producono per condennar l’opinione della mobilità della Terra e stabilità del Sole, è, che59 leggendosi nelle Sacre Lettere, in molti luoghi, che il Sole si muove e che la Terra sta ferma, né potendo la Scrittura mai mentire o errare, ne seguita per necessaria conseguenza che erronea e dannanda sia la sentenza di chi volesse asserire, il Sole esser per sé stesso immobile, e mobile la Terra60.

Sopra questa ragione parmi primieramente da considerare, essere e santissimamente61 detto e prudentissimamente stabilito, non poter mai la Sacra Scrittura62 mentire63, tutta volta che si sia penetrato il suo vero sentimento; il qual non credo che si possa negare esser molte volte recondito e molto diverso da quello che suona il puro significato delle parole. Dal che ne seguita, che qualunque volta alcuno, nell’esporla, volesse fermarsi sempre nel nudo suono literale64, potrebbe, errando esso, far apparir nelle Scritture non solo contradizioni e proposizioni remote dal vero, ma gravi eresie e bestemmie ancora: poi che sarebbe necessario dare a Iddio e piedi e mani ed occhi, e non meno affetti corporali ed umani, come d’ira, di pentimento, d’odio, ed anco tal volta la dimenticanza delle cose passate e l’ignoranza delle future; le quali proposizioni, sì come, dettante lo6566 Spirito Santo, furono in tal guisa profferite da gli scrittori sacri per accomodarsi alla capacita del vulgo assai rozo e indisciplinato, così per quelli che meritano d’esser separati dalla plebe è necessario che i saggi espositori [p. 316 modifica]ne produchino i veri sensi, e n’additino le ragioni particolari per che e’ siano sotto cotali parole67 profferiti: ed è questa dottrina così trita e specificata appresso tutti i teologi, che superfluo sarebbe il produrne68 attestazione69 alcuna.

Di qui mi par di poter assai ragionevolmente dedurre70, che la medesima Sacra Scrittura, qualunque volta gli è occorso di pronunziare alcuna conclusione naturale, e massime delle più recondite e difficili ad esser capite, ella non abbia pretermesso questo medesimo71 avviso, per non aggiugnere confusione nelle menti di quel medesimo popolo e renderlo più contumace contro a i dogmi di più alto misterio. Perchè se, come si è detto e chiaramente si scorge, per72 il solo rispetto d’accommodarsi alla capacità popolare non si è la Scrittura astenuta di adombrare principalissimi pronunziati, attribuendo sino all’istesso Iddio condizioni lontanissime e contrarie alla sua essenza, chi vorrà asseverantemente sostenere che l’istessa Scrittura, posto da banda cotal rispetto, nel parlare anco incidentemente di Terra, d’acqua, di Sole d’altra creatura, abbia eletto di contenersi con tutto rigore dentro a i puri e ristretti significati delle parole? e massime nel pronunziar di esse creature cose non punto concernenti al primario instituto delle medesime Sacre Lettere, ciò è al culto divino ed alla salute dell’anime, e cose grandemente remote dalla apprensione del vulgo73.

Stante, dunque, ciò, mi par che nelle dispute di problemi7475 naturali non si dovrebbe cominciare dalle autorità di luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie: perchè, procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima essecutrice de gli ordini di Dio; ed essendo, di più, convenuto nelle Scritture, per accommodarsi all’intendimento dell’universale, dir molte cose diverse, in aspetto e quanto al nudo significato delle parole, dal vero assoluto; ma, all’incontro, essendo la natura inesorabile ed immutabile, e mai non trascendente i termini delle leggi impostegli, come quella che nulla cura che le sue recondite ragioni e modi d’operare sieno o non sieno esposti alla capacità degli uomini; pare [p. 317 modifica]che quello degli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone dinanzi a gli occhi76 o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio, non che condennato, per luoghi della Scrittura che avessero nelle parole diverso sembiante; poi che non ogni detto della Scrittura è legato a obblighi così severi com’ogni effetto di natura, né meno eccellentemente ci si scuopre Iddio negli effetti di natura77 che ne’ sacri detti delle Scritture: il che volse per avventura intender Tertulliano in quelle parole: Nos definimus, Deum primo natura cognoscendum, deinde doctrina recognoscendum: natura, ex operibus; doctrina, ex praedicationibus. Tertullianus, Adversus Marcionem, lib. p.°, cap.° 18

Ma non per questo voglio inferire, non doversi aver somma considerazione de i luoghi delle Scritture Sacre; anzi, venuti in certezza di alcune conclusioni naturali, doviamo servircene per mezi accomodatissimi alla vera esposizione di esse Scritture ed all’investigazione di quei sensi che in loro necessariamente si contengono, come verissime e78 concordi con le verità dimostrate. Stimerei per questo che l’autorità delle Sacre Lettere avesse avuto la mira79 a persuadere principalmente a gli uomini quegli articoli e proposizioni, che, superando ogni umano discorso80, non potevano per altra scienza ne per altro mezo farcisi credibili, che per la bocca dell’istesso Spirito Santo: di più, che ancora in quelle proposizioni che non son de Fide l’autorità delle medesime Sacre Lettere deva esser anteposta all’autorità di tutte le scritture umane81, scritte non con metodo dimostrativo, ma o con pura narrazione o anco con probabili ragioni, direi doversi reputar tanto convenevole e necessario, quanto l’istessa divina sapienza supera ogn’umano giudizio e coniettura. Ma che quell’istesso Dio che ci ha dotati di sensi, di discorso e d’intelletto, abbia voluto, posponendo l’uso di questi, darci con altro mezo le notizie che per quelli possiamo conseguire, sì che anco in quelle conclusioni naturali, che o dalle sensate esperienze o dalle necessarie dimostrazioni ci vengono esposte innanzi a gli occhi e all’intelletto, doviamo negare il senso e la ragione, non credo che sia8283 necessario il crederlo, e massime in quelle scienze delle quali una minima particella solamente, ed anco [p. 318 modifica]in conclusioni divise, se ne legge nella Scrittura; quale appunto è l’astronomia, di cui ve n’è così piccola parte, che non vi si trovano ne pur nominati84 i pianeti, eccetto il Sole e la Luna, ed una o due volte solamente, Venere, sotto nome di Lucifero. Però se gli scrittori sacri avessero avuto pensiero di persuadere al popolo le disposizioni e movimenti85 de’ corpi celesti, e che in conseguenza dovessimo noi ancora dalle Sacre Scritture apprender86 tal notizia, non ne avrebbon, per mio credere, trattato così poco, che è come niente in comparazione delle infinite conclusioni ammirande che in tale scienza si contengono e si dimostrano. Anzi, che non solamente gli autori delle Sacre Lettere non abbino preteso d’insegnarci le costituzioni e movimenti de’ cieli e delle stelle, e loro figure, grandezze e distanze, ma che a bello studio, ben che tutte queste cose fussero a loro notissime, se ne sieno astenuti, è opinione di santissimi e dottissimi Padri: ed in D. Agustinus, lib. 2 In Genesim ad literam, c.9.S. Agostino si leggono le seguenti parole: Quaeri etiam solet, quae forma et figura caeli esse credenda sit secundum Scnpturas nostras: multi enim multum disputant de iis rebus, quas maiore prudentia nostri authores omiserunt, ad beatam vitam non profuturas discentibus, et occupantes (quod peius est) multum prolixa et rebus salubribus impendenda temporum spatia. Quid enim ad me pertinet, utrum caelum, sicut sphera, undique concludat Terram, in media mundi mole libratam, an eam ex87 una parte desuper, velut discus, operiat? Sed quia de fide agitur Scripturarum, propter illam causam quam non semel commemoravi88, ne scilicet quisquam, eloquia divina non intelligens, cum de his rebus tale aliquid vel invenerit in libris nostris vel ex Il medesimo si legge in Pietro Lombardo, maestro delle sentenze.illis audierit quod perceptis assertionibus adversari videatur, nullo modo eis caetera utilia monentibus vel narrantibus vel pronunciantibus credat; breviter dicendum est, de figura caeli hoc scisse authores nostros quod veritas habet, sed Spiritum Dei, qui per ipsos loquebatur, noluisse ista docere homines, nulli saluti profutura89. E pur l’istesso disprezzo avuto da’ medesimi scrittori sacri nel determinar quello che si deva credere di tali accidenti de’ corpi celesti, ci vien nel seguente cap. 10 replicato90 dal medesimo S. Agostino, nella quistione, se si deva stimare che ’l cielo si muova o pure stia fermo, scrivendo così: De motu etiam caeli nonnulli fratres quaestionem movent, [p. 319 modifica]utrum stet an moveatur: quia si movetur, inquiunt, quomodo firmamentum est? si autem stat, quomodo sydera, quae in ipso fixa creduntur, ab oriente usque ad occidentem91 circumeunt, septentrionalibus breviores gyros iuxta cardinem peragentibus ut caelum, si est alius nobis occultus cardo ex alio vertice, sicut sphera, si autem nullus alius cardo est, veluti discus, rotari videatur? Quibus respondeo, multum subtilibus et laboriosis rationibus ista perquiri, ut vere percipiatur utrum ita an non ita sit; quibus ineundis atque tractandis nec mihi iam tempus est, nec illis esse debet quos ad salutem suam et Sanctae Ecclesiae necessariam utilitatem cupimus92 informari.

Dalle quali cose descendendo più al nostro particolare93, ne seguita per necessaria conseguenza, che non avendo voluto lo Spirito Santo insegnarci se il cielo si muova94 o stia fermo, né se la sua figura sia in forma di sfera o di disco o distesa in piano, né se la Terra sia contenuta nel centro di esso o da una banda, non avrà manco avuta intenzione di renderci certi di altre conclusioni dell’istesso genere, e collegate in maniera con le pur ora nominate95, che senza la determinazion di esse non 96se ne può asserire questa o quella parte; quali sono il determinar del moto e della quiete di essa Terra e del Sole. E se l’istesso Spirito Santo a bello studio ha pretermesso d’insegnarci simili proposizioni, come nulla attenenti alla sua intenzione, ciò é alla nostra salute, come si potrà adesso affermare, che il tener di esse questa parte97, e non quella, sia tanto necessario che l’una sia de Fide, e l’altra erronea? Potrà, dunque, essere un’opinione eretica98, e nulla concernente alla salute dell’anime? o potrà dirsi, aver lo Spirito Santo voluto non insegnarci cosa concernente alla salute? Io qui direi quello che intesi da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado, Cardinal Baronio.ciò é l’intenzione dello Spirito Santo essere d’insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo99.

Ma torniamo a considerare, quanto nelle conclusioni naturali si devono stimar le dimostrazioni necessarie e le sensate esperienze, e di quanta autorità le abbino reputate i dotti e i santi teologi; da i quali, tra cent’altre attestazioni, abbiamo le seguenti100: [p. 320 modifica]Pererius, In Genesim, circa principium.Illud etiam diligenter et omnino fugiendum est, ne in traclanda Mosis doctrina quidquam affirmate et asseveranter sentiamus et dicamus, quod repugnet manifestis experimentis et rationibus philosophiae vel aliarum disciplinarum: namque, cum verum omne semper cum vero congruat, non potest veritas Sacrarum Literarum101 veris rationibus et experimentis humanarumIn Epistola septima, ad Marcellinum. doctrinarum esse contraria. Ed appresso S. Agostino si legge: Si manifestae certaeque rationi velut Sanctarum Scripturarum obiicitur authoritas, non intelligit qui hoc facit; et non Scripturae sensum, ad quem penetrare non potuit, sed suum potius, obiicit veritati; nec quod in ea, sed in102 se ipso, velut pro ea, invenit, opponit.

Stante questo, ed essendo, come si è detto, che due verità non possono contrariarsi, è officio de’ saggi espositori affaticarsi per penetrare i veri sensi de’ luoghi sacri, che indubitabilmente saranno103 concordanti con quelle conclusioni naturali, delle quali il senso manifesto o le104 dimostrazioni necessarie ci avessero prima105 resi certi e sicuri. Anzi, essendo, come si è detto, che le Scritture per106 l’addotte cagioni ammettono in molti luoghi esposizioni lontane dal significato delle parole, e, di più, non potendo noi con certezza asserire che tutti gl’interpetri parlino inspirati divinamente, poi che, se così fusse, niuna diversità sarebbe tra di loro circa i sensi de’ medesimi luoghi, crederei che fusse molto prudentemente fatto se non si permettesse ad alcuno impegnare107 i luoghi della Scrittura ed in certo modo obligargli a dover sostener per vere queste o quelle conclusioni naturali, delle quali una volta il senso e le ragioni dimostrative e necessarie ci potessero manifestare il contrario. E chi vuol108 por termine alli umani ingegni? chi vorrà asserire, già essersi veduto e saputo tutto quello che è al mondo di sensibile e di scibile? Forse quelli che in altre occasioni confesseranno109 (e con gran verità) che ea quae scimus sunt minima110 pars eorum quae ignoramus? Anzi pure, se Ecclesiast., cap.° 3.°noi abbiamo dalla bocca dell’istesso Spirito Santo, che Deus tradidit mundum disputationi eorum, ut non inveniat homo opus quod operatus est Deus ab initio ad finem, non si dovrà, per mio parere, contradicendo a tal sentenza, precluder la strada al libero filosofare circa le cose [p. 321 modifica]del mondo e della natura, quasi che elleno sien di già state con certezza ritrovate e palesate tutte. Nè si dovrebbe stimar temerità il non si quietare nelle opinioni già state quasi comuni, nè dovrebb’esser chi prendesse a sdegno se alcuno non aderisce in dispute naturali a quell’opinione che piace loro, e massime intorno a problemi stati già migliaia d’anni controversi tra filosofi grandissimi, quale è la stabilità del Sole e mobilità della Terra: opinione tenuta da Pittagora e da tutta la sua setta, e da111 Eraclide Pontico, il quale fu dell’istessa opinione112, da Filolao maestro di Platone, e dall’istesso Platone, come riferisce Aristotile, e del quale scrive Plutarco nella vita di Numa, che esso Platone già fatto vecchio diceva, assurdissima cosa essere il tenere altramente. L’istesso fu creduto113 da Aristarco Samio, come abbiamo appresso Archimede114, da Seleuco matematico115, da Niceta filosofo, referente Cicerone, e da molti altri; e finalmente116 ampliata e con molte117 osservazioni e dimostrazioni confermata da Niccolò Copernico. E Seneca, eminentissimo filosofo, nel libro Be cometis ci avvertisce, doversi con grandissima diligenza cercar di venire in certezza, se sia il cielo o la Terra in cui risegga la diurna conversione118.

E per questo, oltre a gli articoli concernenti alla salute ed allo stabilimento della Fede, contro la fermezza de’ quali non è pericolo alcuno che possa insurgere mai dottrina valida ed efficace, non saria forse se non saggio ed util consiglio il non ne aggregarnota altri senza necessità: e se così è, disordine veramente sarebbe l’aggiugnergli a richiesta di persone, le quali, oltre che noi ignoriamo se parlino inspirate da celeste virtù, chiaramente vediamo che in esse si potrebbe desiderare quella intelligenza che sarebbe necessaria prima a capire, e poi a redarguire, le dimostrazioni con le quali le acutissime scienze procedono nel confermare simili conclusioni. Ma più direi, quando mi fusse lecito produrre il mio parere, che forse più converrebbe al decoro ed alla maestà di esse Sacre Lettere il provvedere che non ogni leggiero e vulgare scrittore potesse, per autorizzar sue composizioni, 119 [p. 322 modifica]bene spesso fondate sopra vane120121 fantasie, spargervi luoghi della Scrittura Sacra, interpetrati, o più presto stiracchiati122, in sensi tanto remoti dall’intenzione retta di essa Scrittura, quanto vicini alla derisione di coloro che non senza qualche ostentazione se ne vanno adornando. Esempli di tale abuso se ne potrebbono addur molti: ma voglio che mi bastino due, non remoti da queste materie astronomiche. L’uno de’ quali sieno le scritture che furon pubblicate contro a i123 pianeti Medicei, ultimamente da me scoperti, contro la cui esistenza furono opposti molti luoghi della Sacra Scrittura: ora che i pianeti si fanno veder da tutto124 il mondo, sentirei volentieri con quali nuove125 interpetrazioni vien da quei medesimi oppositori esposta126 la Scrittura, e scusata la lor semplicità. L’altro esempio sia di quello che pur nuovamente ha stampato contro a gli127 astronomi e filosofi, che la Luna non altramente riceve lume128129 dal Sole, ma è per sè stessa splendida; la qual imaginazione conferma in ultimo, o, per meglio dire, si persuade di confermare, con varii luoghi della Scrittura, li quali gli par che non si potessero salvare130, quando la sua opinione non fusse vera e necessaria. Tutta via, che la Luna sia per sè stessa tenebrosa, è non men chiaro che lo splendor del Sole.

Quindi resta manifesto che tali autori, per non aver penetrato i veri sensi della Scrittura, l’avrebbono, quando la loro autorità fosse di gran momento, posta in obligo di dover costringere altrui a tener per vere, conclusioni repugnanti alle ragioni manifeste ed al senso: abuso che Deus avertat che andasse pigliando piede o autorità, perchè bisognerebbe vietar in breve tempo tutte131132 le scienze speculative; perchè, essendo per natura il numero degli uomini poco atti ad intendere133 perfettamente e le Scritture Sacre134 e l’altre scienze maggiore assai del numero135 degl’intelligenti, quelli, scorrendo superficialmente le Scritture, si arrogherebbono136137 autorità di poter decretare sopra tutte le questioni della natura, in vigore di qualche parola mal intesa da loro ed in altro proposito prodotta dagli scrittori sacri; nè potrebbe il piccol [p. 323 modifica]numero degl’intendenti reprimer il furioso torrente di quelli, i quali troverebbono tanti più seguaci, quanto il potersi far reputar sapienti138 senza studio e senza fatica è più soave che il consumarsi senza riposo intorno alle discipline laboriosissime. Però grazie infinite doviamo render a Dio benedetto, il quale per sua benignità ci spoglia di questo139 timore, mentre spoglia d’autorità simil sorte di persone, riponendo il consultare, risolvere e decretare sopra determinazioni tanto importanti nella somma sapienza e bontà di prudentissimi Padri e nella suprema autorità di quelli, che, scorti dallo Spirito Santo, non possono se non santamente ordinare, permettendo che della leggerezza di quelli altri non sia fatto stima. Questa sorte d’uomini, per mio credere, son quelli contro140141 i quali, non senza ragione, si riscaldano i gravi e santi scrittori, e de i142 quali in particolare scrive S. Girolamo: Hanc (intendendo della Scrittura Sacra)143 garrula144 anus, hanc delirus senex, Epistola ad Paulinum, 103. hanc sophista verbosus, hanc universi praesumunt, lacerant, docent145 antequam discant. Alii, adducto supercilio, grandia verba trutinantes, inter mulierculas de Sacris literis philosophantur; alii discunt, pro pudor, a faeminis quod viros doceant, et, ne parum hoc sit, quadam facilitate verborum, imo audacia, edisserunt aliis quod ipsi non intelligunt. Taceo de mei similibus, qui, si forte ad Scripturas Sanctas post seculares literas venerint, et sermone composito aurem populi mulserint, quidquid dixerint, hoc legem Dei putant nec scire dignantur quid Prophetae quid Apostoli senserint, sed ad sensum siium incongrua aptant testimonia; quasi grande sit, et non vitiosissimum docendi genus, depravare sententias, et ad voluntatem suam Seripturam trahere repugnantem.

Io non voglio mettere nel numero di simili scrittori secolari alcuni teologi, riputati da me per uomini di profonda dottrina e di santissimi costumi, e per ciò tenuti in grande stima e venerazione; ma non posso già negare di non rimaner con qualche scrupolo, ed in conseguenza146 con desiderio che mi fusse rimosso, mentre sento che essi pretendono di poter costringer altri, con l’autorità della Scrittura, a seguire in dispute naturali quella opinione che pare a loro che più consuoni con i luoghi di quella, stimandosi insieme di non essere in obbligo di [p. 324 modifica]solvere le ragioni o esperienze in contrario. In esplicazione e confirmazione del qual lor parere, dicono che essendo la teologia regina di tutte le scienze, non deve in conto alcuno abbassarsi per accomodarsi a’ dogmi dell’altre men degne ed a lei inferiori, ma sì ben l’altre devono referirsi ad essa, come a suprema imperatrice, e mutare ed alterar le lor conclusioni conforme alli statuti e decreti teologicali: e più aggiungono che quando nell’inferiore scienza si avesse alcuna conclusione per sicura, in vigor di dimostrazioni o di esperienze, alla quale si trovassi nella Scrittura altra conclusione repugnante, devono gli stessi professori di quella scienza procurar per se medesimi di scioglier le lor dimostrazioni e scoprir le fallacie delle proprie esperienze, senza ricorrere a i teologi e scritturali; non convenendo, come si è detto, alla dignità della teologia abbassarsi all’investigazione delle fallacie delle scienze soggette, ma solo bastando a lei il determinargli la verità della conclusione, con l’assoluta autorità e con la sicurezza del non poter errare. Le conclusioni poi naturali nelle quali dicon essi che noi doviamo fermarci sopra la Scrittura, senza glosarla o interpetrarla in sensi diversi dalle parole, dicono essere quelle delle quali la Scrittura parla sempre nel medesimo modo, e i Santi Padri tutti nel medesimo sentimento le ricevono ed espongono. Ora intorno a queste determinazioni mi accascano da considerare alcuni particolari, li quali proporrò per esserne reso cauto da chi più di me intende di queste materie, al giudizio de’ quali io sempre mi sottopongo.

E prima, dubiterei che potesse cader qualche poco di equivocazione, mentre che non si distinguessero le preminenze per le quali la sacra teologia è degna del titolo di regina. Imperò che ella potrebbe esser tale, vero perchè quello che da tutte l’altre scienze viene insegnato, si trovasse compreso e dimostrato in lei, ma con mezi più eccellenti e con più sublime dottrina, nel modo che, per essempio, le regole del misurare i campi e del conteggiare molto più eminentemente si contengono nell’aritmetica e geometria d’Euclide, che

nota nota nota nota nota 147 148 149 150 151 [p. 325 modifica]nelle pratiche degli agrimensori e de’ computisti; o vero perchè il suggetto, intorno al quale si occupa la teologia, superasse di dignità tutti gli altri suggetti che son materia dell’altre scienze, ed anco perchè i suoi insegnamenti procedessero con mezi più sublimi. Che alla teologia convenga il titolo e la autorità regia nella prima maniera, non credo che poss’essere affermato per vero da quei teologi che avranno qualche pratica nell’altre scienze; de’ quali nissuno crederò io che dirà152 che molto più eccellente ed esattamente si contenga la geometria, la astronomia, la musica e la medicina ne’ libri sacri153, che in Archimede, in Tolommeo, in Boezio ed in Galeno154. Però pare che la regia sopreminenza se gli deva nella seconda maniera, ciò è per l’altezza del suggetto, e per l’ammirabil insegnamento delle divine revelazioni in quelle conclusioni che per altri mezi non potevano dagli uomini esser comprese e che sommamente concernono all’acquisto dell’eterna beatitudine. Ora, se la teologia, occupandosi nell’altissime contemplazioni divine e risedendo per dignità nel trono regio, per lo che ella è fatta di somma autorità, non discende alle più basse ed umili speculazioni delle inferiori scienze, anzi, come di sopra si è dichiarato, quelle non cura, come non concernenti alla beatitudine, non dovrebbono i ministri155 e professori di quella arrogarsi autorità156157 di decretare nelle professioni non essercitate nè studiate158 da loro; perchè questo sarebbe come se un principe assoluto, conoscendo di poter liberamente comandare e farsi ubbidire, volesse159, non essendo egli nè medico nè architetto, che si medicasse e fabbricasse a modo suo160, con grave pericolo della vita de’ miseri infermi, e manifesta rovina degli edifizi.

Il comandar poi a gli stessi professori d’astronomia, che procurino per lor medesimi di cautelarsi contro alle proprie osservazioni e dimostrazioni, come quelle che non possino esser altro che fallacie e sofismi, è un comandargli cosa più che impossibile a farsi; perchè [p. 326 modifica]non solamente se gli comanda che non vegghino quel che e’ veggono e che non intendino quel che gl’intendono, ma che, cercando, trovino il contrario di quel che gli vien per le mani. Però, prima che far questo, bisognerebbe che fusse lor mostrato il modo di far che le potenze dell’anima si comandassero l’una all’altra, e le inferiori alle superiori, sì che l’immaginativa e la volontà potessero e volessero credere il contrario di quel che l’intelletto intende (parlo sempre delle proposizioni pure naturali e che non son de Fide, e non delle sopranaturali e de Fide). Io vorrei pregar questi prudentissimi Padri, che volessero con ogni diligenza considerare la differenza che è tra le dottrine opinabili e le dimostrative; acciò, rappresentandosi bene avanti la mente con qual forza stringhino le necessarie illazioni, si accertassero maggiormente come non è in potestà de’ professori delle scienze demostrative il mutar l’opinioni a voglia loro, applicandosi ora a questa ed ora a quella161, e che gran differenza è tra il comandare a un matematico o a un filosofo e ’l disporre un mercante o un legista, e che non con l’istessa facilità si possono mutare le conclusioni dimostrate circa le cose della natura e del cielo, che le opinioni circa a quello che sia lecito o no in un contratto, in un censo, o in un cambio. Tal differenza è stata benissimo conosciuta da i Padri dottissimi e santi, come l’aver loro posto

1-2. che ei non vegghino quel che veggono e che non intendino quel che intendono — 5-7. si comandino l’una... volontà possino e voglino credere — 19. circa quello — 20. censo in

1-2. che e’ non vegghino quel che e’ veggono e che e’ non intendino quello che egli intendono, s — 9-ÌO. prudentissimi e sapientissimi Padri, s — 13. illazioni, accertassero, s — 14. l’opinione a, s — 19. circa quello che è lecito, s —
[p. 327 modifica]grande studio in confutar molti argumenti o, per meglio dire, molte fallacie filosofiche ci manifesta, e come espressamente si legge appresso alcuni di loro; ed in particolare aviamo in S. Agostino le seguenti parole: Hoc indubitanter tenendum est, ut quicquid sapientes huius mundi Cap. 21, lib. 1, Genesis ad literam. de natura rerum veraciter demonstrare potuerint, ostendamus nostris Literis non esse contrarium; quicquid autem illi in suis voluminibus contrarium Sacris Literis docent, sine ulla dubitatione credamus id falsissimum esse, et, quoquomodo possumus, etiam ostendamus; atque ita teneamus fidem Domini nostri, in quo sunt absconditi omnes thesauri sapientiae, ut neque falsae philosophiae loquacitate seducamur, neque simulatae religionis superstitione terreamur.

Dalle quali parole mi par che si cavi questa dottrina, cioè che ne i libri de’ sapienti di questo mondo si contenghino alcune cose della natura dimostrate veracemente, ed altre semplicemente insegnate; e che, quanto alle prime, sia ofizio de’ saggi teologi mostrare che le non son contrarie alle Sacre Scritture; quanto all’altre, insegnate ma non necessariamente dimostrate, se vi sarà cosa contraria alle Sacre Lettere, si deve stimare per indubitatamente falsa, e tale in ogni possibil modo si deve dimostrare. Se, dunque, le conclusioni naturali, dimostrate veracemente, non si hanno a posporre a i luoghi della Scrittura, ma sì ben dichiarare come tali luoghi non contrariano ad esse conclusioni, adunque bisogna, prima che condannare una proposizion naturale, mostrar ch’ella non sia dimostrata necessariamente: e questo devon fare non quelli che la tengon per vera, ma quelli che la stimali falsa; e ciò par molto ragionevole e conforme alla natura; ciò è che molto più facilmente sien per trovar le fallacie in un discorso quelli che lo stiman falso, che quelli che lo reputan vero e concludente; anzi in questo particolare accadere che i seguaci di questa opinione, quanto più andran rivolgendo le carte, esaminando le ragioni, replicando l’osservazioni e riscontrando l’esperienze, tanto più si confermino in

2. ci dimostra e — 13-14. alcune cose della natura veracemente dimostrate — 18-19. falsa, ed in ogni possibil [modo si] deve dimostrar tale. Se dunque — 22. Dopo naturale Galileo aggiunse di sua mano, tra le linee e con segno di richiamo, è necessario; ma non cancellò, come ci si aspetterebbe, il precedente bisogna. — 25-27. natura; perchè molto più facilmente si posson trovar le fallacie in un discorso da quelli che lo stiman falso, che da quelli che lo reputan — 30. si confermeranno in

5-6. nostris libris non, s — 14. semplicissimamente, s [p. 328 modifica]questa credenza. E l’A. V. sa quel che occorse al matematico passato dello Studio di Pisa, che messosi in sua vecchiezza a vedere la dottrina del Copernico con speranza di poter fondatamente confutarla (poi che in tanto la reputava falsa, in quanto non l’aveva mai veduta), gli avvenne, che non prima restò capace de’ suoi fondamenti, progressi e dimostrazioni, che ei si trovò persuaso, e d’impugnatore ne divenne saldissimo mantenitore. Potrei anco nominargli altri matematici Clavius., i quali, mossi da gli ultimi miei scoprimenti, hanno confessato esser necessario mutare la già concepita costituzione del mondo, non potendo in conto alcuno più sussistere.

Se per rimuover dal mondo questa opinione e dottrina bastasse il serrar la bocca ad un solo, come forse si persuadono quelli che, misurando i giudizi degli altri co ’l lor proprio, gli par impossibile che tal opinione abbia a poter sussistere e trovar seguaci, questo sarebbe facilissimo a farsi: ma il negozio cammina altramente; perchè, per eseguire una tal determinazione, sarebbe necessario proibir non solo il libro del Copernico e gli scritti degli altri autori che seguono l’istessa dottrina, ma bisognerebbe interdire tutta la scienza d’astronomia intiera, e più, vietar a gli uomini guardar verso il cielo, acciò non vedessero Marte e Venere or vicinissimi alla Terra or remotissimi con tanta differenza che questa si scorge 40 volte, e quello 60, maggior una volta che l’altra, ed acciò che la medesima Venere non si scorgesse or rotonda, or falcata con sottilissime corna, e molte altre sensate osservazioni, che in modo alcuno non si possono adattare al sistema Tolemaico, ma son saldissimi argumenti del Copernicano. Ma il proibire il Copernico, ora che per molte nuove

1-7. E l’A. V. sa... nominargli altri manca nel cod. V, nel quale dopo credenza continua: come è avvenuto a molti mattematici, i quali mossi ecc., proseguendo con la lin. 8. — 18-19. scienza de l’astronomia intera, e vietar — 20-21. Terra ed or — 25-26. argumenti del Cop.co Ma

7. ne diventò saldissimo, s — 12. si persuadano, G — 17. autori manca in G; si legge però non solo in V e nella stampa, ma altresì nei cod. Marucelliano B. 1. 20, Marciano Cl. IV, n. CCCCLXXXVII, Casanatense 675, Baldovinetti 236, Parigino Fond italien 212 ecc. — 18. bisognerebbe è aggiunto tra le linee nel cod. V di mano di Galileo; manca negli altri codici e nella stampa. — 19. d’astronomia interra, e più, s. Alcuni dei codici che fanno famiglia con la stampa leggono in terra. — a gli uomini il guardar, s — 20. or vicini alla, G. La lezione vicinissimi è non solo del cod. e della stampa, ma anche degli altri codici. — 21. In luogo di scorge, il cod. G, altri codici, e la stampa leggono scorgesse; e così era stato scritto anche nel cod. V, ma poi fu corretto in scorgesse. Scorge è anche nel cod. Marciano Cl. IV, n. CCCCLXXXVII; si scorgesse in superficie quaranta, s. Le parole in superficie si leggono anche in qualcuno dei codici che non sempre concordano con la stampa (p. e. nel Marucelliano B. 1. 20). — 23. rotonda, ed or, s — or falciata con, G — 25. ma saldissimi, G — [p. 329 modifica]osservazioni e per l’applicazione di molti literati alla sua lettura si va di giorno in giorno scoprendo più vera la sua posizione e ferma la sua dottrina, avendol’ ammesso per tanti anni mentre egli era men seguito e confermato, parrebbe, a mio giudizio, un contravvenire alla verità, e cercar tanto più di occultarla e supprimerla, quanto più ella si dimostra palese e chiara. Il non abolire interamente tutto il libro, ma solamente dannar per erronea questa particolar proposizione, sarebbe, s’io non m’inganno, detrimento maggior per l’anime, lasciandogli occasione di veder provata una proposizione, la qual fusse poi peccato il crederla. Il proibir tutta la scienza, che altro sarebbe che un reprovar cento luoghi delle Sacre Lettere, i quali ci insegnano come la gloria e la grandezza del sommo Iddio mirabilmente si scorge in tutte le sue fatture, e divinamente si legge nell’aperto libro del cielo? Né sia chi creda che la lettura de gli altissimi concetti, che sono scritti in quelle carte, finisca nel solo veder lo splendor del Sole e delle stelle e ’l lor nascere ed ascondersi, che è il termine sin dove penetrano gli occhi dei bruti e del vulgo; ma vi son dentro misteri tanto profondi e concetti tanto sublimi, che le vigilie, le fatiche e gli studi di cento e cento acutissimi ingegni non gli hanno ancora interamente penetrati con l’investigazioni continuate per migliaia e migliaia d’anni. E credino pure gli idioti che, sì come quello che gli occhi loro comprendono nel riguardar l’aspetto esterno d’un corpo umano è piccolissima cosa in comparazione de gli ammirandi artifizi che in esso ritrova un esquisito e diligentissimo anatomista e filosofo, mentre va investigando l’uso di tanti muscoli, tendini, nervi ed ossi, essaminando gli ofiizi del cuore e de gli altri membri principali, ricercando le sedi delle facultà vitali, osservando le maravigliose strutture de gli strumenti de’ sensi, e, senza finir mai di stupirsi e di appagarsi, contemplando i ricetti dell’immaginazione, della memoria

5. occultarla e opprimerla, quanto — 22. nel risguardar — 25. investigando gli usi

1-2. si va... più vere le sue posizioni e vera la sua, G, s — 4-6. Il cod. Marciano Cl. IV, n. CCCCLXXXVII, legge: parrebbe, a mio giudizio, che si volesse occultare quello che si va scoprendo e manifestando, e, più, farebbe più curiosi gli uomini allo studio di esso. — 7-8. In luogo di proposizione, il cod. G, gli altri codici e la stampa leggono opinione; e così era pure scritto originariamente nel cod. V, ma Galileo corresse di suo pugno proposizione. — 9. In luogo di proposizione, che è del cod. V, gli altri codici e la stampa leggono posizione. — 18-19. che le voglie, le fatiche, gli studi, G — 20. ancora penetrati interamente, G. Né gli altri codici né la stampa concordano in questa trasposizione. — 20-21. I codici, tranne V, e la stampa leggono: per migliaia d’anni. — 24. e diligente anatomista, s — 27. vitali, risecando ed osservando, G, s. Si avverta però che risecando, che manca nel cod. V, non è stato tradotto nella versione latina la quale accompagna il testo italiano nella stampa.—
[p. 330 modifica]e del discorso; così quello che ’l puro senso della vista rappresenta, è come nulla in proporzion dell’alte meraviglie che, mercè delle lunghe ed accurate osservazioni, l’ingegno degl’intelligenti scorge nel cielo. E questo è quanto mi occorre considerare circa a questo particolare. Quanto poi a quello che soggiungono, che quelle proposizioni naturali delle quali la Scrittura pronunzia sempre l’istesso e che i Padri tutti concordemente nell’istesso senso ricevono, debbino esser intese conforme al nudo significato delle parole, senza glose o interpetrazioni, e ricevute e tenute per verissime, e che in conseguenza, per esser tale la mobilità del ʘ e la stabilità della Terra, sia de Fide il tenerle per vere, ed erronea l’opinion contraria; mi occorre di considerar, prima, che delle proposizioni naturali alcune sono delle quali, con ogni umana specolazione e discorso, solo se ne può conseguire più presto qualche probabile opinione e verisimil coniettura, che una sicura e dimostrata scienza, come, per esempio, se le stelle sieno animate; altre sono, delle quali o si ha, o si può credere fermamente che aver si possa, con esperienze, con lunghe osservazioni e con necessarie dimostrazioni, indubitata certezza, quale è, se la Terra e ’l si muovino o no, se la Terra sia sferica o no. Quanto alle prime, io non dubito punto che dove gli umani discorsi non possono arrivare, e che di esse per consequenza non si può avere scienza, ma solamente opinione e fede, piamente convenga conformarsi assolutamente col puro senso della Scrittura. Ma quanto alle altre, io crederei, come di sopra si è detto, che prima fosse d’accertarsi del fatto, il quale ci scorgerebbe al ritrovamento de’ veri sensi delle Scritture, li quali assolutamente si troverebbono concordi col fatto dimostrato, ben che le parole nel primo aspetto sonassero altramente; poi che due veri non possono mai contrariarsi. E questa mi par dottrina tanto

circa questo — 7-8. i Fadri Santi tutti — 9. conforme a che suonano le parole — 11. sia di Fede — 21-22. non possano arrivare — 24. Scrittura Sacra. Ma — 26-26. del fatto, e poi, bisognando, ricevere i veri sensi delle

4. circa questo, s — 6. a quelli che, s — 14. In luogo di specolazione, che nel cod. V è scritto di mano di Galileo in sostituzione d’una parola ch’è impossibile più distinguere, gli altri codici e la stampa leggono scienza. — 18. con esperienze e con, s — 19-20. se la Terra e ’l cielo si muovino, G, s; e così leggono tutti i codici, tranne V, — 20. se ’l Cielo sia sferico o no, G, s; e così leggono tutti i codici, tranne il cod. V, nel quale questa lezione, che prima vi era stata scritta, fu corretta di mano di Galileo in se la Terra sia sferica o no. — 23-24. fede, pienamente convenga conformarsi ed assolutamente, G, s — 24. senso verbale della Scrittura, s — 28. ben che... altramente si legge soltanto nel cod. V, dove è aggiunto di mano di Galileo. — 28-29. In luogo di poi che... possono, il cod. G legge che... possino. —
[p. 331 modifica]retta e sicura, quanto io la trovo scritta puntualmente in S. Agostino, il quale, parlando a punto della figura del cielo e quale ella si deva credere essere, poi che pare che quel che ne affermano gli astronomi sia contrario alla Scrittura, stimandola quegli rotonda, e chiamandola la Scrittura distesa come una pelle, determina che niente si ha da curar che la Scrittura contrarii a gli astronomi, ma credere alla sua autorità, se quello che loro dicono sarà falso e fondato solamente sopra conietture dell’infirmità umana; ma se quello che loro affermano fusse provato con ragioni indubitablli, non dice questo Santo Padre che si comandi a gli astronomi che lor medesimi, solvendo le lor dimostrazioni, dichiarino la lor conclusione per falsa, ma dice che si deve mostrare che quello che è detto nella Scrittura della pelle, non è contrario a quelle vere dimostrazioni. Ecco le sue parole: Sed ait aliquis: Quomodo In Genesim ad literam, c. 9 non est contrarium iis qui figuram spherae caelo tribuunt, quod scriptum est in libris nostris, Qui extendit caelum sicut pellem? Sit sane contrarium, si falsum est quod illi dicunt; hoc enim verum est, quod divina dicit authoritas, potius quam illud quod humana infirmitas coniicit. Sed si forte illud talibus illi documentis probare potuerint, ut dubitari inde non debeat, demonstrandum est, hoc quod apud nos est de pelle dictum, veris illis rationibus non esse contrarium. Segue poi di ammonirci che noi non doviamo esser meno osservanti in concordare un luogo della Scrittura con una proposizione naturale dimostrata, che con un altro luogo della Scrittura che sonasse il contrario. Anzi mi par degna d’esser ammirata ed immitata la circuspezzione di questo Santo, il quale anco nelle conclusioni oscure, e delle quali si può esser sicuri che non se ne possa avere scienza per dimostrazioni umane, va molto riservato nel determinar quello che si deva credere, come si vede da quello che egli scrive nel fine del 2° libro De Genesi ad literam, parlando se le stelle sieno da credersi animate: Quod licet in praesenti facile non possit compraehendi, arbitror tamen, in processu tractandarum Scripturarum opportuniora loca posse occurrere, ubi nobis de hac re secundum sanctae authoritatis literas, etsi non ostendere certum aliquid, tamen credere, licebit. Nunc autem, servata semper moderatione piae gravitatis, nihil credere de re obscura temere debemus, ne forte quod postea veritas patefecerit,

1. puntalmente — 11. ma che — 22. della Scrittura manca nel cod. V. —

3. che affermano, G — 5. Scrittura come, s —
[p. 332 modifica]vis libris sanctis, sive Testamenti Veteris sive Novi, nullo modo esse possit adversum, tamen propter amorem nostri erroris oderimus.

Di qui e da altri luoghi parmi, s’io non m’inganno, la intenzion de’ Santi Padri esser, che nelle quistioni naturali e che non son de Fide prima si deva considerar se elle sono indubitabilmente dimostrate o con esperienze sensate conosciute, o vero se una tal cognizione e dimostrazione aver si possa: la quale ottenendosi, ed essendo ella ancora dono di Dio, si deve applicare all’investigazione de’ veri sensi delle Sacre Lettere in quei luoghi che in apparenza mostrassero di sonar diversamente; i quali indubitatamente saranno penetrati da’ sapienti teologi, insieme con le ragioni per che lo Spirito Santo gli abbia volsuti tal volta, per nostro essercizio o per altra a me recondita ragione, velare sotto parole di significato diverso.

Quanto all’altro punto, riguardando noi al primario scopo di esse Sacre Lettere, non crederei che l’aver loro sempre parlato nell’istesso senso avesse a perturbar questa regola; perchè, se occorrendo alla Scrittura, per accomodarsi alla capacità del vulgo, pronunziare una volta una proposizione con parole di sentimento diverso dalla essenza di essa proposizione, perchè non dovrà ella aver osservato l’istesso, per l’istesso rispetto, quante volte gli occorreva dir la medesima cosa? Anzi mi pare che ’l fare altramente averebbe cresciuta la confusione, e scemata la credulità nel popolo. Che poi della quiete o movimento del ʘ e della Terra fosse necessario, per accomodarsi alla capacità popolare, asserirne quello che suonan le parole della Scrittura, l’esperienza ce lo mostra chiaro: poi che anco all’età nostra popolo assai men rozo vien mantenuto nell’istessa opinione da ragioni che, ben ponderate ed essaminate, si troveranno esser frivolissime, ed esperienze o in tutto false o totalmente fuori del caso; nè si può pur tentar di rimuoverlo, non sendo capace delle ragioni contrarie, dependenti da troppo esquisite osservazioni e sottili

14. punto, risguardando noi — 17. Scrittura Sacra, per — 18-19. diverso dalla verità di essa — 22. credulità del popolo — 27. ben considerate ed — 30. da troppe esquisite

11. le cagioni per, S — 15. l’aver esse parlato sempre nell’, s — 19-20. l’istesso, e per l’istesso, G, s — 22. credulità del popolo, s — poi dalla quiete, G — 25. anco nell’età, G. La lezione all’età è non solo del cod. V e della stampa, ma anche di molti altri codici. — 27-28. esser fievolissime, G. Col cod. G concorda qualche altro codice (p. e. il Marucelliano B. 1. 20); ma il cod. V, con molti altri, e la stampa leggono frivolissime. — 28. o del tutto. G. Nella lezione in tutto concordano non solo il cod. V e la stampa, ma anche il Marucelliano B. 1. 20, il Marciano Cl. IV, n. CCCCLXXXVII, il Casanatense 675, il Baldovinetti 236, il Parigino Fond italien 212 ecc. —
[p. 333 modifica]dimostrazioni, appoggiate sopra astrazioni, che ad esser concepite ricchieggon troppo gagliarda imaginativa. Per lo che, quando bene appresso i sapienti fusse più che certa e dimostrata la stabilità del ʘ e l’moto della Terra, bisognerebbe ad ogni modo, per mantenersi il credito appresso il numerosissimo volgo, proferire il contrario; poi che de i mille uomini vulgari che venghino interrogati sopra questi particolari, forse non se ne troverà un solo, che non risponda, parergli, e così creder per fermo, che ’l Sole si muova e che la Terra stia ferma. Ma non però deve alcun prendere questo comunissimo assenso popolare per argumento della verità di quel che viene asserito; perchè se noi interrogheremo gli stessi uomini delle cause e motivi per i quali e’ credono in quella maniera, ed, all’incontro, ascolteremo quali esperienze e dimostrazioni induchino quegli altri pochi a creder il contrario, troveremo questi esser persuasi da saldissime ragioni, e quelli da semplicissime apparenze e rincontri vani e ridicoli. Che dunque fosse necessario attribuire al Sole il moto, e la quiete alla Terra, per non confonder la poca capacità del vulgo e renderlo renitente e contumace nel prestar fede a gli articoli principali e che sono assolutamente de Fide, è assai manifesto: e se così era necessario a farsi, non è punto da meravigliarsi che così sia stato con somma prudenza esseguito nelle divine Scritture. Ma più dirò, che non solamente il rispetto dell’incapacità del vulgo, ma la corrente opinione di quei tempi, fece che gli scrittori sacri nelle cose non necessarie alla beatitudine più si accommodorno all’uso ricevuto che alla essenza del fatto. Di che parlando S. Girolamo, scrive: quasi non In cap. 28 Hieremiae. multa in Scripturis Sanctis dicantur iuxta opinionem illius temporis quo gesta referuntur, et non iuxta quod rei veritas continebat. Ed altrove il medesimo Santo: Consuetudinis Scripturarum est, ut opinionem multarum Cap. 13 Matthaei. rerum sic narret Historicus, quomodo eo tempore ab omnibus credebatur. E Tommaso in Iob, al cap. 27, sopra le parole Qui extendit aquilonem

2. troppa gagliarda — 5. appresso ’l volgo — 9. però deve prendere alcuno questo, V — 11-12. per le quali — 25. alla verità del fatto — 30. Nel cod. V dopo credebatur (lin. 29) continua: Anzi conoscendo ecc. (pag. 334, lin. 21). Un segno di richiamo indica però che si debba inserire a questo punto ciò che si legge, scritto di mano di Galileo, su di un cartellino incollato sul margine del foglio, e che è quanto appresso: E più in S. Tommaso, sopra Iob, cap. 26, lec. 1, sopra le parole Qui extendit Aquilonem super vacuum et appendit Terram super nihilum

2-3. bene fusse appresso i sapienti più, G; ma in questa trasposizione non concordano nè gli altri codici nè la stampa. — 3. la stabilità del cielo e l’, G, s — 8. creder per certo che, s — 9. però nissuno deve pretendere questo, G — 13. esperienze induchino e dimostrazioni quegli, G — 27. gesta referunt, et, S —
[p. 334 modifica]super vacuum, et appendit Terram super nihilum, nota che la Scrittura chiama vacuo e niente lo spazio che abbraccia e circonda la Terra, e che noi sappiamo non esser vòto, ma ripieno d’aria: nulla dimeno, dice egli che la Scrittura, per accomodarsi alla credenza del vulgo, che pensa che in tale spazio non sia nulla, lo chiama vacuo e niente. Ecco le parole di S. Tommaso: quod de superiori hemisphaerio caeli nihil nobis apparet, nisi spatium aëre plenum, quod vulgares homines reputant vacuum: loquitur enim secundum existimationem vulgarium hominum, pro ut est mos in Sacra Scriptura. Ora da questo luogo mi pare che assai chiaramente argumentar si possa, che la Scrittura Sacra, per il medesimo rispetto, abbia avuto molto più gran cagione di chiamare il Sole mobile e la Terra stabile. Perchè, se noi tenteremo la capacità de gli uomini vulgari, gli troveremo molto più inetti a restar persuasi della stabilità del Sole e mobilità della Terra, che dell’esser lo spazio, che ci circonda, ripieno d’aria: adunque, se gli autori sacri in questo punto, che non aveva tanta difficoltà appresso la capacità del vulgo ad esser persuaso, nulla dimeno si sono astenuti dal tentare di persuaderglielo, non dovrà parere se non molto ragionevole che in altre proposizioni molto più recondite abbino osservato il medesimo stile. Anzi, conoscendo l’istesso Copernico qual forza abbia nella nostra fantasia un’invecchiata consuetudine ed un modo di concepir le cose già sin dall’infanzia fattoci familiare, per non accrescer confusione e difficoltà nella nostra astrazione, dopo aver prima dimostrato che i movimenti li quali a noi appariscono esser del Sole o del firmamento

[il ms.: nihili], si legge, esponendo le parole super vacuum, «ita appellari spatium aëre plenum, quod vulgares homines reputant vacuum», soggiugnendo: «loquitur enim secundum extimationem vulgarium hominum, prout est mos in Sacra Scriptura». Onde io per necessaria conseguenza deduco che se la Scrittura Sacra, per accomodarsi alla capacità del vulgo, chiama vacuo lo spazio ripieno d’aria, che pure con assai facili esperienze si potrebbe persuadere esser pieno a gente che non fusse più che stolida, con quanto maggior ragione per il medesimo rispetto dev’ella chiamar mobile il Sole e stabile la Terra, che tali appariscono non solo alle genti vulgari, ma anco a moltissimi che assai si elevano dalla vulgare capacità? Aggiungasi finalmente che la medesima Scrittura Sacra per la medesima ragione non si è anco talora astenuta di produr detti favolosi: onde appresso il medesimo Iob si legge, al cap. 21, le. 2, Ipse ad sepulcra ducetur, et in congerie mortuorum vigilabit; dulcis fuit glareis Cocyti, et post se omnem hominem trahet etc.: dove S. Tommaso, esplicando tal luogo, dice: «Veritatem de poenis malorum post mortem proponit sub fabula quae vulgariter ferebatur.»

25. Nel cod. V prima diceva Sole o del, poi o fu corretto in e. —

19. Nel cod. G manca molto, che si legge però negli altri codici e nella stampa. — 23. infanzia fatteci familiari, G —
[p. 335 modifica]son veramente della Terra, nel venir poi a ridargli in tavole ed all’applicargli all’uso, gli va nominando per del Sole e del cielo superiore a i pianeti, chiamando nascere e tramontar del Sole, delle stelle, mutazioni nell’obliquità del zodiaco e variazioni ne’ punti degli equinozii, movimento medio, anomalia e prostaferesi del Sole, ed altre cose tali, quelle che son veramente della Terra. Ma perchè, sendo noi congiunti con lei, ed in conseguenza a parte d’ogni suo movimento, non gli possiamo immediate riconoscere in lei, ma ci convien far di lei relazione a i corpi celesti ne’ quali ci appariscono, però gli nominiamo come fatti là dove fatti ci rassembrano. Quindi si noti quanto sia ben fatto l’accomodarsi al nostro più consueto modo d’intendere. Che poi la comun162 concordia de’ Padri, nel ricever una proposizione naturale dalla Scrittura nel medesimo senso tutti, debba autenticarla in maniera che divenga de Fide il tenerla per tale, crederei che ciò si dovesse al più intender di quelle conclusioni solamente, le quali fussero da essi Padri state discusse e ventilate con assoluta diligenza e disputate per l’una e per l’altra parte, accordandosi poi tutti a reprovar quella e tener questa. Ma la mobilità della Terra e stabilità del Sole non son di questo genere, con ciò sia che tale opinione fosse in quei tempi totalmente sepolta e remota dalle questioni delle scuole, e non considerata, non che seguita, da veruno; onde si può credere che nè pur cascasse concetto a’ Padri di disputarla, avendo i luoghi della Scrittura, la lor propria opinione, e l’assenso de gli uomini tutti, concordi nell’istesso parere, senza che si sentisse

3-4. mutazioni dell’[dell’ è sostituito, di mano di Galileo, ad una parola che non è più possibile leggere] obliquità del zodiaco e variazione de’ punti — 10-11. Nel cod. V le parole Quindi... intendere si leggono cancellate; e dopo intendere continua, pur sotto le cancellature: come comunemente avertisce S. Tommaso, cap. 26 In Iob, lec. 1, fa la Sacra Scriptura, ove dice queste parole: Hoc spacium vulgares homines vacuum reputant: loquitur enim Scriptura secundum extimationem vulgarium hominum, prout est mos eius. Attamen multo facilius poterat persuaderi vulgus, hoc spacium esse plenum aëre quam Terram moveri etc. Videte hunc locum. [Cfr. pag. 333, lin. 30 e seg., e la lezione di questo passo secondo il cod. V, riportata tra le varianti.] — 15. dovesse intender al più di quelle — 22-24. disputarla, poi che i luoghi, uomini... tutti si trovavano concordi

13. naturale della Scrittura, s — 15. dovesse intender, G —
[p. 336 modifica]la contradizione di alcuno. Non basta dunque il dir che i Padri tutti ammettono la stabilità della Terra etc, adunque il tenerla è de Fide; ma bisogna provar che gli abbino condennato l’opinione contraria: imperò che io potrò sempre dire, che il non aver avuta loro occasione di farvi sopra reflessione e discuterla, ha fatto che l’hanno lasciata ed ammessa solo come corrente, ma non già come resoluta e stabilita. E ciò mi par di poter dir con assai ferma ragione: imperò che o i Padri fecero reflessione sopra questa conclusione come controversa, o no: se no, adunque niente ci potettero, nè anco in mente loro, determinare, ne deve la loro non curanza mettere in obligo noi a ricevere quei precetti che essi non hanno, nè pur con l’intenzione, imposti; ma se ci fecero applicazione e considerazione, già l’averebbono dannata se l’avessero giudicata per erronea; il che non si trova che essi abbino fatto. Anzi,163 dopo che alcuni teologi l’hanno cominciata a considerare, si vede che non l’hanno stimata erronea, come si legge ne i Comentari di Didaco a Stunica sopra Iob, al c. 9, V. 6, sopra le parole Qui commovet Terram de loco suo etc.: dove lungamente discorre sopra la posizione Copernicana, e conclude, la mobilità della Terra non esser contro alla Scrittura. Oltre che io averci qualche dubbio circa la verità di tal determinazione, ciò è se sia vero che la Chiesa obblighi a tenere come de Fide simili conclusioni naturali, insignite solamente di una concorde interpetrazione di tutti i Padri: e dubito che poss’essere che quelli che stimano in questa maniera, possin aver desiderato d’ampliar a favor della propria opinione il decreto de’ Concilii, il quale non veggo che in questo proposito proibisca altro se non lo stravolger in sensi contrarii a quel di Santa Chiesa o del comun consenso de’ Padri quei luoghi solamente che sono de Fide, attenenti a i costumi, .

1-2. i Padri amettano — 4-5. non aver loro auta occasione — 11. non ci hanno

1. In luogo di Non basta dunque il dir, che è la lezione del cod. V, gli altri codici e la stampa leggono: In oltre non basta (basti, G) il dir. Anche nel cod. V era stato scritto In oltre non basta, ma Galileo corresse di suo pugno Non basta dunque. — 2-3. è di Fede; ma, G — 3. ch’egli abbin, s — 5. reflessione o discussione, ha fatto, G; ma la lezione e discuterla, del cod. V e della stampa, è altresì degli altri codici. — 27. o del consenso comune, G; ma nè gli altri codici nè la stampa concordano in questa trasposizione. —
[p. 337 modifica]concernenti all’edificazione della dottrina cristiana: e così parla il Concilio Tridentino alla Sessione IV. Ma la mobilità o stabilità della Terra o del Concilio Tridentino, sess. 4. Sole non son de Fide nè contro a i costumi, nè vi è chi voglia scontorcere luoghi della Scrittura per contrariare a Santa Chiesa o a i Padri: anzi chi ha scritta questa dottrina non si è mai servito di luoghi sacri, acciò resti sempre nell’autorità di gravi e sapienti teologi l’interpetrar detti luoghi conforme al vero sentimento. E quanto i decreti de’ Concilii si conformino co’ Santi Padri in questi particolari, può esser assai manifesto: poi che tantum abest che si risolvine a ricever per de Fide simili conclusioni naturali o a reprovar come erronee le contrarie opinioni, che, più presto avendo riguardo alla primaria intenzione di Santa Chiesa, reputano inutile l’occuparsi in cercar di venir in certezza di quelle. Senta l’A. V. S. quello che risponde S. Agostino a quei fratelli che muovono la quistione, se sia vero che il cielo si muova o pure stia fermo: His respondeo, multum subtilibus In Genesim ad literam, lib. 2, c. 10. et laboriosis rationibus ista perquiri, ut vere percipiatur utrum ita an non ita sit: quibus ineundis atque tractandis nec mihi iam tempus est, nec illis esse debet quos ad salutem suam et Sanctae Ecclesiae necessariam utilitatem cupimus informari. Ma quando pure anco nelle proposizioni naturali, da luoghi della Scrittura esposti concordemente nel medesimo senso da tutti i Padri si avesse a prendere la resoluzione di condennarle o ammetterle, non però veggo che questa regola avesse luogo nel nostro caso, avvenga che sopra i medesimi luoghi si leggono de’ Padri diverse esposizioni: dicendo Dionisio Areopagita, che non il Sole, ma il primo mobile, si fermò; l’istesso stima S. Agostino, ciò è che si fermassero tutti i corpi celesti; dell’istessa opinione è l’Abulense. Ma più, tra gli autori Ebrei, a i quali applaude Ioseffo, alcuni hanno stimato che veramente il Sole non si fermasse, ma che così apparve mediante la brevità del tempo nel quale gl’Isdraeliti dettero la sconfitta a’ nemici. Così del miracolo al tempo d’Ezechia, Paulo Burgense stima non essere stato fatto nel Sole, ma nell’orivuolo. Ma che in effetto sia

2. mobilità e stabilità — 3. contro i costumi — 4-5. a i Santi Padri — 5-6. servito de i luoghi — 13. In luogo di l’A. V. S. nel cod. V si legge la P. V. — 24-25. 'diverse opinioni: dicendo — 30. Israeliti

2. Tridentino, Sessione, s — 9. poi che tanto ne manca che, s — 13. Senta di nuovo l’Altezza Vostra quello, s — 15-16. multum susubtiliter et, G, s — 30. Israeliti, s
[p. 338 modifica]necessario glosare e interpretare le parole del testo di Iosuè, qualunque si ponga la costituzione del mondo, dimostrerò più a basso. Ma finalmente, concedendo a questi signori più di quello che domandano, ciò è di sottoscrivere interamente al parere de’ sapienti teologi, già che tal particolar disquisizione non si trova essere stata fatta da i Padri antichi, potrà esser fatta da i sapienti della nostra età, li quali, ascoltate prima l’esperienze, l’osservazioni, le ragioni e le dimostrazioni de’ filosofi ed astronomi per l’una e per l’altra parte, poi che la controversia è di problemi naturali e di dilemmi necessarii ed impossibili ad essere altramente che in una delle due maniere controverse, potranno con assai sicurezza determinar quello che le divine inspirazioni gli detteranno. Ma che senza ventilare e discutere minutissimamente tutte le ragioni dell’una e dell’altra parte, e che senza venire in certezza del fatto si sia per prendere una tanta resoluzione, non è da sperarsi da quelli che non si curerebbono d’arrisicar la maestà e dignità delle Sacre Lettere per sostentamento della reputazione di lor vane immaginazioni, nè da temersi da quelli che non ricercano altro se non che si vadia con somma attenzione ponderando quali sieno i fondamenti di questa dottrina, e questo solo per zelo santissimo del vero e delle Sacre Lettere, e della maestà, dignità ed autorità nella quale ogni cristiano deve procurare che esse sieno mantenute. La quale dignità chi non vede con quanto maggior zelo vien desiderata e procurata da quelli che, sottoponendosi onninamente a Santa Chiesa, domandano non che si proibisca questa o quella opinione, ma solamente di poter mettere in considerazione cose onde ella maggiormente si assicuri nell’elezione più sicura, che da quelli che, abbagliati da proprio interesse o sollevati da maligne suggestioni, predicano che ella fulmini senz’altro la spada, poi che ella ha potestà di farlo, non considerando che non tutto quel che si può fare è sempre utile che si faccia? Di questo so parere non son già stati i Padri santissimi; anzi, conoscendo di quanto progiudizio e quanto contro al primario instituto della Chiesa Cattolica sarebbe il volere da’ luoghi della Scrittura definire conclusioni naturali, delle quali, con esperienze con dimostrazioni necessarie, si potrebbe in qualche tempo dimostrare il contrario di quel che

3-4.che essi domandano — 24. Chiesa, non domandano che

3-4. che ci domandano, S — 4. parere di sapienti, S — 20. del vero delle Sacre, G —
[p. 339 modifica]suonan le nude parole, sono andati non solamente circospettissimi, ma hanno, per ammaestramento de gli altri, lasciati i seguenti precetti: In rebus obscuris atque a nostris oculis remotissimis, si qua inde scripta, D. Augustianus, lib. p.° De Genesi ad literam, cap. 18, 19. etiam divina, legerimus, quae possint, salva fide qua imbuimur, aliis atque aliis parere sententiis, in nullam earum nos praecipiti affirmatione ita proiiciamus, ut, si forte diligentius discussa veritas eam recte labefactaverit, corruamus; non pro sententia divinarum Scripturarum, sed pro nostra ita dimicantes, ut eam velimus Scripturarum esse, quae nostra est, cum potius eam, quae Scripturarum est, nostram esse velle debeamus. Soggiugne poco di sotto, per ammaestrarci come nissuna proposizione può esser contro la Fede se prima non è dimostrata esser falsa, dicendo: Tamdiu non est contra Fidem, donec veritate certissima refellatur: quod si factum fuerit, non hoc habebat divina Scriptura, sed hoc senserat humana ignorantia. Dal che si vede come falsi sarebbono i sentimenti che noi dessimo a’ luoghi della Scrittura, ogni volta che non concordassero con le verità dimostrate: e però devesi con l’aiuto del vero dimostrato cercar il senso sicuro della Scrittura, e non, conforme al nudo suono delle parole che sembrasse vero alla debolezza nostra, volere in certo modo sforzar la natura e negare l’esperienze e le dimostrazioni necessarie. Ma noti, di più, l’A. V., con quante circospezzioni cammina questo santissimo uomo prima che risolversi ad affermare alcuna interpetrazione della Scrittura per certa e talmente sicura che non si abbia da temere di poter incontrare qualche difficoltà che ci apporti disturbo, che, non contento che alcun senso della Scrittura concordi con alcuna dimostrazione, soggiugne: Si autem hoc verum esse certa ratio demonstraverit, adhuc incertum erit, utrum hoc in illis verbis sanctorum librorum scriptor sentiri voluerit, an aliquid aliud non minus verum: quod si caetera contextio sermonis non hoc eum voluisse probaverit, non ideo falsum erit aliud quod ipse intelligi voluit, sed et verum et quod utilius cognoscatur. Ma quello che accresce la meraviglia circa la circospezzione con la quale questo autore cammina, è che, non si assicurando su ’l vedere che e le ragioni dimostrative e quello che suonano le parole della Scrittura ed il resto della testura precedente o

20. In luogo di l’A. V. nel cod. V si legge la P. V. — 33. ed il restante della

12. est extra Fidem, s — 14. si vede quanto falsi, G; ma gli altri codici e la stampa leggono come'. — 17. nudo, che manca nel cod. G e in altri codici, come pure nella stampa, è stato aggiunto nel cod. V di mano di Galileo. — 26. esse vera ratio, G, s. Ma il testo di S. Agostino qui citato (De Genesi ad literam, I, 19) legge, d’accordo col cod. V, certa. —
[p. 340 modifica]susseguente cospirino nella medesima intenzione, aggiugne le seguenti parole: Si autem contextio Scripturae, hoc voluisse intelligi scriptorem non repugnaverit, adhuc restabit quaerere, utrum et aliud non potuerit; nè si risolvendo ad accettar questo senso o escluder quello, anzi non gli parendo di potersi stimar mai cautelato a sufficienza, seguita: Quod si et aliud potuisse invenerimus, incertum erit, quidnam eorum ille voluerit; aut utrumque voluisse, non inconvenienter creditur, si utrique sententiae certa circumstantia suffragatur. E finalmente, quasi volendo render ragione di questo suo instituto, col mostrarci a quali pericoli esporrebbono sè e le Scritture e la Chiesa quelli che, riguardando più al mantenimento d’un suo errore che alla dignità della Scrittura, vorrebbono estender l’autorità di quella oltre a i termini che ella stessa si prescrive, soggiugne le seguenti parole, che per sè sole doverebbono bastare a reprimere e moderare la soverchia licenza che tal uno pretende di potersi pigliare: Plerumque enim accidit, ut aliquid de Terra, de caelo, de caeteris huius mundi elementis, de motu et conversione vel etiam magnitudine et intervallis siderum, de certis defectibus Solis et Lunae, de circuitibus annorum et temporum, de naturis animalium, fruticum, lapidum, atque huiusmodi caeteris, etiam non Christianus ita noverit, ut certissima ratione vel experientia teneat. Turpe autem est nimis et perniciosum ac maxime cavendum, ut Christianum de his rebus quasi secundum Christianas Literas loquentem ita delirare quilibet infidelis audiat, ut, quemadmodum dicitur, toto caelo errare conspiciens, risum tenere vix possit; et non tam molestum est quod errans homo derideretur, sed quod authores nostri ab eis qui foris sunt talia sensisse creduntur, et, cum magno exitio eorum de quorum salute satagimus, tamquam indocti repraehenduntur atque respuuntur. Cum enim quemquam de numero Christianorum ea in re quam ipsi optime norunt errare depraehenderint, et vanam sententiam suam de nostris libris asserent, quo pacto illis libris credituri sunt de resurrectione mortuorum et de spe vitae aeternae regnoque caelorum, quando de his rebus quas iam experiri vel indubitatis rationibus percipere potuerunt, fallaciter putaverint esse conscriptos? Quanto poi restino offesi i Padri veramente saggi e prudenti da questi tali che, per sostener proposizioni da loro non

4. risolvendo ancora ad accettar — 7. utrumque sentiri voluisse — si utriusque sententiae — 11. errore che a quello della dignità della Scrittura — 31. indubitatis numeris percipere. Sopra numeris nel cod. V di mano di Galileo è scritto: alias «rationibus». —

6. erit, quodnam eorum, G — 7. si utriusque sententiae, G, S. Ma il testo di S. Agostino legge utrique. — 9. col mostrare a, G — 16. motu, conversione, G, s — 28. norunt deprehenderint, s —
[p. 341 modifica]capite, vanno in certo modo impegnando i luoghi delle Scritture, riducendosi poi ad accrescere il primo errore col produrr’altri luoghi meno intesi de’ primi, esplica il medesimo Santo con le parole che seguono: Quid enim molestiae tristitiaeque ingerant prudentibus fratribus temerarii praesumptores, satis dici non potest, cum si quando de prava et falsa opinione sua repraehendi et convinci coeperint ab eis qui nostrorum librorum authoritate non tenentur, ad defendendum id quod levissima temeritate et apertissima falsitate dixerunt, eosdem libros sanctos, unde id probent, proferre conantur; vel etiam memoriter, quae ad testimonium valere arbitrantur, multa inde verba pronunciant, non intelligentes neque quae loquuntur neque de quibus affirmant.

Del numero di questi parmi che sieno costoro, che non volendo o non potendo intendere le dimostrazioni ed esperienze con le quali l’autore ed i seguaci di questa posizione la confermano, attendono pure a portar innanzi le Scritture, non si accorgendo che quante più ne producono e quanto più persiston in affermar quelle esser chiarissime e non ammetter altri sensi che quelli che essi gli danno, di tanto maggior progiudizio sarebbono alla dignità di quelle (quando il lor giudizio fosse di molta autorità), se poi la verità conosciuta manifestamente in contrario arrecasse qualche confusione, al meno in quelli che son separati da Santa Chiesa, de’ quali pur ella è zelantissima e madre desiderosa di ridurgli nel suo grembo. Vegga dunque l’A. V. quanto disordinatamente procedono quelli che, nelle dispute naturali, nella prima fronte costituiscono per loro argumenti luoghi della Scrittura, e ben spesso malamente da loro intesi.

Ma se questi tali veramente stimano e interamente credono d’avere il vero sentimento di un tal luogo particolare della Scrittura, bisogna, per necessaria conseguenza, che si tenghino anco sicuri d’aver in mano l’assoluta verità di quella conclusione naturale che intendono di disputare, e che insieme conoschino d’aver grandissimo vantaggio sopra l’avversario, a cui tocca a difender la parte falsa; essendo che quello che sostiene il vero, può aver molte esperienze sensate e molte dimostrazioni necessarie per la parte sua,

1. delle Sacre Scritture — 16. ne producano e — 23. In luogo di l’A. V. nel cod. V. si legge la P. V.disordinatamente procedino quelli — 25. spesso male da — 26. e internamente credono — 30. e che insieme insieme si conoschino

1. della Scrittura, s — 2. errore co ’l produrne altri, s — 5-6. de falsa et prava, G, s — 12. parmi che sien coloro, che, s — 15. che quanto più, G — 28. che ci si tenghino, s — 31. tocca difender, G —
[p. 342 modifica]mentre che l’avversario non può valersi d’altro che d’ingannevoli apparenze, di paralogismi e di fallacie. Ora se loro, contenendosi dentro a i termini naturali e non producendo altre armi che le filosofiche, sanno ad ogni modo d’esser tanto superiori all’avversario, perchè, nel venir poi al congresso, por subito mano ad un’arme inevitabile e tremenda, per atterrire con la sola vista il loro avversario? Ma, se io devo dir il vero, credo che essi sieno i primi atterriti, e che, sentendosi inabili a potere star forti contro alli assalti dell’avversario, tentino di trovar modo di non se lo lasciar accostare, vietandogli l’uso del discorso che la Divina Bontà gli ha conceduto, ed abusando l’autorità giustissima della Sacra Scrittura, che, ben intesa ed usata, non può mai, conforme alla comun sentenza de’ teologi, oppugnar le manifeste esperienze o le necessarie dimostrazioni. Ma che questi tali rifugghino alle Scritture per coprir la loro impossibilità di capire, non che di solvere, le ragioni contrarie, dovrebbe, s’io non m’inganno, essergli di nessun profitto, non essendo mai sin qui stata cotal opinione dannata da Santa Chiesa. Però, quando volessero procedere con sincerità, doverebbono o, tacendo, confessarsi inabili a poter trattar di simili materie, o vero prima considerare che non è nella potestà loro nè di altri che del Sommo Pontefice o de’ sacri Concilii il dichiarare una proposizione per erronea, ma che bene sta nell’arbitrio loro il disputar della sua falsità; dipoi, intendendo come è impossibile che alcuna proposizione sia insieme vera ed eretica, dovrebbono occuparsi in quella parte che più aspetta a loro, ciò è in dimostrar la falsità di quella; la quale come avessero scoperta, o non occorrerebbe più il proibirla, perchè nessuno la seguirebbe, o il proibirla sarebbe sicuro e senza pericolo di scandalo alcuno. Però applichinsi prima questi tali a redarguire le ragioni del Copernico e di altri, e lascino il condennarla poi per erronea ed eretica a chi ciò si appartiene; ma non sperino già d’esser per trovare nei circuspetti e sapientissimi Padri e nell’assoluta sapienza di Quel che non può errare, quelle repentine resoluzioni nelle quali essi talora si lascerebbono precipitare da qualche loro affetto interesse

2. apparenze e di — 29-30. erronea o eretica

2. se essi, contenendosi, s — 7. credo che sieno, G — 8. contro gli assalti, s — 13. esperienze ciò è le, s — 14. pur ricoprir la, G. Ma coprir è così del cod. V, come deli altri codici e della stampa. — 20. Pontefice e de’, s — 23-24. dovrebbero, dico, occuparsi, s — 29-30. erronea o eretica, s —
[p. 343 modifica]particolare: perchè sopra queste ed altre simili proposizioni, che non sono direttamente de Fide, non è chi dubiti che il Sommo Pontefice ritien sempre assoluta potestà di ammetterle o di condennarle; ma non è già in poter di creatura alcuna il farle esser vere o false, diversamente da quel che elleno per sua natura e de facto si trovano essere. Però par che miglior consiglio sia l’assicurarsi prima della necessaria ed immutabil verità del fatto, sopra la quale nissuno ha imperio, che, senza tal sicurezza, col dannare una parte spogliarsi dell’autorità e libertà di poter sempre eleggere, riducendo sotto necessita quelle determinazioni che di presente sono indifferenti e libere e riposte nell’arbitrio dell’autorità suprema. Ed in somma, se non è possibile che una conclusione sia dichiarata eretica mentre si dubita che ella poss’esser vera, vana deverà esser la fatica di quelli che pretendono di dannar la mobilità della Terra e la stabilità del Sole, se prima non la dimostrano essere impossibile e falsa.

Resta finalmente che consideriamo, quanto sia vero che il luogo di Giosuè si possa prendere senza alterare il puro significato delle parole, e come possa essere che, obedendo il Sole al comandamento di Giosuè, che fu che egli si fermasse, ne potesse da ciò seguire che il giorno per molto spazio si prolungasse.

La qual cosa, stante i movimenti celesti conforme alla costituzione Tolemaica, non può in modo alcuno avvenire: perchè, facendosi il movimento del Sole per l’eclittica secondo l’ordine de’ segni, il quale è da occidente verso oriente, ciò è contrario al movimento del primo mobile da oriente in occidente, che è quello che fa il giorno e la notte, chiara cosa è che, cessando il Sole dal suo vero e proprio movimento, il giorno si farebbe più corto, e non più lungo, e che all’incontro il modo dell’allungarlo sarebbe l’affrettare il suo movimento; in tanto che, per fare che il Sole restasse sopra l’orizonte per qualche tempo in un istesso luogo, senza declinar verso l’

4. farle vere — 17. il puro suono delle — 21. cosa, stanti i — 25. mobile, che e da oriente — 26-27. dal suo movimento — 28-29. il suo vero e proprio movimento

8-11. Il cod. Marciano Cl. IV, n. CCCCLXXXVII legge: col dannare si pregiudica di poter poi sempre eleggere e determinare. E in somma — 9. e libertà, che nel cod. V è aggiunto tra le linee di mano di Galileo, manca negli altri codici e nella stampa. — 14. la mobilità e la stabilità, s — 15. non hanno dimostrato esser, s — 21-25. Le parole da occidente verso... primo mobile mancano nella stampa; ma nella traduzione latina che l’accompagna, si legge: Nam cum Solis motus per celiptieam secundum ordinem signorum ab occidente in orientem contrarioque motu motui primi mobilis (qui est ab oriente in occidentem, per quem perfiecitur dies et nox) fiat. — 28. modo di allungarlo, s — 29-30. sopra l’oriente per, G —
[p. 344 modifica]occidente, converrebbe accelerare il suo movimento tanto che pareggiasse quel del primo mobile, che sarebbe un accelerarlo circa trecento sessanta volte più del suo consueto. Quando dunque Iosuè avesse avuto intenzione che le sue parole fossero prese nel lor puro e proprissimo significato, averebbe detto al Sole che egli accelerasse il suo movimento, tanto che il ratto del primo mobile non lo portasse all’occaso: ma perchè le sue parole erano ascoltate da gente che forse non aveva altra cognizione de’ movimenti celesti che di questo massimo e comunissimo da levante a ponente, accomodandosi alla capacità loro, e non avendo intenzione d’insegnargli la costituzione delle sfere, ma solo che comprendessero la grandezza del miracolo fatto nell’allungamento del giorno, parlò conforme all’intendimento loro.

In Epistola ad Poly-curpum. Forse questa considerazione mosse prima Dionisio Areopagita a dire che in questo miracolo si fermò il primo mobile, e fermandosi questo, in conseguenza si fermoron tutte le sfere celesti: della quale Lib. 2 De mirabilibus Sacrae Scripturae. opinione è l’istesso S. Agostino, e l’Abulense diffusamente la conferma Quaest. 22, 24 in Cap. X Iosue. ferma. Anzi, che l’intenzione dell’istesso Iosue fusse che si fermasse tutto il sistema delle celesti sfere, si comprende dal comandamento fatto ancora alla Luna, ben che essa non avesse che fare nell’allungamento del giorno; e sotto il precetto fatto ad essa Luna s’intendono gli orbi de gli altri pianeti, taciuti in questo luogo come in tutto il resto delle Sacre Scritture, delle quali non è stata mai intenzione d’insegnarci le scienze astronomiche.

Parmi dunque, s’io non m’inganno, che assai chiaramente si scorga che, posto il sistema Tolemaico, sia necessario interpetrar le parole con qualche sentimento diverso dal lor puro significato; la quale interpetrazione, ammonito dagli utilissimi documenti di S. Agostino, non direi esser necessariamente questa, sì che altra forse migliore e più accomodata non potesse sovvenire ad alcun altro. Ma se so forse questo medesimo, più conforme a quanto leggiamo in Giosuè, si potesse intendere nel sistema Copernicano, con l’aggiunta di

1-2. che e’ pareggiasse — 4. avesse auta intenzione — 16. questo, si fermorono in consequenza tutte — 20. ben che ella non

1-2. che e’ pareggiasse, s — 2-3. circa a trecento. Ma a manca negli altri codici e nella stampa. — 11. che ei comprendessero, s — 17. è ancora S. Agostino, G. Ma gli altri codici e la stampa leggono conformo abbiamo dato nel testo. — 20. ben che ella non, s — 23. mai, che nel cod. V è aggiunto tra le linee, e, a quanto pare, di mano di Galileo, manca negli altri codici e nella stampa. —
[p. 345 modifica]un’altra osservazione, nuovamente da me dimostrata nel corpo solare, voglio per ultimo mettere in considerazione; parlando sempre con quei medesimi riserbi di non esser talmente affezionato alle cose mie, che io voglia anteporle a quelle degli altri, e creder che di migliori e più conformi all’intenzione delle Sacre Lettere non se ne possino addurre. Posto dunque, prima, che nel miracolo di Iosuè si fermasse tutto ’l sistema delle conversioni celesti, conforme al parere de’ sopra nominati autori, e questo acciò che, fermatone una sola, non si confondesser tutte le costituzioni e s’introducesse senza necessità gran perturbamento in tutto ’l corso della natura, vengo nel secondo luogo a considerare come il corpo solare, ben che stabile nell’istesso luogo, si rivolge però in sé stesso, facendo un’intera conversione in un mese in circa, sì come concludentemente mi par d’aver dimostrato nelle mie Lettere delle Macchie Solari: il qual movimento vegghiamo sensatamente esser, nella parte superior del globo, inclinato verso il mezo giorno, e quindi, verso la parte inferiore, piegarsi verso aquilone, nell’istesso modo appunto che si fanno i rivolgimenti di tutti gli orbi de’ pianeti. Terzo, riguardando noi alla nobiltà del Sole, ed essendo egli fonte di luce, dal qual pur, com’io necessariamente dimostro, non solamente la Luna e la Terra, ma tutti gli altri pianeti, nell’istesso modo per sé stessi tenebrosi, vengono illuminati, non credo che sarà lontano dal ben filosofare il dir che egli, come ministro massimo della natura e in certo modo anima e cuore del mondo, infonde a gli altri corpi che lo circondano non solo la luce, ma il moto ancora, col rigirarsi in sé medesimo; sì che, nell’istesso modo che, cessando ’l moto del cuore nell’animale, cesserebbono tutti gli altri movimenti delle sue membra, così, cessando la conversion del Sole, si fermerebbono le conversioni di tutti i pianeti. E come che della mirabil forza ed energia del Sole io potessi produrne gli assensi di molti gravi scrittori, voglio che mi basti un luogo solo del Beato Dionisio Areopagita nel libro De divinis nominibus; il quale del Sole scrive così: Lux etiam colligit convertitque ad se omnia, quae videntur, quae moventur, quae illustrantur, quae calescunt, et uno nomine ea quae ab eius splendore continentur. Itaque Sol Ilios dìcitur, quod omnia

14. par aver

27. cuore dell’animale, s — 30. potessi produrre gli, s — 33. Lux eius colligit, s — 35. Sol Ἥλιος dicitur, s —
[p. 346 modifica]congreget colligatque dispersa. E poco più a basso scrive dell’istesso Sole: Si enim Sol hic, quem videmus, eorum quae sub sensum cadunt essentias et qualitates, quamquam multae sint ae dissimiles, tamen ipse, qui unus est aequabiliterque lumen fundit, renovat, alit, tuetur, perficit, dividit, coniungit, fovet, foecunda reddit, auget, mutat, firmat, edit, movet, vitaliaque facit omnia, et unaquaeque res huius universitatis, pro captu suo, unius atque eiusdem Solis est particeps, causasque multorum, quae participant, in se aequabiliter anticipatas habet; certe maiore ratione etc. Essendo, dunque, il Sole e fonte di luce e principio de’ movimenti, volendo Iddio che al comandamento di Iosuè restasse per molte ore io nel medesimo stato immobilmente tutto ’l sistema mondano, bastò fermare il Sole, alla cui quiete fermatesi tutte l’altre conversioni, restarono e la Terra e la Luna e ’l Sole nella medesima costituzione, e tutti gli altri pianeti insieme; né per tutto quel tempo declinò ’l giorno verso la notte, ma miracolosamente si prolungò: ed in questa maniera col fermare il Sole, senza alterar punto o confondere gli altri aspetti e scambievoli costituzioni delle stelle, si potette allungare il giorno in Terra, conforme esquisitamente al senso literale del sacro testo. Ma quello di che, s’io non m’inganno, si deve far non piccola stima, è che con questa costituzione Copernicana si ha il senso literale apertissimo e facilissimo d’un altro particolare che si legge nel medesimo miracolo; il quale è, che il Sole si fermò nel mezo del cielo. Sopra ’l qual passo gravi teologi muovono difficoltà: poi che par molto probabile che quando Giosuè domandò l’allungamento del giorno, il Sole fusse vicino al tramontare, e non nel meridiano; perchè quando fusse stato nel meridiano, essendo allora intorno al solstizio estivo, e però i giorni lunghissimi, non par verisimile che fusse necessario pregar l’allungamento del giorno per conseguir vittoria in un conflitto, potendo benissimo bastare per ciò lo spazio di sette ore e più di giorno che rimanevano ancora. Dal che mossi gravissimi teologi, hanno veramente tenuto che ’l Sole fusse vicino all’occaso;

18-19. esquisitamente a quello che dicono le parole del sacro testo — 21-22. si ha cognizione d’un altro particolare — 29-30. conseguir la vittoria

1-2. dispersa et paulo inferius, de Sole rursus haec addit: Si enim, S — 3. qualitates quaeque multae, S — 4. est aequaliterque lumen, s — 9. Sole fonte, G — principio di movimento, s — 13. Terra e Luna, G — 30. benissimo per ciò bastare lo spazio, G. Ma in questa trasposizione non concordano né gli altri codici nè la stampa. —
[p. 347 modifica]e così par che suonino anco le parole, dicendosi: Ferma, Sole, fermati: che se fosse stato nel meridiano, o non occorreva ricercare il miracolo, o sarebbe bastato pregar solo qualche ritardamento. Di questa opinione è il Caietano, alla quale sottoscrive il Magaglianes, confermandola con dire che Iosuè aveva quell’istesso giorno fatte tant’altre cose avanti il comandamento del Sole, che impossibile era che fussero spedite in un mezo giorno: onde si riducono ad interpetrar le parole in medio caeli veramente con qualche durezza, dicendo che l’importano l’istesso che il dire che il Sole si fermò essendo nel nostro emisferio, ciò è sopra l’orizonte. Ma tal durezza ed ogn’altra, s’io non erro, sfuggirem noi, collocando, conforme al sistema Copernicano, il Sole nel mezo, ciò è nel centro de gli orbi celesti e delle conversioni de’ pianeti, sì come è necessarissimo di porvelo; perchè, ponendo qualsivoglia ora del giorno, o la meridiana o altra quanto ne piace vicina alla sera, il giorno fu allungato e fermate tutte le conversioni celesti col fermarsi il Sole nel mezo del cielo, ciò è nel centro di esso cielo, dove egli risiede: senso tanto più accomodato alla lettera, oltre a quel che si è detto, quanto che, quando anco si volesse affermare la quiete del Sole essersi fatta nell’ora del mezo giorno, il parlar proprio sarebbe stato il dire che stetit in meridie, vel in meridiano circulo, e non in medio caeli poi che di un corpo sferico, quale è il cielo, il mezo è veramente e solamente il centro. Quanto poi ad altri luoghi della Scrittura, che paiono contrariare a questa posizione, io non ho dubbio che quando ella fusse conosciuta per vera e dimostrata, quei medesimi teologi che, mentre la reputali falsa, stimano tali luoghi incapaci di esposizioni concordanti con quella, ne troverebbono interpetrazioni molto ben congruenti, e massime quando all’intelligenza delle Sacre Lettere aggiugnessero qualche cognizione delle scienze astronomiche: e come di presente, mentre la stimano falsa, gli par d’incontrar, nel leggere le Scritture, solamente luoghi ad essa repugnanti, quando si avessero formato altro concetto, ne incontrerebbero per avventura altrettanti di concordi; e forse

4. quale si sottoscrive — 13. sì come è necess.° di porvelo — 17. cielo, ove egli — 17-18. accomodato alle parole del testo sacro, oltre a quel — 23. Scrittura Sacra, che — 24. questa opinione, io — 30. le Scritture Sante, solamente

1. dicendosi: Fermati, Sole, fermati, s — 5. giorno fatto tante, s — 11. collocando secondo il sistema, G. Ma gli altri codici e la stampa leggono conforme al. — 15. piace vicino alla, s — 20. dire, Stetit, s — 27. interpetrazione molto ben congruente, e, G — interpretazioni molto ben congiunte, e, s —
[p. 348 modifica]dicherebbono che Santa Chiesa molto acconciamente narrasse che Iddio

collocò il Sole nel centro del cielo e che quindi, col rigirarlo in sé stesso a guisa d’una ruota, contribuisce gli ordinati corsi alla Luna ed all’altre stelle erranti, mentre ella canta:


Caeli Deus sanctissime,

Qui lucidum centrum poli
Candore pingis igneo,
Augens decoro lumine;
Quarto die qui flammeam
Solis rotam constituens,
Lunae ministras ordinem,

Vagosque cursus siderum.


Potrebbono dire, il nome di firmamento convenirsi molto bene ad literam alla sfera stellata ed a tutto quello che è sopra le conversioni de’ pianeti, che, secondo questa disposizione, è totalmente fermo ed immobile. Così, movendosi la Terra circolarmente, s’intenderebbono i suoi poli dove si legge: Nec dum Terram fecerat, et flumina et cardines orbis Terrae; i quali cardini paiono indarno attribuiti al globo terrestre,

se egli sopra non se gli deve raggirare.

13-14. ad literam manca nel cod. V. — 19. raggirare, etc.

3. ruota, contribuisse gli, s — 13. molto bene manca nel cod. G, ma è dato dagli altri codici e dalla stampa. — 14. la conversione, G — 16. Il cod. G, il Marucelliano B. 1. 20, il Marciano Cl. IV, n. CCCCLXXXVII, il Casauatense 675, il Baldovinetti 236, l’Ambrosiano H. 226. Par. Inf., i Magliabechiani Cl. XI, 113, e II. IV. 215, il Marucelliano C. XVI. 3, il cod. 139 della Forteguerri di Pistoia, il cod. 2303 dell’Angelica di Roma, il cod. Bc. Mss. varii 116 della Nazionale di Torino, i Corsiniani 1937, 1090 e 701, ecc., leggono immobile ad literam movendosi, facendo punto dopo immobile o dopo ad literam. La stampa legge: immobile. Ad literam movendosi; ma la traduzione latina che accompagna la stampa, reca: Tandem, Terra iuxta hoc idem Systema circulariter se movente, ad literam intelligi possent eius Poli: e il cod. Riccardiano 2146, il Marciano Cl. IV, n. LIX, il Magliabechiano II. IX. 65, e il cod. LVI. 4. 6 della Biblioteca Guarnacci di Volterra leggono immobile. Finalmente ad literam movendosi. —

Dopo il testo della lettera, nel cod. G si legge: Oh vita pauperum Deus meus, in cuius sinu non est contradictio, plue mihi mitigationes in cor, ut patienter tales feram, qui non mihi hoc dicunt, quia divini sunt et in corde famuli tui viderunt quod dicunt, sed quia superbi sunt, nec noverunt Moysi sententiam, sed amant suam, non quia vera est, sed quia sua est. Ex 12 Conf. D. Aug., Oratio, prope finem; e così si legge, salvo differenze insignificanti, anche nel cod. Ambrosiano H. 226. Par. Inf., nei Corsiniani 701 e 1090, nel Casanatense 675, nel Marciano Cl. IV, n. CCCCLXXXVII, e nel cod. Fond italien 212 della Nazionale di Parigi. Invece nel cod. Riccardiano 2146, nei Magliabechiani Cl. XI, 113 e II. IX. 65, nell’Estense VIII. *. 17. nel cod. 2302 dell’Angelica di Roma, nei Casanatensi 2367 e 3339, noi cod. Bc. Mss. varii 116 della Nazionale di Torino, nel Marciano Cl. IV, n. LIX, nel cod. LVI. 4. 6 della Guarnacci di Volterra, nel codice di proprietà del sig.r Gamurrini di Arezzo, nel cod. Fond ital. 1507 della Nazionale di Parigi, nel cod. Harlingtoniano 4141 del Museo Britannico, come pure nella stampa, dopo il testo della lettera si legge: Naturam rerum invenire, difficile; et ubi inveneris, indicare in vulgus, nefas. Plato. In fine del cod. Marucelliano B. 1. 20, del Corsiniano 1937 e del cod. Nuovi Acquisti Galileiani, cass. I, n. 47, della Biblioteca Nazionale di Firenze, si trova la citazione di S. Agostino, seguita dalle parole Naturam rerum ecc.

Note

  1. 1-3. Il cod. V non aveva originalmente alcuna intestazione: d’altra mano fu poi aggiunto: A Madama Serenissima di Toscana G. G.
  2. Io scopersi alcuni anni, s
  3. 4-5. come ben... Serenissima manca in V
  4. 8. scuole de filosofanti
  5. 9-10. cose nuovamente collocate, s
  6. 11. in un certo modo
  7. 12. delle scienze, e
  8. 13. diminuzione e destruzzione, s
  9. 14. scorsero a dannare e far
  10. 15. quelle verità delle
  11. 17. questo scrissero varie
  12. 19-20. da luoghi da loro non bene intesi e addotti lontani dal proposito: nel quale errore
  13. la verità prima da me additata
  14. io non farei
  15. ogni immaginata maniera
  16. adveraum, propter
  17. fatto si e fatta palese la, s
  18. e da non, s
  19. l’autore di quelle, s
  20. e divertono il, s
  21. che doveria avere, s
  22. conoscano, G
  23. persona. Persistendo, s
  24. come ne, G
  25. risoluti di rivolgersi a tentar
  26. molti riscontri di nuovi, s
  27. filosofico; per questi, dico, cotali rispetti si son, s
  28. ciò è dannanda, s
  29. e proposizioni manca nella stampa —
  30. Dapprima il cod. V leggeva come il cod. G (fuorché a lin. 5 leggeva, e legge, o più tosto innovatore); poi Galileo cancellò di suo pugno fu dopo Copernico, e lo riscrisse dopo confermatore.
  31. periodi de gli orbi celesti
  32. e del Vescovo Culmense manca in V
  33. Chiesa e letto
  34. quanto sia
  35. per satisfare ad
  36. presto renovatore e, s
  37. sacerdote, canonico, s
  38. Sul margine del cod. G (come pure in qualche altro codice, p.e. nel Magliabechiano Cl. XI, 139 e nel Parigino Fond italien 212) si legge a questo punto: «Nota come, vertendo di presente qualche controversia con eretici intorno alla riforma del calendario, non piccola occasione si darebbe loro di più sparlare, mentre vedessero dannar la dottrina di colui conforme alla quale fu presa la riforma di esso calendario».
  39. in un certo modo
  40. luoghi delle Scritture; ma
  41. cercono, G, s
  42. e concetto manca nella stampa.
  43. religione, volendo, G, s
  44. contro all’intenzion, s
  45. luogo di Scrittura, G, s. Il cod. V leggeva pure originariamente di Scrittura; ma questa lezione fu poi corretta, forse di mano di Galileo, in della Scrittura.
  46. di mostrare con, s
  47. fanno essi mentre, s
  48. fondate... osservazioni manca nella stampa e nei codici che con essa si accordano; però nella traduzione latina, che accompagna nella stampa il testo italiano, si legge: adiunctis astronomicis et geometricis demonstrationibus, quae sensuum experimentis et accuratissimis observationibus innituntur.
  49. Di questo genere — esser quelli che
  50. dichiaro non voler
  51. de iis iudicium, s
  52. anco che, s. Tale è altresì la lezione di molti dei codici che fanno famiglia con la stampa, dei quali altri (p. e. il Riccardiano 2146, il Marciano Cl. IV, n. LIX, il Parigino Fond italien 1507, il cod. LVI. 4. G della Biblioteca Guarnacci di Volterra, il Magliabeschiano II. IX. 65) leggono anco spero che
  53. religione, mi dichiaro, G, s
  54. che non fosse totalmente pio — molte cose
  55. I motivi, dunque... Sole, sono che. In luogo di sono prima diceva, a quanto pare, è.
  56. e la Terra mobile
  57. essere santissimamente
  58. la Scrittura
  59. suono gramaticale, potrebbe
  60. dettante così lo
  61. scrittura, poi che io, s
  62. di guadagnarmi frutto, Gr, s
  63. quelle opinione, s
  64. La Scrittura Sacra mentire, s
  65. suono grammaticale, potrebbe, s. Oltre che nella stampa e nel cod. V, grammaticale si legge nel Marucelliano B. 1. 20, nel Marciano CI. IV, n. CCCCLXXXVII, nel Magliabechiano CL. XI, 139 ecc.; col cod. G invece s’accordano il Casanatense 675 e il Baldovinetti 236.
  66. proposizioni, sì come dettante così lo, s
  67. sotto tali parole
  68. sarebbe produrne
  69. assai agevolmente e con ragione dedurre
  70. e cose... vulgo manca in V.
  71. dispute de’ problemi
  72. il produrre attestazione, s
  73. di quello medesimo, G
  74. Perchè (si come... scorge) per, s
  75. dispute de’ problemi, s
  76. pone avanti agli occhi
  77. avesse auta la mira
  78. discorso ed essendo sommamente necessarii per la salute de l’anime, non potevano
  79. non credo sia
  80. effetti naturali che, s
  81. come verissimi e, s
  82. tutte le scienze umane, s
  83. non mi pare che sia, s
  84. che ne pur vi si trovano nominati
  85. Nel cod. V manca pur l’istesso... sacri (lin. 30), e dopo replicato (lin. 31) è aggiunto, di mano di Galileo e sul margine, l’istesso.
  86. disposizioni o movimenti, G, s
  87. Sacre Lettere apprendere, s
  88. an ea ex, G
  89. semel commemoravimus, ne, s
  90. nulli ad salutem profutura, s
  91. al particolare
  92. con le già nominate
  93. di quelle non
  94. una proposizione eretica
  95. Io qui direi... cielo manca in V.
  96. ab oriente in occidentem, s
  97. suam e Sanctae Ecclesiae necessaria utilitate eupimus, s
  98. cielo muova, s
  99. di essere questa, s
  100. abbiamo le presenti, G. La lezione seguenti è non solo del cod. V e della stampa, ma anche dei cod. Marucelliano B. 1. 20, Marciano Cl. IV, n. CCCCLXXXVII, Magliabechiano CI. XI, 139, Casanatense 675, Baldovinetti 236, Parigino Fond italien 212, ecc.
  101. che indubitatamente saranno
  102. ci averanno prima
  103. Sanctarum Litterarum obiicitur, s
  104. nec id quod in ea, sed quod in, s
  105. manifesto e le, s
  106. essendo che le Scritture (come si è detto) per, s
  107. alcuno l’impegnar, s
  108. potessero dimostrare manifestare il contrario, G
  109. in altra occasione confesseranno, s
  110. scimus sint minima, s
  111. da Eraclide... opinione manca in V.
  112. e del quale, fu creduto manca in V.
  113. E Seneca... conversione manca in V.
  114. setta, da, s
  115. abbiamo da Archimede, G. La lezione appresso è confermata anche dai cod. Marucelliano B. 1. 20, Marciano Cl. IV, n. CCCCLXXXVII, Casanatense 675, Baldovinetti 236, Parigino Fond italien 212, ecc.
  116. da Seleuco matematico è lezione del solo cod. V, nel quale queste parole furono sostituite di mano di Galileo ad e forse dall’istesso Archimede, che è accuratamente cancellato. Tutti gli altri codici e la stampa leggono e forse dall’istesso Archimede.
  117. altri; finalmente, s
  118. ampliata con molte, G
  119. non aggregar, G
  120. fondate su vane
  121. più tosto stiracchiati
  122. veder per tutto
  123. contro gli
  124. non riceve altramente lume
  125. abuso che (Deus avertat) se andasse pigliando piede autorità, bisognerebbe in breve tempo vietar tutte
  126. e le Sacre Scritture e
  127. arrogerebbono
  128. fondate su vane, s
  129. contro i, s
  130. con quai nuove, G
  131. oppositori la Scrittura esposta, G
  132. riceve il lume, s
  133. si potesse salvare, s
  134. autorità, mi che bisognerebbe in breve tempo vietar tutte, s
  135. atti all’intender, s
  136. del numero manca nella stampa.
  137. arrogerebbono, G
  138. di uomini sono quelli, per mio credere, contro
  139. e santi dottori, e de i
  140. in conseguenza manca in V.
  141. far sapienti, G
  142. ci libera di questo, s
  143. d’uomini son quelli, per mio credere, contro, s
  144. Le parole (intendendo... Sacra) si leggono nel cod. G dopo S. Girolamo (lin. 13), nella quale trasposizione gli altri codici non concordano.
  145. Hanc (Sacram Scripturam scilicet) garrula, s
  146. viros docent, et, s
  147. più eccellentemente si
  148. ragioni ed esperienze, s
  149. come suprema, s
  150. La stampa e tutti i codici, eccettuato il solo V, leggono sopra la pura autorità della Scrittura; e tale era altresì la lezione originaria del cod. V, ma in questo le parole pura autorità della furono cancellate con ogni cura, probabilmente dall’istesso Galileo.
  151. intende queste... quali sempre, G. Le lezioni di queste e io sempre sono, oltre che del cod. V e della stampa, anche di altri codici autorevoli.
  152. quella arrogersi autorità
  153. a suo modo
  154. de’ quali nessuno (crederò io) dirà, s
  155. ne’ libri sacri apparentemente, che, G. Così leggono anche i cod. Marucelliano B.1.20, Casanatense 675, Baldovinetti 236, Parigino Fond italien 212; il Marciano Cl. IV, n.CCCCLXXXVII ha sacri appartatamente che; e nel cod. V si leggeva pure come in G, ma apparentemente fu poi cancellato.
  156. Boezio, in Galeno, s
  157. ministri e manca nella stampa.
  158. quella arrogersi autorità, G
  159. essercitate e studiate, G,s. Nella lezione di G concordano gli altri codici; e studiate si leggeva altresì nel cod. V; ma in questo fu corretto, forse dalla mano di Galileo, in nè studiate.
  160. volesse si legge nel cod. G dopo architetto (lin. 24), nella quale trasposizione non concordano nè gli altri codici nè la stampa.
  161. Quanto segue, da « e che gran differenza » sino a « e ciò par » (pag. 327, lin. 25), nel cod. V si legge aggiunto su di un foglio a parte e con segno di richiamo. Le ultime tre parole di questo brano, «e ciò par», sono scritte di mano di Galileo. Prima che fosse introdotta tale aggiunta, di séguito a «ora a questa ed ora a quella», continuava, come si distingue sotto le cancellature, cosi: «e che ciò apparisca molto ragionevole e conforme alla natura, si vede; perchè molto più facilmente si posson trovar le fallacie in un discorso da quelli che lo stiman falso, che da quelli che lo reputan ecc.», proseguendo poi con quello che ora si legge a pag. 327, lin. 27. Nel cod. G, dopo «ora a questa ed ora a quella» seguita: «e ciò par molto ragionevole ecc.» (pag. 327, lin. 25); ma una nota marginale, che dice «vedi nel fine», scritta d’altra mano, rimanda all’ultima carta del fascicolo contenente la presente Lettera, sulla qual carta è scritto, della medesima mano della nota citata, il tratto che non si legge al suo posto. Di questa stessa mano sono sparse nel codice alcune poche correzioni e postille, ed è quella altresì la quale esemplò i codici da noi chiamati con la sigla G della lettera al Castelli e della lettera a Mons. Dini in data 23 marzo 1615.
  162. Nel cod. V il tratto da «Che poi la comun» a «abbino fatto» (pag. 336, lin. 14) è scritto su di un foglio che fu aggiunto più tardi, e da «Anzi, dopo» a «alla Scrittura» (pag. 336, lin. 14-19) manca: cosi che dopo «rassembrano» (pag. 335, lin. 10; vedi ciò che è notato tra le varianti del cod. V a proposito delle lin. 10-11) originariamente nel cod. V continuava : «Oltre che io averei ecc.» (pag. 336, lin. 20).
  163. Il tratto da «Anzi» a «Scrittura» (lin. 19), che manca nel cod. V (cfr. pag. 335, n.1), non si legge neppure nel Casanat. 675 nè nel Corsin. 701; nel cod. G e nell'Ambros. H. 226. Par. Inf. è aggiunto in margine, nel Corsin. 1090 in margine e dall'altra mano; e nel Parig. Fond ital. 212 è scritto nel testo, ma fuori di posto (dopo «contraria», lin. 3).