Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. II)/Libro ottavo - Capo I

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LIBRO OTTAVO.


Progressi e Decadenza dell’Arte presso i Greci e presso i Romani.



Capo I.


Introduzione — Stile antico dell’arte presso i Greci — Monumenti che di esso ci rimangono... sulle monete... e ne’ marmi — Caratteri di questo stile — Imitazione di esso fatta ne’ tempi posteriori — Questo servì di preparativo allo stile sublime.


Introduzione.La storia de’ progressi e della decadenza delle Arti del Disegno presso i Greci non è meno importante per l’essenza dell’arte che le ricerche fatte ne’ Libri precedenti; anzi si verrà con ciò a meglio determinare la giustezza, e a conoscere il pregio de’ vetusti monumenti.

§. 1. Scaligero divise in quattro epoche principali la storia della greca poesia, come Floro la sua storia romana; [p. 89 modifica]e noi potremmo dividere in cinque le epoche della Storia dell’Arte presso i Greci, considerandone cioè il principio, l’incremento, la perfezione, la decadenza, ed il fine; parti che hanno dei rapporto ai cinque atti d’un’opera teatrale. Ma poiché il fine d’una cosa va oltre anche al suo termine, ci contenteremo di considerar questa Storia sotto quattro aspetti soltanto, o quattro stili diversi, successivamente adottati da quegli artisti. L’antico durò sino a Fidia. Questi unitamente ad altri valenti maestri di quell’età portò l’arte alla sua grandezza; onde lo stile di quell’epoca può chiamarsi stile sublime. Da Prassitele sino a Lisippo e ad Apelle acquistò maggior grazia ed eleganza, e può quello chiamarsi lo stile bello. Qualche tempo dopo di questi maestri e delle loro scuole l’arte esercitata da servili imitatori cominciò a decadere; onde chiameremo questo stile d’imitazione, il quale durò sinché l’arte a grado a grado si corruppe e mancò.

Stile antico dell’arte presso i Greci. §. 2. Volendo trattare dell’antico stile, ne esamineremo i principali monumenti rimastici, e potremo con ciò conoscerne le proprietà: vedremo quindi il passaggio da questo stile al sublime.

Monumenti rimastici §. 3. Fra i monumenti, i più antichi e autentici che addur si possano, sono alcune monete, della cui vetustà fanno fede sì l’impronto che l’iscrizione; ed essendo queste coniate nelle stesse città a cui appartengono, si può con franchezza conchiudere che fosse quello lo stato delle arti ... sulle monete... in que’ luoghi e a que’ tempi. L’iscrizione in tali monete va a rovefcio, cioè dalla destra alla sinistra, maniera di scrivere che lungo tempo avanti Erodoto doveva aver cessato d’essere in uso; poiché questo storico 1, per indicare la diversità de’ costumi e delle usanze fra gli Egizj e i Greci, [p. 90 modifica]adduce ad esempio lo scrivere da destra a sinistra che quelli facevano. Non so che altri abbia dianzi fatta quella osservazione, che può molto servire a determinare il tempo, in cui si cangiò presso i Greci la maniera di scrivere; tempo certamente molto anteriore all’olimpiade lxxvii., in cui Erodoto viveva2.

§. 4. Pausania3 altronde narra, che sotto la statua d’Agamennone in Elide (la quale era una delle otto statue lavorate da Onata di altrettanti eroi che chiesero di combattere in duello con Ettore) l’iscrizione andava dalla destra alla sinistra. Or sapendosi che Onata viveva poco prima della spedizione di Serse contro de’ Greci, cioè nell’olimpiade lxxii., e non molto prima di Fidia, si può così a un di presso determinare il tempo in cui quelli cangiarono la maniera di scrivere.

§. 5. Nel novero delle più antiche monete alcune ve n’ha delle città della Magna Grecia, e principalmente di Sibari, di Caulonia, e di Posidonia o Pesto nella Lucania. Le prime non possono certamente essere posteriori all’olimpiade lxxii., in cui Sibari fu da’ Crotoniati distrutta4; e altronde la forma delle lettere colle quali è scritto il nome della città indica tempi molto anteriori5. Il bue su queste monete, come il cervo su quelle di Caulonia, sono molto informi. Sulle monete antichissime di questa città v’è un Giove, e un Nettuno su quelle di Posidonia di [p. 91 modifica]bellissimo impronto bensì, ma in quello stile che generalmente si chiama etrusco. Nettuno tiene il tridente in forma d’una lancia in atto di ferire, ed è ignudo, come pure il Giove summentovato, se non che ha un panno piegato e ravvolto intorno alle braccia6, quali per servirsene di scudo; nella stessa guisa che Giove su una gemma porta la sua egida avvolta intorno al braccio sinistro7. Così in mancanza di scudo armavansi talora il braccio gli antichi nel combattere, siccome narrano Plutarco d’Alcibiade8, e Livio di Tiberio Gracco9. L’impronto di tali monete è incavato da una parte e rilevato dall’altra, come s’è detto al Capo II. del Libro VII.10.

§. 6. Se fosse vero che i Greci soltanto sino all’olimpiade l. avessero adoperata la C in luogo della Γ, sarebbe molto incerto e dubbioso quanto noi dicemmo sin qui dell’antico stile; poiché v’ha delle monete d’un bellissimo conio nelle cui lettere v’è la C per la Γ, e fra le altre potrei addurne ad esempio una delle città di Gela in Sicilia iscritta CEΛAΣ con una biga da una parte, e dall’altra un Minotauro11. Ma siccome gli scrittori12, che [p. 92 modifica]pretendono di fissare all’olimpiade l. il tempo, in cui s’introdusse nel greco alfabeto la Γ, non apportano di quella loro opinione nessun valevole argomento, perciò da tali monete non può ricavarsi motivo di dubbio sull’epoca da noi data all’antico stile13.

§. 7. Meritano d’essere qui rammentate quattro tazze di finissim’oro somiglievoli ai nostri piattellini da caffè, trovate negli antichi sepolcri di Girgenti, ed esistenti ora nel museo di monsignor Lucchesi vescovo di quella città14. Siccome gli ornati di quelle tazze sono in certo modo simili nel lavoro alle mentovate monete, così possiamo conchiudere che sieno lavori della medesima età. Due di quelle tazze hanno intorno all’orlo esterno un fregio di tori, e può tal orlo chiamarsi un lavoro a conio, ben ravvisandosi che è stato fatto con un ponzone inciso in rilievo, con cui si è coniato l’oro per di dentro, affine di fare il rilievo al di fuori. Le altre due tazze hanno intorno all’orlo un fregio a puntine. Per rendere qualche ragione de’ summentovati tori non è necessario di rimontare all’egiziano Api, siccome ha fatto il possessore di tali monumenti15; poiché presso i Greci i tori soleano consecrarsi al Sole, e [p. 93 modifica]tiravano il cocchio di Diana. Possono eziandio questi animali, principalmente fu alcune monete della Magna Grecia, considerarsi come emblemi dell’agricoltura, e forse come tali furono impressi sulle più antiche monete si de’ Greci16, che de’ Romani17.

§. 8. Malgrado i vantaggi che ebbero gli artisti greci per formarsi l’idea della bellezza, questa però non nacque spontaneamente sulle opere loro, come l’oro nel Perù, nè seppero rappresentarla i primi maestri dell’arte, siccome appare dalle più antiche monete siciliane di que’ luoghi stessi, ove in appresso le monete più belle si coniarono. Appoggio a questa mia asserzione sono le antichissime e rare monete di Leonzio, di Messina, di Segeste, e di Siracusa da me esaminate nel museo Stoschiano. Due di quest’ultima città possono vedersi incise in rame alla fine del libro antecedente pag. 87.: la testa è una Proserpina, la quale, come le altre teste delle mentovate monete, è disegnata alla maniera della testa di Pallade sulle più antiche monete ateniesi, e in una statua di questa dea nella villa Albani. Non son belle le forme di nessuna parte, e per conseguenza esser non può bello il complesso del tutto: gli occhi son lunghi e schiacciati; il taglio della bocca tira all’insù; il mento è meschino ed acuto, senza quel tondeggiamento che gli dà grazia; i capelli son messi a piccoli ricci somiglievoli agli acini d’uva, dai quali pur talora ebbero il nome presso i più antichi poeti greci18: per le quali cose sulle teste muliebri dalle sole sembianze non ben si distingue il sesso; e perciò alcune antiche teste muliebri [p. 94 modifica]di bronzo, alquanto maggiori della grandezza naturale nel museo d’Ercolano, sono state prese per figure virili19.

§. 9. Chechè ne sia però, il rovescio di quelle monete può dirli elegante, non solo per la distinta impressione, ma eziandio pel disegno della figura. Ma tanta differenza vi passa tra’l disegnare in piccolo e’l disegnare in grande, che da quello a questo non si può tirare una giusta e sicura conseguenza, essendo molto più facil cosa di ben disegnare una figura intera di circa un pollice che una sola, testa d’egual grandezza20. E’ pure da osservarsi che nelle forme della mentovata testa si ravvisano le proprietà degli stili egiziano ed etrusco, il che serve a confermare quanto ne’ precedenti Libri dicemmo della somiglianza delle figure ne’ primi tempi dell’arte presso i popoli che le fecero fiorire.

...e ne’ marmi. §. 10. Da’ lavori in bronzo passiamo ai marmi. Deggio quì prevenire che nell’apportare esempi di antichi monumenti in prova delle mie asserzioni, di que’ soli mi servirò che ho io stesso avuti sott’occhio ed esaminati; ben sapendo che avviene dei disegni come dei racconti, ai quali ogni bocca per cui passano la qualche aggiunta.

[p. 95 modifica]§. 11. La più antica statua di quello stile sembra e essere la mentovata Pallade di grandezza naturale esistente nella villa Albani, che è stata ultimamente restaurata21. Le sembianze del volto e le forme delle parti sono tali, che se avesse una testa di basalte terrebbesi per un lavoro egiziano. La testa è affatto simile alle mentovate teste muliebri sulle antiche monete greche, e potrebbe pure servire a dar un’idea dello stile etrusco. Egli è pertanto da credersi che i Romani, trasportando nella loro capitale dalla Grecia queste ed altre sì antiche statue, non altro si proponessero, che di fare una compiuta serie de’ monumenti dell’arte greca dal suo principio sino alla perfezione; per il quale motivo anch’io le ho quì nominate.

§. 12. Gli amatori delle antichità giudicano lavoro di quello primo stile un basso-rilievo dei museo Capitolino da me pubblicato22 rappresentante tre Baccanti ed un Fauno coll’epigrafe ΚΑΛΛΙΜΑΧΟΣ ΕΠΟΙΕΙ (Callimaco fece)23. Plinio fa menzione d’un artefice di questo nome detto Κακιζότεχνος24 (biasimatore delle proprie opere), perchè non n’era mai soddisfatto abbastanza; e siccome ha rappresentata in marmo una danza di Spartane, credono alcuni di ravvisarla in questo basso-rilievo25. Ma non combinano i tempi, e n’è altresì dubbia l’iscrizione. Questo lavoro è del più antico stile, almeno secondo l’idea che ne abbiamo, e Callimaco non vivea certamente prima di Fidia, benché Felibien, senz’addurne alcuna prova, lo fissi all’olimpiade lx.26. Pausania non lo mette al paro de’ gran maestri, onde avrebbe a dirsi che in un tempo abbia [p. 96 modifica]vivuto da poterli uguagliare. Egli fu, al dire dello stesso Pausania, quello che introdusse nella scultura l’uso del trapano27, e immaginò il capitello corintio come dice Vitruvio28: altronde veggiamo che il trapano doveva esser già noto all’autore del Laocoonte, che fiorì ne’ più bei tempi dell’arte, come appresso vedremo, e l’ha adoperato ne’ capelli, nella testa, e nelle profonde pieghe del panneggiamento; e Scopa, che è probabilmente l’autore della Niobe, come si dirà parimente a suo luogo, edificò nell’olimpiade xcvi. un tempio con colonne d’ordin corintio29. Dovrebbe per tanto questo Callimaco aver vissuto al tempo de’ più grandi artifti, e prima anche di Scopa, il quale prima fiorì dell’autore del Laocoonte: la qual epoca non si accorda poi coll’ordine, in cui Plinio novera gli artisti. Questo nome altronde se fosse stato scritto ai tempi in cui fu fatto il basso-rilievo, in quella maniera leggerebbesi, ΚΑΛΛΙΜΑΚΗΟΣ30, o come leggesi su un’iscrizione delle ruine d’Amicla31, e non già ΚΑΛΛΙΜΑΧΟΣ; poichè la X fu immaginata da Simonide32 non prima dell’ olimpiade lxxii., e introdotta in uso pubblico soltanto nell’olimpiade xciv.3334. E’ quindi probabile che l’iscrizione siavi stata fatta molto tempo dopo il lavoro [p. 97 modifica]del basso-rilievo da qualche antico impostore, come il nome di Lisippo su una statua d’Ercole a Firenze, che sebbene sia antico, è però posteriore ai tempi in cui fu quella scolpita, come vedremo nel Libro X. Capo I. Aggiungasi che questo baffo-rilievo è stato trovato ad Orta, luogo abitato già dagli Etruschi, il che porge un nuovo argomento per farlo creder opera d’etrusco scarpello, giacché ne ha altronde tutt’i caratteri35; sebbene tanta sia la somiglianza fra l’antichissimo stile de’ Greci e quel degli Etruschi, che il basso-rilievo posta tenersi per greco, come terremmo per opere etrusche alcuni dei mentovati vali dipinti, se non vi si leggessero scritte greche parole36.

Caratteri di questo stile. §. 13. Potremmo dell’antico stile dare indizj più distinti e certi se rimasta ci fosse maggior copia di lavori in marmo e principalmente di bassi-rilievi, nei quali pur si ravvisarebbe la più antica maniera della composizione e dell’espressione37. Se però dalla forte espressione, che si scorge sulle piccole figure delle monete, possiamo conchiudere che altrettanto facessero quegli artisti colle figure grandi, dobbiamo dire che molta e viva azione loro dessero, imitando in qualche modo gli uomini de’ tempi eroici, i quali operando secondo l’impulso naturale, non metteano alcun freno alle loro inclinazioni. Ciò acquisterà ancor maggiore probabilità, ove si faccia il paragone degli antichi monumenti greci cogli etruschi, ai quali si credono somiglianti.

[p. 98 modifica]§. 14. Per ciò che spetta all’esecuzione, è qui da osservarsi che più presto appresero gli artisti a ben ornare che a rappresentare la bellezza; e ne abbiamo un esempio nella mentovata Pallade della villa Albani, in cui basse e volgari sono le sembianze, laddove la veste n’è lavorata coll’ultima finezza. Questo volle forse dir Cicerone, allorché parlando di certe figure d’avorio dell’isola di Malta rappresentanti la Vittoria, dice che antichissime erano, ma con tutta l’arte lavorate38. Sembra essere avvenuto alla scultura ciò che narra Aristotele della tragedia, in cui molto prima s’era perfezionata l’espressione e l’elocuzione, che la traccia e lo scopo.

§. 15. Può farsi quella medesima osservazione pe’ tempi a noi più vicini, ne’ quali i predecessori de’ nostri grandi artisti, comechè assai lontani dal rappresentare il vero bello, pur con grandissima pazienza finivano le opere loro; anzi gli stessi Michelangelo e Raffaello, secondo l’avviso di un poeta inglese39, immaginavano con fuoco, e con flemma eseguivano. Si scorge singolarmente la grande uniformità d’un lavoro finissimo nelle opere di que’ tempi che precederono la cognizione del bello, e nominatamente in diversi depositi lavorati da Sansovino40 e da altri scultori al principio del secolo XVI. Ivi assai mediocri sono le figure, ma gli ornati son tali, che potrebbono servir di modello ai nostri artisti, e stare al confronto degli antichi lavori.

§. 16. Ecco in breve gl’indizj e’l carattere dello stile antico. Il disegno era energico, ma duro, forte, e senza grazia; onde la troppo forte espressione facea torto alla bellezza. Ma siccome l’arte era allora unicamente consacrata agli dei ed agli eroi, le cui lodi, diceva Orazio, su molle e dolce lira cantar non conviene, così per mezzo della [p. 99 modifica]durezza medesima dava alle loro figure una certa grandezza e maestà. Direbbesi che l’arte era dura, come la legislazione di que’ tempi, che ogni leggiero misfatto punìa colla morte41. In questi caratteri dell’antico stile v’ha una degradazione tanto maggiore, quanto che per lunghissimo tratto di tempo esso durò; onde una grandissima differenza si ravvisa tra le opere prime e le ultime, comechè appartengano tutte ad uno stile medesimo.

§. 17. Dovremmo credere che durasse tuttavia quest’antico stile in Grecia anche quando le arti fiorivano, se prestar volessimo una piena fede ad Ateneo42. Narra questo scrittore che il poeta Stesicoro fu il primo a rappresentar Ercole colla pelle di leone, colla clava, e coll’arco; ed Ercole così armato vedesi in molte gemme dello stile antico. Ora Stesicoro, contemporaneo di Simonide, viveva all’olimpiade lxxii.43, cioè nel tempo in cui Serse mosse contro la Grecia; e Fidia, il quale portò l’arte al suo più alto punto di perfezione, sioriva nell’olimpiade lxxxiii.44, vale a dire pochi anni dopo. Converrebbe dunque credere che nello stile antico ancora si lavorasse in Grecia, quando lo stile bello già vi si era introdotto. Ma Strabone riferisce a più antichi tempi la rappresentazione de’ mentovati attributi di Ercole45, facendone inventore Pisandro, coevo d’Eumolpo come voglion taluni, mentre altri vogliono che fiorisse nella xxxiii. olimpiade; ed avverte che le più antiche figure d’Alcide né clava aveano né arco.

Imitazione di esso fatta ne’ tempi posteriori §. 18. Bisogna però essere ben cauto quando giudicare si vuole dell’età d’un antico lavoro; poiché ha talora tutta l’apparenza d’un Antico etrusco o greco ciò che non è forse [p. 100 modifica]se non un’imitazione degli artefici posteriori fatta o per avere de’ modelli delle antiche opere46, o per copiare i simulacri divini dello stile più vetusto, onde conciliar loro una maggiore venerazione; poiché siccome un aspro tuon di voce, al dir d’un vecchio scrittore47, accresce energia e forza al difcorso, così una certa durezza nella figura fa maggiore impressione nello spettatore. Ciò non deve qui intendersi riguardo al solo nudo nelle figure, ma eziandio riguardo ai panneggiamenti, alla capigliatura, ed alla barba.

§. 19, Renderò quest’avvertimento più chiaro coll’esempio di due affatto simili bassi-rilievi della villa Albani, di cui daremo in questo Libro la figura. Ivi tutte le dee fono vestite secondo la più antica maniera etrusca; ma al vedere il tempio disegnato nell’ordine corintio, e al mirare nel fregio espresse delle corse e de’ cocchi, che sono indizio di arte greca, si prenderebbe quel basso-rilievo per un greco lavoro del più antico stile: nè il vestito delle figure disconverrebbe, poichè, come più volte s’è detto, l’antico greco all’etrusco s’assomiglia. Il contrario però inferir si deve dall’ordine delle colonne del tempio, che secondo Vitruvio fu un ritrovato de’ tempi posteriori; onde dobbiamo credere che imitato sia quanto nel basso-rilievo si scorge d’antico stile. Altronde il tempio non è punto fatto a somiglianza degli etruschi, poiché questi non aveano fregio: ed i mutuli del tetto aveano un grande sporto sopra le colonne del portale e sopra i muri della cella, in guisa che lo sporto de’ mutuli era uguale ad un quarto dell’altezza della colonna; e ciò faceasi, affinchè, non avendo la cella un portico all’intorno48, potesse il popolo starvi al coperto dalla [p. 101 modifica]pioggia. Si rende così chiaro un passo di Vitruvio che non era stato ben inteso sinora49.

§. 20. Questa imitazione più chiaramente ancor si ravvisa in una figura a rilievo di Giove son barba più lunga del solito, e coi capelli che gli cadono dinanzi sugli omeri, vestito e ornato alla più antica maniera. Eppure è quello un lavoro del tempo de’ Romani sotto i Cesari, siccome appare dall’iscrizione, IOVI EXSVPERANTISSIMO, e dalla forma medesima delle lettere. Quella iscrizione è stata pubblicata dallo Sponio senza la figura50. Forse col rappresentar Giove sotto questa forma si è creduto di dargli una più rimota origine, e conciliargli così una maggior venerazione. Secondo il più antico stile è vestita la Speranza in una piccola figura della villa Lodovisi, la quale, per quanto rilevasi dalla iscrizione romana51 posta nello zoccolo, è lavoro del secondo secolo de’ Cesari; e somiglievole a quella è la figura della stessa divinità sulle monete degl’Imperatori da me vedute, e particolarmente su una dell’Imperatore Filippo il vecchio52. Così a’ nostri tempi s’imitano i panneggiamenti de’ ritratti fatti alla maniera di Vandick, perchè alla persona che si ritrae, ed al pittore esso riescono più vantaggiosi che i moderni vestiti soverchiamente stretti. Rammenterò a questo proposito due Vittorie di grandezza [p. 102 modifica]naturale esistenti a Sansouci, villa di S. M. Prussiana, che hanno stretti i piedi, e sostengonsi sulle dita; tal positura (la quale a chi non ne intende la significazione, cioè l’atto di volare, sembra sforzata) sarebbe un argomento di rimota antichità, se non si rilevasse il contrario dal nome romano scritto loro fui dorso nelle fasce, che ivi e sul petto s’incrocicchiano. A queste fasce doveano esser legate le ale, che fors’erano di bronzo.

§. 21. Tali sono le preteste teste di Platone, le quali realmente altro non sono che Ermi, fatti ad imitazione delle pietre, a cui imposte furono le prime teste, come s’è detto a principio di questa Storia. Vedesi in esse espressa or con più or con meno d’arte una diversa antichità. Il più pregevole, tra i moltissimi che sono in Roma, è il preteso Platone della Farnesina; ma il più bello passò a’ tempi miei da Roma in Sicilia, e vedesi in Palermo nel collegio che fu de’ Gesuiti. La testa è perfettamente simile a quella d’una statua virile vestita alta nove palmi53, la cui sottoveste è di sottil panno, indicato dalle moltissime e minute pieghe, ed ha un pallio che, passando sotto il braccio destro, va a ricoprire il sinistro appoggiato sul sianco. Nell’orlo di quella parte di manto, che è gittata sulla spalla, leggesi СΑΡΔΑΝΑΠΑΛΛΟС 54. Di questa statua ho parlato a lungo altrove55, e ne ho data la figura56. Allorché fu messa alla luce la statua si fecero in Roma profonde ricerche per indagare chi fosse il [p. 103 modifica]Sardanapalo ivi rappresentato, non potendovisi, a cagione della barba prolissa, ravvisare colui cui la mollezza e la voluttà renderono famoso, e che ogni giorno per effeminatezza faceasi radere la barba. Avendo io trovato che due erano stati i Sardanapali re d’Assiria, de’ quali il primo fu saggio e valoroso, effeminato e molle fu l’altro, potei con molta probabilità asserire che a quello fosse stata eretta la statua. Notisi però che, sebbene si trovasse una figura virile con abiti donneschi, non dovremmo torto inferirne che il molle Sardanapalo siasi voluto ivi rappresentare57; poiché le vesti d’un altro sesso dar si potrebbono con fondamento anche al filosofo Aristippo, a cui cosa indifferente era or da uomo vestirsi or da donna58.

§. 22. Furono date simili sembianze alle teste d’un Bacco indiano, se non che in quelle per le forme più grandiose distingueasi la divinità dalle comuni teste degli Ermi. Una di quelle figure di Bacco è nel palazzo Farnese, ma bellissima fra tutte è quella del signor Cavaceppi. Uno stile ancor più antico si è voluto imitare in una statua muliebre di marmo nero grande al doppio del naturale, nel museo Capitolino, scopertosi nella villa d’Adriano a Tivoli. Ha essa le braccia pendenti, e attaccate al corpo, come la statua d’Arrachione, vincitore ne’ giuochi olimpici dell’olimpiade liv., descrittaci da Pausania59. Che tale statua però sì antica non sia lo dimostra la maniera del lavoro, e si conoscerebbe ancor più chiaramente se avesse la prima sua testa, come erroneamente credè Bottari, il quale perciò ne fece un lungo trattato nel suo museo Capitolino60; ma la [p. 104 modifica]testa n’è moderna e lavorata a capriccio, se non che si è lo scultore studiato di continuare in essa quelle grosse ciocche di capelli, che le si erano in parte conservate sulle spalle. Dopo che fu restaurata la statua se ne trovò la vera testa nella mentovata villa, e fu comprata dal card. di Polignac, nel cui museo di antichità farà anche oggidì6162.

Questo servì di preparativo allo stile sublime. §. 25. Le proprietà del più antico stile fecero strada allo stile sublime; e da quello derivò l’espressione forte e la rigida esattezza, poiché nella durezza medesima de’ più antichi lavori si scorgono i contorni esattamente disegnati, e vi si ravvisa quanto fosse il sapere e l’abilità dell’artista, che tutto sapea mettere sotto lo sguardo. Forse anche in questi ultimi tempi l’arte farebbe giunta alla sua perfezione, se i nostri artisti avessero scrupolosamente seguito Michelangelo, imitandone i contorni esatti e la forte espressione di tutte le parti. Siccome nello studiare la musica, o uno straniero linguaggio, colà i toni, e qui le sillabe e le parole pronunciar si devono con forza e precisione, per giugnere poi a produrre una pura armonia, e la dolcezza e fluidità della pronunciazione acquistare; così nel disegno si giugne ad esprimere la verità e la bellezza delle forme, non già per mezzo di tratti incerti, vaghi, o troppo leggieri, ma bensì pei [p. 105 modifica]contorni robusti e decisi, ancorché un po’ duri. In egual modo nei tempi in cui l’arte s’avanzava a gran passi verso la sua perfezione sollevossi la tragedia per mezzo di uno stile consimile, cioè per quella espressione forte e grandiosa elocuzione, di cui seppe valersi Eschilo, onde dare della dignità ai suoi attori, ed alla verosimiglianza la forza del vero. L’arte oratoria medesima negli scritti di Gorgia, che ne fu l’inventore, aveva un non so che di poetico63.

$. 24. Notisi qui il giudizio d’un ignorante pittore, che volle farsi anche autore e scrittore come du Fresnoy, secondo il quale opere antiche devono chiamarsi quelle che furono fatte tra i tempi d’Alessandro il Grande e quei di Foca64. Egli erra sì nel fissare il principio che nel determinare il fine dell’epoca; poiché noi abbiamo de’ monumenti dell’arte (siccome già vedemmo, e sarà ancor più chiaramente dimostrato in appresso) anteriori ad Alessandro: altronde l’epoca delle arti del disegno finisce prima di Costantino. Egualmente falsa è l’opinione di coloro i quali, col Montfaucon65, credono che non esista più alcun lavoro di greco scarpello, se non de’ tempi ne’ quali i Greci soggiaceano ai Romani.

Note

  1. lib. 1. cap. 36. pag. 120.
  2. Nacque Erodoto sul principio dell’olimpiade lxxiv., e recitò le sue storie nella lxxxi., come osserva Wesselingio nella prefazione alle medesime nella sua edizione, di cui ci serviamo. Veggasi anche appresso libro IX. capo I §. 18.
  3. lib. 5. cap. 26. pag. 444.
  4. Herod. lib. 6. c. 21. pag. 447., [ e lib. 5. cap. 44. pag. 392. Più a lungo ne racconta la storia Diodoro lib. 12. §. 9. e 10. pag. 483. e 484., ove alla linea 53. Wesselingio scrive che fosse distrutta Sibari circa l’anno terzo dell’olimpiade lxvii.
  5. Leggesi in esse [ presso il P. Magnan Miscell. Numism. Tom. I. Tab. 33. YM, e Tab. 35 ] VM in luogo di ΣΥ, e similmente ad una M rassomiglia la Sigma sulle monete di Posidonia [ presso lo stesso Magnan Tomo IV. Tab. 47 - 51.; in altre però Tab. 46. 52. e 53. è un vero Σ. ] La Rho P ha una piccola coda P. Caulonia e scritto in questo modo [ cit. Tom. I. Tab. 12. n. 1.
  6. Vedansi queste monete nella Lucania Numismatica del P. Magnan Tabb. 19 - 26. In esse però il panno non è ravvolto intorno alle braccia, ma gettatovi sopra in maniera che ora attraversa le spalle, ora il petto, e da esse pende a un di presso come all’Apollo del basso-rilievo di cui abbiamo data la figura alla pag 1. del Tomo I. [ Di queste monete una in argento, che noi daremo in appresso, e ne parleremo più a lungo nell’indice delle Tavole in rame nel Tomo iiI., la illustra il signor avvocato Mariotti in due dissertazioni stampate, una in Roma nel 1761., della quale fecero onoratissima menzione l’autore della Biblioteca moderna, ai 4. giugno 1763., ed i Giornalisti di Firenze 3. ottobre 1766; l’altra nell’anno 1764., di cui parla anche l’autore della Istituz. antiq. numism. lib. 1. c. 4. n. 3.; e una terza ne pubblicherà più diffusa; provandovi fra le altre cose, che non solamente le antiche monete italiane incuse, ma eziandio ha le consulari, e imperiali, e dei medio evo se ne trovano di tal sorte incuse non tanto per isbaglio del monetiere, come di tutte lo pretende il P. Jobert Scienza delle medaglie, Tomo I. Instr. 8. pag. 172., seguito da Winkelmann sopra pag. 50. §. 32., ma ancora fatte a bella posta.
  7. Monum. ant. ined. num. 9., Descript. des pierr. grav. du Cab. de Stosch, cl. 2. sect. 3. n. 48. pag. 39. 40.
  8. Alcib. in fine, op. Tom. I. p. 213. C.
  9. lib. 25. cap. 16., V. Scalig. Conject. in Varron. de ling. lat. princ. pag. 8. & 10.
  10. §. 32. pag. 50.
  11. Presso Castelli nella Tavola premessa alla sua opera Siciliæ, & objacent. insul. ec., num. 24., e Paruta Sicilia Numism. Tab. C. num. 3., il quale ne riporta altre nella Tavola stessa num. 10. e 11., e Tab CI. n. 11. e 13. colla stessa iscrizione, e rovescio diverso, e Tab. XCIX. num. 1. e 4.
  12. Reinold. Hist. lit. græc. & lat. pag. 57.
  13. Nelle Tavole del più antico alfabeto greco esposte dai dotti Monaci della congregazione di san Mauro Nouv. traité de dipl. Tom. I. sec. part. sect. 2. chap. 15. pag. 679. pl. X., e da loro esattamente formate su dei monumenti della Grecia, incominciando dall’anno 1200. sino al 400. avanti l’era cristiana, la lettera Gamma vedesi sempre a un di presso come la moderna Γ. Tal forma ha pure nella celebre iscrizione βουστροφηδόν, condotta cioè a guisa di foschi alternativamente dalla destra alla sinistra e dalla sinistra alla destra, scopertasi dall’abate Fourmont, Acad. des Inscript. Tom. XV. Mém. pag. 395. seqq., nelle rovine della città d’Amicla, che si crede il monumento in tal genere il più vetusto, attribuendosegli quasi tre mila anni d’antichità. Non incontrasi questa lettera in forma di C, o di G se non ne’ monumenti di 400. anni prima dell’era volgare, e in altri dal secolo terzo cristiano sino al quintodecimo, iid. ibid. pag. 681. pl. XI. Siegue da ciò essere stata di uso più antico presso i Greci la Gamma in forma di Γ, che non la Gamma formata come un C o un G. [La trovo però somigliante a un di presso a quelle due forme nell’alfabeto ionico dal P. a Bennettis Chronol. & critic. hist. ec. Tom. I. proleg. 1. §. CI. pag. 233. portato sino all’anno 714. avanti l’era cristiana.
  14. Winkelmann nel Tomo I. libro iiI. capo IV. §. z. pag. 221. dice due sole; ma sarà forse per una svista.
  15. Tale è pur l’opinione dell’autore del Viaggio in Sicilia, e nella Magna Grecia descritto in varie lettere dirette al sig. abate Winkelmann, lett. I.
  16. Schol. Aristoph. in Avib. v. 1106.
  17. Plin. lib. 18. cap. 3. sect. 3. [ Plinio in questo luogo, e lib. 33. cap.. sect. 13. dice, che v’era impressa una pecora, da cui le monete furono dette pecunia. Varrone De vita Pop. Rom. lib. 1., e Plutarco in Poplic. oper. Tom. I. pag. 103. B., e Quæst. Rom. n. XLI. Tom. iI. pag. 274. in fine, scrivono, che vi fosse in qualcuna impressa l’effigie del bove, della pecora, e del porco.)
  18. Plutarch. Consol. Apoll., p. 196. [ Non ho trovato ove lo dica.
  19. Come Winkelmann alla pag. 45. qui avanti ha presa per testa d’Apollo la testa di bronzo nella galleria del Collegio romano, che a me, e ad altri pare piuttosto feminile.
  20. Chi sa ben contornare una figura in piccolo, lo saprà anche in grande, dovendosi in amendue i casi camminare sugli stessi principi e seguitar le stesse regole. Ma poichè nelle piccole figure perdonsi molti lineamenti, che hanno luogo nelle grandi, nelle quali in oltre le proporzioni e i rapporti pigliar si debbono in ispazj più estesi, che l’occhio non arriva a comprendere sotto uno sguardo solo, da ciò deriva, a mio avviso, la maggiore difficoltà d’eseguire in grande, che non in ristretto, l’opera medesima. Altre ragioni ancora danno gli artisti; e perciò secondo le regole dell’arte s’insegna a disegnare, e a modellare in grande per poi lavorare in piccolo i non mai all’opposto. Altrimenti si potrebbe dire, che ogni buon miniatore, o cesellatore sapesse dipingere, e scolpire in grande ugualmente, il che non riesce; come più facilmente riesce lavorare anche in piccolo a chi fa lavorare in grande. ] Chechè ne sia però, io non potrò giammai indurmi a credere che la testa di Proserpina nel diritto delle riportate medaglie sia riuscita sì rozza e dura per mancanza di scienza od arte nel suo autore, il quale seppe sì bene eseguire il rovescio. Nel disegnar quella testa avrà egli probabilmente preso il modello di qualche antichissima figura della dea venerata dai Siracusani. Essendo duro e forte l’originale, dura e forte avrà dovuto esserne pur la copia. La stessa ragione può servire a spiegar la differenza, rispetto tal disegno, sensibilissima, che in varie antiche medaglie passa fra l’impronto del diritto e quello del rovescio.
  21. Monum. ant. ined. num. 17.
  22. Mon. ant. ined. a principio del Tratt. Prelim. ec.
  23. Fontanini Ant. Hort. lib. 1. cap. 6., Montf. Anc. expl. Tom. I. par. iI. pl. 174. fig. 1.
  24. lib. 34. cap. 8. sect. 19. §. 34.
  25. Fontan. loc. cit., Lucat. Mus. Capitol. pag. 36.
  26. Hist. des Arch. lib. 1. pag. 18. [ Dice poco dopo l’olimpiade lx.
  27. Paus. lib. 1. cap. 26. pag. 64. lin. 29. seqq. [ Pausania lo dice inferiore di merito ai più grandi artisti; ma che in diligenza non la cedeva ad alcuno, come dicono anche Vitruvio, e Plinio.
  28. Vitr. lib. 4. cap. 1.
  29. Paus. lib. 8. cap. 45. pag. 693.
  30. V. Reinold. Hist. lit. græc. & lat. pag. 9.
  31. Nouv. tratte de dipl. Tom. I. pl. VI. pag. 616. [ Ho portata questa parola nella forma, che ha in quest’opera dei Maurini, diversa molto da quella data da Winkelmann qui, e nel Trattato prelim. ai Monum. ant. capo IV. pag. LXIII.
  32. Mar. Victorin. De arte gramm. lib. 1. pag. 2459; col. 1.
  33. Vedi appresso lib. IX. capo I. §. 18.
  34. Se Callimaco avesse vissuto in que’ rimoti tempi, ne’ quali da alcuni si fissa la sua epoca, avrebbe potuto benissimo essere scritto il suo nome colla X. Quantunque non iscorgasi quella lettera nella citata antichissima iscrizione, monumento di quasi tremila anni, come già si è detto not. 1. p. 02. dove il nome d’un Callimaco è scritto nella maniera qui disegnata da Winkelmann; ciò non ostante incontrasi la stessa lettera X in tre altre iscrizioni di sette e più secoli anteriori all’era suddetta, le quali scoperte furono dall’abate Fourmont, e pubblicate nell’istoria della real Accademia delle iscrizioni di Parigi Tom. XVI. p. 10. seqq. [ Il che conferma l’opinione di quelli, che presso Plinio lib. 7. cap. 56. sect. 57., la volevano introdotta da Palamede ai tempi della guerra di Troja.
  35. Fontanini loc. cit. scrive che stava colà nella villa Nuzzi; e può esservi stato trasportato in questi ultimi secoli, o ne’ tempi antichi. Se fosse stato lavoro etrusco sarebbe probabile, che gli stessi Etruschi lo avessero voluto attribuire ai Greci? Le ragioni di Winkelmann non provano molto; onde considerando bene che il soggetto del marmo combina con quello, di cui parla Plinio; che il tempo ha deteriorato il lavoro non poco; e che non si può provare in qual epoca precisamente abbia vivuto Callimaco, non mi pare improbabile che sia di lui opera, come crede anche Foggini Muf Capic. Tom. IV. Tav. 43., ove lo dà in rame; o che sia almeno una copia antica.
  36. Vegg. Tom. I. pag. 217.
  37. Merita tutta l’attenzione dei conoscitori una testa di filosofo in marmo bianco trovata negli scavi di Tivoli, ove erano le delizie de’ Pisoni, ed ora posseduta dal signor cavaliere de Azara, che crede possa ravvisarvisi Ferecide. Ella è certamente della più antica maniera. Ne daremo la figura in appresso, e ne riparleremo nell’indice delle Tavole in rame nel Terzo Tomo.
  38. in Verr. act. 2. lib. 4. cap. 46.
  39. Roscomm. Essay on Poetry.
  40. Nella chiesa di santa Maria del Popolo in Roma.
  41. Thucyd. lib. 3. cap. 45. pag. 195.
  42. Deipnos. lib. 12. cap. 1. p. 512. in fine. Couf. Descript. des pierr. grav. du Cab. de Stosch, cl. 2. sect. 16. n. 1718. pag. 275.
  43. Bentley’s Dissert. up. Phalar. pag. 36.
  44. Plinio lib. 34. cap. 8. sect. 19., ovvero lxxxiv. secondo la lezione di Arduino.
  45. Geogr. lib. 15. pag. 1009. B. Tom. iI.
  46. Costantin. Porphyrogen. Excerpta ex Nicol. Damasc. pag. 514. v. Τελχῖνες.
  47. Demetr. Phal. De eloc. §. CV.
  48. Non può dirsi che gli Etruschi non avessero il portico intorno a’ tempj, ed alle celle de’ medesimi, quando anzi ne furono essi gl’inventori, come si dimostra a lungo dal più volte lodato P. Paoli nelle sue Antichità di Pesto alla Dissertazione terza.
  49. Vitruv. lib 4. cap. 7. Supra trabes & supra parietes trajecturæ mutulorum quarta parte alitudinis columnæ projiciantur. [ L’Autore confonde qui i costumi antichi. Gli Etruschi ne’ tempi più remoti usarono uno sporto grande oltre i muri per starvi al coperto. Quello sporto dette origine alle colonne, che essi medesimi aggiunsero per reggere lo sporto troppo grande, e ne nacquero i portici. Sopra di questi seguitò la gronda ad esser portata in fuora la quarta parte dell’altezza d’una colonna, come dice Vitruvio; ma questa quarta parte non era esorbitante, perchè non eccedeva un diametro. Si vegga il P. Paoli loc. cit., ove in nuova maniera illustra tutto il detto capo di Vitruvio, che non è staro sinora capito, e da taluno anche è stato emendato senza fondamento.
  50. Miscell. erud. antiquit. sect. 4. princ. pag. 71. V. Descript. des pierr. grav. du Cab. de Stosch, cl. 2. sect. 3. n. 79. pag. 46.
  51. L’iscrizione da me per la prima volta pubblicata nella Descript. des pierr. grav. du Cab. de Stosch, cl. 2. sect. 17. n. 1832. p. 302. è la seguente:

    Q. AQVILIVS. DIONYSIVS. ET.
    NONIA. FAVSTINA. SPEM. RES
    TITVERVNT.

  52. Pedrusi I Ces. in. metallo, Tom. VI. Tav. 6. n. 5. 6. e 8. Il disegno n’è scorretto.
  53. Questa statua fu disotterrata nel 1761. presso Frascati colle quattro mentovate Cariatidi. [ Ora è nel Museo Pio-Clementino. Ne dà la figura un poco meglio disegnata, e incisa, il signor Cavaceppi, che prima ne era il possessore, nella sua Raccolta di ant. statue, ec. Tom. iiI. Tavola 27.; e nella Tav. 28. dà la figura delle Cariatidi possedute anche da lui prima che andassero alla villa Albani, come abbiamo notato nel Tomo antecedente pag. 411. not. a.
  54. La Λ trovasi qui raddoppiata, come nella voce ΠΟΛΛΙΣ in luogo di ΠΟΛΙΣ, su una moneta in bronzo della città di Magnesia. Così talora si trova scritto Κύβελλα in vece di Κυβέλης Cibele, e Petilla in luogo di Petelia, citta della Lucania.
  55. Monum. antichi ined. Par. iiI. cap. 1. pag. 219. 220.
  56. ibid. num. 163.
  57. Ha questa statua qualche somiglianza colla figura creduta di Trimalcione, di cui si è parlato nel Tomo I. pag. 293. §. 8.
  58. Sext. Empyr. Pyrrh. hyp. lib. 1. cap. 14. [ Dice che stimava indifferente cosa che l'uomo si vesta da donna; e lib. 3. cap. 24. che accettò una veste feminile, che gli esibì il re Dionisio di Sicilia. Vedi anche sopra Tomo I. pag. 40. not. b.
  59. lib. 8. cap. 40. p. 682. [Vedi Tomo I. pag. 12. princ.
  60. Tomo iiI. Tav. 81.
  61. Ora in possesso di sua Maestà Prussiana.
  62. Quanto dicemmo in altra nota pag. 98. rispetto alle medaglie, nel di cui diritto si ravvisa uno stile diverso da quello del rovescio, si può adattar ancora ai bassi-rilievi e ad altri lavori rappresentanti divinità o eroi, dove un più recente stile vedesi accoppiato con uno più antico. Era il primo d’invenzione dell’artista, dal quale perciò formar si deve il giudizio non meno della sua capacità, che del tempo in cui fu eseguita l’opera. Era l’altro di semplice imitazione, in cui non essendo egli libero, ci vien tolto quindi il mezzo di giudicar della sua abilità e di determinarne il tempo. Se la figura di quella divinità o di quell’eroe, che avea egli a riprorre, fosse stata di stile antico e duro, dovea altresì eseguire la copia collo stile medesimo; come appunto farebbe oggidì qualunque eccellente dipintore che avesse a copiare una di quelle rozze divote immagini de’ bassi tempi. Siffatte copie o imitazioni non sono state sì rare presso gli antichi: la perfetta rassomiglianza che scorgesi in diversi lavori di tal forte, sottratti dalle ingiurie de’ tempi, ne sono una prova. [ E fra i tanti può nominarsi il basso-rilievo della villa Albani, di cui si è parlato dall’Autore sopra nel §. 19. p. 100. Ve ne sono tre istessi in quella villa. ] Un solo occhio fino di perito conoscitore può discernere fra questi, quando manchino gli altri contrassegni, quale sia l’originale, e quale la copia.
  63. Arist. Rhet. lib. 3. c. 1. [ Vedi appresso lib. IX. capo I. §. 18.
  64. Des Piles Remarques sur l’art de la peint. de du Fresnoy, pag. 105.
  65. Ant. expl. Tom. iiI. liv. 1. c. 1. num. 5. [ Dice che pochi monumenti di quelli esistono in paragone degli altri fatti appresso.