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Alcuni opuscoli filosofici/Discorso sopra la vista

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Discorso sopra la vista

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Lettera a Monsignore Giovanni Ciampoli Lettera a Monsignore Giovanni Ciampoli

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DISCORSO


F
U dunque proposto da me con certa occasione un modo col quale uno, che avesse quel difetto nell’organo della vista, il quale fà compartire gli oggetti tanto confusi, come a dire annebbiati, che non si può leggere senza l’aiuto de gli occhiali convessi (accidente solito intravenire alla maggior parte di quegli, che passano quaranta, ò quarantacinque anni in circa) questo tale potesse assai comodamente leggere senza l’uso delli detti occhiali, & il modo fù questo. Presi un poco di carta ordinaria da scrivere di larghezza per ogni verso di tre dita in circa, ed avendole fatto nel mezzo un picciol foro della grandezza della presente figura, feci applicare [p. 5 modifica]all’occhio la detta carta, in modo, che l’occhio vedesse gli oggetti, ed in particolare i caratteri d’una scrittura per lo detto foro, e così tutti quelli, che si trovarono presenti esperimentarono, che con questo assai facile artificio si leggeva comodamente la detta scrittura, ed in somma senza cointroversia fù da tutti concesso, che la vista si faceva assai più terminata, e netta co ’l beneficio del foro, che con l’occhio libero; e soggiunsi di più, che se quella carta fosse stata tinta di nero da quella parte, ch’era rivoltata verso l’occhio l’effetto sarebbe ancora riuscito in maggior vantaggio. Ammessa l’esperienza per vera, si cominciò a discorrer della cagione di tal’effetto, e fù detto da uno di quei Signori, che ciò avveniva per la unione de’ raggi, quasi che i raggi, che si partono dall’occhio nostro verso l’oggetto, ò vero i raggi dell’oggetto all’occhio, si unissero in quel foro, e così in maggior forza operassero a fare la vista. Io veramente non intesi tal’unione di raggi, ò fossero dell’oggetto nel foro entrando all’occhio, ò fossero dell’occhio al medesimo foro per ritrovare gli oggetti, e però dissi che averei più tosto stimato, che quella carta proibisse l’ingresso nell’occhio a molti raggi, e lumi, i quali non facevano a proposito, per così dire, per dipinger l’oggetto nell’occhio nostro, per modo, che in questa operazione, si veniva a fare più tosto una separazione de’ raggi, e non unione; e dichiarai il mio pensiero con una esperienza assai curiosa, ancorche non fusse per giugnere totalmente nuova a quei Signori, la quale fù questa. Che se fussero [p. 6 modifica]serrate bene le finestre di una stanza in modo che restasse totalmente priva di lume, e poi fusse aperto un picciol foro in una finestra di diametro quanto fusse la seguente linea — — — in circa, e venisse posto sopra il foro un cristallo lenticolare, cioè uno di quei cristalli, che si adoprano a’ cannocchiali del Sig. Galileo, esponendosi dentro la camera un foglio di carta bianca in tanta lontananza dal cristallo, quanto fusse la lunghezza di quel cannone, che riceve l’istesso cristallo, si vedrebbono maravigliosamente dipinti in detta carta gli oggetti opposti alla finestra, ed al foro, distintissimi, e terminatissimi co’ colori stessi lor propri, ma tutti voltati à rovescio, cioè le parti alte de gli oggetti reali, che sono fuora della finestra verrebbono rappresentate dentro la stanza nelle parti basse della carta, e le parti basse de i medesimi oggetti reali apparirebbono nelle parti alte della carta, e così le sinistre, destre, e le destre, sinistre. E perche alcuni di quei Signori non avevano mai osservata questa cosa, vollero vedere in fatti tutto quello, che aveva narrato in voce, come seguì con maraviglia loro, e con gusto straordinario. Di più applicando noi al foro diversi vetri più, e meno colmi, ritrovammo, che le immagini si facevano sopra la carta in varie distanze dal vetro, e dal cristallo, si che quando i cristalli erano assai convessi le immagini si stampavano assai distinte sopra la carta collocata un poco lontana dal cristallo, e quando i cristalli erano meno convessi, allora le immagini si facevano distinte in maggior lontananza, in modo [p. 7 modifica]tale, che se v. g. le immagini fussero apparite nella carta distinte in una lontananza dal cristallo di due palmi, in tal caso, se la carta fusse stata avvicinata, ò vero allontanata dal cristallo, subito quelle immagini apparivano offuscate, confuse, ed annebbiate. In oltre trovammo coll’esperienza, che se quel foro fosse stato notabilmente allargato, pure ne seguiva la confusione, & annebbiamento delle immagini, e se fosse stato molto ristretto, que’ simulacri apparivano assai oscurati: Fù ancora osservato, che quando gli oggetti erano poco lontani dalla finestra, come sarebbe dentro lo spazio di sei, ò sette canne, allora era necessario dentro la stanza allontanare alquanto la carta dal cristallo, acciò le immagini comparissero ben distinte, e terminate; ma quando gli oggetti di fuori fussero notabilmente lontani dal foro, allora si doveva approssimare la carta per vedere le immagini loro distinte; e con più esatta osservazione si vedde, che quell’immagini apparenti sopra la carta, non apparivano nella carta tutte egualmente pulite, e nette; ma quelle, che apparivano intorno al punto, che terminava l’arco della lente erano terminatissime, e distintissime, e dell’altre quelle, che di mano in mano si ritrovavano più lontane dal medesimo punto, venivano a perdere di quella chiarezza. Inchinando poi la lente or verso una parte, or verso l’altra, surgevano altri, & altri oggetti distinti, e quelli, che prima apparivano distinti rendevano le loro immagini sopra la carta più confuse. Intorno a tutti questi particolari fù discorso assai, e quei [p. 8 modifica]Signori mostrarono di restare sodisfatti, e capaci di questo effetto: Allora fermando io tutto il discorso conclusi di comun consenso, ch’ogni volta, che si trovasse una stanza ripiena di qualche mezzo trasparente serrata intorno intorno, e con un solo foro, e che sopra quel foro fusse posto una lente di vetro, ò cristallo, ò diamante, ò vero d’altra materia trasparente, di necessità sarebbono stampate, per così dire, dentro la stanza in una proporzionata distanza le immagini di tutti gli oggetti, che fussero opposti di fuori per linee dirette al foro, & alla lente cristallina con le circostanze notate di sopra. Stabilita questa conclusione, soggiunsi. Signori, quello, che fin quì abbiamo osservato, è come un niente in comparazione di quanto possiamo più altamente filosofare. Le cose dette sono intorno a cose grosse maneggiate, e fabbricate dalle vostre mani, e da gli ingegni umani, quello che segue è opera della natura, ch’è quanto a dire di Dio stesso, sovrano, e perfettissimo artefice. Noi possiamo fare di queste machine, ma, come s’è detto, imperfettissimamente, e grossamente, come sarebbe a dire, stanze di mattoni, sassi freddi, & insensati, carta morta, cristalli, e vetri malamente lavorati, &c. Ma la natura opera più altamente, e con inesplicabile perfezione, & esquisitezza. Io dunque dico, che la fabbrica, e costruzzione degli occhi de gli animali viventi, e sensitivi, è fatta a similitudine di queste nostre stanze, delle quali fin quì abbiamo trattato, ma con la differenza delle nostre a quelle della natura, che è tra artefice, ed artefice tra la [p. 9 modifica]morte, e la vita. E considero con la debolezza dell’ingegno mio nella costruzzione dell’occhio nostro, prima quella cella, e quel ricettacolo dell’occhio, che contiene l’umore detto da’ Notomisti vitreo, serrato intorno intorno, il quale ricettacolo corrisponde alla nostra stanza di sopra considerata. Abbiamo la pupilla, che corrisponde al foro nostro della finestra; sopra della pupilla si ritrova l’umore cristallino, che ha la forma della lente, e fà l’uffizio, che faceva la lente cristallina, sopra il foro della finestra. (Lascio di considerare alcune tuniche, e muscoli, e nervi, e cartilagini, e tendini, e vene, le quali servono per lo movimento dell’occhio, e delle sue parti, e per conservatione di tutto l’organo) solo si dee notare il sito della tunica retina, la quale corrisponde alla carta, che si adopera nella nostra stanza, sopra della qual tunica si fanno l’immagini de gli oggetti, che sono fuori dell’occhio con tutte quelle circostanze, accidenti, e condizzioni, con le quali si fanno ancora le immagini dentro delle nostre di sopra mentovate stanze, il che anderemo a parte a parte dichiarando, e rincontrando. E prima l’immagini dentro dell’occhio nostro saranno disegnate, e dipinte capovoltate, cioe le parti alte degli oggetti di fuori verranno disegnate nelle parti basse, & inferiori della tunica retina, e le basse de gli oggetti di fuori verranno disegnate nelle parti alte della medesima, e così le parti destre de gli oggetti corrisponderanno alla sinistra, e le sinistre alla destra, e col ferire che fanno i lumi varij de gli oggetti la tunica retina in [p. 10 modifica]varie sue parti, si verrà a far la sensazione della vista piu, o meno distinta, secondo, che le dette immagini saranno piu, o meno distintamente sopra la medesima tunica rappresentate. Che tutto poi fosse verissimo, lo provai coll’esperienza, facendo a tutti quelli, che si trovarono presenti affissare gli occhi in una finestra invetriata illuminata chiaramente dal Sole con questa cautela, che non andassero vagando con l’occhio per la finestra, ma fissando la vista in un determinato segno di un di quei vetri, tenessero fermo l’occhio tanto spazio di tempo, che uno dicesse v. g. il Salmo, Miserere. Ora fatto questo, feci, che tutti quelli, che avevano fatta l’operazione, chiudessero gli occhi, & interrogandoli io, che cosa vedessero tenendo così gli occhi chiusi, tutti risposero, che vedevano la medesima finestra co’ vetri distinti l’uno dall’altro da’ piombi con altre particolari minuzie, e quello, che giunse maraviglioso à tutti, fù, il vedersi comparire la finestra di varissimi colori dipinta, ora gialli, ora verdi, ora rossi, ora pavonazzi, e poi svanire, e di nuovo tornare ad apparire, e di nuovo dileguarsi. Di piu accrebbe la maraviglia in tutti, che havendo fatto replicare a occhi aperti la medesima osservazione, e poi facendo rivoltare gli occhi aperti, ora in una parte, ora in un’altra del muro bianco, per tutto da tutti si vedeva l’immagine dell’istessa finestra con quest’altra aggiunta di maraviglia di piu, che guardando un muro piu lontano dall’occhio loro, che non era la finestra vedevano l’immagine della finestra maggiore, che non era la [p. 11 modifica]finestra reale, e guardando il muro piu, e piu da vicino l’immagine della stessa finestra appariva minore, e minore in modo tale, che guardando un foglio di carta bianco posto lontano dall’occhio tre palmi in circa la medesima immagine compariva sopra la carta molto piccola. Dalle quali cose non mi fù difficile persuader a tutti, che non era vero altrimenti, che l’immagine di quella finestra andasse vagando per tutti quei muri, e siti, dove si si vedeva, mà esser rimasa stampata, per così dire, dentro dell’occhio di ciascheduno sopra la tunica retina nel medesimo modo per appunto, che si fanno l’immagini dentro le nostre stanze, come fù notato di sopra. Stanti tutte le sudette cose possiamo render la ragione di diversi problemi; ed accidenti, che occorrono intorno al senso dell’occhio, e prima noteremo

Primo, che la vista verrà a farsi malamente, ed alle volte sarà totalmente impedita per diverse cagioni, una delle quali è, quando sopra la parte esteriore dell’occhio cadesse, ò si generasse, qualche pannicolo, ò altro impedimento, ch’impedisse, che i lumi, che da gli oggetti all’occhio vengono riflessi non potessero entrare dentro dell’occhio, ed in tal caso è necessario, che da prattico, e perito Cerusico sia levato quel tal panno, come à nostri giorni opera felicemente il Signor Giovanni Trullo, overo con acque, liquori, polveri, ò impiastri venga consumato quel panno, e di questa tale infermità non posso trattare, ne discorrere, se non con sentimento di acerbissimo dolore avendo ella percosso à giorni nostri il più nobil’ occhio, [p. 12 modifica]che abbia mai fabbricato la natura. Io dico l’occhio del Signor Galileo Galilei primo Filosofo del Serenissimo Gran Duca di Toscana, occhio tanto privilegiato, e di tanto alte prerogative dotato, che si può dire, e con verità, ch’egli abbia visto piu egli solo, che tutti gli occhi insieme degli uomini passati, ed abbia aperti quelli de’ futuri, essendo toccato in gran sorte a lui solo, fare tutti gli scoprimenti celesti ammirandi a’ secoli futuri nella via lattea, nelle stelle nebulose, ne’ Pianeti Medicei, in Saturno, in Giove, in Marte, in Venere, nella Luna, e nel Sole stesso, e però è degno d’esser eternamente conservato, com’una preziosa gemma, e tanto più, quanto ch’egli è stato ministro di quel suo maraviglioso intelletto eccitando a filosofare così altamente delle cose, ond’egli ha trapassato tutti gl’ingegni umani, i quali fin qui si sono intrigati à penetrare i più reconditi segreti della Natura; perdita veramente perniziosissima, e deploranda con lagrime universali di tutti gli occhi umani, ed in particolare dei legittimi investigatori della verità.

Secondo, può essere, che ò per l’età provetta, ò per altro accidente si sia consumata, e scemata parte dell’umor vitreo, & in tal caso, la tunica retina, sopra della quale vengono impresse l’immagini degli oggetti, sarà troppo avvicinata all’umor cristallino, e però l’immagini si faranno confuse, ed annebbiate, al qual difetto si rimedia coll’uso degli occhiali convessi piu, o meno colmi, secondo, che tale accostamento sarà maggiore, o minore.

[p. 13 modifica]Terzo, può essere, che l’umor vitreo sia cresciuto più di quello, che ricerca la convessità della lente cristallina, e perciò la tunica retina si sia troppo allontanata dalla suddetta lente, onde faccia l’immagini confuse, al che vien soccorso con adoperare gli occhiali concavi piu, o meno, secondo che la detta distanza sarà maggiore, o minore.

Quarto, accaderà, che la stanza dell’umor vitreo, o del cristallino si sia per qualche cagione intorbidata, ed abbia perduto della sua trasparenza, nel qual caso alcuni Medici Fisici assai prontamente, per non dire forse temerariamente, ricorrono à medicamenti purganti, ed al cavare del Sangue, ed altri rimedij, da’ quali ben spesso il povero infermo, in luogo di ricevere sollevamento, viene acciecato del tutto, ed io se avessi da consigliare in simil caso, consiglierei piu tosto, che si astenesse da ogni sorta di medicina, ch’esporsi a pericolo di perder totalmente la vista, ò guastando la complessione perdere ancora la vita stessa.

Quinto, intravverrà alcuna volta, che la pupilla dell’occhio sarà troppo allargata, e però entrerà nell’occhio soverchia luce, la quale confonderà, ed annebbierà l’immagini; ed a simil disordine, io son molto ben sicuro, che si rimedia applicando sopra l’occhio una falda di taffettà nero, ò altra materia opaca, e non trasparente con quel picciol foro, che si disse nel principio di questo ragionamento, e traguardando per lo detto foro gli oggetti compariranno assai terminati, e di ciò n’ho fatte [p. 14 modifica]molte esperienze, e tutte mi sono riuscite felicemente.

Abbiamo nel sesto la ragione, perche quando noi voltiamo l’occhio fissamente in qualche oggetto per vederlo, quello si vede molto bene, e distintamente, mà gli altri oggetti adiacenti si veggono con qualche confusione, la quale è di mano in mano maggiore, quanto più quegli oggetti sono lontani da quel primo, nel quale abbiamo affissato la vista, il che accade, perchè le pitture dentro dell’occhio, dove corrisponde l’asse dell’occhio si fanno distinte, e l’altre appariscono con maggior confusione, secondo che son più lontane dal medesimo asse, come fù avvertito di sopra nell’immagini apparenti dentro d’una stanza.

Settimo, Dalle medesime cose ben’osservate si vede chiara la ragione di quella apparenza, che si fa nell’occhio nostro, movendovi una mano, overo movendo con una mano un bastone, ò altra cosa con notabil velocità, conciosiacosache noi non vediamo allora la semplice mano, ò quel semplice bastone, ma vediamo come una continuata mano, ò bastone disteso per tutto quello intervallo, pe ’l quale si fà il movimento; e la ragione è perche movendo io v. g. la mia mano destra verso la sinistra, si và imprimendo nell’occhio mio, cioè sopra la tunica retina, l’immagine della mano in tutti quei siti, che sono dentro l’occhio tra la sinistra, e la destra, la quale immagine non così presto si dilegua, ma si conserva per un poco di tempo in modo tale, che la mano cammina dalla destra verso la sinistra, e ritorna [p. 15 modifica]alla destra avanti, che siano dileguate le prime, e l’intermedie immagini, & in tal modo vediamo la continuazione di quell’oggetto.

Ottavo. E con similissima dottrina vederemo nell’ottavo luogo la ragione d’un’altra apparenza stravagante, la quale è che bene spesso le lucertole, e le serpi si vedono vibrare dalla bocca loro tre lingue, e se poi ’l medesimo animale sarà morto, e contemplata bene la cosa, si troverà, che quell’animale ha una lingua sola. Mà perche la vibra, e caccia fuora, e la ritira in tre siti della sua bocca, cioe dalle bande, e nel mezzo, e quello fà con tanta velocità, e prestezza, che avanti che siano dileguate, e distinte le prime due immagini della lingua stampate nell’occhio nostro sopra l’uvea sopragiugne la terza, però non una, ma tre lingue appariscono.

Parimente per nono quesito, quando di notte tempo si vedono quelle stelle cadenti, le quali alla nostra vista rappresentano una lunga striscia di fuoco distesa per l’aria, direi che non è vero totalmente, che in quel tempo, che si vede quella striscia si trovi veramente, e realmente fuori dell’occhio nostro una fiamma di fuoco disteso, come ci appare, ma si bene avendo preso fuoco prima una parte, e poi l’altra di quella materia, venga impressa nel nostr’occhio prima un’immagine, e poi successivamente altre, ed altre, e così ci apparisca quella lunga tirata di fuoco; o veramente si puo dire co’ nostri fondamenti, che movendosi quel primo fuoco con gran velocità vada imprimendo continuamente nell’occhio la [p. 16 modifica]sua immagine nel medesimo modo, che si è dichiarato di sopra al settimo quesito.

Decimo. Bella osservazione ancora a questo proposito mi sovviene d’aver fatta molte volte, quando casca la pioggia senza che faccia vento da parte alcuna, nel qual caso le gocciole dell’acqua cadente vengono a cascare per linea perpendicolare alla superficie della terra, e perche quelle gocciole nel cascare fanno l’immagini loro nel medesimo modo detto di sopra al settimo quesito, cioe non terminate da quel semplice globettino, ma ci vengono a dipingere nell’occhio nostro certi filamenti, i quali ci appariscono come pendenti in aria; di qui è, che se noi staremo a vedere fermi guardando la pioggia, vederemo tutti quei filetti, ò filamenti ad angoli retti alla superficie terrena, ma se cominceremo à caminare trasversalmente à quella veduta, subito vederemo tutti quei filamenti medesimi inclinati, e non fare altrimenti angoli retti in terra, anzi appariranno giusto, come se quelle gocciole cadenti fussero trasportate da un gagliardo vento, che spirasse contro di noi dalla parte verso la quale camminiamo. E se poi torneremo indietro, movendosi alle parti contrarie di prima, subito si vederanno quelle inclinazioni mutarsi tutte in un tratto, come se in quell’istante si fusse rivoltato vento contrario, il quale effetto pure depende dalla medesima ragione, come facilmente ogn’uno puo da se medesimo comprendere.

Undecimo. Ora per poter risolvere altri più reconditi [p. 17 modifica]dubbi pure intorno alla vista è necessario ritornare a piu sottile, e diligente contemplazione dell’organo della medesima vista. Per tanto considero, che essendo il lume potente a muovere le parti componenti que’ corpi, sopra à quali egli percuote, può conturbarli dalla lor primitiva costituzione, come si vede in esperienza, e per quello che io ho avvertito in altro discorso intorno al nero, al bianco, ed al lume. E perche questo movimento di parti si và facendo piu, o meno cospicuo, secondo che i lumi saranno piu, o meno vivaci, e secondo che i corpi, ne’ quali batte il lume saranno piu, o meno nobili, e fatti di costruzzione piu, o meno dilicata, di qui è che essendo la tunica retina dilicatissima, e nobilissima, qualsivoglia ancorche debolissimo lume, che la percuota, sarà potente a commover le sue parti, e trasferirle in diversa costituzione dalla sua prima, e naturale. In tal modo crederei, che essendosi sparsa sopra la tunica retina l’immagine di qualche oggetto, di necessità in varie parti della detta tunica venissero dispensati varij lumi di diversissime forze, cioe piu, o meno vividi, e per tanto si dovesse fare la conturbazione, e movimento delle sue parti in diversissimi modi. Tal conturbazione però non subito, & in instanti, ancorche sia rimosso l’oggetto di fuori, che ribatteva ’l lume nell’occhio può ritornare alla sua prima costituzione, ma spende qualche tempo nel restituirsi.

Dalle quali cose abbiamo una piu chiara confermazione [p. 18 modifica], & esplicazione di quanto si è detto nel settimo, ottavo, nono, e decimo, quesito.

Di piu nel dodicesimo luogo abbiamo la ragione d’un’accidente, che si osserva nel contemplare la Luna nuova di tre, o quattro giorni, il quale accidente è, che quella parte della Luna, che ci si mostra con sembianza di risplendenti corna ci apparisce terminata da una circonferenza di cerchio maggiore notabilmente, che quella rimanente, che non è ancora tocca da i raggi del Sole, la qual rimanente mostra di essere terminata da circonferenza di cerchio notabilmente minore della circonferenza delle corna
risplendenti, come si vede nella qui posta figura. Dove noi possiamo dire, che facendosi dentro dell’occhio l’immagine della Luna, que’ lumi vividi, che dipingono le corna, non solo conturbano quella parte della retina, che precisamente feriscono, ma perturbano ancora le adiacenti, e contigue intorno intorno alle corna, e però la figura delle corna apparisce maggiore della figura della parte oscura.

E così nel tredicesimo luogo potremo assegnare ragione chiarissima, per la quale vediamo le stelle, e gli altri lumi nostri terreni di notte tempo inghirlandarsi, e [p. 19 modifica]coronarsi di splendenti crini tanto grandi, che con quell’aggiunta ci appariscono venti, e trenta volte di maggior diametro, di quello ci apparirebbono, se venissero a terminare la nostra vista col nudo corpuscolo loro; il che non nasce da altro, che da quella conturbazione, che fanno i lumi pieni dell’oggetto lucido nell’occhio sopra la tunica retina, i quali non solo conturbano le parti della medesima retina a loro contigue, adiacenti, e circonfuse, e così ci fanno apparire l’oggetto maggiore di quello, che apparire dovrebbe, della qual materia il Signor Mario Guiducci nobil Fiorentino aveva vent’anni sono in circa, trattato contro di quelli, che non intendendo bene queste cose introducevano diverse debolezze, e vanissimi discorsi sopra l’ingrandimento, che fa il Telescopio adoprato intorno alle stelle; e questo fece in due sue lezzioni delle Comete, opera eruditissima, e frutto veramente nobile, e proprio di quel lucidissimo intelletto.

XIV. Intorno al sopradetto particolare è degno d’essere avvertito, che se noi con perfettissimo telescopio osserveremo la Luna in simil constituzione poco avanti, e poco dopo la congiunzione col Sole, e faremo diligente riflessione all’apparente grandezza della circonferenza delle lucide corna, e della circonferenza della porzione rimanente non ancora illuminata dal Sole, le ritroveremo uguali, anzi per dir meglio, una circonferenza medesima d’uno stesso cerchio, il che non depende da altro, se non che il telescopio smorzando [p. 20 modifica]quella gran vivezza di lume spoglia prima le corna lucide da quella avventizia capellatura di splendori lucenti, e poi ingrandisce la sua pura immagine con la medesima proporzione, con la quale augumenta anche la rimanente non ancora illuminata, & in cotal guisa ci appariscono eguali.

Per lo quindicesimo problema, non voglio assegnar la ragione perch’intravenga, che quando noi ci partiamo da qualche luogo aperto, e dallo splendor del Sole lucidissimo vivamente illustrato, e ci ritroviamo in una stanza debolmente illuminata, non così subito possiamo distinguere con la vista gli oggetti in quella collocati, essendo la soluzione di tal quesito tanto facile, che non hà bisogno d’essere accennata.

XVI. Qui non vorrei passar troppo innanzi, ed ingolfarmi in alto pelago, aggiugnendo un certo mio pensiero intorno a’ colori, e la loro esistenza: Ma siami lecito accennarlo solamente sottomettendolo al giudizio di quei filosofi, che vanno cercando la verità, non ne’ libri di carta, ma nella Natura stessa, vero libro originale di ogni nostro diritto sapere, non curandomi punto di quello, che siano per produrmi contro quelli, che non fanno altro, che raccor varie opinioni da diversi volumi, e concordandole insieme in gran numero, fanno nascere stravagantissimi mostri, e vanissime chimere di nuove opinioni, le quali poi esaminate diligentemente si trovano non avere altra esistenza, ne rincontro, che nelle loro deboli fantasie, & in quei fogli di [p. 21 modifica]carta, che vanno del continuo riempiendo. Dico dunque, che dalle cose dette di sopra, e ben’osservate inclino grandemente à sottoscrivermi alla sentenza del nostro dottissimo Signor Galileo nel suo Saggiatore, dove sottilmente filosofando de’ colori, pensa che non sieno cose reali fuori de’ nostri occhi, ma solo una tale affezzione, che in essi si produce, la quale affezzione io dirò, che non è altro, che una tale perturbazione delle parti della tunica retina del nostro occhio, alla quale abbiamo poi noi imposti i nomi di colori diversi secondo la diversità di quella conturbazione; il che mi muovo grandemente a credere considerando quella apparenza di colori, che mi si genera nell’occhio, quando l’affisso in quella finestra invetriata, come si è notato di sopra, nel qual caso, senza ch’esteriormente fossero stati esposti ne rossi, ne gialli, ne verdi, ne pavonazzi a gli occhi nostri, in ogni modo con l’esser prima stata conturbata gagliardamente quella parte della tunica retina da i vivaci lumi della finestra, chiudendo poi noi gli occhi, e rivoltandoli in altra parte, nel ridursi la medesima tunica alla sua prima costituzione trapassa per altre; & altre varie posizioni di parti, e conturbazioni, e così produce nel nostro sensorio varie affezzioni, e ci si rappresenta quella varietà di colori.

XVII. Et è da notare diligentemente, che mai non intravviene, che l’immagine di quella finestra ci si rappresenti con tanta chiarezza di splendore, ne colorata in quel modo, che ci appariva, quando [p. 22 modifica]fissamente ad occhi aperti era da noi contemplata, il che direi provenire imperciocche dopo che noi abbiamo chiusi gli occhi, è impossibile, che si possa produrre dentro dell’occhio nostro una conturbazione tanto veemente, quanto si faceva con la presenza dell’oggetto luminoso; si come accaderebbe, se avendo noi un vaso d’acqua, e che venisse dalla nostra mano diguazzante commossa, e poi si rimovesse la mano, chiaro è che non cesserebbe subito quella commozione, anzi continuerebbe a muoversi quell’acqua per qualche tempo, ma con tutto ciò, rimossa la mano, non si farebbe piu, ne maggiore, ne anche uguale conturbazione a quella che si faceva, mentre la mano continuava a perturbarla, ma a poco, a poco anderebbe cessando la turbazione, riducendosi l’acqua al suo primiero stato. E così chiusi gli occhi, come si è detto di sopra, ò in altra maniera proibito l’ingresso di quei lumi nell’occhio, immediatamente si comincia à ridurre a minore, e minore conturbazione, si che arriva, e passa tal volta per quella posizione di parti, che era sua propria, ed allora sparisce, e si dilegua l’immagine; mà perche commossa dall’impeto di quella commozzione, non si puo così presto fermare, però di nuovo ci fà comparire quell’immagine, e questo và facendo piu e piu volte, fintanto che finalmente si riduce à quietarsi nella sua naturale constituzione, & allora l’occhio resta libero di quella apparenza. E continuando noi a filosofare con questi fondamenti abbiamo l’intelligenza vera di quella proposizione, che communemente si suol dire [p. 23 modifica]nelle scuole, Excellens sensibile corrumpit sensum. Dove io prima volentieri direi sensorium in luogo di sensum, e non ho dubbio nissuno, che fissando noi l’occhio nel Sole, dovendosi, come è dichiarato, stampare da’ vivissimi lumi del Sole la sua immagine nella tunica retina, e non facendosi questo senza la conturbazione di quelle parti componenti la detta tunica, può molto bene intravenire, che quella conturbazione fatta dalla gran forza de’ raggi solari arrivi a tale scomponimento di parti, che poi resti impossibile a farsi la restituzione alla prima forma, e così resti offeso l’occhio, ed il nostro sensorio insieme.

XVIII. Si cava parimente da’ medesimi fondamenti la vera intelligenza, e ragione di quell’altra proposizione filosofica, Sensibile supra sensorium positum non fecit sensationem; Imperocche si come quando gli oggetti fuor d’una stanza s’avvicinano assai al foro della finestra, in tal caso i loro simulacri sopra la carta si fanno sfumati, e confusi, cosi ancora posto un’oggetto vicinissimo all’occhio rende il suo simulacro sopra la retina indistinto, e però si dice, che non si fà la sensazione.

XIX. Ma se la tunica retina di qualche occhio fusse di forza, e resistenza grande all’esser conturbata, allora non si guasterebbe la vista, ne si corromperebbe il sensorio, come si racconta dell’aquila, e di qualche altro animale, i quali affissano il loro sguardo impune nello splendidissimo Sole.

XX. E di piu ancora direi, che essendo vero, [p. 24 modifica]ch’alcuna sorta d’animali, e qualche uomo ancora soglia vedere di notte tempo senza lume, questo non proviene da altro, se non perche la loro tunica retina è tanto gentile, e dilicata, che ogni poco di lume è potente a commoverla, e conturbarla, e cosi in simili occhi farsi ancor nelle tenebre, o per dir meglio nella luce debolissima.

XXI. Qui senza entrare in trattare delle visioni miracolose, potendo esser fatte in altissimi modi, & inopinabili a noi, dirò solo che naturalmente si possan fare nell’occhio nostro conturbazioni da’ movimenti interni dell’anima nostra, e del corpo nostro senza opera d’oggetti esterni, e rappresentarcisi all’occhio varie immagini, ed oggetti stravagantissimi; di simil sorta di rappresentare, crederei che potessero essere tutte le rappresentazioni de’ sogni, e quelle, che intravengono a gl’infermi, e massimamente a quelli, che fissamente si applicano co ’l pensiero à qualche cosa con gagliardissima fantasia, & applicazione d’animo, e parimente si osserva talvolta dopo il sonno nelle tenebre sogliono vedersi alcune stravaganti figure, le quali vanno successivamente variando forma, ne possiamo ad arbitrio nostro variarle in forma piu vaga, e piu ornata, ma conseguita l’una all’altra con stravaganti metamorfosi, per una necessità ignota a noi: segno evidente, che tutte dependono dalle varie commozioni delle parti delicatissime della retina, dove si sogliono dipignere tutti gli oggetti visibili. Ma questa materia si và troppo inalzando, [p. 25 modifica]e forse trapassa quei termini di considerazione, che possiamo far noi intorno alla parte corporale della fabbrica dell’occhio nostro, e pertanto ritornerò addietro per non iscostarmi.

XXII. Non voglio trapassare un pensiero, che m’è sovvenuto, il quale si è, che forse la provida natura mantiene per qualche tempo gli occhi chiusi a diversi animali, come a’ cani, & altri nel principio del loro nascimento, e ciò ella fà, perche essendo la dilicatezza di quegli occhi ancor tenerissimi assuefatta alle tenebre del ventre materno, se venissero all’improviso al vivo splendore del giorno s’ingombrerrebbono della gran luce, e si corromperebbe il lor sensorio, e però è necessario, che a poco a poco vadano aprendo gli occhi, assuefacendoli alla divina luce, nel medesimo modo; che si usa in Venezia a quelli, che vengono liberati dalle prigioni oscure, a’ quali concedono a poco a poco il lume, e non tutto in una volta, alla prima lor uscita di prigione; Ma negli uccelli, come quelli, che forse hanno l’organo loro, e l’occhio meno dilicato, non è necessaria tal preparazione, ed assuefazione, e però vediamo i Pulcini, ed altri uccelli nascere con gli occhi aperti. Anzi direi di piu, ch’essendo la sostanza della buccia, e scorza dell’uovo alquanto penetrabile dal lume (come spezzando un’uovo si vede) di già simili animali hanno avanti la loro natività presa la consuetudine del lume, e però non hanno bisogno di quell’anticipata preparazione.

XXIII. Dobbiamo ancora rendere la ragione di [p. 26 modifica]quella apparenza assai degna di considerazione, che si fà nell’occhio nostro, quando avendo prima col tener fisso l’occhio per un poco di tempo in un determinato punto di un’oggetto illuminato, come si disse nel principio di questo ragionamento, ci resta la sua immagine impressa nell’occhio, e non solo si continua per qualche tempo a vederla con gli occhi chiusi, ma aprendoli, e rivoltandoli in diverse parti, ora piu lontane dall’occhio nostro di quello che era l’oggetto reale, ora piu, e piu vicine, si vede ’l medesimo oggetto di diverse grandezze, in modo che il medesimo oggetto ci apparisce alle volte maggiore cento, mille, e piu volte, & alle volte minore di quello, che ci compariva quando era da noi contemplato realmente. Tale apparenza si fà impercioche essendosi impressa nella retina l’immagine di quell’oggetto, viene ad occupare una determinata parte della tunica, e quando voltiamo l’occhio in un’oggetto, come sarebbe un muro bianco posto dieci, o trenta volte piu lontano, che non era il primo, allora quella medesima parte di tunica di gia impressa viene occupata dall’immagine di tanto maggior porzione del muro, quanto importa quella maggior distanza, che è tra l’occhio, e ’l muro sopra la distanza, che è tra ’l primo oggetto, e l’occhio. E perche noi abbiamo una tale, quale si sia notizia della grandezza del primo oggetto, & anche di quella porzione di muro, che occupa nell’occhio nostro, quanto occupa l’immagine del primo oggetto; però misurando noi l’immagine prima impressa con [p. 27 modifica]la grandezza di quella porzione di muro, per tanto l’immagine ci apparisce maggiore, e nel medesimo modo riesce ancora questo giudizio, quando affissiamo l’occhio in un muro piu vicino all’occhio di quello, che era il primo oggetto, nel qual caso per le medesime ragioni ci apparisce minore. Forse con un poco di disegno mi riuscirà piu chiara la spiegatura di quanto si è detto.



Intendasi dunque che da un oggetto reale e luminoso RG sia stata impressa nell’occhio nostro sopra la tunica retina l’immagine HL se noi affisseremo l’occhio in AB, che sia un muro bianco posto piu lontano dall’occhio di quello, che l’oggetto reale RG, è manifesto dalle cose considerate di sopra, che tutto lo spazio del muro AB ci apparirà ingombrato dall’immagine HL, la quale abbiamo impressa dentro dell’occhio, onde la stimeremo di fuori sopra quel muro, e anderemo misurando [p. 28 modifica], e considerando la sua grandezza con quello spazio di muro che ella occupa, e che corrisponde allo spazio dell’immagine sopra la retina. E perche conosciamo, che quello spazio del muro è molto maggiore dell’oggetto reale RG, però quell’immagine apparente sopra il muro ci apparisce molto maggiore dell’oggetto reale. Similmente quando noi volteremo lo sguardo in un muro, o foglio di carta bianca posto piu vicino all’occhio di quello ch’era l’oggetto reale, misurando noi la grandezza di quella medesima apparenza, la giudichiamo molto picciola; perche quello spazio di muro è conosciuto da noi per molto picciolo; & io ho fatto osservare questa apparenza con tanta differenza, che sono restati tutti stupefatti gli osservatori, avanti che io spiegassi la ragione.

XXIV. Coll’occasione di questi inganni della vista, ne’ quali interviene a parte il giudizio nostro, voglio considerare una cosa, che m’ha travagliato lungo tempo, senza portervi trovare il vero fondamento, e spero che da quello si potranno facilmente salvare diverse curiose stravaganze, e questioni. Spessissime volte ho osservato la costellazione dell’Orsa maggiore posta intorno al vertice nostro, e dopo avervi fatta qualche riflessione, e formato un tale, e quale concetto della sua grandezza mi sono abbattuto ad osservar la medesima costellazzione posta più bassa, cioè distesa, come sopra l’orizonte, & in questa seconda osservazione la medesima Orsa mi è paruta molto maggiore, che nella prima, & [p. 29 modifica]avendo piu, e piu volte replicata la medesima osservazione in ambedue le costituzioni sempre mi è paruta molto maggiore, quando l’ho contemplata verso l’Orizonte, che quando è stata da me riguardata al vertice nostro. Mosso da questa stravaganza per certificarmi bene del tutto volli misurare con instrumento, quanto la sudetta costellazione suttende nell’una, e nell’altra positura, e ritrovai che sempre suttendeva il medesimo spazio, di modo che restai sicuro, che questo (già che non era inganno dell’occhio) di necessità doveva esser fallacia del giudizio, e dell’apprensione, e dopo avervi fatta molta, e diligente riflessione mi venne in mente, che questo negozio di grande, e di piccolo viene dalla nostra mente maneggiato sempre con qualche relazione ad altra grandezza a noi più nota, e familiare di quello, che è la grandezza di quell’oggetto, del quale noi dobbiamo formare concetto, se è grande, ò picciolo. E nel caso nostro perche noi nel riguardare le parti del Cielo poste sopra il nostro vertice siamo soliti paragonarle, e riferirle alle piu alte sommità de’ tetti delle nostre fabbriche, non avendo altro intorno al vertice con chi paragonarle; per tanto la costellazione dell’Orsa in simile costituzione riguardata ci apparirà occupare una tale, quale si sia porzione del tutto, ò sommità d’una casa, ò tempio, il quale spazio essendo da noi per prima assai conosciuto, e che non arriva, se non à poche decine di braccia, però in tal modo alla grossa formando il concetto della grandezza dell’Orsa la giudichiamo, e [p. 30 modifica]stimiamo piccola. Ma quando la veggiamo verso l’Orizzonte allora paragonandola colle lunghe tirate di monti, e delle vaste campagne, sappiamo molto bene, che sono alle volte le decine di miglia, però in tal caso giudichiamo anche l’Orsa esser molto maggiore di quello, che era da noi stimata nell’altra costituzione. Di maniera tale, che l’oggetto, del quale si debbe far giudizio intorno alla sua grandezza viene da noi stimato alle volte maggiore, & alle volte minore, secondo che lo paragoniamo con diverse grandezze. In confermazione maggiore di questa dottrina mi occorse un bel caso, ritrovandomi al solito una sera in carrozza con Monsignore Illustrissimo Cesarini, & altri di sua nobile conversazione. Sorgeva la Luna intorno alla sua quintadecima, & alla vista nostra, che ci ritrovavamo lungo il Tevere ci appariva spuntare sopra il colle Aventino di là dal fiume, e tutti quasi ad una voce dissero della Luna, o come è grande, come è bella; & io valendomi dell’occasione dimandai quanto appariva grande? al che mi fù risposto, che pareva di diametro quattro, ò cinque braccia, allora interponendo io l’ala del mio cappello tra l’occhio di Monsignore, e la Luna copersi affatto la veduta del Monte Aventino in modo però, che si vedesse la luna comparire sopra l’estremo dell’ala del cappello, e di nuovo domadai quanto appariva il diametro della Luna; allora Monsignore, quasi maravigliato, rispose, che non le pareva due dita, e la medesima osservazione fù fatta da tutta la compagnia, e così ebbe occasione di [p. 31 modifica]fare replicata contemplazione di questo inganno, e tutti confessarono, che mentre noi paragoniamo la Luna col Monte, & apparendoci occupare un tratto di esso stimato da noi quattro, o cinque braccia ancora la Luna veniva stimata di quella grandezza. Ma quando coperta la veduta del colle la medesima Luna era paragonata, e riferita all’ala del capello, che corrispondeva alla Luna veniva stimata tanto minore; & in ogni modo considerando quello, che operava la Luna nel nostro occhio sopra la retina impressionandola con la sua immagine, sempre ci doveva fare sopra di essa l’immagini eguali per l’appunto. Dal sudetto pensiero rimasi assai sodisfatto, e questo fintanto che comunicandolo con il mio Maestro mi fù da lui scoperto un altro inganno molto piu sottile, & artificioso, nel quale il nostro giudizio viene avviluppato, e deluso. E perche non mi dà l’animo di spiegarlo con quella felicità, che mi fù da quel grand’uomo dichiarato, come egli è solito sempre fare in tutti i suoi discorsi, ancorche difficilissimi, & intorno a materie oscure, e recondite della Natura, per tanto procurerò rappresentarlo nel miglior modo a me possibile, pregando chi legge a scusarmi, se non saprò così vivamente replicare quanto mi fù allora insegnato. Prima dunque considero, che se due oggetti ineguali saranno collocati in varie lontananze siano giudicate eguali, seguirà che ancora il giudizio intorno alle grandezze di quegli oggetti sia fallace, come per esempio, essendo il Sole secondo le piu esatte osservazioni astronomiche 17,060 [p. 32 modifica]volte maggiore di diametro, che la Luna in ogni modo apparisce a noi, e viene communemente stimato eguale il diametro della Luna a quello del Sole. Similmente se due oggetti saranno eguali realmente, e realmente posti in distanza eguali al nostro occhio, ma uno di essi venga da noi giudicato piu lontano sarà stimato maggiore, e però un Pittore, che disegnasse un quadro, & in conseguenza nella medesima lontananza dell’occhio due figure d’uomini eguali, ma tali figure fussero rappresentate in modo sopra quel grado, che una apparisce in un paese lontano dall’occhio nostro, e l’altra vicina, allora noi stimeremo quello, che ci viene rappresentato lontano molto maggiore, e ci apparirebbe, per dir così, un gigante, ancorche veramente quelle due figure siano eguali. Et in somma in queste operazioni del nostro giudizio, se noi ci inganniamo nelle lontananze, ne siegue ancora l’inganno, nel giudicare della grandezza, dal che poi venghiamo ancora a formare falso giudizio della lontananza. Ora nel proposito nostro, quando noi solleviamo la vista alla contemplazione del Cielo, e di quegli oggetti, che in essi si veggono comunemente formiamo un concetto falsissimo della disposizione del Cielo, imperoche le parti sopra il nostro vertice ce le figuriamo assai vicine all’occhio, e quelle che sono collocate lungo l’orizzonte le apprendiamo molto lontane. E pero la medesima costellazione (per istare nell’esempio proposto) dell’Orsa maggiore, la quale realmente, e veramente si trova tanto lontana dall’oc[p. 33 modifica]chio, quando ci sta sopra il vertice, quanto quando sta collocata, e distesa sopra l’orizonte, viene da noi stimata maggiore in questa positura, che in quella, ma la verità è che il suo simolacro dentro l’occhio sopra la retina si fà sempre eguale, si che la parte dell’occhio corporale affetta dall’oggetto nell’una, e nell’altra positura è sempre la medesima, e tutto l’inganno consiste, e depende dal giudizio nostro.



Qui fui interrotto nel ragionamento da Monsignore Cittadini, il quale fatta con la conversazione un poco di cortese scusa, disse, che aveva certa difficoltà nelle cose dette, & in particolare nel punto del farsi l’immagini nell’occhio nostro, a rovescio di quello, che stanno gli oggetti fuori dell’occhio, parendogli, che se fusse vero, che l’immagini venissero rappresentate capovolte dentro l’occhio, non sarebbe stato possibile a noi vederle dirette, ma l’averemmo avute a vedere veramente a rovescio; al qual dubbio rispose Monsignore [p. 34 modifica]Cesarini dicendo. La medesima difficoltà ha conturbato ancor me fin dal principio, ma credo di averla sciolta, se saprò bene spiegare la resoluzione, come è stato vivamente proposto il dubbio. Dico dunque, che entrando nell’occhio il raggio AC dalla cima, e parte alta, v. g. d’un albero, viene per linea diritta à ferire, come si è detto, la parte inferiore della tunica retina in C, & il raggio della parte bassa B nel medesimo modo ferisce nella parte alta in D, e per tanto dovendo la parte viva, e sensitiva C sentire, e riconoscere il punto A per la linea CA, lo riconosce alto, e così il punto D vivo, e sensitivo sentendo, e riconoscendo il punto B per la linea BD, lo riconosce basso, in modo tale che la soluzione della proposta difficoltà ridotta, come si suol dire a oro, e bene intesa sarebbe tale. Noi vediamo gli oggetti di fuora, e li sentiamo, e riconosciamo diritti, perche i loro simolacri sono dipinti al rovescio dentro dell’occhio, anzi se dentro l’occhio fossero stampati diritti parerebbono a noi fuori a rovescio. Parve a tutti la risposta di Monsignor Cesarini acutissima, e sottilissima, e che avesse, come si suol dire, tocco il punto esquisitamente.

E così io seguitai il ragionamento, facendo un poco di riflessione alla grandezza dell’opere di Dio sopra questa minima, che abbiamo per le mani, considerando con quanta esquisitezza sono fabbricati gli occhi di tanti animali, e grandissimi, e piccolissimi d’immense balene, e di vasti elefanti, e piccoli uccelli, di farfalle, di formiche, e di minutissimi vermi, e pure quello, [p. 35 modifica]ch’abbiamo contemplato è intorno alla prima constituzione corporale dell’occhio, non entrando punto a ragionare di quell’altra principalissima parte, cioe dell’anima sensitiva, della quale io veramente confesso non saper cosa nissuna. Ora giudichino Signori miei, quanto io sia lontano dal poter mai penetrare le forze, e virtù della memoria della fantasia, della immaginativa, e finalmente dell’intelletto stesso, col quale andiamo penetrando, e discorrendo le cose remotissime da’ nostri sensi, e qui nel caso nostro siamo arrivati a conoscere chiaramente, che dentro l’occhio nostro si fanno quelle finissime pitture, ancorche mai occhio umano non le abbia vedute, ne mai sia per vederle. E per tanto con gran ragione possiamo cantare eterne glorie a Dio stupefatti dicendo

Quam magna facta sunt opera tua Domine, omnia in sapientia fecisti.

E con le medesime dottrine, e con piu interna contemplazione della fabbrica del nostro occhio, e con la cognizione della struttura del telescopio noi possiamo venire in luce di quegli effetti strani, che produce questo maraviglioso strumento.