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I dintorni di Firenze, volume I/I. Barriera aretina

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I. Barriera aretina

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Le fonti del libro II. Barriera settignanese

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I.

Barriera Aretina


Itinerario. — Via di Circonvallazione - Via dell’Argine - La Casaccia - Via Aretina - Madonnone (Via di S. Salvi - S. Salvi) - Varlungo (Via del Pratellino) - Rovezzano - S. Michele - S. Andrea - Montalbano - Girone (Via di Terenzano) - Anchetta - Quintole - Stazione di Compiobbi (Via di Pontanico) - Compiobbi (Via di Torri) - Le Falle - Le Sieci (Via del Mulino del Piovano) - Torre a Decimo - Trebbio - Remole - Pontassieve.

Mezzi di comunicazione. — Ferrovia Firenze-Arezzo-Roma (stazioni: Campo di Marte - Compiobbi - Le Sieci - Pontassieve). - Tranvai Firenze-Rovezzano. - Diligenze di Pontassieve e di Mulin del Piovano.

Uffici di posta e telegrafo. — Rovezzano - Compiobbi - Sieci (Remole) - Pontassieve.



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sciti appena fuori della Barriera Aretina che è situata al di là del ponte che attraversa il piccolo torrente Affrico, la strada che volge a destra conduce sull’argine del fiume nella località chiamata «la Bella Riva» per la vaghezza della sua situazione e per il paesaggio delizioso che le sta di fronte.

Al disotto dell’argine, vicino al grandioso stabilimento industriale Ciofi, un piccolo gruppo di case porta fino da tempo remoto il nome di

Piacentina o Piagentina. — Quivi ebbe il possesso di alcuni terreni Dante Alighieri ed in una di quelle casette nacque Alberto della Piagentina poeta e commentatore d’Ovidio e di Boezio, vissuto nel xiv secolo. [p. 2 modifica]La Via dell’Argine, poco dopo lo sbocco di Via della Bella Riva che muove dalla Via Aretina, conduce alla località chiamata

La Casaccia, in luogo della quale è oggi una villa. L’antica Casaccia, che apparteneva nel xv secolo a Bartolino di Baccio degli Organi, era stata distrutta dalle acque dell’Arno che in questa località formano dei gorghi pericolosi, urtando contro gli sproni e le grandiose opere di muratura che, con notevolissimo dispendio, vennero più volte eseguite dalla Repubblica e dal governo Mediceo a difesa dell’argine minacciato dalle piene.

La Via Aretina, oltrepassato il Piazzale della Barriera, traversa il subborgo chiamato

Il Madonnone, dalla figura di proporzioni maggiori del vero della Vergine, dipinta in un tabernacolo o maestà situato sull’angolo della Via di S. Salvi. Il tabernacolo, tutto adorno di affreschi di maniera Giottesca, tanto nella sua parte interna, come nell’esterne pareti, sorgeva in origine all’imboccatura della viottola, che attraversando i poderi dei Monaci Vallombrosani, conduceva alla Badia di S. Salvi. Molti di quelli affreschi erano stati nei secoli passati coperti di bianco, perchè ridotti in grave stato di deperimento; ma anni addietro i resti tuttora esistenti, e, dove l'affresco era scomparso, i disegni fatti sull'arriccio di calcina, vennero accuratamente rimessi in luce e riparati.

Abbazia di S. Salvi. — Nell'XI secolo sorgeva in questo luogo, che allora si chiamava Partinule, un piccolo oratorio intitolato a S. Salvi e fu nel 1048 che Piero di Gherardo e Lando di Teuzzo padroni di questo oratorio, cominciarono la costruzione di un convento secondo l’ordine di S. Benedetto, ponendolo sotto la dipendenza del monastero di Vallombrosa.

Il nuovo monastero, se ottenne il favore dell’imperatore Arrigo II che lo prese sotto la sua protezione e lo fece esente da ogni dazio, dovette però subire tristi vicende. Difatti nel 1062 il simoniaco vescovo di Firenze, Pietro Mezzabarba, in odio a Giovan Gualberto fondatore dei Vallombrosani, fece assaltare dai suoi soldati il [p. 3 modifica]convento che fu arso e predato, mentre i monaci vennero feriti e posti in fuga.

Rifatto, ampliato, arricchito colle donazioni di molti cittadini, decorato di una chiesa più vasta, il monastero di S. Salvi servì nel 1313 di residenza ad Arrigo VII imperatore, quando pose inutilmente l'assedio intorno a Firenze.

Più triste vicenda toccò al monastero di S. Salvi nel 1529, quando i fiorentini preparandosi a difendersi dalle milizie imperiali e papali, distrussero nei dintorni della loro città tutti quelli edifizj che avrebbero potuto servire di asilo e di protezione al nemico e di danno a Firenze. La chiesa e il monasteso di S. Salvi, secondo scrivono concordemente tutti gli storici, non furono salvati ed i cittadini demolitori dei loro splendidi monumenti, si arrestarono solo nell’opera di distruzione dinanzi al refettorio dov’era il mirabile cenacolo di Andrea del Sarto.

Ma l’affermazione, per quanto unanime degli storici, dev’essere accolta con molta riserva, o per lo meno attenuata assai.

Sta bene che l’affresco stupendo d’Andrea non fu toccato; ma nemmeno il monastero e la chiesa subirono affatto quella completa distruzione alla quale si accenna. Come suoleva farsi in casi congeneri, si saranno scoperti i fabbricati, tolti gli affissi, smantellate alcune parti che potevano servire di comodo e di sicuro asilo agli assedianti; ma di distruzione non è il caso di parlare. La chiesa conserva a buon conto la sua struttura antichissima, il chiostro medioevale si può dire intatto, col suo doppio ordine di logge, le volte del gran refettorio sono antiche e molte altre parti dell’ampio e ricco monastero serbano il tipo ed i caratteri delle costruzioni anteriori di due secoli all’assedio di Firenze.

Caduta la repubblica, i monaci Vallombrosani non poterono tornare a S. Salvi ed il Papa concesse invece nel 1564 il locale alle Monache Vallombrosane di S. Giovanni Evangelista di Faenza, in compenso del loro convento distrutto per la costruzione della nuova fortezza da Basso. Ricostruiti i tetti, risarcite le mura, riparati i danni arrecati alla [p. 4 modifica] fabbrica dai difensori di Firenze e poi dall’abbandono, le Monache poterono stabilirsi quietamente e comodamente nella vecchia abazia in grazia del largo concorso ottenuto specialmente da Papa Clemente VIII.

Stettero coteste monache a S. Salvi fino alla soppressione Napoleonica, dopo la quale la chiesa fu ridotta a parrocchia secolare ed il vasto monastero suddiviso ed in parte venduto, restando solo al Demanio il possesso dell’ala di fabbricati dov’è l’antico refettorio.

Chiesa di S. Michele Arcangiolo a San Salvi. — Le memorie di questa chiesa si collegano completamente con quelle del monastero al quale era annessa; quindi l'origine sua deve riferirsi all'XI secolo. Ha la forma comune ad altre chiese Vallombrosane e segnatamente a quella della Badia di Montescalari, a croce latina con abside rettangolare. Rimaste intatte le antiche linee perimetrali, l'interno della chiesa subì nondimeno una completa trasformazione per l’aggiunta di nuovi e pesanti altari e per l’applicazione di una stuoja a volta che sostenuta da arcate nasconde la vecchia tettoja a cavalletti.

All’esterno della chiesa è un portico edificato nel XVI secolo dalle Monache Vallombrosane le quali posero sulla facciata lo stemma di Papa Clemente VIII de’ Medici loro benefattore.

Sotto questo portico esistono, mal custodite, tanto che per interesse della loro conservazione dovrebbero essere trasferite nell'interno della chiesa, diverse opere d’arte di notevole importanza, cioè: una statua rappresentante S. Umiltà, scultura del XIV secolo, quivi trasferita dal monastero di S. Giovanni Evangelista alla Porta a Faenza e tre bassorilievi di pietra rappresentanti S. Giovanni Gualberto, S. Michele Arcangiolo e S. Salvi, sculture di Benedetto da Rovezzano.

Nell’interno della chiesa sono da osservarsi: una tavola rappresentante S. Umiltà di Domenico da Passignano, la tavola dell’Adorazione dei Magi di scuola fiorentina del XVI secolo, il quadro del Presepio della maniera di Andrea Del Sarto, la tavola con Gesù Crocifisso, la Vergine [p. 5 modifica]e varj Santi di Francesco Morandini da Poppi ed un’altra tavola raffigurante l’Annunziazione di Gio. Battista Paggi genovese (sec. XVI-XVII).

Nella cappella del Sacramento, che servì già di sagrestia, è sull’altare un bellissimo tabernacolo in marmo, scultura di Benedetto da Rovezzano.

Nella stanza che precede l’attuale sagrestia e che fu già una cappella della chiesa, sono stati ritrovati nelle pareti e nella volta resti d’importanti affreschi del XIV e XV secolo. La sagrestia attuale occupa la sala dell’antico Capitolo monastico. Fra gli oggetti che in essa si conservano, sono degni di ricordo: un busto di S. Giovanni Gualberto, stucco colorito del XVI secolo, una pace, squisito lavoro di oreficeria fiorentina del XV secolo, il reliquiario di S. Umiltà, opera del XV e XVI secolo.

La Canonica, che occupa parte dell’antico convento, è importante per il bel chiostro a logge con pilastri del XIV secolo. Le pareti e le volte del chiostro erano un giorno tutte decorate di affreschi del XIV secolo dei quali si sono messi in luce alcuni resti. Sopra ad una porta che da accesso ad una scala è un affresco colla Madonna e il bambino della maniera dei Gaddi. Sopra alla porta del Capitolo, oggi sagrestia, di forma elegantissima, fiancheggiata da due caratteristiche finestre bifore, è un bassorilievo a forma di lunetta con S. Giovanni Gualberto fra due monaci inginocchiati, pregevole opera di Benedetto da Rovezzano.

Cenacolo di S. Salvi. (Biglietto d’ingresso Cent. 25). — Una parte dell’antico monastero di S. Salvi, di proprietà del Governo, costituisce oggi una specie di piccolo Museo del quale è massimo adornamento l’affresco d’Andrea Del Sarto rappresentante la cena di Gesù Cristo, che occupa una delle pareti minori dell’ampio refettorio. Il dipinto fu commesso ad Andrea il 15 giugno 1519 dall’abate Panichi. Lungo le altre pareti sono disposti molti dipinti della scuola d’Andrea e di altri pittori fiorentini del XVI secolo. Alcune di queste tavole servirono di sportelli agli armadi della stanza del tesoretto e di altre sale di Palazzo Vecchio, quand’esso era residenza dei Granduchi Medicei. [p. 6 modifica]Il lavabo, molto guasto dal tempo, fu scolpito da Benedetto da Rovezzano. Nel gran corridojo, nella stanza del lavabo e nell’antica cucina monastica è raccolta una ricca collezione di gessi e di modelli di varj artisti del decorso secolo fra i quali Lorenzo Bartolini, il Pampaloni, il Pagliaccetti.

All'esterno è una ricca fontana de’ primi del XVII secolo.

Al piano superiore è un magazzino di deposito di quadri appartenenti alle RR. Gallerie.

Manicomio Provinciale Vincenzo Chiarugi. — Fu edificato sul declinare del secolo scorso col disegno dell’architetto Giacomo Roster. È costituito da un grande edifizio centrale e da una quantità d'altre fabbriche staccate o padiglioni ordinati e disposti secondo i dettami della scienza moderna e può accogliere un numero notevolissimo di dementi.

Palazzo del Guarlone — É oggi uno dei fabbricati che costituiscono il Manicomio. Nel restaurarlo, l’Arch. Roster volle conservargli il carattere di un edilizio di stile del rinascimento, per quanto della sua forma originaria restassero poche tracce.

Fu in antico una dipendenza del monastero di S. Salvi e servì generalmente di comoda dimora agli Abati Vallombrosani. Più tardi fu ridotto a fattoria o casa d’amministrazione dei beni che i Vallombrosani possedevano nel Pian di S. Salvi.

Quando i monaci Vallombrosani vollero erigere una grandiosa cappella per collocarvi le ossa di S. Giovanni Gualberto, commisero il lavoro a Benedetto scultore detto da Rovezzano, coll’obbligo di eseguirlo in alcune stanze del palazzo del Guarlone. Il 16 gennaio 1506 l’artista si pose all’opera e in dieci anni la condusse a termine. Però i monaci non si trovarono concordi nel determinare in quale delle loro chiese la cappella doveva essere eretta e le varie parti dell’opera bellissima di Benedetto rimasero in deposito in questo luogo, dove nell’assedio del 1530 furono sconciamente deturpate e mutilate dalle milizie straniere. Così non si parlò più della costruzione della [p. 7 modifica]cappella e non pochi di quei marmi andarono dispersi. Quelli che rimasero ed altri che si poterono ricuperare si trovano oggi esposti nel Museo Nazionale di Firenze.

Varlungo. — Borghetto lungo la Via Aretina, posto parte nel Comune di Firenze e parte in quello di Fiesole.

La località, in antico paludosa, bassa, esposta alle piene dell’Arno che in quel punto, mal contenuto dagli argini, dilagava nella pianura, ebbe fino da tempo remoto il nome di Vadum Longum (guado lungo o meglio largo) trasformato in seguito per corruzione in quello di Varlungo.

Le piene del 1380, del 1453, del 1469 soprattutto, arrecarono danni infiniti a questa parte della campagna fiorentina che fu oggetto di preoccupazioni, di provvedimenti e di spese rilevanti al tempo della repubblica, come in quello del principato. Nel 1662 Vincenzo Viviani per ordine del Granduca eseguì alcune opere di difesa sulla riva dell’Arno che valsero ad eliminare i maggiori pericoli delle inondazioni.

Varlungo è stato immortalato dalle opere di varj celebri scrittori. Boccaccio ne fa teatro di una delle sue novelle, il Baldovini intitolò un suo poema Il lamento di Cecco da Varlungo e, rispondendogli colle rime stesse, il Clasio scrisse La Sandra da Varlungo e l’Alisio La disdetta di Cecco.

Al principio del borgo, a mano destra, era lo

Spedaletto di S. Niccolò de’ Teri uno dei tanti luoghi destinati ad accogliere i pellegrini che passavano per le vie maestre e che fu fondato appunto dalla famiglia Teri. Nel xvi secolo, quando venne fatto un elenco generale di tutti gli spedaletti del Granducato, quello di S. Niccolò sussisteva ancora e in un piccolo locale manteneva un letto. Il resto del fabbricato che esso occupava in antico, fu ridotto a villa e venduto alla famiglia Migliorotti. Oggi nel luogo di esso è un moderno monastero delle Monache della Crocetta al quale serve di chiesa l’antico oratorio annesso allo spedale, stato convenientemente ampliato.

A metà del borgo, allo sbocco della Via della Loggetta, è un Tabernacolo dentro al quale sono nelle parti laterali le figure della Vergine e di S. Giovanni Evangelista, [p. 8 modifica]dipinti di maniera Ghirlandaiesca che forse stavano a fianco d’un crocifìsso di rilievo oggi non più esistente.

Chiesa di S. Pietro a Varlungo. — È di remota origine, perchè se ne trovano ricordi fino dall’XI secolo; però ogni traccia della sua primitiva costruzione è scomparsa nei restauri e nelle riduzioni subite negli ultimi secoli. Per ingrandire la chiesa venne soppresso nella seconda metà del secolo scorso anche il portico che le stava dinanzi. Nella cappella a sinistra di quella maggiore è uno stemma del XIV secolo della famiglia Bonciani che ne era patrona.

Di opere d’arte, ecco tutto ciò che vi rimane: una tavola a fondo d’oro del XIII secolo, di maniera bizantina colla Vergine in trono, il bambino Gesù ed un angelo; un elegante ciborio di pietra serena con fini ornamenti, del xv secolo, un affresco rappresentante il transito di S. Giuseppe di Alessandro Gherardhini colla data 1699, un altro affresco nella volta con S. Pietro in gloria, la Fede, la Speranza e la Carità, attribuito a Baldassarre Franceschini detto il Volterrano.

Nell’annessa Compagnia di S. Pietro in Vinculis sono una tavoletta colla Madonna e il bambino, frammento di un antico trittico della maniera dei Gaddi, scelleratamente ridipinto ed un crocifisso scolpito in legno della prima metà del xv secolo.

La Loggetta. - Villetta Cloni. — Una delle due case fu nel XV secolo di un Giovanni di Bartolommeo tintore e più tardi della famiglia Da Filicaja.

L’altra, di costruzione più recente, fu ridotta a villa nel XVII secolo dalla famiglia Chiavistelli.

Esisteva sulla riva dell’Arno nel luogo d’un antico mulino una villa dei Ridolfi chiamata la Torre del Mulinaccio che passò dipoi nei Frati di Vallombrosa; ma fu abbattuta da una piena del fiume.

Delle antiche ville di Varlungo ricorderemo le seguenti:

La Funga o il Pratello. - Convento delle Monache dello Spirito Santo. — Fu a’ primi del XV secolo dei Buti del gonfalone Unicorno, famiglia che ebbe altri possessi a Varlungo e nel 1468 per dote di Maria di Antonio Buti passò in Francesco di Antonio Finiguerri orafo e fratello [p. - modifica] [p. 9 modifica]del celebre Maso Finiguerri uno dei più grandi maestri fiorentini d’oreficeria del XV secolo. Nel 1476 Francesco la vendè a Andrea di Pagolo da Terranova notaro al Palagio, dalla famiglia del quale passò nel 1642 a Giovanni Battista Giorgi per dote della moglie Benedetta da Terranova e nel 1648 in Giovanni Battista Bargigli marito di una di lei figlia. Pochi anni dopo però, nel 1666, la villa venne espropriata per pubblico decreto ed acquistata dalla famiglia Chiavistelli che la possedette lungamente. In epoca moderna fu Chiericoni. Ora è ridotta a monastero nel quale si trasferirono, dopo la soppressione, le monache dello Spirito Santo sulla Costa.

Varlungo. - Villa Adorni Braccesi. — Anche questa apparteneva come la precedente alla famiglia Buti che la possedeva anche alla fine del XVI secolo. Più tardi fu dei Rotilenzi.

Dal borghetto di Varlungo prendiamo la Via del Pratellino, detta anche via di Mezzo che è parallela alla via Aretina e conduce egualmente a Rovezzano. Lungo questa strada si trovano diverse antiche ville delle quali ricorderemo le più importanti.

Mezza Via o il Vivuolo. - Villa Bertelli. — Edifizio assai grande al quale sono annessi una cereria ed un osservatorio meteorologico. Fu un antico possesso dei Busini dai quali a’ primi del XVI secolo, passò per eredità nei Cederni. Nel 1564 Vincenzo di Ser Francesco Vivuoli T acquistò da Tommaso d’Antonio Cederni e da quest’epoca la villa si chiamò il Vivuolo. Dai Vivuoli passò nei Bourbon Del Monte nel 1608, poi negli Accolti, negli Alamanni e nel XVII secolo nei Gambassini che restaurarono il fabbricato.

San Cristofano. — Qualche antica cappella dedicata a quel Santo o, più probabilmente la figura di esso in atto di guadare un fiume tenendo sulla spalla il bambino Gesù, deve aver dato il nome a questo piccolo gruppo di case e ville posto lungo la Via del Pratellino.

San Cristofano o Pratellino. - Villa Panciatichi. — Appartenne alla famiglia degli Albizzi dalla fine del XIV [p. 10 modifica]secolo fino all’anno 1554 in cui passò per un lodo in Giovanni d’Antonio Colonnesi. Comprata dai Montigiani nel 1624, andò poi in eredità allo Spedale di S. Matteo di Firenze che la possedette lungamente.

San Cristofano. - Villa dell’Istituto Evangelico. — Era un antico possesso della famiglia Miniati dalla quale, dopo più di due secoli, passò nei Bonsi detti della Ruota che avevano altri beni presso l’antico convento di S. Bartolommeoal Gignoro.

I Bonciani. - Villa Montelatici. — La famiglia Bonciani dette nome a questa località dov’ebbe fino da tempo remoto numerosi possessi. Alla villa restò il nome del luogo, senza che i Bonciani la possedessero mai, perchè la loro casa da signore era più verso il Gignoro e, dopo essere appartenuta ai Rimbaldesi, passò nel 1685 negli Strozzi che la ridussero a casa colonica.

La villa oggi Montelatici era di una famiglia Bernardetti fino da’ primi del xv secolo e successivamente passò nel Sassetti e nel 1568 nei Menchi. Da Francesco d’Antonio Menchi la comprò nel 1569 Francesco figlio di Paolo Vinta segretario dei Granduchi Medicei del quale si vede tuttora lo stemma sulla facciata verso la strada. Nel 1609 pervenne indivisa in Caterina figlia di Paolo Vinta e vedova del Bali Teodoro Cellesi di Pistoja ed in Lodovico d’Attilio Incontri figlio di Cassandra Vinta e nelle successive divise toccò ai Cellesi. Per pochi anni, dal 1687 al 1692, la ebbe Pier Andrea De Pazzi che l’aveva comprata a vita e poi rimase lungamente in possesso dei Cellesi.

Palagio o Ponte a Mensola. - Villa Bel Campana. — Grandiosa costruzione di carattere della seconda metà del XVI secolo che sorge lungo la riva del torrente Mensola framezzo ad un giardino ricco di fantastiche grottesche. Era in origine un palazzo di campagna della celebre famiglia Busini che a Firenze era padrona del palazzo ora de’ Bardi in Via de’ Benci. Nel 1432 passò in possesso di Marietta moglie di Lorenzo Centellini che la rivendè a Taddea Particini. Alla morte di questa, avvenuta nel 1545, pervenne nel di lei figlio Andrea di Gherardo Gherardi e Giulio d’Antonio Gherardi la vendè il 18 Gennajo 1589 a [p. 11 modifica]Zanobi di Noferi Bracci. Furono i Bracci che vollero dare aspetto più grandioso e più elegante a questa villa che corredarono di comodi annessi ed arricchirono di artistiche decorazioni. Zanobi Bracci fece fare per la sua cappella una tavola da Andrea Del Sarto che vi rappresentò la Vergine col putto e S. Giuseppe. L’opera bellissima fu dalla villa di Rovezzano trasportata dai Bracci nella loro casa di Via de’ Ginori e di là esulò in Francia. Per commissione dell’abate Antonio Bracci Pietro Francavilla scultore fece diverse statue e molti adornamenti per il giardino e forse a lui si deve anche il tabernacolo che fa angolo colla via della Capponcina.

Dai Bracci la villa passò per eredità nei Guazzesi e da questi nei Del Campana possessori attuali.


Rovezzano. — Dai roveti che coprivano la pendice del piccolo colle di Montalbano e la sottoposta pianura, nacque il nome di Rovezzano, fino dall’XI secolo proprio di questa lunga borgata che divisa in due parti e in due parrocchie si trova lungo la via maestra e che fu capoluogo di una importante comunità fino all’anno 1865 in cui il territorio di essa fu diviso fra i comuni di Firenze e Fiesole. Rovezzano ha dato il nome al celebre scultore Benedetto da Rovezzano che nella prima metà del XVI secolo fece a Firenze diverse opere insigni, ammirabili per i concetti, per la purezza del disegno, per la delicatezza dell’esecuzione. Fra questi lavori vanno ricordati: la celebre porta di Badia, il camino e diverse altre opere nel palazzo Borgherini ora del Del Turco in Borgo SS. Apostoli, il sepolcro di Oddo Altoviti in SS. Apostoli, i bassorilievi di S. Salvi oggi in parte al Museo Nazionale, l’altare dei Sernigi in S. Trinità, la tomba Soderini al Carmine ecc.

Però Benedetto non ebbe realmente i natali in questo borgo. Da alcune carte da lui scritte si rileva che era nato a Canapale, borgata due miglia distante da Pistoja, da Bartolommeo Grazzini. Però egli venne ancor fanciullo a Firenze per studiare scultura e architettura e si stabili a Rovezzano dove acquistò possessi, considerando questo [p. 12 modifica]luogo come sua patria. Difatti mentre egli si sottoscriveva Benedetto quondam Bartolommeo da Pistoja, tutti lo chiamavano Benedetto da Rovezzano.

A Rovezzano nacquero Pietro di Bartolo scultore morto nel 1443, Domenico di Giovanni detto Rossello valente scultore morto verso il 1460, Salvi d’Andrea di Domenico Barili scultore che dal 1438 fino al XVI secolo fu capomaestro della chiesa di S. Spirito e Giovanni da Rovezzano pittore allievo di Andrea del Castagno.

Rovezzano non fu soltanto un piccolo centro di artisti valenti, ma ebbe anche un importanza commerciale, giacché le acque dell'Arno, che gli passa a breve distanza, ponevano in movimento grandiose e numerose gualchiere d’arte della lana. Dei due gruppi di mulini che sussistono ancora, quello che resta più verso Firenze apparteneva fino da tempo remoto ai Cerchi, poi passò in parte ai Magalotti che nel 1352 cederono i loro diritti agli Albizzi che erano già in possesso d’un quinto di cotesto edifizio.

Gualchiere e Mulini di Rovezzano. — Presso S. Andrea a Rovezzano, dove oggi sono i Mulini Wital, era un grande edifizio che serviva tanto alla macinazione dei cereali, quanto ad uso di gualchiere. In antico apparteneva agli Albizzi, poi, quando un ramo della famiglia si separò per assumere il cognome di Alessandri, gualchiere e mulini passarono ad esso e per lungo tempo rimaso all’ampio fabbricato il nome di Gualchiere degli Alessandri.

Tabernacolo. — Sulla piazza del borgo di Rovezzano è un tabernacolo nel quale Marcantonio Franciabigio dipinse Gesù crocifisso, la Madonna e S. Giovanni Evangelista.

Chiesa di S. Michele Arcangioio a Rovezzano. — É la parrocchia del borgo principale che fu già capoluogo della Comunità. Antica d’origine, poco o nulla serba della sua primitiva struttura, dopo la riduzione totale fattane nel 1840 dal parroco De Angelis. Il portico esterno del XVII secolo è di buone proporzioni. La porta, di bella architettura del xvi secolo, fu fatta fare dalla famiglia Bartolini-Salimbeni ed è probabile che essa si valesse dell’opera di Baccio d’Agnolo che riedificava appunto [p. 13 modifica]la loro villa dei Pini posta nel popolo di S. Michele a Rovezzano.

Nell’interno, che ha carattere modernissimo, sono da osservarsi: una tavola del XIII secolo rappresentante la Vergine col bambino Gesù: ai lati del trono è raffigurata l’Annuziazione - e la pila dell’acqua benedetta semplice, ma elegante scultura del XVI secolo. Una croce dipinta di maniera Giottesca è nell'annessa Compagnia di S. Agostino.

Sulla facciata della Canonica, verso il borgo, è dentro un tabernacoletto, una piccola statua di S. Michele Arcangelo, opera di terracotta invetriata della maniera di Giovanni della Robbia.

Rovezzano o i Pini. — Villa dei Conti di Frassineto — È uno splendido luogo di villeggiatura nel quale le comodità e l’eleganza della vita moderna si associano ai ricordi ed alle tradizioni di un passato ricco di memorie importanti. In origine fu una delle preferite fra le case da signore che, sparse in varie contrade della Toscana, erano possedute dalla famiglia Cerchi, la quale ebbe tanta parte in quelle lotte delle frazioni che le procurarono esilii, confische di beni e rovine d’interessi. Un ramo de’ Cerchi, che per godere i pubblici uffici, rinunziò all’antico titolo di grandi ed al cognome, facendosi di popolo e chiamandosi Riccardi, fu quello che possedette la villa de’ Pini, così detta forse dagli alti pini che le procuravano ombre gradite. L’ebbero i Cerchi fino al giorno 2 aprile del 1493 in cui Andreuola donna fu di Francesco de’ Cerchi e Ludovico di lei figlio la venderono a Barlolommeo di Lionardo Bartolini.

Zanobi Bartolini, amantissimo dell’arte, l’ebbe carissima e dal suo architetto favorito, Baccio d’Agnolo, al quale già aveva fatto edificare il palazzo in Piazza di S. Trinità ed il casino in Valfonda, la fece completamente ricostruire. Egli l'adornò di molte opere d’arte e di ricche decorazioni e per la parte di legname si valse, come dice il Vasari, dal valentissimo intarsiatore Nanni Unghero.

I Bartolini Salimbeni possedettero la villa fino al secolo ora scorso; ma dell’aspetto dell’antica villa, che vedesi riprodotta nella collezione d’incisioni dello Zocchi, non [p. 14 modifica]restano più tracce, dopo la riduzione fattane dai Principi Ponìatowsky che la possedettero vario tempo.

La Baronessa Fiorella Favard de l’Anglade che la comprò per sua dimora, la fece nuovamente trasformare e le dette un carattere di sontuosa modernità. Circonda la villa un parco o giardino bellissimo nel quale s’inalza la bella e grandiosa cappella costruita dall’Architetto Giuseppe Poggi e adorna di sculture di Giovanni Duprè e di pitture di Annibale Gatti.

Nell’ampio possesso dei Conti di Frassineto, annesso alla villa de’ Pini, sono comprese diverse ville di antica origine Il Palagio, che fu dei Particini, dei Teri, poi dei Fabbrini - la Palazzina già de’ Bartolini Salimbeni - la 'Vergine delle Monache delle Poverine - il Fossato dei Gondi ecc. Nel popolo di S. Michele a Rovezzano, oltre a quelle già indicate, si trovano altre ville che meritano uno speciale ricordo.

Montajone. - Villa Barbetti. — Fu una delle numerose case da signore che i Tedaldi possedettero attorno a Rovezzano. Da loro passò alla metà del XV secolo nei Mannelli e Alessandro di Lionardo la vendè nel 1507 a Carlo di Niccolò de’ Libri. Passò nel 1573 per dote d’Isabella in Anton Francesco Serragli e nel 1648 a’dì 8 aprile andò in possesso della Congregazione di S. Filippo Neri come erede universale di Giuliano di Giuliano Serragli. Coll’eredità del Serragli i PP. Filippini rifecero le chiese di S. Firenze e dell’Oratorio e la facciata elegantissima del loro convento. Non tennero però lungamente questa villa, che venderono poco dopo a Niccolò d’Alessandro Pucci i discendenti del quale la possedevano anche nel secolo scorso.

Querceto. - Villa Tanagli — Era della famiglia Corsi e Bernardo di Bartolo la vendè nel 1592 a Fabio d’Antonio Segni del Lion Nero. Nel XVII secolo pervenne nei Marchesi Incontri. È una bella villa situata in felicissima situazione sulla pendice del colle di Settignano.

Gli Allori. - Casa Strozzi- Sacrati — Situata presso il torrente Mensola, fu già bella villa della famiglia [p. 15 modifica]Tedaldi che la possedeva alla fine del XIV secolo. Per eredità della madre Cassandra vedova di Muzio Tedaldi, passò ai primi del XVII secolo in Francesco Maria di Cosimo Dieciajuti il quale la rivendè nel 1635 al Senatore Amerigo di Piero Strozzi. La famiglia, che la possiede tuttora, la ridusse a casa colonica che però conserva tuttora l’antico carattere di villa.

S. Andrea a Rovezzano. — Anche questa chiesa d’origine antichissima ha subito la sorte, quasi comune a gran parte di quella della campagna, di trasformazioni moderne che le hanno tolto ogni traccia della struttura originaria. Si dice che fin dall’VIII secolo fosse qui un piccolo oratorio sul quale venne eretta la chiesa. Il patronato di lei spettò a diverse famiglie: nel 1353 un Noferi Bellini del popolo di S. Pier Maggiore ne dona parte a Piero di Filippo degli Albizzi; nel 1373 è diviso fra gli Albizzi i Sassolini e i Monti. Oggi spetta ai Guicciardini, ai Del Monte ed ai Pucci.

In fatto di opere d’arte, ecco ciò che vi si trova d’importante: una tavola bizantina del XIII secolo colla Madonna e il bambino, uno squisito bassorilievo di terracotta invetriata colla Vergine che sostiene il bambino Gesù il quale sta cogliendo un giglio, opera della maniera di Luca Della Lobbia, un busto di S. Giovannino, terracotta colorita del XV secolo, un monumento sepolcrale con testa di bassorilievo, la data 1443 e il nome dell’artista Pierone Bartoli, una statuetta di Nostra Donna col bambino Gesù in braccio e l'iscrizione Di Piero di Bartolo Charcolli (Gargiolli?) di Fiesole.1


[p. 16 modifica]Tabernacoli. — Sulla via Aretina è un grandioso tabernacolo

o maestà tutto adorno d’affreschi che ha nella parete di fondo la Madonna, il bambino, S. Pietro e S. Giovanni Battista. Ha un iscrizione colla data 1408. Gli affreschi sono attribuiti a Niccolò di Piero Gerini discepolo dei Gaddi. Un altro tabernacolo è sopra ad un piazzaletto, lungo la stessa via. Contiene un affresco colla Madonna, Gesù bambino e S. Giovannino, opera della maniera di Andrea Del Sarto.

Il Palagio, poi Loretino. - Villa Withby — Era in tempi lontani il palagio di campagna dei Tedaldini, famiglia che ebbe un giorno grande potenza in Firenze, ma che militando nel partito ghibellino, subi la confisca de’ beni e dovette andare esule dalla patria. I Tedaldini ebbero palazzi e torre in Firenze dove fu poi istituito il celebre Studio Fiorentino. Ai primi del XV secolo, appartenne ad una famiglia Besi del gonfalone del Lion Nero, poi passò ai Pandolfini e nel 1451 l’acquistarono i Balducci. Ritornò nel 1497 per ragioni dotali in casa Pandolfini col matrimonio di Ginevra di Filippo Balducci con Bonaccorso Pandolfini, ma dopo la morte di Ginevra passò indivisa nelle famiglie Balducci, Buglietti e De’ Libri dalle quali a’ primi del XVI secolo l’acquistò Giuliano di Francesco Franceschi.

I Franceschi la ricostruirono e vi eressero una cappella dedicata alla Madonna di Loreto, donde derivò alla villa il nome di Loretino. Dettero i Franceschi ne’ possessi annessi alla villa grande sviluppo alla cultura delle vigne e vi piantarono, primi in Toscana, i maglioli dell’aleatico.

Dai Franceschi passò nel XIX secolo agli Stiozzi-Ridolfi e poi ai Della Ripa.

Montalbano o Rocca Tedalda. — Sopra un monticello che sporge verso l’Arno e che domina la strada Aretina che vi passa sotto, s’inalza un grandioso edifizio che ha l’aspetto e le forme d’un antico castello. La ricostruzione è moderna; ma fin da tempo remoto su quell’altura verdeggiante sorgeva un fortilizio chiamato castello di Montalbano o pure Rocca Tedalda, perchè posseduto appunto -dai Tedaldi, potente famiglia fiorentina d’origine fiesolana. [p. 17 modifica]Grandioso ed elegante al tempo stesso era quel fortilizio, tanto che il Divin Michelangiolo lo teneva in gran pregio e suoleva dire che Montalbano era uno dei più bei castelli che egli avesse veduto.

Fin che il castello fu della famiglia Tedaldi, essa ebbe cura di conservarlo e di riparare ai guasti del tempo, ma nel 1538, quando Bartolo Tedaldi con testamento del 22 novembre, ne lasciò la metà alla chiesa di S. Andrea a Rovezzano, vennero i tempi tristi per la Rocca. L’altra metà nel XVIII secolo pervenne nei Morelli, ma la suddivisione in due proprietà non era troppo propizia al mantenimento di Montalbano che cominciava già a cadere in rovina. L’erudito Gamurrini, descrive lo stato in cui trovavasi la Rocca Tedalda, quando la ebbero i Morelli ed io riporto testualmente le parole di lui.

«Quando passò a’ Morelli aveva un pratello quadrato sostenuto da muraglia merlata che serviva di basamento particolarmente dal lato di ponente. A mezzogiorno aveva un prolungato torrione al basso fortificato da barbacani, coronato in alto da galleria merlata. Altra più piccola torre sorgeva da settentrione ed a questa attestava l’intermedio corpo della fabbrica nel centro dominato da una terza torre più elevata dell’altra. Posteriore all’antica costruzione del castello era un basso fortilizio che vi attestava a settentrione e l’aspetto di tutto il fabbricato coronato di merli e interrotto da torri era grave ed imponente.»

Col volger degli anni, alcune parti dell’edifizio caddero in rovina, altre furono modificate per adattarle agli usi moderni, talché alla vecchia rocca non rimasero che le mura perimetrali, rafforzate da robusti barbacani, de’ torrioni scapezzati e dei tratti di fabbrica mascherati dall’intonaco dipinto di un antipatico colore giallognolo.

Ridotto a semplice e modesta villa, Montalbano appartenne modernamente ai Della Ripa, ai Conti Ludolf, ai Bolla. Il Comm. Bolla la fece restituire all’aspetto primitivo di castello, sulla scorta delle molte tracce rimesse in vista e dell’accurata descrizione del Gamurrini.

Oggi è di proprietà della famiglia Monzani. [p. 18 modifica]Podere della Fornace. - Villa Cerretelli. — Piccola, ma antica villa posta sulla strada, era una dipendenza della vicina Rocca Tedalda e fu de’ Tedaldi. Nel 1654 il Marchese Mario di Bartolo Tedaldi la lasciò alla nipote Piccarda Donati moglie del Senatore Angiolo Acciajuoli. Da lei passò nel 1666 in eredità ai Frescobaldi che la possedettero fino a pochi anni addietro.

Girone. — L’ampia curva a guisa di voluta che l’Arno descrive staccandosi dalla base de’ poggi di Villamagna e dell’Incontro per avvicinarsi a quelli della riva opposta, dette fin da tempo remoto il nome di Girone a questa località, al piccolo borgo, ad un antica chiesa ed al poggio sovrastante ohe si chiama appunto Monte Girone.

S. Iacopo a Girone. — Piccola chiesa di forma antichissima colle mura di filaretto, fu già parrocchia e ne ebbe il patronato fino dal XIV secolo la famiglia Donati che aveva molti beni in questa località. Oggi è un oratorio annesso della parrocchia di S. Pietro a Quintole. Nell’interno, completamente rimodernato, esiste una tavola di maniera bizantina colla Madonna e il bambino Gesù ed in alto le due figurette dell’Annunziazione.

Gualchiere di Girone. — In quel tratto di piano compreso entro la curva del fiume è il villaggio della Gualchiere dove sono dei mulini appartenenti alla Camera di Commercio, come erede dei beni dell’Arte della Lana. Cotesti mulini servivano in antico ad uso di gualchiere ed appartenevano alla famiglia Albizzi fino dai primi del XV secolo

La Martellina. - Casa Galli e Bianchi. — Fu qui una villa che la famiglia de’ Bardi possedeva fino da tempo remoto. Nel 1470 passò per dote in casa Serristori e poi nei Fortini dai quali la comprava nel 1564 lo Spedale di S. Maria Nuova. In quel tempo la casa era «arsa e scoperta».

Girone o Pian di Girone. - Casa Testa. — Nel 1384 era di Antonio di Bartolo de’ Bardi; nel secolo successivo fu dei Cini e nel XVII dei Boncinelli.

Poggiolo o Girone. - Villa Testa. — Era una casa da signore della famiglia Manovelli del gonfalone Unicorno [p. 19 modifica]la quale la tenne fino al XVII secolo. Dopo l’ebbero i Landini che la possedettero per oltre due secoli.

Via di Terenzano. — Dal borghetto di Girone, le cui case insieme ad una taverna appartennero tutte nel XVII secolo ai Landini, muove una stradella che passando dalla località detta Monte Girone conduce a Terenzano e alle ville sparse su quella collina.

Le Palaje o Monte Girone. - Villa Catelani — Di questa località si hanno ricordi importanti e antichissimi. Sorgeva nel luogo dell'attual villa un cassero o castello a guardia della strada Sottoposta e si chiamava Monte Filippi. Nel 1260 apparteneva a Guido Guerra ed a Selvatico de’ conti Guidi in danno dei quali fu distrutto dai Ghibellini quando tornarono vittoriosi da Montaperti. Nel secolo successivo era ridotto a casa da signore dalla famiglia de’ Gualterotti che la possedette fino a che non si trovò impoverita da disastri commerciali. Cosimo I dei Medici Granduca di Toscana la comprò dai sindaci di Lorenzo Gualterotti e nel 1560 la regalò insieme a diversi poderi a Sforza di Vincenzo Almeni di Perugia, suo coppiere e soprattutto suo favorito, quell'infelice Sforza Almeni che per segrete ragioni non mai chiarite, fu dal Granduca stesso ucciso in un impeto d’ira.

Passata nelle figlie di Sforza, Faustina e Violante, la villa andò nel 1597 in proprietà del Cav. Iacopo d’Offredo OfFredi, marito di quest’ultima, il quale la rivendè nel 1619 a Cammillo Della Nave. Nel 1679 passò nei Vitolini, nel 1718 nei Nardi e poi nel Capitolo di S. Lorenzo di Firenze.

Monte Girone. - Villa Bruno — Anche questa villa ben fabbricata e situata in ridentissima posizione, è d’antica origine e fu pure dei Gualterotti. Nel XV secolo la possedevano i Nasi, una delle più ricche e più potenti famiglie d’Oltrarno, la quale la tenne per oltre due secoli. Nel XVII secolo la comprarono i Durazzini, dai quali passò nel 1679 nei Pistoiesi. Nel 1750 fu comprata da Moisè Velo di Malachia israelita e per un secolo passò in diverse famiglie appartenenti a quella religione: ai Pegna nel [p. 20 modifica]1759, poi ai Raffael, quindi ai Finzi di Livorno e finalmente agli Alcaique; dai quali l’acquistò in seguito il Cav. Catanzano Santini per rivenderla all’attual proprietario Sig. Bruno.

S. Martino a Terenzano. — È la chiesa parrocchiale d’un antico popolo, sparso su di un colle ubertosissimo che si collega con quelli di Settignano e di Pontanico.

A Terenzano nacque nel 1492 Simone Mosca figlio di Francesco di Simone Delle Pecore, più tardi detto Moschini, scultore ed architetto che lavorò a Roma, a Perugia, a Loreto, ad Arezzo a Pisa e ad Orvieto dove morì nel 1558 e fu sepolto nella cattedrale.

La chiesa di S. Martino conserva, tanto all’esterno che all’interno qualche traccia della sua antica costruzione ed è assai ricca di opere d’arte di notevole importanza.

Ai lati dell’altar maggiore sono due trittici con decorazioni di rilievo in terracotta che racchiudono degli affreschi di fattura alquanto rozza, della scuola dei Gaddi

In uno è la Vergine col bambino ed i Santi Lorenzo e Iacopo; nell’altro è la Maddalena fra S. Giovambattista e S. Martino Vescovo. Di massimo interesse è un’ancóna, oggi scomposta, che ha nella tavola centrale la Vergine col bambino e nelle altre quattro le mezze figure di S. Martino, S. Lorenzo, S. Gregorio Magno e S. Genoveffa.

Da una iscrizione che rimane al disotto delle diverse tavole, si rileva come l’ancóna sia opera di Lorenzo di Niccolò valente maestro fiorentino che operò fra gli ultimi del XIV e i primi anni del XV secolo e del quale si conservano solo poche altre opere certe, come un ancóna a S. Domenico di Cortona ed una tavola a S. Leonardo in Arcetri2.

Altre cinque tavolette che costituivano pure un’ancóna d’epoca e di fattura alquanto anteriore, sono pure in sagrestia, dove si conservano altresì una tavola colle figure dei Santi Giovanni Battista, Lorenzo e Martino opere dei


[p. 21 modifica]primi del xv secolo ed una croce processionale di rame dello stesso tempo. Sull’altar maggiore è un crocifisso di legno attribuito a Giambologna.

Nel territorio della parrocchia, oltre a quelle rammentate, sono altre antiche ville.

Palagetto. - Villa Maiorfi — Fu in origine della famiglia Fortini che in Firenze aveva le sue case presso al Canto alle Rondini e nel 1227 era d’Andrea di Lando Fortini. Nel 1562 da Cipriano di Girolamo Fortini l’acquistò Girolamo d’Alessandro Del Soldato il quale la rivendè nel 1574 a Girolamo e Iacopo di Francesco Quaratesi. Nel 1733, dopo la morte del Cav. Girolamo di Giuseppe Quaratesi, il possesso del Palagetto toccò in eredità a parecchie sue sorelle ed in seguito a patti conclusi fra di esse, ne divenne padrona Giulia moglie del Conte Iacopo figlio del Generale Cammillo Guidi. Poco dopo si sostituì nel possesso Ottavia del Cav. Girolamo Quaratesi moglie di Girolamo Baldelli, la quale lo vendè nel 1744 alle Monache di S. Maria Maddalena de’ Pazzi. Dopo la soppressione, la villa col podere venne affittata e nel 1870 la comprava il Cav. Iacopo Piccinetti dal quale è pervenuta per eredità nel proprietario attuale Dott. Gino Majorfi.

La Rosa o la Chiesa. - Casa Mari. — Ridotta a casa colonica, essa conserva però nella sua struttura i caratteri di una bella villa medievale con portico sorretto da robusti pilastri ottagoni. Fin dal XIV secolo era casa da signore della famiglia Gherardini del gonfalone Vajo. Nel 1419 nel giorno di Pasqua, Francesco di Taddeo Gherardini che era Priore Proposto della Signoria, ricevette in S. Maria del Fiore Papa Martino V il quale gli donò la rosa d’oro che egli portò a palazzo stando in mezzo a due cardinali.

Da quell’epoca, la famiglia di lui si chiamò de’ Gherardini della Rosa ed il nome di Rosa fu dato anche a questa loro villa per ricordo dell’avvenimento. Da Iacopo di Piero Gherardini la villa passò nel 1547 per sentenza del Podestà in Filippo d’Antonio Del Migliore e nel 1609 da un altro Filippo del Migliore canonico del Duomo la compravano le Monache della Crocetta che ridussero la villa a casa colonica. [p. 22 modifica]L’Olmo. -Villa Mari. — È di costruzione relativamente moderna. Era d’una famiglia Del Soldato e la comprò nel 1843 l’Avv. Adriano Mari che la fece restaurare poco dopo. È per questa villa un glorioso ricordo quello d’essere stata gradita dimora di Adriano Mari giureconsulto e patriotta insigne che ebbe l’onore di presiedere per molti anni il Parlamento nazionale.

La Selva a Terenzano. - Villa Masini. — Fu anch’essa casa da signore dei Gherardini della Rosa che dal XIV secolo la possedettero fino all’anno 1505, in cui Francesco di Piero la vendeva a Tommaso di Puccino Puccini. Nel 1650 passò per eredità a Gherardozzo e Ottaviano Bartoli figli di Virginia Puccini e due anni dopo la comprava il Cav. Gio. Battista Pandolfini. L’anno successivo acquistavala il Colonnello Miniato di Francesco Miniati i figli del quale la rivendevano nel 1677 a Marco di Francesco Settimanni. Questa famiglia la possedette fino a tempi relativamente moderni.

Bagazzano. - Villa Fabbri — Il nome di Bagazzano è proprio di una eminenza del poggio sul quale sorge la villa che ha aspetto assai grandioso e che conserva le tracce di ricche ed eleganti decorazioni. In antico era in quel luogo una casa turrita degli Alberti Ristori che fu distrutta dai Ghibellini dopo Montaperti. Ai primi del XV secolo la villa era di proprietà della famiglia Borghini dalla quale passò un secolo dopo nei Gualterotti consorti dei Bardi. Dai Sindaci di Lorenzo di Bartolommeo Gualterotti la comprava Alessandro di Chiarissimo appartenente ad uno dei tanti rami della famiglia Medici e fu durante il possesso de’ Medici, che la villa fu abbellita di quelle decorazioni che tutt’ora parzialmente si conservano. Nel 1753 la villa passò per compra nella famiglia Mannucci.

Tornando al borgo del Girone e proseguendo la via Aretina, si trova.

L’Anchetta o La Nave all'Anchetta — piccolo borgo fra Girone e Quintole, dove fin da tempo remoto è una nave o passo del fiume che collega questo luogo colla strada di Rignalla e di Rosano. [p. 23 modifica]Qui fu una casa che lo Spedale di S. Maria Nuova possedeva fino dal XV secolo e che vendè nel 1480 a Iacopo di Bartommeo da Girone per ricomprarla nel 1543.

Era pure in questo borgo un tabernacolo nel quale Andrea del Castagno aveva dipinto una Nostra Donna, ma ora non esiste più.

La famiglia Del Nero possedeva all’Anchetta una pescaja con un mulino.

S. Piero a Quintole. — Chiesa d’origine antichissima situata presso la riva dell’Arno e lungo la strada aretina. La località ebbe certo il nome di Quintole per essere a cinque miglia distante da Firenze. I Donati padroni di ville e di terreni all’intorno ne ebbero fin da tempo remoto il patronato. All’estinzione della famiglia, nacquero liti fra i Taddei ai quali Giovanni Donati aveva lasciato i diritti patronali ed i Frescobaldi figli di Piccarda di Giovanni, ultima dei Donati e la questione si chiuse con una sentenza dei 27 ottobre 1696 che riconosceva i diritti de’ Frescobaldi i quali conservano tuttora tale patronato, oggi diviso coi Torrigiani come eredi dei Del Nero.

Si veggono tuttora gli stemmi delle famiglie Donati e Frescobaldi sulla facciata di questa chiesa la quale trasformata più volte ha perduto ogni carattere d’antichità.

In essa è un elegantissimo ciborio di marmo colla data 1503 ragionevolmente attribuito a Mino da Fiesole e sull’altare a sinistra entrando, vedesi un quadro delle stimate di S. Francesco attribuito a Lodovico Cardi da Cigoli.

Nell’annessa Compagnia di S. Stefano è sull’altare una tavola colla Madonna che tiene in grembo il corpo del Redentore fra i santi Stefano e Pietro, opera di Francesco Granacci.

Delle ville di Quintole, diverse sono di origine antichissima ed appartennero a celebri famiglie e particolarmente ai Donati.

La Quercia. - Villa Vigezzi. — Fu uno dei più antichi possessi dei Donati che l’avevano già nel XIII secolo, quando venne quasi distrutto dai Ghibellini che tornavano [p. 24 modifica]vincitori da Montaperti. Alla metà del xv secolo, Ser Appollonio prete di S. Romolo di Firenze la vendeva a Giovanni di Alessandro Portinari insieme ad altri beni appartenenti a Manno Donati. I Portinari la lasciarono allo Spedale di S. Maria Nuova dal quale la prese a livello nel 1531 Giovanni di Pandolfo Pandolfini. Alla morte di lui tornò allo Spedale.

Palagiaccio già il Palagio. - Casa Vigezzi. — Fino ad una trentina d’anni addietro, sull’alto d’un colle dov’è oggi una casa colonica, sorgevano i ruderi di un edifizio d’antichissima costruzione. Era questo appunto un castelletto della famiglia Donati, uno dei due palagi nel popolo di Quintole che i Ghibellini distrussero dopo Montaperti in danno di Simone, Benso e Taddeo Donati. Nel 1320 Francesca Visdomini moglie d’Andrea di Taddeo Donati vendè metà del podere del Palagio a suo fratello Zanobi. Rassettato alla meglio, il vecchio palagio, servì più tardi di villa ad una famiglia Fumanti dalla quale passò nei Baldesi.

Fonte degli Asini. - Villa Baldini. — Fu fin da tempo remoto villa dalla famiglia Giuochi, dalla quale la comprò il 27 novembre 1496 lo Spedale di S. Maria Nuova al quale appartenne fino a tempi relativamente moderni.

Pian di Quintole. - Casa Pratesi — Era un altro possesso dei Donati, che Francesco di Taddeo vendè nel 1361 a Tuccio Del Bene. Nel XV secolo era dei Gherardini Della Rosa; dai quali passò nei Pitti e da questi nel XVII secolo nei Miniati. Nel 1726 dai Gatteschi l’ebbero i Pratesi.

La Rosa. - Villa dei PP. Scolopi. — Era un podere che faceva parte del precedente possesso e dove fu fabbricata dipoi una villa che nel XVII secolo era dei Miniati. Da loro la comprarono il 12 gennaio 1767 i Padri degli Scolopi ai quali appartiene tuttora.

Gualchiere di Quintole. — Anche presso Quintole, in una località che si diceva Castagneto, furono degli edifizj ad uso di mulini e gualchiere d’arte della Lana. Appartenevano ai Donati e dopo Montaperti vennero smantellati da’ Ghibellini. Nel 1344 parte di queste gualchiere con casa, gora e peschiere confinanti colla gora dei [p. - modifica] [p. - modifica]

[p. 25 modifica]Compiobbesi fu venduta da Francesco di Taddeo Donati a Nastasio di Buonaguida Tolosini.

Proseguendo il cammino, si giunge alla parte più moderna del borgo di Compiobbi, dove sono opifici messi in moto dall’antica gora ricordata e dov’é pure la Stazione ferroviaria di Compiobbi sulla linea Firenze-Roma.

Via di Pontanico. — Risalendo per un breve tratto il corso del torrente Zambra, oggi detto Sambre, che si scarica in Arno prima del borgo di Compiobbi, si giunge nel popolo di

Pontanico. — Vuole la tradizione che questo nome provenga da un antico ponte fabbricato dal console romano Sesto Anicio Probo. Il ponte a due archi che attraversa il torrente esiste sempre, per quanto restaurato più volte, ma la sua pila centrale si potrebbe ritenere come opera romana. Sempre secondo la tradizione, esisteva in una vicina altura anche un castello detto d’Anicio e difatti nel 1848 un fattore dei frati di S. Maria Novella rase al suolo dei grandi e solidi muraglioni di remota costruzione, ma che erano piuttosto resti di un edifizio del basso medioevo.

A Pontanico nacque 'Giuliano di Taddeo scultore che dopo la morte di Lorenzo Stagi proseguì a lavorare agli ornati di marmo del coro bellissimo della chiesa di S. Martino a Pietrasanta.

S. Maria a Pontanico. — Piccola chiesa modernamente rifatta e priva d’importanza artistica. Fino da tempo antico era di patronato della potente famiglia Compiobbesi, della quale si vede uno stemma del xiv secolo sulla facciata della canonica. Il quadro dell’altar maggiore è del Cav. Curradi e fu concesso alla chiesa dalle RR. Gallerie. Di oggetti d’un certo pregio sono da notarsi un ciborio di marmo del XV secolo ed una croce processionale di rame dello stesso secolo.

PajaticiCasa Mari, che sorge sopra ad un poggio dove esistevano i resti d’un antico edifizio. Fu villa dei Mancini, poi dei Magalotti e fece parte de’ beni del Priorato di S. Stefano fondato dal Senatore Ottavio Magalotti. [p. 26 modifica]Andò dipoi nei Nasi, quindi nei Frati di S. Maria Novella.

Romena di Sotto - Villa Manti. — Sorge in poggio alla sinistra del torrente Sambre e conserva tracce della antica e forte costruzione. Appartenne alla famiglia Da Romena venuta a Firenze dal celebre castello in Casentino e da esso le venne il nome di Romena di Sotto. Passò nel XVI secolo nei Landini che la venderono nel 1584 alla Badia di S. Martino in Campo. Da questa la presero a livello i Miniati e successivamente appartenne ai Berzini, al pittore Ferdinando Meus, ai Chilistani, ai Fabbrini, ai Piccinetti.

Basso. - Casa Pratesi. — Fu in antico dei Borghini, poi pervenne in possesso d’Antonio dell’Ammannato che la lasciò in eredità ai Gesuiti. Più tardi fu dei Miniati e dei Neroni di Nigi.

Ritornando al Ponte del Sambre si trova Compiobbi già Le Falle. — È un borgo che ha avuto un grande sviluppo ne’ tempi nostri e che è diventato un centro importante di commercio e di vitalità.

Il nome di Compiobbi gli viene dalla chiesa di S. Michele a Compiobbi che gli sorge di prospetto sull’opposta riva dell’Arno. In antico si diceva borgo delle Falle dal nome di un torrente che scende in Arno a breve distanza, ed anche del Ponte di Compiobbi.

Le poche case del borgo appartenevano un giorno quasi tutte alla famiglia Pazzi, padrona della vicina villa del Palagio o delle Falle. In questo borgo i Pazzi avevano fondato fino dal XV secolo due spedaletti per accogliere pellegrini e poveri viandanti, ed erano detti di S. Maria e di S. Filippo alle Falle. I possessi de’ Pazzi, compresi gli Spedali, passarono più tardi nei Guadagni.

Dal borgo di Compiobbi una strada conduce dopo un breve cammino alla chiesa parrocchiale di S. Donato a Torri. — La chiesa situata in collina, fra la valle dell’Arno e quella del torrente Zambra, è di remota origine e si chiamò anche S. Donato alle Falle. In antico, [p. 27 modifica]e ne abbiamo ricordo anche in un documento del 1395, essa era di patronato dei Donati e dei Compiobbesi, celebri e potenti famiglie che ebbero nelle vicinanze castelli, ville, mulini e beni di terra in gran copia. Come la maggior parte delle chiese di campagna, anche questa subì trasformazioni complete, talché oggi ha carattere moderno, nè serba tracce del suo originario aspetto. È ora di patronato Regio.

Palagio delle Falle. - Villa Di Colloredo. — Circondata da un ampio e bellissimo parco, sorge sulla cima di un piccolo colle questa villa che è certo una delle più grandiose e più eleganti de’ dintorni di Firenze. Oggi si chiama semplicemente le Falle dal nome di un vicino torrente: in antico si disse Palagio delle Falle.

In epoca remota fu qui un castelletto o casa turrita della famiglia Gubalducci, ma nel XIV secolo era già in possesso, con molti altri beni vicini, della celebre famiglia de’ Pazzi. Ma la fatale congiura contro Lorenzo e Giuliano de’ Medici, della quale furono promotori diversi di casa Pazzi, distrusse d’un tratto la potenza e la ricchezza di quella famiglia. Molti di essa furono uccisi a furia di popolo e tutti gli altri, meno pochi che alla congiura erano rimasti totalmente estranei, soffrirono l’esilio e la confisca de’ beni. In questi fu compreso il Palagio delle Falle, che era stato di Guglielmo De Pazzi e che passò sotto l’amministrazione degli Ufficiali de’ Ribelli. Nel 1539 Giovan Battista Nasi, dopo molte difficoltà e forse per il benevolo intervento di casa Medici, ottenne che gli fosse riconsegnato come dote di sua moglie Cammilla figlia d’Antonio di Guglielmo De Pazzi; ma lo tenne pochi mesi soltanto, perchè nell’anno successivo lo vendeva a Simone di Niccolò di Marco Del Nero. Il 9 agosto 1599, morta Lucrezia vedova di Simone Del Nero, passava nella figlia, Maria moglie di Alessandro di Filippo Guadagni e da quel tempo divenne proprietà di questa famiglia, la quale accrebbe successivamente in modo notevole il suo possesso coll’acquisto di varie ville e di molte terre vicine. I Guadagni pensarono subito a togliere l’antica villa de’ Pazzi dallo stato d’abbandono nel quale era rimasta [p. 28 modifica]per oltre un secolo e da Gherardo Silvani uno de’ più valenti architetti fiorentini della fine del XVI secolo, la fecero ricostruire di quella forma grandiosa ed elegante che tuttora conserva. Sorti anche migliori ebbe la villa delle Falle quando divenne proprietà del Cav. Priore Enrico Danti il quale nuovamente la restaurò e l’abbellì di viali, di giardini e d’un parco nel quale eresse un gran numero di edilizi di carattere differente e di aspetto elegante e fantastico.

Dal Cav. Danti l’ereditarono i Finetti e da questi passava di recente nel Conte di Colloredo Mels che ne è oggi proprietario.

Nella possessione delle Falle sono comprese diverse antiche ville oggi ridotte a case coloniche o da pigionali. Di queste indicheremo le più importanti:

Palagio a Torri che nel 1427 era di Antonio di Simone dell’Accorri de’ Pazzi, e che il Cav. Geri di Cammillo vendè nel 1611 ad Alessandro Guadagni;

La Torricina sopra le Falle, antica villa dei Neretti poi nel 1526 de’ Benci, quindi dei Guadagni.

Le Colombe che nel 1498 era di Brigida di Giovanni scalpellino, Ponte a Compiobbi villa già de’ Landini, Canneto dei Giuliani, Spedale delle Falle ecc.

Proseguendo a percorrere la via Aretina, la prima località importante che s’incontra è il

Borgo delle Sieci. — È un lungo e popolato caseggiato che ha preso in questi ultimi anni un notevole sviluppo per causa delle grandiose fornaci di laterizj che vennero istituite dal compianto Marchese Vittorio degli Albizi e che costituiscono oggi uno dei più importanti stabilimenti congeneri della Toscana.

Le Sieci prende nome dal torrente che scende dai monti che dividono il Valdarno dal Mugello, gettandosi in Arno all’estremità di questo borgo il quale costituisce ormai un insieme col villaggio di Remole. La famiglia Donati fu padrona di molte delle case del borgo, una delle quali serviva anche ai primi del XV secolo ad uso d’albergo. [p. 29 modifica]Remole. — Piccolo villaggio in antico, è oggi divenuto uno dei centri più popolosi e commercialmente più notevoli del Comune di Pontassieve, a cura del quale venne costruita in questa località una comoda e decorosa piazza.

Anche a tempo del governo della Repubblica, Remole ebbe non poca importanza per le gualchiere dell’arte della lana che, messe in movimento da un alta pescaja che attraversa il fiume, esistevano qui attorno, ed anche perchè vicino ad esso sorgevano vecchi castelli e ville grandiose in gran numero. Diverse potenti famiglie fiorentine possedettero case nel villaggio di Remole e soprattutto i Donati dei quali era un palazzo con torre, tuttora esistente, situato sulla riva dell’Arno. Ve n’ebbero ancora gli Adimari, i Caponsacchi, i Cerchi, i Da Filicaja, i Salterelli, i Guadagni, i Pazzi, i Lottini, i Fieravanti, gli Albizzi ecc.

Pieve di S. Giovanni Battista a Remole. — Chiesa di remota costruzione, era centro d’un vasto piviere che si estendeva sulle due sponde dell’Arno. Costruita a tre navate, di notevole ampiezza, essa ha subito tali trasformazioni che dell’originaria struttura non conserva traccia veruna. Nel coro dietro l’altar maggiore, è una tavola col Crocifisso fra la Vergine e S. Giovanni Battista, opera della maniera di Ridolfo del Ghirlandaio e sul secondo altare a destra entrando è un’altra tavola del XVI secolo colla Madonna in trono, il bambino e due angioli. In epoca non molto antica fu deturpata coll’aggiunta delle due figure men che mediocri di S. Domenico e S. Caterina. È degno di ricordo anche un ciborio di pietra di scuola settignanese.

A Remole fanno capo diverse strade che conducono a numerosi villaggi, a ville, a vecchi castelli che tutti meriterebbero speciali illustrazioni, se non ci trascinassero troppo oltre i confini che ci siamo imposti. Dobbiamo perciò limitarci a poche e sommarie indicazioni delle cose più interessanti.

Una via che segue il corso del torrente Sieci conduce al Mulino del Piovano volgarmente detto Mulino del Piano, villaggio abbastanza importante, dov’è la chiesa [p. 30 modifica]parrocchiale di S. Martino alle Sieci, ricostruita in epoca non lontana a forma di ottagono, la quale era nel XIII secolo di patronato dei Salterelli. Che il villaggio debba chiamarsi col primo, anziché col secondo dei due nomi si può affermare colla scorta dei campioni del Catasto dai quali risulta che la famiglia Falconieri possedeva qui nel 1427 un mulino detto del Piovano, perchè forse in origine apparteneva alla Pieve di Remole.

Diversi castelli sorgevano sull’alto de’ poggi vicini:

Trebbio che fu dei Pazzi è un bellissimo e ben conservato esempio di queste costruzioni medievali — Torre a Decimo che fu dei Salterelli e poi de’ Pazzi, serba tuttora interessanti resti della sua robusta costruzione; invece nessuna traccia rimane del Castello di S. Martino appartenuto fin da tempo remoto ai Guadagni.

Delle antiche chiese vicine è notevole la

Pieve di S. Andrea a Doccia di remota origine e di patronato fin dal mille de’ Vescovi Fiorentini, nella quale sono da ammirarsi una stupenda tavola della maniera del Botticelli ed un vaghissimo ciborio di terracotta di Giovanni Della Robbia.

Fra gli antichi palagi da signore che popolano i colli ed i poggi attorno a Remole merita speciale memoria,

Gricigliano - Villa Martelli — È una grandiosa costruzione alla quale le successive trasformazioni non hanno tolto affatto i caratteri di un antico castello cinto da mura e da fossi. Fin da tempi remoti fu dei Guadagni, dai quali passò nel XV secolo ai Capitani di Or S. Michele. Nel 1478 Niccolò d’Ugolino Martelli condusse a fitto perpetuo da que’ Capitani la villa con tre poderi per 100 fiorini di suggello e coll’annua corresponsione di 18 libbre di cera.

I Martelli restaurarono nel XVI secolo il cadente edifizio che abbellirono di comodità e di annessi e che posseggono tuttora.

Accenneremo ora così di volo ad altre fra le più importanti località delle vicinanze.

Poggio a Remole fu fin dal XV secolo sontuosa villa degli Albizi che la posseggono tuttora; Buonriposo fu villa degli Alberti e poi dei De Nobili; il Castellare fu [p. 31 modifica]possesso dei Da Filicaja; La Cerviosa palagio degli Agolanti nel XIV secolo, divenne villa dei Miniati; a Doccia ebbero ville i Guadagni e i Salterelli; a Quona fu il castello d’onde venne a Firenze la potente famiglia Da Quona, consorte dei Da Castiglionchio e dei Da Volognano; Tigliano fu casa da signore dei Lottini; Bossi dei Gucci e poi dei Gondi; Teano dei Benzi; Cerreto dei Del Rosso e poi de’ Libri.

La via prosegue poi fino a

Pontassieve — Popolosa, ampia e bella terra ebbe origine dal castelletto di Filicaja dal quale trasse nome una antica e potente famiglia fiorentina. Poi, l’importanza militare del luogo che dominava e sbarrava le vie della valle di Sieve e della valle dell’Arno, indussero la repubblica fiorentina a farne un forte e ben munito castello che divenuto sede di potesteria, raggiunse ben presto un ampio sviluppo. Oggi esso è sede di un vasto comune e centro importantissimo di commerci e d’industrie.




Note

  1. Il piccolo monumento ed il gruppo sono evidentemente della stessa mano; il primo è forse la tomba che l’artista scolpì per se stesso, come può far credere questa singolare iscrizione che vi è scolpita:

    A DÌ VIII APRILE
    FINÌ SUA VITA
    PIERONE VIRILE
    MCCCCXLIII

  2. L’iscrizione delle tavole è la seguente: Questa tavola a fatta fare Domenico Dell'aveduto per rimedio dell'anima sua e de' suoi discendenti — anni Domini MCCCCII del mese di giugno al tempo di Ser Piero — Lorenzo pinsit.