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I tre tiranni/Atto IV

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Atto IV

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Atto III Atto V
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ATTO IV

SCENA I

Filocrate viene a tre ore, accompagnato, per parlare a Lucia, la quale li dice, per consiglio di Fronesia, una gran villania; ed egli, per il non sperato tradimento, divien furioso.

Filocrate, Compagni, Fronesia, Lucia.

          Filocrate Fatevi qui da canto,
          appresso al muro, che non diam sospetto
          a chi passa; e guardate bene intorno,
          se vedeste qualcosa; e fate solo
          quel ch’io farei per voi.
          Compagni Si; va’ pur via.
          Non ho paura ch’abbiamo istasera
          a insanguinar le spade. Anzi, son certo
          che potrem far l’amore a la sicura,
          qui, con questi pilastri.
          Fronesia Hai gente teco?
          Filocrate Si ben.
          Fronesia Fatevi tutti insieme in qua.
          Filocrate Visch! Si vuol pure far desiderare.
          Or siam qui tutti.
          Fronesia Sta’, che vien. Son qui.
          Lucia Filocrate, odi. Tu hai fatto bene
          a venir qui stasera; che, in presenza
          di questi tuoi, voglio che interamente
          sappia l’animo mio: perché, forse
          con danno tuo, non cresca in quello errore

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          ove si bruttamente or sei perduto.
          Mi sono accorta del tuo scelerato
          e disonesto amore; e, se non fosse
          che a me starebbe mal che, per mio conto,
          venissero omicidii, non sarei
          tanto indugiata che di tale ardire
          fossi punito si come tu merti:
          che poco mi costava. Or questo è ’l tutto.
          Ti priego forte (e cosí ancor da parte
          di mia madre perché cognosce anch’ella
          l’animo tuo villano) che tu lasci
          fé ti rimanga di passar di qua
          ed al tutto ti levi de la mente
          di avermi piú per donna o per amica.
          E quando, seguitando la tua via,
          non faccia conto de le mie parole,
          jse ben sei un furfante, un sciagurato,
          farem che tu cognosca l’error tuo
          in qualche modo. E la cagion di questo,
          essendo un ladroncello come sei,
          meglio di me lo debbi saper tu,
          con questi tuoi; che volevate insieme
          menarmi via.
          Filocrate Che dici, Lucia cara?
          Odi. Hoti fatto forse dispiacere
          a venir qua? Non voglia usar tant’ira
          con me tuo servo.
          Lúcia Abbrevia queste ciance.
          Toglimiti dinanzi.
          Filocrate Ah scelerata!
          fonte di tradimenti! intero albergo
          d’iniquitá! femina ingrata e rea!
          insolente ubbriaca! Questo è quello
          che mi volevi dire, in ricompenso
          de le buone promesse che fino ora
          m’hai sempre dato? Ah sfacciata! che mai

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          ad alcun tenderai si fatte reti.
          Questo è ’l buon merto (ah scelerata Circe!)
          del mio servir? Lasciami, te ne priego,
          far si giusta vendetta e che tal peste
          toglia davanti a chi, non cognoscendo
          com’io fosse per essere ingannato...
          Lascia! lascia! che questo non è ’l primo.
          Non ti varranno...
          Compagni Resta! resta! sta’!
          Tienlo. Non odi? Toglili quell’arme.
          E che volevi far? Poco cervello!
          Pòrti con una...
          Filocrate Lascia, oimei!
          che vo’ sfondar quell’uscio e le fenestre.
          Stelle crudeli, e che vo’ far di questa
          mia vita? State un poco. Aimei! Son morto.
          Non mi menate via.
          Compagni Vien: non gridare. i
          Pigliai di lá. Su! Ben. Con manco strepito
          che si può. Zitto!
          Filocrate Taci, taci, taci!
          Leva, leva! Ognun corra ai malandrini.
          M’avete assassinato. Ah traditori!
          E dove mi portate? Lascia qui.
          Non è la tua. Non mi legate stretto,
          che non voglio fuggire. A le prigioni, ah?
          Morrò pur dunque, un tratto, e farò sazi
          quegli avoltori ch’entro il petto ogni ora
          pasco col core: anzi, una donna; io mento:
          una fera crudele. A quanto strazio
          m’hai riserbato, Amore? Anzi, son morto.
          Dico che no. Ah! Cecco di Bertella,
          aiutami, che sia scannato a brenti!
          E tu, Giannosso, che sia scorticato!
          Chi l’avria mai creduto? A questo modo
          mi lascian stracinare a la famiglia.

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          Dch! Lasciami spogliar; to’ questi panni;
          non li vo’ piú. Son diventato un altro.
          Voglio volar. Lasciami questo braccio,
          che mi vo’ gittar giú da quella torre.
          Odi, fratello. Dch! Va’ di’ a mia madre
          che or ora sono stato assassinato
          e che, s’io campo...
          Compagni Si, camperai bene.
          Non ti pigliar pensieri. Entriamo in casa.
          Poi che è cosi, facciam che si confessi
          anzi che venga a peggio.

SCENA II

Avendo sentito Pilastrino romore ne la strada, che erano i compagni di Filocrate che lo portavano a forza a casa, esce in camiscia fuori e fugge: dubbitando che non sia Listagiro preso da la giustizia.

Pilastrino

          Cacasangue!
          So che ho auto una vecchia paura!
          Parti che l’abbian preso? Addio, Listagiro.
          Sempre con gli scredenti si guadagna.
          Ha racconto la burla a mille frasche
          che l’avran poi tradito. Io vo’ fuggire.
          L’ho detto sempre ch’è stato uno scherzo
          che merita la forca; e che noi dica.
          Non ci vo’ piú pensare. Oh poverino!
          ch’era si destro! Io so che son saltato
          del letto senza mettermi il farsetto.
          S’io aspettava, mi ci avrebben còlto.
          Ma non sentii si presto quel romore
          ch’io me l’addovinai. Or che son fuora
          non dubbito di nulla. Voglio andare
          a casa di Crisaulo e, come è giorno,

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intenderem la cosa. Ma son certo
che ha bello e tratto: che ’l governatore,
pria mancherá la giustizia a se stessa,
ch’egli li manchi. Ma che indugio qui?
Non è tempo da starsi.

SCENA III

Artemona, parlando con Lucia, fa destramente offizio per Crisaulo: e, parlando poi con la madre, le dá intenzione che Crisaulo la sposerá.

Artemona, Lucia, Calonide.

Artemona Oh! Non pensare:
che lo vidi a la prima che tu eri
d’altro adirata. E però feci poca
stima de le parole, che altrimenti
non ci sarei tornata: che, dove uso,
son troppo avezza ad esser ben veduta
e accarezzata.
Lúcia E che vorresti mai?
che ti pigliassi in braccio e ti basciassi
com’un bambino? Tu sei troppa grande!
Eccoti qui de’ baci quanto vuoi.
Queste non son carezze?
Artemona Ah luce mia,
piú bella e risplendente d’ogni stella
e piú cortese di ciascuna donna!
Ho giá con tante donzelle par tue
praticato e mi par che a te ciascuna
ceda di tanto quanto al mio bel sole
cede, nel cielo, ogni stella minore.
Però non ti debbe esser meraviglia
s’un giovinetto, a la prima, si perde
in te e ti si dona; che, s’io voglio
dirti la veritá, come mi vedi,

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          son quasi innamorata anch’io di te.
          Foss’io pur uomo!
          Lúcia E perché? che faresti?
          Artemona Altra felicitá non vorrei al mondo
          ch’esserti appresso. Ma poi, quando io fosse,
          non vorresti vedermi.
          Lúcia Tu ti inganni.
          Fossi quel che volessi, non potrei
          se non esserti amica.
          Artemona Oh! Questo, fallo
          al tuo Crisaulo, ch’ornai sai pur certo
          quanto che t’ami; e l’avrai fatto a me,
          che t’amo pur di cuor. Ma voi fanciulle
          fate profession d’esser crudeli
          e di lasciar morir prima la gente
          che li porgessi aita d’un sol guardo
          o d’una paroletta; ma, nel fine,
          tornan sopra di voi: non me n’impaccio.
          Ma non è giá ’l dover chi tanto v’ama
          apprezzar cosí poco. Tieni a mente
          che al pentirci siam noi sempre le prime,
          come l’ultime a creder.
          Lúcia Non t’intendo.
          Parla piú chiaro.
          Artemona Io so che vuoi mostrare
          esser di tutte l’altre la piú savia
          e piú da ben.
          Lúcia Perché?
          Artemona Perché tu sola
          vuoi governarti al contrario de l’altre
          che non son manco belle o meno oneste
          che ti sia tu.
          Lúcia E in che?
          Artemona Dico che l’altre
          tutte fan buona cera a chi con vero
          veden che l’ami; e non è donna al mondo

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          che non abbia piacer d’essere amata,
          come tu mostri.
          Lúcia Io sono, in queste cose,
          nata troppo infelice e disgraziata.
          E però mi risolvo sempre mai,
          quanto potrò, fuggirle perché insieme
          fuggirò quei travagli e quelle pene
          che fanno altrui morire innanzi al tempo.
          Io l’ho provato e cognosco oramai
          quel ch ’è ’l cervel d’uno uomo.
          Artemona Tu mi strazi.
          Io priego Iddio che faccia, in penitenza
          di tanto mancamento, che tu pianga,
          un tratto, per qualcun, come or ne ridi:
          che forse allor mi terresti piú cara.
          Ecco tua madre. Voglio andar da lei.
          Come ne parlo piú...
          Lúcia Sta’: non andare.
          Quando tornerai in qua? verrai stasera?
          Non odi?
          Artemona S’io verrò, tu mi vedrai.
          Calonide, buon di.
          Calonide Dio ti contenti,
          Artemona Tu hai una buona cera.
          Buon prò ti faccia.
          Artemona Cosí dice ognuno.
          Ma non lo credo lor, che le mie gambe
          mi dicon quel ch’io son.
          Calonide Di’, per tua fé:
          come la fai con gli anni?
          Artemona Oh! bene, bene:
          che passan via che non li veggio a pena;
          e mi fan cosí buona compagnia
          ch’altro dolor non ho sempre nel cuore
          se non che non stan meco o ver, partiti,
          non ritornan mai piú.

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          Calonide Questo intraviene
          a tutti. Che hai di nuovo?
          Artemona Io ci ho sol questo
          (e son venuta a posta per saperne
          da te la veritá): ho inteso dire
          e’ hai spedito giá a fatto la faccenda
          di Lucia tua; benché non posso crederlo,
          per quel che mi dicesti ultimamente
          che non volevi farlo, inteso pure
          de la persona la condizion trista.
          E tanto piú ch’io dissi che quell’altro
          volea pensarci e che potrebbe stare,
          a quello ch’io vedeva, che, a la fine,
          se l’avesse sposata. Or ti risolvo
          ch’egli ’l fará. Se l’avessi giá data,
          fa’ ch’io lo sappi.
          Calonide Io te lo dissi, allora,
          che non s’è fatto nulla di Filocrate
          né s’è per far; che, se mi ritornasse
          carico d’oro, non glie la darei.
          Poi ti dico de l’altro: che non voglio
          v che noi pensiam tant’alto, perché poi
          non ci venisse come quella fola
          di colui che voleva andare in cielo
          con le penne di cera.
          Artemona Non fai nulla,
          se guardi a queste cose. Tu sei savia.
          Sappia pigliare il tempo: che i partiti
          sono oggi scarsi.
          Calonide Ascolta. Non vorrei
          che si dicesse, poi, che avessi fatto,
          per fargliela pigliar, qualche malia
          o qualche tratto che non fosse onesto;
          perché sa ben ciascun quanto in fra loro
          sono i gradi ineguali.
          Artemona Lascia a lui

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          pensare a questo; che a te non sta male,
          s’ei fosse ancor da piú. Fa’ che la sposi;
          e lascia dir ciascun.
          Calonide Di’ che mi parli
          e qualcosa sará. Ma voglio prima
          ben consigliarla.
          Artemona Questo fie ben fatto.
          Cosí son per ridirgli. Poi, dimane,
          vedrò che venga in qua.
          Calonide Come ti piace.
          Dch! prega Iddio per me che questa cosa
          si faccia, se fia il meglio.
          Artemona Sempre io ’l faccio.
          Calonide Piglia questi duo soldi.
          Artemona Dio vel meriti
          e san Francesco. Tu ci sei pur giunta!
          Non ti varrá il consiglio e l’orazioni,
          che l’avrai in barba. Bisogna cervello,
          in queste cose! Ora qui non manca altro
          se non ch’ei venga qua duo volte o tre
          e sappia governarsi. Io penso un tratto.
          Non passò ancor duo giorni.

SCENA IV

Filocrate, cognosciuto il suo errore, esce vestito di sacco predicando ed, in penitenza del suo fallo, dilibera andare a San Iacopo di Galizia; ed è da Pilastrino e Fileno beffato e straziato.

Filocrate vestito di sacco, Pilastrino, Fileno.

          Filocrate Troppo tardi,
          lasso! si grande errore ho cognosciuto.
          Noi, che siam nati a la gloria del cielo,
          lasciarsi al senso, che è de la ragione

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          nimico, involgere in si brutta vita!
          Divota gente, anime benedette,
          populo eletto, in fin che Dio ne lascia
          il tempo a farlo, tornate, vi priego,
          a penitenza. Riguardate tutte
          le cose inferiori; e troverete
          esser la corruzione e annullazione
          il fin di loro. Volgetevi poi
          a le parti de l’anima; e vedrete,
          con ragioni e per pruova, essere eterna
          fatta da Dio sol perché fosse erede
          del ben suo eterno. .
          Pilastrino Ecco! Ve’ un nuovo pazzo!
          Fileno! Da poi che ’l mondo fu, fu pien di matti,
          da que’ duo primi matti. Or tutti quanti
          par che d’ogni paese piovin qui
          per influsso di cieli.
          Pilastrino Quanta gente
          li corre dietro! Mi fa ricordare
          quando la Mannarona uscia di casa.
          Dch! che possiate diventar civette!
          Guarda che furia!
          Fileno Mi par di cognoscerlo:
          e non so dove mi possa aver visto
          questo birbon.
          Filocrate Miseri a voi! Che vale
          a tal felicitade esser chiamati,
          se, a forza poi de lo stimul migliore,
          fate insieme mortai l’anima e ’l corpo
          come le bestie?
          Fileno Certo, io lo cognosco;
          e non saprei dir come.
          Pilastrino Potria stare.
          È un di questi che, con bullettini
          ed altre truffane c’han sempre seco,
          cercan del mondo. Oh! Se non par Filocrate!

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          Guardalo ben. Quel che toglieva Lúcia.
          Che ti par? non è desso? Io ho a morire,
          tanto ne godo!
          Fileno Non può anch’essere altri.
          Oh pazzarone! E che è stato questo?
          Accostiamci ancor noi.
          Filocrate Io non posso altro
          se non, andando per il mondo a sempre
          sopportar caldo, freddo, fame e sete
          e fatiche e passar tra gl’infideli
          predicando la fede e sol per zelo
          di caritá morir, pregar per voi
          il Signore ed ancor per ciascun altro
          che è fuor di strada.
          Pilastrino E che! Non è gran cosa!
          Questi non fu mai savio. Oh! co! ahuè!
          Sta’ fermo qui.
          Fileno Che porchitá è la tua?
          Che aspetti? Tu lo guardi cosí forte,
          o Pilastrin?
          Pilastrino Lo voglio affigurare.
          Li vo’ toccar la man, che siam parenti.
          Filocrate crestoso, hai pur rubbato
          la spoglia d’un saccone? e t’hai con essa
          vestito? A questo estremo di prudenza
          t’han pur condotto i tuoi ruvidi amori?
          Guarda che cera! Non pare il legato
          de la peste e la fame?
          Filocrate Va’, fratello,
          a la tua via: se pur non vuoi venire
          di compagnia a visitare il corpo
          del baron di Galizia.
          Pilastrino Oh spennacchiato!
          Chi vuol venire a venderci cristei!
          Di’, malandrino! E che non t’ha voluto
          aprir la porta, a quel che t’è incontrato

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          cosi brutto accidente? Oh! Sta’! Si, si.
          Or mi ricordo: l’ha giá rotta seco.
          Non li volse rispondere. A la fede,
          che de’ volere andare al prete Ianni,
          per intronato, in su quella galea
          che s’ha da armar di frati, artieri e pazzi.
          E debbe anco aver buona provigione,
          per portar la semente degli sciochi
          che a lor parrá gran cosa: che la nostra
          nasce di qua, senza esser coltivata,
          ne le case, ne’ muri e ne la rena,
          come fa la bacicchia. Toh poltrone!
          Ve’ se non fa ’l piagnon, che sia scannato
          da le zenzale! Non so che mi tiene
          che non ti peli quella barba schifa
          e lorda.
          Filocrate Dio ti dia cognoscimento,
          pazienza a me; poi che m’ha fatto degno
          de la sua grazia.
          Pilastrino Dio ti dia ’l mal anno
          e la pasqua peggior, ladroncellaccio!
          Son piú omo da ben che non sei tu.
          Che si, se m’accaneggi, ciarlatano,
          la farem con le pugna!
          Fileno Ah! Discrizione!
          È troppo, Pilastrin: lascialo stare.
          Togliamcene, piú presto, un poco spasso.
          Filocrate «Apparecchiate la strada al Signore»,
          diceva il gran Battista nel diserto,
          per convertire ogni selvaggio core
          e, con la penitenza, farne aperto
          il buon sentier che giá l’antica gente
          chiuso n’avea facendol duro ed erto.
          Quale è donna di voi che non si pente
          e non rompe nel cor durezza tanta
          ch’altrui in vecchiezza poi suol far dolente?

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          Rompete il ghiaccio che d’intorno ammanta
          i freddi petti; e di pietá s’accenda
          l’alma, ch’Amor vi faccia lieta e santa.
          Ma veggio che convien che altra via prenda;
          che M predicar fra duri sassi e tigre
          non è possibil che mai frutto renda.
          Alme gentil, non siate al ben far pigre.
          Pilastrino Guarda se ’l cielo è giusto! Io so che questi,
          tra ’l non aver danari e tra l’amore,
          si trova fatto, e in cosí poco tempo,
          uomo da ben. Ghiottone, scelerato,
          e’ hai qui gabbato il boia che a la forca
          t’aspettava col diavolo! Or vuoi andare
          per il mondo e gabbar Domeneddio
          e gli uomini?
          Fileno Troppo è; lascialo andare.
          Che pensi guadagnar da un simil pazzo?
          Torniamo in piazza.
          Pilastrino Non ti potrei dire
          che voglia m’è venuto in cima a l’unghie
          di dare a sto poltron pien di peccati
          una man di punzoni! Ma non voglio,
          ora che sono acconcio, ruinarmi.
          Vedi Amoraccio! Parti che sia un putto
          o pure un gran signor? Parti che sappia,
          quando ci ha sotto i piedi, arragazzarci
          e farci gioco al vulgo? I premi, poi,
          son le crocce, la paglia e ’l boccalone.
          Ecco Artemona. Addio.
          Fileno Va’ pure. Amore?
          Certo, non veggio in questa nostra vita
          pazzia piú chiara o vergogna e ruina
          piú evidente. E, per gli uomini savi,
          s’avria solo a fuggir la dolce entrata:
          che, come ci siam dentro, è poi l’uscita
          assai piú stretta ed erta che non fu

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          quella del laberinto. Che di questo
          alcun non n’usci mai per forza o ingegno
          di filo o di spaghetti.

SCENA V

Artemona, parlando con Pilastrino, mostra averli racconto l’ofnzio che ha fatto per Crisaulo e quello che ha pensato perché egli fra poco ottenga, come si vedrá. E, in questo, Pilastrino le narra tutti li accidenti del suo amore che sono circa il mangiare e il bere.

Pilastrino, Artemona.

          Pilastrino Sai per sette.
          Sempre ho sperato in te.
          Artemona Ornai la cosa
          passa per i suoi pie.
          Pilastrino Saresti donna
          da governare Stati. Ma vorrei,
          quand’hai guarito tutti gli altri amori,
          che dessi ancor qualche rimedio al mio
          a cui fei don di me fin ne le fasce;
          ed è quel che mi strugge e fa beato
          solo a pensarvi.
          Artemona Fa’ ch’io sappia il tutto
          e lascia fare a me.
          Pilastrino È un gran signore:
          ch’altro che di pensier la vita nostra
          nutrisce; ed a sua posta la dilegua,
          mal grado nostro.
          Artemona Seguita, ch’io t’ho...
          Pilastrino Non è ’l mio, come il loro, una fraschetta
          che non vede e non ode e porta l’ali
          per fuggirli di man, quando gli ha dato
          qualche percossa; né porta saette
          o dardi da impiagar; né a’ suoi suggetti

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          porge se no piacere; e dentro ai petti
          non mette fuochi o fiamme; anzi, egli stesso
          le vuol soffrir, per non le dare a noi.
          Cosí le morti, i martiri e i dolori,
          per dar vita a noi altri, egli sopporta:
          onde, s’io l’amo!
          Artemona Non dir piú: t’ho inteso, u
          Il tuo amore è ’l boccale.
          Pilastrino Tu l’hai detto:
          con la minestra e la carne e la torta
          e tutti gli animai, gli uccelli e pesci
          e ancor con tutte le manifatture
          de l’arte di cucina. Parti ch’abbia
          perduto il senno, come soglion gli altri
          innamorati?
          Artemona Tu sei troppo savio.
          Ne son teco, di questo. A dire il vero,
          io truovo un gran piacere nel mangiare
          e nel ber ben.
          Pilastrino Perché tu hai cervello.
          Uno ignorante non sappria parlarne.
          Questo è l’amor divino che i dottori
          dicon ch ’è cosí santo.
          lRTEMONA. Di’, di grazia:
          che, se fosse cosi, vorrei provare
          a fargli qualche voto.
          LASTRiNO. Vorrei dirti
          prima l’antica sua genealogia.
          Ma saria cosa lunga.
          lRTEMONA. E come è fatto?
          di cera?
          LASTRiNO. Non ne vidi mai ritratto:
          come intraviene ancor di molti idii
          che fanno il grande e non si mostran mai
          in forma alcuna. Ma, se noi vogliamo
          far giudizio di lui come si debbe,

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          lo trovarem cosí dolce e soave
          e si perfetto che giudicherai
          ch’in ciel sia la sua sedia sopra Giove,
          non che a quel loro, ch’è lá sii un ragazzo,
          uno schiavetto.
          Artemona Non si può dir contra.
          Pilastrino Se non fosse un noioso, un fottivento,
          non faria quel che fa. Se fosse grande
          nel ciel, coni’ essi dicon, non sarebbe
          ingiusto, instabil, fraudulente, iniquo,
          micidial. Ma fa un ritratto a punto
          da quel ch’egli è. Non troverai solo uno
          che si doglia del nostro e si lamenti
          ch’egli li strazi: come sempre loro,
          con tanti pianti.
          Artemona Si; ma quando, poi,
          siam ben pasciuti, in noi manca l’amore
          e ’l desiderio de la cosa amata.
          Ed in loro è il contrario.
          Pilastrino E cosí in me:
          perché son com’un sacco senza fondo;
          . che, se ’l Ren fosse vino o ver minestra,
          io mi torrei a sorbirlo tutto a un fiato
          a la tedesca.
          Artemona E come a la tedesca?
          Pilastrino Non m’hai veduto mai bere a la botte,
          pisciando a un tempo? che, in un sesto d’ora,
          ne bevrò tanto che a l’uscir lo vedi
          negro come a l’entrare. A queste sere,
          con un soldato che m’alloggia in casa
          vinsi, giuocando a questo, dieci corbe
          d’un buon trebbian.
          Artemona Debbe essere un bel giuoco.
          Ma ’l vino è troppo caro. Oh bella cosa!
          Almen non s’ha passioni, in questo amore,
          né pianti né sospiri.
          i

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          Pilastrino Sento tutto
          appunto come loro: benché mai
          non abbia auto voglia di morire,
          com’ogni or dicon essi.
          Artemona Di’: in che modo?
          Pilastrino Prima, non è mai stato al mondo alcuno
          verso l’amata sua si forte acceso
          quanto son io: perché, se è il lor d’un mese,
          d’un anno o dieci, io giá son quaranta anni
          che lo portai del corpo di mia madre;
          perché nacqui con esso e i nostri antichi
          tutti, in millanta gradi, sono stati
          perduti in questo.
          Artemona Questo ornai si sa.
          Pilastrino E benché, qualche volta, di goderla
          abbia qualche contento, provo spesso
          l’amare pene, gli affanni, i martiri,
          i travagli e l’angosce, che, non solo
          non prova innamorato, ma pur donna,
          s’è sopra a parto, non gli sente tali,
          quando ne sto, da poi ch’è giorno, un’ora
          senza entrare in cantina.
          Artemona Io te lo credo.
          Pilastrino Le contentezze, le beatitudini
          e le gioie e i piacer gusto ne l’anima,
          e nel corpo a un tempo, quand’io vado
          a mangiar con qualcuno ove si trovi
          la mia padrona.
          Artemona Questi son buon punti.
          Mi pari un Salamon. Saresti buono
          a leggerne in iscranna.
          Pilastrino E poi le fiamme
          ardenti, che loro han sempre nel cuore,
          sent’io spesso per tutto e, qualche volta,
          in modo ch’io ne sudo e bagno tutta
          la camiscia e le brache, quando posso

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          pigliar, sotto le volte, al magazzino,
          la grazia di san Paulo con quel greco
          ch’io bevvi l’altra sera.
          Artemona E, per ventura,
          debbi veder tutti quegli animali,
          aspiti, bisce, tarantole e serpi,
          come se fossi in banco.
          Pilastrino Bene spesso.
          M’agghiaccio, poi, e m’affreddo e mi risolvo
          come la neve al foco e al vento nebbia,
          s’io sto, l’inverno, che non magni sempre
          e mi scaldi col vino.
          Artemona Siam piú d’uno.
          Pilastrino Io, finalmente, come fanno loro,
          esco di me, divento furioso,
          divento povero e cosí ridiculo.
          Ed in questo ho avantaggio: ch’essi cercano,
          con ogni studio, per la cosa amata
          (il che il piú de le volte gli intraviene),
          venir mendici; io sono stato sempre
          e, s’io non era savio, sarei ancora
          per l’avenire. E in tutte queste cose
          sento dolcezza. E tanto piú, se sono
          in quelle fiamme, in quei caldi che pare
          che ’l mondo giri. E talor veggio i cieli
          aperti tutti, com’un frate santo,
          e gli angeli suonare. Io canto e ballo.
          E poi mi par ch’io cado giú a ruina
          in un rio fresco fresco che talvolta
          (ti dico il ver) mi fa di contentezza
          pisciarmi sotto.
          Artemona Questo l’ho provato
          piú d’una volta anch’io; ma non vien da altro
          che bere il vin senz’acqua.
          Pilastrino Non fa male
          a chi v’è usato. Non vo’ dir de’ sogni,

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          che ne potrei contar piú di trecento
          millia novanta dodici. E ben spesso
          mi sogno: e poi, svegliato, mi ritrovo
          sotto una scala o in cánova o in cucina
          o sotto un desco; e poi non mi ricordo
          se andai la sera al letto o se vi fui
          portato da qualcuno. E si mi pare
          aver sognato le piú nuove cose
          del mondo! Cosí loro ancora abbracciano
          il loro amore in sogno e di poi, desti,
          non fan che lamentarsi. Dice l’uno:
          — Beato insogno! — e, di languir contento,
          d’abbracciar l’ombre e imbrattar le lenzuola
          d’un dolce pianto...
          Artemona Ah! ca! A quanti intraviene!
          Pilastrino Dunque non mento. L’altro chiama il cielo
          crudel che in quella tanta dolcitudine
          non l’ha fatto morire o ver concesso
          di non destarsi mai. Cosí face’ io,
          se mi truovo, in quel sogno, ben pasciuto.
          Allor vorrei che ’l mondo stesse sempre
          in quello stato. Ma poi, come indugio
          ogni poco, incomincio a sentir dentro
          gli asprissimi dolori de la fame:
          ond’io mi adiro e squarto e maledico;
          e, se pur sono in luogo che non possa
          farlo forte a mio modo, da me dico
          la messa piana, come ne l’incanto
          faceva Girifalco. Ma vo’ dirti.
          Sento un sonno assalirmi che non posso
          tener piú gli occhi aperti.
          Artemona Si: t’ho inteso.
          Va’ dormi; n’hai bisogno. Io ’l vidi al primo,
          ch’era cotto a l’usato.

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SCENA VI

Crisaulo, avendo parlato con Calonide, le promette ultimamente di sposar la figliuola e si fa conceder da lei di dirle duo parole: le quali, come poi si vedrá, fúrno di sorte che egli ottenne per quelle, la sera medesima, quanto desiderava.

Crisaulo, Calonide.

          Crisaulo Io ti ringrazio
          de l’affezion. Ma vegnamo a la fine.
          Piú volte abbiam parlato; e cosí Artemona
          t’ha detto la mia mente. Or ti concludo,
          e dico espresso, se ne sei contenta,
          ch’io sono in ogni modo risoluto
          | di tórla per mia donna e di sposarla:
          che altro non truovo, al fine, in questo mondo
          che contentarsi; e so che può di lei
          contentarsi ciascuno.
          Calonide Io t’avea dato,
          figliuol, tempo tre giorni, che potessi
          pensarvi bene; perché queste cose
          so come vanno e questo grande amore
          I non dura sempre. Ma, poi ch’in te veggio
          cosi gran desiderio, non mi pare
          di poterti mancar; ma ben cognosco
          quanto sconvenga a te tórre una donna
          si poverina.
          Crisaulo Queste son parole.
          Piú robba o manco, non ne faccio stima;
          che le ricchezze e i ben de la fortuna,
          per se istessi, non dan nobiltá.
          Cerco una donna che sia ricca e nobile
          di costumi e virtú; di che son certo
          quant’ella è ben dotata. Ma vo’ prima

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          che mi conceda (pure in tua presenza)
          ch’or io le dica qui sol duo parole;
          perché voglio saper ben la sua mente
          prima ch’altro si faccia.
          Calonide È bene onesto.
          Crisaulo Potrai star tu da canto; ed io da lei
          vo’ quest’ultimo si: poi, fra duo giorni,
          farem le nozze.
          Calonide Ti vo’ contentare.
          Ma promettimi, prima, non dire altro
          che cosa onesta.
          Crisaulo Hai in me si poca fede?
          Calonide Orsú! Entra in casa.

SCENA VII

Timaro va a dimandar Pilastrino a casa sua per farlo venir da Crisaulo; e lo truova dormendo ed, a la fine, lo mena. E Crisaulo li ordina che debbi render la robba sua a Girifalco: il che egli, per non poter fare altro, dopo alcune contese, pur si dispuone a fare

.

Timaro, Pilastrino, Crisaulo, Fileno.

          Timaro Olá! Non c’è nessuno?
          So ch’io gli sveglierò o che la porta
          anderá in terra.
          Pilastrino Chi è giú? Corri al fuoco,
          impazzato! Son fatte le limosine.
          Che cerchi tu?
          Timaro Non gridar di li, boia!
          Dch! scendi a basso.
          Pilastrino Tu vuoi pur la baia!
          Che dimandi? che vo’ tornare al letto.
          Che discrezione!
          Timaro Vedi u’ son condotto!
          Cerco di Pilastrin.
          Pilastrino Mi par che uccelli

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          la fava. Non mi batter piú la porta.
          Debbi essere ubbriaco.
          Timaro Apri qui, fiera!
          Ti taglierò un’orecchia.
          Pilastrino Questa volta,
          voglio che tenga di mula di medico
          cosi come sei bravo.
          Timaro Quello è desso;
          è Pilastrin. Parti che ha scelto l’ora
          di andare al letto? Mi bisogna averlo
          con le buone. Odi, o Pilastrin: ti prego;
          fatti fuori.
          Pilastrino Tu m’hai rotto la testa.
          Timaro Ascoltami. Crisaulo...
          Pilastrino Io non vi sono.
          Timaro ...ora t’aspetta a far colazion seco
          e ti vorria parlar.
          Pilastrino Si, si: è Timaro.
          Non t’aveva pur anco cognosciuto.
          Eccomi a te.
          Timaro Credo che, questa volta,
          ti parrá forse amara.
          Pilastrino Andiam pur via.
          Timaro Che cosa è di te tanto? Non possiamo
          giá piú vederti.
          Pilastrino Queste ghiottoncelle
          m’han cavato ’l cervel de la memoria
          in modo ch’io non posso piú, senz’esse,
          vivere un’ora.
          Timaro E che! Sei innamorato?
          Di’ il vero.
          Pilastrino Se sapessi come m’hanno
          concio! Non posso piú mangiare o bere,
          quand’io dormo; o dormir né chiuder occhi,
          mentre ch’io beo, se prima non è vóto
          il fiasco. E sento spesso tante pene

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          che mi stempero tutto; e, in quel, talora
          vado al luogo comune. E degli affanni
          non ti dico; perché ne porto addosso
          quanto un somaro, di quegli degli altri.
          Pensa de’ miei!
          Timaro Anche ti venga il grosso!
          Non puoi giá uscir di quello.
          Pilastrino Tu non credi,
          che abbi una innamorata?
          Timaro Si, lo credo,
          ch’abbi una sfondorata, che pur una
          n’è la tua Gnesa; che, in tutte le parti
          che fanno una plus quam perfetta lorda,
          port’essa la corona e non li manca
          se non esser fregiata in sul mostaccio.
          Ma a te piace cosi.
          Pilastrino Si! L’ho piú a noia...
          Ma ti ricordo che ’l venirmi incontra
          con le man piene...
          Timaro E che! Di palafreni?
          Pilastrino Di tanto, forse, che non hai nessuna
          che porga tanto a te.
          Timaro Gli è ragionevole
          che i belli sempre si faccin pagare.
          L’ordine è questo.
          Pilastrino Ma per te si guasta;
          che sei si bello e non v’è forse alcuna
          che ti voglia pagar!
          Timaro Bel non son io.
          Pilastrino Almanco tu ti tieni. E forse in modo
          che, qualche volta, se tu fossi appunto
          come ti tieni, faresti vergogna
          a Narciso; e per te morda, ogni giorno,
          un migliaio di donne; e si farebbe
          forse, ai lor prieghi, che fossi dannato
          a vita nel torrone.

[p. 276 modifica]

          Timaro Cianciatore!
          Di’ pur, ch’è l’arte tua. Ecco Crisaulo
          che torna anch’egli a casa.
          Pilastrino Ci ha veduti.
          Andiara da lui, che aspetta.
          Crisaulo . Ben venuto.
          Pilastrino Ben ti venga, poi e’ hai per me mandato
          perché merendi teco.
          Crisaulo Ascolta, prima,
          quello che t’ho da dir: poi, se vorrai,
          potrai mangiare.
          Pilastrino Oh! Se bevessi prima,
          t’ascolterei pur troppo volentieri
          e con pazienza.
          Crisaulo Orsú! Non mei far dire
          duo volte o tre.
          Pilastrino Di’ presto quel che vuoi.
          Crisaulo Tu ti sei governato in un tal modo
          di quel tuo tradimento che potresti
          essern’ancor pentito; e giá, fin ora,
          / saresti forse in man de la giustizia,
          se non fosse che t’hanno riguardato
          , sol per mio amore. Or lascia andar le ciance
          e fa’ che la sua robba torni a casa.
          Altrimenti ti dico che ’l maggiore
          nimico ch’abbi a aver voglio esser io.
          Ma non penso che manchi.
          Pilastrino Hai detto assai:
          ma non t’intendo.
          Crisaulo Ti farò sturare
          gli orecchi, per mia fé. Dico che ornai
          le tuoi ghiottonarie sono scoperte
          e che, se tu non rendi a Girifalco
          la robba sua, ti vo’ far pigliar io
          e darti a l’auditore.
          Pilastrino Oimè meschino!

[p. 277 modifica]

          Questa è la colazion che mi volevi
          dare? Oh che nuova acerba! Ma fa’ pure
          quel che ti par; che tu predichi, appunto
          come facea quell’altro, nel diserto.
          Che anzi voglio morir: ch’è meglio assai
          morir ricco che viver poi stentando
          in povertá. Non ne farem niente.
          Guarda la gamba, che mi lasci mettere
          nel giubbon del comune!
          Crisaulo Tienlo! piglia!
          Pigliatel presto, che ’l vo’ fare or ora
          appicar, cosí caldo, per la gola.
          È cotto, e vuol fuggire! È dato giú.
          Rimenatel pur qua.
          Fileno La lepre è giunta.
          E che volevi far cosí a fuggire?
          Sta’ pur, ch’io t’ho.
          Crisaulo Va’; corri al capitano,
          Timaro, da mia parte; e fa’ che mandi
          qui dieci sbirri, che li voglio dare
          uno assassino.
          Pilastrino Oimè ! Misericordia!
          Crisaulo Usarla in te sarebbe cosa iniqua:
          che sei un ladrone e non vuoi ra vederti.
          Sarai pagato adesso.
          Pilastrino Odi, Fileno?
          Dice che tu mi lasci. Non hai inteso?
          Lasciami, dico: sono ancor digiuno;
          voglio ire a casa.
          Fileno Anco a digiun potresti
          dar con le scarpe la benedizione.
          Sta’ pur qui fermo.
          Pilastrino Ti prego, Crisaulo.
          Dch! Non mi lasciar metter piú paura,
          che mi sento venir la febbre fredda.
          Manda a dir che non venga il capitano.

[p. 278 modifica]

          Ne li vo’ render parte.
          Crisaulo Tutti, tutti.
          Pensa se piacque a lui l’essergli tolti,
          quando è si grave a te, che gli hai rubbati,
          restituirgli!
          Pilastrino Mi farai morire
          coni’ un uom disperato. Se fai questo,
          non camperò duo di.
          Crisaulo Va’. Son contento.
          Porta qui tutto quello e’ hai del suo.
          Ed io, perché non mora, ti prometto
          di lasciartene il terzo; gli altri voglio
          rendergliel’io.
          Pilastrino Lo voglio fare, orsú!
          Che pure, in vero, non potrei tenergli
          senza peccato; e forse ancora, un tratto,
          glieli rendeva io istesso.
          Crisaulo Mal per lui,
          se stava a questo!