Melmoth o l'uomo errante/Volume II/Capitolo IV

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Volume II - Capitolo IV

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Charles Robert Maturin - Melmoth o l'uomo errante (1820)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1842)
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CAPITOLO IV.


Seguitai a correre fino a tanto che ebbi perduta la lena e le forze, senza rimarcare che io era entrato in un passaggio oscuro. Finalmente fui rattenuto da una porta contro la quale urtai, caddi; essa si aprì e mi trovai in una camera bassa ed oscura. Rialzandomi, giacchè era caduto bocconi, diedi un’occhiata intorno di me; vidi uno spettacolo tanto singolare, che la mia inquietudine, il mio spavento restarono [p. 60 modifica]per un momento sospesi. La camera era molto piccola e mi accorsi, che entrando non solo io aveva spezzata la porta, ma lacerata ancora una larga portiera, fra le cui pieghe mi poteva anco celare, se creduto lo avessi necessario. Nessuno era dentro la camera, e perciò ebbi tutto l’agio di considerarne il particolare mobiliamento.

In mezzo era una tavola coperta di un drappo, sul quale si vedeva collocato un vaso di una forma bizzarra ed un libro che io svolsi indarno senza poter leggerne una parola. Lo presi dunque per un libro di magia, e lo richiusi all’istante con un sentimento di orrore. Desso però non era, che un libro ebraico. Scorsi pure sulla tavola un coltello, ed al piede di quella era legato un gallo, le cui strida annunziavano la impazienza, che gli cagionava la sua catena. Cotesti preparativi mi parvero singolari, e non dubitai che egli non indicassero un prossimo sacrifizio; io fremetti e m’inviluppai nella portiera, che entrando io aveva [p. 61 modifica]lacerata. Una lampada, che spandeva una debolissima luce era sospesa al soffitto. Per mezzo di questa io vidi le cose, che ho descritte, e quelle che dirò in appresso. Un uomo di mezza età, ma di cui la fisonomia poteva sembrare rimarchevole, anco agli occhi di uno spagnuolo, per l’estrema nerezza delle sopracciglia, pel lungo naso, ed un certo lustro negli occhi entrò nella camera, si inginocchiò davanti alla tavola, baciò il libro, che vi era posato, e lesse alcune pagine, che io credetti dover precedere un qualche orribile sagrifizio. Esaminò in seguito se fosse ben affilato il coltello, si rimise in ginocchio, proferì alcune parole, che io non potei comprendere; e quindi gridò ad alta voce: Manasse-ben-Salomon! ma nessuno rispose. Egli sospirò, si pose la mano sulla fronte, come un uomo che dimanda perdono a sè medesimo di un involontario errore; in seguito pronunziò il nome di Antonio. Un giovinetto entrò immantinente, e disse: padre mio, mi avete chiamato? E nel terminar queste parole gettò [p. 62 modifica]uno sguardo di stupore sugli oggetti singolari, che riempievano la camera. Io ti ho chiamato, mio figlio, aggiunse il padre, perchè non mi hai tu risposto? — Io non vi aveva sentito, padre mio; cioè non credeva che aveste chiamato me. Aveva sentito un nome, del quale voi non vi eravate mai servito allorchè mi chiamavate. Subito che avete detto, Antonio, vi ho obbedito e sono venuto. — Ma l’altro nome è quello, sotto il quale d’ora innanzi sarai conosciuto da me, a meno che tu non ne preferisca un altro: io te ne lascio la scelta. — Caro padre, io adotterò il nome, che mi verrà da voi indicato. — No, la scelta del tuo nuovo nome deve dipendere da te. Fa d’uopo che per l’avvenire tu adotti il nome, col quale mi hai sentito chiamarti o un altro. — Quale, padre mio? — Quello di parricida.

Il giovanetto fremè d’orrore non tanto alle parole, quanto all’accento con cui furono pronunziate. Dopo aver guardato per qualche tempo suo padre con un esteriore inquieto e [p. 63 modifica]supplichevole si mise a piangere dirottamente. Il padre profittò del momento, e prendendo per un braccio il figlio gli disse: Io ti ho data la vita, figlio mio; da te dipende il ricompensarmi di questo benefizio; la mia è nelle tue mani. Tu mi credi cattolico: io ti ho allevato in questa religione, perchè la tua, e la mia vita ne dipendevano in un paese ove professando la nostra credenza saremmo periti ambedue. Io sono di quella razza sfortunata, dappertutto esecrata e maltrattata, quantunque il paese ingrato che pronunzia l’anatema su di noi debba alla nostra industria ed ai nostri talenti la maggior parte delle risorse della sua prosperità nazionale. Io sono un Giudeo, un Israelita.... Il giorno della tua nascita ti denominai Manassè-ben-Salomon. Io non so qual vana speranza mi aveva fatto oggi pensare, che tu riconosceresti cotesto nome. O mio caro figlio, non vorrai tu realizzare questo sogno? dimmi, non lo farai tu? Il Dio de’ tuoi padri ti attende per abbracciarti ed [p. 64 modifica]il tuo genitore è ai tuoi piedi, onde scongiurarti di seguire la fede di tuo padre Abramo, del profeta Mosè. Non odi tu la voce di tanti profeti che ti dicono di adorare come conviene il Dio de’ tuoi padri, il Dio de’ secoli, il Dio eterno del cielo e della terra?

A queste parole il giovinetto titubante, smarrito, e per nulla preparato a questa transizione istantanea dal Cattolicismo al giudaismo, struggevasi in pianto. Figlio, proseguì il vecchio, questo è il momento da deciderti, se vuoi continuare a vivere fra quelli che sono maledetti, nella legge di Mosè, ovvero arruolarti nel numero de’ fedeli che riposeranno nel seno d’Abramo, e vedranno gl’infedeli puniti tra le fiamme dell’inferno, ed invano supplicarti di apprestar loro una stilla d’acqua. Un simil quadro non ti eccita forse a doverla loro ricusare? — Io non la negherò loro, disse piangendo il giovanetto; darò loro le mie lagrime. — Serbale per la tomba di tuo padre, riprese il vecchio, per la tomba alla quale tu [p. 65 modifica]mi condanni. Io ho vissuto in mezzo a’ miei nemici ammassando, vegliando; temporizzando per cagion tua; ed ora, ora tu rigetti un Dio, che solo è capace di salvarti, ed un padre, che inginocchioni ti supplica ad accettare cotesta salute! No, io non la rigetto, rispose il giovane mezzo smarrito. — A che dunque ti decidi? Io sono a’ tuoi piedi per sapere la tua risoluzione. Guarda; i misteriosi istrumenti della tua iniziazione son pronti. Ecco pure il libro di Mosè, il profeta di Dio. Ecco tutti i preparativiper l’atto della espiazione. Risolvi di lasciarti consacrare a Dio con questo rito, ovvero prendi il padre tuo che ha posta la sua vita nelle tue mani, e trascinalo per la gola nelle prigioni della inquisizione. Io te lo permetto, tu lo puoi... lo vorrai tu?

Inginocchiato, tremante, il padre solleva le mani giunte verso il figlio. Io profittai del momento; la disperazione aveami renduto temerario. Uscii impetuosamente di dietro la portiera dove mi era celato ed esclamai. Se non vi accusa egli alla [p. 66 modifica]inquisizione, lo farò io; nel tempo medesimo caddi ai suoi piedi. Cotesto miscuglio di minaccia e di umiltà, il mio aspetto pallido, la mia veste inquisitoriale, la maniera con cui aveva io interrotta la conversazione tra padre figlio ricolmarono di orrore l’ebreo, il quale mi rialzò da terra dove io era caduto per ispossatezza; ed io aggiunsi: sì, vi denunzierò alla inquisizione quando voi non permettiate di mettermi al coperto dei suoi colpi.

L’ebreo gettò uno sguardo sulle mie vesti, e comprese al tempo stesso il suo e mio pericolo; e con una presenza di spirito, che non si potrebbe rinvenire, se non in una persona fortemente commossa dall’idea di un pressantissimo pericolo, affrettossi ad allontanare ad un tempo stesso le tracce del suo sacrifizio espiatorio e delle vesti, che io indossava. Nell’istante medesimo chiamò Rebecca perchè venisse a tor via i vasi che erano sulla tavola, disse ad Antonio di sortire dalla camera, ed affrettarsi a coprirmi con un abito, [p. 67 modifica]che cavo fuori da un guarda-roba, ove probabilmente era stato da più secoli rinserrato. Quello che io portava mi fu tolto con tanta prestezza, che ne rimasero alcune piccole striscie. La scena, che seguì fu in parte spaventevole, in parte ridicola. Una vecchia ebrea per nome Rebecca rispose alle sue grida e comparve, ma vedendo un estraneo ritrasse il piede tremando, intanto che il vecchio, che non sapeva cosa si facesse invano seguitava a chiamarla col suo nome cristiano Maria. Costretto a levar la tavola da sè medesimo, la rovesciò, e schiacciò la zampa dell’animale, che per prender parte al trambusto generale si mise a stridere in una maniera insopportabile. Il vecchio per farlo tacere diede di piglio al coltello, e dopo aver proferite alcune parole tagliò la gola al gallo. Ma ad un tratto spaventato all’idea di aver pubblicamente dichiarata la sua credenza, si assise, e con un rispetto turbato mi dimandò il motivo per cui io mi era degnato di visitare la sua umile dimora. [p. 68 modifica]

Io non era meno turbato di lui, e quantunque parlassimo ambedue lo stesso linguaggio, noi avremmo avuto bisogno per qualche tempo di un interpetre. Alla fine però c’intendemmo, e dopo un’ora mi vidi abbigliato d’un vestimento convenevole, e mi assisi avanti una mensa ben guarnita. Sorvegliato dal mio nemico, io sorvegliava lui ancora; egli però aveva più ragione di temere, e ciò per molte ragioni; era ebreo e dimorava in Ispagna; tradiva la Chiesa avendo cercato di fare di suo figlio un proselita. Io non era, che un fuggitivo delle prigioni della inquisizione; perciò il tutto ben considerato, la mia posizione era molto più favorevole della sua. L’ebreo mi trattò coerentemente alla nostra vicendevole posizione, ma io non attribuii la sua condotta, se non al timore che egli aveva della inquisizione.

In quella notte io dormii, ma non saprei dirvi come nè dove: il mio sonno fu interrotto da sogni, e da visioni, delle quali non saprei rendervi conto. Più volte ho interrogata la [p. 69 modifica]mia memoria sulla prima notte che passai in casa dell’ebreo, ma nulla ho potuto rinvenirvi, se non che la mia ragione era onninamente forviata. Solo mi risovviene, che mi fece salire per una scala molto stretta; che egli mi guidava col lume alla mano, ed io lo andava interrogando, se mi faceva discendere le scale, che conducevano alle prigioni della inquisizione; in quanto alle giornate seguenti non ho potuto conservare nessuna rimembranza.

Dopo alcuni giorni però il vecchio cominciò a trovare che il suo attuale riposo gli costava un poco troppo caro per l’incarico di un commensale di più, e di un commensale che aveva perduta la ragione. Egli profittò del primo lucido intervallo per farmelo intendere, e per dimandarmi cosa io risolvessi di fare e dove contassi d’andare. Cotesta interrogazione mi fece per la prima volta risvegliare l’idea dell’avvenire terribile e privo d’ogni speranza, che mi si parava innanzi. In tutta la Spagna io non aveva un palmo di terra ove restare, [p. 70 modifica]una risorsa di guadagnarmi il vitto, una mano da stringere, un’amico da salutare, un tetto sotto cui riposare. Oltre a ciò mi sarebbe stato impossibile di viver celato, a meno di non volermi condannare ad una reclusione tanto stretta, quanto quella d’onde mi era riuscito di fuggire; e se per miracolo avessi potuto trovare il mezzo di uscire dal regno di Spagna non avrei neppure un giorno potuto sussistere in paese straniero, di cui ignorava gli usi e il linguaggio, e privo d’ogni mezzo da guadagnarmi la vita. Non credo che vi potesse essere situazione peggiore della mia in quel tempo; nelle prigioni della inquisizione almeno io apparteneva ad alcuno; era guardato e sorvegliato; ed ora era il rifiuto di tutta la terra, e versava delle lagrime di dolore e di dispetto pensando alla immensità del deserto, che doveva traversare.

L’ebreo usciva di casa tutti i giorni per raccoglier notizie: una sera ritornò con una espressione tale di contento, che io immaginai che si fosse [p. 71 modifica]tranquillizzato sul conto proprio e mio. Mi annunziò che per tutta Madrid erasi divulgata la nuova che io era perito nell’incendio. L’allegrezza del mio ospite rendendolo comunicativo mi annunziò, che in quella sera medesima vi doveva essere una processione solenne, e la più bella, che si fosse mai veduta. Il Sant-Uffizio doveva comparire in tutta la pompa e la pienezza della sua gloria, e tutti gli ordini regolari avrebbero dovuto accompagnarlo sotto i loro proprii stendardi. Una numerosa guardia militare accompagnerebbe e proteggerebbe insieme il corteggio, e vi si troverebbe radunata tutta la popolazione della capitale. Il fine di cotesta processione era di rendersi alla Chiesa principale per umiliarsi avanti a Dio, e supplicarlo di allontanare in avvenire tali flagelli.

La sera si approssimava: l’ebreo mi abbandonò, ed io spinto da un movimento, di cui non vi saprei render ragione, salii all’appartamento più alto della casa, da dove con un cuor palpitante ascoltai il suono del [p. 72 modifica]le campane, che annunziavano prossima la cerimonia. Nella camera ove mi portai non v’era che una finestra, ed essendomi collocato dietro una portiera, che di tempo in tempo tirava, distinsi perfettamente tutto lo spettacolo. La casa era situata su di una piazza per la quale doveva passare la processione, ed era tanto piena di gente, che io non poteva concepire, come la comitiva avrebbe potuto traversarla. Finalmente la processione cominciò a comparire da lontano, e farsi vedere allo splendore delle torcie accese; perchè si faceva di botte per renderne l’effetto più imponente. Ad un tratto vidi la moititudine aprirsi, ed avanzare il sacro corteggio, simile ad un fiume maestoso, rinchiuso tra due sponde di popolo, che rimaneva ad una distanza fissa, come se fossero state due muraglie. Io ammirava estatico quel superbo spettacolo, quando in un subito fra la moltitudine si suscitò un forte tumulto. Mi affacciai, ed allo splendore di mille cerei accesi osservai in mezzo ad un gruppo di [p. 73 modifica]persone addette al Sant’Uffizio, raccolte intorno al gonfalone, che precedeva la comitiva, osservai, dissi, l’aspetto del compagno della mia fuga. La fama del suo delitto erasi sparsa dappertutto, ed egli era generalmente conosciuto. Sulle prime incominciarono ad udirsi alcuni fischi sordi, i quali furono accompagnati da un movimento, soffocato sì, ma pieno di orrore. Poco dopo cominciai ad udire delle voci che uscivano di mezzo alla moltitudine e dicevano a che serve cotesta processione? Perchè dimandare la cagione dell’incendio ed il motivo per cui la santa Vergine ha ritirata la sua protezione dal Sant-Uffizio? I santi rivolgono da noi i loro sguardi... e ce ne dobbiamo forse maravigliare, quando un parricida si vede frammisto ai familiari della inquisizione? Le mani che hanno tolta la vita ad un padre sono elleno degne di portare lo stendardo della croce?

Queste parole pronunziate sulle prime da un piccol numero di voci, circolarono a poco a poco fra tutti gli [p. 74 modifica]spettatori. La processione ciò non ostante procedeva, ed a misura che la croce, avanzavasi, tutti piegavano a terra le ginocchia. Ma il trambusto andava crescendo, e le parole parricida, profanazione, vittima si facevano sentire da tutte le parti, ed anco dalla bocca di quelli che stavano genuflessi. Gli ecclesiastici conservarono per qualche tempo tutto il loro sangue freddo e fermezza, ma tra non molto il tumulto crebbe a segno, che coloro fra essi, che precedevano furono obbligati ad arrestarsi; questo fu il segnale della scena terribile, che seguì. Un uffiziale, che faceva parte della scorta si avvicinò al grande-inquisitore, e lo prevenne del pericolo da cui era minacciato; questi però gli rispose laconicamente; che la croce bastava per difendere ivi del signore. Il giovine uffiziale allora impaziente alla vista di questa apatia risalì sul cavallo, dal quale per rispetto era disceso, ed all’istante medesimo una pietra lo colpì in una tempia. Egli rivolse gli occhi insanguinati verso l’inquisitore e.... morì. [p. 75 modifica]La moltitudine gettò delle alte grida, e si andava sempre più ristringendo; le sue intenzioni non erano che troppo manifeste; desse affollavasi sempre più dalla parte ove era la vittima. I militari rinnuovarono le loro istanze, se non per respingere il popolaccio, almeno per proteggere la ritirata dell’oggetto odiato in qualche chiesa vicina. L’infelice accorgendosi egli medesimo del pericolo, che lo minacciava uni le sue preghiere alle loro. Il grande inquisitore impallidì; ma persistette nella sua risoluzione; e prendendo in mano il crocifisso: Ecco, disse, le mie armi: vi inibisco di trar fuori una spada, o di scaricar colpo di fucile. Avanzate in nome di Dio.

Essi si provarono di fatto ad eseguire il comando, ma la calca si fece tanto spessa, che fu impossibile di muovere un passo. Il popolaccio non avendo nulla a temere per parte dei militari ruppe ogni sorta di freno; gli ecclesiastici pieni di confusione, e di terrore si ristringevano gli uni contro degli altri. In quella gran [p. 76 modifica]massa, di cui la minima parte sembrava essere in tumulto ed in moto, non vi aveva che un solo impulso forte ed energico; quello cioè che si sforzava di fare una porzione della folla direttamente verso la parte, ove la vittima quantunque inviluppata, e difesa da tutto ciò che il potere spirituale, e temporale hanno di più rispettabile, la croce cioè e la spada, se ne stava tremando fino nel fondo dell’anima. Il grande inquisitore si accorse, ma troppo tardi, dello sbaglio, che aveva commesso; chiamò i militari, e loro ordinò di respingere la folla. Dessi si sforzarono ad obbedire, ma trovandosi frammisti col popolo non poterono più serbar ordine nelle loro file, e d’altronde i soldati sembravano fino dal primo momento poco disposti a secondare le vedute de’ loro capi. Si provarono a caricare, ma frammezzo al popolo, che si attaccava ai loro cavalli, non poterono neppure ordinarsi in battaglia; ed il primo trarre di pietre li pose in un completo disordine. Le voci soffocate di un piccol numero [p. 77 modifica]era divenuto il grido universale di tutti: Datecelo nelle mani; lo vogliamo nelle mani; e mentre favellavano così si innalzavano gli uni sugli altri come i flutti, che in tempo di una tempesta attaccano un naviglio che sia rimasto arrenato.

Quando i soldati si furono ritirati il misero era circondato da un numero di ecclesiastici, i quali con una disperazione generosa si esposero al furore della concitata moltitudine. Il grande inquisitore si affrettò ancor egli a recarsi al punto minacciato, e si pose alla loro testa tenendo innalzata la croce. Egli aveva in volto il pallor della morte, ma l’occhio nulla aveva perduto della sua vivacità. Tutto però fu indarno. Il popolo procedeva con calma, ed anco con rispetto quando non gli si faceva resistenza; desso prendeva cura principalmente di non far male agli ecclesiastici, che erano obbligati a respingerlo, e non cessava di dimandar loro perdono della violenza, di cui si rendevan colpevoli. Cotesta tranquillità rendeva la vendetta [p. 78 modifica]tanto più terribile, perchè era argomento certissimo, che nulla avrebbela soddisfatta, se non quando fosse pervenuta al suo intento. L’ultima barriera fu alla fine superata, e nessuno oppose più resistenza. Con delle grida, simili a quelle che avrebbero potuto mandare mille tigri riunite, la vittima fu presa e trascinata in avanti. Essa teneva con ambe le mani l’estremità delle vesti di quelli ai quali indarno erasi attaccata, e nella impotenza della disperazione si teneva innanzi al volto i lembi delle loro vesti come per servirsene di un inutile scudo. Le grida cessarono per un momento, allorquando cioè si furono renduti padroni dell’oggetto che perseguitavano e poterono considerarlo con occhi avidi di vendetta; presto però ricominciarono e con esse il sanguinoso sagrifizio. L’infelice fu precipitato contro il suolo e quindi sollevato e gettato in aria; in seguito incominciarono a slanciarselo da uno all’altro, siccome il toro con le sue corna lancia in aria il cane, che urla e si dibatte invano. Coperto di [p. 79 modifica]sangue, sfigurato, imbrattato di fango, e tutto pesto dai colpi di pietre, egli lottava e ruggiva in mezzo di codeste bestie feroci fino a tanto che innalzossi un unanime grido, il quale fece sperare, che una scena così orribile agli occhi della umanità, avrebbe tantosto il suo termine. I militari avendo ricevuto un rinforzo arrivarono a gran galoppo; intanto che tutti gli ecclesiastici, con le vesti lacere e con i cerei e le aste spezzati formavano come la retroguardia, ed erano tutti ansanti di difendere la causa della umanità, e d’impedire che una simile disgrazia imbrattasse il nome cristiano e la natura umana.

Ma ahimè! la loro interposizione non fece se non accelerare la catastrofe. Io vidi, io sentii, ma mi è impossibile descrivervi, signore, gli ultimi momenti di quella tanto orribile scena. Trascinato pel fango e sulle vive pietre, lanciarono un ammasso di carne tutto ammaccato e pesto contro la porta della casa, in cui io mi trovava. La lingua gli sortiva dalla lacera bocca: uno degli occhi [p. 80 modifica]uscito della sua orbità gli pendeva sulla guancia intrisa di sangue. Non aveva egli un membro che non fosse spezzato, una parte di corpo, che non fosse ricoperta di ferite, ed in questo miserabile stato l’infelice non cessava di gridare ad alta voce: la vita! la vita! misericordia! fino a tanto che una pietra lanciata da una mano più umana delle altre gli tolse il sentimento della misera sua esistenza.

Frattanto la cavalleria avanzava; la moltitudine sazia di crudeltà e di sangue cedette immersa in un triste silenzio. L’uffiziale che comandava il distaccamento dimandò ove fosse la vittima: sotto i piedi del vostro cavallo, gli rispose una voce. Rivolse egli a terra lo sguardo e vide in realtà un informe e sanguinoso ammasso, sopra del quale era passato il cavallo.

Testimone della orribile esecuzione, posso assicurarvi, signore che provai tutti gli effetti, che ordinariamente si vogliono attribuire alla fascinazione. Sulle prime fremetti, ma [p. 81 modifica]quando vidi lanciare contro la porta il corpo dell’infelice moribondo feci eco alle grida della moltitudine con una specie d’istinto selvaggio. Quindi dimandai misericordia e la vita col misero che era in cotal guisa straziato, e nel mentre che io gridava scorsi una persona fra la moltitudine fissare lo sguardo sopra di me ed immantinente ritirarsi. Lo splendore de’ suoi occhi, sul quale io non poteva illudermi, non produsse in me verun effetto; ma la mia esistenza era divenuta così macchinale, che senza riflettere al pericolo, cui mi esponeva, rimasi alla finestra, non potendo fare un passo per allontanarmi, ed aprendo gli occhi, mio malgrado, per contemplare ciò che seguiva innanzi a me, come Regolo, il quale privo delle pupille era forzato a sostenere lo splendore de’ raggi del sole.

L’ebreo, che era stato assente per tutto il corso della notte, quando fu di ritorno ricolmossi di orrore alla vista dello stato in cui mi trovò; io era in delirio e non ostante tutto ciò che egli potè fare o dire, nessuna [p. 82 modifica]cosa fu capace a calmarmi. Se però la mia immaginazione era stata fortemente colpita, il terrore dell’ebreo non fu meno grande del mio. Egli obbliò ad un tratto i nomi cristiani co’ quali chiamava gl’individui della sua piccola famiglia dal momento che era andato a stabilirsi a Madrid, e chiamò ad alta voce il suo figlio Manassè-ben Salomon e la sua serva Rebecca perchè venissero ad aiutarlo per sorreggermi, e andava esclamando: o padre Abramo, la mia rovina è indubitata; cotesto demente scoprirà tutto, e Manassè-ben-Salomon mio figlio morrà incirconciso! Coteste parole fecero dell’effetto sul mio delirio; mi alzai furioso ed afferrandolo per la gola dissi, che egli era prigioniero della inquisizione. Il misero oppresso dal terrore cadde alle mie ginocchia, ed incominciò a fare un lamentevole e strano piangisteo. Ad un tratto si sentì picchiar con forza alla porta; il vecchio disse a Rebecca di correre, ed impedire che nessuno entrasse, perchè temeva che fossero i birri, che venissero in traccia di lui. [p. 83 modifica]Rebecca fece quanto potè per opporre della resistenza; mai i colpi raddoppiarono, e la porta non tardò a cedere. L’ebreo tremante si vide perduto, ma fu ben tosto rassicurato vedendo entrare due suoi confratelli, i quali, a quanto sembrava, avevano qualche straordinario motivo di venire ad un’ora sì indebita.

Quando l’ebreo gli ebbe veduti mi abbandonò, e messo il chiavistello alla porta d’ingresso, entrò nella sua camera, e rimase con essi a colloquio per una buona porzione della notte. Qualunque fosse il genere della loro conversazione lasciò sulla fisonomia del mio ospite tracce tanto marcate d’una viva inquietudine, che erano ancor visibili la susseguente mattina. Egli sortì di buon’ora e ritornò molto tardi; appena giunto si recò al piccolo appartamento, che io occupava, e dimostrò la più viva consolazione nel vedermi tranquillo e ritornato alla ragione. Ordinò che si recassero, e ponessero sulla tavola de’ candelieri accessi, inviò Rebecca, e chiuse diligentemente l’usciale: in [p. 84 modifica]seguito feci alcuni giri su e giù per la camera, tossì e sputò, e non fu se non dopo tutti questi preparativi, che si decise finalmente a porsi a sedere e confidarmi la causa del suo turbamento, al quale mi accorsi purtroppo di avere una parte. Mi disse dunque, che quantunque la fama della mia morte sì generalmente divulgata in Madrid lo avesse pel momento tranquillizzato, una nuova voce erasi sparsa nella sera antecedente, che non ostante la sua falsità ed impossibilità, poteva aver per noi le più funeste conseguenze. Mi dimandò se io aveva avuta l’imprudenza d’espormi alla vista del pubblico nell’istante della orribile catastrofe del parricida; e quando gli confessai di essere stato affacciato alla finestra e d’avere involontariamente mandate delle grida, che potevano agevolmente esser pervenute all’orecchio di qualcuno, egli si morse le mani e dalla pallida fronte gli colarono grosse goccie di sudore. Quando si fu un poco rimesso mi disse, che tutti erano persuasi, il mio spettro esser comparso in [p. 85 modifica]quella occasione terribile per esser testimone delle sofferenze dell’infelice, intanto che la mia voce lo chiamava alla sorte, che eragli riserbata nell’eternità. Aggiunse che questa novella, inventata per dar pascolo alla credula superstizione era ripetuta da migliaia di bocche, e che per quanto fosse assurda non mancherebbe di risvegliare l’attenzione del Sant-Uffizio, e potrebbe forse condurre ad una scoperta. In conseguenza giudicava necessario di comunicarmi un segreto, il quale mi porrebbe in istato di viver sicuro anco in mezzo della capitale, fino a tanto che egli potesse immaginare un qualche mezza da farmi da essa sortire.

Al momento che egli accingevasi a svelarmi cotesto segreto, e che io già lo ascoltava con tutta l’attenzione, sentimmo un picchio alla porta: desso non era in alcun modo simile a quello della sera antecedente, ma era unico, solenne, parentorio, e fu seguito da una intimazione di aprire a nome della santa inquisizione. A quelle parole terribili l’ebreo si pose [p. 86 modifica]in ginocchioni, spense tutti i lumi, e dopo aver invocati tutti i patriarchi, passò dentro il braccio un grosso rosario; tutti cotesti movimenti diversi furono eseguiti in un attimo. Un secondo colpo fu picchiato alla porta: io rimasi immobile; ma l’ebreo abbandonando il suo posto alzò un asse del pavimento, e facendomi un segnale che rassembrava parte ad un istinto, parte ad una convulsione, mi indicò che vi dovessi discendere. Obbedii e non tardai a trovarmi fra le tenebre, ma in sicurezza.

Io era disceso non so quanti gradini e mi tratteneva tremante sull’ultimo di essi, quando gli ufficiali della inquisizione entrarono nella camera, e passarono al di sopra della medesima tavola, sotto la quale io era nascosto. Io intesi tutto intiero il loro colloquio. Uno degli uffiziali rivolgendosi all’ebreo, che era rientrato con loro, e salutandolo rispettosamente gli disse: Don Fernando, perchè non ci avete lasciato entrare più sollecitamente? — Reverendo, rispose l’ebreo fremendo, io non [p. 87 modifica]ho che una sola persona di servizio, la vecchia Maria; dessa è inoltrata nell’età e sorda di soprappiù; il mio giovane figlio è in letto, ed io era occupato ad adempiere ai miei doveri religiosi. E’ pare che li adempiate al buio, soggiunse un altro uffiziale, indicando col dito le candele, che il vecchio affrettavasi a riaccendere. Quando l’occhio di Dio veglia su di me, reverendo, non sono mai nelle tenebre. L’occhio di Dio è di fatti sopra di voi, rispose l’uffiziale con un tuono grave e ponendosi a sedere; e l’occhio del Sant-Uffizio lo è ancora, quell’occhio, cui Dio si è degnato comunicare la vigilanza e l’irresistibile penetrazione del suo. Don Fernando Nunez, (era il nome con cui veniva appellato fra’ cristiani) voi non ignorate l’indulgenza, colla quale la Chiesa tratta coloro, che hanno rinunziato agli errori della razza incredula: dalla quale voi discendete; ma non potete neppure ignorare, che cotesti individui sono oggetto della più attiva sorveglianza, pel sospetto [p. 88 modifica]della incertezza della loro conversione sincera, e la possibilità della loro ricaduta. Voi siete avanzato in età, don Fernando, ma non è molto tempo che abbracciaste il cristianesimo; e perciò il Sant-Uffizio è obbligato a tener gli occhi sempre aperti sulla vostra condotta.

Lo sfortunato ebreo invocando tutti i santi protestò che avrebbe considerato per un onore, del quale eterna conserverebbe la memoria, la più scrupolosa ricerca sulla sua condotta: nel tempo stesso abiurò l’antica credenza della sua religione in termini tanto esagerati e veementi, che io non potei a meno di sospettare della loro sincerità, e mi nacque il timore, che potesse perfino tradirmi. Gli uffiziali della inquisizione senza pormente alle proteste del vecchio gli fecero parte del motivo della loro visita. Lo spettro d’un prigioniere della inquisizione erasi veduto, per quanto dicevasi, errare nelle vicinanze della casa di lui ed il Sant-Uffizio nella sua saggezza giudicava, esser molto più probabile, che il [p. 89 modifica]prigioniero medesimo stesse rimpiattato fra quelle mura.

Io non poteva vedere lo smarrimento del volto dell’ebreo, ma lo sentiva con voce supplichevole e tremante supplicare gli uffiziali, affinchè facessero una minuta perquisizione in tutti gli angoli della casa, e di rasarla a livello del terreno per vedere se trovassero la più piccola cosa che comprometter potesse un figlio fedele ed ortodosso della Chiesa.

Cotesta è bene nostra intenzione, gli rispose l’uffiziale prendendolo alla parola, ma intanto, don Fernando, permettetemi di prevenirvi del pericolo cui vi esponete, se aveste giammai l’audacia in qualunque siasi epoca di dare asilo ad un prigioniere della inquisizione, ad un nemico della Chiesa. La vostra casa sarebbe rasata al suolo, e questa sarebbe la minima delle pene che incorrereste. Voi sareste condotto in prigione, come caduto in sospetto di essere ritornato alla vostra antica credenza; il vostro figlio sarebbe rinchiuso in un convento, onde allontanarlo dalla [p. 90 modifica]pestilenziale influenza del vostro aspetto, e tutto ciò che vi appartiene sarebbe confiscato sino all’ultima pietra delle vostre mura, all’ultimo vestito, che vi ricopre, all’ultimo denaro, che racchiudete nella borsa.....

Il povero ebreo non potè reggere all’idea della confisca, e lasciandosi cadere per terra, almeno da quanto potei giudicare dal rumore, esclamò: o padre Abramo! o santi profeti! A queste parole io mi considerai perduto: desse erano sufficienti per tradirlo, ed io senza esitare giudicai di dover piuttosto affrontare l’oscurità, che cader di nuovo nelle mani della inquisizione. Discesi come potei l’ultimo gradino, che mi rimaneva, e quindi brancolando mi sforzai di vedere dove andasse a far capo quel passaggio in cui mi trovava.