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Poesie (Parini)/XII. Traduzioni/La 'Colombiade' di madama Du Boccage (IX)

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La 'Colombiade' di madama Du Boccage (IX)

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La 'Colombiade' di madama Du Boccage (IX)
XII. Traduzioni XII. Traduzioni - Saggi di versione da Orazio

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I

LA «COLOMBIADE» DI MADAMA DU BOCCAGE

CANTO NONO

ARGOMENTO.

Riflessioni dell’ammiraglio. Sua preghiera al cielo. Due indiane implorano il suo soccorso. Riconosce Zama: ella fagli racconto de’ suoi casi dopo la separazione fatta da lui. Visione di Colombo in una grotta, dove è preso dal sonno. Predizione sopra il successo della sua impresa e sopra i principali avvenimenti d’Europa.

     Mentre soccorsi attende, e la battaglia
Vascona indugia, che vedute ha dianzi
rotte le squadre sue e in fuga volte,
il genovese, a cui la notte desta
5in sen le cure, a’ vari casi pensa;
e mal de’ cheti orror gode il diletto.
Il nemico novel, che allo sconfitto
succeder deve, e ’l molto sangue sparso
per non compiuta palma, a lui fan chiaro
10che, compro a tale prezzo, il vincer fóra
danno all’armata e macchia a le sue glorie.
Però lo spirto a cui fu ignota cosa
sempre il timor fra la dubbiosa speme,
onde stostegno ha il suo valore, ondeggia,
15come da’ venti combattuta nave:

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e a tal le immagin de’ vicin perigli
premorí l’eroe, ch’ei geme, e cosí alfine
tra gli affannosi dubbi il cielo invoca:
     — Dunque vuoi tu, Signor, ch’io l’angiol sia
20sterminator che, per punir la terra,
entro all’assirio campo armato venne
de la folgore tua? Non basta forse
paventarne il furor, che ancor sia d’uopo
a la nostr’arte d’emularne i colpi
25per distrur tante genti, a quante vita
diè il tuo poter? Se le tue leggi sante
loro aperte non son, tu lor le scopri.
Muta la sete lor di sangue amica,
in amor de la pace. 11 tuo gran nome
30fa che s’annunci in questi liti; e fama
segual de le tue grazie, e chiaro il renda. —
     Questi voti Colombo al ciel porgea,
quando dal sonno l’agitato spirto
vinto chetossi, ed obbliò l’armata;
35ma indi a poco un rumor cupo il desta,
e sen fugge il riposo. In mezzo a’ suoi
pensier molesti, un favellar soave
gli percote gli orecchi. Egli v’accorre
scorto al favor de la notturna stella;
40e vede poi ne la sua tenda cose
onde ha conforto insieme e meraviglia.
Due donzelle indiane innanzi a lui
sono a chieder soccorso: ecco nell’una,
spettacolo improvviso! a lui compare
45Zama, cara cagion de le sue fiamme,
ch’ei disperò di riveder giammai.
— Che è? — dic’egli, — un’ingannevol ombra
figlia del sonno; oppure alfin riveggo
colei, ch’unica al mondo arder mi puote? —
50Cosi diss’egli: e la vergin tremando
favella a pena; a lei manca la voce;

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e, come l’aere intorno, allor che nasce
hi fresca aurora, ella cosí nel viso
impallidisce a un tempo e rinvermiglia.
55I cari ardenti sguardi, e gl’inquieti
moti dell’alme, e i sospir tronchi un pezzo
d’ambo gli amanti instupidir le brame:
ma qual riman l’eroe allor che ascolta
l’indica donna con ispani accenti
60a sé chieder soccorso, e l’alta gioia
dipingere, e’l bel foco? — O Zama,—ei grida, —
ond’è cotesto lusinghevol suono?
Qual celeste favor qui intender fammi
i dolci sensi tuoi? Quest’improvvisa
65né credibil ventura, o come appieno
nell’isola incantata i desir miei
avria beato! E qual mano ti tolse
a quelle spiagge fortunate? Narra
qual secondo destino a me qui rende
70tua divina beltá. — Si dolci affetti
ne vanno al cor di Zama, onde i bei lumi
pria di lagrime bagna; indi, fremendo
e sospirando, dell’amica Zulma
s’affida al braccio, e cosí poi con voce
75languida e fioca al su’amador favella:
     — Perdona, o caro, a la sedotta mente
gli oltraggiosi sospetti a cui m’indusse
il tuo fuggir. Provar mi fece Amore
in quel fero momento ogni aspra doglia
80onde un tenero cor punto esser possa.
Amor, che sempre al lato mio sen vive,
signor, mi spinse a seguitar per l’onda
entro a un leggier canò il tuo naviglio.
Ma poi che de la poppa al bordo giunsi,
85ov’io credea di rivederti, i crudi
nocchier fur osi di rapirmi: allora
lungamente, ma invano, io ti cercai

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per mezzo a lor. La mia favella ignota
rendea piú tristi i miei pensier; ché nullo
90potea scoprirmi il tuo destin: ma quale
orrendo aspetto allor m’assalse, o cielo!
Presso al porto ch’io lascio, ecco da un monte,
che s’unisce alle nubi, il padre mio
vien giú precipitando, e in seno a’ flutti
95muore su gli occhi miei. Tu vedi, o caro,
per me dipinti i mali, onde cagione
io sono stata, e ’l mio destin, le atroci
sventure mie. La morte i’ diedi a quello
cui ’l viver debbo; ed in balia de’ venti
100fuggii senza di te le patrie mura.
Pensa qual io mi disperai, quai furo
i miei timori, i miei crudi rimorsi.
     Allora, poi che ’l tempo e ’l gran desio
d’udir tua sorte, il castiglian linguaggio
105mi rendèr chiaro, il Fieschi, a cui pietate
facean gli affanni miei, disse che il giorno
ch’io perduto t’avea, tra un’atra nebbia,
che scorrea l’oceáno, il suo naviglio
smarrito andò; né le compagne navi
110mai piú rivide. Intanto la speranza
di raggiungerle pur, vie piú il piloto
all’opra infiamma: e ’l cor, che del tuo Dio
in me giá gusta la soave legge,
ben comprende che invan cerca esser tuo,
115se non la segue: ond’io ben tosto al culto
mi sottomisi, in cui d’imene il nodo
eterno dura; e al Nume a cui tu servi
m’offri ne la sacr’onda un sacerdote.
Zulma mi fu compagna: e allor s’udirò
120celesti cori il venerando rito
festeggiar sovra i flutti. Un tal prodigio
e lo splendor che intorno al capo mio
in quell’atto rifulse, a me presagi

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fúr de la sorte mia, di quella ond’ora
125di rivederti qui, signor, m’è dato.—
     A tai parole il savonese, a cui
spezza ogni freno Amor, l’amata donna
con gli amplessi interrompe: — Oh come,—ei grida,—
m’alletta, o Zama, il tuo parlar! Si, poi
130ch’ai vero culto hai per me il cor soggetto,
sperar mi lice i tuoi puri imenei.
In questo di vittorioso, il nome
di sposo tuo quell’uno è che ’l mio spirto
può far lieto e superbo: e se ’l tuo core
135pur vi consente, innanzi alla sacr’ara
giurianci eterno amor, che al mondo tutto
palese sia. — Ohimè, — Zama riprese, —
non vedi ch’io sospiro; e che quel bene
onde sol ardo, è d’esser teco a parte
140d’ogni fortuna tua? Ma lice ancora
con mesto favellar rapirti il dolce
di tua felicitá, che i lassi spirti
mi ravviva ed allegra. Allor che in traccia
di te approdammo al lido, a guerra tosto
145il popolo sfidonne abitatore
di quella terra, e ne legò in catene.
Giugne a Xaraga in fin, che a ciò la strigne
la disfatta de’ suoi, Vascona: e questo
giorno di cui malvolentier rinnovo
150a la memoria i casi, a noi fe’ aperta
la tua vittoria con la morte, a cui
dannati fummo. Il Fieschi e la sua gente
fu immolata agli dii nel tempio, ov’io
giva presso al tuo popolo infelice:
155e in vano sopra me e la mia fida
Zulma trattenne i fieri colpi il sacro
acciaro, che la vita a lor troncò:
però che la reina senza piòta
mirò i nostri verd’anni; e allor ne porse

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160con le man traditrici atra bevanda,
pur simulando che pietá movessela
a richiamarne gli smarriti sensi.
Ahi lassa! ché d’allora in poi la sete
piú ingorda il sen dilaniando m’arse.
165Arroge a ciò, che de le tue battaglie
ogni di venia fama, onde il mio duolo
vie maggior si facea dal tuo periglio,
che cagione era in me d’alto spavento.
Alfin la brama di scoprir tua sorte
170me pellegrina per sentier diversi
guida fra gl’indi all’empia guerra intesi.
Ma appena ad un torrente ecco m’appresso
pur per sedar la mia penosa sete,
che al lento calpestio di noi, che timide
175ce ne andavamo, accorse il tuo fedele
interprete, che guardia era a le rive.
Ei tra rombre notturne onde oscurato
è l’aere intorno, in cambio d’un nemico,
cui giá prepara i ferri, il mio sembiante
180riconobbe e stupí; se non che in breve
io gli narrai de’ nostri fèri casi
la storia miseranda: ed egli intanto
porse benigna aita ai nostri passi
onde arrivar ne le tue tende. Il mio
185piacer di rivederti, il foco mio
e i dolci affetti del tuo cor, finora
de’ miei deboli giorni, e ornai mancanti,
allungarono il filo: ma la forza
ch’io fo per disvelare a te mie fiamme
190toglie la lena agli spiriti stanchi:
e ’l malor che m’opprime, giá mi tronca
sull’assetata lingua le parole.
Ah non piú che un istante a gioir restami
de la tua vista: in van resister tento
195al velen, che m’uccide. O caro sposo,

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sostienmi; gli occhi miei copre la notte;
e questi sospir teneri son l’ultimo
addio: giá vinta cedo al male; io moro. —
Queste sul labbro moribonde voci
200faccian fede ad altrui del crudo affanno
d’un si tenero amante: ma tu solo
tu puoi, o Amor, dipingerne le pene.
Colombo intanto, il suo dolor mostrando
con gemiti e lamenti, in van s’adopra
205per procurarle aita; ché la bella
Zama giá oppressa dal velen non ode
i suoi singhiozzi; e giace semianime
fra le braccia di lui. Al fèro aspetto:
— O ciel, —grida l’eroe, — me la rendesti
210dunque in si tristo di, per poi ritorla
in un momento? O uccidine ambidue,
solo incontro a me tuo furor stanca.
     Ahi lasso, che la misera perio
per giugner me... Son io dunque colui,
215che la diè in preda a la nemica Parca?
O Zama, o Zama, e quale in sen nodrivi
dubbio de’ miei desir? Le tue virtudi
e la somma beltá ti rendean certa
de’ caldi affetti miei. Ché non attendermi
220dunque colá su le tue patrie rive
u ’l mio pensier, che in sen de la vittoria
venia sovente a te, giá meditava
compiere il bel disegno?
Dolci querele d’un si caldo amore
225onde tosto al mio cor l’obbietto è tolto,
sopra questa bellezza oramai spenta
piú poter non avrete, e l’ardor mio
cosa non ha che lusingar la possa.
Ahi doglia! ahi sorte! ahi perfida Vascona!
230Ma che vegg’io? Ancor torna la luce
a’ begli occhi di Zama, e le sue labbra

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riprendon lena a formar novi accenti. —
I pianti dello sposo, a cui cotanta
tristezza opprime il cor, l’indica donna
235movon cosí, che incontro a’ mali suoi
resiste ancor per poco; e aperti i lumi,
cui giá morte estinguea, parla in tal guisa:
     — Intempestive omai, Colombo, sono
queste lagrime tue; poiché ’l mio spirto
240giá gode i rai della superna luce,
e sol ne’ doni suoi si riconforta,
che vicini ornai son. Che se vaghezza
hai tu di meritarli, a’ bassi affetti
pon freno. Al tuo gran Dio servi; e sue leggi
245intrepido eseguisci; ed opra in modo
ch’egli un giorno nel cielo i destin nostri,
la tua vittoria coronando, unisca. —
     A tal parlar, negli occhi di ciascuno
dipinta è la pietá: sol que’ di Zama
250spiran tranquilla pace. Intanto manca
il viver suo, non giá quale infocato
ferro, che immerso cigola nell’onde;
ma qual face, che priva del suo pasco,
insensibilemente va spegnendosi
255e perdesi per l’aere. In tal maniera
l’alma dell’indiana al suol s’invola,
per riunirsi in braccio al sommo Nume.
E la spoglia mortale, onde Colombo
s’avria fatto qui in terra idolo vano,
260sembra in pace gioir d’amabil sonno;
a tal che morte ne le sue sembianze
par bella altrui: e ’l pallidetto viso
immagin è de la celeste calma
onde godon gli eletti. A’ piedi suoi
265cadde l’amica Zulma, e fine impose
a sue lunghe sventure. Il popol mesto
i pietosi sospir nel sen premendo,

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quivi s’accoglie; e dal crudele aspetto
l’eroe divelle. Intanto per suo cenno
270l’ispana gente, innanzi a le sacr’are
rivolge i canti nuziali in atra
funerea pompa; e un prezioso avello
innalza ad eternar d’ambo gli amanti
le glorie, il nome e i disperati amori.
     275Ma, poi che in preda a le sue triste cure
si diè Colombo, e ne’ pensier s’immerse
dell’infelice amor, solo in oscura
grotta celossi a deplorar suoi casi.
Quivi la Morte, ch’ei pregando giva
280nel colmo del suo duolo, a troncar presta
era i suoi di; se non che ’l cielo, udendo
i gridi suoi, con l’invisibil mano
sovra l’afflitto amante un sonno sparge
piacevol si, che nell’obblio per poco
285sommerge i pensier tristi, e in seno a quelli
l’obbietto di sue pene. Intanto Zama
giá nell’empirò a la sacrata tazza
col nettar degli eletti si disseta.
Ella prima tra gl’indi il folle errore
290da la mente sgombrò; e ’l sommo Nume,
a cui piacque sua fe’, d’eterno premio
coronò i’ardor santo. Allor presenti
son le venture cose a’ lumi suoi,
che Dio rischiara: e cosí a lei comanda:
     295— Vanne, e tu difensore angiolo al fianco
sii di Colombo; e, in premio di sua fede,
da te maravigliando i fati intenda. —
Tacque, e ’l divin voler pur un momento
non vagliono a tardar spazio né muro;
300perocché Zama a tal parlar, piú presta
d’un guardo e d’un balen, per l’aere fende
il deserto degl’indi; e all’antro giugne,
ove in doglia crudel Colombo assorto
G. Par ini, Poesie - 11. 24

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passa l’ore notturne. I grati odori,
305che d’intorno ella spira, annuncio son
che presente è un celeste. Il vivo lume
onde agguaglia l’aurora, il di rimena
entro al solingo albergo: e perché i lumi
non abbagli a Colomho, intorno vela
310d’un nuvoletto le celesti forme.
Indi recando tra le mani un globo
colorito d’azzurro, ove dipinto
si mira l’universo, e dei destini
l’immutabile rota, a lui s’appressa.
315A’ primi accenti suoi, l’eroe, che Zama
s’immaginava di veder sognando,
fuor dell’abisso miserabil esce,
ove suo duolo il preme: un piú soave
foco l’incende, e lo ritorna in calma.
320—Suvvia, — diss’ella,—ornai ti rassecura;
le mie sembianze riconosci; e vedi
come in un punto sol de la tua fida
la sorte si mutò. Di pianger lascia
le sue sventure; ché nel ciel giá gode
325trionfante il mio spirto; e fuori uscito
de’ lacci alfin de la terrena spoglia
in sua felicitá vera non teme
ombra né sogno. Io dall’alto del cielo
mille error veggio e mille pravi affetti
330avvelenar la terra. Il puro foco,
che per te m’arde in seno, or tutto è volto
a nodrir tue virtú. — Cosí diss’ella;
e ’l ligustico eroe, in mezzo all’alta,
sua maraviglia, dall’amor sospinto
335vola all’amata donna; e al piè le cade,
e trattenerla vuol; ma da le braccia
ond’ei l’accerchia, il lieve aer dileguasi:
e a lui si parla la visibil ombra:
— Quest’esse!" mio, ch’or fatto è pura mente,

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340piú sostanza non ha ch’agli uman sensi
nota esser possa. Or sii frattanto a parte
del mio sapere; e scopri in un istante
il destin dell’Europa1, e qual ti attende
sorte, o Colombo, poi che ’l sommo Iddio
345in guiderdon de la tua fé dipinge
oggi a’ tuoi guardi la futura gente.
Da questo globo, ch’io ti mostro, apprendi
che mal nota agli antichi era la terra2;
perocché un oceano ampio creduto
350fu giá il nostro emisfero. Il continente,
a cui sono i due poli ultime sponde,
dall’aurora all’occaso oltre piú stende
i suoi confini: e ’l mar, che d’Asia i liti
da noi disgiunge, or piú vasto ti appare3,
355che forse no ’l credesti. Ecco siccome
per questi flutti sconosciuti4, errando
intorno al globo, al porto onde fèr vela
torneran le tue navi. Indi ben tosto,
nato a beffarsi de’ marin perigli,
360aprirá un lusitan5 novo cammino
al mezzodí dell’Affrica; e fia poi
eroe famoso d’un cantore illustre.
E mentre in riva al Gange di costui
fia temuto il valor, qui le tue squadre
365vincitrici oseran6 romper tue leggi.
Ma credi pur che non avran qui fine
i tuoi travagli. Egli è ben ver che aperti
gli ampi tesori a te saran di questo
mondo novel, cui l’oceán riserra:
370ma dal forte Colombo il nome eterno
giá non avranno quelle immense terre;
peroch’altri verrá d’Arno7 a rapirti
questa mercé, che al tuo valor si debbe.
Cosí ti prova il ciel: tu in tanta gloria
375umil ti serba. Verrá tempo ancora

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che la calunnia8 oscureranne il lume,
quando l’ingrato a le tue grazie ibero
incontro a te de la sua patria l’ire
ardirá d’eccitar. Ma la regina
380vedrá nel tuo parlar l’immobil fede;
e sorda a i gridi dell’invidia, e i tuoi
inimici gelosi al carro avvinti,
vorrá che in queste terre ognun si pieghi
davanti a te. Coll’immortai tuo nome,
385che fia piú grande di tue forze assai,
chieder vedrassi indissolubil nodo
il sangue alto dei re9; né cosa fia
che dai fasti venturi unqua il cancelli.
Tu agli eroi segnerai novella via
390nel cammin de la gloria, a la qual dee
giugner tuo volo. Te ne’ fatti egregi
Cortese avrá per suo maestro e duce.
Ei sotto al cerchio divisor del mondo,
vèr quel terren cui vedi in lungo esteso
395unir due suoli, e partir l’onda in due,
imporrá leggi al piú gran re degl’indi10:
ma, crudo vincitor di gente imbelle,
tutto preda fará dell’esecranda
voglia d’avere. A te noto è Pizzarro11;
400or sappi ch’a sue forze in occidente
fien sommessi gl’Incá. L’ultimo d’essi,
signor d’immenso impero, avol si crede
aver il Sol12, cui porge incensi e voti.
Ma il popol suo per mille imprese conto,
405e dal ciel rischiarato, agevolmente
abbraccerá le nostre leggi e ’l culto;
ché vano ardir fóra il resister contro
que’ venuti dal Tago, i quai la sete
de le ricchezze a dira strage invita;
410e tu stesso vedrai sotto il lor giogo
gemer gl’indiani. Intanto un tuo nocchiere13,

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vago egli pur di falsi beni e d’oro,
novo calle all’ibero in seno all’onde
discoprirá. Per le medesim’orme,
415emulator di lui, n’andrá Dercilla14,
che, de la guerra e de’ bei versi amico,
fia il cantore e l’eroe di quelle piagge.
Ma che vegg’io fra questi monti, a cui
par che s’appoggi il cielo? Ecco Carvallo,
420che giá dá in preda agli operosi ferri
del Potosi15 le cave. Oh qual di mali
esala dal lor sen turbine immenso!
L’alito velenoso, che fuor esce
dall’infelice suol, fa cenno altrui
425ch’a fuggir s’hanno i traditor suoi doni;
ma rende aviditade i cori audaci.
Allora, poi che gli scavati monti
e le pugne crudeli avran di gente
vuoto Spagna ed Europa e i lidi nostri,
430l’avarizia spietata insino ai negri,
per aprirsi altre vie fra questi abissi,
andrá mercando vittime16. Per tante
stragi qui fatte, d’un sol util dono
ricchi n’andranno dell’Europa i porti;
435e l’arbor fia, cui senza man cultrice
educò nel Perú natura17, e vuole,
che ponga in calma il sangue ne le vene,
allor che scorre periglioso e ferve.
Del resto Iberia per vani tesori
440qui i campi voterá d’armi e d’armati. —
     L’immagine crudel di tanti danni
move l’eroe cosí, che acceso ei grida:
— Oh fatai Potosi! oh infelice
ereditá! Dunque per vii metallo
445tanti popoli vari avran lor tomba
in quest’altro universo? In seno ai mari
ché non finii miei di, se tanti falli

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nascer dovean da le mie cure alfine? —
     — Servi al voler del ciel, — Zama riprese;
450e mentre la sua legge intorno spandi,
piangi l’error del vulgo, il qual trasforma
cotanto salutar balsamo in tosco.
Mossa a pietá del nostro ardente clima,
Roma18, ai confini dell’ingordo ibero
455prescriverá i confini. A i lusitani
spinti da la procella in queste spiaggie,
dará la sorte del Brasile i monti
copiosi d’oro; e preziose gemme
aggiugnerá Cabrallo19 a’ lor tesori,
460allor ch’ei scopra questo Ofir20 novello.
Infili sull’orme tue, Colombo, un giorno
regnerá sovra gl’indi piú gelati
la coraggiosa Europa: e se quel clima21
negherá a i vincitor dell’oro i monti,
465che sotto a ciel piú ardente il suol nodrisce,
gli angli22 e i galli, signor di quelle fredde
contrade, avran piú necessari beni,
frutti de le altrui caccie23. Il lor tesoro
fien mille spoglie di selvagge fère,
470e copiose pésche24 onde i lor porti
ricchi saranno. Entro a quest’ampio mare25
d’innumerabil’isole ricetto
la mano dell’industria da le canne
raccoglierá una manna si soave26,
475che mai non fu si dolce mèle in Ibla27
Colombo, si, queste campagne ignote
al ferro del villan, cólte dal lusso
diverran piú feconde. Per cotante
novelle merci inutili all’Europa,
480n’andrá il commercio vincitor di venti
e di stagioni; e ricambiando i frutti
instancabilemente d’ambo i mondi,
graverá Tonde d’infinite navi.

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     Da queste genti onde cotanti uscirò
485nocchier famosi, sorgeran non meno
saggi ed eroi. Un de’ lor fier nemici,
all’aquila de’ Cesari28 vedrassi
unir ben tosto di Castiglia il regno;
e sebben fia che un di le sue catene
490porti Francesco29 in riva del Tesino,
prigionier generoso, non per tanto
saprá, lontan dal vendicar l’oltraggio,
vincer con sue virtudi il vincitore.
La Gallia, ove al favor di un tal sovrano
495rinasceran le scienze, al sacerdote
che sovra i sette colli ha stabil sede30,
ben frenerá il poter; ma al vero culto
costante ognor si piegherá sua fede...
Ahi! fia però che un re britanno31 allora
500ne disprezzi le leggi? Oh secol misero,
nel quale il vizio a folli errori unito,
pietá fingendo, tenterá dividere
il manto de la Chiesa in mille parti!
La pia prole d’Enrico32 i rei disegni
505sgombrerá allor che con sue nozze unisca
i sudditi allTberia; ed essi al seggio
fien congiunti di Pier, fin che la suora
n’occupi il regno; ed all’error ben tosto
li riconduca. Di costei33 paventi
510ognun l’orgoglio sospettoso, e tremi;
però che a’ colpi suoi non fuggiranno
Essex e Norfolk, a cui piú dolce spira
l’aura del suo favor; né la scozzese
regina, a cui la Senna offrirá il trono34;
515e attenderá il Tamigi a indegna morte.
Misera! che per poco in su la Senna
sará col nodo maritale avvinta,
però che ’l figlio di colui, che morte
incontrerá fra l’aste amiche e i giochi,

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520nel fior degli anni la consorte e ’l regno
morendo lascerá. Di sua possanza
i dolenti fratelli eredi fieno35,
e la lor madre allor de la discordia
la face accenderá36: per sua cagione
525carnefice de’ suoi fassi l’un figlio,
e l’altro dello scisma ond’è nimico
vittima cade. Ma qualor sul Reno
quel figlio dell’error, pestifer angue,
infiammi la sua patria37 all’armi pronta,
530menti immortali sorgeran, che tutto
rischiarin poi quel clima. In Prussia nato
ecco un rivai di Tolomeo si vede38
che de’ suoi cieli cristallini il vanto
strugge e dilegua: per costui la terra
535tolta al riposo, dell’immobil sole
abbraccerá i travagli: in cotal guisa
vedi nel suo cammin Mercurio e Venere
interporsi talor fra ’l sole e noi;
e talor, oltre la gran vampa, il tutto
540abbacinar col lor prestato lume,
siccome il globo mio chiaro ti mostra.
Mentre la terra boreal giá tutta
segue il novo pensiere, e un novo Apollo39
nella vicina etá sul Tebro canta
545i santi lochi ove mietè sue palme
il pio Buglione40; un sommo sacerdote
fia che di Salomon la fede e l’opra41
emuli si che al vero culto un tempio42
erga superbo, onde co’ propri altari
550il Tebro del Giordan la fama oscuri. —
Piú ’l genovese de’ futuri tempi,
ammaestrato dal destino, ammira
l’alta scienza; e, in mezzo allo stupore
ond’è rapito, in tai detti prorompe:
555— O Zama, o tu, che del Signor del tutto

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pasci le luci tue, poiché del cielo
abbandonar per me puoi le delizie,
segui, e mi narra di piú lunga etade
i novi casi, poiché sapienza
560tanto col tuo parlar gli orecchi miei
diletta e molce; e la presenza tua
piú desioso di saper mi rende.—


Note

  1. [p. 383 modifica]L’autore, essendosi associati all’impresa di Colombo italiani, francesi, inglesi, ha creduto che fosse tutta premura di questo genovese il sapere, qual dovesse esser la sorte degli spagnuoli non solo, ma quella di tutta l’Europa, e gli avanzamenti che farebbero le scienze, alle quali s’era applicato. Si è veduto nel canto secondo un abbozzo dell’istoria antica: questo nono canto ci dá un’idea della storia moderna.
  2. [p. 383 modifica]Gli antichi non conoscevano né l’estensione nè la figura del globo terrestre. Virgilio prete fu condannato come eretico nell’anno 748, per aver sostenuto che v’erano degli antipodi.
  3. [p. 383 modifica]Colombo credeva che l’isole da sé scoperte fossero l’altra estremitá delle Indie, fin dove Alessandro aveva distese le sue conquiste; credea ch’esse non fossero molto lontane dal Gange, e che l’isola Spagnuola fosse il Cipango di Marco Polo di Venezia. Ciiarlevoix, pagina 107.
  4. [p. 383 modifica]Vasco Nunez de Balboa, attraversando da Darieno all’istmo del Panamá, scopri dall’alto d’una montagna il mare del Sud nell’anno 1513. I nostri vascelli, ch’entrano in questo mare per lo stretto di Magellan andando a girar il mondo, ritornano in Spagna per il capo di Buona Speranza.
  5. [p. 383 modifica]Vasco de Gama, gentiluomo della casa d’Emanuele re di Portogallo, nativo di Sinisi, scopri il capo di Buona Speranza nel 1497. Le sue scoperte sono il soggetto della Lusiade di Camoens famoso poeta portogallese morto nel 1579, in etá d’anni 50.
  6. [p. 383 modifica]Colombo ebbe molto a soffrire pel suo stabilimento nell’isola di San Domenico. Le rivolture frequenti de’ suoi subordinati Pobbligaron a trattar loro con severitá, ciò che suscitogli nemici presso la corte di Spagna. Charl., tomo I, pag. 199.
  7. [p. 384 modifica]Americo Vespucci fiorentino, parti da Spagna colla flotta d’Alfonso d’Ojeda nel 1497; egli approdò al Messico, e pretese d’aver pel primo scoperta la terra ferma, che Colombo pria di lui calpestò; ma per sua somma fortuna ebbe quest’onore sopra tutti i re dell’universo, che il suo nome è stato posto ad un continente che forma la metá del mondo conosciuto. Attribuire si può l’avvantaggio, ch’ebbe sopra Colombo, ad una relazione de’ suoi viaggi, ch’egli scrisse e dedicò a Renato II di Lorena, re di Sicilia, nel 1506. Herrera, Antonio Leon .
  8. [p. 384 modifica]Dopo molte accuse, di cui Colombo s’era giustificato presso la corte di Spagna, gli avvenne una nuova disgrazia nel 1500. D. Bovadilla fu mandato al comando dell’isola di San Domenico. Ei trasgredí i suoi ordini facendo metter tra ceppi l’ammiraglio e’ suoi fratelli, i quali esso spedi in Ispagna. Il re e la regina, fatti consapevoli del loro arrivo, ordinaron che si conducesser a corte con tutti i segnali della distinzion piú grande. Si osservi la relazione che risguarda al lor ricevimento nel P. Charl. tom. I, pag. 201.
  9. [p. 384 modifica]Don Diego Colombo, figlio primogenito dell’ammiraglio, sposò donna Maria di Toledo, nipote del duca d’Alba; ed Isabella, sua figlia, fu maritata a don Giorgio di Portogallo nel 1527.
  10. [p. 384 modifica]Il Messico, che si estende in lunghezza quasi per 600 leghe dopo la riviera de Chagre nell’istmo del Panama infin’a quella de Norte, che si mette nel mar Vermiglio, era sotto il governo de’ re. L’ultimo re superato e vinto da Cortez fu Montesumo, principe possente e magnifico, che fece una fine tragica e poco degna della sua dignitá. Istoria del Messico .
  11. [p. 384 modifica]Si veda la nota 14 del primo canto.
  12. [p. 384 modifica]Gl’Incá si credevano discesi del sole; quindi è che si chiamavano gl’imperadori del Perú dopo l’incá Mango Capac, che fece fabbricare Cusco nel 1125. I loro popoli adoravano il sole. Essi avevano e costumi e leggi, ciò che gli rese piú atti ad abbracciare la nostra religione. Pizzaro fece strangolare l’incá Atabalipa per scoprire i suoi tesori dopo avergli fatto soffrire i piú crudi tormenti. Garcillasso della Vega . Il Perú si estende alla parte occidentale dell’America meridionale dopo l’equatore infin’al tropico del Capricorno.
  13. [p. 384 modifica]Ferdinando Magellan di Portogallo scopri nel 1520 lo stretto, che porta il suo nome, e viaggiò perfino all’Isole Filippine pel mare del Sud, ov’egli mori avvelenato. Osorio Mariana.
  14. [p. 384 modifica]Don Alfonso Dercilla, gentiluomo della camera dell’imperadore Massimiliano, combatte alla guerra di San Quintino, e scorrendo l’Europa soggiornò in Inghilterra, da dove egli parti per il Chili: egli oprò prodigi di virtú contro le sedizioni della provincia d’Araucana, e cantò gli avvenimenti di questa guerra, laonde ei fu e l’Achille e l’Omero. Il suo poema ha per titolo: L’Araucana, stampato nel 1597. Monsieur de Voltaire, Essai sur le poeme e piqué.
  15. [p. 385 modifica]Potosi. Montagna abbondantissima d’oro situata nei confini del Perú e del Chili. Le miniere furono scoperte nel 1545 dagli spagnuoli, condotti colá da Guanca indiano.
  16. [p. 385 modifica]Si va, ove stanno i re della Costa di Guinea in Africa, per comprar mori, acciò travaglino nelle miniere. Le esalazioni sono funeste agli europei ed anco alli stessi indiani.
  17. [p. 385 modifica]La china, rimedio singolare per la febbre, fu introdotto in Europa da’ Gesuiti nel 1640, ove si vendea a peso d’oro. Questa è la scorza d’un albero della grandezza d’un ciliegio, il qual albero cresce nel Perú su le montagne di Quito.
  18. [p. 385 modifica]Alessandro VI, per prevenire le differenze che nascer potessero tra le corone di Spagna e di Portogallo a cagion delle nuove scoperte, fece tirare nel 1493 la famosa linea di segnale, linea imaginaria tirata d’un polo all’altro, che tagliava in due parti eguali lo spazio che passava tra l’isole Assore e quelle di Capo Verde. Tutto quello ch’era all’occidente di questa linea doveva essere di giurisdizione della corona di Castiglia, e quello ch’era all’oriente era conceduto al re di Portogallo.
  19. [p. 385 modifica]Alvares Cabrai portoghese scopri nel 1502 la contrada del Brasile, ove egli fu gittato da fiera tempesta. Questo paese si estende quasi per ben 1200 leghe alla costa orientale deH’America meridionale, dopo la riviera delle Amazoni, infino al Paraguai. Il terreno è fertile ed abbondante di miniere d’oro e d’argento. Si scopri ancora poco dopo gran quantitá di diamanti. Diverse relazioni affermano esservi colá uomini, che vivono alcuna volta infino all’etá di 150 anni. Jean de Laet. Herrera .
  20. [p. 385 modifica]Bochard dice che due sono le terre d’Ophir, l’una nell’Arabia, da dove Davide fece venir gran somma d’oro; e l’altra nell’India, ove Salomone spedi la sua truppa. Dice che quest’ultima terra era la Taprobane degli antichi, ora l’isola di Ceylon, ove havvi un porto chiamato Hippor, il quale que’ di Fenicia dicevano Ophir. Questo porto dá ancora quelle medesime rendite, che i navigli di Salomone davano a Gerusalemme.
  21. [p. 385 modifica]Nell’America settentrionale gl’inglesi possedevano la Florida, la Virginia, la Carolina, la Novella Inghilterra ecc. La gran contrada del Mississipi e ’l Canadá appartengono a’ francesi.
  22. [p. 385 modifica]S’intendono per questo nome gl’inglesi.
  23. [p. 385 modifica]La caccia, la quale fanno lor principale occupazione gli abitanti del nord dell’America, produce un gran commercio di pelli.
  24. [p. 385 modifica]Si fa una pèsca considerabile di morue al Banco di Terra nuova nell’entrata del fiume San Lorenzo e nell’isole di Capo Bretone. Questo pesce salato o seccato rende un commercio molto lucroso, che si diffonde per tutta l’Europa.
  25. [p. 385 modifica]Un arcipelago è un estension di mare tagliato per mezzo da un gran numero d’isole. Gli antichi non conoscevano altro arcipelago fuor di quello del mar Egeo. Dopo si scoperse quello del Messico, delle [p. 386 modifica]Maldine, ove si contan piú di 12000 isole, delle Filippine, ove se ne contano 11000 delle Molucche, e le Celebe ecc.
  26. [p. 386 modifica]La canna di zuccaro è una sorte di canne, che cresce in altezza cinque piedi. È divisa da nodi lontani l’un dall’altro cinque pollici, pieni d’un midollo bianco, di cui si fa il zuccaro.
  27. [p. 386 modifica]Maldine, ove si contan piú di 12000 isole, delle Filippine, ove se ne contano 11000 delle Molucche, e le Celebe ecc.
  28. [p. 386 modifica]Carlo V re di Spagna eletto imperadore nel 1519, dopo la morte di Massimiliano, possedea a una volta Y impero, la Spagna, i Paesi Bassi, e una parte d’Italia.
  29. [p. 386 modifica]rancesco I, sovranomato ristauratore delle scienze, dopo molte conquiste fatte in Italia, assediò Pavia, ov’egli fu preso nel 1525. La sua prigionia a Madrid durò pressoché un anno; né da essa sorti, se non con dure condizioni: la sua generositá nulladimeno lo portò ad accordare un passaggio a Carlo V a traverso della Francia per andar a punire la gente di Gantoa ribellatasi.
  30. [p. 386 modifica]Leone X e Francesco I fecero un patto in Bologna nel 1515, col quale le elezioni per occupar i benefici furono abolite. La collazione de’ benefici concistoriali in Francia appartiene dopo quel tempo al re; e la provvisione al papa, che ne spedisce le bolle.
  31. [p. 386 modifica]Enrico VIII, re d’Inghilterra, non avendo potuto ottenere dal papa la dissoluzione del suo matrimonio contratto con Catarina d’Aragona, per sposare Anna di Boulen, una delle figlie della regina, quei matrimonio fece annullare da Tomaso Crammer arcivescovo di Cantorbery nel 1533. Il papa scomunicò il re, che si separò dalla chiesa romana.
  32. [p. 386 modifica]Maria regina d’Inghilterra, figlia di Enrico VIII e di Catarina d’Aragona, sposò nel 1554 Filippo II re di Spagna, ristabili la religion cattolica, e mori nel 1558.
  33. [p. 386 modifica]Figlia di Enrico VIII e d’Anna di Boulen, succede a Maria, e mise nel pristino stato la religion anglicana. Gli scozzesi s’erano posti sotto la sua protezione, ed ella fece metter in arresto Maria Stuart loro regina, e gli fece troncar la testa a di 8 febbraio 1587. Ella pure condannò allo stesso supplizio il conte di Norfolk e’l conte d’Essex, suo favorito, sotto pretesto di congiura.
  34. [p. 386 modifica]Francesco II, re di Francia, che sposò, essendo delfino, Maria Stuart, regina di Scozia. Egli era figlio di Enrico II. Fu ucciso con un colpo di lancia in un torniamento da Montgomery.
  35. [p. 386 modifica]Carlo IX, secondo figlio di Enrico II, ordinò la gran giornata di San Bartolomeo li 24 agosto 1572, e mori nel 1574 di flusso di sangue. Gli sortiva il sangue da tutte le parti del corpo. Suo fratello Enrico III, che gli succedé nel regno, fu assassinato a San Claudio nel 1589 da un uomo fanatico.
  36. [p. 387 modifica]Catarina deí Medici, sposa di Enrico II, si vidde regnare tre de’ suoi figli l’uno dopo l’altro. La sua autoritá sopra de’ loro animi e la sua superstizione arrecaron non pochi mali alla Francia. Ella mori a Blois nel 1589.
  37. [p. 387 modifica]Nel 1517 Lutero, religioso agostiniano, predicò a Wirtembergh contro l’abuso delle indulgenze e contro la potenza del papa. Quest’eresia e quella di Calvino, le quali cagionarono crudeli guerre, furono ricevute da una gran parte dell’Europa.
  38. [p. 387 modifica]Niccolò Copernico nacque a Thorn, nella Prussia Reale, nel 1473, e pubblicò il suo sistema del sole immobile e del movimento della terra nel 1515, contro l’opinione di Ptolomeo, che costituisce la terra immobile nel centro dell’universo, e ’l sole e i pianeti giranti intorno la medesima. Tyclio-Brahé, gentiluomo di Danimarca, nato nel 1546, immaginò un altro sistema, il quale ci dava presso a poco la stessa ragione delle apparizioni celesti; ma prevalse quel di Copernico.
  39. [p. 387 modifica]Torquato Tasso, celebre pel suo poema della Gerusalemme liòerala t nato nel 1544 a Sorrento nel regno di Napoli, mori a Roma, in tempo appunto, che dovea essere coronato poeta, nel 1595.
  40. [p. 387 modifica]Si osservi la nota 17 dell’ottavo canto.
  41. [p. 387 modifica]Salomone fece fabbricare a Gerusalemme questo tempio celebratissimo, di cui si vede la descrizione nell’Antico Testamento.
  42. [p. 387 modifica]La chiesa di San Pietro di Roma è il piú superbo edificio, che mai si sia fiuto. Il Bramante, sotto Giulio II, e Michel Angelo, sotto Paolo III, sono stati i principali architetti. 11 cavalier Bernino ha fatto il disegno della piazza, che sta avanti questa chiesa, e’l papa Alessandro VII l’ha fatto metter in esecuzione.