Il Libro di Antonio Billi e le sue copie nella Biblioteca nazionale di Firenze/Codice Petrei

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Il Libro di Antonio Billi – Codice Petrei

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Notizie sugli artefici fiorentini

contenute nel Cod. magliabechiano XIII, 89 (Codice Petrei).


|fo. 38v] Di Pippo di ser Brunellescho1

Pippo di sere Brunellescho ciptadino fior.o fu dotto in scrittura sacra: et soleva dire m.o Pagolo2 astrologo, che udendolo parlare, gli pareva s.to Pagolo: fu arismetricho et geometra; ritrovò la prospettiva stata più tempo smarrita; era studioso delle opere di Dante et benissimo le intendeva. Truovò il modo di voltare la cupola di Firenze senza armadura; stata più anni imperfetta, per non trovare chi volessi, o sapessi voltarla: et erasi in Firenze quasi fatta resolutione di riempire, et fare il gietto di terra. Hebbe per compagno Lorenzo Bartolucci,3 ma quando furono in sul voltarla, fingiendosi Pippo havere male et non potendo o sapendo detto Lorenzo fare senza Pippo; Pippo gli mandò a dire che farebbe ben lui senza Lorenzo: et così gli ufitiali gli dettono tutto il carico, [p. 316 modifica]et levarno Lorenzo, al quale allogorno le porte di bronzo di s.to Giovanni.

Fecie tutti gli strumenti et modello che alla perfectione di tale opera erano necessarii, et gli lasciò nella Opera, che per mala cura [sono] parte guasti, et parte perduti.

Fecie il modello della lanterna, a concorrentia del quale sino a una donna4 ebbe ardire di fare un altro modello: dove fu ucciellato da certi maestri che non vedevano |fo. 39r] la salita, la quale lui scoperse loro drento a uno pilastro.

Valse assai nella scultura, come si vede nel modello di bronzo che lui fecie per le porte di s.to Giovanni: il quale modello è oggi nel dossale della sagrestia di s.to Lorenzo: anchora che poi furno allogate a Lorenzo Bartolucci, o vero Giberti: anchora che sopra vi lavorassino detto Filippo, Donatello, Luca della Robbia, et Ant.o del Pollaiuolo.

Fecie una s.ta Maria Magdalena in S.to Spirito; che ardendo quella chiesa, andò male: a gara con una che è in s.to Giovanni di Donatello.5

Fecie il crocifisso di s.ta Maria Novella a gara con Donatello, che ne haveva fatto un altro in S.ta ✠.6

Furono allogate allui, et a Donatello due figure di marmo che sono ne’ pilastri di Orsanmichele coè (sic) quella di s.to Piero, et di s.to Marcho: opere degnie.7

Fecie in prospettiva la chiesa, et la piaza di s.to Giovanni et il palagio de Signori.

Fecie il modello della chiesa di s.to Spirito: opera exciellente, benchè non fu seguìto interamente lo ordine suo, nè nelle porte, nè nel ricidimento (sic, invece di: «ricignimento») di fuori, che si haveva a dimostrare nel modo che esso era drento8 [nè] nelli altari delle cappelle che havevono a essere dal lato di nanzi; et volgiere il prete il volto alla chiesa al dire la messa; contrarii appunto a quel che sono al presente. Nè anchora la sua cupola non ànno seguito lo ordine suo; che si sono alzati troppo ne’ pilastri et capitelli delle colonne et nel riagiugnimento (sic, invece di: «ricignimento») disopra; in modo che la |fo. 39v] la (sic) detta cupola viene a essere uscita della vera ragione et proportione sua; et detto edifitio viene tutto a esserci più debole, et porta pericolo di non rovinare prima gran tempo che non s’arebbe fatto, et anchora per un altro errore fattovi da imulatori di uno archo che si posa in sul falso.9

Anchora fecie il modello della chiesa di s.to Lorenzo, benchè anchora quivi non fu exeguito interamente il suo disegnio; nondimeno è uno corpo molto bello et10

Simile fecie il modello del capitolo de’ Pazi nel chiostro di S.ta ✠ et il modello della casa de’ Busini. [p. 317 modifica]

Fecie anchora il modello della casa, et facciata della loggia delli Innocienti, la quale fecie senza armadura: el qual modo fu anchora observato per molti, excepto de uno reggimento (sic, invece di: «ricignimento») fatto per ordine di Franc.o della Luna, che è falso, et fuori architettura; perchè Filippo in detto tempo si trovava a Milano a’ servitii di Filippomaria, duca, per il modello della forteza; ed alla tornata sua visto detto errore lo voleva rovinare, ma da i ministri con dolci parole non fu lasciato: et così vidde (?) detta facciata essere uscita fuori del modello con uno reggimento stato fatto per ordine di detto Franc.o che haveva oppinione di architettura: et domandandolo Filippo perchè havesse fatto tal cosa, rispuose, haverlo tolto della chiesa di S.to Giovanni: al che Filippo gli disse; uno solo errore era in detto edifitio et tu hai tolto a observarselo.11

Fecie il modello della forteza di Vico Pisano et quella del porto di Pesero, et a Milano assai cose; et usava di dire, che se ciento modelli di chiese, o di altri edifitii havessi a fare, tutti li farebbe variati,

|fo. 40r] Fecie uno modello della casa, o vero palazo di Cosimo de’ Medici, la quale haveva a essere situata in sulla piaza di S.to Lorenzo: che la porta del palazo si riscontrasse con la porta di S.to Lorenzo: edifitio forse che pochi ne sarebbe sopra la terra oggi, se si seguitava l’ordine di detto Filippo: ma parendo a Cosimo troppo sumptuosa spesa, lasciò detto ordine indrieto, ancora che poi se ne pentissi fortemente: perchè Filippo havendo messo in quello tutto il suo ingiegno, per sdegnio lo spezò: diciendo, che sempre a sua dì haveva desiderato di fare una opera rara, et li pareva essersi abattuto a uno, che la voleva, et poteva farla: et si dicie che mai fu visto tanto allegro, quanto nel tempo che fabricava detto modello. Cosimo si pentì fortemente di non havere eseguitolo: et dicieva, che non li parve mai parlare a huomo di maggiore intelligienzia: et molto di sè stesso si dolse.12

Hebbe uno suo discepolo quale teneva in casa detto il Buggiano al quale fecie fare lo acquaio di marmo della sagrestia di S.ta Reparata con quelli bambini che giettano acqua. Anchora fecie la testa di detto Filippo che è in sta Reparata et fecie uno acquaio di pietra in detta sagrestia.13

Detto Filippo fecie anchora più disegni et modelli a varii signori: infra gli altri a Filippomaria, duca di Milano, della forteza: et detto Duca fece ogni opera con ogni premio di ritenerlo adpresso di sè.

Fecie il modello al s.r di Pesero, del porto, et a molti altri di case et varij edifitii, et il disegnio del convento degli Agnioli.14 [p. 318 modifica]

|fo. 40v] Andrea Tassi (sic: Tafi) fiorentino15

Fu costui compagnio di Cimabue, et fu maestro di musaico; fu scolare di maestro Appollonio greco, pittore; et insieme con il suo maestro lavorò la parte disopra della tribuna di s.to Giovanni, dove sono que’ troni, et dominationi, et da sè solo fecie il Cristo sopra la banda della cappella maggiore. Morì lo anno 1294.


|fo. 41r] Cimabue nacque nel 1240, morì l’anno 130016

Giovanni Cimabue: costui trovò e liniamenti naturali et la vera proportione, et le figure morte le fecie vive et di varii giesti, di modo che lasciò di sè grandissima fama:17 fu negli anni circha 1240: truovansi delle opere sue in Pisa nella chiesa di s.o Franc.o, in tavola,18 et in Firenze nel primo chiostro di s.to Spirito, cierte hystorie che ànno maniera grecha:19 et altre pitture in Pisa in s.to Franc.o Scalzo.20 Dipinse a Sciesi nella chiesa di s.to Franc.o; che la finì Giotto: et in Empoli nella pieve,21 et in s.ta M. ria Novella una tavola grande, con una Nostra Donna con angioli intorno, oggi posta alto fra la Cap.la de’ Bardj et de Ruciellai. Andolla a vedere in Borgo Allegri, mentre che la dipignieva, il Re Carlo d’Angiò: et fu portata in chiesa a suono di trombe:22 stava ad casa nella via del Cocomero.23


|fo. 41v] Giotto fu nel 128024

Giotto fu discepolo di Cimabue et dipinse nella Parte Guelfa la fiura a capo alla scala, et tutta la prima sala.25 Fu costui tanto perfetto, che molti dipoi si sono affaticati per imitarlo: et è piena la Italia delle sue figure.26

Cominciò costui ad acquistare fama per la pittura grande in S.to Franc.o da Sciesi, cominciata da Cimabue.

Andò a Roma et dipinse la tribuna in S.to Pietro, et una nave et altre cose mirabili.27

A Napoli nella Incoronata, ed in s.ta Chiara, dove trovò Dante Aldinghieri28 et in Firenze la cappella del palagio del podestà, dove ritrasse esso Dante a mano destra al principio della finestra di detta cappella.29

Nella Badia di Firenze, la cappella dello altare maggiore.

In S.ta ✠ quatro cappelle: che tre al lato alla grande, verso la sagrestia, et l’altra dall’altra banda dello detto altare maggiore: et la tavola nella cappella de Baroncielli, dove è il suo nome: et in assai altri luoghi.30

Fecie il modello del Campanile di s.to Giovanni, el quale dopo la morte sua seguitò Taddeo suo discepolo.31

Dipinse in S.ta Maria Novella uno crocifisso grande, che è oggi sopra la porta di mezo; et uno s.to Lodovico sopra il tramezo da [p. 319 modifica]mano destra, apresso a s.to Girolamo, che è di mano di Taddeo Gaddi.32

Il re Carlo di Napoli lo richiese, che lui gli dipignessi il suo reme (sic: per reame): et Giotto gli dipinse uno asino imbastato a pie’ del quale era un altro basto nuovo in terra et detto asino guardandolo mostrava appetirlo: et dimandato da il re perchè in tal modo lo havessi |fo. 42r] fiurato: gli rispuose, così essere i sua subditi e quali sempre desideravano un altro signore33

Dipinse in s.ta ✠ di Firenze uno s.to Franc.o sopra la cappella de’ Bardi, al lato allo altare maggiore, con le stigmate.34

Nacque a Vespignano, di uno contadino l’anno 1276.


Giottino disciepolo di Giotto, et per fama suo figliuolo, infra l’altre cose dipinse il tabernacolo in sulla piaza di s.to Spirito di Firenze et nel primo chiostro tre archetti: nella chiesa d’Ognissanti al lato alla porta uno s.to Cristofano, et una Nuntiata, et a mano sinistra uno s.to Giorgio: et in s.to Gallo nel primo chiostro una Pietà molto bella: et alle Campora più fiure. Negli Ermini uno s.to Cosimo et uno s.to Damiano, che sono guasti: et in Roma in s.ta Maria Araceli: et in s.to Giovanni la storia di uno Papa in più quadri. Al ponte al Romito in Valdarno, dipinse uno tabernacolo.35


|fo. 42v] Agnolo Gaddi dipinse la cappella grande di s.ta ✠, et una altra cappella in decta chiesa; et nel refettorio: in s.to Iacopo tra Fossi, quando Cristo risucitò Lazero et a Prato la cappella dove è posto la cintura di Nostra Donna.36


Gaddo anchora dipinse più cose: et detti Gaddi ànno in casa più pitture di sua mano et di Agnolo, et di Taddeo.


Taddeo Gaddi dipigniendo nella Mercantia, disse essere stato disciepolo di Giotto: et dipinse nella chiesa di s.ta ✠ circha al mezzo della chiesa il miracolo del fanciullo risucitato: dove è la figura di Dante Aldinghieri: che vi sono tre figure al naturale insieme: et uno archetto nel chiostro di S.to Spirito, quando Cristo è venduto: ed in detto sopra la porta che va nel chiostro (recte, «il refettorio,» come si legge nello Strozziano, nel Gaddiano e nel Vasari), uno crocifisso, et una Nostra Donna et s.to Giovanni: et in s.ta Maria Novella, uno s.to Girolamo a capo alla sepoltura sua.37

A Pisa in Campo santo molte historie di Iob: et in s.ta ✠ la cappella de’ Baroncielli.38


Donato fiorentino, detto Donatello, scultore da esser numerato tra li antichi: mirabile cierto in compositione et in [p. 320 modifica]varietà, pronto et con grande vivacità nello ordine, e nel situare le fiure, le quali tutte paiono in moto. Fu grande imitatore degli antichi, et di prospettive:39 fecie moltissime opere in Firenze, et altrove, et infra le altre nel pilastro di Orto San Michele la fiura di S.to |fo. 43r] Giorgio con grande vivacità. Fecie il tabernacolo in detti pilastri rincontro alla chiesa di s.to Michele: dove poi fu messo la figura di bronzo di Yesù Cristo, et di s.to Tommaso di mano di Andrea del Verrocchio: et fecie le figure di s.to Marcho et di s.to Pietro in detti pilastri: benchè le fussino allogate a lui insieme con Filippo Brunelleschi.40 Alla facciata di S.ta Maria del Fiore fecie s.to Giovanni Evangielista allato alla porta di mezo, in ogni sua parte perfetto: et forse poche volte dagli occhi nostri simili statue si vedono.

La fiura di Donatello (sic, invece di: Daniello) in decta faccia è infra dua colonne molto bella; et due fiure nel campanile di decta chiesa verso la piaza: che una ritratta al naturale, che è Giovanni di Duccio Ruchini (sic), et l’altra Franc.o Soderini giovane: allato l’una a l’altra.41

Fecie anchora la Iuditta di bronzo, che è nella loggia di piaza de nostri Signori, et la fiura di bronzo di Davitte, la quale è nel cortile del palazo dei detti nostri Signori.

Fecie una testa col collo di uno cavallo di molta grandeza: opera molto degnia: con il resto del cavallo in sul quale è la immagine del Re Alfonso di Aragona, Sicilia, Napoli et di altri reami; la quale è in Napoli nel palazo del conte di Matalona de Caraffi.42

Fecie la fiura di s.ta Maria Magdalena posta in s.to Giovanni di Firenze, et uno vaso di granito con lineameti (invece di: «ornamenti,» come si legge nei Codd. Strozz. e Gadd.) di marmo, posto nella casa de’ Medici, che gitta acqua.43

Uno altro vaso con simili ornamenti, che fa fonte, molto bello nello orto de’ Pazi.44 Nella sagrestia di s.to Lorenzo: uno vaso da lavare le mani, opera molto bella, con uno falchone, et altri ornamenti intorno, [che] sono di mano di Andrea del Verrocchio.

Le porte di bronzo in decta sagrestia, anchora che non habbino molta gratia, et 2 pergami non finiti et quatro evangielisti di terra in sulla cornicie di decta chiesa |fo. 43v] dalle sagrestie, abozati, che erano a farsi di bronzo o di marmo.45

La Nuntiata nella chiesa di s.ta ✠, et il tabernacolo della cappella de Cavalcanti, con sua ornamenti bellissimi.46

Più teste, et fiure; et maximo in casa Lorenzo della Stufa, molto pronte; et uno crocifisso a meza la chiesa di s.ta ✠ di rilievo, et gli ornamenti dello organo della sagrestia vechia, coè (sic) del minore organo, di marmo, di s.ta Maria del Fiore: le quali fiure sono abozate, et non finite: non di meno di terra paiono assai, et [p. 321 modifica]rilievano in apparenza più che non fanno le figure dello organo maggiore che sono finite con molta diligientia et sono di mano di Luca della Robbia. Tolse a fare a Siena una porta di bronzo et fecie il disegno della Robbia (sic)47 bello, et le forme per gittarlo: ma capitandovi uno Bernardetto orafo detto di Mona Papera fiorentino, assai intendente, et suo domestico, che tornava di Roma, et andandolo a visitare et veduto la bella opera, lo riprese assai che i Sanesi si potessino gloriare di così honorata cosa: et tanto lo persuase, che uno giorno di festa, che i garzoni erano andati a spasso, esso Bernardetto et Donato guastorno il tutto: et usciti di casa, presono la via per a Firenze. I garzoni tornando la sera a casa, trovorno questa tal cosa, et non esservi Donato: nè prima di lui intesono, che esso era in Firenze.

Fece il sepolcro di Papa Giovanni nella chiesa di s.to Giovanni di Firenze con tutti i sua ornamenti: excetto che una fiura che è di mano di Michelozo: et così la Fede con uno calicie in mano, che ha uno braccio minore che l’altro.48

Fecie il disegnio dello ochio di vetro in testa alla chiesa di s.ta Maria del Fiore la incoronazione; cioè quelli della cupola.49

Fece in Siena nella opera del Duomo una fiura di s.to Giovanni Batista di bronzo: ma per non essere satisfatto, la lasciò imperfetta nel braccio ritto dal gomito in giù.50

Fecie una fiura di S.to Giovanni, oggi in casa li eredi di Ruberto |fo. 44r] Martelli: fecie la Divitia sopra la colonna di Mercato vechio.51 Fuori di Firenze fecie assai opere, delle quali io non ho notizia. A Padova in sulla piaza di s.to Antonio fecie uno cavallo di bronzo suvi Gattamelata, et nel dossale dello altare maggiore una pietra (invece di: «Pietà» come nello Strozziano e nel Gaddiano) di marmo con le Marie: cosa exciellentissima. Fecie (cancellato) intorno al coro cierti quadri di bronzo che gli fecie Vellano suo disciepolo, pure con il disegnio di Donatello: tanto simili alle opere sue, che sono tenute fatte da lui, per la vivacità che in quelle si vede.52


Lorenzo di Bartolo Berti (sic) detto Lorenzo Bartolucci è notissimo per le porte di bronzo del nostro s.to Giovanni, coè quella di mezo 53 et gli stipiti verso la Misericordia; che la porta fecie m.o Andrea Pisano; et benchè le decte porte, et massimo quella di mezo à più mostra (?) per la grandezza della opera, et per il desiderio che li cittadini havevano che tale opera havessi la perfectione; non dimeno a lui fu atribuita la palma et la Victoria; anchora che vi sono di molte fiure che i nostri (maestri?) della arte conoschano quelli che le lavororno.54 Detto Lorenzo fecie anchora molte altre cose, come la fiura di s.to Giovanni Batista [p. 322 modifica]nel pilastro d’Orsanmichele, di bronzo, et s.to Stefano in decto pilastro, et fecie quasi tutti e disegni delle finestre di vetro di s.ta Maria del Fiore, excepto che lo ochio sopra la porta di mezo, et quello a riscontro, tondo, che viene a essere |fo. 44v] sopra la cappella di s.to Zanobi, che sono disegnio di Donatello.55


Luca della Robbia. Costui fecie lo ornamento dello organo maggiore di s.ta Maria del Fiore molto bene lavorato et le storie a proposito delle fiure che dimostrano gli effetti loro, benchè per la altezza non molto si possono considerare: et anchora sotto detto organo la porta di bronzo della sagrestia: et nello archo di decta porta vi è la resurrectione di N. S. con le fiure allo intorno con molta diligentia lavorate a chi bene le riguarda, che sono di terra cotta invetriate: artificio trovato da lui et condotto alla sua perfectione. Anchora fecie la storia sopra la porta della sagrestia vechia di decta chiesa, della medesima terra cotta. Della quale fecie in Firenze et fuora di Firenze moltissime belle tavole, et fiure diversamente con grande ornamento et artificio lavorate.

Fecie a Napoli il sepolcro dello Infante fratello di Alfonso, et altre cose.56 Lasciò di sè Andrea suo nipote.57 || Furno le cose sua di somma gratia, et vezoso; et molto puliva le cose sua: et se non fussi morto, a cierto sarebbe venuto a somma perfectione et ascritto in fra gli ottimi maestri.

Fecie il sepolcro di mess. Carlo Marsupini in s.ta ✠.

Vedesi uno ornamento del Corpus Domini in s.to Lorenzo di Firenze con uno bambino, cosa mirabile.

Fecie la testa della Marietta delli Strozzi, di marmo molto bella, et altre arme, et uno leone in uno scudo nella faccia della casa de Gianfigliazi. Fecie la sipoltura della beata Villana nella chiesa di s.ta Maria Novella allato al tramezzo, di marmo.58


|fo. 45r] Antonio, detto il Rossellino dal Proconsolo, perchè quivi lavorava: fu delicato et gientile maestro, et molto diligente et lavorò molte cose di marmo belle, mandate in diversi paesi et molto bene condotte. Anchora in s.to Miniato a Monte fece la cappella et il sepolcro del cardinale di Portogallo: dove è la fiura del Cardinale con più fiure in torno et al dirimpetto; cierto compositione bellissima: el cielo della quale è di terra invetriata di Luca della Robbia; et la tavola dello altare è di mano di Piero del Pollaiuolo.59 Fu Bernardo architettore suo fratello che fecie il modello della casa de Rucellai, oggi di mess. Lorenzo di mess. Piero Ridolfi, (da «oggi» fino a «ridolfi» cancellato) et della loggia de Ruciellai fecie il modello Ant.o di Migliorino Guidetti.60 Fecie costui in s.ta ✠ il sepolcro di mess. Lionardo Bruni da Arezo, et una Nostra [p. 323 modifica]Donna di marmo nella prima colonna sopra il sepolcro di Francesco Nori.61

Fecie decto Antonio dua tavole di marmo, che una ne mandò a Lione nella chiesa de fini (de’ fiorentini), et l’altra andò a Napoli: et nella pieve di Napoli (sic, leggi: Empoli) uno s.to Bastiano, cosa miracolosa.62


Nanni di Antonio di Bancho fiorentino hebbe lo stato nella città di Firenze per le sue virtù. Morì giovane: che veniva valentissimo. Fecie la fiura di s.to Filippo di marmo nel pilastro di Orsanmichele, et i quatro Santi in decto luogho, et sopra la porta di s.ta Maria del Fiore che va alla Nunziata, una Absuntione di Nostra Donna bellissima: nella faccia dinanzi di decta chiesa al lato alla porta di mezo verso i Legnaiuoli, uno de’ quatro evangelisti et altri acanto.63


|fo. 45v] Andrea del Verrochio, fiorentino disciepolo di Donatello, fecie dua fiure di bronzo di Cristo et di s.to Tommaso poste nel pilastro d’Orto San Michele, et una fiura di bronzo di Davit al capo della scala di palazo de nostri Signori.

Fecie la palla, il bottone, et la crocie in sulla lanterna della Cupola, et una fiura di Nostra Donna sopra del sepolcro di mess. Carlo da Arezzo, di marmo in s.ta ✠.64

Fecie uno cavallo di terra a Venetia, in sul quale era Bartolomeo da Bergamo, per gittarlo di bronzo; ma assalito dalla morte non possette finirlo. Fecie il sepolcro in s.to Lorenzo di Piero di (sic, invece di «et») Giovanni di Cosimo de’ Medici, et di molte altre [opere] in Firenze et fuori.

Era in oltre di grandissimo disegnio, et fecie di molte storie in s.to Giovanni: et in s.to Salvi una tavola di battesimo di nostro Signore.65


Michelozo Michelozi fiorentino, architettore et scultore: fece la fiura di bronzo di s.to Matteo messo nel pilastro d’Orsanmichele.66 Fecie il modello del palazo di Cosimo de’ Medici, et il modello della cupola de’ Servi,67 et una fiura di marmo sotto il sepolcro di papa Janni in s.to Giovanni.68 Fecie assai modelli et edifitii a varii signori: a Raugia (Ragusa) fecie una rocha,69 et in Firenze al palazo de S.ri messe le colonne, o pilastri nella loggia del cortile.


Antonio del Pollaiuolo fu di grandissimo ingegnio: lavorò di nielo, et bulino splendidissimante (sic). Fecie in Roma il sepolcro di bronzo di papa Sisto. Fecie più istorie et quadri nello altare di [p. 324 modifica]ariento di s.to Giovanni.70 Lavorò nella Parte Guelfa con Lorenzo di Bartoluccio, dove fecie cose miracolose71 et tutte le storie di s.to Giovanni, et paramenti di decta chiesa furno i disegni di sua mano.72


|fo. 46r] Buonamico detto Buffalmacho insieme con Bruno et Capardino (invece di: Calandrino) sua compagni dipinsono la chiesa di Faenza dove stanno le monache, dove intesono che quelle havevono vernaccia molto buona, et feciono disegnio come potessino assaggiarla: et cominciorno a dipigniere le fiure scolorite: et addimandati dal castaldo perchè così le faciessino, rispuosono che bene si farebbono colorite, se qualche volta si spruzassino la bocha con qualche buono vino: onde il castaldo cominciò a dare loro alle volte di decta vernaccia, et alle fiure tornò il colore in viso. Usavono le monache anchora dare loro a mangiare assai agli et cipolle: et loro cominciorno a fare le fiure che volgievano le spalle, nè si vedeva il dinanzi: et dimandati, perchè in tal modo le facievano volte, che alle monache non satisfacievano niente? Gli quali così rispuosono: non vi maravigliate di questo, perchè le suore ci danno a mangiare tanti agli e cipolle: el quale puzo tanto dispiace a queste fiure che tutte ci voltano la schiena come vedete, per non sentire il nostro tristo fiato: et così fu cambiato loro vita, et le fiure tornarono ben fatte.73

Dipinsono in casa di Nicholo Cornachini in Camerata, et in altri luoghi, dove si vede assai buoni tratti: di costoro fa mentione il Bochaccio.


Giovannino da s.to Stefano a ponte di Firenze dipinse tre cappelle in s.ta Trinita, quella degli Scali, et una al lato, et la terza da l’altro lato della cappella maggiore di s.to Paolo; anchora dipinse più altre cose.74


Bicci fiorentino dipinse e Martiri nel Carmine, et nella compagnia de Martiri drieto a Candegli (invece: «a Camaldoli» come nello Strozz. e Gadd.), et uno s.to Cristofano a lato alla porta del martello di s.ta ✠ et la faccia a lato, et nel chiostro di drento de frati: et nella sala della casa vechia de Medici dipinse più cose: |fo. 46v] et dipinse dodici Apostoli che sono in s.ta Maria del Fiore, et più santi a piè della finestra della cappella de Lenzi in Ognissanti: et Neri suo fratello (invece di: «figliuolo», come scrive bene lo Strozz. e il Gadd.) dipinse detta cappella de Lenzi in Ognissanti.75


Bernardo fiorentino dipinse in tavola assai, et in Pisa la chiesa di s.to Paulo et (sic) a Ripa d’Arno, et in Campo Sancto lo inferno: et in Firenze et di fuori.76 [p. 325 modifica]

Alesso Baldovinetti fiorentino, fra l’altre sipolture (invece di: «sue pitture» come si legge nello Strozz.) dipinse il Duca di Athene et suoi seguaggi nella faccia della torre del podestà di Firenze.77


Iacopo di Casentino, el quale fu della linea di messer Cristofano Landini da Prato Vecchio, dipinse assai in Casentino in quelle chiese che vi sono, et in Firenze il tabernacolo di Mercato Vechio.78


Andrea di Cione detto l’Orgagnia dipinse la cappella maggiore di s.ta Maria Novella, che la guastò a nostri dì il Grillandaio, et ne trasse di molte belle cose: guardisi al messo dei comune.79

Dipinse la cappella delli Strozi et la tavola in detta chiesa et lo inferno: et messelo nello inferno, et evvi dipinto il messo del Comune con uno Gilio in sulla berretta, perchè lo pegnioro.80 Fecie di marmo la Absuntione di nostra Donna nel tabernacolo d’Orsanmichele, dove è la sua fiura di mezo rilievo con viso tondo e barba, e capuccio in capo et a piedi nella cornice è scritto il nome suo.

Dilettosi di comporre, et anchora si truovò de’ sua sonetti.

Resta de sua disciendetti (sic) al nostro tempo Jacopo di Cione merciaio nel Corso degli Adimari, et stava ad casa nella via de Corazai, coè nella Via [Vigna] Vechia.81


|fo. 47r] Masaccio fu ottimo inmitatore della natura, di gran rilievo, universale, et buono compositore, puro, et senza ornato, perchè solo si dette alla inmitazione del vero et del rilievo delle fiure. Fu valente quanto huomo di quelli tempi et di grande facilità: morì di anni 26 a Roma di veleno.82 Dipinse ne’ chiostri del Carmine di Firenze, dalla porta che entra in chiesa, una processione con grande artifitio,83 et in chiesa, nel pilastro della cappella de Serragli, uno s.to Piero con grande artifitio,84 et nella cappella de Branchacci in decta chiesa una parte di essa, et infra le altre cose uno che triema:85 et assai altre opere.

Molto era amato costui da Filippo di sere Brunellescho architettore, mediante il suo ingiegno perspicacie, et insegnielli (sic) molte cose della arte, et quando intese la sua morte, mostrò che assai gli dolessi, diciendo sempre: noi habbiano fatto una grande perdita.86

Dipinse in s.ta Maria Novella uno crocifisso, coè (sic) una Trinita che ha a piedi una morte molto bella: dirieto al pergamo.87 [p. 326 modifica]

Dipinse insieme con Masolino la cappella de Branchacci nel Carmine: stette Masolino con Lorenzo Bartolucci a ressattar (invece di: «rinettar» nello Strozz. e Gadd.) le porte di bronzo di s.to Giovanni, et panni che non ci sono li meglio rinetti che sua:88 et in Pisa dipinse assai cose.89


Stefano detto lo Scimmia che dalla natura expresse qualunche cosa volesse,90: fu diligientissimo maestro: dipinse in s.to Spirito la Trasfiguratione di Cristo allato a l’archo fatto da Antonio da Vinegia de cinque pani e dua pesci.91 In Campo sancto di Pisa dipinse la Absuntione di nostra Donna,92: et intesi lui essere di scieso di Giotto.93


|fo. 47v] Gherardo detto lo Starnina dipinse nel Carmine la cappella di s.to Girolamo, et perch’egli era stato assai in Francia et in Spagnia vi achomodò cierti vestiti alla usanza di que’ paesi. Dipinse alla auta di Pisa nel 1406, la facciata della Parte Guelfa di fuori, s.to Dionigi, et la città di Pisa allato (invece di: «alto») sopra la scala.94 Era costui molto virtudioso et la minore era la pittura.95 Sono disciesi di lui quelli di Mariano di Gherardo, et ànno a fare a torre de lo Gniogni di la dalla Apparita,96 et stanno ad chasa nella via de’ Buonfanti.


Fra Giovanni decto da Fiesole, Angelicho, vezoso, et divoto et di virtù ornato molto: con grande facilità97 dipinse in Firenze, in Roma, et altrove; et il capitolo di s.to Marcho di Firenze et la tavola dello altare maggiore98 con più altre fiure nella decta chiesa: et nella sagrestia di s.ta Trinità le tavole (invece di: «la tavola») dove è diposto Cristo di ✠, una tavola in s.to Celio (Gilio) dove è dipinto il Paradiso,99 una tavola nel tempio dove è Yesù Cristo morto, et intorno uno choro delle Marie et nello ornamento dove stanno gli arienti alla Nunziata, cierte fiure pichole, et nel munistero degli Agnioli uno inferno, et paradiso.100 In Roma in (sic, invece di: «una») cappella di papa Eugenio:101 in s.ta Maria Novella tra le tre porte del tramezo, coè del ponte, quando lui era giovanetto, et in decta chiesa dove (sic) loro tengono le reliquie, fecie più ornamenti (lo Strozziano ha: «tabernaculi»),102 et la tavola della capp.la del palazo de’ Medici, intorno alla quale dipinse in frescho Benozo;103 et in s.to Domenico da Fiesole, dove lui habitava, dipinse più tavole.104


Fra Lorenzo frate negli Agnioli, dipinse la tavola dello altare maggiore di decta chiesa,105 et in s.ta Trinita la cappella degli Ardinghelli, dove sono le inmagini di |fo. 48r] Dante et del [p. 327 modifica]Petrarcha,106 et la cappella de Bartolini in detta chiesa, dove dipinse lo Sponsalitio di nostra Donna.107


Lippo del Fino fu gientile maestro per quanto patirno i tempi suoi: dipinse in più luoghi, e fra gli altri in s.to Ant.o della porta a Faenza, allo spedale, certi poveri, et nel chiostro la storia di s.to Ant.o et la visione, quando lui vidde molti lacci nel mondo: apresso de’ quali erano disegnati huomini con diversi appetiti, sicondo dalli dimonii erano tirati. Fecie una figura di musaico invetriata, la quale è al presente nella udientia della Parte Guelfa; et in s.to Giovanni una storia di musaico di santo Franc.o ad capo alla porta di mezo inverso il Battesimo.108


Eliseo del Fino lavorò fuora di Firenze assai et massimo in Spagnia, nel qual luogo fu fatto dal Re cavaliere; et tornando in Firenze, gli fu fatto molto honore et datoli le bandiere del Comune, le quali in decto tempo a messer Filippo Scolari decto lo Spano cavaliere similmente che venendo in Firenze, furno negate per la invidia: et tornando decto messer Eliseo dalla Signoria con dette bandiere et honoranza, et passando per Vachereccia da certi orafi sua amici nel passare fu bociato; et lui volse verso tali bocie, fecie loro con ambe le mani le fiche, et senza dire altro passò via: et quelli tali che lo bociavano, quasi svergogniati li feciono reverentia. In Firenze non era notitia di sue dipinture, se non nel chiostro di s.ta M.ria Novella di verde terra, quando Ysach dette la benedictione a’ figliuoli: et lui quando dipignieva usava il grembiule di brochato.109


Spinello di Forzore orafo110 perche più tempo habitò in Arezo, era reputato Aretino:111 in Arezo dipinse la sagrestia di s.to Miniato a Monte.112


|fo. 48v] Andreino da Castagnio, allevato da picholo in Firenze et fu levato da guardare le bestie da uno maestro fior.o (lo Strozz. e il Gadd. hanno: «nostro cittadino») che lo trovò che disegnava una pecora in su una lastruccia et lo condusse a Firenze.113 Fu costui grande disegniatore, e di grande rilievo, ed amatore delle difficultà della arte.114 Dipinse in più luoghi: come fu na (sic invece di: «una») facciata in S.to Gilio in Firenze, et drieto allo altare maggiore, dipinse Alesso Baldovinetti, et uno Domenicho da Vinegia, el quale fu morto da detto Andreino con una maza ferrata in sulla testa per invidia, et però non potette finire detta facciata et alla morte confessò detto omicidio.115 Fece nel chiostro delle ossa di s.ta Maria Nuova uno s.to Andrea separato con (invece delle [p. 328 modifica]ultime due parole nello Strozz. e Gadd. si legge: «sopra») uno uscio, et nel chiostro grande di s.ta ✠ uno Cristo alla colonna con più fiure intorno116 et in decta chiesa nella capp.la de’ Cavalcanti uno st.to Girolamo, et uno s.to Francesco et nella Nuntiata di Firenze nella cappella di messer Orlando de’ Medici tre flure, infra le quali vi è la moglie di decto maestro Andreino: et in un’altra cap.la in decta chiesa un s.to Giovanni (invece di: «S. Girolamo,» come scrivono bene lo Strozz. e il Gadd.) et in un’altra uno s.to Gregorio (gli altri due codici dicono bene: «S. Giuliano») con la storia sua,117 et in Santa Maria del Fiore la fiura di Nicholò da Tolentino a cavallo, stato capitano de’ Fiorentini di fuori.

Dipinse nel munistero degli Agnioli nel primo chiostro rincontro alla porta del martello, uno crocifisso con molte flure,118 et nel refettorio di s.ta Maria Novella (il Gadd. e Strozziano dicono bene: «Nuova») uno cenacolo di Cristo con li Apostoli: opera bella; et una bella pittura alla porta della chiesa di s.to Giuliano:119 et nella loggia de’ Carducci a Sofiano, che oggi è decta casa de Pandolfini, uno crucifisso, et uno s.to Girolamo e Maria: opera excellentissima.120 Alla Scarperia sopra la porta del Vicario, una Carità igniuda, certo bellissima.121

|fo. 49r] Dipinse nella faccia del Palagio del Podestà di Firenze più cittadini stati confinati per lo Stato, per dilegione a uso di impichati; et da indi in poi fu cogniominato maestro Andreino delli Impichati.122


Paolo Ucciello fu buono compositore, et vario: grande maestro di animali, et di paesi: fu arteficioso nelli scorci et intese molto bene la prospettiva:123 fecie nel primo chiostro di S.ta Maria Novella una storia quando Dio plasmò Adamo et Eva, et come loro furono cacciati del Paradiso delle delitie, et una storia del Diluvio: cose bellissime. In s.ta Maria del Fiore, la fiura di messer Giovanni Aguto capitano inghilese (sic) ad cavallo de’ Fiorentini di verde terra.124 Fecie dua fiure nella faccia del munistero di Annalena, et sopra la porta di s.to Tommaso di Firenze Cristo et s.to Tommaso.125 Dipinse negli Agnioli nel chiostro dellato (Strozz. e Gadd.: «dellorto») grande di verde terra di molte fiure assai lodate.126

Dipinse anchora nel chiostro di S.to Miniato a Monte, di verde terra. Fecie più storie in panni, et inaltri luoghi tutte belle.127


Pisello valse sopra gli altri negli animali128 et se ne vede molti in grande perfectione, et infra gli altri nella casa de’ Medici, uno Lione a uno grato, (a una grata) et in casa Pierfrancesco de’ Medici una spalliera di animali, molto bella, et una tavola in S.to Iacopo di Pistoia, et molte altre fiure et tavole.129 Lasciò uno [p. 329 modifica]allievo detto Pisellino, coè Francesco detto Pisellino, el quale lo seguitò in cose pichole.130


Fra Filippo fiorentino fu artifitioso sopra modo; valse molto nelle compositioni, et varietà, nel colorire, nel rilievo, nello ornamento d’ogni sorte, et inmitatore del vero.131

Dipinse una tavola nel novitiato di S.ta ✠.

Anchora in Firenze et di fuori di molte cose, et la cappella maggiore della pieve di Prato, et in s.to Ambruogio di Firenze una tavola allo altare grande, honoratissima et gratiosa.132

|fo. 49v] Fecie una tavola in S.to Spirito nella cappella de’ Barbadori, et una tavola nella cap.la degli Operaj di S.to Lorenzo, una predella alla Nuntiata di s.ta133

Nel palazo de’ Medici una tavola, la quale è oggi nel palazzo di S.ri che vi si messe quando loro furno fatti rubegli:134 la tavola dello altare maggiore delle Murate, dove è s.to Bernardo che ha legato il diavolo;135 et una tavoletta dove è il Presepio in Annalena.


Berto, linaiuolo im pueritia, morì giovane: non dimeno fecie molte belle tavole.136


Sandro di Botticello fu disciepolo di fra Filippo: fece da giovanetto nella Mercantia una Fortezza belliss.a; una tavola in s.to Marcho allato alla porta della chiesa a mano sinistra et uno s.to Agostino in Ognissanti nel pilastro del coro dinanzi;137 una tavola in s.to Spirito, di s.to Giovanni; in s.to Bernaba una tavola di nostra Donna et s.ta Catherina:138 una tavola nelle Convertite; una tavola in s.ta Maria Novella alla porta del mezo.139 Più femmine igniude, belle più che alchuno altro;140 et a Roma nella cap.la di Sisto III (sic) fecie più quadri di cose pichole, et in fra laltre uno s.to Girolamo.141


Filippo di fra Filippo, anchora che morisse giovane, fecie assai cose, et in Roma nella Minerva una cappella a stantia di Giovanni Tornabuoni:142 in Firenze et la cap.la di Filippo Strozi allato allo altar maggiore di s.ta Maria Novella: finì la cappella de’ Branchacci nel Carmine, cominciata da Masaccio et seguitata da Masolino, et una tavola a s.to Donato a Scopeto, dello altare maggiore, et una tavola nella chiesa di Marignolle.143 La tavola dello altare maggiore della Nuntiata illato dinanzi, non la finì, che morse; finì la parte |fo. 50r] di drieto Pietro Perugino molto male.144 Fecie una tavoletta di fiure pichole a Piero del Pugliese: et richiesto da altri cittadini, che ne faciessi una simile, disse, essere impossibile. Faceva costui una mano maggiore dell’altra, et se ne [p. 330 modifica]advedeva, nè se ne sapeva correggiere.145 Fecie una tavola a Tanai de Nerli in s.to Spirito, et il disegnio della finestra di vreto (vetro) di s.to Martino. Fecie una tavola al decto Tanaj in s.to Salvadore fuora di Firenze.146 Dipinse a Bolognia, a Gienova et in altri luoghi.


Bonorio147 fiorentino dipinse in Pisa in Campo santo, et assai cose in Firenze et la facciata di s.to Gilio di fuori quando il papa lo consacrò,148 et in s.to Friano di Firenze uno transito di s.to Girolamo,149 la facciata di fuori di s.ta Maria Maggiore150 et la cappella in frescho del palazzo de’ Medici.


Alesso Baldovinetti dipinse la tavola dello altare maggiore di s.ta Trinità, et la detta cappella.151 Dipinse la faccia in s.to Gilio drieto all’altare maggiore.152 Dipinse in frescho drieto alla Nuntiata nel chiostro.153

Dichiarò (rischiarò) il musaico in st.to Giovanni, dove fu fatto architettore: fece uno ordingho (sic) molto bello et facile, che si pensa havessi il disegnio da Bernardo Galluzi, che anchora si vede nella Sapientia; che è fiurata per tutta la cappella.154


Domenico del Grillandaio dipinse la cappella maggiore in s.ta Maria Novella, et la tavola, 155 et guastossi la dipintura vechia fatta per mano dello Orgagnia; donde cavò parechi buoni tratti in fiure molto belle. Anchora dipinse la cappella, et tavola de’ Sassetti in s.ta Trinità, et uno tabernacolo in s.ta ✠ di s.to Paulino presso alla porta,156 et uno s.to Giorgio in Ognisanti:157 et a Roma nella cappella di Sisto più storie, assai donne, et altre dipinture: et uno s.to Girolamo nelle Murate.158


|fo. 50v] Piero del Pollaiuolo fecie uno s.to Cristofano a s.to Miniato fra le Torre, che fu disegnio di Ant.o, suo fratello; et una tavola di s.to Bastiano a s.ta Maria de’ Servi, dove ritrasse Gino di Lodovico Capponi;159 et una tavola nella cappella del Reverendissimo di Portogallo a s.to Miniato a Monte, et delle Virtù sie (sic) si vede in una spalliera in sala della Mercantia:160 et in Roma fecie più opere exciellente.


Fra Bart.o frate di s.to Marcho dipinse in frescho fra le Ossa di s.ta Maria Nuova, uno Giuditio,161 et più tavole, delle quali ne è in s.to Marcho dua, et uno s.to Vincenzio sopra lo altare di sagrestia,162 et uno s.to Bastiano nella cappella (invece di «nel capitolo», come scrivono più esattamente il Gadd. e Vasari) di s.to Marcho, igniudo, et una tavola che andò in Francia, molto bella.163


Andreino del Sarto dipinse una storia nella compagnia di s.to Giovanni Scalzo, bella,164 et più storie nel chiostro della [p. 331 modifica]Nuntiata, et fra le altre s.ta Anna nel parto di s.ta Maria, et di santo Filippo, et più opere in Francia, et altrove, et a Milano.165


Lionardo di ser Piero da Vinci, ciptadino fiorentino. Costui in disegnio avanzò gli altri, et ebbe inventioni bellissime, ma non colorì molte cose, perchè mai in niente, anchor che belle, satisfecie a se medesimo: et però ci sono poche cose di suo, che il suo tanto conosciere gli errori non lo lasciò fare.

Ritrasse la Ginevra di Amerigho Benci tanto bene finita, che ella propria non era altrimenti.166 Fecie una Nostra Donna in tavola, cosa rara, et uno s.to Giovanni.167

Fecie una tavola da altare al s.re Lodovico di Milano, che ha nome delle più belle cose che in pittura si vegha; la quale esso s.re mandò nella Magna allo Imperatore,168 et in Milano è di suo uno cienacolo: cosa excellente.

Fecie di terra un cavallo di ismisurata grandezza suvi il Duca Francesco Sforza, per gittarlo di bronzo: ma da tutti fu giudicato impossibile, perchè voleva gittarlo di uno pezo.169

Fecie infiniti disegni maravigliosi, et fa l’altre (sic) una Nostra Donna et s.ta Anna che andò in Francia,170 et uno cartone della |fo. 51r] guerra di Fiorentini quando ruppono Nicholo Piccinino, capitano del Duca di Milano.


Filippo da Anghiari171, el quale cominciò a mettere in opera nella sala del Consiglio di materia che non serrava, in modo che rimase imperfetta: dettesi la colpa che lui fu ingannato nello olio del seme del lino che gli fu falsato. Era universale in diverse cose, come nel tirare nelli edifitii, et acque in prospettiva, et come è detto, nel disegno quasi passò tutti gli altri: nè mai si quietava con lo animo, sempre con lo ingiegno fabbricava cose nuove: et fecie in Milano uno cenacolo miracoloso.172


Michelagniolo di Lodovico Buonarroti è da considerare quale più conveniente chiamare si possa, architettore, scultore, overo pittore, perchè in tutte le dette facultà ha tanto perfettamente operato. Nella pittura, come si vede in assaissime opere et maximo a Roma nella cappella di Iulio II in s.to Pietro, dove ha volsuto a tutto il mondo mostrare che tutti li altri pittori gli sono inferiori, et tutti quegli che vogliono di tale arte essere chiamati maestri, a pari di quella di Michelagniolo, conosciesi essere tutte l’altre cose impiastrate, et anchora che habbino lo esemplo di decto unico maestro, non dimeno non ànno saputo inmitarlo, conosciuta la difficultà della arte et la maestria, la quale in nessuno delli altri apparisce nè antiqui o moderni. [p. 332 modifica]

Nella architettura, ha composte tante altre cose, fuori del modello della nuova sagrestia di s.to Lorenzo, dove si potrebbe dire, che nella maggiore parte habbia auto esemplo dalla vechia fatta in decto s.to Lorenzo, ordinata insieme con la chiesa da Filippo di ser Brunellescho; non dimeno si conoscie quanto negli edifitii fatti |fo. 51v] da lui esso vi habbia giuditio maraviglioso, et conmendare da lui le cose fatte bone et con ragione, et i manchamenti conosciere in esse, et renderne chiara et ampia ragione, et nello havere praticha in tutte le cose, et come il giuditio et parere suo tutti gli altri buoni architettori fa taciere.

Nella scultura si vede andarsi acostando a quei maestri antichi, et soprafare i moderni. Si vede di lui in Roma infra le altre cose una Pietà di marmo da fare stupire tutti gli intelligienti; et assai altre figure di marmo.

Et nella sagrestia di s.to Lorenzo di Firenze maravigliose et stupende opere, con la Libreria di decta chiesa. Voglio lasciare stare il Davitte di marmo in piaza avanti fa porta del Palazo de Signiori, et tante altre opere miracolose da lui fatte, per non fare stupire gli audienti.




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Annotazioni al precedente testo

del Cod. Magliabechiano XIII, 89 (Codice Petrei).


  1. [p. 352 modifica](Brunelleschi.) (1) Nella riproduzione del testo ci siamo attenuti strettamente all’originale, sciogliendo bensì le abbreviature, e riordinando la interpunzione: in parentesi abbiamo aggiunto, dove ci è parso necessario, l’emendazione di sbagli fatti dal copista.
  2. [p. 352 modifica](2) Paolo del Pozzo Toscanelli, che dal Manetti e sulle orme di questi anche dal Vasari vien annoverato fra gli amici intimi del Brunelleschi.
  3. [p. 352 modifica](3) Nome dato al Ghiberti per il suo patrigno Bartolo o Bartoluccio di Michele.
  4. [p. 352 modifica](4) Questa notizia, riportata pure dal Vasari, non è affermata nè dal Manetti nè dai documenti riguardanti il concorso pei modelli della lanterna del Duomo. (Vedi Vasari, ediz. Milanesi, t. II, p. 363. È questa la edizione alla quale si riferiscono sempre le nostre citazioni).
  5. [p. 352 modifica](5) Nessuno degli altri biografi del Brunelleschi che attinsero notizie dal libro di Antonio Billi (Vasari e l’Anonimo Gaddiano) accenna alla circostanza, che la statua del Brunelleschi sia stata fatta a [p. 353 modifica]
  6. [p. 353 modifica](6) La storia di questo concorso spontaneo fra i due artisti viene riferita distesamente dal Vasari nelle loro Vite, t. II, p. 333 e 398.
  7. [p. 353 modifica](7) Della allogazione fatta insieme ai due artisti, si parla anche nella nota biografica di Donatello in ambedue i nostri codici, ne’ quali però l’esecuzione delle due statue si attribuisce chiaramente a Donatello solo, - il che, almeno per quanto riguarda il S. Marco, è avverato dalla testimonianza de’ documenti, che però non dicono nulla della pretesa allogazione in compagnia. - Vedi Vasari II, 402, nota 5.
  8. [p. 353 modifica](8) Coll’ultima frase si vuol dire che secondo il modello del Brunelleschi, la forma semicircolare delle cappelle che cingono tutt’intorno le navi laterali, avrebbe dovuto comparire anche dalla parte di fuori. E difatti, il Prof. Stegmann, investigando scrupolosamente i muri di ricinto della chiesa, ha scoperto che così era la loro forma originale e che il ricinto tutto diritto delle navi laterali appartiene a epoca posteriore alla morte del Brunelleschi.
  9. [p. 353 modifica](9) Coll’“archo che si posa in sul falso„ si vuol accennar a una singolarità ben nota dell’edifizio in discorso: che cioè l’asse longitudinale della nave e della croce s’imbatte in una colonna, invece che in una arcata. Si sa che questa disposizione singolare della pianta generò poi la questione tanto dibattuta circa il numero delle porte le quali dalla facciata dovevano dar accesso nell’interno.
  10. [p. 353 modifica](10) Senza dubbio qui doveva seguire la menzione della sagrestia vecchia, opera indubitata del Brunelleschi, - omessa per una delle solite inesattezze del compilatore. Infatti nel Cod. Strozziano in questo luogho si legge: “et etiam la sagrestia prima„ .
  11. [p. 353 modifica](11) Si vede dunque, che la fonte di questo motto, riportato pure dal Vasari e dall’Anonimo Gaddiano, ma di cui il Manetti non fa ricordo, era il Libro di Antonio Billi.
  12. [p. 353 modifica](12) L’origine di quanto qui si narra sul modello del Palazzo mediceo è la stessa a cui abbiamo accennato nella nota precedente.
  13. [p. 353 modifica](13) Il Petrei, attribuendo al Buggiano tutti e due gli acquai nella sagrestia (nuova) del Duomo, ha copiato male l’originale; questo invece di “detta sagrestia„ aveva senza dubbio “sagrestia vecchia,„ come ce lo attesta il testo del Cod. Strozziano. E questo poi corrisponde alla verità, - i due acquai del Buggiano trovandosi l’uno nella sagrestia nuova, e l’altro nella vecchia.
  14. [p. 353 modifica](14) Il Cod. Strozziano, attenendosi più strettamente al testo [p. 354 modifica]originale, dice con più precisione: “Il modello degli Agnoli non finito„; ed invero non si tratta qui del convento, ma del cosidetto tempio degli Angeli, il quale mezzo terminato si vede ancora allo svoltar della Via degli Alfani in quella del Castellaccio, nome derivato appunto dall’edifizio in discorso.
  15. [p. 354 modifica](Tafi.) (15) La seguente notizia su Andrea Tafi, scritta nella parte inferiore del fol. 40v (che nel resto è rimasto bianco), non è copiata dal Libro d’Antonio. Essa non vi era contenuta: e di questo ne fa prova la circostanza che il nome del Tafi non si trova nell’elenco delle biografie del detto libro, premesso alla copia del codice Strozziano; la sua biografia non occorre neppure nel testo stesso di quest’ultimo, ed anche le poche notizie contenute sul Tafi nell’Anonimo Gaddiano, sono differenti da quelle del manoscritto Petrei, e perciò evidentemente non di origine comune. La fonte del Petrei in questo caso era senza dubbio il Vasari: nella sua Vita di Andrea Tafi si leggono tutte le notizie compendiate dal nostro autore, nel medesimo ordine e presso a poco colle stesse parole, infino all’anno della sua morte.
  16. [p. 354 modifica](Cimabue.) (16) Queste date sull’epoca di Cimabue, il nostro compilatore le tolse senza dubbio dal Vasari, aggiungendole in prima riga al testo copiato dal Libro d’Antonio.
  17. [p. 354 modifica](17) Fin qui l’autore del Libro di Antonio (e, dopo di lui, copiandolo, anche i nostri tre codici) si è giovato presso a poco letteralmente d’un passo dell’Apologia di Cristoforo Landino, premessa al suo Commentario della Divina Commedia. A questo già accennò il prof. Strzygowski nella sua opera: Cimabue und Rom. Vienna 1888, pag. 26.
  18. [p. 354 modifica](18) Delle opere fatte per la chiesa di S. Francesco in Pisa, la sola grande tavola della Madonna col divino pargolo si è conservata. Essa si trova oggi nel Museo del Louvre a Parigi (N.o 153 delle pitture italiane) - Vedi Vasari I, 251, nota 2.
  19. [p. 354 modifica](19) Questi affreschi, che il Vasari (I, 254) descrive ancora come esistenti, sono periti d’allora in poi.
  20. [p. 354 modifica](20) Delle pitture nel convento di S. Francesco scalzo, il Vasari ne rammenta due: una tavola con un San Francesco (che i signori Crowe e Cavalcaselle però attribuiscono al Margaritone) ancora esistente, e un Cristo in croce con angeli attorno e la Madonna e S. Giovanni Evangelista al piè della croce, di cui non si sa che cosa sia avvenuto. - Vedi Vasari I, 251 e 252.
  21. [p. 354 modifica](21) Non è bisogno di dire, che gli affreschi di Assisi descritti anche dal Vasari (I, 252) esistono ancora; delle pitture fatte a Empoli, oltre quello che ne dice il Vasari (I, 254), non si sa niente.
  22. [p. 355 modifica](22) Il racconto della visita di Carlo d’Angiò, per vedere la tavola conservata anch’oggi sul luogo originale, e riferito pure dal Vasari, non si trova nelle storie o cronache contemporanee o poco posteriori. Senza dubbio la sua origine risale al Libro d’Antonio.
  23. [p. 355 modifica](23) Il Petrei tolse questo ultimo passo probabilmente dal Vasari, e lo aggiunse alla notizia su Cimabue che egli aveva copiata dal Libro d’Antonio. In questo non si trovava il passo in questione, perchè manca nelle altre due sue copie, lo Strozziano e il Gaddiano. Non sapremmo dire donde l’abbia preso il Vasari. Il Boccaccio racconta che Giotto abitava in Via del Cocomero, ma non accenna che la sua casa abbia prima appartenuto a Cimabue, come pretende il Vasari (I, 256).
  24. [p. 355 modifica](Giotto.) (24) Questa prima riga è stata aggiunta al testo che segue, copiato dal libro d’Antonio. La fonte n’è probabilmente il Vasari, che assegna alla nascita di Giotto l’anno 1276.
  25. [p. 355 modifica](25) Della “fiura a capo alla scala„ il Vasari ci dice, che fosse una personificazione della Fede Cristiana, traendo questo particolare dalla biografia di Giotto nel secondo Commentario di Lorenzo Ghiberti (Vasari, II, 376). Delle pitture nella prima sala il Vasari non fa motto; il Ghiberti invece racconta che “molte altre cose erano in detto palagio„ di Giotto. Tutte le opere qui rammentate sono perite da lungo tempo.
  26. [p. 355 modifica](26) Questa linea intiera è tolta quasi letteralmente dall’Apologia del Landino.
  27. [p. 355 modifica](27) Le pitture nella tribuna furono distrutte nell’ingrandimento della chiesa. La “nave„ ossia il mosaico della Navicella, è oggi collocato nel portico di San Pietro. Delle “altre cose mirabili„ (che il Vasari enumera particolarmente, t. I, pag. 384, 386 e 387), la sola che si sia conservata a’ nostri dì, è la tavola proveniente dalla cappella di San Pietro: essa si vede tuttora nella sagrestia dei canonici. (Vasari, I, 384, nota 1).
  28. [p. 355 modifica](28) Le pitture nell’Incoronata oggi non si tengono più per opera di Giotto: quelle in S. Chiara descritte dal Vasari (I, 390) furono coperte di stucco nel secolo passato.
  29. [p. 355 modifica](29) Gli affreschi della cappella nel Palazzo del Bargello sono tuttavia in essere, quelli nella cappella maggiore della Badia, rammentati nella linea seguente, sono da lungo tempo periti.
  30. [p. 355 modifica](30) Tutte le opere sopra enumerate - eccetto gli affreschi delle due cappelle de’ Giugni e de’ Tosinghi tuttavia coperti di bianco sono ancora in essere.
  31. [p. 355 modifica](31) L’asserzione che Taddeo Gaddi avesse continuato la fabbrica del Campanile dopo la morte di Giotto, fu dimostrata erronea dal commentatore recentissimo del Vasari (t. I, p. 591). Questo, come anche [p. 356 modifica]il nostro Petrei e lo Strozziano e Gaddiano, l’aveva presa dal Libro d’Antonio.
  32. [p. 356 modifica](32) Il crocifisso esiste ancora nel luogo indicato, il San Lodovico è perduto (Vasari, I, 394).
  33. [p. 356 modifica](33) Questo aneddoto si trova anche nel Vasari e nell’Anonimo Gaddiano, attinto senza dubbio dalla stessa fonte, donde lo copiarono pure i nostri due Codici, cioè dal Libro d’Antonio.
  34. [p. 356 modifica](34) II San Francesco sopraindicato esiste tuttora nel luogo accennato. Lo Strozziano lo registra colle stesse parole del Petrei, e il Gaddiano lo addita in una postilla, ch’egli dice espressamente essere cavata “del libro dantonio„. È questa un’altra delle testimonianze che i nostri due codici sono copie esatte di quel libro.
  35. [p. 356 modifica](Giottino.) (35) Si tratta qui del pittore Giotto, figlio di Stefano fiorentino detto la scimmia, di cui si legge una notizia biografica nel nostro codice più avanti (l’Anonimo Gaddiano lo dice espressamente padre di Giottino). Il Vasari confonde Giottino e un altro pittore, Maso di Banco, in una sola persona, alla quale egli da il nome di Tommaso detto Giottino (Vedi I, 621 seg.). Tutte le opere sopra enumerate sono perite. Il nostro copista fa del Convento alle Campora e di quello dei Girolamini due località distinte, erroneamente, perchè tutte e due erano una stessa cosa. Delle pitture di Giottino eseguite a Roma, il signor Eugenio Müntz ha trovato le note delle spese, per cui vengono avverate le notizie relative de’ nostri codici (Vedi Crowe e Cavalcaselle, Storia della pittura in Italia, t. II, pag. 102 segu. e 127 segu.) Col testo di quest’ultimo si può rettificare ora quello del Vasari sulle pitture nel Laterano. Se egli ne dice (t. I, 626): “in San Giovanni Laterano una storia dove figurò il papa in più gradi,„ è evidente che copiò erroneamente dal Libro d’Antonio questa ultima parola invece di “quadri„.
  36. [p. 356 modifica](Agnolo Gaddi.) (36) Tutte queste pitture, salvo quella in S. Iacopo tra’ Fossi, si sono conservate fin oggidì, e da tutte le fonti vengono attribuite a Agnolo Gaddi, eccetto quelle nel refettorio di S. Croce (neanche dal Vasari comprese nel novero delle opere di Agnolo). I Signori Crowe e Cavalcaselle le danno in parte a Taddeo Gaddi ed in parte a Niccolò di Pietro Gerini.
  37. [p. 356 modifica](Taddeo Gaddi.) (37) Oltre queste opere, oggidì tutte perite, nel Cod. Strozziano e Gaddiano gli vengono ancora attribuite un affresco della Disputa nel tempio sopra la porta della sagrestia di S. Croce, ed un [p. 357 modifica]tabernacolo al canto della Via del Crocifisso. Non c’è dubbio dunque che esse si trovavano registrate nel Libro d’Antonio e che il Petrei, copiandolo in fretta, le aveva ommesse. Anche il Vasari nella vita di Taddeo Gaddi (I, 571 segu.) rammenta tutte le pitture enumerate, ed altre di cui nei nostri codici non si fa menzione.
  38. [p. 357 modifica](38) Gli affreschi in discorso esistono tuttora. Ma mentre quelli della Cappella Baroncelli secondo la testimonianza di documenti contemporanei sono indubitatamente opera di Taddeo, le storie di Giobbe, dalle ricerche del Bonaini, Förster ed altri furono riconosciute esser state dipinte da Francesco da Volterra. Il Vasari (I, 380) che nella prima edizione delle Vite, attenendosi al Libro d’Antonio, le aveva attribuite al Gaddi, nella seconda le assegna erroneamente a Giotto.
  39. [p. 357 modifica](Donatello.) (39) Il senso di questa frase ci vien rivelato, confrontandola colle analoghe nel testo dello Strozziano e del Gaddiano. Il primo dice: “et di prospettiva intese assai bene,„ il secondo: “et possedè assai la prospettiva.„ Anche qui ci troviamo, dunque, dirimpetto a una delle tante inesattezze del nostro compilatore. Del resto tutto il preambolo alla notizia su Donatello è tolto parola per parola dal Proemio di Cristoforo Landino.
  40. [p. 357 modifica](40) Vedi la nota 7 alla notizia biografica sul Brunelleschi.
  41. [p. 357 modifica](41) In questa linea il nostro compilatore sbaglia due volte, copiando “Donatello„ invece di “Daniello,„ e “Ruchini„ invece di “Cherichini„. Nello Strozziano e nel Gaddiano questi nomi si trovano scritti esattamente.
  42. [p. 357 modifica](42) Che questa testa di cavallo, passata dai conti Caraffa di Maddaloni nel Museo nazionale di Napoli, sia infatti un lavoro del quattrocento, e non come si credè finora l’avanzo d’una statua antica, si desume da una lettera diretta dal Conte di Maddaloni alli 12 luglio 1471 a Lorenzo de’ Medici per ringraziarlo del dono fattogliene. Essa fu pubblicata dal Semper (Donatello seine Zeit und Schule, Vienna 1875, pag. 309) e poi dal principe Filangieri (Archivio storico delle provincie napoletane, t. VII, pag. 416). Se il nostro, ed anche il codice Strozziano (seguendo ambedue senza dubbio il Libro d’Antonio) in questo luogo accennano a una statua equestre di Alfonso d’Aragona eseguita da Donatello, noi dobbiamo osservare che non solo non si sa assolutamente niente della sua esistenza, ma che lo spoglio diligente degli Archivi Aragonesi, fatto in questi ultimi anni, non ci ha neppure somministrato nessuna notizia da cui si possa inferire che lo scultore fiorentino abbia mai ricevuto la commissione per un tal lavoro.
  43. [p. 357 modifica](43) Non se ne sa più nulla. Di certo non può esser identico colla fonte oggi nella Villa di Castello e già nel secondo cortile del [p. 358 modifica]Palazzo Medici-Riccardi, dal Vasari attribuita con ragione al Rossellino, perchè questa è tutta di marmo e nel suo lavoro e stile non si avvicina alla maniera di Donatello (Vedi Vasari, t. III, p. 91, nota 1.)
  44. [p. 358 modifica](44) È la fonte che negli ultimi anni stava esposta nel cortile del Museo nazionale di Firenze, e nell’anno scorso fu venduta in Inghilterra.
  45. [p. 358 modifica](45) Questi quattro Evangelisti (il Vasari dice: quattro Santi) che secondo lo Strozziano erano “in sulla cornice della croce,„ e secondo il Gaddiano “in tabernacoli nella croce,„ ornavano senza dubbio le quattro nicchie semicircolari accanto all’archivolto delle due cappelle a capo i lati settentrionale e meridionale della croce. Sono spariti da lungo tempo; il Bocchi non li ricorda più.
  46. [p. 358 modifica](46) Qui il testo di tutti e due codici parla di una sola opera, cioè il tabernacolo dell’Annunziata in Santa Croce, come se fossero due distinti lavori. Il Gaddiano all’opposto dice bene: “il tabernaculo et la Nunziata della cappella de Cavalchanti,„ correggendo il testo del Libro d’Antonio, secondo le sue proprie cognizioni intorno all’opera in questione.
  47. [p. 358 modifica](47) Il nome di Luca della Robbia qui occorre erroneamente ripetuto per sbaglio dalla riga precedente; nè lo Strozziano nè il Gaddiano non sanno niente del disegno attribuitogli dal nostro Petrei. La porta di bronzo poi che Donatello doveva fare per il Duomo di Siena, come si sa dai documenti dell’Opera del Duomo di quella città gli fu allogata nel 1457, ma egli, non sappiamo per qual cagione, appena cominciata, la lasciò stare.
  48. [p. 358 modifica](48) È di nuovo uno sbaglio del copista, se attribuisce a Michelozzo due figure nel monumento sepolcrale di Papa Giovanni XXIII. Gli altri biografi, che al pari di lui traggono la notizia di M. A. dal Libro d’Antonio Billi (Cod. Strozziano, Anon. Gaddiano e Vasari) lo rammentano solo come autore della Fede; e il Petrei stesso nella notizia su Michelozzo (vedi più avanti) non gli assegna che una sola “figura di marmo sotto il sepolcro di papa Ianni.„
  49. [p. 358 modifica](49) Questa asserzione del Libro d’Antonio viene confermata dai documenti (Vedi Vasari, t. II, pag. 402, nota 2).
  50. [p. 358 modifica](50) La statua sopradetta è quella che oggi si trova nella Cappella di S. Giovanni di quel Duomo (Vedi Vasari II, 415, n. 2). Nello Strozziano e nel Gaddiano il racconto intorno a questa opera è più disteso, senza dubbio secondo il testo del Libro d’Antonio.
  51. [p. 358 modifica](51) Vedi quanto intorno al San Giovanni tuttora esistente nel Palazzo Martelli, e alla Dovizia del Mercato vecchio da lungo tempo perita, si dice nel Vasari, t. II, p. 408 e 400.
  52. [p. 358 modifica](52) Tutte le sculture qui registrate esistono nella Chiesa del Santo a Padova. Di altre non meno celebri, come p. e. i rilievi dell’altare maggiore, pare che l’autore del Libro d’Antonio non abbia [p. 359 modifica]avuto notizia, - perchè nelle sue copie (Petrei, Strozziano, Gaddiano) non se ne trova nessuna memoria.
  53. [p. 359 modifica](Ghiberti.) (53) In questo luogo il Petrei ha omesso di copiare dall’originale la notizia riguardante la prima porta fatta dal maestro; la troviamo accennata nello Strozziano con queste parole: “et quelle di verso l’Opera.„
  54. [p. 359 modifica](54) Pare che il Petrei abbia copiato questa parte della presente notizia biografica ancora più superficialmente del solito. Nè dal confronto coi relativi testi dello Strozziano e del Gaddiano possiamo rintracciare il senso chiaro delle sue parole, poichè il primo dei due codici testè nominati non arriva se non al cominciamento della frase in questione, ed è troncato appunto in questo luogo, mentre il Gaddiano per comporre la sua biografia del Ghiberti non si è giovato del Libro d’Antonio, ma esclusivamente delle notizie contenute nel secondo Commentario del Ghiberti.
  55. [p. 359 modifica](55) Intorno all’unico occhio di vetro disegnato da Donatello vedi la nota 49 alla biografia di questo. Sbaglia perciò il nostro compilatore (e probabilmente anche l’autore del Libro d’Antonio) attribuendogli pure l’occhio della facciata, perchè questo è lavoro del Ghiberti, come egli stesso ci fa sapere nel suo Commentario.
  56. [p. 359 modifica](Luca della Robbia.) (56) Anche il Vasari (II, 175) ha raccolto questa notizia - molto probabilmente dalla medesima fonte, il Libro d’Antonio. Però ragioni d’ordine cronologico contradicono alla sua verità, poichè dei due fratelli di Alfonso II che la morte colse nella gioventù, il Cardinale Giovanni morì nel 1484 nell’età di 22 anni, e l’infante Carlo nel 1486 all’età di sei anni, - tutti e due, dunque, dopo Luca della Robbia (1482). (È evidente che l’Alfonso del nostro testo non può esser altri che il re Alfonso II, poichè il primo di questo nome non ebbe fratelli che morissero prima di lui.)
  57. [p. 359 modifica](57) Con questa parola finisce nel nostro testo la notizia su Luca della Robbia, e colla seguente comincia quella su Desiderio di Settignano. Evidentemente il compilatore omise il nome, e forse alcune parole: che non fossero molte, si desume dal confronto colla notizia relativa nel Gaddiano (nello Strozziano manca questa biografia e le seguenti, fino a quella del Buffalmacco). Essa comincia e prosegue precisamente colle stesse parole del nostro testo, copiate da ambedue i nostri compilatori dall’originale del Libro d’Antonio che le aveva, da parte sua, tolte dal Proemio di Cristoforo Landini.
  58. [p. 359 modifica](58) Anche il Vasari ascrive il lavoro in discorso a Desiderio, e questo ci pare provare, ch’egli per la vita di questo maestro abbia [p. 360 modifica]messo a profitto gli appunti del Libro d’Antonio. Si sa, però, che l’opera di cui si tratta non appartiene a Desiderio, ma bensì a Bernardo Rossellino (Vedi Vasari, t. III, p. 108, nota 6).
  59. [p. 360 modifica](Antonio Rossellino.) (59) Riguardo a questa tavola, vedi quello che si dice più sotto nella nota 158 alla notizia biografica di Piero del Pollaiuolo.
  60. [p. 360 modifica](60) Si sa che il Vasari dà a L. B. Alberti l’architettura di queste due fabbriche. Ma ci sono ragioni, - e furono già spiegate dall’annotatore recentissimo del biografo aretino - che potrebbero indurci a credere più autentica l’attribuzione del Petrei (o piuttosto del Libro d’Antonio), e questo tanto più, poichè non esistono testimonianze di documenti in favore dell’Alberti (Vedi Vasari, t. II, p. 543, nota 1). Chi fosse poi Antonio di Migliorino Guidotti a cui vien attribuito il modello della loggia degli Alberti, non sapremmo dire.
  61. [p. 360 modifica](61) All’opposto dell’Albertini, del Vasari, e anche dell’Anon. Gaddiano, la cosidetta Madonna del latte qui viene assegnata a Bernardo Rossellino. Se però si considera, che i due ultimi autori hanno potuto togliere la loro attribuzione dall’Albertini, - autore che non merita troppa fiducia nei suoi battesimi, - non si potrà respinger senz’altro la opinione che ne fa autore Bernardo, derivata da una fonte così autorevole, come è il Libro d’Antonio. Ed infatti anche ragioni stilistiche ci sembrano avvalorare la notizia di quest’ultimo; confrontando il nostro rilievo d’una parte colle opere autentiche di Bernardo (Annunziata di Empoli, Madonna di Misericordia d’Arezzo), dall’altra con quelle di Antonio (Monumento del Cardinale di Portogallo, Altare della Capp. Piccolomini a Napoli) ci pare di ravvisarvi più somiglianza collo stile delle prime che delle ultime. Del resto anche il Fantozzi e il Moisè danno la Madonna del latte a Bernardo, senza però indicar la fonte della loro attribuzione.
  62. [p. 360 modifica](62) Il Petrei copiando in fretta mette “Napoli„ invece di “Empoli„ dove si trova tuttora il San Sebastiano rammentato. La tavola di marmo che andò a Napoli, è il presepio nell’altare della Capp. Piccolomini nella chiesa di Monteoliveto. Dell’altra che il maestro mandò a Lione, non si sa nulla; il Vasari non la ricorda.
  63. [p. 360 modifica](Nanni d’Antonio di Banco.) (63) Errò il Petrei, se colle ultime tre parole voleva dire che più di uno solo degli evangelisti sulla facciata del Duomo fosse di Nanni: si sa che gli altri tre sono opere di Donatello, Niccolò di Piero d’Arezzo, e Bernardo Ciuffagni (Vedi Vasari II, 138, nota 1 e Semper, Donatello, seine Zeit und Schule, Vienna 1875, pag. 70 e 289 segu.) Oggi tutte e quattro queste statue sono collocate nelle cappelle [p. 361 modifica]della tribuna di S. Zanobi. Le altre opere di Nanni registrate dal Petrei, si trovano tuttora sui posti da lui indicati. È curioso che il nostro autore non fa parola del Sant’Eligio, collocato pure in una delle nicchie di Or San Michele, e che anche il Vasari assegna solo ipoteticamente a Nanni di Banco (II, 164). Il Gaddiano è l’unica fonte che in una aggiunta intercalata posteriormente al suo testo (tolto dal Libro d’Antonio), e che egli in una postilla dice cavata dal “primo testo„, lo addita espressamente per opera del nostro maestro.
  64. [p. 361 modifica](64) La palla sola sulla lanterna della cupola è opera del Verrocchio (V. Vasari III, pag. 365, nota 1); il mezzo rilievo poi della Madonna nella lunetta del monumento sepolcrale di Carlo Marsuppini si manifesta nel suo stile così indubitatamente per un lavoro di Desiderio, che questa volta l’asserzione del Libro d’Antonio appare decisamente falsa. Il Vasari, che nello scrivere la vita del Verrocchio si è servito pure del Libro d’Antonio, sostituisce al monumento Marsuppini, quello di Leonardo Bruni. Ma anche la lunetta di questo non mostra il carattere dei lavori del Verrocchio, anzi si rivela come opera schietta di Bernardo Rossellino.
  65. [p. 361 modifica](65) Colle “molte storie in Santo Giovanni„ il manoscritto accenna ai rilievi nel dossale d’argento del Battistero, dei quali però uno solo è fatto dal Verrocchio (Vasari III, 359 nota 1). La “tavola del battesimo di nostro signore„ è la nota opera che oggi è custodita nella Galleria dell’Accademia di belle arti (Vasari III, 366).
  66. [p. 361 modifica](Michelozzo.) (66) Si sa che il San Matteo è opera del Ghiberti, ma che Michelozzo lo aiutò nel fondere e rinettarla: e così l’asserzione del nostro manoscritto non è del tutto erronea (Vasari II, 432, nota 1).
  67. [p. 361 modifica](67) Che il modello della tribuna dell’Annunziata fu fatto da L. B. Alberti, e non come si asserisce qui, da Michelozzo, è ora messo fuor d’ogni dubbio. Vedi uno scritto di W. Braghirolli su questo soggetto, pubblicato nel Repertorium für Kunstwissenschaft, Stoccarda 1879, t. II, p. 259 segu.
  68. [p. 361 modifica](68) Vedi la nota 48 alla biografia di Donatello.
  69. [p. 361 modifica](69) Questa notizia, che il Vasari non raccolse dal Libro d’Antonio nella sua Vita del maestro, forse perchè non la credeva autentica, viene però confermata dalla testimonianza de’ documenti. Vedi Vasari II, pag. 449, nota 1.
  70. [p. 361 modifica](Antonio del Pollajuolo.) (70) Uno solo dei rilievi nel dossale d’argento dell’altare di San Giovanni, quello raffigurante la Natività, è opera del Pollajuolo (Vasari, t. III, pag. 288, n. 1).
  71. [p. 362 modifica](71) È questo uno dei soliti spropositi del Petrei. Nell’originale invece di “parte„ era scritto senza dubbio “porte„ (e questo vien attestato dal testo dell’Anon. Gaddiano che copia pure, parola per parola, quell’originale); il compilatore frettoloso e inesatto copiò “parte,„ e non sapendo poi spiegarsi il significato di questa parola, vi aggiunse “guelfa„!
  72. [p. 362 modifica](72) Le “tutte le storie di santo Giovanni„, che l’autore qui rammenta, sono quelle ricamate da Paolo da Verona in una pianeta nel tesoro del Battistero, per cui Ant. Pollajuolo fornì i disegni (Vasari III, 299 e nota 2).
  73. [p. 362 modifica](Buffalmacco.) (73) Questa burla non si trova fra quelle che il Boccaccio racconta del nostro maestro, e non sapremmo indicare la fonte a cui l’autore del Libro d’Antonio l’abbia attinta. Che questi conosceva le storie del Boccaccio intorno al nostro maestro ed ai suoi compagni, consta dalle parole della seguente linea: “di costoro fa menzione il Boccaccio.„ Anche la notizia delle pitture in casa di Nicc. Cornacchini deriva dalla medesima fonte (Decamerone, Giorn. IX, Nov. 5). La biografia di Buffalmaco è presso a poco letteralmente identica in tutti e tre i nostri codici; il Gaddiano solo aggiunge poche notizie su alcuni lavori, da lui però falsamente attribuiti al nostro pittore.
  74. [p. 362 modifica](Giovannino da Santo Stefano a ponte.) (74) Delle pitture sopradette niuna si è conservata. Da’ documenti però viene provata così la loro esistenza come l’autenticità della notizia riguardo al loro autore. Vedi Vasari I, 633 nota 2.
  75. [p. 362 modifica](Bicci.) (75) All’infuori degli affreschi nel Carmine, su tutte le pitture sopraenumerate possediamo testimonianze di documenti che le assegnano infatti a Bicci di Lorenzo, e non a suo padre, cui le attribuisce il Vasari. È curioso che questi, mettendo a profitto per la sua vita di Lorenzo di Bicci le notizie somministrategli dal libro d’Antonio, sia nientemeno caduto in un così grave sbaglio (Vedi Vasari, t. II, pp. 49 segu. e 63 segu.). Del resto tutte queste pitture sono perite, eccetto alcune figure di santi sotto le finestre delle cappelle delle tribune di S. Maria del fiore, anche queste però ristaurate o rifatte ne’ tempi moderni (vedi Vasari, l. c. pag. 55, nota 5). Il Petrei per errore di penna le assegna alla cappella de’ Lanzi in Ognissanti. Degli affreschi poi, ch’egli in quest’ultima attribuisce a Neri di Bicci, questi nel noto suo Libro di Ricordi non fa nessuna menzione, e non se ne trovano neppure vestigi sul luogo stesso. Il Vasari però li rammenta come esistenti al suo tempo (l. c. II, 58).
  76. [p. 363 modifica](Bernardo.) (76) Gli annotatori del Vasari-Lemonnier hanno provato, che questo maestro Bernardo è Bernardo di Daddo (Vedi Vasari I, 463 segu.) Delle sue pitture in S. Paolo a ripa d’Arno nulla si vede più; l’inferno nel Camposanto è quello attribuito dal Vasari a Bernardo fratello dell’Orcagna (l. c. I, 599).
  77. [p. 363 modifica](Alesso Baldovinetti.) (77) Ci troviamo di bel nuovo dirimpetto a uno degli spropositi del nostro compilatore, che qui ha messo il nome di Alesso Baldovinetti invece di quello di Maso (di Banco), a cui l’opera in questione fu indubitabilmente ascritta nel Libro d’Antonio; e questo si desume dall’essere essa registrata sotto il suo nome nel Cod. Strozziano e nell’Anon. Gaddiano. Il Vasari (t. I, pag. 626) l’attribuisce al suo Tommaso detto Giottino, personaggio composto da lui da due diversi pittori, cioè Maso di Banco e Giotto di maestro Stefano, come abbiamo già esposto più indietro nella nota 35 alla notizia biografica di Giottino. Degli affreschi di Maso si conservarono fino ai nostri giorni alcuni frammenti che però furono distrutti nel recentissimo ristauro del Palazzo del Podestà, parendo impossibile potervi praticare qualsiasi restauro (Vedi Passerini, Del pretorio di Firenze, Ivi 1865, pag. 30).
  78. [p. 363 modifica](Iacopo di Casentino.) (78) Il tabernacolo di Mercato Vecchio fu da lungo tempo distrutto, la tavola della Madonna fatta per esso da Iacopo già conservata nella Chiesa di S. Tommaso sulla piazza del detto Mercato è oggi stata trasportata nella Galleria degli Uffizi (Vasari I, 670, nota 2 e IX, 251).
  79. [p. 363 modifica](Andrea di Cione.) (79) Le ultime quattro parole si riferiscono alla linea seguente e sono copiate erroneamente di là.
  80. [p. 363 modifica](80) Tutti gli autori che hanno copiato dal Libro d’Antonio (lo Strozziano, il Gaddiano e il Vasari) rammentano il ritratto di Guardi, messo del Comune nell’Inferno dipinto dall’Orcagna nella Chiesa di S. Croce, e non in quello della Capp. Strozzi. Ora del primo non si trova nessuna menzione nel nostro testo, ed è perciò chiaro che il suo compilatore ha qui omesso di copiare alcune righe dell’originale, saltando dall’Inferno della Capp. Strozzi a quello in S. Croce. Intorno al Guardi, vedi Vasari I, 601, nota 2.
  81. [p. 363 modifica](81) Tutte queste notizie sono riprodotte anche dal Vasari, che le tolse senza dubbio dalla medesima fonte. Dei sonetti dell’Orcagna se ne sono conservati parecchi in un Codice manoscritto della Biblioteca nazionale (Cl. VII, var. 1168) dell’anno 1512 e portante il titolo: “Sonetti del Burchiello e altri„.
  82. [p. 364 modifica](Masaccio e Masolino.) (82) Fin qui (salvo le tre ultime parole) il nostro testo deriva pressochè letteralmente dal proemio di Cristoforo Landino, donde lo tolse l’autore del Libro d’Antonio. Il Vasari insieme cogli altri dati attinti dal Libro testè nominato, accettò anche quello sulla morte dell’artista, senza badare alla confusione cronologica che produce, mettendo poi la morte del maestro nell’anno 1443.
  83. [p. 364 modifica](83) È questo l’affresco rappresentante la consacrazione della chiesa e descritto particolarmente dal Vasari, che al tempo del Baldinucci era già andato a male. Si ritiene che alcuni frammenti scoperti recentemente siano avanzi dell’opera in questione.
  84. [p. 364 modifica](84) Il san Pietro qui rammentato non era di Masaccio, ma bensì di Masolino. Il primo invece nel luogo indicato aveva dipinto un S. Paolo, e questo ce lo dicono lo Strozziano, il Gaddiano, e il Vasari. Anche l’Albertini registra tutte e due le figure attribuendo il S. Paolo a Masaccio e il S. Pietro a Masolino. È dunque evidente che il Petrei ha sbagliato il nome dell’Apostolo. Copiando egli poi la notizia su Masolino che segue, si ricordò di aver testè assegnato un S. Piero a Masaccio, e perciò omesse dal suo originale la notizia che lo disse opera di Masolino. Che poi quest’ultima infatti si trovasse nel Libro d’Antonio, ce lo attestano i passi relativi nello Strozziano e nell’Anon. Gaddiano. Le due figure furono atterrate nel 1675, quando si fabbricò la Capp. Corsini (Vedi Vasari, II, pag. 264, nota 4 e 295, nota 2).
  85. [p. 364 modifica](85) Addita alla figura dell’ignudo nella storia del battesimo, a destra di chi guarda.
  86. [p. 364 modifica](86) Anche il Vasari ha preso dal Libro d’Antonio questo racconto (l. c. pag. 300).
  87. [p. 364 modifica](87) È l’affresco che a’ nostri giorni dal suo posto originale venne trasportato sulla parete di dentro della facciata a destra entrando per la porta principale. Che cosa mai l’autore del Libro d’Antonio abbia voluto accennare colla “morte a piedi della trinità,„ non sapremmo indovinare.
  88. [p. 364 modifica](88) Il testo è storpiato dal copista: invece di “ressattar„ (che vuol dire forse rassettar) lo Strozziano e il Gaddiano scrivono: “rinettare;„ - invece di “et panni che non ci sono li meglio rinetti„ si legge da loro: “et massime i panni etc.„ - In quanto alla collaborazione di Masolino alle porte del Battistero, manca ogni prova de’ documenti. La cagione dell’errore in cui è caduto qui l’autore del Libro d’Antonio, ce la spiega il recentissimo annotatore del Vasari (t. II, p. 264, nota 1).
  89. [p. 364 modifica](89) Anche qui pare che siamo dirimpetto a uno sbaglio dell’autore del Libro d’Antonio, perchè non si sa niente di pitture eseguite a Pisa da Masolino, mentre il Vasari ne annovera parecchie esistenti [p. 365 modifica]quivi al suo tempo, e che egli attribuisce a Masaccio. Difatti le sue notizie, almeno in quanto riguarda una di esse - la tavola di una cappella del Carmine - vengono avverate da documenti testè rinvenuti (Vedi Tanfani, Donatello in Pisa, Ivi, 1887, pag. 5).
  90. [p. 365 modifica](Stefano detto lo Scimmia.) (90) Anche questa sentenza è tolta dal Proemio di Crist. Landino. Questi così scrive del nostro maestro: “Stefano da tutti è nominato Scimmia della natura, tanto espresse qualunque cosa volle.„ Ma non è neppure egli il primo a attribuirgli questo sopranome, poichè leggiamo già negli “Uomini illustri Fiorentini„ di Filippo Villani: “Stephanus dictus naturae simia, tanta ejus imitatione valuit......„ E dopo di lui tutti coloro che ricordano il maestro accettarono questo epiteto, eccetto il solo Ghiberti. Anche l’Albertini lo nomina “Symia„ nel suo Opusculum de mirabilibus novae et veteris Urbis Romae, ediz. 1510, fol. 101r.
  91. [p. 365 modifica](91) Il Ghiberti e il Vasari, seguendolo, danno al nostro pittore gli affreschi non di uno solo ma di tre archetti (lunette) nel chiostro di Santo Spirito (Vasari I, 448). Dell’affresco di Antonio Veneziano il Vasari scrive diffusamente a pag. 662 del tomo I. Tutte queste pitture sono perite.
  92. [p. 365 modifica](92) Il Vasari ne parla a pag. 448 del tomo I; il Ghiberti però non la ricorda. È l’unica pittura certa che rimanga del nostro maestro, e si trova nella lunetta sopra la porta d’entrata dal lato di dentro.
  93. [p. 365 modifica](93) Il Vasari seguendo anche in questo il Ghiberti, lo dice solo discepolo di Giotto, ma il Baldinucci prova essergli stato nipote: e così si verifica l’asserzione del Libro d’Antonio.
  94. [p. 365 modifica](Gherardo Starnina.) (94) Tutte e due queste pitture sono perite da un pezzo.
  95. [p. 365 modifica](95) Leggi: “et la minore virtù che si diceva essere in lui era la pittura,„ - come ha copiato con più esattezza lo Strozziano.
  96. [p. 365 modifica](96) “Apparita„ era denominato la sommità del poggio di S. Donato fra la valle superiore dell’Arno e quella di Firenze, dove passa l’antica strada aretina. Gli fu dato il nome dalla sorprendente prospettiva che da questo punto si offre alla valle dell’Arno di Firenze e la città (Repetti, Dizionario geogr. della Toscana, I, 95). Che cosa mai si abbia da intendere sotto la “torre de logniogni„ (l’Anon. Gaddiano scrive: “torre delli ignogni,„ lo Strozziano: “torre delognogni„), non sapremmo dire. - Il suo nome è Torre degl’Ignogni.
  97. [p. 365 modifica](Fra Giovanni da Fiesole.) (97) Fin qui il Libro d’Antonio copia dal Proemio di Crist. Landino.
  98. [p. 366 modifica](98) Questa tavola rappresentante la Madonna adorata dai SS. Cosma e Damiano, come pure la Deposizione dalla Croce proveniente dalla sagrestia di S. Trinità, ora è esposta fra quelle della Galleria dell’Accademia di belle arti.
  99. [p. 366 modifica](99) Santo Celio (o San Gilio come scrive il Gaddiano; lo Strozz. ha copiato per errore: San Gallo) sarebbe la chiesa di Sant’Egidio, annessa allo spedale di S. Maria Nuova. Ora si sa che per questa il nostro maestro ha dipinto l’Incoronazione di Nostra Donna, adesso conservata nella Galleria degli Uffizi (Vasari, t. II, pag. 516), e non c’è dubbio, che non fosse questa l’opera sopr’accennata, l’autore del Libro d’Antonio avendole dato la denominazione di "paradiso„ dalla moltitudine di santi effigiati nella parte inferiore del quadro.
  100. [p. 366 modifica](100) La tavola fatta per la Compagnia del Tempio nella chiesa dei Camaldolensi, le tavolette che adornavano l’armario dei sacri arredi della Cappella dell’Annunziata nei Servi, e il Giudizio finale della chiesa degli Angeli dai loro posti originali sono passati nella Galleria dell’Accademia delle Belle Arti.
  101. [p. 366 modifica](101) Lo Strozziano e il Gaddiano invece di “una cappella di Papa Eugenio„ scrivono: “una cappella a Papa Eugenio,„ e con questo dicono la verità, perchè Fra Giovanni ebbe difatti da quel papa a dipingere la cappella del Sagramento nel Palazzo Vaticano, distrutta da Paolo III. Forse il Petrei introducendo quel cambiamento nel testo dell’originale, pensava alla Cappella di Niccolò V, dipinta pure dall’Angelico nel medesimo palazzo; opera, di cui il Libro d’Antonio pare che non abbia fatto menzione, mentre il Vasari attribuisce ambedue quelle cappelle a Papa Niccolò.
  102. [p. 366 modifica](102) Vasari descrive le pitture nel tramezzo di S. Maria Novella da lungo tempo distrutte (t. II, pag. 507). Dei reliquiari, tre si custodiscono fin oggi nel tesoro di quella chiesa (l. c. t. II, pag. 513, nota 4).
  103. [p. 366 modifica](103) Il Libro d’Antonio è l’unica fonte che assegna la detta opera al nostro maestro. Nell’inventario di Lorenzo de’ Medici (pubblicato da Eug. Müntz, Les collections des Médicis. Parigi 1888, pag. 62) si trova indicata la tavola dell’altare come “una Nostra Donna che adora il figliuolo che sta innanzi a piedi e un San Giovanni e uno Santo Bernardo e Dio padre cholla cholomba innanzi, di mano di.........„ Lo stesso inventario registra la tavola esistente in un’altra cappelletta del palazzo mediceo colle seguenti parole: “Uno colmo per uso di tavoletta d’altare lungho bra. 2 alto br. 1/3 corniciato e messo d’oro dipintovi dentro la storia de’ magi di mano di fra Giovanni„ (l. c. pag. 85). Sarebbe questa la tavola accennata nel Libro d’Antonio erroneamente come esistente nell’altra, grande Cappella ornata degli affreschi di Benozzo Gozzoli? Quest’ultima tavola poi è forse identica a un quadro nella Galleria di Monaco, del medesimo soggetto e di dimensioni identiche, registrato nel [p. 367 modifica]recentissimo catalogo al numero 1001 come “un’opera della scuola fiorentina della prima metà del secolo XV, che tradisce l’influenza di Gentile da Fabriano sugli artisti seguaci di Fra Giovanni da Fiesole.„ Con questi dati, infine, si rettifica anche la nota al Vasari, t. III, pag. 47, nota 1 †, in quanto che sappiamo adesso che la tavola sull’altare della cappella grande nel palazzo della Via Larga, non rappresentava l’Adorazione de’ Magi. Del resto il Vasari stesso lo afferma, registrando in quel posto “uno Presepio di Fra Filippo„ (t. II, p. 615). Forse l’Adorazione che l’inventario dice essere nell’andito che va alla cappella, era quella tavola di Benozzo Gozzoli di cui si parla nella nota testè citata.
  104. [p. 367 modifica](104) Delle pitture in San Domenico oggi tutte disperse, il Vasari ci dà l’elenco al t. II, pag. 509 e segg.
  105. [p. 367 modifica](Fra Lorenzo.) (105) È il trittico magnifico che ai nostri giorni è entrato nella Galleria degli Uffizi.
  106. [p. 367 modifica](106) Intorno alla confusione che l’autore del Libro d’Antonio fa in questo luogo, scambiando la Cappella Ardinghelli in S. Trinita con altra della stessa famiglia nel Carmine, vedi quello che ne osserva il recentissimo annotatore del Vasari (t. II, pag. 20, nota 1). Le pitture dell’una come dell’altra, del resto, sono perite.
  107. [p. 367 modifica](107) Gli affreschi della Cappella Bartolini sono stati liberati dell’intonaco che li copriva nel recente ristauro della chiesa. Rappresentano difatti, come dice il nostro codice, la storia della Vergine, ma non sono di certo di Don Lorenzo, come si può vedere, essendo di maniera in tutto diversa. La tavola dell’Annunziata sull’altare, all’opposto, è un’opera incontestata di Fra Lorenzo. Si potrebbe credere che fosse quella stessa che il monaco dipinse per l’altare della cappella Ardinghelli nel Carmine, facilmente trasportata in S. Trinita, allorchè quella cappella fu rovinata.
  108. [p. 367 modifica](Lippo del fino.) (108) Riguardo alla persona di questo maestro, che nei Codici Strozziano e Gaddiano come anche dal Vasari è designato col nome di Lippo fiorentino, vedi quanto si dice nella nota 1, pag. 11, tomo II, della recentissima edizione del Vasari. Delle opere che gli si attribuiscono dal Libro d’Antonio (le cui notizie il Vasari adoperò letteralmente per la sua Vita) una sola sussiste tuttora, ed è la volta a musaico nella loggia sopra la porta del battistero di San Giovanni. Che ne sia davvero autore un certo Lippo di Corso, viene attestato da un documento (Vedi Vasari II, 13, nota 3).
  109. [p. 367 modifica](Eliseo del fino.) (109) Il maestro a cui il Petrei da nome di Eliseo del fino non è altro se non Dello. (Il nostro copista ha storpiato evidentemente [p. 368 modifica]Messere in Eliseo, Dello in del, e fiorentino in fino). Questo si deduce dal confronto della notizia del Petrei con quella contenuta su “Messere Dello fiorentino„ presso l’Anonimo Gaddiano, nella quale troviamo raccontate (con le medesime parole tolte dal comune loro originale) le stesse cose narrate pure dal Petrei. Le ripete anche il Vasari nella sua vita di Dello. Della storia d’Isaac surrammentata rimangono alcuni avanzi nel primo chiostro di S. Maria Novella. Dagli annotatori del Vasari-Lemonnier anche l’affresco che precede la detta storia, vien attribuito al nostro maestro (Vedi Vasari II, 159), mentre i Signori Crowe e Cavalcaselle gli danno tutte le ventiquattro storie del Genesi nei due lati di mezzogiorno e di ponente.
  110. [p. 368 modifica](Spinello.) (110) Evidentemente il copista dopo il nome ha omesso la parola “padre„ che si trova così nello Strozziano come nel Gaddiano. Che poi Spinello non fu nè padre nè figlio di Forzore, viene dimostrato nella nota 1, pag. 693, t. I, del Vasari-Milanesi.
  111. [p. 368 modifica](111) Non per la cagione qui addotta, ma perchè invero era nativo di Arezzo, gli viene il sopranome di Aretino. (Vedi Vasari I, 677, nota 1). L’opinione erronea che gli Spinelli d’Arezzo sieno discesi da quelli di Firenze si trova già nel Libro d’Antonio; leggiamo infatti, nella notizia su Spinello nello Strozziano: “i suoi usciti di Firenze per le parti s’erono ridotti a Arezzo.„
  112. [p. 368 modifica](112) È uno sbaglio del nostro copista, ma in questo caso proprio inesplicabile, se scrive essere in Arezzo la chiesa di S. Miniato a Monte. Nello Strozziano e nel Gaddiano non si riscontra questo sproposito. Del resto è strano, che il Libro d’Antonio delle tante e tante opere di Spinello non abbia rammentato se non le sole pitture nella sagrestia della detta chiesa, come si sa, tuttora esistenti.
  113. [p. 368 modifica](Andrea del Castagno.) (113) Anche il Vasari racconta questa storia più prolissamente, tolta da lui dalla medesima fonte, donde la copiarono il Petrei e gli altri due codici.
  114. [p. 368 modifica](114) Questa frase proviene dal Proemio di Crist. Landino.
  115. [p. 368 modifica](115) Delle pitture nella cappella maggiore di Sant’Egidio, da lungo tempo distrutte, parla diffusamente il Vasari, raccogliendo pure dal Libro d’Antonio la storia dell’ammazzamento di Domenico Veneziano (t. II, p. 673 segu.); questa però dal recentissimo annotatore delle sue Vite fu provata che non regge ai fatti.
  116. [p. 368 modifica](116) Queste due pitture non esistono più; invece sono in essere il S. Giovanni (di cui l’autore del Libro d’Antonio fa un S. Girolamo), e il S. Francesco al lato alla cappella de’ Cavalcanti, rammentati nel passo seguente. Però si dubita se non siano di Domenico Veneziano.
  117. [p. 369 modifica](117) Degli affreschi nelle tre cappelle dei Servi, descritti dal Vasari più particolarmente, non si è conservato che un avanzo della figura di S. Giuliano (Vasari, t. II, p. 671, n. 1).
  118. [p. 369 modifica](118) Rimane ora in una delle celle del secondo chiostro, dove fu trasportato dal posto sopr’indicato.
  119. [p. 369 modifica](119) Il cenacolo nel refettorio di S. Maria Nuova è perito della lunetta di S. Giuliano poi, esistente sopra la porta della chiesa, si dubita che non sia opera del Castagno. I signori Crowe e Cavalcaselle l’attribuiscono a un pittore ignoto del cinquecento.
  120. [p. 369 modifica](120) Le parole: “uno crucifisso et uno santo Girolamo et Maria, opera excellentissima„ sono copiate dal Petrei in falso luogo. Esse appartengono alla linea precedente: e questo si desume dal confronto del nostro testo con quello dei Codici Strozz. e Gaddiano. Il nostro copista doveva, invece, dopo la parola: “pandolfini„ mettere: “molti huomini famosi,„ come scrivono gli altri due copisti. I dipinti in questione sono le figure delle sibille e di celebri fiorentini, che dalla Villa Pandolfini fra Legnaja e Soffiano furono trasportate al Museo nazionale (Vasari, II, 670, n. 4): ed oggi sono appesi intorno alle pareti della stanza del Cenacolo attribuito al Castagno, in S. Apollonia.
  121. [p. 369 modifica](121) “Sopra la porta del vicario„ vuol dire: “sopra la porta del palazzo del vicario,„ - e difatti in tal guisa scrivono i due altri codici. Questo dipinto era andato in rovina già al tempo del Vasari.
  122. [p. 369 modifica](122) Vedi quanto è detto intorno a questi affreschi alla pag. 680, n. 3, del t. II della recentissima edizione del Vasari, dove si corregge lo sbaglio preso da questo autore riguardo al loro soggetto. Furono cancellati dopo la cacciata de’ Medici nel 1494 (v. Gio. Cambi, Storie Fiorentine, nelle Delizie degli eruditi toscani, vol. XXI, p. 80).
  123. [p. 369 modifica](Paolo Uccello.) (123) Fin qui il testo è copiato dal Proemio di Crist. Landino.
  124. [p. 369 modifica](124) Così gli affreschi nel primo chiostro di S. Maria Novella, come il monumento di Giovanni Acuto, ambedue opere esistenti tutt’ora, sono descritti dal Vasari II, 208 segu.
  125. [p. 369 modifica](125) Sono periti i dipinti sì nel monastero di Annalena come quelli sulla porta di S. Tommaso in Mercato vecchio: esistevano ancora al tempo di Vasari (II, 206 e 216).
  126. [p. 369 modifica](126) Sono le storie de’ fatti di S. Benedetto nella loggia sopra l’orto del monastero degli Angeli, descritte dal Vasari ma da lungo tempo perite. Non esistono neppure gli affreschi nel chiostro di S. Miniato al Monte, rappresentanti scene della vita de’ santi Padri, che sono ricordati nella linea seguente (Vasari II, 207 e 213).
  127. [p. 369 modifica](127) In quanto alle: “storie in panni„ il Vasari rammenta quelle: “dipinte in tela a tempera in casa de’ Medici„; e riguardo [p. 370 modifica]agli “altri luoghi,„ dove l’Uccello lavorò, lo stesso autore enumera alcune opere eseguite da lui a Padova (l. c. II, 214).
  128. [p. 370 modifica](Pesello.) (128) Questa frase deriva dall’Apologia di Landino.
  129. [p. 370 modifica](129) Intorno alle pitture d’animali fatte per casa de’ Medici vedi quanto si dice nelle note al Vasari, t. III, p. 37, n. 3, e cfr. E. Müntz, Les collections des Médicis, Parigi 1888, p. 60. - La tavola di S. Jacopo (duomo) di Pistoia, si trova ora nella Galleria Nazionale di Londra (Nro. 727); non è però di Pesello ma del suo nepote Francesco Pesellino (l. c. III, p. 38, n. 2 e p. 43), al quale viene giustamente attribuita già dall’Anonimo Gaddiano.
  130. [p. 370 modifica](130) Il Landino ha: “Pesellino gentile et in compositione di chose piccole excellente.„
  131. [p. 370 modifica](Fra Filippo.) (131) Fin qui il testo copia quasi parola per parola il Landino.
  132. [p. 370 modifica](132) Così la tavola proveniente da S. Croce (Madonna in trono con quattro Santi), come quella di S. Ambrogio (l’Incoronazione della Vergine con varii Santi) si custodiscono ora nella Galleria di Belle Arti; gli affreschi del duomo di Prato sono in essere nel luogo indicato (Vas. II, p. 615 e 622).
  133. [p. 370 modifica](133) La tavola della sagrestia di S. Spirito è conservata oggi nella Galleria del Louvre (Nro. 221), quella di S. Lorenzo si vede tuttora al suo posto (l. c. II, 617 e 618); la predella poi sotto l’Annunziata di Donatello nella Cap. Cavalcanti in S. Croce, dal Libro d’Antonio erroneamente attribuita a Fra Filippo, è piuttosto un’opera di Pesello, e si vede oggi nella Galleria Buonarroti (l. c. III, 37, n. 2).
  134. [p. 370 modifica](134) Una sola tavola registra il Vasari fra tutte le opere del Frate, fatta apposta per la casa Medici, ed è la Natività ch’era collocata nella cappella del palazzo (t. II, p. 615). Sarebbe dunque questa che avremmo da ravvisare sotto l’indicazione del Libro d’Antonio. Difatti, come abbiamo già veduto più indietro (nota 103 alla notizia su Fra Giovanni Angelico), sull’altare di detta cappella era posta una tavola del Presepio o della Natività. Non può dunque essere come asserirono gli annotatori del Vasari-Lemonnier, che il dipinto di Fra Filippo rappresentante non una Natività, ma bensì la Madonna che adora il divino pargolo portato sulle spalle di due angeli, e che oggi si trova negli Uffizi (Nro. 1307), sia quello che stava una volta sull’altare della cappella. L’inventario di Lorenzo de’ Medici non lo registra neppure in qualche altra parte di detta cappella (vedi Müntz, Les Collections des Médicis, p. 62). Noi all’opposto crediamo di poter riconoscerlo nel quadro Nro. 69 della Galleria di Berlino, di cui si ignora la provenienza, che però è opera indubitata del nostro maestro [p. 371 modifica]e il cui soggetto coincide esattamente (meno una sola particolarità, cioè che il divin bambino non sta in piedi, ma giace sui fiori) colla descrizione fattane nell’inventario citato, e da noi riprodotta più indietro (nota 103). Che poi la tavola della cappella medicea all’occasione della cacciata di Piero de’ Medici, con altri tesori del palazzo di Via Larga, fosse stata trasportata nel Palazzo Vecchio - come lo indica la nostra fonte, - vien avverato da un documento pubblicato dal Müntz (op. cit. p. 104), recante l’ordine di consegnare per la cappella del Palazzo de’ Signori “omnia ornamenta cappellae quae est sita in aedibus olim Pieri Laurentii de Medicis, videlicet omnia paramenta et ornamenta altaris dictae cappellae.„ Si deve arguire che anche la tavola da altare vi fosse stata compresa, perchè pare che nella Cappella de’ Priori non fosse più sull’altare il quadro di Bernardo Daddi, del quale si parla nell’Inventario di Palazzo del 1435; e quello commesso nel 1485 a Filippino Lippi non fu posto nella cappella ma nella Sala de’ Gigli, e l’altro di Mariano da Pescia che lo ornava dipoi dipinto molto più tardi (vedi Archivio stor. ital., Ser. III, t. XVI, p. 227, n. 1, e Vasari, VI, 542).
  135. [p. 371 modifica](135) Di due tavole dipinte da Fra Filippo nelle Murate il nostro copista ne fa una sola. Secondo il Vasari e l’Anonimo Gaddiano quella dell’altar maggiore era un’Annunziata, che oggi si crede esistente nella Galleria di Monaco (Nro. 1007); la seconda posta su un altro altare rappresentava una storia della vita di S. Bernardo, ed è ora perduta (Vasari, II, 617). La tavola del Monastero di Annalena, di cui si parla nella linea seguente, si conserva tuttora nella Galleria di Belle Arti (l. c. t. II, p. 619, n. 2).
  136. [p. 371 modifica](Berto Linaiuolo.) (136) Anche l’Anonimo Gaddiano non ne dice più del nostro codice, e nell’elenco delle notizie contenute nel Cod. Strozz. il nome di questo artista manca affatto. Il Vasari poi a quanto ha trovato nel Libro d’Antonio aggiunge la notizia che alcune pitture di Berto furono mandate al Re Mattia Corvino. Intorno alla persona del pittore vedi Vasari, t. II, p. 651, n. 4.
  137. [p. 371 modifica](Sandro Botticelli.) (137) La Fortezza si conserva ora nella Galleria degli Uffizi, l’Incoronazione di Nostra Donna dalla chiesa di S. Marco è passata alla Galleria di Belle Arti, e il S. Agostino si vede ancora in Ognissanti (Vasari III, 310 segg.).
  138. [p. 371 modifica](138) La tavola della Cappella Bardi in S. Spirito passò nel Museo di Berlino (Nro. 106), quella di S. Barnaba rappresentante la Madonna in trono con sei Santi dinanzi è nella Galleria di Belle Arti.
  139. [p. 371 modifica](139) Non si sa dove sia andata la tavola che era nelle Convertite; [p. 372 modifica]il quadro di S. Maria Novella è l’ammirabile Adorazione de’ Magi che è negli Uffizi (l. c. p. 315).
  140. [p. 372 modifica](140) Con questo si accenna alle note due pitture di soggetto allegorico-mitologico negli Uffizi e nella Galleria di Belle Arti.
  141. [p. 372 modifica](141) Dal confronto col testo relativo dell’Anonimo Gaddiano si desume che qui il nostro Petrei fa confusione, copiando in fretta e senza attenzione. Quel testo dice: “et nella cappella di sixo (sic: Sisto) fece 3 faccie o quadri. Et fece assai opere piccole bellissime et in fra l’altre un san Girolamo opera singulare„. Le “3 faccie o quadri„ sono i tre affreschi del Botticelli nella Cappella Sistina; in quanto al S. Girolamo, non sapremmo indicar una tavola di questo soggetto fra le opere esistenti dell’artista.
  142. [p. 372 modifica](Filippino Lippi.) (142) Sono i noti affreschi fatti per commissione del cardinale Oliviero Caraffa. Asserendo che siano stati eseguiti “a stanzia (ad istanza) di Giovanni Tornabuoni„ l’autore del Libro d’Antonio cadde nell’errore di scambiarli con quelli, ora distrutti, del Ghirlandaio nella Cappella Tornabuoni della medesima chiesa.
  143. [p. 372 modifica](143) La tavola fatta per S. Donato a Scopeto è l’Adorazione dei Magi oggi conservata negli Uffizi, coi ritratti dei Medici; quella proveniente dalla chiesa delle Campora a Marignolle è la Vergine che apparisce a S. Bernardo in una delle cappelle della Badia di Firenze (Vasari, III, p. 463 e 473).
  144. [p. 372 modifica](144) Si tratta della Deposizione della Croce, oggi nella Galleria dell’Accademia di Belle Arti. Dice bene il nostro testo che fu finita dal Perugino, ma erra in quanto gli attribuisce il lato di dietro e al Lippi quello dinanzi, poichè la tavola non è dipinta che da un solo lato. Si sa che il Lippi ne fece la metà superiore, il Perugino quella inferiore (l. c. III, 475).
  145. [p. 372 modifica](145) Anche l’Anonimo Gaddiano e il Vasari riferiscono questi aneddoti. Non si sa quale fra le esistenti del maestro potrebbe esser la tavoletta fatta a Piero del Pugliese (l. c. III, 467).
  146. [p. 372 modifica](146) Delle due tavole dipinte per commissione di Tanai de’ Nerli quella di S. Spirito esiste tuttavia nella cappella di questa famiglia, l’altra già in S. Francesco del Monte (o S. Salvatore) si è perduta (l. c. p. 464, 465 e 467). Non sappiamo nulla del disegno per la finestra di vetro della chiesa di S. Martino; il Vasari non la ricorda.
  147. [p. 372 modifica](Benozzo Gozzoli.) (147) Del noto pittore Benozzo Gozzoli l’inesattezza del Petrei nel trascriver il suo originale fa un “Bonorio„. Il Gaddiano che pure copiò il Libro d’Antonio, perchè il suo testo coincide presso a poco letteralmente col nostro, scrive invece bene "Benozo.„
  148. [p. 373 modifica](148) L’autore del Libro d’Antonio dà questa opera erroneamente al Gozzoli; ella è di Bicci di Lorenzo e di Gherardo miniatore. (Vasari II, 65 e III, 238).
  149. [p. 373 modifica](149) Questa pittura era già distrutta, quando scrisse il Vasari (l. c. III, 46).
  150. [p. 373 modifica](150) Non si sa niente su questo lavoro preteso del Gozzoli; il Vasari non lo ricorda. Forse l’autore del Libro d’Antonio lo confondeva con quello fatto dall’artista in S. Maria Maggiore a Roma (l. c. III, 48).
  151. [p. 373 modifica](Alesso Baldovinetti.) (151) Gli affreschi della cappella maggiore di S. Trinità furono distrutti nel secolo scorso: la tavola dell’altare rappresentante la Trinità fu riconosciuta dai signori Crowe e Cavalcaselle in un quadro della Galleria di Belle Arti, che primo era registrato fra le opere di autori ignoti; ma ora è restituito al nostro maestro.
  152. [p. 373 modifica](152) Riguardo alle pitture di S. Egidio vedi Vasari II, 592, n. 3.
  153. [p. 373 modifica](153) L’affresco noto del Baldovinetti nel primo chiostro di S. Maria de’ Servi a man manca della porta d’entrata nella chiesa.
  154. [p. 373 modifica](154) Invece di questo testo storpiato, si legge nell’Anonimo Gaddiano: “Risciarò (rischiarò) la volta del musaicho di San Giovanni, dove li fu fatto dalla (sic) Ceccha architettore, uno ordigno di legname molto bello, che con gran facilità si girava per tutta la cupola, il disegno del quale hebbe da Bernardo Galluzzi, et gran tempo di poi stette nella sapientza.„ Le notizie concernenti al Baldovinetti e al Ceccha sono avvalorate da’ documenti (Vasari II, 596, n. 2 e 597, n. 1); quella riguardo a Bernardo Galluzzi non si trova neppure nel Vasari. Questo Bernardo di Francesco (di Daddo e non di Francesco) detto del Galluzzo fu uno dei concorrenti per la facciata del Duomo di Firenze nel 1490 (Vasari IV, 306. È sbagliato quanto a l. c. n. 5 si dice di lui come di uno degli architetti di Alessandro VI, poichè nell’Albertini, De mirabilibus urbis Romae, ediz. 1510, fol. 101v non si trova ricordato il suo, ma bensì il nome di un certo Bartolommeo Gargioli.)
  155. [p. 373 modifica](Domenico Ghirlandajo.) (155) L’ancona dell’altar maggiore non si trova più sul posto indicato; nel 1804 fu disfatta e le sue parti principali furono vendute alle Gallerie di Monaco e di Berlino.
  156. [p. 373 modifica](156) Non esiste più, (Vasari III, 255).
  157. [p. 373 modifica](157) Lo rammenta pure il Vasari (III, 259). Oggi è perito.
  158. [p. 373 modifica](158) Il Vasari non ne dice nulla, ma lo ricorda bensì l’Albertini. Dalle sue parole: “dove son picture di sancto Hieronimo, di Domenico G.„ si deve arguire che fossero affreschi e non un quadro in tavola. Sul luogo non se ne trova più niente.
  159. [p. 374 modifica](Piero del Pollajuolo.) (159) Il S. Cristofano fu distrutto: la tavola del martirio di S. Sebastiano si trova ora nella Galleria nazionale di Londra (Nro. 292). Il Vasari (III, 292) dà ambedue le opere a Antonio Pollajuolo: l’Albertini invece s’accorda col nostro autore, attribuendole al suo fratello.
  160. [p. 374 modifica](160) Così la tavola di S. Miniato, come le sei virtù della Mercanzia si conservano negli Uffizi. Il Vasari assegna questi lavori ad ambedue i fratelli: l’Albertini attribuisce il primo a Piero, del secondo non fa motto.
  161. [p. 374 modifica](Fra Bartolommeo.) (161) È il noto affresco che staccato dal muro si custodisce nel museo dello Spedale di S. Maria Nuova.
  162. [p. 374 modifica](162) Delle due tavole in S. Marco, l’una si trova ancora sul suo posto, l’altra è nella Galleria del Palazzo Pitti; il S. Vincenzo poi di quella chiesa passò nell’Accademia di Belle Arti (Vasari, IV, 184, 186 e 189).
  163. [p. 374 modifica](163) Il S. Sebastiano fu rintracciato ai nostri dì nel possesso di un privato in Francia (Vasari IV, 188 e Marchesi, Memorie dei più insigni pittori, scultori ed architetti domenicani, Bologna 1879, vol. II, p. 116 segu.). La “tavola che andò in Francia„ è ora nel Museo del Louvre (Nro. 57).
  164. [p. 374 modifica](Andrea del Sarto.) (164) Si sa che non una, ma molte sono le storie dipinte dal maestro nella Compagnia dello Scalzo; la prima è dell’anno 1514.
  165. [p. 374 modifica](165) Di tutte le opere di Andrea (delle quali si lascia di rintracciar le vicende) la sola che avrebbe potuto andare a Milano sarebbe il Sacrifizio di Abraam, di cui così il Gaddiano come il Vasari (V, 51) raccontano che da Filippo Strozzi fu donato a Alfonso d’Avalos, cugino ed erede del Marchese di Pescara e governatore imperiale a Milano. Questa tavola si trova oggi nel Museo di Dresda.
  166. [p. 374 modifica](Leonardo da Vinci.) (166) Questo ritratto, ricordato anche dall’Anonimo Gaddiano e dal Vasari, è andato smarrito. — Cfr. su ciò la memoria del prof. E. Ridolfi, “Giovanna Tornabuoni e Ginevra de’ Benci„, in Arch. stor. ital., 1890, VI, pp. 453-454.
  167. [p. 374 modifica](167) Non si può stabilire quale delle tavole della Madonna dipinte dal maestro abbia voluto indicare il nostro autore. Il S. Giovanni poi sarebbe quello del Museo del Louvre (Nro. 458), opera indubitata di Leonardo, e che già faceva parte della collezione di Francesco I. (Vasari IV, 58).
  168. [p. 374 modifica](168) Il Vasari, togliendo dal Libro d’Antonio le notizie riferentisi alla tavola fatta a Lodovico il Moro, che si leggono pure nel nostro [p. 375 modifica]testo, aggiunge l’indicazione del soggetto rappresentato, cioè una Natività. L’opera sembra perduta (l. c. p. 29).
  169. [p. 375 modifica](169) Intorno alle vicende di questa impresa, oltre quanto ne hanno scritto gli annotatori del Vasari (l. c. p. 33) vedi pure: E. Bonnafé, Sabba Castiglione, Notes sur la curiosité italienne à la Renaissance nella Gazette des Beaux-Arts, Anno 1884, t. II, p. 19 segg.
  170. [p. 375 modifica](170) Non si può dubitare che il disegno in discorso sia il celebre cartone conservato nella R. Accademia delle Belle Arti di Londra, benchè la descrizione fattane dal Vasari in un particolare non corrisponda a esso.
  171. [p. 375 modifica](171) Abbiamo qui uno dei più grossi spropositi del nostro copista: per causa della solita sua fretta nel copiar l’originale egli crea un nuovo artista! Ma per chiarir lo sbaglio, e per eliminar l’invenzione del Petrei, basta confrontare il suo testo con quello dell’Anonimo Gaddiano. Difatti in questo leggiamo quanto segue: “Fece per dipingere nella sala grande del consiglio del palazzo di Firenze il cartone della guerra de’ fiorentini quando ruppono Niccholo Piccinino capitano del Duca di Milano Filippo a Anghiari, il quale commincio a mettere in opera in detto luogo„ ec.
  172. [p. 375 modifica](172) L’autore ripete qui quello che aveva già detto più indietro riguardo al Cenacolo di S. Maria delle Grazie.