Il Newtonianismo per le dame/Dialogo Quinto

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Dialogo Quinto

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Dialogo Quarto Dialogo Sesto
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DIALOGO QUINTO.


Si contìnua ad esporre il Siftema

dell’Ottica TZevvtoniano.



N
on così torto la feguente mattina forfè dal letto la Marchefa, che contro l’ufo del bel Mondo mi fece entrare nel fuo Gabinetto, non afeondendo quel difordine, da cui ella ben fapeva nulla dover la fua bellezza temere. fa verità, cominciò ella a dire tofro, che mi vide da lontano, che quella voltra Fdofofia comincia a divenire una cola feria. Io poflo dirvi aver dormito quella notte molto meno delle altre. Se ella ne fia la cagione, o nò, io non lo fo, ma fo bene, che la Filofofìa, e il non dormire vanno infieme.

I miei interrotti fogni m’aveano rrafporrata affatto nel paefe dell’Ottica, dove altro non mi pare* di vedere che prifmi, lenti, raggi diverfamente rifratti, immagini colorate, e che fo io. In fornirla tutte quelle fperienze, e tutti quegli attreccj Filofofici, che m’avete deferi tto, fi Accedevano di mano in mano nella mia immaginazione, come vifioni, e fanrafmi. Per quanto belle fieno quefte cofe per fe, io non avrei creduto giammai mi dovettero occupar si forte in un tempo, in cui non lì fuol penfar gran fatto alla Fdofofia. In [p. 196 modifica]farti quello è, rifpos’io, un tempo da penfar più tolto al Filofofo. Non dubitate, replicò ella, ch’egli v’à certamente avuto la parte fua, e non à di che dolcrfi di me. E* non v’à dunque, nfpos io, gran male, fe così è. Anzi io vi conliclio a penfarvi il più fpefio, che per voi 5 potrà, che più il farete, e più conofcerete che il meritano E come mai volete voi, continuo ella irridendo, che penfando io a quelle fpenenze non ammiraffi la fagacità e l’ingegno del Filofoto, che le à inventate, e non penfaffi ad un uomoa cui pare, la Natura medefima avere additata ciò, che s’avea a fare per conofcerla? Io veggo bene, rifpos’io, che voi prendete la cofa troppo feriamente. In fimil cafo parmi che potevate ben contentarvi dell’Efpofitore. Come prender la cofa troppo fedamente? difs’ella. Si tratta di credere fe il colore fia immutabile, o nò, fe i raggi della luce fieno differentemente rifrangigli; fi vuol ftabilire, e confutar fi Ite mi, m fomma nulla meno fi cerca della Verità, e vi par che li poffan prender le cofe troppo fenamente? Ma quelli medefimi fittemi, rifpos’io, e quella mede fima verità per quanto gravemente luonino all’orecchio, non debbon mai i noftri più giocondi fogni turbare. Il bell’onore in venta che voi mi farette nel Mondo, fe fi rifapelfe, eh io v’ò fatto fognar di prifmi, e di lenti. Di quette cofe fi vuol fare, come fanno dell’Amore coloro, che penfano a trarre il miglior ufo che fi può dalle wffioni, che panni non fieno i meno favj, Eglino non ne prendon giammai fino a fegno [p. 197 modifica]d’alterarne le funzioni vitali, ma {blamente quanto batta per fornir di che pattar piacevolmente due, o tre ore del giorno con quel fello, con cui per lo quieto vivere, bifogna almeno far fembiante di effe re innamorato.

Voi date, ditte la Marchefa, lezioni di Filofofia, e di Amore tutto ad un tempo. Ma voi fapete che coloro, che amano per la prima volta, non trovaa’ agio per così favi e meditazioni, e fi lafcian trafportar più oltre del dovere. Cosi appunto è avvenuto a me nella Filofofìa, nella quale appena ò pollo piede. Io fono flata così poco di me fletta Signora, che fono arrivata per fino a cercar modi, onde confermare il Alterna del Signor Newton. Vedete dopo tutto ciò, che voi m’avete detto, fe il mio trafporto era grande.

Sentiam di grazia, rifpos’io r» ciò eh* egli avrà prodono, che per lo più noi fumo delle cofe più belle debitori alle grandi paflìoni. L’Iliade, l’Eneide, i Poemi di Dante, e di Milton fon nati ne’ tempi del maggior loro bollore; a’ quali fi potrebbono aggiungere per la flima almeno, che anno fra loro Nazionali, la Lufiade di Camovens naca nel tempo delle rivoluzioni, e delle maggiori conquide del Portogallo, e l’Araucana degli Spagnuoh, di cui l’Eroe è lo fletto Poeta. Qualche cofa di più grande, è forfè nato la fc orfa notte in mezzo a’ vollri interrotti fogni.

Temo forte, foggi uns’ella, non quello fu il Bertoldo de’ no Ari giorni. Io penfava fe la Lice è com polla di raggi di diverfi colori i quali mef. colati infieme ne formano il bianco, ch’egli fi dovrebbe [p. 198 modifica]dovrebbe un’altra volta vedere, fe dopo d’efTere flati feparaù dal prtfma, quelli colori Ti potettero rimefcolar di bel nuovo infieme. Ora io llava cercando, con poca fortuna però, la maniera, che per ciò fare, a tener lì avene. Il Signor Newton medefimo, rifpos’io, vi à alleggerita dà quello penliero, poiché quella maniera di confermare il fuo filìeraa è così buona, anzi ella è una così chiara, & immediata confegucnza dell’ordine, ch’egli à fatto a tal fine diverfe fperienze.

Eccovi la più famofa, ed infieme la più femplice, a cui condotto l’abbia quello fpintodi ordine che con quello gran Filofofo vi è comune.

L’immagine del Sole fatta dal pnfma nella ftanza ofcurà, fi riceve fopra una Lente convella, affinchè i raggi colorati, che all’ufcir del pnfma divergenti fono, convergenti per via di ella divenendo li unifcano, e di bel nuovo inficine fi mefchino. Oh Dio! m’interrupp’ella, io avea per così dire in mano tutti i materiali neceflarj per efeguire la mia idea, non aveva che ad unirli infieme, e non mi è ballato l’animo di farlo. Io ini vergogno della mia flupidità,e di memedefiina.

Voi avevate gran ragione di non voler far fèntir la voce della Filofofìa, a cui era incapace di rifpondervi. Si potrebbe anzi, ripigliai io, applicarvi quel famofo detto dell’Antichità.

Piaccia a Dio, che tale voi eflTendo, fiate de’ liofili.

Voi ttoverete una confolazione per ciò che voi chiamate Cupidità nell’Ottica Ile Ha. Gli uot mini, quello ellere ragionevole, e cunofo, ihrt teio trecento e più anni prima di porre infieme [p. 199 modifica]per fare il Cannochiale, che fu in fine dovuto al cafo, una lente concava, ed una convella, le quali aveano pur tutto dì nelle mani. Kgh è più vergognofo agli uomini di non averlo trovato Tubi to, che non faria (lato onorevole di averlo alla fine trovato, coficchè quefta bella, e ricca invenzione è del numero di quelle, che fieno mai Tempre un monumento dell’umana debolezza. Voi mi con folate, difs’el la, a fpefe del genere umano. Ma quel luogo in cui li unifeono di là dalla lente i raggi colorati, che è a ritrovare, più ch’io non credea difficile, io penfo che farà affatto bianco.

Appena anno eglino, rifpos’io, traversata la lente, che a confonder fi cominciano, e diluirti* l’un l’altro, perdono una bella proporzioa Mu ficaie, che avean tra loro negli fpazj che occupavan nell’immagine, prima origine della Mufica degli occhi, finché nel foco della lente riflrctti e incorporati infieme, vi formano una circolare immaginetta affatto bianca, una Repubblica, fe è lecito il dirlo, di colori, in cui uguagliandoti e attemperandoli perfettamente infieme, non più il roffo la fua vivace tinta di fuoco dimostra, nè la velie della ridente primavera il verde, nè il lucido ammanto del Cielo l’azzjrro, ma tutti infieme del Sole d’onde partirono reiHtuifeono il candore; così però, che di là dal foco feompagnandofi di bel nuovo, a brillar ritornano, ma rovefeiati, e rocchio rapito a viaggiar ritorna di piacere in piacere. Come quello rovefeiamento avvenir debba 9 fìa ad intender agevole se [p. 200 modifica]vi ricordare delle due canne del Defcartes, che s’incroccìmo, e che voi credevate più valenti, che in fatti non fono, ad piegare i fenomeni dell’Ottica. L’apparire che fan di nuovo i colori di là dal luogo dove fi mefeolano» fa vedere, che non perdon ivi in neflùna maniera il loro colore, e le loro qualità, come altri potrebbe per avventura credere, ma ch’egli altro non è, che la loro mefcolanza, che produce quel bianco, che vi fi feorge.

Io intendo ora, foggi uns* ella, ciò che voi mi dicevate ieri, che la immutabilità del colore fi foiliene ancora, quando raggi di diverto colore fi tagliano, e s’inerocciano infieme; poiché fc quelto non fotte, i colori del prtfna non fi vedrebbono di nuovo comparire di là dal luogo, in cui s’unifeono. Quella è appunto, nfpos’io, la fpenenza,fu cui quella immutabilità era fondata, poiché egli pare, che le fperienze del Signor Newton abbian quello di particolare e rnaravigliofo, che una non fi contenta già di provare una fola cofa, come la maggior parte delle altre, fe pur ftmpre, fanno, ma più altre ancora nel medefimo tempo ne dimofìra; il che principalmente nafee dalla fìretta unione, e dal legame quali geometrico, che anno tra loro le proprietà della luce. Cotette fperienze del SignorNevvton, difs’elta, ratio migliano, mi pare, alle battaglie degli Antichi, una delie quali più Provincie in una volta al vincitore acquiftava, E quelle del più degli altri Filolofi, replicai io, alle battaglie de Moderni. 11 frutto de’ più llrepitofi apparati, dell' [p. 201 modifica]arte più confa mata, e del fangue di migliaja d’uomini, confitte a prendere una Piazza, che li dee render forfè dopo due me fi in virtù d’uà Trattato. Ma ritornando alla voi tra fperienza, dico volha, perchè fe ben voi non l’avete ritrovata, di ritrovarla però la neceflìcà per compimento del frftema veduto avete; il nolìro Filofofo non l’abbandonò, finché non l’ebbe variata iti mille maniere. Bifognava impedire alcuno de raggi colorati di pallar per la lenre,affin di vedere fe il bianco dell’imroaginetta circolare da elfo fatta, alterato perciò ne venifle. Fgli adunque or dell’uno impedì il pailaggio, or dell’altro; e il bianco fi rrafmutava in quel colore, che nafeer dovea dalla mtfcolanza di quelli, che paffavano; il qual bianco compariva di nuovo, fe fi lafciavan di nuovo pattar per la lente i raggi intercetti. La mancanza di alcun colore nel!’ fan maginetta circolare, che di pattar s’impedide, elegantemente vedeafi con un prifma all’occhio, da cui ne’ componenti fuoi colori per la di ver fa loro rifrazione era rifolta, perchè laddove fe patta van tutti, e per confeguente ella era bianca; fi vedeva per vìa del prifma di tutti i colori pur tinta a guifa d’Iride; fe alcuno n’era intercetto, quello altresì vedeafi nell’immagine formata dal prifma mancare; Uno a tanto, che non lafciando pattare per la lente, che un folo colore, quello folo era altresì veduto col prifma. Se poi per via de’ denti di un pettine, che li muovere rapidamente in sù, e in giù alla lente, s’intercettavan di mano in mano tutti i colori, l’immaginetta circolare [p. 202 modifica]re fra va bianca per la rapidità, con cui le feri fazioni di tutti fi fuccedevan nell’occhio. Voi potete aver talvolta veduto, fé un cerino accefo fi muove rapidamente in giro, tutto il cerchio da lui fegnato nell’aria, illuminato apparire; il che avviene, perchè la ien fazione di luce, che egh eccita nell’occhio nelle differenti parti del cerchio, dura per alcun poco di tempo, e vi reità impreffa, iinch’egli al medefimo Tuo ritorni. Nella Ile (la maniera allorché i colori fi lieguono l’uri l’altro con un’eftrema rapidità, l’impresone di ciafeun di e ili, re Ila nell’occhio fino a tanto, che una rivoluzione intiera di tutti ne fia terminata; per modo che trovandoli tutte le imprctììorii de’ colori nella medefima parte dell’occhio infieme, unitamente la fenfazion vi eccitano della bianchezza, e ciò è fiato altresì dopoi comprovato con una ruota, il cui lembo dipinto co* varj colori del palma apparifee bianco, girata ch’ella fia rapidamente intorno a fe fletta. Vi confeflo, dine la Marchefa, che s’egli folle flato mai poflibile per me di trovar la fperienza ch’io cercava, egli mi fana poi flato aflòlutameiue imponìbile di trovare il modo di variarla in tante e sì differenti guife, benché l’incoftanza, di cui voi altri ci accufate tutto dì, avene per avventura potuto in ciò ajutarmi non poco.

Di quello, replicai io, che non è poi Forfè così gran difetto, coni’ altri penfa, non mancava certamente il Signor Newton per variare le fue fperienze, come ne pure della più feconda, e Poetica immaginazione pei* inventarne ad ogni [p. 203 modifica]carta, diro cosi, di no velie, che differenti le une dall’altre concorron però tutte a provar L’iftefloj Si direbbe ch’elle gli nafeevano fotto alle mani, come i Poeti dicon de’ fiori fotto a’ patti delle Belle. L’immagine colorata fatta dai prifma e con un altro guardata in modo, che la feorci, e ne confonda infierite i colori, divieti bianca. L’ìfteiTo ó io oflervato nell’Iride, che è l’effetto della feparazione, che fi fa de’ raggi del Sole nelle gocciole di pioggia, che gli è oppolla. Ella pure par bianca guardata con un prifma rivolro in guiia, che la rifranga e ne confonda infieme i colori. Quelli che vivono ricino alle cataraffe de’ fiumi, l’Iride ogni giorno veggono, fe ìì Cielo è fereno, formata dal Sole nello fpruzzo, che s’alza dall’acqua rotta ne’ foggetti fam, ed an l’agio di poter prendere più fpefTo dì noi quella fperienza. Io non voglio, replicò ella, aver nulla, s’è pombile,da invidiare altrui. Una fontana, che fe non una cataratta, imiterà almeno la pioggia,’ ci farà godere un’altra villeggiatura dell’Iride, c delle me oflervazionì a piacer noftro. Noi li chiamiamo, fe vi pare, la Fontana dell’Ottica..

Sino a ranto, rifpos* io, che abbiate nel vofiro Giardino le prove del Newtoniano iìftema, come nella voftra Galleria avete già le obbiezio ni contro il Cartefiano, rientrar potete nella ftanza ofeura per vedere, che il candor della carta pofta dirimpetto all’immagine colorata del Sole, coficchè partecipi egualmente di tutti i colori, non fi altera in modo veruno; laddove si ella più ad un colore fi accolli, che agli altri, il fuo [p. 204 modifica]bianco di quel fi tìnge, a cui ella è più vicina. Vedete te può la Verità con maggior treno di prove diieender dal Cielo.

Io era ben ardita, di(Te la Marche fa, di pensare ad una cofa, a cui il Signor Nevyton a penfato tanto- Come avrei potuto io mai trovare la iTienoma di quelle fperienze per facili e femplici, che pajasso? Voi trovate ben facilmente, r14 fpos* io, in contraccambio cofe, che avrebbon forfè dato di che penfare al Ftlofofo fteffo. A voi convien più di fapcre in qual dofe mefcolar bifogni inlìeme la fperanza, e il timore, le occhiate, e gli fdegni per non lafciar languire un* amorofa paffione, che in qual dofe bifogni mefcolar polveri di diverfo colore per aver del bianco; poiché il noftro Fiìofofc affinchè non avefte che defiderar da lui, i fperimentato anco quello; benché il bianco, che ne rimira ila ottufo, grigio, ed ofeuro fimile a quel della cenere, eflendo i colori di quelle polveri troppo imperfetti, c languidi rifpetto a que’ del prifma per lare un tei’ bianco vivo, e chiaro. Tuttavia fe una tale raefcolanza farà efpoiìa al Sole, colicene altro non il faccia che acc refe ere in lei la forza del lume, quel bianco ottufo, ed ofeuro diverrà lucido e chiaro, benché non uguaglieià mai il candor delia carta efpofla al mede Amo lume. Quindi nelle colorite tlampe, una delle belle invenzioni de’ noilri tempi, che con tre foli colori imitano perfettamente tutta la varietà della pitturala carta jfteffs è lafciata feoperca pei- li chiari forti, e bianchi, L’acqua agitata col fapons imo a tanto [p. 205 modifica]che alzi la fchiuma, è pià atta a moftrare, che la mcfcolanza de’ colori produce il bianco. Dopo che la fchiuma è ri po fata un poco, fi veggono filila fuperficie delle bolle ond’eìla è comporta, divertì colori, i quali riguardati in diftanza non fi ponno dillinguer l’un dall’altro, e la fan comparir tutta bianca come l’intatta neve, ovvero come alcune altre migliori cofe, che all’intatta neve per la bianchezza loro fi fogliono paragonare. E quella fperienza oltre al recare allo fpirito una vaga idea, I fopra l’altre il vantaggio di effer faci li Hi ma da efeguirfi.

La Filofofia, dille la Marche fa, è, per quel ch’io veggo, come il giuoco degli Scacchi che io ogn’altra occafione fuorché in quella, mi farei però lecito di chiamare, un’ingegnato pretelle per perder il tempo. Il menomo pezzo nch’uno, e la menoma fperienza nell’altra, è molte volte dì fomma importanza. Una pedina nelle mani di un valente giuocatore può dare fcaccornatto; e un po’ di fchiuma è per un Newton una miniera di ofler v’azioni e di feoperte. La metà del Mondo avanti lui, a avuto fotto gli occhi quelle m edeli me bolle, e quella fchiuma, fenza ne meno averla, per così dir, veduta. Gli Antichi l’avranno mille volte olFervata, e negletta.

Quanto agli Antichi, rifpos’io, i lor’occhi potevan molto meglio giudicar dell’eleganza di una flatua, o d’un Tempio, che dell’importanza d’una fperienza. Seneca aveva notizia di unafpecie di prifma, il quale ricevendo da un lato il lume del Sole, di (piegava all’occhio i colori dell’ [p. 206 modifica]Iride. Tutti la fpiegazioae, ch’egli ne dà, è ] che ivi non v’abbia color nefluno, ma foìo l’apparenza d’un falfo colore firn ile a quello del collo d’una colomba, cheapparifce, e difparifceal muoverfi, e cangiar di fito, che l’occhio fa. Quella bella fpiegazione fa vedere abballarla quanto poco coniideraOero gli Antichi, e fcguiflero ne’ fuoi fentieri la Natura, poiché per poco, che Seneca lì avelie prelb la pena di efaminare il fuo prifma, avrebbe veduto la differenza, che v’era tra i colori da elfo prodotti, e quelli del collo d’una Colomba. Una forte di Microfcopio, di cui egli avea pur notizia, e di cui forfè doyeano fervirfi gli antichi Artefici per que’ loro co»i dilicati lavori delle pietre intagliate, e de’ Carnei, enigma, ed ammirazione de’ noitri tempi, quello Microfcopio dico fatto di una palla di vetro ripiena d’acqua non ebbe miglior fortuna nelle fue mani. Egli attribuiva l’ingrandimento degli oggetti attraverfo elfo guardati ad una qualità dell’acqua, non alla figura del vetro, da cui eli’ era contenuta. Il pefo dell’aria, e qualch’altra fua proprietà era nota agli Antichi, e per ripiegar poi come l’acqua attenda nelle trombe alpiranti, il che è cagionato da quello pefo, ricorrevano ad un certo ideale orrore, che la Natura, avea pel vacuo, talché più torto che lafciare il menomo fpazio voto, ella amava meglio di far afeender l’acqua violando le fue proprie leggi della gravità. E come una follia ne genera mille altre, quello così grande orrore la Natura l’aveva in quelle trombe fiuo ad una certa altezza, [p. 207 modifica]di là à ali a quale egli fi cangiava forfè in amore, poiché lafciava poi elTervi quanto voto fi voìea. Che più? Nerone avea eretto nella fuaCafa aurea il più magnifico effetto del D e fpo tifino dell’Uni-verfo,un Tempio di una pietra talmente tra (parente, che anco a chiufe porre il lume delgtorno v’entrava. Plinio che ce ne à darò la relazione, -in luogo di contentarti di dire, ch’ella era molto più trasparente dell’Alabama), dice ch’ella non trasmetteva già la luce, come le altre cofe disfo ne, ma che la rinchiudeva in certo modo dentro a fe; il che fe folle flato, molto più luminofa avre’bb’ella dovuto apparir la notte,che il giorno.

Gli Antichi amavau meglio di maravigliarli, che di fapere, e flimavan per avventura le fpe* rienze folo mezzo per veramente ammirar la datura, troppo materiali per occupar l’attenzion di un Filofofo, che non dee confultar che la ragione, non avvifandofi certamente mai, ch’file doveliero un giorno a tal fottigliezza rindutlnofe Polì e ri tà condurre, da fotto porre all’efame della bilancia il pefo della fiamma, creduta altre volte leggiera foìlariza, in grazia di cui elfi avean fino una particolare Sfera di fuoco, ov’ella tender doveife, da calcolare quanto giornalmente noi perdiamo per la tralptrazione ìnfenfibile, che continuamente fi fa dal noltro corpo, quanti milioni di botti d’acqua trafpiri il Mediterraneo in un giorno di S-tate, e da conofeere di quanto un’uomo per la franchezza de’ mufcoli fee mi in grandezza dal mattino alla fera; da contrafFire in fì;;c: la Natura ìfleflamulandone con certe Chimiche [p. 208 modifica]mifturc i Mongìbelìi e i Vefuvj, ed imitandone il tuono molto xneglio, che il temerario loro Saimoneo.

Se foffe flato, per e fé m pio, propolto ad un’Antico, fé il Fosforo di Bologna riluca di una luce fua propria, o pure dì una luce altrui; Dio fa quante follie egli averebbe detto la ragion confutando, laddove un Moderno con una fola fperienza à pollo la cofa fuor d’ogni quifrìone. Che cofa è in grazia, diffe la Marchefa, quefto Fosforo, che è il foggerto delle follie dell’Antico, e della fperienza del Moderno? Egli è una certa pietra, rifpos’io, che fi trova in un monte vicin di Bologna, la quale calcinata che fia dal fuoco, acquifla la proprietà di rifplendere al bujo a guifa d’una bragia, fiata ch’ella è per alcun poco di tempo efpofta al Sole, o pure anco folamente ali* aria aperta; E quindi ella à meritato il bel Greco nome di Fosforo, che vuol dire apportator di luce; onore che ànno quafi tutte le cofe, che fervono agli ufi dotti. Un’erudito non potrebbe forfè chiamar con altro nome quello luogo, che con quello di Foslofo, che Tuona in volgare collina della luce, e lo confacrerebbe in tal modo per fen-pre alla Filofofìa, ed all’Erudizione. Grazie al volito erudito, difs’ella, che quello luogo non è così disgraziato da non trovare anco per lui un bel nome, dopo di averfelo meritato tanto.

Ora la quiliione, continuai io, fi riduce a fa pere, fe queiìo Fosforo altro non faccia, che ricever dentro a fe ed imbeverfi del lume, a cui egli è efpolto, onde poi portato al bujo rifplenda [p. 209 modifica]di una luce non fua, ovvero fe il lume e fieni o ponga in tale agitazioni le fu e parti, che una luce ch’egli contenga dentro a fe venga, per cobi dire, a fprigionariì, c fuori dal fuo feno fi fcagli, ond* egli rifplenda d’una luce fua propria; if che molto più onorevole gli farebbe, e con più ragione meritar farebb’egli il bel nome, ch’e’ porrà. Il Moderno adunque fcelfe una forra di lume, a cui efporIo,ehe doveva ficuramente farfi riconofeere, fe egli fe ne imbeveva, e manifeilare in tal maniera il furto di quello novello Prometeo. Io veggo già, ditte la Marc he fa interrompendomi, ciò che il Moderno à fatto. Egli a pollo il Fosforo in un de’ colori dell’immagine per vedere «’egli col lume ne acquiftafle anco il colore. S’egli l’acquilta, manifeita cofa è, ch’egli dei lume efierno s’imbeve, e rifplendc d’una luce non fua; fe poi non lo acquiila, eifendo che i colori fono immutabili, e non foffrono alterazione alcuna; il lume altro non fa che agitar le fue parti, e fprigionarne, come voi dicevate, la luce, ond* egli rifplenderà d’una luce fua propria, e non altrui, c più torto, che a Prometeo ratto migliarlo converrebbe al Sole fteflb.

Egli non è che troppo vero, replicai io, et fer le Belle tutto ciò, che voglion’e fiere. Gran torto in vero farebbe il voftro, fe da qui innanzi tenrazion vi prenderle mai di dolervi della vollra poca fagacirà nella Fifica. Quefto è ciò appunto, che fece il Moderno Bolognefe, e colla vollra fpenenza afficurò l’onore di rifplender d’una luce tua, propria al fuo Compatriota. Egli è [p. 210 modifica]credibile, che non per alerà ragion rifplendano miceli altri quafi infiniti Fosfori limili di natura a q Licito, die furon, non à guari, difcoperti in Francia: i quali neil’arricchir laFilofofia di nuove maraviglie, àn fatto perdere al Bolognele il pregio della lìngolaiità, ch’egli non divideva, che con un altro folo, in tutto il Mondo Fiìofofico. E 1 Diamanti il più preziofo Fosforo della Natura, non rilucerann’eglino al bujo perchè la luce eterna accende, e in certo modo rifvegha quella, che dentro a fe racchiudono, e di cui effi fon ricco, ed inefauribii Tesoro?

Vedete a qual cofa fi riduce,foggiuns ella, la mia fagachà nella Filofofia, che io non ò mai offervato un fenomeno che ó pur tutto giorno lopra di me. O la voltra ftanza, replicai io, m quelle malattie che fono al bel feffo le molelteconfeguenze del piacere, e del dovere infieme, non era così ofeura, come avrebbe dovuto effe**, o il voltro Medico non era così leggiadro, come voi il meritate. Il Signor Beccali vi fu andò m una di quelle malattie una gentil Dama, che rirofava dietro ad un paravento lungi dall’aria, dalle ciarle, e dal menomo fpiragho di luce, hi da lei addomandato fe per avventura non averle un lume in mano. Il gentil Fifìco rifpondendo che nò, ed ella collantemente affienandolo che vedeapure luccicar qualche cofa,fofpetto edere il fino anello,che rilucere in quel profondo bujo, e s’accorfe d’aver portato lungo tempo fcnaa laperlo un Fosforo nel dito. Se quell’anello gli diveniffe caro, voi vel potete immaginare. Egli vi [p. 211 modifica]fece fo pra Dio sà quante fperienze quafì nello ileflb tempo che in Francia il Sig. du Fay Padre di tanti Fosfori avea trovato i diamanti avere U mede fi ma proprietà. Qual fecca, e vota Filofofia, difie la Marchefa, dovea mai eifer quella degli Antichi, e quanto bella non è cotefta nollra, che colle fu e o Nervazioni accrefee perfino il pregio a’ diamanrì.

Accioche vediate ancor più, foggiuns’io t quanto gli Antichi aveller torto, e che non v’ì fperienza così poco importante nella Fifica, di cui non debba tenerfi conto, egli fu quella mede fi ma fchi urna, di cui parlammo poc’anzi, cost poco Filolofica agli occhi volgari» che fece principalmente indovinare al Sig. Newton qual fotte la cagione de’ varj, e quali infiniti colori, che veggiamo ne’ corpi. Bglì avea trovato in gene* rale, che certi corpi apparifeono di un certo colore, perchè riflettono una certa forra di raggi più abbondantemente degli altri, ed altri d’altro colore, perchè un’altra fona; talché fe la luce non confittene che di una fola fpecìe di raggi, non vi farebbe, che un folo colore nel Mondo, non potendo, nè la rifrazione, nè la rifleflìone produrne alcun di nuovo. Qucfta feoperta, che avrebbe forfè fodisfatto qualunque altro Filofofo, noni fece che folleticar la curiofità del noltro, e non fu per lui che un preludio ad infinite altre. Perchè quella ftoffa riflette ella più volentieri ì raggi azzurri, che qualunque altra fotta di raggi? Se una di quelle Bolle, che li formano fomando ncll* acqua ftata che sia un [p. 212 modifica]poco col fapone fcofTa, fi ricoprirà con un verro affine di feltrarla all’agitazione dell" aria; ella fi offerverà fparfa di diverti colori, i quali fi ftcndono come tanti anelli l’uno dentro l’altra intorno alla fommità di ella; t a mi fura, ch’ella diviene più fertile,. difendendo continuamente l’acqua alle parti inferiori, quelli fi dilatano lentamente, e fi fp argo no fopra tutta» la bolla, di-, feendendo per ordine fino al ballo, dove poi fvanifeono l’uno appo’ l’altro. La varietà di quelli colori, dipendeva dalla varietà della grollezza, che à la bolla d’acqua in varie parti. Ma quelle varietà non erano così facili da determinarti, e farebbono per avventura fiate imponibili a tutt* altri, che a lui; il quale in mille guife a que’ fuoi anelli la prova diede condotto [emrpre dalla Geometria, di cui egli crebbe e nutrirli, e da uno fpinto di olTervazione, che tanto più par fecondo, quanto più le offervazioni fon difficili, e dilicate. Egli trovò, che certe determinare groffczzc fon necelTarie in una laminctta per efempio d’acqua, perch’ella rifletta un certo colore, e certe altre, perchè ne rifletta un’altro, e generalmente che minor grolle zza è neceflaria, perchè henoriflettuti i faggi più rifrangibili,. come il violetto, e l’indaco, che i meno, come il rollò, e l’arancio, trattandoli d’una materia di egual_ denfità. Se poi la denfità in una materia farà minore che in un’altra, come lo è nell’aria nfpetto all’acquagli maggior grollezza in quella che in quella farà meftien perchè iìa riflettuto il medefimo coloie. Nella fletta marnerà definì egli le grossezze [p. 213 modifica]neceffarie ’per la trafmiflìon de’ colori. Per le analogie poi, o funi li rudi ni, che fono tra le lamine te delle materie, ch’egli à confederato, e le particelle, onde i corpi fon comporti: egli fi viene a provare, che i loro colori da altro non dipendono, che dalla divertita di groffezza, e di dentila, che fi trova nelle particelle loro; onde altre fieno atte a riflettere o traf.uettere i raggi di un colore, ed altre di un’altro. Le Analogie tra quelle due fpecie fon moltiffljie.Così le une, come le altre fono affatto trafparenti; le foghe d’oro, e le particelle di molti altri corpi, traf mettono un colore, e ne riflettono un’altro, nella maniera appunto, che fanno gli anelli della Bolla d’acqua, di cui abbiano parlato. Quelli anelli apparìfeono di vario colore guardati in differenti fuuazioni, e l’iftefso fanno alcune fete, le fot ti li tele dell’iuduitnofo Ragno, e come foave mente cantò il Tafso.


     Così piuma talor, che dì gentile
     Amorofa Colomba il collo cinge,
     Mai non fi feorge a fe ftejfa fonile,
     Ma in diverjì colori al Sol fi tìnge;;
     Or d’accefi liubin fembra un monile,
     Or di verdi Smeraldi il lume finge,
     Or infìcme gli mefce, e varia, e vaga
     In cento modi i riguardanti appaga.


E non si vede egli con chiarezza, che dal macinar finamente le polveri, onde li fervono i Pittori, cioè dall’alici cigliar le loro parti? il color ne [p. 214 modifica]viene a cangiarti un poco? I corpi potino e fiere in certo modo riguardati come ftoffe, i cui fili riflettendo ci afe uno in particolare una certa forra di raggi, tutta la fona viene a parere del colore, di cui fono i raggi riflettuti da varj fili, chela compongono.

avviene egli, dhTe la Marchefa, di que’ raggi che riflettuti non fono? Se ne fa egli novella alcuna? O fon trafmefli, rifpos’io, o foffocati ed efHnti; coficchè e’ vengono a perderfì tra le particelle de’ corpi. Una foglia d’oro porta tra il lume, e l’occhio, è trafparente, e apparifee di un’azzurro verdiccio; ma una malfa di foglie d’oro porte le une fopra le altre, colla trafparenza il color perde, e (Tendo i raggi che paflan per la prima foglia, foffocati ed efhnti nel pattar che fucceffivamente fanno per le altre. I corpi bianchi fono ftoffe comporte di fili, da* quali è riflettuto ogni colore, e i neri per lo contrario artorbono, ed eflinguono dentro a fe ogni forra di raggi. Per la qual cofa i corpi neri fi rifcaldano molto più facilmente di qualunque altro, e un capellino nero lnglefe, come ne’ viali di S. James fe ne veggono, non faria al vortro cafo per parteggiare al Sole Italiano. I corpi bianchi, come quelli, che riflettono, e fcaccian da fe ogni fona di raggila rifcaldano molto più difficilmente degli altri, che ricevon dentro di fe, ed artorbono 1 raggi de" colori, che non riflettono, o trafmetrono.

Dalle medcfime caufe pur nafeono le varie tinte, che nell’aria feor giamo. La differente denfità, e eroflezza delle efalazioni e de* vapori, che si [p. 215 modifica]alzan dal mare, e dalla Terra, variamente ne dipinge il Cielo, allorché l’Aurora colle dita di rofe {chiudendo al mattino le porre, richiama i mortali all’opre, od Efpero cadente li configli» al rtpofo ed al piacere; benché egli malagevol fìa di rintracciar la cagione, per cui i colori al nafcere, & al cader del Solevano quali Tempre i mede fimi, e fi fu c cedano con certo ordine. Si fa pure che la differenza del colore degli occhi in varie perfone viene dalla differenza della tenitura dell’Iride, che è quella fafcia nell’occhio, che circonda la pupilla. La varietà delle fibre, ond’elia è tellina, accende in alcune l’irapcriofo fguardo d’un’occhio nero, e compone in altre d’un azzurro l’infidiofa placidezza. Ma egli è poi difficile di a (legnar la caufa collante, perchè le Nazioni Settentrionali generalmente abbiano colla bionda capigliatura gli occhi azzurri, o gtigj, e noi altri da un’immaginazione e di un clima più caldo gli abbiam neri come le noftre chiome. Ma da quello Interna nafce la fpiegazion di uri fenomeno, che è forfè inefplicabile in ogni altro, «ciò ci ricompenferà fe noi poffiamo particolarmente d’ogni cofa render ragione. Due liquori un rollo, ed un* azzurro, ciafeuno de’ quali è trafparenre, ce (fan d’effe do, fe fi traguarda artraverfo tutti e due. Quello fenomeno, cagione di tanta maraviglia a colui, che fu il primo ad oilervarlo, non è che una coufeguenza della dottrina Newtoniana. L’uno di effi trafmette i raggi rofTì, e l’altro gli azzurri, e non altri. I raggi adunque trafmefli dall’uno, faranno eltinti ed [p. 216 modifica]assorbiti dall’altro: e l’occhio che traguarda per elfi, non ne ricevei à nefluno; e quello è un di que’ fenomeni, la cui fpiegazione diviene una piova al lille ma, che ad ìfpiegarlo è valente.

Ciò che fi racconta, dille la Marche fa, di alcuni Ciechi, che diflinguono i colori al ratto, mi comincia ora a parer credibile. Anzi non è egli ancora ciò una riprova di queflo fillema? Se noi ave Aimo il tatto aliai più fino che non abbiamo, e qual per avventura aver lo ponno que* ciechi, non indovineremmo noi di qual colore debba effe re un corpo dal fentirne la varia groffezza delle particelle? Noi faremmo coli’ immediato fenfo, ciò che per via de* fu ai calcoli un Newtoniano farebbe, fe gli rivelaffe alcuno le nafeofe teffiture de’ corpi. I voilri ciechi, rifpos’io, ponno diftinguere i colori al tatto, anco nel fù già voftro fìik-ma Carte fiano, fecondo il quale vi dee etfer differenza nelle particelle de* corpi di differenti colori, acciocché pollano differentemente modificare i raggi della luce. Una tal prova, come vedete, e’ troppo equivoca per aver luogo colle altre, come lo è pure ciò, che li dice di una fpecie di fìngolar barometro, che anno alla Cina per indovinar qual tempo debba fare. Quello è una ilatua fu di una montagna polla, la qual predice i cangiamenti del Cielo e dell’aria dal cangiarli, ch’ella fa di colore. Ma non farebbe egli meglio di cercare un fenomeno più vicin di noi nel paefe della pulitezza e della Galanteria, e che non fi può fpiegare, che col fi (lem a Inglefe? Perchè debbon le Dame di quella felice contrada più [p. 217 modifica]rofletto porre per affiftere all’Opera, che per più bello di (è fiefle rendere il patteggio delie Tuillierie?

Voi conducete, difs’ella, il fìftema del Signor Newton in luoghi, dove avrefre a gran fatica condotto l’Autore. Con non molta, foggi uns’io, fe voi vi folte Hata. Il lume delle candele non è già così bianco come quello del giorno; egli trae al gialliccio, e guardato con un prifma, e’ fi vede il giallo edere il colore che più degli altri vi brilla. Quanto meno adunque il rofletto fia carico, che vuol dire quanto più egli rifletterà altri raggi oltre i rolli, tanto più del giallo risentir dovrafìi che in quel lume fovrabbonda; fica me. iu una itanza, in- cui entri il lume at trave rfo colorate cortine, tanto più gli oggetti che nella ftanza fono, del color delle cortine fi tingano, quanto men forre e carico è il loro. Ragion vuole perciò che del roiTerto fi carichi la dofe pe l’Opera, acciochè. le guancie delle Dame, e gli occhi de’ vagheggiatori non vi perdan nulla, e trovino al lume della fera il medeiimo conto, che ’a quel del giorno. Nel filtema Francefe una per altro così faggia precauzione farebbe inutile, poiché fe il roifetto può modificare il lume del giorno, può egualmente dodìfìcare quel della fera di qualunque colore egli fiali. Non è egli quella, di ite la Marchefa, fe mai anno ozio da rifapcrlo, una mortificazione per le Dame dì quel per. altro felice paefe, di non avere in cafa loro un iilrema, che ad ifpiegar vaglia del lor rofletto i lenomeni, e di. doverne perciò chiamare un [p. 218 modifica]forestiero di là dal mare? Altrettanto è gloriofo per éffià lui di dare a tutti i popoli perfino lezioni di Toletta. Quella non è già la fola, rifpos’io L Se volete che un’azzurro non paja verde la fera, il che potrebbe forfè feoncertar l’armonia d’uà abito, e Dio fa poi di quanti malanni effer cagio* ne, toglietelo ben puro; altrimenti i raggi azzurri mefcolati co’ gialli ch’egli riflette in maggior copia al lume delle candele, potrebbon farla per avventura apparir verde. E quelli fono i nodi Gordiani dell’Ottica, che quello fittemi* feiogliefenzaeluderne gli Oracoli. Quelll Fenomeni egli fpiega felicemente, incfplicabili ad ogni altro fiftema. Ogni fpiega?ione equivoca, ogni prova, che non abbia forza di dimoltrazione, è da elio rigettata.

Un’analogia, per e Tempio, che G. trova tri la produzion de’ "colori, e delle altre cofe, che feiv virebbe di prova ad un altro {Ulema, non può* fervire a quello, che per ornamento e per luiTo. Si è ultimamente feoperto, che gl’infetti, gli uomini, gli animali tutti, e le piante, in luogo d’effe l’continuamente riprodotti dalia Natura, non fanno, che fvilupparil da’ loro rispettivi germi, o femi, ove realmente contenuti fono, allorché trovino le difpofìzioni ne celiarle per ciò fare; gli animali, un’utero, e le piante, un fuolo, e tutti fticchi e certi gradi di colore, e limili altre cofe allo fviluppamento loro neceffarie. Similmente i colori non fon già prodotti a ci afe una rifrazione, o rifieffiooe, o altra firn il caufa» come altre volte crede ali t ma il Sviluppano, se è [p. 219 modifica]pérmesso il dirlo, dal feno della luce ftefla,che li contien dentro a fe, allorch’ella viene ad effer rifratta da un prifma, o riflettuta dalle particelle de’ corpi;iì che alle leggi univeifali e al general ordine della Natura, è molto più confacentc Per non altro modo fi manifeftano pure i colori dell’Iride, delle corone colorare, che fi veggon talvolta intorno al Sole e alla Luna, e que’ di una certa luce, che da un tempo in qua fi fa veder fovente dalle parti Settentrionali, o viene almeno più offervata ora che per l’addietro non faceafì, e lì chiama Aurora Boreale.

Per quanta magnificenza, e ricchezza, ripigliò la Marchefa, la Natura motìxi in tanra varietà di colori, ella a ufato però una certa fpecie di Economia nel produrli. Almeno la Natura Newtoniana è più Economa, mi pare, delIaCartefiana. Hlla a fatto della luce come la miniera e il riferbarojo de’ colori, ch’ella % prodotto una volta per Tempre, incapaci di qualunque alterazione con alcune difpofizioni folamente di poterfi fe parar gli uni dagli altri, e di moitrar quel colore, che tutti uniti e mefcolati infiemc non polTon fare; laddove la Cartefiana bifogna, che ad ogni momento dia nuovi moti di rotazione a que’ fuoi globetti, e che ad ogni rifrazione c ad ogni picciola cireoftanza penfi a variarli; il che mi par di una fatica la carichi, e d’un pernierò infinito. Si potrebbe dire, foggiuns’io, della Natura del Defcartes nel produrre i colori, ciò che fu detto nel produrre a ciafcun moto del corpo le idee nella noftr’anima dell’affacendaco [p. 220 modifica]Dio del Mallebranche, che noti à he men le Fdte, e le Domeniche per fe: Ma quelle dìfpoà iizioni che anno i colori a fe parai li, e che voi: ammirate tanto, per quanti peni! e ri rifparmino, e fieno in certa maniera comode alla Natura, non lafciano di tffèr talvolta incomode per noi.

Come incomode? rifpofc la March e fa; non fono else forfè, a cui dobbiamo tanta varietà, e non; fi i ebbe egli nojofo di veder fempre in tutti gli oggetti la ripetizione del medesimo colore?; "Voi apprendere, rifp’os’io, come un gran maledi veder fempre il Mondo per così dire a chiarofc uro, di dovervi fempre ve ili re del ni ed efimo colore, e quel, ch’è peggio, di un colore fimile à quello delle v.oftre carni. Voi potete aggiungere ancora, foggi uns’ella; E di perder fopra tutto colla varietà de’ colori un argomento di dimorfo cosi favorito delle Dame. Tutte quelle difgrazie, replicai io, colla volita terribile aggiunta fuccederebbono, fe i raggi colorati non ave fiero difpofìzione a fepararfi gli uni dagli altri, ovvero fe [urti follerò d’un raedefimo colore. Il Camaleonte, e le rughe vi verrebbono a perdere confiderabilmente anch’effe. Ve n’à alcune, che lenza aver la noja dì cangiar di pelle, nello fpazio di ventiquattro, o di dodici ore fi trovano aver cangiato di colore. Ma in. contraccambio 9 fe ciò foìlè, gli Allionomi ci verrebbono a guadagnar non poco. E qual cofa non fac ri Mollerebbe un Agronomo per determinare efattamente il rempo dell’Eccitili d’un Satellite di Giove, o per veder didimamente l’occultazione d’una Stella [p. 221 modifica]dalla Luna? Quefìa è una gente, che a Tempre di mira il Cielo, e non fi cura di quefta Terra,.te non, in quanto ella è un Pianeta, ed entra ella pure nei (Ulema celefìe. Per altro poi, che le rughe, le Dame di quello Pianeta non poi e fiero "mutare ogni giorno colore ne’ loro abiti, oche vi follerò gasiti altri inconvenienti, quello a loro poco importa..Ma che à egli a fare in grazia, ditte la Marchefa, quella difpolìzione, che anno i raggi colorati a feparaiii, colle oflervazioni di quella gente, che abbiano a guardarci di mal ocduo peì piacere, che noi prendiamo nella varietà, e che debban trattarci del pari colle rughe? Ella vi a che fare, rifpos’io, molriflìmo, e io non dubito, che voi non ne fiate tollo perfuafafe vi dirò, ch’ella ì che far co’ Cannocchiali, che llponno riguardare, come i loro occhi. Io vi dilli già francamente, che le lenti, delie quali i Cannocchiali fon fatti, unifeono i raggi, che partendoli da un punto cadono fopra di elle, in un’altro punto. Ma la verità ti è, che io vel dilli rifguardando più toilo a ciò, che faria meglio, che face fiero, che a ciò che realmente fanno. In fomir.a, foggi un s’ella, voi m’avete rapprefentato quelle lenti, come le Tragedie apprettò a poco cirapprefenrano gli Eroi, che aman più tolto dinagerfeli, come dovrebhono e He re, che d’imitarli come veramente fono.

Io vi confetto, replicai io, eflervi flato un po’ di Poerico nel dirvi, ch’elle umilerò i raggi in un punto, poiché egli non è così punto, che non Ila veramente un circoletto. Quello [p. 222 modifica]circoletto, che fi chiama aberrazione del lume da due cagioni proviene e dalla figura, che fi vuol dare comunemente alle lenti, e da quella di fpofizione, che anno i raggi della luce a fe pararli nel ri franger fi; benché la colpa, che v’à in ciò la figura della lente fia così picciola, che non è da effer paragonata a quella, che v’à la diverfa rifrangibilità; coficchè coloro che di dar cercarono affin di perfezionare i cannocchiali nuove figure alle lenti, che unir doveffero veramente i raggi in un punto, perdettero affatto le loro fpeculazioni. Nel Secol d’oro deferitto da’ Poeti allor quando tra i fiumi feorrenti latte, e le quercie fudanri mele, fi vedeano gli arieti in mezzo a’ prati dì nativa porpora riveìliti, e l’agnello difpiegare al Sole il vivace fcarlatto, pria che la lana imparato avefTe dalle mani dell’Arte a mentir diverfe tinte; egli c da credere, che più difiinta mente farebbonfi ve. duti col cannochiale gli oggetti dalla Natura medefima di puri e bei colori dipinti, allorché il cuore fteffo dell’uomo da più pure paffioni animato, più apertamente fuori traluceva, e l’Amor fofpirava non già per abitudine, nè con arte, e non piangeva, che per piacere. Ma in quello noli ro fecol di ferro, in cui e le pafiioni, e i colori dalla prima loro purità degnerato ànno, qualunque figura abbia la lente % il punto dell’unione de* raggi azzurri o verdi farà fempre diverfo da quello de’ roffi, o gialli, e avravvi per neceflità mai fempre dell’aberrazione; e quel circoletto non vorrà giammai divenire un punto. La qual cofa è molto incomoda agli Ailrouomi, i quali per [p. 223 modifica]gli Astronomici loro bi fogni vorrebbotio vedere ogni cofa coli’ ultima dittmzione, e quel circoletto in cui i raggi fi unifeono in luogo d’un punto in cui dovrebbono unirli, o la diverfa rifrangibilità, che ne è la caufa, fi attraverfa loro ad ottenerlo.

Farà duopo, ripigliò ella, che quelli così delicati Signori, abbian pazienza, che facciati voti pel ritorno del fecol d’oro, e che limitino intanto i loro defiderj e i loro bi fogni così come pur tutti gli akn uomini, fe fon ragionevoli, e che fi còutemino di avere là diverfa rifrangi bili là ne’ raggi, e non quell’ultima diluizione negli oggeti, ch’effi vorrebbono. Non fi ponno avere al Mondo tante cofe in una volta. E* egli forfè poco l’aver notizia di tante belle C maravigliofe proprietà della luce per defiJerare ancora qualche altra cofa di più? 1 loro defiderj perù, nfp.js" io, e i-loto bifogtìi fono così ragionevoli, ed anno tanca con ne (itone con quelli, che ànno ancor cociore, die non fono Agronomi, che il Signor Nevvtou I penfam di- fodisfarli. tigli fi era applicato;egli itfeffó à lavorar vetri pe’ cannocchiali di nuove figure affine di corregger il difetto delle lenti ordinarie.- Quello era il tempo o di aver tutto, o di non fperar mai più nulla. In quefto penfiero effehdo egli, gli fi aprì Una nuova feenà nell’Ottica* fi aecorfe della diverfa rifrangibilità, Jafciò da parte l’incominciato lavoro, e penaò ad un cannocchiale di nuova invenzione, in cui uno) fpecchio concavo fa l’ufficio di quel vetro, che ng’cannocchiali ordinarj fi chiama objcttivo, e [p. 224 modifica]che è nell’aberrazione del lume il più colpevole. Io ô veduto il primo cannocchiale di questo genere lavorato tutto da quelle stesse mani che avean già mostrato a’ Pianeti le loro strade nelle vaste solitudini del voto ed aperto alla Geometria l’immensa carriera dell’Infinito. Egli è conservato in Inghilterra in una Villa, dove ogni cosa spira gentilezza, e Filosofia insieme co que’ medesimi prismi, i quali la prima volta rifransero nelle mani del nostro Filosofo diversamente la luce, ne separarono i rubini, i gacinti, e gli smeraldi, e dispiegarono agli occhi mortali le celesti ricchezze della lucida veste del giorno.

Nella riflessione da uno specchio non si separano, come nella rifrazione per una lente, i colori, e gli oggetti per conseguenza ponno molto più distintamente vedersi. Egli è stato sperimentato in Italia (poichè ancor quì fra noi la Verità o il Newton anno i loro adoratori, e il loro Tempio) che fe un'oggetto lontano mezzo rosso, e mezzo azzurro, è guardato col cannocchiale ordinario, quello dovrà essere considerabilmente raccorciato per veder distintamente la metà azzurra dell’oggetto, ed all’incontro allungato per vederne la rossa con distinzione; laddove elleno sono egualmente distinte nella medesima lunghezza di cannocchiale, qualor son guardate col Newtoniano. Senza di che questo nuovo di riflessione â un altro vantaggio sopra i cannocchiali ordinarj, che uno di questi lungo un piede equivale ad un ordinario di dodici, o di quattordici piedi, ed uno di sei piedi ad un ordinario di [p. 225 modifica]cento; il che foiisfà ad un altro bifogno degli Albonomi per li quali i lunghi cannocchiali fono difficiliffimi da maneggiarli.

Buon per noi, diflc la Marchefa, che quelli Agronomi faranno ora contenti, i quali mi pareano per altro alquanto difficili da contentare. E come volete voi, rifpos’io, che non Io fieno del Signor Newton, il quale fembra in ogni cofa a’ loro vantaggi penfato avere? Il fuo fìftema deif Ottica oltre all’aver procurato loro un cannocchiale molto più comodo e perfetto, à falvato, non a molto, l’onor dell’Agronomia da un torto, che pareva in certo modo fcreditarla in faccia di tutto il Mondo. Voi fapete, che l’onor di quella Scienza appreflò gli uomini, confitte principalmente nel predire efattamente l’Eccliffi, avvenimenti, che fono a villa del Filofofo così come del volgare. lalete Milefìo fu confìderato in Grecia come un Dio per aver predetto l’anno in cui doveva fuccedere un’Ecclifli del Sole, cioè, in cui la Luna dovea tra eflo, e noi frapporfì, ed in tal modo occultamelo. Perfezionatali l’Autonomia di mano in mano, ciò, che avria fatto ergere un Tempio ad un Talete, non potrebbe, che far difonore ad un Hallcy, ad un Caflìni, o ad un Manfredi. Si efige ora dall’Oflervatorio il minuto precifo in cui fuccederà l’EccbiTi, e la fu* quantità preci fa, che vale a dire, fc la Luna occulterà tutto il Sole, o parte di elio, e quanta precifameate farà la parte occultata. Ora non à molto tempo, che tutti i calcoli de* più famofl Afironomi aveano annunziato due Ecclifli totali, [p. 226 modifica]il cui principalmente confitte nel non e (Ter troppo frequenti, e nei recare una fubita e internpcitiva notte, la quale, henchè predetta, ’ed afpettata, non lafcia d’ai ter l’ire quefta bizzarra fpecìe d’animali chiamata uomo delle più forti contradizioni albergo, che di lunghe fperanze, e d’inipetuofe paffioni,. della verità la più evidente,.e de’ più groffolani errori fi nutre, capace di orare più che il fuo-ftaìo non comporta, e di remere più che non è lécito alla fu a ragione.

Ognuno- fi levò di buon’ora i giorni desinati a quello fpettacolo per prepararli all’oderà zmne. Ognllno s’afpettava nel mezzo dell’Rechili di vedete fpenja. affatto la luce del Sole emerger nel feno del più lucido giorno la più cupa, e tenebroia notte. La cofa non andò giàcosì. iieftò intorno intorno alla Luna un’anello lumino fo, il che le fece malamente prendere ad alcuni per anullari, poiché alle volte avviene, cheeffendo il Sole più vicino alla Terra, e la Luna più lontana, che lìa pofiibile, e fuecedendo in quelle circoftanze un’Eccliflì, come chiamano centrale, non può la Luna occultar tutto il Sole, e fopravvanza tutto intorno dagli orli di ella un lumino?fo fileno, che a la fembianza di anello. L’Altronomia aon trovava niente il fuo conto in quefta fpiegazione, che in que’ cali non ave a luogo; e il Mondo non trovava U fuo conto nell’Agronomia da cui fi credeva ingannato, Gli uni mormoravano, e gli altri fi rompevano il capo per tro vaipur la ragione di quell’anello, che fi era fatto vedere al difpetto de’ loro calcoli. Chi ne diede [p. 227 modifica]la colpa ad una luminofa Atmosfera, che cinge ititorno il Sole, come la noftra aria abbraccia e prende in mezzo la Terra; la quale oscurato il maggior lume, ci fi rendette viabile; chi a quella della Luna, che illuminata effendo nel tempo dell’eccliffi, a guifadi lucido anello apparine. Ma la prima fi trovò per ifventura loro innocente, c la feconda lem brava troppo dubbia, benché abbia creduto taluno di vedervi balenar per entro, per non parere anzi, che la fpiegazion del fenomeno, una prova della loro confternazione.

Io mi lento» difs’ella, aver pietà di qucfti mi feri abbandonati dagli uomini, e dagli Dei per falvar la loro riputazione. Egli è pur vero» che umana ce fa è aver compajjìone degli afflitti. Bifognò in fine, continuai io, ricorrere agii Oracoli Newtoniani, fe fi vollero far tacer le male lingue. Furon quefli come l’ancora della fperanza in così grave fortuna, e in tanta calamità dì cofe. I raggi della luce allor che parlano vicino dell’efiremità di un corpo, s’incurvano, fi piegano verfo il corpo medefìmo, e fi gettano nella Tua ombra. Se fi pone il filo d’un coltello in un raggio di luce nella ftanza ofeura, fi vedono i raggi, che paffano a qualche diftanza da elio incurvarfi, ed avvicinarli alla fchiena di lui. Quella proprietà, che fi chiama diffrazione o in fieftone della luce, il Grimaldi fu il primo ad oflervarla, e pofeia il noftro Filofofo ¥<à illuftrata con molte nuove fperienze, benché fu quella rriateria facendo molto defiderò molto più. 1 raggi del Sole, che yicin pattano degli orli della Luna, devono [p. 228 modifica]infletterli, e gettarli nell’ombra della Luna mede Urna: Gli Offervatori, che in quefl’ombra fono nel tempo dell’Ecclifli immerfi, devono adunque ricever quelli raggi dagli orli della Luna piegati, e vedere intorno ad ella un’anello luminoio, una fpecie di crepufcolo limile a quello che noi vediamo ogni di la fera, e rare volte la mattina all’Orinante, Te non che l’uno dalla rifrazion, che la luce dagli fpazj celelli nella noilr’aria, l’altro dalla diffrazion, che vicino alla Luna pacando foffre, è cagionato; ma tutti e due da’ raggi che non ci pareano dalla Natura deilinati, Per una maggior conferma, che quella folle la vera caufa di quell’anello, fon fi fatti con varj globi delle Lune artificiali, e fi fon fatti vedere qui in Terra in faccia al Sole, ed alla Luna piena, gli effetti di quella diffrazione, che flette per effer fatale all’Aiìionomia nel Cielo.

Gli Astronomi, ripigliò la Marchefa, anno ben ragione di effer contentidelSignor Ne vvton, e della fu a diffrazione, che gli à tratti fuori d<t tal periglio. Ma io per confeffarvi il vero non lo fono del tutto. Sarebbe egli lecito di domandare donde viene, che i raggi, che panano acquaiche diuanza da’ corpi, debbano effer infierii, ed incurvati? L’idea, che mi dà quella nuova proprietà della luce, è così lì rana, che io non la fa concepire. Oh oh, rifpos’io, voi liete un po’ più difficile a contentar degli Agronomi. Voi volete fa per’anco la caufa della diffrazione. Io ve la dirò; ma non vi ritraete poi, e non torcere il vifo, quando ve l’avrò detta. Ella è l’Attrazione, [p. 229 modifica]che i corpi efef citano fopra la luce. L’trazione! replicò la Marchefa maravigliandoli. Voi vi prendete fpaflò di me, e della mia credulità, o più collo volete punirmi della mia foverchia curiofità. I corpi attireranno la luce, come la calamita attira il ferro? Ma qual male m grazia, foggiuns’io, ne feguirebbe egli, fe così purefoffe? Anzi quanti beni non ne fon venuti ali Unica da quella attrazione tra i corpi, e la luce, e generalmente alla Filìca tutta dall’attrazione univerfale della materia, di cui l’attrazione tra la luce, e i corpi è una conseguenza > Ella è come la chiave di tutta la Filofofìa, e il gran motore della Natura quella milleriofa univerfal forza trovata, e calcolata dal Signor Newton, propolll all’efame de’ Filofofi dal gran Bacone di Veruiamio, e cantata in barlume dall’Inglefe Omero.

La Marchefa recatafi in fe, e guardandomi pure in volto fe io diceva da dovero. Voi mi dite finamente, replicò in atto di maravigliarti, che tutti i corpi lì attraggono! Ecco un nuovo Mondo per me, in cui io mi trovo ftraniera affatto e peregrina. Non vi fgomentate, rifpos’io, per quello; poiché egli vi accade ciò che è pure accaduto a’ Filofofi di profeflione. Eglino anno fchiamazzato, che l’ammettere quella attrazione fi è un far germogliar nella Filoforu certe qualità occulte, che gli Antichi riponevano ne’ corpi, come le qualità iìmpatiche, antipatiche, o che fo io, e il cui numero fi moltiplicava fi può direco’ fenomeni fteflì, mercè le quali vi fpiegavano, o v’imbrogliavano più tofto ogni co fa iu un batter [p. 230 modifica]d’occhio. Dicono, che quello fi è un richiamarle da quelle Cattedre d’Europa, dove l’ignoranza fa trovar loro ancora un* alilo, per introdurlo nella buona Filofofia, donde la ragione: per la ielicità del genere umano le avea sbandite i- Ben lungi, che quella attrazione fia una quanta occulta, ella èTuria qualità manifeftiffima nella materia, da cui manirelhraenre dipende la fpiegazion della diffrazione, della rifrazion mede lima, e di molte altre cofe; non già un nome lenza fossetto per ifpiegarc due o tre apparenze inventato, ma un principio generale per tuttala Natura diffufo, e che dal più picciolo granel di fabbia fino al più vafto de’ Pianeti fi iUnde l Peripatetici eran fimili a quegli Antichi, che per ogni arbofcello, per ogni picciol fiume, per la teb?e ifleffa, e pel dolor di ventre una nuova Deità creavano; quelli ad un Filofofo, che 1 emittenza ftabilifca d’un Eller maflìmo, infinito, ioio, e n tutto dirigente.

Nè già il Signor Newton allor quando dice, che li luce patendo vicin dell’efiremita de corpi, è attrattala elfi, lP^.ifJgJZ!* modo una fpiegazìone compita della diffrazione ma d’indicar folamente quella proprietà deUa materia, da cui dipende la fpiegazion della diffrazione, ma dì cui retta ancora a cercar la caufa Quello egli lo lafcia a que* Filofofi che anno foverchio tempo da perdere per impiegarlo alla ricerca di ciò, per cui pare non efìer noi ne poco nè molto organizzati. In fomma non fi vuoile ftabilir fatti, e proprietà geuerah della materia; [p. 231 modifica]donde pofcia dedurre geometricamente 1 fenomeni, egli effetti, ficcome finora nella itona Se fimo 8 andati teffendo della Luce fi e adoperato.

Questa nuova proprietà, foggiunfe la Marchesa è di un genere, a cui il mio fpiflja cosi facilla, c ai un > Duello è un d qu e’ fatti Itomente non poggia, i^ucuo c un h rici, per la cui "piena intelligenza tana meft eri -entrare in Gabinetto. Io intendo, o mi par d incendere, come i raggi delia luce per cfempio fieno differentemente rifrangigli. Quelta 11 e una cofa dell’ordine di mille altre, che smtendon beniffimo. Ma che i corpi debbano attrarre ■ la luce, ed attraerla a qualche diltan/a, e generalmente, che ogni cofa debba attraerfi, egli mi par ben differente. Un retto di Cartcfianifmo, rifpos’io, da cui non vi fletè ancora affatto liberata, vi fa illufione fopra dì dò. Voi vi fletè fur-fe lufmgata fino a quell’ora, che la riffraztone ■«afra da alcuna -di quelle caufe, che {borrendo voi il Cartellano Alterna vi fi fon rcndute domeniche, e familiari. Ciò vi fa credere d’intender meglio la rifrangìbilità, che la diffrazione. Pare, che il Signor Newton medefimo in alcuni luoghi abbi? voluto preltarfi a’ pregiudizi di quella Setta. Eglìà detto per parlare il linguaggio, che correva allora nella Filolofii, che l* attrattoti forfè porrebbe; eller l’effetto dell’imputflone di una materia fottile, che ufeiflè da’ corpi; ma la verità fi è, che avendo egli provaco i Cieli eller voti, e i corpi celeiti in quegl’ìmmenfi fpazj attraerfi l’un l’altro, quel luogo retta [p. 232 modifica]all’impulsione, che alla materia Tortile. Si direbbe ch’egli è iìato nel cafo di alcuni Autori, i quali per far guitar la Storia ad una certa Nazione fono talvolta collretti ad inferirvi Epifodj favolofi, e a darle la fembianza di Romanzo. Non è egli vergognosi agli uomini, che perfino le verità del Signor Newton abbiati bifogno di qualche picciolo artifizio per elìer da loro ricevute?

Non farebbe egli più rofìo quello, m’interupp’ella, un’artifizio voflro di forpren dermi per via dell’onore, e di volermi in tal maniera far credere, che io non intenda meglio la materia fotrile, che l’attrazione, o come il moto fia per efempio ne’ corpi, che come vi fia cotefta, che voi a ragion chiamate mifteriofa forza? La volita illufione, replicai io, viene da ciò, che voi vi liete familiarizzata con un* idea e non coli’ altra. Voi vedete tutto giorno i corpi muoverti, e comunicarfi vicendevolmente il moto, ma non li avete ancor veduti attraerfi. Voi vi maravigliate dell’attrazione, e non degnate maravigliarvi del moto; i Filofofi non già, che fono obbligati di ricorrere per la fpiegazione di elfo, e della fua comunicazione a Dio, come i Poeti per lo feioglìmento di un nodo troppo inviluppato. Un Portughefe avvezzo a riverir gli occhiali fui nafo delleperfone più gravi, come contraffegno delle maggiori dignità, farebbe forprefo in vedere un Mandarino alla Gina lafciarfi crefeer l’unghie per la fteiTa ragione, avendo un lungo abito congiunto nel fuo fpinto quefte due idee, benché nulla abbian di comune fra loro, dignità ed [p. 233 modifica]occhiali, e non quell’altre due, dignità, ed unghie lunghe; il che genera la Tua maraviglia. Io farò almeno, difs’ella, da compatir più del Porcughefe, poiché la maraviglia di vedere unite itili eme materia, ed attrazione, anzi che moto, farà d’ogni paefe.

Bisognerà però, foggìuns’io, per univerfale, e compatibile, che fia, ch’ella pur ceda in fine anch’ella alla ragione. In fatti fe voi non aveile mai veduto i corpi muoverli, non avreftemai certamente indovinato, come il motopoteffe trovarli congiunto con l’cllenfione, e coli’ impenetrabilità, che è tutto ciò, che voi conofeevatein elio loro. L’Gflervazione è quella, che v’à fatto ammettere quella proprietà nella materia, e quella mcdefima oflervazione dee altresì farvi ammetter l’attrazione. Noi fiamo fanciulli ancora in quello vailo Univerfo, e ben lontani dall’avere della materia un* idea completa, e di poter pronunziare quali proprietà le competano, e quali altre nò. Noi vediamo i corpi a un dipreffo come li vedrebbe un* uomo, a cui i fenfì foffer dati a poco a poco. Temerità certamente in coftui farebbe di dire, che ne’ corpi non vi può ellère una proprietà, che muova l’occhio, fondandoli fu Ila ragione di non aver lui potuto una tal proprietade ofTervarc, Cofitui non farebbe già come i Cartefiani, che un Mondo, e un uomo fi fabbricano a capriccio loro; egli diverrebbe cauto nel limitar la pofTanza della Natura, e nel pronunziare quali fieno le proprietà, che fon ne* corpi, a mifura che acquiliaffe nuovi fenli, co’ [p. 234 modifica]quali ne fcopriffe tutto dl’di novelle. I Fiìofo’fi -guadagnano in certo modo nuovi fenfi ( o più rodo i loro fi vanno tutto dì affinando, e fono perciò in iitato di fentire ciò, che per avventuri altra volta non fcntivano, Bifogna adunque nello ftabilire il numero delle proprietà, che nella materia trovanfi, lentamente procedere; nè vale il dire, che le une s’intendano meglio delle altre, poiché fé vi vuol confettare il vero, elleno fon tutte egualmente mifreriofc per noi. Farete adunque voi più difficoltà, Madama, di ammetter l’attrazion nella materia, che è provata da tante parti, e principalmente da’fenoracni celeiU, che ne fono i più fplendìdi annunziatori, di ammettere in fine una cofa, che voi medefima dimoftrate così evidentemente? Io certo non ne cercherò la dimoftrazione altrove.

Non già così io, rifpos’ella, che ó bi fogno di tutto il Cielo per convincermi di una cofa, che mi par ancora così ftrana, é maravigliofa. Farà dunque mefHeri, continuai io, convincervene appieno. Gran torto in vero, e al iìftema del Signor Newton, c a voi médefiroa farebbe, il volervi far creder cofe, delle quali non ne avefte buone ragioni. Egli è un peccato di non potervelo cfporre quello firtema con tutta la forza delle dimofirazioni e de* calcoli, che l’accompagnano; fcnza li quali non può che perder moltiffimo. lo avrò pazienza, replicò èli*, di non poterlo vedere ìn tutto quel tu Uro, m cut lo vederebbe un Matematico, e farò come que* euriofi, che non potendo avere un quadro* fi contentano di averne [p. 235 modifica]la stampa. Io mi lusingo, che voi me la renderete più simile all’originale, che sia possibile. Oggi, rispos’io, è troppo tardi per questa grande spedizione. Noi monteremo dimani al Cielo per riportarne questa attrazione in trionfo su la Terra. Alcuni fatti Astronomici, ed alcune proposizioni di Geometria, che voi potrete sicuramente credere sulla parola del Signor Newton, saranno il nostro Ippogrifo o il nostro Carro di Giovanni.