La Donna e il suo nuovo cammino/Il nuovo orientamento della donna nella vita familiare sociale e politica

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Lucy Re Bartlett

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La donna e la scuola Fratellanza e morale
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Il nuovo orientamento della donna

nella vita familiare sociale e politica

DI

LUCY RE BARTLETT

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Signore e Signori,

Chiunque abbia sentito, come certo saranno stati molti a sentirlo, che il maggior effetto di questa guerra mondiale è stato di intensificare in noi tutti il senso della realtà, non proverà certo maraviglia se io mi permetto di affermare che anche quel rapporto che sta alla base di tutta la vita sociale, il rapporto fra l’uo­mo e la donna, porterà anch’esso l’impronta di questa nuova e maggiore realtà nell’età che sta per sorgere. Nei termini limitati di una sola conferenza non sarebbe possibile, si intende, di trattare tutti i cambiamenti che questa specialissima guerra va portando dovunque nei rapporti fra i sessi — nel campo politico e professionale non meno che in quello della famiglia. Nolens volens, tutto si cambia, tanto che chi vuol oggi parlare su questo tema non ha, si può dire, che l’imbarazzo della scelta. Come scegliere fra una tale massa di fatti? Dove tutto si connette, come escludere un qualunque aspetto della questione senza togliere serietà allo studio che vogliamo fare di un altro aspetto? Alle prese con queste difficoltà, mi sono detta che parlando oggi avrei procurato di presentare un quadro completo [p. 104 modifica] prendendo esempi da due campi, da quello famigliare e da quello politico, e per non abusare del tempo, come anche per essere possibilmente più suggestiva, mi sarei anche in questi campi limitata ad indicarvi di preferenza lo spirito dei cambiamenti, come io lo vedo, piuttosto che fermarmi su una cronaca di fatti che diversi, come sono, in ogni paese, confondono spesso più che non illuminino.

La situazione complessiva è che in tutti i paesi i bisogni della guerra hanno obbligato la donna a molti lavori finora non intrapresi mai — a scoprire in sè stessa nuovi poteri e nuove attitudini, e a svegliare nell’uomo un nuovo rispetto, a mano a mano che ha potuto convincersi anche lui di tante nuove e insospettate capacità nella creatura in cui fino a ieri troppo spesso non aveva saputo vedere che la femina. Il sesso è un fattore nella vita così grande e così sacro che forse non dovrebbe far meraviglia se la razza in­tiera ha finora esagerato la sua portata, credendo di vederne le conseguenze anche dove non sono, e chiudendo così le porte a molte altre scoperte, molti altri progressi. È stato questo però il gran dono della guerra — di abbattere tutto l’artificiale e l’esagerato, e, sotto lo sprone di una suprema necessità, portare alla luce, in ogni campo, il vero. E così abbiamo visto la politica non solo influire ogni giorno sulla vita di famiglia, portando centinaia di migliaia di donne, dietro l’urgente richiesta dei loro Stati, a partecipare ai lavori di guerra, ma invadere non meno il campo del sentimento, rivelando lì pure molti nuovi valori e cambiandone o modificandone molti altri.

Difatti, la donna educata a pensar solo alla famiglia ha trovato ben insufficiente tale educazione in questa grand’ora di prova. In lei, a parte il dolore [p. 105 modifica] per le separazioni penose, si è svegliato spesso un sordo risentimento a sentir chiamare oggi «virtù» ciò che fino a ieri era chiamato difetto, e viceversa — a trovarsi incitata a non pensar più esclusivamente ai propri cari mentre fino a ieri tale esclusivismo era considerato come il più bel fiore della sua femminilità. Molte, moltissime donne hanno sofferto d’un profondo, naturale, ma pericolosissimo rancore per questo repentino cambiamento di valori. Diciamo «pericolosissimo», perchè in moltissimi casi ha impedito loro di acconsentire alla guerra e di rafforzare l’animo dei loro uomini come il momento richiedeva. E molti uomini, accorgendosi di questo, hanno capito forse per la prima volta come una educazione femminile ristretta può non bastare a tutte le esigenze della vita, nè meno a quelle della famiglia — che la donna educata ad ignorare i più alti bisogni sociali può in conseguenza ignorare talvolta anche quelli del suo proprio compagno, che l’egoismo insomma ha sempre le sue fatali, inevitabili ripercussioni, ritornando a colpire chiunque lo semina.

Ma l’intendersi di politica da parte della donna vuol dir qualche cosa di molto diverso da ciò che se lo figurano la maggior parte degli uomini oggidì, specialmente in Continente. Io appartengo, Signori, ad un paese che dopo cinquant’anni di lotta ha finalmente concesso il potere politico alla donna, ma vi assicuro che questa grande vittoria non rappresenta per me tanto una conquista politica, nel senso ordinario della parola, quanto un grande, solenne trionfo morale, spirituale, religioso. Io so a quali scopi le donne inglesi adopreranno questo loro nuovo potere, e, per averne un’idea, basterebbe studiare un pò certe leggi approvate nelle varie colonie dell’Inghilterra, dove la donna [p. 106 modifica] da molti anni ha già conquistato il potere politico; come pure potrebbe dar lume il notare come da dieci anni nella stessa Inghilterra tutte le Chiese, senza distinzione di culto, hanno avuto le loro organizzazioni «Pro Suffragio femminile». Da un decennio i tempi erano maturi, e in tutti i campi v’erano uomini che intendevano come il dare questa nuova potenza alla donna non significava semplicemente aumentare il numero degli elettori, o compiere un atto di astratta giustizia, ma introdurre una vera nuova forza nella vita politica — una nuova passione che, senza perdersi nei piccoli conflitti di partito, si sarebbe indirizzata specialmente alla tutela dell’infanzia e della gioventù, alla purificazione del costume, a tutte quelle riforme insomma che non rappresentano altro che la più intima potenza della donna, la passione della maternità, elevata ed estesa a sentirsi e ad agire sulla scala sociale. È stata questa passione, Signori, la passione della madre resa semplicemente più grande e più impersonale, che ha conquistato per la donna in Inghilterra il potere politico: non è troppo dunque dire che esso rappresenta una forza nuova nella vita politica, e una forza eminentemente religiosa.

E qui sarà forse opportuno soffermarsi a parlare un pò estesamente della posizione giuridica in generale della donna inglese — tracciando brevemente la storia di quest’ultimo mezzo secolo nel quale, passo per passo, essa ha potuto rafforzare la sua posizione avanti alla legge fino a giungere a quella concessione più contrastata di ogni altra, la concessione del voto politico con tutto ciò che implica e implicherà.

Sarà forse già noto a molti che il primo grande paladino della causa femminile in Inghilterra fu John Stuart Mill, filosofo e sociologo, parecchie delle cui [p. 107 modifica] opere sono state tradotte in italiano, e fra altre anche il suo classico trattato sulla «Soggezione della Donna» che ha avuto l’onore di due edizioni italiane, ma che temo sia oggi del tutto dimenticato. E che Mill sia stato il primo a battersi seriamente per la causa femminile viene subito a sostegno di ciò che mi premeva di dirvi, e cioè che è stato in seno alla famiglia che il movimento inglese «pro suffragio femminile» ha avuto le sue prime origini. Fra Stuart Mill e sua moglie correvano infatti quei rapporti di intima intesa, intellettuale e spirituale, che costituiscono il matrimonio ideale, tanto che, morta la sua compagna nel 1858, troviamo prefisse al suo trattato sulla «Libertà» queste parole:

«All’amata e deplorata memoria di Colei che era l’ispiratrice e in parte l’autrice di tutto ciò che vi è di meglio nei miei scritti — all’amica e compagna il cui elevato senso di verità e di giustizia era il mio più forte incitamento, e la cui approvazione costituiva il mio maggior premio — dedico questo volume».

E nella sua autobiografia si riscontrano espressioni anche più commoventi colle quali l’autore ci dice che «perchè essa l’aveva desiderato, si sforzerebbe di cavare il miglior frutto possibile dalla vita che gli rimaneva, adoperandosi per le cause a lei care con quel tanto di forza che poteva derivargli dai ricordi di lei, e dalla comunione con la di lei memoria». Questa dunque fu la fonte da cui derivò la tenace, efficace, sempre fedelissima opera spiegata da John Stuart Mill per la causa della donna: fu l’impeto integro di un grand’uomo, ispirato da una grande donna.

Fu nel 1867 che Mill trovò la prima occasione per chiedere al Parlamento il suffragio femminile — presentando la sua proposta nella forma di un emendamento [p. 108 modifica] ad un progetto di legge per l’estensione del suffragio maschile; e mentre era impossibile, si intende bene, la riuscita in quella prima occasione, il suo brillante e vibrato discorso suscitò una profonda impressione, ottenendo 80 voti favorevoli, contro 196 contrari. Da allora la questione fu seriamente aperta per non chiudersi mai più. Nel 1869 fu concesso il voto municipale, come effetto, nell’opinione di molti, della campagna di Mill per il voto politico. Nel 1870 fu approvata il Married Woman’s Property Act, cioè la prima legge che concedeva alla donna maritata la libera disposizione di ogni suo guadagno — del peculio privato — rimanendo ancora limitata la disponibilità della proprietà rimanente. Nello stesso anno le donne divennero eleggibili alle «Commissioni per il controllo della scuola» (School Boards), e parecchie furono subito elette a grandi maggioranze.

Nel 1875 presero posto per la prima volta nelle «Commissioni per l’assistenza dei poveri» (Poor Law Guardians). L’anno 1876 segnò una grandissima vittoria — dopo quasi vent’anni di lotta e di resistenza accanita, le donne furono annesse alla professione medica: di che avrò ancora da parlare più oltre in questa conferenza. Nel 1882 fu approvata la seconda legge riguardante la proprietà, per la quale la donna maritata dopo l’approvazione della detta legge otteneva la completa disponibilità di ogni suo avere. E non mancarono le ripercussioni di tutti questi progressi nel campo del costume. Nel 1885 «l’età di consenso», come la si chiama nel Codice Civile Italiano, fu elevata dai 13 ai 16 anni, e nel 1886, per l’eroica campagna allora spiegata da ben 17 anni da Giuseppina Butler, furono abrogate le leggi che permettevano la regolamentazione del vizio da parte dello Stato. Secondo me, [p. 109 modifica] Signori, questa è la maggiore vittoria finora riportata da qualsiasi donna, e, per l’effetto indiscutibile derivatone nella elevazione della dignità e del prestigio femminile, la vedo strettissimamente collegata colla vittoria politica recentemente riportata. Senza personalità morale — personalità che va rispettata e difesa con lo stesso rigore di quella maschile — è impossibile che la donna riesca ad affermarsi in qualunque campo di azione pubblica.

Ne! 1895 fu approvato il cosidetto Summary Juri­sdiction Act, o legge di giudizio sommario, che dava facoltà ai magistrati di concedere la separazione legale ad una moglie maltrattata, senza indugi, e in termini abbastanza larghi — la legge sul divorzio è ancora quella del 1857, che non è concepita su una base di giustizia, in quanto (a distinzione dalla legge scozzese) non lo concede a termini uguali per i due sessi. Ma già prima della guerra era stata nominata una Commissione Reale per la riforma della legge inglese e i voti di questa commissione, divisi su qualche altro punto, furono unanimi nel chiedere almeno una base di completa parità per i due sessi.

E per non tirar troppo in lungo, Signori, devo contentarmi col dirvi che accanto a tutte queste leggi, che miglioravano ognuna la posizione della donna, è andato sempre congiunto un forte movimento per l’istruzione superiore, cominciato nel ’49 coll’aprirsi delle prime scuole femminili veramente serie, e nel ’71 colla fondazione dei primi collegi femminili, Girton e Newham, collegati all’Università di Cambridge, tanto che è anche da un mezzo secolo che, in numero sempre maggiore, le donne seguono gli studi universitari a parità di condizioni con gli uomini. Nelle industrie sono entrate a centinaia di migliaia, e negli uffici [p. 110 modifica] dipendenti dallo Stato prima della guerra salivano già ai due cento mila — ora, si intende, sono molto di più. E in tutti questi uffici, queste professioni ed industrie, si trovavano sempre sottoposte ad un trattamento disuguale per mancanza del potere politico. Di qui una sempre più intensa agitazione per il suffragio che, accompagnandosi ad una sempre più illuminata coscienza pubblica, conquistò sempre più voti al Parlamento, tanto che già prima dell’anno 1907 ben sette volte un progetto per concedere il voto politico alla donna era stato approvato in seconda lettura al Parlamento inglese, per poi esser sepolto dal Governo del momento. Sì, Signori, bisogna sapere tutti questi fatti — come le donne inglesi, seguendo le vie perfettamente disciplinate per 40 anni, dovevano vedersi sette volte tradite dal Ministero in carica — bisogna sapere tutto questo per intendere come appunto nell’anno 1907 scoppiò il così detto militantismo inglese, che non si fermò più che con la guerra Europea. Io non sono qui per fare l’apologia di queste donne militanti, alle cui file non sono mai personalmente appartenuta, ma per un impeto che trascende ogni sentimento di setta e anche di nazionalità — un impeto che credo si informa a quella solidarietà che dovrebbe congiungere le donne tutte, in ogni parte del mondo — di più, per quell’umanità che ci fa tutti, uomini e donne, partecipi e debitori di certe cause — per questo sentimento mi ha recato sempre un gran dolore il sentire criticare queste donne battagliere. E specialmente poi quando la critica parte da una donna che non ha mai conosciuto altro che la vita della famiglia, protetta e facile, devo dirvi che mi fa un pò l’impressione che farebbe a tutti se, davanti ad un soldato tornatoci oggi dal campo, si fermasse un bambino inconsapevole — innocente [p. 111 modifica] del resto — che, guardando il viso solcato, esclamasse: «Questi brutti segni io non li ho!». Sarebbe vero, e potrebbe darsi anche che i «segni» del soldato non fossero tutti di ferite gloriose — potrebbe darsi che quel soldato avesse anche riportato nell’anima qualche solco non bello, perchè non è solo il « bello » che la guerra insegna. E pure, comunque fosse, metteremmo subito una mano sulla bocca di quel bambino, perchè sarebbe sempre un soldato che avremmo dinanzi, uno tornato dal campo — che aveva sofferto per noi — speso la vita sua, perchè la nostra aumentasse! Sono uscita, Signori, dal linguaggio giuridico, e pure non so come comunicarvi meglio che con questa figura l’essenza di quella parte della lotta inglese che più ha suscitato critiche in Continente. Bisognerebbe forse conoscere molto bene l’Inghilterra e tutta la sua storia politica per intendere tutto. Mi limiterò per ora a ricordarvi che il suffragio femminile inglese è ormai un fatto compiuto — che porterà seco certo un gran bene non solo in Inghilterra ma, per ripercussione, in molte altre parti del mondo, e a tutti, tutti che hanno in qualsiasi modo contribuito alla sua conquista, mi pare potrebbero bene essere assegnate e le larghezze e gli onori di guerra.

E compiuta così la breve cronaca dei passi che hanno condotto la donna inglese alla presente sua posizione nello Stato, passerò ora a parlare della sua influenza in politica estera. Ho detto che nella politica interna essa riflette sempre la passione della madre — passione purificatrice e protettrice. Nella politica estera — specie nelle questioni di guerra e di pace — per chi ha l’intuito per vedere fin in fondo, il suo carattere non apparirà tanto diverso. Sarà sempre vitale, e in poche sarà possibile di ridurla a partito. Dire, per esempio, come spesso si sente dire, che le [p. 112 modifica] donne saranno sempre contrarie alla guerra — sempre pacifiste intransigenti — è errore. E per le particolari condizioni del paese, questo è stato dimostrato con speciale chiarezza dall’azione delle donne inglesi di fronte alla guerra mondiale. In Inghilterra le donne hanno avuto una responsabilità e potenza enorme, che non avevano in nessun altro paese, per il sol fatto che in principio non esisteva da noi la coscrizione. Le donne inglesi avrebbero potuto dunque non solamente indebolire, ma addirittura trattenere i loro uomini. Ma domandate, Signori, a chiunque abbia vissuto in Inghilterra in questi anni, se tale è stata l’azione della donna da noi. Al contrario, da un giorno all’altro — proprio in ventiquattr’ore dalla dichiarazione di guerra — la maggior parte delle organizzazioni femminili che fino allora si erano adoperate per il suffragio — e dovete ricordare che esse erano centinaia e centinaia in Inghilterra — si trasformarono in organizzazioni per la guerra. E le donne oratrici, che fino allora avevano adoperato la loro calda parola per la causa della morale nazionale, con perfetta semplicità e coerenza l’adope­ravano ora per la giustizia e la morale internazionale. Ne ho avuto un esempio così vivo che non posso fare a meno di raccontarvelo. Ero a Londra in quei giorni, e la domenica prima dello scoppio della guerra assistevo in Hyde Park al discorso di una donna che arringava forse un cinquecento ascoltatori dall’umile piattaforma di un carro, come si usa in Inghilterra per i discorsi all’aperto. Questa donna, Signori, aveva lo spirito di Giuseppina Butler, parlava del costume, e, notate bene, non parlava ad un pubblico scelto, educato, ma ad uomini e donne del popolo — uomini e donne che si fermavano a sentirla, così, a caso, un pò per sport. Per questo — per la qualità dell’ [p. 113 modifica] ambiente — confesso che quando intavolava certi argomenti, il mio primo moto era un brivido — per quanto io senta queste questioni fin in fondo del mio essere, io non avrei osato parlarne a quel pubblico. Ma quella donna sapeva imporsi — via, via che parlava, le facce si facevano serie durante un discorso di forse mezz’ora, un uomo solo disse qualcosa di sconveniente — nè meno sconveniente, sgarbato — e subito gli altri lo zittirono. Naturalmente alla fine si chiedeva il voto alle donne, e quel semplice pubblico lo votò, con solo due dissenzienti. Ma ora sentite il seguito. Quindici giorni dopo, scoppiata intanto la guerra Europea, quella medesima donna parlava da quello stesso posto, e questa volta il suo discorso era un appello agli uomini presenti di arruolarsi. E da chi aveva predicato una morale personale e nazionale, quegli ascoltatori trovavano naturale l’appello ad una morale internazionale, ed essa poteva fare lì per lì una cinquantina di reclute. Tanto che Lord Kitchener — allora Ministro della Guerra — venuto a conoscenza del fatto, le affidò in breve un definito incarico di propaganda. E questa donna non era una delle figure più salienti del movimento femminile — era solo una delle tante. Ma aveva la passione a cui ho accennato — la passione materna diventata sociale. Senza ciò la donna non è matura alla politica, ma quando arriva a questo punto, sia nella politica nazionale, sia in quella internazionale, ha la sua nota da portare; e l’uomo e l’umanità tutt’intiera ne soffrono quando ne restano più a lungo privati.

Ma l’influenza della donna in politica non si fa sentire soltanto sotto la forma di «amore per la razza» — amore che la porta così a lottare per conseguire una maggiore purezza, come ad acconsentire alla guerra quando ha per iscopo di frenare la barbarie. Queste [p. 114 modifica] sono le sue espressioni più istintive, si può dire. — Io vi ho tracciato finora qualcosa come l’apoteosi del­l’Istinto che, uscendo dai limiti strettamente egoistici della famiglia, diventa un baluardo per la nazione intiera e, all’occorrenza, fra le nazioni. Questo è già una cosa grande, si può dire, ma non però la più grande. Non l’istinto, ma l’intuito è il più grande potere della donna — il lume dello spirito, non il lume della carne. Vediamo qui dunque gli effetti del­l’intuito.

Se l’istinto sano e generoso basta a farle accettare una giusta guerra, è l’intuito che le fa spesso distinguere a volo fra il giusto e l’ingiusto, e opporsi, sempre con lo stesso senso di realtà, a tutto ciò che sente come motivazione e argomentazione artificiale. Che la donna sia più vicina alla natura e che per questo protegga spesso l’uomo da tutto ciò che è artificiale nella vita, è, su un livello più materiale, abbastanza riconosciuto. L’Hartmann, per esempio, nella sua opera su «L’Incosciente» ha questo passo notevole: «La vera donna» dice «è un prodotto della vera natura. Sul suo cuore l’uomo che si è allontanato troppo dall’Incosciente, può trovare un vigore nuovo, e imparare a contemplare con rispetto la sorgente profonda e pura della vita universale». Verissimo, ma l’Hartmann purtroppo si ferma qui, perchè sembra non conoscere altro che la donna primitiva. Egli sembra ignorare quelle moltissime donne nelle quali, per la natura spirituale evoluta, l’intuito è diventato una guida sicura, istantanea e potente, non meno, ma più dell’istinto. Egli teme, e giustamente, il predominio della sola ragione, con tutti i suoi effetti artificiali, e per questo vorrebbe tener lontana la donna dalla vita pubblica, che richiede il costante esercizio della ragione. Ma la donna evoluta [p. 115 modifica] oggidì sorride leggendo simili affermazioni; essa sa che per la sua natura passionale — passionale nello spirito non meno che nella carne — può benissimo servirsi di tutte le forze della ragione, quando e come vuole, senza il minimo pericolo di restarne schiava! Per raggiungere questa sicurezza di immunità, il suo spirito, è vero, dev’essere sveglio, ed in molte femministe immature, o premature — non saprei come chiamarle altrimenti — lo spirito, ben distinto dall’intelletto, non è ancora un fattore cosciente. Da ciò, e da nient’altro, derivano quegli aridi esemplari del movimento femminile che non sembrano altro che deboli imitazioni dell’uomo. Ma questi non dovrebbero servire a screditare la donna matura, e le sue capacità, più che non lo faccia un adolescente che pretenda alle dignità d’un uomo avanti tempo: gli neghiamo queste dignità oggi, ma ci teniamo pronti a riconoscergliele domani. La imitazione è certo un segno sempre di immaturità e di futilità, ma la donna di spiriti maturi non imita nessuno: essa resta sempre sè stessa — cioè, spontanea e vicina alla natura, materiale e spirituale, in qualunque campo agisca. Cerchiamo di spiegare che cosa significa questo nella vita politica di domani.

Saremmo forse d’accordo nel ritenere che questa guerra sia in parte scaturita, e certo vien prolungata, non solo da uno spirito d’aggressione da una parte, ma pure da molte false ideologie dall’altra. È stato frequente nella vita di ieri di scambiare le ideologie per l’idealismo vero — le teorie per la verità. Incapaci della vera libertà, perchè indisciplinati in ogni più profondo senso, ci attaccavamo furiosamente ad ogni sua parvenza. La democrazia, come intesa oggi, è una massa di queste vane parvenze. Volendo prendere un’illustrazione dal mio proprio paese, posso [p. 116 modifica] ammettere, per esempio, che, per quanto avesse una base più nobile, la riluttanza in Inghilterra di accettare la coscrizione derivava, alla lunga, dall’ideologia. Noi della minoranza che la volevamo, avevamo il senso di batterci con delle ombre — ma ombre forti, Signori, — ombre fortissime — sostenute da secoli di persuasione profonda, da convinzioni che una volta forse erano fondate nella realtà, ma oggi non lo erano più. Oggi era l’ideologia che avevamo innanzi, e dovevamo batterla con l’idealità — la teoria morta con lo spirito vivo. Ma ci voleva l’intuito il vero intuito — per distinguere. E le donne hanno aiutato in questa lotta, non solo parlando, e alcune scrivendo, ma facendo pesare sui renitenti tutto quel terribile peso dello scherno, dell’ostracismo sociale — arma che la donna, se vuole, può così tremendamente adoperare. Mi scrisse una donna inglese nel secondo anno della guerra: «In molte case non sono più ricevuti uomini che non vestono il Khaki» — la divisa — e bastava seguire il nostro diffusissimo periodico comico, il Punch, per vedere i mille modi nei quali la donna, nei tranvai, nei caffè, dovunque, sapeva pungere e spronare, anche crudelmente talvolta, questi sol sospettati renitenti. E leggendo l’inverno scorso il libro di Raffaele Barbiera sui «Salotti italiani del Risorgimento», ero colpita, Signori, da qualcosa di simile. Dallo stesso spirito magari di eccesso sano, vivificatore, reintegrante. Il Barbiera parlava della Contessa Clara Maffei e di un certo patriota italiano ch’essa manteneva all’estero nell’interesse della propaganda. Egli era stato colpevole, pare, di qualche debolezza, di qualche transazione; e la Contessa Clara scriveva senz’altro a un suo intimo: «Quell’uomo è morto per noi». Ho letto il passo sorridendo ed apprezzandolo fin in fondo, perchè lo [p. 117 modifica] intendevo tanto! Questa, Signori, è la donna in politica. Non conosce transazioni, come non si perde in programmi, in teorie, o in altre astrazioni. Sente la cosa viva ed immediata e vi si dedica con una passione ed uno slancio che fa di lei una specie di spada che taglia le nubi. Crudele? Eccessiva? Lo sarà, senza dubbio, qualche volta, ma non «squilibrata» o «inopportuna», come troppo spesso si sente dire. Perchè l’equilibrio al quale essa mira non è quello dello statu quo: essa ha da portare alla luce qualcosa di nuovo — niente è « inopportuno » purché arrivi a quello, e « l’equilibrio » è pure per lei raggiunto quando idea e fatto si congiungono. Si intende che nell’epoca irreale che precedeva questa guerra, quando il più forte desiderio di quasi tutti era il comodo vivere, questa qualità recisa della donna poteva spesso sembrare intempestiva, e chi desiderava sopratutto il pacifico manteni­mento dello statu quo, faceva bene a tenerla lontana dalla politica. Ma guardando a domani, possiamo dire altrettanto? Non abbiamo pagato troppo caro la sonnolenza, il quieto vivere che precedeva questa guerra, e non sarà bene, a qualunque costo, che entrino delle forze più vive, più pronte a cogliere quella sostanza delle cose che è la realtà? Si dice spesso della donna che non ha esperienza della vita politica, ma perchè vi porti il suo contributo di visione nuova, io credo, Signori, che questo fatto ridondi a suo vantaggio! Come chi è sopraffatto di erudizione trova spesso difficoltà a scrivere semplicemente e con originalità, così l’uomo immedesimato colla vita politica di ieri, avrà molte difficoltà ad adattarsi all’ordine, speriamo, più semplice e più reale di domani. La donna almeno sarà libera dal peso dei «precedenti». Ad ogni modo, per aiutare — per «lubrificare» il pensiero di tutti gli [p. 118 modifica] scettici che ancora non possono persuadersi di tali e tanti cambiamenti, vorrei ricordare a questo punto come poco prima della guerra il nostro ex-Premier Asquith ebbe a dire che mai avrebbe consentito il voto alla donna — che l’avrebbe visto sempre, sotto qualunque forma, come un supremo disastro per la nazione! E fu lo stesso Asquith, se non a proporlo, almeno a secondarlo prima di ogni altro, quando Lloyd George lo propose alla Camera dei Comuni nell’aprile scorso. Così l’«impossibile» di ieri diventa il fatto di oggi, e in un mondo dove tutto si cambia, non c’è niente, Signori, che cambi in questo momento cosi velocemente e radicalmente quanto la posizione della donna.

Un sol esempio ancora dalla vita politica, e poi passerò alla vita di famiglia.

Ho già accennato all’avversione della donna per i partiti, il che deriva dall’essere assorta nelle cose più elementari, più fondamentali, più vicine alle fonti della vita. Fino ad oggi questo l’ha portata nella politica interna a concentrarsi, come abbiamo visto, sui problemi che riguardano la razza, come la moralità e l’igiene — nella crisi di una guerra mondiale, a gettare ai quattro venti, più presto che non abbiano fatto molti uomini, molte ideologie che ostacolavano lo scopo immediato. Domani, sdegnando gli eccessi formali dei partiti, essa si consacrerà a quella passione per l’es­senza delle cose che meno giustamente si chiama «eccesso», e che, eccesso o no, ci porta, senza dubbio, ad una maggior vita — ad una maggiore sintesi. Il buon Hartmann avrà modo di vedere anche qui come l’influenza della donna tenderà alla vita «universale». Vediamo più precisamente in che modo.

In ogni paese in questo momento abbiamo due [p. 119 modifica] correnti, la liberale e l’imperialista, che non sono veramente nè l’una nè l’altra nella verità. Il meglio che si possa dire è che si neutralizzano a vicenda, e dal cozzo esce un relativo, molto relativo equilibrio. Ma sarebbe tanto da desiderare nella politica di domani che i valori dei due partiti si congiungessero e completassero. Ora, Signori, sembrerà grande presunzione se io vi dico che la donna intende qualcosa di tale necessarissima fusione? E non solo col suo cervello, che sarebbe poco, ma con tutta la passione della sua più intima natura? Intende, perchè la sua vita è ideale e pratica ad un tempo, in ogni giorno vissuto bene. L’uomo negli uffici e nelle professioni è più facilmente portato all’unilateralità, anzi vi è spesso obbligato. Ma la donna, nella sua vita di famiglia, deve esercitare continuamente e il sentimento e il senso pratico, e le è quasi impossibile ignorare la potenza dell’uno o del­l’altro. In un piccolo, spesso piccolissimo cerchio, essa è cresciuta meno unilaterale dell’uomo, perchè costretta a esercitare alternativamente le varie parti del suo spirito. Quasi ogni donna deve amministrare una casa e, se la vita è completa, deve amare. Ora l’uomo, anche altamente collocato, spesso non ha occasione di amministrare praticamente — in moltissime professioni sta sempre nell’astratto pensiero, e l’amore è confinato, per così dire, nei ritagli di tempo, mentre per la donna è l’atto della vita intera. Ripeto, il regno della donna è stato piccolissimo, ma nel suo piccolo ha abbracciato tutti gli elementi, tanto che in quella minoranza che oggi comincia a darsi alle questioni sociali e politiche, c’è una base di esperienza, diciamo non tecnica, nè particolareggiata, ma profonda, appassionata ed equilibrata, coll’equilibrio che sa dare solo la vita. Perdonatemi, Signori, se mi trattengo un po’ [p. 120 modifica] su questo punto, perchè lo ritengo di capitale importanza: secondo me, segna tutto il particolare e preziosissimo contributo che la donna ha da portare nella vita pubblica, sia oggi, sia nell’avvenire. Per il suo contatto con la natura, i suoi metodi sono quelli del poeta: prima vive, poi da una profonda esperienza sale al pensiero che dà corpo alla cosa vissuta, e viene portata avanti inevitabilmente di passo in passo, fin anche al pensiero generale. Ma questo pensiero non è mai partito dall’astratto, e rappresenta il frutto di tutto un pellegrinaggio appassionato, un po’, starei per dire, come vediamo «La Divina Commedia» uscire da «La Vita Nuova». Prima i frammenti vibranti, poi la sintesi — il sistema. Ma sistema vissuto — lontano un mondo dai sistemi degli ideologi — dai «concetti generici» comunemente intesi. La via degli ideologi rappresenta l'organizzazione morta — la via della donna e dei poeti, l’organismo vivo. Non tema Hartmann e la sua scuola! Comunque la donna si evolve, i suoi metodi saranno sempre quelli della vita, e ciò tanto più, quanto più essa si innalza! E non ci importa, Signori, di domandare quante siano le donne giunte oggi a questo punto di coscienza originale, coscienza di donna, in materia sociale e politica: i numeri hanno pochissima importanza quando si guarda all’avvenire. Basta domandare solo se un dato fenomeno entri nella corrente del naturale progresso. Ed io consentirei a chiunque che la questione femminile, come è stata finora posta, specialmente in Continente, non è entrata in questa corrente: la donna solamente o maggiormente intellettuale, lottante per dei diritti astratti, non è la figura che rappresenta, o rappresenterà mai la norma. Ma la donna che sa servirsi della passione finché quello stesso che ieri la teneva schiava, [p. 121 modifica] la innalzi, la liberi e la renda savia — la donna che nell’anima sua almeno diventa «poeta», trasmutando il particolare nel generale, la conquista propria in con­quista altrui — questa donna è figura normalissima, è la donna come Dio l’ha fatta, e tutti vedranno, Si­gnori, come questa nuova vita creativa, questa nuova maternità entrerà a modificare ed elevare la cosa pubblica di domani.

Ed ora, per un passaggio facile e naturale, pas­siamo alla vita di famiglia.

La donna che solo per questa capacità creativa ha vera ragione di entrare nella vita pubblica, trova naturalmente la stessa missione in quella familiare. Ma se deliberatamente ho parlato prima della vita pubblica, era per prepararvi, Signori, a quella che sarà l’idea centrale di questa seconda parte della mia conferenza, e cioè che la «creazione» della donna, anche nella famiglia, non è solamente quella naturale. La maternità fisica è già tanto universalmente riconosciuta come cosa sacra, che non sento il bisogno, per parte mia, di spendervi altre parole: si intende che anche qui c’è possibilità e bisogno di elevazione, ma questa stessa elevazione, io credo, non verrà tanto per la sola osservanza e il solo studio dell’igiene, come ora troppo spesso si crede, ma piuttosto per tutto un rinnovamento derivante da un nuovo, e più alto, e più profondo concetto della maternità: dal riconoscimento, insomma, che la donna non può essere madre grande secondo la carne, prima di avere conosciuta la maternità dello spirito — per parlare più nettamente, prima di essere passata a partorire nello spirito. Fermiamoci un momento su questa singolare parola, perchè è qui, Signori, tutta la differenza fra quel vago e inefficace sentimentalismo che talvolta si chiama «bontà [p. 122 modifica] femminile», e quella vera forza dinamica, creatrice e purificatrice, che in varie forme sto provando di illustrare in questa lettura. In qualunque campo si esercita, è solo una forza che dà vita che merita essere chiamata «maternità». E la vita, materiale o spirituale che sia, è sempre tremenda nelle sue leggi. I soli intellettuali o sentimentali possono cullarsi in una pace e dolcezza senza fine, ma non così chi deve partorire, nella carne o nello spirito. La nuova vita esige sempre il prezzo della pena — lo strazio del parto — lotta violenta e senso quasi di sfacelo, di struggimento, mentre corpo ed anima si sforzano di dare alla luce, all’altrui intelligenza, la nuova vita da tempo nutrita in silenzio. Questo è il parto, fisico o spirituale. Il tremendo processo non cambia per la forma di vita: vediamo dunque che cosa vuol dire il «parto spirituale» della donna, nella vita della famiglia oggidì.

Si è detto con molta verità che la sola passione nella donna abbastanza forte per opporsi a quella che prova per l’uomo, è quella che sente per le sue creature — ora questo, che è in gran parte vero trattandosi delle creature della sola sua carne, diventa anche più vero quando comincia a partorire nello spirito. Perchè, come ho voluto dimostrare nella prima parte di questa conferenza, i voleri spirituali della donna, le nuove esigenze, le nuove passioni morali e sociali che l’ispi­rano oggidì per la massima parte non si scindono dai bisogni della razza. Perciò della donna pura — chè è solo la donna pura che travaglia nello spirito — in moltissimi momenti di dramma domestico non è più vero dire, nelle parole di San Paolo, che spirito e carne contendono l’uno con l’altra. «Contendono» solo in quanto ambedue travagliano e tremano, ma travagliano [p. 123 modifica] insieme, come due potentissimi alleati, e il nemico col quale sentono di lottare non è tanto la carne — la natura — quanto la menzogna e la cecità del mondo!

La natura pura si arrende, si allinea collo spirito — le leggi di Dio, materiali e spirituali, non sono, nè possono essere in contrasto fra loro. Ma il contrasto c’è in quanto entra l’elemento artificiale, umano — il pensiero falso, l’educazione falsa di centinaia e migliaia di anni! Ed è contro tutto questo, Signori, questa corruzione che non può trovare sanzione vera da nessuna parte è contro tutto questo che la donna di oggi lotta, e lottando per la prima volta con uno spirito forte ed una mente matura, non «abortisce» più come ieri, ma, congiungendo lo sforzo dello spirito a quello del corpo, porta veramente alla luce figli nati in condizioni più alte, seme e garanzia di una società migliore di domani.

E parlando così, voglio che teniate sempre a mente che io non parlo su una base di semplice speranza o convinzione astratta, perchè da sette anni, in conseguenza dello speciale carattere di certe mie pubblicazioni, ho avuto l’onore di ricevere le più intime confidenze di molte donne, tanto che, per quanto il destino da qualche anno mi abbia tenuta materialmente lontana dall’Inghilterra, sono rimasta sempre nel cuore del suo movimento femminile, conoscendo anzi questo suo aspetto più profondo e più potente con un’intimità forse non concessa a molti. Perciò se mi permetto di parlare con tanta sicurezza delle migliori condizioni della famiglia di domani, Vi prego di aver questo sempre in mente — che non parlo da teoria, ma da conoscenze larghe e vibranti della più intima vita della donna — da fatti che non possono cedere avanti a qualunque scetticismo. [p. 124 modifica]Dalla base dunque di questi fatti, io sono in grado di sapere che non c’è stato sviluppo intellettuale, politico o economico della donna in Inghilterra che non ha avuto un subitaneo, se pur nascosto riflesso sulle condizioni della maternità e sull’educazione dei figli, specialmente in tutto quanto riguarda l’insegnamento della morale. Più la donna diventa libera, più impara a proteggere la propria missione creativa, e insegna ai figli di rispettarla ugualmente in altre donne. Non crediate con ciò ch’io mi faccia l’illusione di ritenere che il vizio non infierisca in Inghilterra con lo stesso terribile vigore che infierisce dovunque — sarei veramente ingenua se credessi una cosa simile. Dico solamente che c’è almeno una aperta lotta per la conquista di condizioni migliori, e grazie alla crescente influenza della donna, questa lotta non incontra più il cinico sorriso che anche da noi avrebbe incontrato mezzo secolo fa. Pensate un po’ che cosa deve significare il solo progresso della donna in medicina e chirurgia. Pochi in Italia sanno forse che dal principio di questa guerra ci sono stati ospedali in Francia, nella Serbia, nel Belgio e nell’Inghilterra intieramente sorretti e serviti da donne, donne per l’assistenza medica e chirurgica, come per quella proprio d’infermiera, e che alcune delle più insigni di tali donne sono state poste dal Governo Inglese, fin dal primo anno della guerra, a capo di grandi ospedali militari, a Londra e altrove. Ora di fronte a un tale aumento di conoscenza e di prestigio scientifico, intenderete facilmente come divengano sempre più difficili certe snervanti e corrotte dottrine in materia morale, alle quali troppi medici si sono prestati in passato, e che la donna non istruita ha dovuto, fino ad oggi, semplicemente subire: oggi, grazie a Dio, oltre ai molti uomini di scienza che [p. 125 modifica] cominciano pur essi ad insegnare cose più alte, c’è tutta una schiera di donne, non meno istruite in materia, che nell’esercizio della professione, e per pubblicazioni e discorsi pubblici e privati, vanno continuamente sfatando molte delle perniciose favole del passato, e introducendo vieppiù nella coscienza generale molta nuova luce, terribile, ma risanatrice. Ho avuto occasione di osservare una volta, Signori, che dietro al nuovo carattere dinamico che il movimento femminile ha assunto nell’ultimo decennio, sono da cercarsi tre motivi, che sono: nuova sapienza, nuovo amore, e nuovo potere. Dalla nuova conoscenza del male, dovuta in gran parte al progresso della donna in medicina, ma pure in tutte le scienze sociali, è nato un nuovo amore protettore per la razza che, assumendo in molte i caratteri d’una vera crociata, è diventato un nuovo tremendo potere. In migliaia di donne questa prima vera conoscenza del male è stata come una miccia applicata ad una mina: nel movimento politico vi ha dato in Inghilterra lo stranissimo spettacolo di donne dell’aristo­crazia che si sono alleate a donne del popolo, e in più casi, come quelle, si sono mostrate pronte a soffrire la prigionia per la violenza delle loro proteste: nella vita di famiglia, non meno, in migliaia di casi ha portato un lievito di rinnovamento che assomma ad una rivoluzione, perchè per la prima volta il muto secolare anelito di migliaia di donne per una maggior elevatezza di vita si è trovato rafforzato dalla ragione, e spronato dalla coscienza: per sè sola, la donna non poteva combattere, ma ora che comprende che certe battaglie le sono richieste da Dio, in fedeltà alla sua stessa missione di madre, trova la forza di quella passione che, come dissi innanzi, può sola opporsi a quella che sente per l’uomo, e pronta a perdere tutto in [p. 126 modifica] difesa della nuova luce, in più casi invece vince tutto, e i figli di queste donne nascono oggi in condizioni migliori.

E come meglio nascono, così meglio crescono, ma per ogni tappa della via, quel travaglio spirituale della madre che solo ha concesso loro un corpo meglio disposto di quelli delle generazioni passate deve ancora seguitare, se anche il loro spirito debba riflettere le più forti luci d’una più forte epoca. Vincere la passione bassa con la passione alta non è la più difficile prova che la vita ci offre — vincere l’inerzia, l’apatia e il pregiudizio — sostituire al cinismo, la fede, e ai mezzi termini, l’integrità — creare tutto un più vivo e sano ambiente mentale e morale per la nuova generazione che cresce — questa è una lotta più lunga che quella dei soli momenti di passione, e richiede in chi vi si accinge una forza d’animo anche maggiore. Ma ci sono tante donne, Signori, che oggi vi riescono, e come segno della vittoria hanno quel massimo premio che forse in cuor suo ogni donna desidera sopra ogni altro, cioè di rimanere sempre la prima confidente dei figli anche quando questi sono uomini da un pezzo, e liberi da ogni legame che non son quelli della spontanea volontà. E parlando cosi di «confidenze» notate, Vi prego, che io non parlo delle semplici confidenze consigliate dall’affetto, ma di veri problemi professionali e personali — delle questioni più delicate che in passato nessun uomo avrebbe pensato per un istante di aprire a sua madre. Una delle mie più care amiche, ad esempio, aveva il figlio primogenito ufficiale nell’esercito — morto ora combattendo, insieme col fratello minore. Ebbene, questo figlio ufficiale usava consultarsi frequentemente con la madre sul come poteva infondere nei suoi soldati la morale [p. 127 modifica] e la vita schietta; e questa madre, laureata in scienze, e forte di un quarto di secolo, forse, di vita di moglie e di madre, vissuta nella luce della nuova fede cui ho accennato, sapeva ispirarlo, tanto che non solo legava sempre più strettamente a sè il figlio che vedeva tutti i suoi più difficili problemi intesi e divisi, ma allo stesso tempo portava già in tempi di pace il suo piccolo contributo alla salute dell’esercito, prima che, colla guerra, fosse chiamata a dare tutto il suo — il primo figlio come ufficiale di carriera, e il secondo come volontario, perchè quest’ultimo, offrendosi subito, morì giusto un anno dopo il fratello maggiore, altamente apprezzati ambedue dai loro superiori. Certo colle sue nuove dottrine morali la madre di questi figli non aveva diminuito la loro virilità! Ed è questa, Signori, che è per me la maternità grande — maternità sociale, quanto particolare — maternità in cui, per la prima volta, l’istinto protettivo della donna si trova rafforzato da tutte le forze della ragione e dello spirito, tanto che dall’insieme possiamo cominciare ad intravedere un nuovo ordine per domani.

Sì, un nuovo ordine, perchè, come già vi ho pregato di notare, questa non è la semplice bontà di ieri — l’influenza che ogni madre buona ha sempre saputo esercitare sui suoi figli. Ieri le madri non insegnavano come questa donna, e come migliaia di madri oggi, una unica morale alta per i due sessi: ieri non avrebbero osato insegnarla, perchè la fede nella sua possibilità non era ancor nata. Come dunque siamo giunti oggi ad una cosa sì grande? Vi siamo giunti per un motivo solo — perchè la donna ha cominciato a travagliare e partorire nello spirito, per questo, e per nient’altro.

È solo quando queste nuove norme morali non sono [p. 128 modifica] più concetti, ma passione per la donna — quando fin in fondo della sua anima essa è persuasa ugualmente della loro possibilità e della loro necessità, tanto che tutta la sua volontà si raccoglie come in un sol punto, e dice fra sè: «Per queste cose, occorrendo, io morirò» — è solo allora ch’essa acquista la potenza per inoculare e nel marito e nei figli la sua fede, e la nuova forza che dipende da quella fede. Per poterlo fare, essa, in un certo senso, non deve avere più la scelta. «Questa cosa Dio la vuole», deve aver impregnato e dominato la sua anima come, su un altro livello, è dominata la donna che concepisce. Come questa, volendo o non volendo, non può più, senza infame artifizio, impedire che la legge della vita si adempia, che la sua creatura cresca finché venga alla luce, così pure la donna che ha concepito nello spirito. Essa non può cambiare — non può. Comunque si levi attorno a lei la tempesta — se tutta la sua felicità minaccia di crollare — essa guarderà quella minaccia coll’angoscia nel cuore, angoscia niente inferiore a quella della donna ordinaria, ma non può cedere, non può, nemmeno per un attimo, smorzare quella nuova luce — tradire quella nuova vita che è nata in lei. E in faccia a questa nuova sofferenza, questa strana passione che ovviamente obbedisce a qualche profonda ispirazione, adempie qualche legge vitale, non c’è uomo, Signori, che non s’arresti — che non si senta portato almeno ad esaminare di nuovo, e molto più seriamente che forse non abbia mai fatto ancora, il suo pensiero e il suo sentimento su molti punti. La passione rispetta la passione — la vita riconosce la vita. Chi è pronto a morire, finisce spesso col vincere. Ma a minor costo niente si fa. Ed è perciò che il mondo ha visto così poco progresso in questo campo in tutti i secoli finora. [p. 129 modifica] Siamo stati come fanciulli che volessero smorzare un incendio con delle siringhe da bambini! Ma oggi, come ho detto, comincia ad accendersi nei cuori di molte donne questa nuova, strana fiamma che ha la forza di dominare ogni fiamma inferiore. E per questo troviamo dei giovani allo stesso tempo puri e virili, e troviamo padri e mariti pronti a dare alla donna anche l’ultimo potere dell’uguaglianza politica. Si, Signori, questo è l’ultimo nesso delle cose. La conquista del voto in Inghilterra è stata affrettata dalla guerra — dall’indiscutibile valore dell’opera della donna prestata in guerra. Ma la campagna era già molto avanzata, altrimenti la guerra non avrebbe potuto portar nessun frutto. Ed è per questa via che i migliori dei nostri uomini si sono convertiti. Nelle loro proprie famiglie centinaia e migliaia hanno avuto modo di accorgersi di questa nuova passione sacra nata nelle loro donne e di considerare quali devono essere i suoi benefici effetti sociali. Certi pregiudizi e certe passioni non si vincono, non si modificano nè meno, per nessun arido dibattito. È solo quando la donna mira molto più in alto e sveglia ciò che è la riverenza nell’uomo, è solo allora che vince ogni cosa. E come può far questo in parte con la sua maternità della carne, così può farlo più ancora col travaglio dello spirito. Ma bisogna che sia integra — che non sfugga a nessuna parte del sacrifizio voluto — che intenda che «dar vita» con lo spirito è una cosa anche più tremenda e più esigente che non darla col suo corpo.

Ci sarebbe ancora molto da dire, Signori, ma questi argomenti io li ho trattati altrove con la massima particolarità, e non mi è facile trattarli con la stessa ampiezza in una conferenza. Il più importante rapporto fra l’uomo e la donna sarà sempre quello fra marito e [p. 130 modifica] moglie, fra madre e figlio. Ma perchè si elevino queste relazioni, bisogna che la donna cessi di essere bambola o minorenne. Per essere la confidente del figlio fatto uomo, bisogna che conosca le piaghe sociali — per creargli via, via, un più sano ambiente, bisogna che la sua voce sia sentita, resa forte con un prestigio e potere sempre crescente. Ma sopratutto bisogna che s’accenda in lei quella nuova passione dello spirito che non misura il prezzo, e, essendo sempre pronta alla morte, porta invece la vita. È detto dal vostro Codice, Signori, nell’articolo riguardante il matrimonio, che «l’uomo è capo della famiglia», ma in ogni unione veramente alta, è solo lo spirito della giustizia e dell’amore, che è capo vero della famiglia, e poiché lo spirito «spira dove vuole» non può essere sempre per via dell’uomo, più che per via della donna, che esprime le sue leggi: i dettami verranno ora per l’uno, ora per l’altra, e bisogna che tutt’e due siano sempre liberi — perfettamente liberi — per sentirli e seguirli.

La libertà per cui ci battiamo ora nei campi sanguinosi d’Europa — la libertà il cui sviluppo, in un modo o nell’altro, ha segnato ogni progresso dell’umanità — questa libertà, Signori, ha da scendere ora ad illuminare anche il cuore della donna, e, per suo mezzo, elevare tutta la nostra vita famigliare e sociale. Persuasa di questo fin in fondo, non mi son mai sentita di scusarmi se anche in questi terribili tempi ho seguitato sempre ad occuparmi principalmente della donna. Sono troppo sicura che nella donna sta tutto l’avvenire — che dalla sua influenza, alta e forte, o bassa e snervante, dipenderà la qualità di tutto quel nuovo ordine sociale che vogliamo veder uscire da questa guerra, e che solo potrà giustificare tutto il sangue sparso, tutte le giovani vite offerte in sacrificio. [p. 131 modifica] È necessarissima tutta l’opera materiale e pratica che si spiega in questo momento nelle retrovie, ma ricordiamo sempre che è necessaria anche quest’altra — questa continua agitazione per una comprensione più profonda ed un atteggiamento spirituale più alto. È forse per mancanza di questa percezione che la vittoria non ci ha ancora sorriso? Abbiamo forse troppo dimenticato che la libertà non può mai derivare da un solo assetto militare o politico, ma che richiede tutto un sistema di educazione nuova che solo potrà risanare questa vecchia Europa? Signori, è qualcosa di simile ch’io credo, e se ho gioito fino alle lacrime quando ho saputo del recente trionfo delle donne inglesi, non era, Vi assicuro, per sentimento di nazione o di sesso, ma per sentimento umano — sapevo che una grande conquista si era fatta che avrebbe concorso all’elevazione delle donne ovunque, e, per loro mezzo, dell’uma­nità intiera. E in quel senso Vi pregherò tutti di gioire con me dei progressi che anche in Italia, e in ogni parte del mondo, la donna va conseguendo in questo momento. E specialmente a chi in quest’ora suprema ha saputo, come la donna attraverso i secoli, fare la suprema offerta della vita, son certa di poter rivolgere sicuramente un appello colle parole del divino Poeta:

«Or vi piaccia gradir la sua venuta:
«Libertà va cercando, che è sì cara,
«Come sa chi per lei vita rifiuta».

Roma, 18 marzo 1918.