La umanità del figliuolo di Dio/Libro nono

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Libro nono

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Libro ottavo Libro decimo

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LIBRO NONO

1
Chi dará, lasso! al mio parlar un tono,
un vento di sospiri, un mar di pianto?
Chi m’ornerá d’altr’uom di quel ch’i’ sono,
eh’ a questo pelo irsuto e nigro manto
e de le rime al lamentabil suono,
di miei falli risponda il duol, fintanto
ch’io dica, sollevando al ciel la voce,
d’amor fatto stolticcia in su la Croce:
2
— Ingrati cieli, e voi, perfide stelle,
s’aveste occhi a mirar si duro scempio
di Chi formovvi prima chiare e belle,
ornamento e splendor del suo gran tempio,
e non pioveste in noi vive facelle
ch’arder dovean la terra, e ’nsieme l’empio
abitator di lei, ch’ebbe si pronte
le mani a batter la divina fronte;
3
e tu, Padre del ciel, se pur a core
hai di quest’uomo tanto la salute,
che sommetter del Figlio vuoi l’amore
a quel d’un servo che si lordo pute,
a che ’l vendi per man d’un traditore?
a che tante guanciate, urti e ferute?
E se pur morto il vuoi, almen contento
sia eh’ una volta muoiasi, non cento!

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4
Ben hai molto stimati noi, vii seme,
se di necessitade a fren ponesti
l’alto valor de le tue forze estreme:
dico ’1 tuo Figlio, ch’a li cani desti!
E questo maggiormente mi ange e preme,
pensando agli error nostri manifesti,
ché, per di tanto duono esser ingrati,
saremo dal promesso ciel cacciati. —
5
A piè del sacro monte d’Oliveto
stendesi piana una riposta valle,
ove Iesú col povero suo ceto,
qualora gli parea voltar le spalle
al volgo e starsi per orar secreto,
spesso venia per disusato calle,
ma piú ne l’ora che ’n purpureo manto
l’alba ci desta gli ucelletti al canto.
6
Giá molte stelle avea la notte, avara
di luce, intorno sparse al freddo polo.
In questa sera, inconsueta e rara,
vi arriva il Salvator col dolce stolo:
verdeggia un orticel che si ripara
di macchie intorno, ed havvi pur l’usciuolo;
passa per quello, ed accennò con mano
che non si rompa il sonno a l’ortolano.
7
E come il buon pastor, che, vigilante
piú che di sé, tien cura de l’armento,
d’undeci puri agnei, che ’1 giorno avante
sofferto avean nel cor e pioggia e vento,
otto quivi ne lascia, i quai l’instante
e stracco sonno vinse in un momento:
ma tre, ch’eran degli altri meno lassi,
oltra seco portò ben cento passi.

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8
— Qua — disse lor, — figliuoli, qua vi voglio
sveggiati ad util vostro, a mio solaccio,
solaccio e alleggiamento del cordoglio
per la morte che tosto avrammi al laccio !
Da ciò che vuol mio Padre non mi svoglio,
ch’amaramente mi trará d’impaccio:
però, mentre lo prego (e ciò fia presto),
vegghiate meco e non vi sia molesto ! —
9
Cosi parlando, allungasi da loro
quant’uom col braccio può tirar la pietra,
sommette le ginocchia, e quel martoro,
che l’egra carne da lo spirto arretra,
espon al Padre e al trino Consistoro:
se forse il non voler morir s’impetra,
pur puotendo impetrar, puoter non vuole,
ché ’l morir nostro piú del suo gli duole.
10
— Padre — dicea — Tuoni grave che m’hai dato,
ecco che ’l voler nostro, schivo, aborre;
ma perché vuoi tu porlo al destro lato?
Giá non si vuole al voler nostro opporre:
10 spirto è pronto al giovo e l’ebbe grato,
da che ’l criammo, a se medesmo imporre;
pur questa carne inferma teme (come
che senza colpa sia) portar le some. —
11
Cosi Divinitá fra sé parlava
de l’uom ch’egual non ha fuor che se stesso;
11 qual mentre inalzato al ciel orava,
un angelo maggior gli stette appresso,
per la presenzia cui si confortava,
si come avvien d’alcun signor che, oppresso
dal suo nemico e giá per morte bianco,
tempra ’l dolor se densi un servo a fianco.

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12
Quell’anima gentil, ch’ad esser l’angue
fatt’era, ch’alzò Mòse nel deserto,
dover tre di lasciar quel corpo langue,
tant’è la sua bellezza e sommo merto;
di che s’attrista si, che ’l vivo sangue
stillava de le vene chiaro e aperto,
e, s’angel può dolersi, quel si dolse,
che ’l nostro pregio in bianco velo accolse.
13
Fatto poi questo, debilmente s’erge,
dal lungo orar, funesto e sanguinoso;
a Pietro e gli altri duoi tornando perge,
ma trova lor, ch’un fiume lagrimoso,
com’è costume suo, nel sonno imerge:
sonno digiuno, inqueto e pauroso.
Tre volte orò lesti, tre volte stolse
lor tre dal sonno, e di Simon si dolse.
14
Dolsesi del buon Pietro, il quale inanti
fu promissor d’invitta fideltade:
però, se gli occhi esterni non costanti
fór contra il sonno e l’ocio e securtade,
men fian gl’interni, avegna che prestanti
sian di ragione, a qualche aversitade,
ché ’l troppo confidarsi di se stesso
fa l’uom piú volte obliar ciò c’ha promesso.
15
Disse lor dunque: — Deh ! ché non potesti,
o Pietro, una sol’ ora vegghiar meco,
che tanto ardito al Mastro tuo t’offresti,
onde fosse periglio morir seco;
e tu, figliuol Giovanni, mi chiedesti
per bocca di tua madre, e Giacom teco,
sedermi a fianchi nel mio regno: e pure
di voi non è che vigilando dure !

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16
Non fin giamai eh’ un sonnacchioso quadre
con Tesser mio, che ’l sonno ombr’è di morte.
Ma sento venir giá Tarmate squadre:
non sará in voi chi Témpito sopporte!
Quant’era meglio, o Giuda, che tua madre
madre non fosse stata, o che mai pòrte
t’avesse le mammelle, poi ch’avaro,
piú che del sangue mio, se’ del danaro! —
17
Pietro, che d’amor sempre ardeva in core,
or arde ancora di vergogna in faccia:
potean scusarsi alquanto del dolore
ch’avean di lui: pur voglion che si taccia,
pere’ hanno piú che certo a tutte Tore
fuor che Iesú non esser chi ben faccia.
Però, senz’altro dir, chiedon perdono
di quello e mill’error, ch’uomini sono.
iS
Giá di facelle ardenti e d’armi insieme
ecco vi appar gran copia di lontano:
fuggon l’ombre d’intorno e per Testreme
ripe va ’l finto di, va per lo piano.
Iesú nel petto l’alta doglia preme,
voltando a Pietro e agli altri il viso umano,
e parla: — Ecco, chi m’ha tradito viene!
Campate voi, ch’io pur sciorrò le pene! —
19
Cosi dicendo, andava ver’ le torme
d’armati a piastre, scudi, elmetti e maglia.
Pietro sen corre presto, ed ove dorme
Andrea si ’l desta, e gli altri ancor stravaglia.
— Su! — chiama — ognun di voi seguite Torme,
ché viene in qua di gente una battaglia ! —
E, tolto sotto l’un de’ duoi coltelli,
ritorna presto e dietro gli van quelli.
T. Folengo, Opere italiane -u.
17

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20
Giuda, ribaldo e pessimo mercante,
il qual d’apostol fatto è barigello,
vien di gran lunga e ratto agli altri inante,
avendo dato aviso a lor che quello
in bocca bacerebbe, ad un istante
legato fosse, quando ch’un fratello
sia del suo Mastro assai conforme a lui,
si che lo sceglian ben fra luoghi bui.
21
Vien dunque avanti quella fronte attrita,
e salutò suo Mastro e poi baciollo;
baciollo su la bocca e con l’ardita
e scelerata man gli strinse il collo.
Parse a Iesu questa primier’ ferita
prender mezzo del cor; né ributtollo,
né gli distorse gli occhi duri o mesti,
ma lieto disse: — Amico, a che venesti? —
22
Non v’era giunto Pietro, che ’n quell’atto
addentato l’arria co’ morsi al naso:
ch’ei fosse il traditore, avea giá fatto
certo pensier con Giacomo e Tomaso,
non sol perch ’era tutto contrafatto
in viso di pallor, ma che rimaso
era degli altri fuor dinanzi e allora
ch’usciron tutti del cenaeoi fuora.
2J
Data che fu la simulata pace,
presto d’armati un campo sovragiunge.
Giuda, ch’agli omer ha piú d’una face
di Tisifon che sempre il caccia e punge,
vassene via celando, ed ove tace
un bosco stassi a riguardar da lunge:
allora i lupi circondar l’Agnello,
ma nullo fu ch’osasse prender quello.

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24
Agnel non parve allor, ma un gran leone,
al qual fiera non va che non paventi:
quel mansueto a lor tutto si spone,
qual umil lepre al cane che l’addenti ;
ma fiero alén non ha si forte ungione,
non pel si rabuffato e lunghi denti,
come quel dolce aspetto ardente e piano
parve a coloro atroce ed inumano.
25
Non valse, a l’apparir di tante spate,
non si scoprir Divinitá nel volto,
per punir l’uom di sua temeritate,
eh’ è tanto disleal, eh’ è tanto stolto:
se conoscer non vuol la maiestate
del sommo Verbo in quelli membri avolto,
conosca almen ch’un’ incolpevol vita
non può da legge o altronde esser punita.
26
Ma quei si come statue immoti stanno:
si dentro ’i rode un paventoso tarlo!
Vedendo allor Iesú che lunge vanno
da quel pensier di piú voler pigliarlo,
né fra lor esser chi osi fargli danno,
ma levan gli occhi sol per sol mirarlo,
umanamente loro interrogando
disse: — Ch’andate voi per qua cercando?
27
— Noi — risposer a ’n grido tutti quanti —
Iesú cercando andiam, quel nazareno. —
Tacque l’Umanitade, acciò ch’inanti
a lei Divinitá ragioni appieno;
la qual non solo a quei dignò, ma a quanti
di natura giamai capper nel seno,
far la risposta su da l’alto trono
e con terribil voce dire: — Io sono.

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28
lo son Colui che solo ha Tesser pieno:
voi, miseri, caduci, polve ed ombra! —
Trema la terra a quello «Io son», non meno
che quando il vento sotterrán l’ingombra:
cade sosopra ognun, ché ’n un baleno
gran nebbia gl’intelletti loro adombra;
e Giuda ancor, eh’ è lunge un tirar d’arco,
cascò di miserabil téma carco.
29
Dico ch’a quel chiamar di morir franco:
«Io son», tutti n’andáro in un volume:
chi la faccia, chi gli omeri, chi ’l fianco
percuote a terra senza mente e lume;
ma poi, venuta in lor la téma a manco,
parlar non volse piú l’eterno Nume.
Quelli si drizan anco, ma storditi,
ma da non so che folgor impediti.
30
La parte allora umana interrogolli
benignamente a che venian armati :
e quei, d’esser qua giunti ornai satolli,
risposer ch’eran da’ giudei mandati
per prendere un Iesú, ma che ’n quei colli
gli aveva un suo discepol mal guidati.
E Cristo disse: — Quel son io per certo!
Ecco ch’a voi mi son di voglia offerto.
31
Ma, se mandati siete per pigliarme,
me, ch’apporto salute e pace in terra,
a che rumor soperchio di tant’arme,
di tanti fuoghi e machine di guerra?
Queste ad un ladro convenir piú parme
che ’n qualche torre per rubar si serra.
Me spesse volte predicar vedeste;
e perché dunque allor non mi prendeste?

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32
Ma, siavi certo, quei che vi mandáro
far ciò die ’l lor giudiccio punir deve,
ed anco il famigliar mio dolce e caro
che meco prende ’l cibo e meco beve,
piú di voi nocquer tutti ed oltraggiáro
Natura, Legge e il mondo. Però breve
sia questo gaudio lor, ma piangan sempre,
tal che d’essi non sia che ’l mio ciel tempre.
33
Or dunque al piacer vostro mi legate,
ch’io mi vi do di core tutto in preda,
con patto tal ch’ir questi miei lasciate,
se vendetta dal ciel non vi succeda. —
Cosi lor disse, e con le man sforzate
(come far questo par che Dio lor ceda),
l’han preso chi davanti e chi di dietro,
finché vi arriva l’ortolano e Pietro.
34
Pietro, che vede il bel tesor celeste
da cosi rio legnaggio esser distratto,
cader dagli omer lasciasi le veste,
avendo il ferro giú di scorza tratto,
e disse: — Signor mio, soffrirò queste
ingiurie in te senza vendetta? — e a un tratto
non aspettò, ma, come entrasse in guerra,
l’orecchia d’un di quelli pose in terra.
35
L’ortolan ch’una vesta tien sul nudo,
da dormir tolto e al suon de l’arme corso,
non ha con che l’aiuti, o lancia o scudo:
di che sen fugge con veloce corso,
lascia lo manto a dietro e, tutto ignudo,
corre agli apostol per chiamar soccorso.
Ma quei non stetter saldi ; anzi, ferito
che fu ’l pastor, l’armento andò smarrito.

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36
Non fu se non d’estrema meraviglia
veder un vecchio, e a l’arme non molt’atto,
entrar fra cento armati, e gli scompiglia
e gli ributta e sangue n’ ha giá tratto.
Non è chi a lui s’affronli; ciascun piglia
consiglio di voler campare a un tratto:
se non eh’ un cenno di Iesú ripresse
quel zel di Pietro, che ’l cortei rimesse.
37
— Pon’ — disse, — o Pier, quel ferro che da noi
per altr’uso di questo a l’uom fu dato:
dato fu a Parti agevole, ma voi
di sangue uman l’avete adulterato.
Quel calice ch’abbiam da ber non vuoi
ch’io primo il bea, se berlo è destinato?
Ed oltre a ciò non sai che chi ferisce
di ferro altrui, di ferro aneli ’ei perisce? —
38
Cosi parlando, il Medico celeste
ornò le norme sue d’un bello essempio,
ché per li suoi seguaci non si reste
giovare a chi di lor fa scherno e scempio,
né vuol che ’n regno suo da noi si preste
atto verun, ch’abbia pur forma d’empio:
l’orecchia, che di Malco piu non era,
nel loco suo rappiccia e rende intiera.
39
Giovanni solo, il casto giovenetto,
non piú di vinti passi sta lontano,
ma troppo fuor di sé, ché ’l cor gli ha stretto
quanto stringer può mai ghiacciata mano.
Ahi quanto dur gli par che ’l suo diletto
e cosi dolce Mastro, e cosi umano,
ebbe occhi da veder con tante corde
tratto da rie persone, infami e lorde!

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40
Pensa ciò che dé’ far, né vi ha partito,
ché quinci amor, quindi paura il caccia:
quel di seguire il suo Signor fa invito,
questa di rimaner, finché la faccia,
ch’un rio dagli occhi manda in su quel lito,
col cor insieme per dolor si sfaccia,
e mentre or dubbia or fermasi ’l pensiero,
vi sopra vien l’addolorato Piero.
41
Tien un coltello in mano ed un nel core,
ché ’l Mastro tolto gli è, tolt’è la vita:
vita non ha piú in petto né d’amore
può misurarsi quanta è la ferita.
Giován gli disse: — Pietro, ov’è ’l Signore?
Lasso! chi ne l’ha tolto? e chi l’aita?
non hai veduto quante e quai persone
legato il tranno in guisa di ladrone?
42
Non giá son queste l’ impromesse, o Pietro,
fatte da noi di gir con seco a morte !
Ecco che non di selce, ma di vetro,
noi siamo al tempo di contraria sorte:
esso va inanzi e noi torniamo a dietro,
cosa d’uomo non giá costante e forte.
Oh vii guerrier, che ’n pace al fianco siede
del capitano, e ’n guerra fugge e cede! —
43
Risponde Pietro: — S’esso vuol morire
e noma chi ’l contrasta «Satanaso»,
che poss’ io far? chi può contravenire?
Né tu né io né Giacom né Tomaso!
Io cominciai, ei mi vietò ferire:
so ben piú d’una orecchia e piú d’un naso
avrei giú di que’ volti e tempie tratto;
non volse, e quanto sfeci ebbe rifatto.

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44
Ma non terrammi alcun ch’ora noi segua
e mostri aperto a chi noi crede, forse,
che Pietro l’ama ed arde e si dilegua,
né come vii guerrier da lui si torse. —
Cosi parlando, come quel ch’adegua
tanto l’amor quanto ’l dolor che ’l morse,
ritorna di morir fermo e costante:
ma guardi che ’n sua noia ’l gal non cantei
45
Giovanni, che non ha fra gli altri eguale,
dico fra i corteggian del suo Signore,
di saper riconoscer quanto e quale
sia l’alto effetto del presente orrore
(di gire a tanta altezza ebbe allor l’ale,
che chiuse gli occhi in grembo al Redentore),
toccò ’l buon Pietro, come dir si suole,
sul vivo acciò sen vada ove non vuole.
46
Come vezzoso bracco, in su la traccia
giunto a le macchie ove covar porria
o lepre o volpe, dentro non si caccia,
visto di spine un bosco, e passa via;
ma subito, ad un grido che si faccia
dal cacciator, si torna, vi entra e spia,
né vi è cespuglio d’alti vepri chiuso
ch’esso, latrando, non vi metta ’l muso:
47
tal Simon Pietro, al tempo degli affanni
avendo il dolce Mastro abandonato,
tornò subitamente e da Giovanni
e da’ fraterni avisi castigato;
poi esso, ancor che d’aquila sui vanni
poggiò, come giá dissi, al divin stato,
seguillo appresso e alfin per breve calle
d’un basso colle sei lasciò da spalle.

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48
Andrea, ch’addolorato vi è rimaso
insieme con Simon, Bartolomeo,
Filippo, Levi e l’utile Tomaso,
con l’uno e l’altro Giacom e Tadeo,
stretti gli accoglie, ma di speme raso,
e sé colpando al ciel d’ogni mal reo,
però ch’ai suo Maestro fu ritroso
al tempo travagliato e nebuloso.
49
Come, dapoi l’exercito spezzato,
sen fuggon i percossi da fortuna,
col viso de la morte e ’l cor gelato,
in qualche poggio ed un di lor gli aduna,
il qual, si come cavaglier provato,
la sorte lor, che sia men importuna,
cerca di racquetar e giú di strada
stassi con loro ad aspettar ch’accada;
5 °
non men di Pietro il frate, al me’ che valse,
contrasse in un drapello quei dispersi ;
e, dopo alcune ben stimate e salse
parolette fra lor, dove tenersi
debbian sicuri, alfine amor prevalse
contra timor c’han degli ebrei perversi;
e fu conclusion d’entrar la terra,
né per pace lasciarla né per guerra.
51
Era non so qual uomo, nel cui tetto
il Salvator cenò la sera inanti,
luogo non ampio giá che dar ricetto
potesse agiatamente al Re de’ santi :
pur volse vi allogiare, angosto e stretto,
il Re de’ re cogli undeci giganti,
e d’umiltade far le basse prove
Colui che ’n se sol cape e non altrove.

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52
Fe’, dico, qui l’altissimo Signore
bassissime le prove d’umiltade;
e ne fu prima in fatti precettore,
in detti poi per nostra sicurtade,
quando, da Pietro infino al traditore
incominciando, l’unica Bontade
lavò non giá lor mani, non lor colli,
ma lavò i piedi, gli asciugò, baciolli.
53
Parvi, signor, che d’umiltá sul fondo
a quanto mai puotéo calar s’assise,
se le man formatrici del gran mondo
a un atto si negletto sottomise?
Atto negletto no, eli’ un piede immondo
in quelle monde man Superbia uccise,
la uccise si, ma ravvivasse allora
che Constantin lasciò fra noi Pandora.
54
Qui s’occultár gli apostoli, qui s’ebbe
Burnii principio del papal fastigio,
quindi de’ regni su le cime crebbe
de’ pescatori un picciolo navigio,
qui documento aver tal uom potrebbe
d’amar vertú piú che temer prodigio
d’ondante fiume o di codata stella;
ch’ov’è bontá, la sorte invan flagella.
55
Fra tanto, ad Anna ii Re del ciel condutto,
stettegli avanti in foggia di ladrone;
le man, le braccia, ’l collo, ’l corpo tutto
carco di nodi avea fin al talone.
Giovanni evvi presente, eh’ introduco
havvi similemente il buon Simone,
e quel giá incorso nel premier suo fallo,
ch’ai terzo canterá l’arguto gallo.

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56
Anna, che d’un tant’uomo il grave aspetto
si vede inanzi, fa come ’l villano
ch’andato in guerra non per altro effetto
che per rubar, gli viene a sorte in mano
compito il fatto d’arme, a lui suggetto
qualche onorato e nobil capitano;
vilmente fagli onor contra sua voglia,
e, perché ladro nacque, alfin lo spoglia.
57
A prima fronte ricercollo, senza
porvi molt’olio e sai, di sua dottrina.
Oh pronto antiveder di chi udienza
dá sempre al popol tutto, e gli dovina!
Di’, porco immondo, se non hai scienza
di stupro, d’omicidio o di rapina,
perché legato inanti a te s’addusse,
s’adúlter, omicida e ladro fusse?
ss
1 monti, le campagne, i fiumi, i laghi
èbben orecchie a udirlo, e tu noi sai?
Chi piú di te l’ha da saper, se vaghi
si sempre ne la legge i pensier hai,
se si d’esterna maiestá t’appaghi,
quando sul scanno di Moisé ti stai?
Or odi la risposta over ripulsa
conveniente a tua domanda insulsa !
59
— Di ciò ch’ai mondo in vista ho detto e fatto
parlan costor ch’ai seggio intorno tieni:
essi, che ’l san, ponno informarti affatto;
con lor ne son le strade e i tetti pieni ;
e s’abbia meritato d’esser tratto
in questo vituperio ch’or mi tieni,
lo tempio il dica, e, s’esso noi sa dire,
potrá la sinagoga in ciò mentire? —

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60
Mentre dicea quest’ultime parole
Colui che ’n cielo tuona e i venti sferra,
Colui che rompe il mar, ch’oscura il sole,
ch’entra ’n gli abissi e scòtevi la terra,
Colui che fa, disfa, che vuol, disvuole
ciò che gli par lá sii, qua giú, sotterra,
Colui che sopra i re nud’ha la spata,
tolse per man d’un servo una guanciata!
61
Si veramente non parrammi strano,
Padre del ciel, s’oltraggio tal comporti!
Non dico ch’una mercenaria mano
abbia con quanti diti, tante morti;
ma i lupi ora che fan? ch’a bran a brano
quel pontefice pien di mille torti
non squarciali ad essempio altrui, che caro
un atto ebbe a veder si temeraro?
62
Dionisio e l’altra infamia di Ciciglia,
che cosse l’uom nel bue del ferro ardente,
Neron, Mezenzio e quanti mai vermiglia
féron del ciel la faccia crudelmente,
qui rallentata non avrian la briglia
de l’ impietá, ch’alcun cosi vilmente
permettesser giamai negli occhi loro
fosse battuto senza altrui martoro.
Stette, a quell’empia man, cosi la faccia
di quel vittorioso ed umil Agno
come sta vecchia palma, ove s’abbraccia
col ciel Idume, al Borea ed al compagno;
anzi chi rende al mar quella bonaccia
c’ha fontana tranquilla o cheto stagno,
tranquillo e cheto in gli occhi a quelli fuore
fece apparir com’era dentro il core.

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64
Parve a Giovanni (il quale a le mill’onte
fatte al Maestro mille volte muore)
quella percossa a la serena fronte
come tanaglie gli stringesse il core;
non puote oltra soffrir le troppo cónte
malvagitá del brutto e rio pastore:
fugge piangendo, e ’l petto e ’l crin si lania
fin che pervenne a Lazar di Betania.
Turbossi oltra misura Pietro allotta,
come si turba il mar, percosso il cielo;
e se non che rimembra l’interrotta
dal Mastro impresa di ferir col telo,
forse di quel villano a l’empia botta
levato avrebbe a piú d’un Malco il pelo:
io dico «forse», che dubbiar mi face
d’un’ancilluzza il mormorar loquace.
66
Al rimbrottar d’un’unta, affumicata
e venal fante, il cavaglier, che poco
dianzi animoso insanguinò la spata
e fe’ da cento armati darsi luoco,
ecco impaurito trema; e quella amata
tua Pietra, o buon Iesú, che a l’almo fuoco
scelt’ hai per sovra imporvi la tua Ròcca,
ecco se a lieve soffio in giú trabocca!
67
Dico eh ’una bisunta e laida serva,
uscita forse allor de le patelle,
vede scaldarsi Pietro, il quale osserva
del Mastro le risposte accorte e belle.
Tutta si gli rivolta, qual proterva
cagna, cui vote pendon le mamelle,
che, visto il poverel, gli corre adosso,
ed esso al me’ che sa se n’ha riscosso.

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63
Alza l’arguta voce, onde le genti
accorrer fa, gridando: — E tu di quelli
sei pur, mal uomo ! — E Pietro fra li denti
risponde a lei: — Non so quel che favelli! —
Al qual contrasto un de’ piú vii sergenti
guatollo e disse: — Inver di quei rubelli
tu se’ di Galilea, ch’io t’ho qui scorto,
e vidi te con quell’ Iesu ne l’orto. —
69
Anzi — soggiunse un altro — è proprio desso,
ch’ai mio parente giá spiccò l’orecchia. —
Trasse allor téma Pietro di se stesso,
e gli fe’ un viso qual di volpe vecchia,
ch’alfin, caduta in laccio, tutta in esso,
che tese a lei, con umiltá si specchia:
— Non, v’ingannate! — disse — ch’io quest’uomo,
per Dio! né so chi sia né come il nomo. —

Allora, in questa fin di tre menzogne,
lesti, che vi ha le orecchie via piú pronte
che le risposte a l’ improbe rampogne
di quel prelato e de’ suoi mimi a Ponte,
acciò che ’l car discepol si vergogne
d’un error tanto, a lui piegò la fronte;
donde una fiamma lampeggiò si forte,
che spinse Pietro al rischio de la morte.
71
E tutto a un tempo, quattro e cinque volte
scosse l’augel crestato l’ale a’ fianchi;
poscia, curvando il collo, a canne sciolte
garrí dicendo: — Pietro, di fé manchi! —
Subito amare lagrime giú vòlte
dagli occhi, e misti a lor sospiri stanchi,
rupper a un tratto, come al Pado Tonde,
rompon soperchie a le mal ferme sponde.

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72
Quindi si parte tacito, ma drento
sentesi aver bevuto il mortai tosco;
corre fuor di cita, ché ’l violento
liquore il caccia in un selvaggio bosco:
ivi abondò cosi di pioggia e vento,
che ’l ciel di conscienza irato e fosco
tornossi lieto, e reso il bel sereno
di viva speme, cosse il mal veleno.
73
Anna, dubbioso di venire al punto
de la ragion dove ne sia confuso,
a Caifa il manda, ch’ivi erasi giunto
de’ farisei lo stol, secondo l’uso.
Stava quel lupo, da gran fame punto,
mezzo a le volpi digrignando il muso,
che giá li par cacciarsi in ventre quello,
addutto inanzi a sé, pascale Agnello.
74
Hanno questi ribaldi assai tra loro
pensato e ripensato, detto e fatto,
come di frodi tessano un lavoro,
per cui l’ Innocentissimo sia tratto
a morte ria, per uno di coloro
ch’abbiano spesso un popolo disfatto
per lor sedizione, o con inganno,
per regnar essi, ucciso alcun tiranno.
75
Due facce al fin sfacciate, duoi di quelli
che per vii prezzo il «si» pel «no» diranno,
che, ladri, falsi, adúlteri, rubelli,
s’ombrano il di, la notte intorno vanno,
posti gli sono avanti e, arditi e felli,
con giuramento in testimon si danno,
ch’ei detto avea potere in poco d’ora
strugger lo tempio, e poi rifarlo ancora.

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76
L’esser bugiardo, falso e traditore
(s’io non m’inganno) vien fin dal prim’ovo.
Nei figurati detti, che ’l Signore
lor fea, cosi parlato aver ritrovo:
— Sciogliete questo tempio, c’ho valore
in spazio di tre di rifarlo nuovo ! —
Ma del corporeo suo bel tempio disse,
che, per lor sciolto, poi tre di ravvisse.
77
Oh malvagio costume! Quanto è presto,
quanto è spedito a fare il mal pensato!
Vedean l’amor del popol manifesto,
che a lui va sempre inaliti, dietro e a lato;
vedean Ch’Erode, che ’l pretor, che ’l resto
dei nobili romani aveanlo grato.
Però vi alzò Pluton la coda, e astuccia
fuora spruzzò con forma di bertuccia.
7S
Va questa ladra simia e maladetta,
nata per secar piante ed ogni fiore,
uscitasi di parte si mal netta,
va de l’antica sua magion nel core
degli asini giudei, malvagia setta;
ed opravi cosi, che, ’n odio amore
cangiato, chiamerá, chi chiamò «osanna!»:
— Sia crocifisso! a morte tu ’l condanna! —
79
Caifa, contento giá piú ch’allor fue
quando s’ornò del manto ambizioso,
improverando grida: — Or l’opre tue
son chiare ornai, né tu puoi star nascoso!
Odi tu quanto dicon queste due
degne di fé persone? Tu tant’oso,
tu tanto temerar, che sfar, rifare
un tempio puoi, del mondo il singolare? —

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80
Non degna il modestissimo Maestro
risponder ad un’alma pertinace.
Foggia non è che spirto tanto alpestro
lentar potesse mai; però sen tace.
Levò quell’arrogante il braccio destro
verso del ciel, giurando pel verace
e vivo Dio, ch’a sé certezza dia
s’egli è Figliuol di Dio, s’egli è ’l Messia.
81
Non tacque allora il gran Figliuol; ma, stretto
dal caro amor paterno ed infiammato,
rispose: — Da te stesso, ecco, l’hai detto!
Ma dico il vero a te, popol ingrato,
ch’ancor vedrai de l’uomo ’l Figlio eletto
sedersi del suo Padre al dritto lato,
al qual sopra le nebbie a suon di tromba
si scuopriran chi corvo, chi colomba! —
82
A tanto dir quell’ impazzito e fiero,
s’una stoccata in petto avesse tolta,
si ruppe il manto al petto, ch’era intiero,
e con man si feri piú d’una volta:
prodigio aperto, ché del vecchio Piero
la barca fia divisa per la molta
discordia de’ prelati e per la poca
lor fé, ch’ora gelata stassi e fioca!
83
Chi giamai vide a la catena l’orso,
ch’abbia di pietra un colpo ricevuto,
arrabbiar di stizza e dar di morso,
forte ruggendo, a l’omer suo velluto?
Non meno Caifa, essendogli concorso
al core, a Pugne il fele conceputo,
cosi graffiossi, che sparti la toga
pontificai de l’empia sinagoga.
T. Folengo, Opere italiane - II.
18

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84
Al muso, come porco, tien le schiume,
e grida e latra e dice: — Ha bestiemato:
usurpasi l’onor del santo Nume,
e s ha del proprio error testimon dato !
Che vi par dunque? Or quanto si presume
questo vii fabro, in picciol terra nato! —
Cosi parlando, gli sputò nel viso,
e n quella ognun gridò che fosse ucciso.
85
O gran Motor del ciel, perché non schianti
la vigna ingrata e ’n centro non l’assorbi?
Trann ecco il dolce figlio a Ponzio avanti
quegli tuoi israeliti pazzi ed orbi :
esso, come colomba, tace a tanti
scherni d’ungiuti astorri e negri corbi:
chi sputalo nel viso, chi ’l percuote,
chi pela il mento e graffiagli le gote.
86
Allor Pilato, avegna fosse adorno
d’ogni sceleratezza da che nacque,
quando cosi bell’uomo in si vii scorno
videsi addure, in gli occhi assai gli spiacque:
mosche non van si spesse al mele intorno
come quei lupi al biondo Agnel, che tacque
sempre a chi l’urta, improvera, calpesta
tutta la notte insino a l’ora sesta.
87
Dunque sgridolli quel roman superbo,
donde fúr tosto mille mani ascose;
poi, vólto a’ farisei, con volto acerbo
Queste son — disse lor — di quelle cose,
che voi sapete far senz’osso e nerbo:
cose sinistre, insulse e dispettose!
Qual causa v insta si, che vostra rabbia
in un tant’uomo a disfogarsi s’abbia? —

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88
Al qual risponde il piú degli altri astuto:
— Signore, inver troviamo ch’ei soverte
la gente nostra e nega che ’l tributo
a Cesare si dia; poi con scoperte
bugie va divolgando esser venuto
quel giá predetto Cristo, il qual ne accerte,
come figliuol di Dio, come Re nostro,
dover toglier da noi lo giogo vostro. —
89
Pilato, eh’ è romano e a lunga prova
nel governo avezzossi a creder poco,
credette nulla, perché cosa nuova
non gli è di quei ribaldi l’esca, il fuoco;
e pur con loro simular gli giova,
ché fuor si turba e dentro ne fa gioco.
Volgesi al Re del cielo e dice: — Sei
re tu, come va ’l grido, degli ebrei? —
90
Il Re risponde: — Tu per te lo dici! —
Pilato a lui: — Non odi tu la voce
in danno tuo di questi tuoi nemici? —
Tacque Iesu per non vietar la croce,
ché, quando contrastar quegli infelici
voluto avesse, quel roman feroce
lor svergognati avrebbe, lui francato
e come savio e nobile osservato.
91
Ma Giuda, in questo mezzo, erede fatto
di quante chiome squarcian le tre sori,
va quinci acceso, quindi mentecatto,
spegnendo l’erbe ovunque passa e i fiori.
Porta l’argento in man del crudel patto;
ma l’odia il tristo re de’ traditori :
anzi sen viene a Caifa e grida: — Guai
a me, che disperando in Dio peccai !

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92
Peccai, misero me! ch’io v’ho tradito
per avarizia il sangue giusto e santo:
pigliate il vostro argento, ch’io pentito
son giá del fallo mio, né vaimi il pianto ! —
A cui risposer: — S’hai di ciò fallito,
ch’abbiamo a farne noi? Tu questo tanto
porta con te, ché noi ne siamo netti:
guarda com’al giudiccio ti sommetti! —
93
Partesi quel mal seme disperato
e, non lontan da dove piagne Pietro,
s’ebbe a la corda il gozzo avvilupato
presso ad un tronco non di canna o vetro,
il qual poi ch’ebbe intorno rimondato,
mira ch’alcun noi vegga inanti e dietro:
monta l’infausto sorbo e giú si lancia;
restavi impeso e scoppiagli la pancia.
94
Era tra Ponzio ed il secondo Erode
cresciuto, come avien, non picciol sdegno,
ché per superbia lor, per ira e frode
mai duo’ tiranni non abbraccia un regno.
Iesu, che de la pace piú si gode
che non si duol del vituperio indegno,
mentre da questo a quel, da quello a questo
tratt’era, ogni lor furia smosse presto.
95
Erode avea gran tempo avuto brama
vedere il Salvator, non perché voglia
creder in lui, ma la mirabil fama,
ch’ognor crescendo monta in ciel, l’invoglia
di veder segni ; e sol perché non ama
ch’a sé de le sue mende il carco toglia
piú che levare un morto e vivo gire,
puotelo sol veder, noi puote udire.

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96
Mosso da leggerezza, si gli chiede
che ’n sua presenzia qualche segno faccia,
perché gli ne dará quella mercede
che d’oro o gemme od altro aver gli piaccia.
Tace Iesú, né a quel delir succede,
ché quanto il prega piú, non piú gli taccia:
donde, sdegnato, il fa vestire a bianco
e con mill’onte a Ponzio tornai anco.
97
Il qual, vedendol ritornar coperto
di bianchi panni, giudica colore
tal esser d’innocenzia un segno aperto,
qual fu per scorno dato e per disnore:
onde dicea: — Perché m’avete offerto
voi cotest’uomo pio per malfattore?
Ecco, s’Erode il rende salvo, a cui
sta di punirlo, a che far questo nui? —
98
Risposer quelli: — Se foss’uomo giusto,
e non rubel, com’è, né scelerato,
giá non si chiederebbe che combusto
o posto in croce fosse o scorticato.
Sapiamo ben che de l’invitto augusto
Tiberio avete a cor servar lo Stato,
e eh ’aspramente si punisce quello
che gli è, come costui, vasai rubello! —
99
Pilato disse: — Voi che gelosia
avete si di legge, vostra moglie,
ecco, pigliatel voi, ché ’n me non sia
gesto verun che di ragion si spoglie:
fatene strazio, incendio e notomia,
beetevi quel sangue a piene voglie ! —
A questo dire ognun di loro grida:
— Legge non vuol ch’altri per noi s’uccida! —

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100
Allor sen riede al tribunale e fassi
condurre avanti un si gentil prigione,
che ’ntenerire avria possuto i sassi.
Tratto come si suol trar un ladrone,
col capo chino e muto a Tonte stassi:
né fa pur motto in sua defensione,
se consapevol fosse ben di qualche
sua gran sceleritá che dentro il calche.
101
Parla il romano e dice: — Or voglio certo
esser (non mel negar!) se tu re sei:
giá molti e molti di mi vien referto
starsi nascosto un re degli giudei. —
Allor quell’ Agno in su l’altare offerto
risponde umilemente: — Io giá ’l direi;
ma l’hai tu detto in prima; e donde ’l sai?
o pur da te riconosciuto l’hai? —
102
Signor, mirate con qual arte giri
datorno a questo il cacciatore accorto,
acciò ch’a la sua rete un’alma tiri,
ché senza legge va per calle torto;
sfoga dal santo petto alti sospiri,
non piú perch’abbia tosto ad esser morto
che per disio di riparare, inanti
l’andata sua, tanti perduti e tanti!
103
Sa che la moglie di costui, romana,
o Sergia o Giulia o d’altra nobil prole,
non so qual visione orrenda e strana,
che rado agli mortali accader suole,
avea veduta e non pensata vana,
e dettone al marito piú parole,
il qual temea veder, se Cristo ancide,
vegghiando ancor, ciò ch’essa in sogno vide.

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104
Al qual Iesú: — Non è di questo mondo
il regno mio; ché, quando cosi fosse,
quanti fedel ministri altrove ascondo
farian sentire a voi, mortai, lor posse!
Tengo ’l mio stato piú alto e piú profondo:
colá son quinci per tornar, ma scosse
che l’arme sian di man del re de l’ombre,
donde convien eli ’una gran gente sgombre.
105
Qua venni per aprire a l’uomo cieco
gli occhi de lo ’ntelletto a Veritade,
di cui son testimonio e l’ho qui meco
con Fé, Pietá, Fortezza e Caritade. —
A cui Pilato: — Hai Veritá qui teco?
e chi è? — Cosi, poi ch’ebbe detto, cade
il sciagurato in merito di mai
non pervenir d’un tanto sole a’ rai.
106
S’affaccia del palazzo ad un balcone,
ché ’l popol sta lá giú per non v’entrare:
entrar non vuol né può, sol per cagione
del di pascale, a lor si singolare.
Stanno da settemillia e piú persone
in su la piazza grande ad aspettare,
tra quelli che Iesú vorian vedere,
tra quei c’han voglia in lui sol di nocère.
107
Parla Pilato a loro: — I’ non ritrovo
causa perch’un uom tale morir deggia.
Ho di sua vita cerco dal prim’ovo:
dubbio non ha, costui gli dèi pareggia:
ma, sendo un uso in voi non strano e nuovo
ch’un simil mio, ch’ai popol signoreggia,
da Pasca un reo di carcere vi dona,
vi donerò chi porta in voi corona. —

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108
Ratto di mille voci alzossi un grido:
— Non costui, no, ma Barabam ci lascia!
Era Barabam ladro ed un bel nido
d’ogni sceleritá da prima fascia.
Oh volgo infame, oh trascurato, oh infido
a chi ti leva di si lunga ambascia!
Ma tosto n’averai secondo il merto
larga mercede: dentilo per certo!
109
Vieni, Vespasiani vien, Tito; e voi,
romani altieri e domator del mondo,
schiantate questa vite a tal, che poi
non mai rinverda da la cima al fondo !
Sopra sé il sangue e sopra i figli suoi
sia di quel santo e puro Agnel, secondo
si chiameranno i duri di cervice
del ciel sopra di sé la man ultrice !