Storia della vita e del pontificato di Pio VII/Libro II - Sommario IX

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Libro II - Sommario IX

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LIBRO IX





SOMMARIO



Il governo si consolida con la promulgazione di vari codici e di savie leggi. Nuovi pericoli per colpa del brigantaggio e nuovi sforzi per estinguere la trista razza. Si rinviene il corpo del serafico patriarca di Assisi, ove il papa spedisce una commissione di vescovi. L'Inghilterra dà al pontefice e al suo primo ministro belle e nobili prove di simpatia. In Roma si riapre il collegio inglese. Crea Pio VII tre cardinali francesi e molti italiani. Senza depauperare lo stato, protegge splendidamente le arti, aggiunge un nuovo braccio al museo vaticano, promove gli scavi, restaura i monumenti, ordina le grandi sostruzioni pinciane e nelle aule capitoline fa collocare l’erme degli uomini illustri, tolte dal Panteon. Roma si sgomenta della rivoluzione di Napoli che invade il Beneventano. Fuga del governatore di Roma Tiberio Pacca. Muore Napoleone nell'isola di sant'Elena. Il re di Prussia visita la capitale del mondo cattolico. La pontificia accademia di san Luca rende gli onori funebri ad Antonio Canova, morto in Venezia. Concede il papa l'onore della porpora ad un prelato francese e al monaco camaldolese Placido Zurla: invia al Chily vicario apostolico l'arcivescovo di Filippi e gli dà compagno Mastai, oggi Pio IX. Un nuovo e temuto disastro copre Roma e il mondo di lutto. Cade Pio VII e si spezza l'osso del femore: quella [p. S9 modifica]frattura dai medici è dichiarata mortale. Gli si prodigano le più assidue e le più affettuose cure. Per non contristare le ultime ore dell'augusto infermo, gli si tiene nascosto l'incendio della basilica ostiense. L'imperatore d'Austria e il re di Francia s'interessano delle sofferenze del papa che va declinando ogni giorno. Pregasi nelle chiese di Roma pro pontifice morti proximo, e questi, munito dei sacramenti della chiesa, dopo lunghi patimenti, rende lo spirito a Dio. Compiute le funebri ceremonie novendiali, i cardinali adunati in conclave eleggono successore Leone XII. La gratitudine di Consalvi erigge a proprie spese un monumento alla memoria di Pio VII nella basilica vaticana. Conclusione. [p. 188 modifica]

LIBRO IX.


S
apea Pio VII e non ignorava Consalvi di comandare ad un popolo che avea acquistati nuovi pensieri, e sentiva nuovi bisogni. Napoleone guerriero per natura, conquistatore per istinto, divenuto legislatore avea lasciate troppe prove di sua grandezza in Europa e troppe rimembranze in Italia per poterle saltare a piè pari, come taluno, che mal seppe ottemperarsi all’esigenze dei tempi, avrebbe desiderato. Consalvi, mente elevata e non compresa da tutti, posto a contatto dei grandi politici della sua età che nel congresso viennese pesarono i destini degl’imperi e dei regni, avea compreso che la rivoluzione di Francia, unica nella storia delle nazioni, compressa dalla mano vigorosa di Bonaparte, più che francese dovea dirsi mondiale, dappoichè tutti gli ordini avea travolti, lacerate le mappe geografiche che dividevano gl’imperi, create nuove dinastie, nobiltà nuova, dati nomi nuovi alle cose, stabiliti nuovi sistemi. L'opporsi all'andamento universale del mondo, che mai indietreggia, era opera più che vana, imprudente: rimarginare le piaghe di un governo di conquista, preparare savie leggi, far sentire ai popoli le dolcezze di un viver pacifico era l'opera raccomandata dalle potenze alleate, voluta dai tempi, imposta [p. 189 modifica]dalla prudenza. Facciano mal’occhio a questa opinione quanti vorrebbero, che il mondo non procedesse di un passo: certo è che comprese Consalvi l'indole della età nuova e senza offendere la maestà del principe, senza compromettere la tranquillità dello stato, ebbe animo eroico e mente eguale ai bisogni. Lottò contro i difensori dell'antico sistema, che il diceano incanto e imprudente, ma ebbe dalla sua l'opinione dei gabinetti di Europa, l'illimitata fiducia di Pio, gli elogi della posterità che lo riguarda come uomo sovrastante al suo secolo e dichiara il suo governo giusto, liberale ed illuminato. 1 Accomodare le leggi ai bisogni, creare commissioni per la formazione dei codici, conservare amichevoli rapporti con le corti straniere, abbellir Roma, proteggere le scienze e le arti, promover l'industria e il commercio formò l'oggetto delle sue cure. Egli tenne con ferma mano tutte le file che costituiscono la vasta tela governativa: parve dispotico, fu previdente.

II. Classificare lo stato, promulgare le leggi, organizzare i tribunali era accorgimento desiderato, anzi assoluto bisogno. Pio VII soddisfece ai doveri di principe magnanimo e generoso, Consalvi a quelli di primo ministro illuminato ed accorto. Vennero dichiarate legazioni Ravenna e Forlì per la Romagna: Bologna e Ferrara per le provincie di questo nome: Urbino e Pesaro per quel ducato. Marittima e Campagna ebbero capo luogo Frosinone: Rieti dichiarata residenza delegatizia per la Sabina; pel patrimonio Viterbo e Civitavecchia: Perugia e Spoleto per l'umbria, per le quattro provincie marchiane Macerata, Fermo, Ascoli, Ancona: Benevento per quel dominio situato in mezzo al regno di Napoli. Andò più tardi sottoposta [p. 190 modifica]Velletri alla giurisdizione ecclesiastica e civile del cardinal decano del sacro collegio. Le delegazioni si suddivisero in governi di prima e seconda classe. Organizzaronsi tribunali civili non meno che criminali: quello di Bologna fu stabilito per l'appello delle cause nelle legazioni: per le provincie marchiana, urbinate e camerte si creò in Macerata corte di appello: a quello della sacra consulta furono devolute le cause delle altre provincie. Ricordo le istituzioni Piane, perchè si dissero tali da consolidare la forza del governo e assicurare il bene dei sudditi. Sino dal mille ottocento sedici avea il papa su basi uniformi organizzate le magistrature e assicurata la regolare amministrazione delle materie civili, che costituiscono il fondamento del sociale edifizio, dando ai suoi popoli un codice di legislazione civile che riuniva sotto un solo aspetto con semplicità e con chiarezza le norme di giudicare: materie confuse e sparse nel pelago d'una giurisprudenza, per la diversità dei costumi resa malagevole ed intricata. Questo beneficio supremo fece sparire il conflitto delle opinioni e delle dottrine, rese più astruse dalle sottigliezze dei glosatori, dalla moltiplicità dei volumi, dall'immenso numero degli editti: gravissimo danno, che multiplicava le dispute, le rendea eterne. Non tenendosi pago a questa sola provvidenza, pubblicò il codice di procedura per regolare i giudizi, il codice criminale per far cessare quella vergogna degli antichi bandi, le minacciate pene ad arbitrio. Siccome la salute dei popoli è il primo e il più essenziale dovere dei monarchi per desiderio di preservare lo stato dalle calamità dei contagi, pubblicò il motu-proprio con il quale provvide alla sanità marittima dei porti e lidi dei pontificali dominî. Eranvi editti e bandi imposti per lo più dalle circostanze e dalle calamità dei tempi e perciò privi di quel nesso, che dà forza alla legge. Tante saggie disposizioni, che agevolmente ricondussero la prosperità nella capitale e nelle provincie, tornarono a lode di Pio.

III. Le leggi rigorose emanate dal papa, la severità delle armi francesi, le minaccie delle quali ho altrove parlato non giunsero mai ad estinguere il brigandaggio, a [p. 191 modifica]frenare l'audacia dei crassatori, che infestavano le provincie di marittima e campagna. Causa di tanto obbrobrio l'indole del popolo, la condizione dei luoghi. Dirupati burroni, balze scoscese, folte boscaglie, inaccessibili monti e più che tutto questo la prossimità di un altro stato, contribuivano a render malagevole e forse impossibile l'estirpare la trista razza. Posti costoro a vedetta sul ciglione dei monti o sulle cime degli alberi, cauti spiavano da lungi o il procedere delle vetture per assaltarle o l’avanzarsi dei soldati per evitarli. Snidati da un covo, si arrampicavano sull'altro; sorpresi nei profondi valloni, guadagnavano la sommità dei motti: stretti, incalzati, vicini a cedere, varcavano i confini dello stato, sfidando î persecutori derisi. Un avvenimento funesto scosse quella specie d'inerzia per lo più imposta dalla difficoltà dell'impresa. L'audacia di questi predoni assalì nel profondo della notte il seminario vescovile di Terracina, situato fuori le mura della città. Il rettore, i prefetti, gli alunni, persino i servi, furono con violenza portati nelle gole inaccessibili delle montagne. Era universale lo sgomento quando videsi nell'atterrita città rimandati i più deboli fra i prigionieri con lettere minacciose chiedenti riscatto e immediato. La pietà dei figli impose sacrifici a quelle desolate, ma ricche famiglie: fu raccolta la somma da gettarsi a quell'orda di scelerati e su per dirupi, col danaro richiesto, già incaminavansi gl'inviati. Volle sventura, che dalle vedette fossero creduti soldati spediti dal governo a sorprenderli: si gridò tradimento, ma non si disposero alla fuga se non dopo avere legati agli alberi e sgozzati tre di quei giovanetti infelici, perchè l’immane spettacolo arrestasse gli assalitori, seco traendo gli altri a nuove vendette. Questa scena sanguinosa commosse gl'inviati di Terracina, che giunti sulla sommità della montagna, inermi come cerano, vennero riconosciuti. Pagato il riscatto dei fanciulli, sciolti dagli alberi i cadaveri dei trucidati, seguiti dalla mesta schiera dei vivi, ripresero dolenti la strada di Terracina. Dire le lacrime che si versarono, il lutto della città, i gemiti dei congiunti di quelle vittime [p. 192 modifica]sventurate è per me doloroso: può immaginario il lettore. Vennero in Roma i giovanetti, sottratti per oro alla mano di quei ladroni: lo spavento durò in essi per lunghi mesi: i romani si commossero: Pio li protesse e vide la necessità di provvedere energicamente ad un danno supremo, che tornava a disdoro del paese, gli stranieri tenea lontani da Roma e affligea le provincie. Mentre tutto andavasi disponendo per chiamar Napoli agli accordi e uniti purgare quelle contrade, ad affrettare le convenzioni fra i due stati sopraggiunsero nuove paure. Stava lontano da Roma nella sua villa alla Ruffinella il principe Luciano Bonaparte. Adunghiato dai masnadieri il cappellano della casa, che andava sul declinar del giorno a diporto, fu obbligato a servir di scorta alla schiera di questi banditi, che speravano ricchissima taglia dall'arresto del principe. Volle fortuna, che fosse questi lontano, per cui la loro odiata presenza recò danni, ma riparabili. Non pietà di famiglie innocenti, non timore di provocata vendetta, non santità di luoghi consacrati al culto di Dio fu barriera alle escursioni dei banditi. Vivevano sul Tusculo vita eremitica e interamente separata dal mondo i camaldolesi. Una bumerosa banda di questi assassini nel cuor della notte invase quel recinto, penetrò nelle celle dei cenobiti, li strappò a viva forza da quelle, e guardati a vista, come venivano nelle loro mani, erano trascinati nella piccola piazza, che si apre innanzi alla chiesa. Uniti insieme quei buoni eremiti, posto a ruba il monistero, senza riguardo alla età, agl'incomodi che sopportavano, dato l'ordine della partenza, si prese la via del Tusculo e con immensi disagi dopo un viaggio di due giorni non inseguiti, non soccorsi, furono trascinati nei loro covili: solo tre cenobiti ahbattuti dallo strazio e lasciati sulla via perchè impedimento alla fuga, narrarono il tristo fatto. Col mezzo d'uno di essi, con minaccie letali osavano proporre il riscatto al governo atterrito da tanta audacia. In Roma si agitavano gli animi in dubbia sentenza: prevalse il rigore e fu deciso combatterli. Forti distaccamenti partiti dalla capitale e dalla provincia corsero sulle traccie degl'assassini, animosi li [p. 193 modifica]riaggiunsero. S'impegnò fiera lotta fra loro. Profittando i religiosi della confusione generata dalla sorpresa, si dispersero, fuggirono per quei dirupi, furono salvi. Ne rimase uno solo. Ferito in una gamba da un colpo di fuoco giacque, lunghe ore, ma raccolto pietosamente e portato in Roma per molte cure risorse: 2 gli assassini riguadagnarono le gole dei monti. Si adottarono severe misure per frenare la loro audacia, si posero a prezzo le teste dei malviventi, che lungi dall'atterrirsi dei rigori, moltiplicavansi, minacciavano. Si stabilirono patti col re delle due Sicilie, o fu scarso il vantaggio ottenuto: i brani dei delinguenti colpiti dalla legge e collocati, miserando trofeo di giustizia, lungo le vie erano segno a nuove e sanguinose vendette. L'impunità promessa non era stimolo ad abbandonare un mestiero pericoloso, che dava grossi guadagni: gli evasi dalle galere, i colpevoli di grandi delitti, cercando impunità, andavano ad ingrossare le torme degli assassini per combattere la società, che li avrebbe puniti. Questo male supremo, conseguenza terribile della ignoranza di un popolo d'indole altera, a cui scorre nelle vene un sangue ardente, fu e sarà sempre vergogna e danno d' Italia.

IV. Un avvenimento importante e da lunghi secoli desiderato fu lieto presagio a Pio VII e rallegrò quanto meno credevasi la chiesa e i numerosi figli del serafico patriarca di Assisi. Era ignoto il luogo, ove le spoglie mortali di san Francesco furono collocate: solo sapevasi per tradizione, che erano nella chiesa. L'amore di fra Elia, dopo la morte del santo eletto superiore dell'ordine e la pietà dei cittadini di Assisi, temendo le sorprese dei devoti e la popolare violenza, avea gelosamente nascoste le venerande reliquie in una cassa di pietra assicurata dai [p. 194 modifica]ferri e collocata nel fondo di un grosso muro che, movendo dall'ara massima, estendevasi per tutta la chiesa. A questa cautela necessaria a quei tempi in cui, mosse da spirito religioso, le città s'involavano a gara i corpi dei santi, sorgente talvolta di civili discordie, sempre di odî e di scandali, si aggiunse il comando di Sisto IV, che, a preghiera del missionario san Giacomo della Marca, impose ai religiosi di chiudere la scala che dava accesso ai sotterranei del tempio. Dopo sei secoli di silenzio, fatte le indagini opportune, scoperto il sacro deposito sotto l'altare della basilica inferiore, il dì dodici decembre mille ottocento dieciotto si rinvennero le ossa del santo fondatore dell'ordine serafico sciolte dalle proprie connessioni, ma collocate nel loro luogo e con le mani in forma di croce sovraposte sul petto. Deputò il papa cinque vescovi alla compilazione del processo: sottopose la discussione accurata ad una congregazione di cardinali e teologi e dopo due anni d'indagini, di esami dichiarò solennemente la identità del corpo trovato, volle che nell'urna istessa si serbassero le ossa e permise che le ceneri fossero distribuite ai fedeli3. Da tutti i regni della cristianità giunsero premurose domande e la devozione verso il serafico fondatore dell'ordine minoritico mirabilmente si accrebbe. Per le generose obblazioni del pontefice, dell'imperatore austriaco, dei principi italiani si ebbero i mezzi di costruire innanzi al venerando deposito una devota cappella. In segno di letizia volle il papa contrasegnato l'anno vigesimo primo dei suo pontificato da una medaglia che porta la sua effigie da un lato e dall'altro presenta alcuni padri minori conventuali nell'atto di assistere i cinque vescovi inviati in Assisi per il riconoscimento del corpo, di san Francesco4 [p. 195 modifica]

V. La benevolenza e le simpatie dell'Inghilterra verso il pontefice aumentavansi per la nobile condotta del suo segretario di stato. Si fecero amorevoli accoglienze a Canning ministro pel dipartimento dell'Indie orientali: fu ricevuto con sentimenti di compiacenza l'incaricato di Hannover inviato da Giorgio IV. Il re raccomaudavasi alle preghiere di Pio e Pio disse ai suoi: proviamoci di rispondergli presso a poco con i termini che usiamo con i principi cattolici. Bastava essere inglese per aspettarsi dal governo del papa e da Consalvi compiacenze e favori: le nazioni n'erano quasi gelose. Court, ministro del regno unito presso la corte siciliana, recavasi in Roma per presentare a Pio VII affettuosa lettera del reggente: un console inglese stabilito negli stati della chiesa fece sperare che più tardi vedrebbesi in Roma un rappresentante dell'Inghilterra. Si vide giunger da Londra l'illustre pittore inglese Lawrenco incaricato di fare i ritratti del santo padre e di Consalvi. Fu accolto con favore dal papa, dal suo segretario di stato, dalla nostra accademia di belle arti ed ebbe stanza nel palazzo del quirinale: videro tutti in questo atto un pegno di affettuosa simpatia e di non lontana concordia. Quest'opera, che nella galleria del castello di Windsor dovea completare la serie dei sovrani e dei ministri inviati alle conferenze viennesi, fu esposta in una sala del quirinale. Il papa e il cardinale ne furono soddisfatti. La critica romana, che nulla perdona, disse trascurati gli accessori, ma per l' effetto e per la somiglianza pregevole quel dipinto. Roma possiede il ritratto di Giorgio IV spedito dalla corte brittanica in dono al pontefice 5. L'Inghilterra onorava il coraggio di Pio e sapea quel re come una delle cause che avea provocati gli sdegni di Napoleone contro il papa fu il rifiuto dall’accedere al sistema continentale che chiudea tanti [p. 196 modifica]regni di Europa al commercio inglese e avvisava a tutti i modi di mostrarsi riconoscente: ricordava Pio VII che più volte aveagli l'Inghilterra offerto sicurezza ed asilo a bordo dei suoi legni da guerra: che nel congresso di Vienna avea: fatta sentir la sua voce a vantaggio degli stati della chiesa, che benignamente accolse il suo rappresentante: che fece con le sue navi il gratuito trasporto dalla Francia in Italia degli oggetti d'arte restituiti a Roma da Luigi XVIII e che in fine inviò con filiale compiacenza in dono al papa gli schiavi sottratti alla ferocia degli algerini e coglieva avidamente tutte le occasioni di mostrarsi riconoscente. Devesi a questo sentimento di affetto l'aver veduto dopo lunghi anni ristabilito il collegio inglese: santa istituzione, che restringendo i nodi di mutua benevolenza, ha prodotto e produce nobilissimi risultati in quell'impero che gli avi nostri dissero l'isola dei santi. Non appena giunsero in Roma i primi dieci alunni spediti dall'Inghilterra a colonizzare quel sacro ritiro, volle Consalvi presentarli a Pio VII6. Affettuosa e paterna fu l'accoglienza fatta ai giovani coraggiosi che per suo volere e per le cure di Ercole Consalvi facevano dopo lungo silenzio echeggiare di parole inglesi le volte del venerando collegio restituito alla nazione 7. Fra le prove di affetto date dal pontefice agli inglesi non deve tacersi il ricchissimo dono di un calice di oro massiccio, ornato di pietre di gran valore, delle ampolle, campanello e bacile dell'istesso prezioso metallo, [p. 197 modifica]inviato per mezzo del reverendo Gradwell rettore del collegio alla nuova chiesa di Moorfields, della quale gli presentava i disegni.8 Ai palatini che andavano dicendo al papa esser quello l'oggetto più pregevole che possedeva, amabilmente rispose: non darò mai nulla di troppo bello ai cattolici inglesi.

VI. La lontananza da Roma, la prigionia sopportata e le vicende che agitarono per lunghi anni l'Europa tolsero al papa la opportunità di accrescere il numero dei principi di santa chiesa. Restituito felicemente al libero governo dei suoi stati, volle con varie promozioni provvedere alla dignità della santa sede, al vantaggio di Roma, al decoro dell'augusto senato. Nella occasione in cui per secondare le istanze del re cristianissimo decorò della porpora romana tre vescovi francesi: Talleyrand de Perigord, La Luzerne e de Beausset, pubblicò cardinali Francesco Cesarei Leoni decano del tribunale della rota9, Antonio Lante decano dei chierici della camera apostolica10. Decorsi pochi mesi da questo concistoro, promosse Lorenzo Prospero Bottini segretario della consulta11 e Agostino Rivarola maggiordomo dei sacri palazzi apostolici:12 quindi pubblicava cardinali di santa chiesa Fabrizio Sceberas Testaferrata segretario dei vescovi e regolari13, Casimiro Heffelin inviato straordinario e ministro [p. 198 modifica]del re di Baviera presso la santa sede14, Francesco Guidobono Cavalchini governatore di Roma15. La salute del papa andava declinando, allorchè a contrasegnare il principio dell’anno ventiquattresimo del suo pontificato creò cardinali l'arcivescovo di Edessa Francesco Bertazzoli elemosiniere pontificio16, Giovan Francesco Falsacappa segretario del concilio17, Antonio Pallotta uditore generale della camera apostolica18, Francesco Serlupi decano della rota romana19, Carlo Maria Pedicini segretario di propaganda20, Luigi Pandolfi segretario di consulta21, Fabrizio Turriozzi assessore della inquisizione22, Ercole Dandini commendatore di santo Spirito in Sassia23, Carlo Odescalchi arcivescovo di Ferrara24. Erano questi ascritti all'ordine dei preti: nominava cardinali diaconi Antonio Frosini prefetto dei sacri palazzi e maggiordomo25, Tommaso Riario-Sforza maestro di camera del santo padre26, Viviano Orsini decano dei chierici di camera e presidente [p. 199 modifica]dell'annona27. Nell'allocuzione pronunciata in quest ultimo suo concistoro dichiarava al sacro collegio di serbare in petto altri undici cardinali.

VII. Le arti belle sacre alla religione, utili alla società, costituenti anch'esse un ramo non estraneo alla sana politica d'ogni stato, prosperarono mirabilmente sotto il pontificato di Pio. L'abbellimento della città eterna, il progresso delle artistiche scuole, il decoro dell'accademia di san Luca, gli scavi, i musei divennero oggetto interessante delle sovrane sue cure. Restringo in brevi parole le principali cose da esso operate a gloria dell'Italia, a beneficio di Roma. Basta ad immortalare il suo nome il braccio nuovo con l'opera dell'architetto Raffaele Stern aggiunto al museo. Quest'opera monumentale, arricchita di sculture pregevoli e di capo lavori o tornati in luce sotto il pontificato di Pio o acquistati a spese del pubblico erario, desta la meraviglia di ogni culto amatore delle arti e torna a gloria dell’architettura moderna, come quella che lascia in dubbio se più risplenda per la sovrana munificenza che la creò o pel valore dell'artista che seppe così nobilmente eseguirla. Nel panteon d'Agrippa, dalla pietà dei pontefici consacrato al culto divino, raccoglievansi da qualche secolo l'erme, i ritratti di uomini illustri ivi innalzati a monumento di lode dalla romana riconoscenza. Parve a Pio VII nobile quel pensiero e spirante carità cittadina, ma non adatto ad un tempio dedicato alla regina dei martiri e volle conservata la maestà di quello senza defraudare i grandi italiani della debita gloria. Nelle stanze terrene del palazzo dei conservatori di Roma aprì una protomoteca destinata a conservare alla posterità le immagini di quei grandi che resero il nome italiano famoso nelle scienze, nelle lettere e nelle arti: fu eseguito il trasporto dell’erme nel profondo della notte, cosichè all’aprirsi del tempio si videro spogliate di quell’ornamento profano le marmoree pareti del sacro edifizio e si seppe che il papa avea ad [p. 200 modifica]essi decretata nobile è degna sede sul campidoglio28. Chi ricorda il lungo esilio da lui sostenuto e vide le angosce alle quali soggiacque, avrà a meravigliarsi considerando le stupende opere d'arti o rinvenute nelle viscere della nostria classica terra o eseguite sotto il suo pontificato. Non pago di avere aggiunti nuovi ambulacri al museo, lo arriechì delle tavole dei più valenti pittori, di opere egizie, di capo lavori delle arti greche e latine. L'anfiteatro flavio, sublime monumento che ricorda in un punto solo la grandezza dell'impero romano e la costanza dei primi credenti che, fatti spettacolo al popolo, quivi col sangue sugellarono la fede: classico monumento di Roma, che avea subìte tante fasi, era stato in tanti usi convertito, fu per le cure del buon pontefice con saldo muramento assicurato da un lato e in altre parti restituito. Gli scavi da esso ordinati per liberare dagl'ingombri le opere monumentali recarono alto vantaggio alla scienza archeologica, che legge in ogni sasso una storia. L'escavazioni eseguite intorno alla colonna posta in mezzo al foro romano, divenuta il perno di parecchi sistemi, smentirono le molte parole degli archeologici, mostrando sul piedistallo la iscrizione di Foca imperatore che nulla ebbe di comune con la classica età di Roma. Sino dai primordi del suo pontificato cinse di mura e sgombrò i rottami che per, metà nascondevano l’areo di Settimio Severo e ristabilì quello di Costantino. Il monumento famoso per la eleganza che ricorda il trionfo delle guerre giudaiche combattute da Tito era stato bruttato per colpa dei Frangipani, che ne fecero il nucleo di un forte turrito che [p. 201 modifica]nascondea l'arco marmoreo. Secondato il desiderio dei papa dal giovane architetto Stern, venne quel nobile monumento assicurato da una selva di puntelli, di armatore, di travi e con bell'artificio rinnovando le proporzioni, ricercando le linee architettoniche, fu quasi restituito alla sua primiera eleganza e mostrò nei basso rilievi il candelabro, le tavole, le trombe e le altre spoglie del tempio venute in potere di Tito. La continuazione degli scavi e la erezione delle colonne nel foro traiano, incominciata dai francesi, venne perfezionata da Pio, che la cinse di solido mure29: tolse dall'antico squallore il tempio di san Giorgio in velabro, eresse un obelisco innanzi alla chiesa della Trinità dei monti, costruì la fonte innanzi al palazzo del quirinale, restaurò il ponte milvio, accorse al riparo della rovina che minacciava il tempi di Faustina, provvide ad altri bisogni così da far dire che a nessun monumento romano mancò la vigilanza di Pio. Sono ad esso dovute le stupende sostruzioni del colle pinciano, aperto al pubblico passeggio, ornamento e delizia di Roma. A render più sicura la conservazione delle auguste reliquie delle arti antiche e della nostra grandezza, richiamò in vigore le passate consuetudini, stabilì nuove leggi30: creò fondi per sopperire a queste bisogna, istituì una commissione generale consultiva di belle arti, istituzione lodata la cui mercè i musei, le gallerie del vaticano e del campidoglio si arricchirono di nuovi e splendidi oggetti e vidersi i lunghi corridoi che mettono alla biblioteca vaticana pieni di monumenti secondari, urne, cippi, sarcofaghi, are, busti, statue, alcune delle quali di molto pregio e le pareti coperte da [p. 202 modifica]iscrizioni cristiane da un lato, pagane dall'altro. In grazia dell'immortale pontefice il dotto forestiero che visita Roma, solo che volga gli occhi a destra e a sinistra, troverà in una moltitudine di frammenti, di lapidi, ora in rozze cifre, ora in eleganti caratteri, documenti che mirabilmente esprimono le pompose, ma cadenti memorie del dominio pagano, i monumenti vigorosi e crescenti delle prime età cristiane31. Mi duole di non poter dichiarare altrettanto delle pitture destinate a ricordare i grandi eventi dei nostri tempi, eseguite per ordine di Pio, nella biblioteca, accresciuta di autografi e di opere pregevoli dalla sua munificenza e sulle lunette dei vasti corridoi del museo. Esse non s'innalzano all'altezza dell'argomento e sono indegne delle arti nostre. Crescerà la meraviglia se si considera come, ad onta di tante spese sostenute dal governo, non si crearono debiti e a seicento sessantamila scudi ammontarono i sopravanzi.

VIII E mentre tutta Roma pareva tranquilla e sparivano le tracce delle sofferte sciagure, a tumulto alzavasi Napoli. Un Morelli sotto tenente dei reali eserciti, uscito dai quartieri di Nola con poca mano di soldati presa la via di Mercogliano, piccolo paesello che sorge alle falde di Montevergine, guardava Avellino città del principato ulteriore. Poca favilla in terra vulcanica bastò a destare un incendio. La capitanata, il principato citeriore, la basilicata seguivano il movimento, che per bandi e per [p. 203 modifica]ordinanze diceasi non sedizioso, perchè integro serbando lo stato, rispettava l'autorità del re e delle leggi. Non mi appartiene narrare le fasi segnate dalla rivoluzione napolitana, dalla quale si atterri Roma, che paventava l'esempio e sottrasse la provincia beneventana al dominio de papa. Ivi una turba di facinorosi sollevata contro il governo invocava la unione con Napoli. Tre carabinieri perirono nel tumulto: Olivieri delegato, con quaranta soldati si ricoverò nel forte: minacciato, uscì ed emessa protesta per serbare illesi i diritti della santa sede, prese la strada di Roma. Giunto appena la notizia del duca di Calabria, a nome di Ferdinando vicario del regno, quel tristo fatto, impose per pubblico bando ai popoli rispetto all'altrui indipendenza, ai soldati divieto di oltrepassare i confini del regno. A questa saggia disposizione Benevento rispose col crearsi un regime particolare: Pontecorvo seguì l'esempio. Minacciosi erano gli avvenimenti narrati: più gravi quelli che potevano temersi. Ad aumentar la paura venivano i moti delle marche e delle romagne non pronunciati, ma sordi; la rivoluzione spagnola, che obbligava Ferdinando VII a giurare la costituzione del mille ottocento dodici; quelle del Portogallo e della Sicilia, che proclamavano la indipendenza, in fine il minaccioso elemento di novità, che agitava le provincie italiane e in modo più energico le subalpine, ove sino da quell'epoca concepivasi il disegno di rendere l'Italia libera ed indipendente32. La fuga di Tiberio Pacca, direttore di polizia e governatore di Roma, diede argomento a nuovi sospetti. Alcuni lo dissero fuggito, perchè non estraneo ai movimenti politici che agitavano l'Italia, altri perchè minacciato di processo per lascivie e dilapidazioni del pubblico danaro: molti perchè consigliato da Consalvi alla fuga, ond'evitare lo scandalo di disgustoso processo.

IX. Roma seguiva con l'ansia di chi teme l' [p. 204 modifica]andamento della rivoluzione rapolitana. Sapeasi, che tutto il regno era in armi; che i liberali ingrossavano a Monteforte l'esercito; che il re costretto, concedeva la costituzione; che le truppe, accresciute dalle milizie cittadine e condotte dal general Pepe, doveano il giorno nove entrare in Napolì non minacciose, ma liete dell’ottenuto trionfo. Gli amanti di governo monarchico narravano intanto che divenuti insofferenti i soldati di ogni militare soggezione, già nel campo dei rivoluzionari andavansi manifestando i primi sintomi della discordia, perchè gli ordini contradittori e confusi, non intesa la voce dei comandanti, la disciplina negletta, smaniosa in tutti l'ambizione d'onori. Il governo pontificio agitavasi ancora quando s'intese che l'Austria, lamentandosi dell’eseguite riforme, unita alla Russia e alla Prussia dichiarava che gli avvenimenti seguiti in Ispagna nel marzo, nel luglio in Napoli e quindi nel Portogallo aveano eccitato in tutti un sentimento penoso e comprometteva la tranquillità dell'Europa; che per quegl'atti la rivoluzione che aveano compressa rialzava la testa, e che perciò univansi in nuova lega, per valersi dei mezzi adoperati nella lotta memorabile, che spezzò il giogo napoleonico: la forza. Queste voci, la presenza del vecchio re di Napoli in Lubiana, l'invio del cardinal Spina plenipotenziario della santa sede a quel congresso e quindi la suprema volontà manifestata dai monarchi e sostenuta dalle armi, tranquillizzando il pontificio governo, risparmiarono nuove angustie al cuore di Pio33. Non tutte [p. 205 modifica]per altro erano svanite le ragioni a temere: il parlamento napolitano faceva annunziare al papa dal duca di Campochiaro, che al primo irrompere dell’oste austriaca nei dominî della chiesa l’esercito napolitano entrerebbe dalla parte di Terracina. Il momento era supremo, pericoloso l'affrontarsi delle armi. Rispondeva Consalvi, starsi il pontefice sicuro nella sua rigorosa neutralità, nella protezione delle grandi potenze: mancar di mezzi atti a vietare l'ingresso a qualsiasi esercito belligerante: rimanergli solo il dovere di attenuare per quanto era possibile alle sue forze, le dolorose conseguenze d'una guerra combattuta nei propri stati. Intanto le armi tedesche movevano dalla linea del pò e a grandi giornate procedeano verso il regno. La prudenza persuase Consalvi a preparare un appartamento per il papa in Civitavecchia, d'onde avrebbe preso il mare, se il volevano gli eventi. A proteggere il santo padre, per varî giorni si videro bordeggiare su quelle acque due vascelli francesi. Temeasi l'opera segreta delle sette e l'improvviso irrompere delle armi napolitane. La notte del tredici febbraro, ingannato da false voci il governatore di Albano, disse alle autorità marciare i soldati di Napoli su Roma, tenendo la via di Terracina. Atterrito Consalvi, ordinò che sull’istante la città, guardata da soli mille soldati, si ponesse sulle difese. Quattrocento uomini della guardia civica furono chiamati a sostegno delle milizie ordinate. Tumultuariamente si mandò in cerca di munizioni e di commestibili, portati in fretta a castel sant’Angelo: si munì di artiglierie e di soldati la porta di san Giovanni, si spedirono esploratori. Visto che tutto era tranquillo, il dì seguente si sciolsero gli armamenti. Per altro i timori concepiti dal governo non erano senza fondamento. Turbe di napolitani, ingrossate da fuorusciti di vari paesi, muovendo dagli Abruzzi, allargavansi sino al Tronto, scorrevano il paese, che giace sulle spiagge dell’Adriatico, spargendo proclami a nome di una unione patriottica, chiedenti costituzione modellata su quella di Spagna. A conseguirla con la forza delle armi, designavansi quattro campi in Pesaro, Macerata, Spoleto e [p. 206 modifica]Frosinone nè tenendosi paghi a questo, aprivano le carceri, poneano le mani sul danaro pubblico, depredavano le casse municipali. A vendicare l'insulto portato al governo si destarono gli spiriti bellicosi del ligure prelato Zacchia, antico soldato dell'impero, che al primo irrompere dei faziosi, con militare accorgimento, raccolse i carabinieri e le poche truppe che guardano la provincia e alla testa di seicento uomini, costrinse gl’invasori a rientrare negli Abruzzi. Intanto le armate di Cesare avanzavansi a grandi giornate. Alcune schiere di soldati austriaci eransi accampate a monte mario, quando s'intese che la guerra audacemente rotta in Rieti dal general Pepe avea dato agli austriaci le chiavi del regno, lasciando indifesa Antrodoco.

X. Le gloriose memorie del passato, le afflizioni di un esilio amareggiato dagl’inutili rigori di Hudson Howe aveano lentamente consumata la vita dell’uomo, che tenne in mano i destini di Europa, che a bordo del Northumberland avea con uno sguardo fatto tremare l’ammiraglio Keitb, quando osava domandargli la spada, che vinse cento battaglie, abbassò tanti re e fece tremar l'Inghilterra. Napoleone il dì cinque maggio mille ottocento ventuno pagò alla natura il suo tributo, circondato dai generali che, per sentimento di amicizia e di onore, seco divisero le pene dell'esilio e assistito dall’abate Vignali. Questa notizia empì il mondo. Pio VII, che maestro nella dottrina del perdono, avea cercato di addolcirne la cattività, accolti amorevolmente e protetti i congiunti del formidabile guerriero, del Cesare della Francia, si commosse all’annunzio e dimenticando il passato, tutte intese ridestarsi nell’animo le antiche simpatie verso l’uomo che, potente, ristabili nell'impero l’unità religiosa, oppresso, trovò in essa sola le consolazioni negate dal mondo34. [p. 207 modifica]

XI. Lo sparire dell’astro, che avea brillato di tanta luce non fece più sicura l'Europa. Dovea dirsi cessata la lotta, ma non gli elementi, che potevano provocare nuove sciagure. Immense somme aveano disperse i governi per sostenere la guerra: le società segrete si agitavano, operavano nel mistero: i nuovi rivolgimenti o verificati o temuti, compromettevano la tranquillità mondiale. Nè a disgombrar tante nubi, ad appagare tanti bisogni credeasi bastante il congresso, per i concerti di Lubiana, adunato in Verona. Erano colà convenuti gl’imperatori d'Austria e di Russia, il re di Prussia, i sovrani d'Italia, e gli ambasciatori di quelle potenze35. Le condizioni dello stato pontificio poteano aggravarsi e nuovi avvenimenti sovrastare alla chiesa. Temeasi per la salute del papa: avea egli già oltrepassato l'ottantesimo anno; mantenevasi florido, dicea al suo medico e a quelli che il visitavano, di sentirsi in forze e di esser pervenuto ad una età, che non credea di raggiungere, ma tutto ciò non bastava a riassicurare gli spiriti, a sostener le speranze. Le autorità davano prove di zelo, il cardinal segretario di stato, quantunque oppresso da una febre ostinata, non cessava dal trattare gli affari, quando a contristar gli animi sopravvenne nuova sciagura. Passando Pio VII dallo scrittoio alla camera da letto, cadde presso l'inginocchiatoio: accorsero i famigliari al rumore, lo sollevarono da terra. Accusava una leggiera doglia al fianco: fu però breve il [p. 208 modifica]timore, dappoichè bastarono pochi giorni per dissiparla. Questa sventura divenne foriera di un’altra peggiore che dovea più tardi immerger Roma nel lutto e togliere al mondo cattolico il suo più bell’ornamento, il supremo pastore alla chiesa. Rendeansi grazie a Dio per la salute ricuperata dal santo padre quando lettere venute da Verona portarono l'annunzio, che l’imperatore di Russia e il re di Prussia recavansi in Roma. Grandi premure diedesi l’infaticabile Consalvi, sebbene infermo, per accogliere i due sovrani del nord nel palazzo del quirinale; ma Alessandro di Russia manifestava per lettere, che cause imprevedute l’obbligavano a differire il viaggio. Accompagnato da due figli, seguito dal principe di Wittgenstein, dal Nestore dei naturalisti barone Alessandro d’Humbold e da alcuni aiutanti di campo, il re di Prussia giunse in Roma sotto il nome di conte di Ruppin. Il principe Enrico, fratello del re domiciliato in Roma, lo attendea al ponte milvio. Consalvi a nome del papa offrivagli ospitalità nel palazzo del quirinale: egli prese stanza in una delle locande a piazza di Spagna. Visitò il giorno istesso la basilica vaticana, ammirò dal gianicolo l’aspetto imponente di Roma. A festeggiarne l'arrivo s'incendiarono fuochi di artificio in castel sant’angelo, s'illuminò la cupola del vaticano. Ammirò il re le ricchezze artistiche raccolte nelle gallerie e nei musei, vide i monumenti antichi e moderni, visitò il pontefice che amorevolmente lo accolse e infermo, debole com’era per gli anni, sostenuto dai famigliari, volle accompagnarlo sino all’ultima sala per mostrarsi riconoscente al re che avea nel congresso di Vienna energicamente difesi i diritti della santa sede e avvalorate le speranze di Roma.

XII. Intorno a quest'epoca mancò alla città delle arti un uomo insigne, all’Italia una gloria. Antonio Canova, dimenticando per l’arte ogni cura di se medesimo, contrasse l'affezione morbosa che lo condusse al sepolcro. Sperò miglioramento dal clima di Napoli, ma nulla ottenne. Ripresa la via di Roma, ove anzi che darsi al riposo che poteva salvarlo, tornò agli usati esercizi: infermo, condusse [p. 209 modifica]in marmo la Maddalena e l’Endimione: abbandonato finalmente dalle forze, cedendo alle preghiere degli amici, ai consigli dei medici, che il vedevano declinare sotto il peso di fatiche indefesse, partì per Possagno sua patria, ove sperava diriggere i lavori del tempio, ch'ivi facea costruire a sue spese. Divenuto il male più minaccioso, a stento gli fu dato recarsi al castello dei eonti di Collealto, quindi a Venezia per chiamare a consulto quei medici. In uno stato deplorabile vi giunse il dì quattro ottobre: ricevuto nella casa di Antonio Francesconi, amico del grande artista, divenne il male grave così che invano tentò l’arte di sollevarlo: circondato da quanti erano rispettabili personaggi in Venezia, sereno, tranquillo come visse, parea che pregustasse la beatitudine di una vita, verso la quale camminava a gran passi. Il grand’uomo, ammirato e compianto, ivi cessava di vivere il dì tredici di quel mese. Venezia, Possagno, Trevigi ed altre città d'Italia onorarono di magnifiche esequie: splendidissime furono quelle offerte in Roma all’onorata memoria di Canova dalla sovrana accademia di san Luca, che perdeva l'amico, il mecenate delle arti, il suo più caro ornamento. Chi rammenta quanto ha egli operato a vantaggio della città eterna, e come tutte guadagnò le affezioni di Pio che lo disse marchese d'Ischia, soffrirà che io alcune ricordi delle moltissime prove di affetto riverente a lui tributate, perchè un giusto elogio rischiari dopo la tomba le azioni dell'uomo virtuoso ad esempio e scuola delle generazioni future. Per offrire un omaggio al suo presidente perpetuo si adunò l’accademia, appena giunse fra noi la trista nuova d'aver Roma perduto l’eccellente maestro, ch'ebbe forte l’intelligenza per conoscere il vero, gentile l'animo per eleggere il bello, poderoso l'ingegno per applicarsi allo studio dei monumenti e sorse restauratore dell'arte e fu nobile e animato nelle movenze, meraviglioso nella esecuzione, perfetto nelle estremità, magnifico nei panneggiamenti, leggiadro nei muliebri concetti, santo nei sacri argomenti. Si propose dal Camuccini di collocare la statua di Canova nelle aule dell'accademia: da Laboreur [p. 210 modifica]di celebrargli solenne funere. Fu scelto il tempio dei santi XII apostoli, ove è collocata una delle più sublimi opere di Canova, il monumento di Clemente XIV. Le decorazioni della chiesa affidarono a Valadier, che ad onorare l’amico, volle trasportati sul luogo i modelli delle opere sacre dall’artista eseguite e con lodato artificio le dispose intorno al tempio e al feretro mortuario. La statua colossale della religione, il gruppo della pietà, quello della beneficenza, i leoni del deposito di Rezzonico, un gran bassorilievo mortuario, due che rappresentano le opere di misericordia, sette soggetti desunti dal vecchio e nuovo testamento vennero disposti con unità di pensiero e diedero aspetto imponente al vasto tempio, ove convennero col senato romano la commissione consultiva delle belle arti, le accademie, i corpi scientifici e letterarî36. Questi onori, negati dalla giustizia di Roma al potere e allo splendore della fortuna, furono decretati allo scultore di Possagno che empì del suo nome l'Europa.

XIII. La fortezza d'animo e lo zelo del pontefice non vennero meno per gli anni e per le infermità sopportate. Lo affliggeva profondamente la rivoluzione di Spagna, che tutti sconvolgendo gli ordini sociali, abolì la inquisizione, disperse i gesuiti, chiuse trecento monisteri e respinse in Roma il prelato Giustiniani nunzio, apostolico a quella corte. Compenso a tanto danno, vide prosperare in Francia gl’interessi cattolici. Scriveagli Luigi XVIII, che l'ordinamento e la tranquillità della chiesa di Francia era felicemente assicurata e che la circoscrizione di ottanta diocesi riguardavasi nel regno come nuovo e segnalato favore del santo padre. Rendea grazie Montmorency ministro di stato al cardinal Consalvi per la sua cooperazione ad un atto vantaggioso alla religione , onorevole alla santa [p. 211 modifica]sede, atto a restringere i legami di armonia e di amicizia fra la corte pontificia e la francese. Lo consolava il pensiero d'aver provveduto per trattati agl’interessi religiosi della Germania e per preghiere e buoni uffici interposti presso l'Inghilterra e la Russia, migliorate le condizioni della Irlanda e della Polonia37. Vide con dolore allontanarsi da Roma Vargas ambasciatore di Spagna per aver ricusato il giuramento impostogli dal gabinetto: ebbe però di che consolarsi per le lettere di Smyth, che dicevangli favorevole alla chiesa il re di Wurtemberg e per quelle di Turckeim, che assicuravano benevoli al cattolicismo i sovrani di Baden e di Durmstadt. Il vecchio Pio, rasserenavasi nel vedere che l'idra rivoluzionaria, funesta alle meridionali e pedimontane provincie, tentando invano d'invadere i dominî pontificî, impotente fremeva ai confini, tenuta in riguardo dal timore delle potenze cattoliche, ferme nel proposito di sostenere il patrimonio della chiesa e la libertà del pontefice, dall'accorgimento di Consalvi, dall'amore dei popoli verso Pio. Una passaggiera amarezza venne a contristare il pontefice: la malattia di Consalvi. Breve cura però lo restituì agli usati travagli, al desiderio delle potenze Europee, che non cessarono mai dal prodigargli segni di benevolenza e di stima. La esperienza del segretario di stato, la savia fiducia del principe colmarono il vuoto, che avrebbe tenuto dietro alla restaurazione e confermarono l'affetto e l'ammirazione guadagnata da un pontefice, balestrato da tante sciagure, sostenuto da tanto coraggio. Conservò il cardinale ministro la salute e il vigore sino a tanto, che doveano giovare al sovrano, che lo aveva chiamato a dividere con esso la gloria e i pericoli, le afflizioni e i trionfi di un lungo ed immortale pontificato. [p. 212 modifica]Compiacente verso il re di Francia nel suo ultimo concistoro promosse cardinali di santa chiesa monsignor Ludovico, Enrico de-la-Fare arcivescovo di Sens dotto prelato francese e don Placido Zurla monaco camaldolese38. Grandi farono le sue cure per promovere il bene dei sudditi, per vegliare al progresso della religione, per diffondere ovunque la parola di verità. Senza enumerare le molte cose da esso operate, segnalo un fatto d'istorica importanza: l'invio cioè al Chily del conte Giovanni Mastai dai decreti di Dio destinato al governo universale della chiesa, da Pio VII, dato compagno all'arcivescovo di Filippi, monsignor Mazi vicario apostolico nelle vaste regioni dell’America meridionale.

XIV. Correva il sei luglio mille ottocento ventitre, anniversario quattordicesimo del dì nefasto, in cui il generale Radet rapì con sacrilego ardimento il pontefice all’amore dei sudditi, quando un caso tristissimo empì Roma di amarezza e di lutto. Declinava il giorno, era Compiade[p. 213 modifica]deserta l'anticamera pontificia, stava nelle sale scarso numero di palatini, trattenevasi il papa in familiari colloqui col suo uditore il prelato Buttaoni. Poichè fu solo, si alzò dalla seggiola e tenendosi con una mano appoggiato allo scrittoio, andava con l’altra cercando un cordone, per cautela posto intorno alla camera, onde potesse sorreggersi. Pareagli di averlo afferrato, mosse il piede mal fermo, stramazzò di peso sul pavimento. L'urto dei mobili, l'acuto grido strappatogli dal dolore scosse i famigliari che accorsero in fretta, lo solievarono da terra, lo posero sul letto. Scorsi appena pochi minuti dal tristo avvenimento si popolarono le stanze del quirinale. Primo fra tutti accorreva Consalvi, cui non bastò aver comandato, che il santo padre non si lasciasse mai solo. Accusava il papa un intenso spasimo al fianco sinistro. Visitato dal chirurgo, temè questi una frattura, ma nol disse per non aumentare lo spavento di coloro che, comprimendo a stento le lacrime, circondavano l’augusto infermo che parea non facesse gran caso della sofferta sciagura. Consalvi postosi vicino al letto, compreso da dolore profondo, prodieavagi affettuose e sollecite cure. Era oltrepassata di un'ora la mezza notte quando, pregato dal papa istesso, il gran ministro, che vivea della vita di Pio e al declinare di quella sentiva mancar la sua, rientrava nel proprio appartamento. Pio passò il resto della notte inquietissimo: l'enfiamento della parte offesa accrescevasi, si aumentava il dolore. Adunatisi i professori dell’arte sul mattino del dì seguente, dopo avere accuratamente osservato l’infermo, dichiararono spezzato il collo del femore sinistro: dissero la cura noiosa, incerta la guarigione per la età non meno che per la intera prostrazione delle forze, in che era da qualche tempo caduto. Quest’amara sentenza pose in cuore ai palatini lo sgomento e il dolore e si diffuse per Roma con la celerità del baleno. Per otto giorni si tenne al papa celata la gravità del male e il pericolo al quale era esposto: ma poi che il seppe, accolse il tristo annunzio, con una serenità di animo tale da ispirare in tutti tenerezza e rispetto. Domandò da se stesso il santo viatico, [p. 214 modifica]amministratogli dal suo intimo amico il cardinal Bertazzoli e tranquillo si dispose alla morte, sostenendo con coraggio eroico gli acuti tormenti del male da cui era agitato. Fra le alternative di effimeri miglioramenti e di recrudescenze temute, l'augusto infermo durò sei lunghe settimane in questo stato penoso. Le anticamere erano assediate da personaggi, che ansiosamente andavano ad informarsi della salute del santo padre e specialmente dagli ambasciatori delle potenze straniere presso la santa sede. Per tenerezza e per zelo si distingueva su tutti il vecchio cavaliere Italinski ministro di Russia.

XV. I romani si contristarono grandemente quando seppero che il padre dei credenti versava in grave pericolo di vita. Rapidamente si propagò la trista novella in tutto lo stato e se ne afflisse l'Italia così, che il pubblico dolore ebbe un eco nella Francia e nella Germania. L'imperatore d'Austria Francesco I, cui erasi partecipato lo stato di debolezza inquietante, che affligeva Pio VII, a rinfrancarne le forze, spedivagli da Vienna prezioso dono di quel vino che dicono di Tokai. Videsi più tardi entrare in Roma una carrozza di nuove forme: curioso affollavasi il popolo per osservarla. Si disse contener quella un letto meccanico, inviato dal re di Francia ad uso del venerando vegliardo. Parvero in qualche modo alleviate le sue sofferenze: adagiato appena su quel letto di mirabile meccanismo, che secondava i più piccoli movimenti della persona, giacque con minore disagio, gustò un lieve ristoro, fece render grazie a Chàteanbriand ambasciatore del re, volle largamente compensato il corriere di gabinetto, che per recargli quel dono, avea divorata la strada. Affannosi scorrevano i giorni, insonni le notti: solo conforto rimaneagli la preghiera. Prestando orecchio ai discorsi sussurrati sommessamente intorno al suo letto dai familiari, che ragionavano di Roma e degli avvenimenti mondiali, più col gesto, che con le parole li pregò ad alzar la voce, perchè in quei loro colloqui trovava una specie di distrazione alla intensità del dolore. Un sorriso di benevolenza gli sfiorò le labbra quando seppe che i romani altamente si [p. 215 modifica]commovevane al racconto dei suoi patimenti e della sventura che lo aveva colpito. Fu visto il buon vecchio, sollevando gli occhi al cielo, far con la mano segno di benedirli.

XVI. A rendere più dolorosa e memoranda la vicina perdita dell'amato pontefice si aggiunse nuova sciagura. Gli storici profani ci parlarono di statue grondanti sangue nel foro, di vittime favellanti nei templi, tristo presagio, diceano, della morte di Cesare. La nostra Roma fu scossa in quei giorni di lutto da una orrenda catastrofe, alla quale nobilmente ripararono i pontefici successori. La basilica Ostiense, solitario monumento consacrato sulla sponda del tevere all’apostolo delle genti, videsi in cinque ore ridotta ad un cumulo di fumanti rovine. 39 Ricordavano i romani, che nell’annesso cenobio il pontefice moribondo avea passati molti anni di vita modesta e religiosa, insegnata filosofia e dritto canonico: sapeano come amò sempre quel chiostro, quel tempio, che il corso di quindici secoli avea rispettato. Per risparmiargli un inutile dolore, fra i moltissimi che lo agitavano, si volle e fu prudenza, tacergli l’orribile caso, che avea posta l’afflizione in cuore ai romani, i quali da questo avvenimento traevano sinistri presagi intorno alla vita del papa. Incominciata dall’imperatore Teodosio, condotta a termine dal figlio Onorio, piissimo principe, conservò sempre la primitiva sua forma. Divisa in cinque navate, oltre la crociera, ornata in quattro ordini da ottanta colonne, fra le quali, guardate con invidia dallo straniero, erano ventiquattro di bellissimo paonazzetto che un tempo [p. 216 modifica]appartennero alla mole adriana, abbellita dall'arco di Placidia che chiude la navata e la divide dall’abside, sorretto da due immense colonne di marmo imazio, con altre vent'otto di porfido, ricchezza unica ai nostri giorni, cadde l'Ostiense basilica sotto l'azione tremenda del fuoco. Della mirabile trabeazione, della foresta di colonne, che decoravano il sacro tempio, dieci sole nella gran navata rimasero in piedi, ma calcinate e sfaldate: i preziosi marmi, che vestivano l’abside disparvero: si fuse gran parte della lamina di bronzo, opera bizantina, che vestiva la porta maggiore del tempio. Questo incendio, che preceder dovea di pochi giorni la morte del papa e lasciava una eredità d'immense cure ai pontefici successori, costernò il mondo cattolico, afflisse Roma e immerse nel lutto i monaci cassinesi per tanti anni gelosi custodi di quel nobilissimo monumento della pietà dei primi secoli della chiesa. Causa di tanto disastro la negligenza di due piombai chiamati a porre i canali di rame alle grondaie del tetto. Bastò una favilla a destare l'incendio in una selva di travi esca facilissima al fuoco.

XVII Distratto il popolo da sciagura tanto deplorabile non cessava per questa dall'interessarsi della salute dell'amato pontefice che, ad onta delle cure prodigategli, andava deteriorando ogni giorno. Spaventevoli sintomi manifestaronsi il dì sedici agosto. Vide il papa con animo sereno avvicinarsi la sua fine e domandò il viatico che gli venne amministrato dal cardinal Bertazzoli. Consalvi partecipò formalmente al cardinal decano, quindi al sacro collegio e al corpo diplomatico lo stato del santo padre. Si espose il venerabile nelle basiliche patriarcali e nella chiesa parrocchiale dei santi Vincenzo e Anastasio a Trevi. Vi accorsero in folla i cittadini, si pregò nelle chiese, nei monisteri, nelle case di Roma, perchè in cuore a tutti era il dolore di perdere un sovrano, la cui vita immacolata e serena presentava un singolare complesso d’infortuni e di offese sostenute con rassegnato coraggio, di riparazioni e trionfi incontrati con cristiana modestia. L'ambasciatore francese Chàteaubriand, notando il movimento del popolo, [p. 217 modifica]che affollavasi nelle chiese per pregare la conservazione di Pio, scrivea alla sua corte, presentar Roma nessuna apparenza di preoccupazione, nessuna agitazione, oltre quella prodotta dal cordoglio di perdere un sovrano amato e venerato da tutti. Estrema sul declinare del giorno dieciannove agosto divenne la sua debolezza, gli si alterò la voce, vaneggiò qualche volta: s'intesero pronunciate distintamente le parole - Savona, Fontainebleau - Il muover delle labbra, la desinenza di alcune voci latine mostrarono agli astanti, che il sommo pontefice mormorava le ultime sue preghiere. Il cardinal Castiglioni penitenziere maggiore gli apprestò l'estrema unzione: il cardinale Annibale della Genga vicario di Roma impose al clero l'orazione pel pontefice moribondo. Entrò in agonia dopo la mezza notte e benedetto, assistito dal cardinal Castiglioni, alle ore sei del mattino, il di venti agosto mille ottocento ventitre, nella età di anni ottantuno, dopo un glorioso pontificato di ventitre anni, quattro mesi e sei giorni, rese tranquillamente l'anima a Dio, lasciando il mondo incerto se fu più grande quando, prigioniero, oppose un petto di bronzo alle intemperanze di un despota o quando, assiso sul trono, vegliò al bene dei sudditi e della chiesa.

XVIII. Bartolomeo. Pacca cardinal camerlengo, seguito dai prelati che costituiscono la camera apostolica, entrò nel palazzo del quirinale prima del mezzo giorno. Giunto nella stanza in cui Pio VII avea cessato di vivere, prostrossi a terra ai piedi del letto, pregò per l'augusto defonto, ne asperse con l'acqua lustrale il cadavere. Mentre due aiutanti di camera sollevavano il velo, che copriva il volto di Pio, il pretàto maestro di camera presentava al cardinale l'anello piscatorio. Rogato l'atto, lasciati alla custodia del cadavere i padri penitenzieri della basilica vaticana, ritornava il camerlengo alla sua residenza, accompagnato, giusta il costume, dalla guardia svizzera. Partecipato l’avviso al senatore di Roma don Paluzzo principe Altieri, per di lui ordine i mesti rintocchi della campana di campidoglio annunciarono a Roma la morte del sommo pontefice. Pel flebile suono delle campane di tutte le chiese si [p. 218 modifica]raddoppiò la mestizia dei cittadini. Adunata dal senatore la milizia capitolina, chiamati a se i presidenti dei rioni Campitelli e Ponte, sostituiti agli antichi caporioni, giusta le vecchie consuetudini, spedì il colonnello di quei militi ad aprire le carceri nuove e le capitoline, nelle quali stavano detenuti i rei di lievi colpe. leggo che erano ventidue; quattro donne fra questi. Gli accusati di grandi delitti erano stati il di precedente assicurati in castel sant'angelo. Imbalsamato il cadavere del santo padre, vestito di sottana bianca, mozzetta e camauro, fu esposto sul quirinale nella gran sala del concistoro. Ardevano quattro ceri ai lati del letto funebre, vegliato da quattro guardie nobili, visitato dal popolo venuto a deporre ai piedi del vicario di Cristo i sensi di devoto rispetto. Il cardinale della Somaglia decano e Pacca camerlengo, che in sede vacante interviene a tutte le adunanze di stato, tennero congregazione con Fesch primo dell'ordine dei preti e Consalvi dell’ordine dei diaconi presenti in Roma. Il dì seguente, sul declinare della sera, un vaso mortuario contenente i precordi di Pio, accompagnato dai caudatario e da due palafrenieri, che con torce accese fiancheggiavano la carrozza, portavasi nella chiesa dei santi Vincenzo e Anastasio, benedetto dal parroco, ricevuto dai chierici minori che ufficiano quella chiesa.

XIX. Batteva l'orologio del quirinale la prima ora della notte quando si fece il solenne trasporto del cadavere dal palazzo di residenza a quello dei vaticano. Due mozzi con torcie a vento, due battistrada, un drappello di cavalleggieri, preceduto da quattro trombettieri e da un ufficiale, aprivano la pompa funebre: seguivano due trombettieri e quattro guardie nobili comandate da un cadetto; la guardia svizzera, con bandiera piegata e il suo capitano alla testa, precedea la lettiga, adorna di drappo rosso, guarnita di trine d'oro, aperta da tre lati e portata da due mule riccamente bardate. Ivi stava il cadavere del santo padre: intorno a quella erano dodici padri penitenzieri con torcie in mano, recitanti a bassa voce preghiere e fiancheggiati da due fila di guardie nobili [p. 219 modifica]a piedi e dalle guardie svizzere con i loro lunghi spadoni a due mani, appoggiati alle spalle. Quindici parafrenieri in assise rosse e ferraiolo violaceo con torcie accese completavano la mesta pompa. Il convoglio era chiuso da due compagnie di guardie nobili, precedute dal capitano e seguite da sette cannoni e dagli artiglieri con miccie ardenti: ultimi seguivano gli usseri civici e i carabinieri a cavallo. Discese il corteggio dal quirinale, tenne la via papale, ponte sant'Angelo, borgo nuovo, strade da ambo i lati guarnite dalla milizia cittadina e dai soldati di linea. Giunto al palazzo del vaticano, fece sosta innanzi alla statua di Costantino. Quattro padri penitenzieri collocarono in una bara il cadavere, che portato nella cappella sistina e vestito degli abiti pontificali, fu collocato sul talamo funebre con torcie accese all’intorno. A custodia del feretro rimase un drappello di guardie nobili; in salmodie continue vegliarono la notte intorno a quello i padri penitenzieri. La mattina del giorno ventitre, preceduto dal capitolo vaticano, accompagnato dalle guardie nobili e dagli svizzeri, seguito dai cardinali, fu il cadavere di Pio VII portato da otto mansionari ed esposto sopra un alto letto in mezzo alla gran nave della basilica: quindi situato nella tappella del sacramento e eollocato in modo che il popolo potesse baciargli i piedi. La sera del venticinque i cardinali creati dal defonto pontefice si recarono nella sacrestia vaticana, quindi nella cappella del coro, ove benedirono di nuovo il cadavere, che vestito degli abiti pontificali e avvolto in una coltre rossa di lama d’oro foderata in ermesino, venne collocato nella cassa di cipresso. Il cardinal Pacca coprì il volto dell’augusto defonto con velo bianco: il prelato Marazzani maggiordomo depose ai suoi piedi una borsa con monete d'oro e di argento, portanti da un lato la effigie dell’immortale pontefice e dall’altro le gesta del lungo suo regno. Chiusa la cassa in altra di piombo, rogato l'atto dai cancellieri di camera e dal notaro del maggiordomo, venne consegnata ai canonici per esser quindi collocata al di sopra della porta vicina alla cappella del coro. [p. 220 modifica]

XX. Continuando i novendiali, in mezzo al tempio si eresse un tumulo temporaneo per onorar la memoria del gran pontefice. Sugli specchi di un vasto basamento quadrilatero, circondato da ampia gradinata, avente ai lati sporgimenti triangolari, sovra i quali erano quattro candelabri modellati sull’antico, vedevansi altrettanti bassorilievi, che compendiavano di Pio VII le azioni più memorande: la compagnia di Gesù ripristinata: le provincie restituite al pontefice: il sospirato ritorno del papa in Roma, dopo le sofferte sciagure; la protezione da esso accordata alle arti. Sovra un’altra base, decorata da quattro iscrizioni, sorgeva un tempio rotondo: un’urna, sormontata dalle chiavi e dalla tiara, stava nel centro: fra le colonne doriche erano collocate le statue delle quattro virtù teologali: grandeggiava sul vertice del monumento il simulacro della religione. Semplice e vago fu giudicato il disegno, bello l’effetto, la esecuzione accurata. Valadier compose il tumulo: Amati dettò le iscrizioni, il prelato Foscolo, alla presenza del sacro collegio nell'ultimo giorno dei novendiali, disse le lodi del defonto pontefice. Cinque cardinali compirono il rito delle assoluzioni solenni intorno al tumulo, circondato dalla guardia nobile, dagli svizzeri, dalla milizia capitolina e dalla civica scelta. Corse immenso popolo a render l'ultimo tributo d’ossequio alle virtù di Pio VII e a pregar pace all’augusto gerarca di santa chiesa, che si segnalò fra i successori di san Pietro per lo spirito di mansuetudine e di fortezza.

XXI. Resi appena gli estremi uffici al glorioso pontefice, adunaronsi i cardinali per provvedere ai bisogni dello stato e al conclave. Fu tempestoso quel primo incontro: voci di sdegno e acerbi rimproveri, repressi in cuore per lungo tempo, si udirono contro Consalvi che avea sino a quel punto esercitato il supremo potere, mostrandosi o poco compiacente o apertamente avverso ai colleghi. Sorse però difensore il cardinal Fesch, rispose alle accuse, sostenne il collega, fu vivamente applaudito dai porporati rimasti amici al grand’uomo: Castiglioni si distingueva fra questi. Della Somaglia decano alla [p. 221 modifica]presenza di tutti dissugellò un piego in cui erano due brevi portanti la data di Fontainebleau. Pin VII circondato da tanti pericoli, prevedendo non lontana la morte, abrogando le antiche formalità, ordinava col primo ai cardinali di radunarsi sotto la presidenza del decano del sacro collegio e a pluralità di voti eleggere un successore: conteneva il secondo eguali disposizioni, ma giusta le antiche consuetudini, a render valida la elezione, prescrivea due terzi dei voti. Erasi appena compiuta la lettura dei brevi, quando il prelato Mazio, segretario del concistoro, dichiarò ai cardinali aver Pio VII sotto sigillo sacramentale depositato in sue mani un terzo breve compilato nell'ottobre mille ottocento ventuno mella occasione in cui colpì dì scomunica la setta dei carbonari. Lo dissugellò egli stesso e lo lesse. Comandava il papa ai cardinali di procedere dopo la sua morte alla elezione immediata del successore per via di acclamazione: volea, se fosse possibile, compiuto quest'atto alla presenza del cadavere ancora tiepido: volea la elezione segreta, non prevenuti gli ambasciatori delle potenze straniere, non ragguagliate le corti, non celebrati i novendiali, non attesi i cardinali lontani da Roma. La lettura di questo breve, in cui come in riflesso vedeasi la grand’anima di Pio, commosse il sacro collegio. Ricordava il papa ai cardinali, che quasi tutti erano sue creature, raccomandava l'unione, la concordia, conchiudeva che il bene della chiesa, il trionfo della religione, l’amore della patria duvea assicurarlo di loro obbedienza. Giudicarono però i porporati non allarmanti le condizioni dei tempi e allontanati o interamente svaniti i pericoli annunciati dal breve, preparato nel momento in cui fremea la rivoluzione nella Spagna e quella delle due Sicilie e del Piemonte agitava l' Italia. Il cardinale della Somaglia dichiararono fabbricere, lo incaricarono dei lavori relativi al conclave, gli aggiunsero collega Fabrizio Ruffo assente, di cui Consalvi sosterrebbe le veci. Uniti in vicendevoli nodi di carità e di prudenza, quarantanove cardinali elettori, invocato l’aiuto del divin Paracleto, dopo le solite ceremonie, le presentazioni, le condoglianze, gli auguri, [p. 222 modifica]andarono a chiudersi nel conclave, celebrato nel palazzo del quirinale, per dare dopo venti sei giorni in Leone XII il nuovo pastore alla chiesa.

XXII. La gratitudine del cardinale Ercole Consalvi, odiato perchè molto aveva concesso alla variabile opinione dei tempi, volle onorata la memoria del gran pontefice suo augusto benefattore ed amico. Ordinava per testamento la vendita delle scatole ad esso donate dai sovrani di Europa, per ornare col danaro ottenuto da quelle le facciate di alcune chiese di Roma ed eriggere a Pio VII un nobile monumento nella basilica vaticana. Affidavasi quest’arduo incarico all’insigne statuario danese Alberto Torwaldsen, che a molti non parve eguale a se stesso nella difficile esecuzione di un'opera destinata al più nobile e vasto edificio, che vanta la terra, la basilica vaticana: monumento sublime dell’umano ardimento, opera prodigiosa di quanti furono potentissimi ingegni del secol d'oro delle arti italiane. Scolpì egli il pontefice sedente in atto di benedire: due grandi statue, che fiancheggiano il monumento, rappresentano la fortezza e la sapienza: questa che ha cinto il capo di un ramoscello di olivo, il petto armato di una lorica e la civetta ai piedi, medita sul volume che sorregge con la mano sinistra: quella che, con bell'atto incrocia le braccia sul petto e volge al cielo fiducioso lo sguardo, ha il capo coperto d'una pelle leonina e la clava ai piedi. La esecuzione di questi simulacri è degna del grande artista, ma l'allegoria è tutta profana e mancante nell'insieme del sacro carattere impresso dal sentimento religioso. Sovra la porta, che dà adito al monumento scolpì lo stemma del pontefice, sorretto da due geni alati. Ricorda l'epigrafe il nome del cardinale che consacrò al pontefice il monumento. Parve a Torwaldsen di provvedere in qualche modo alla rinomanza del suo nome e alle censure aggiungendo ai lati della sedia pontificale due angeli sedenti uno in atto di scrivere, l’altro di sollevare l’orologio a polvere, che simboleggia la vita, ma questa correzione, lungi dall’avvivare quel monumento, tradì l'unità del pensiero e non raggiunse lo scopo. [p. 223 modifica]

XXIII. E qui, chiedendo venia al lettore, depongo la penna, con cui ho tentato ricordare le semplici abitudini, l'animo retto, il cuor generoso di un pontefice, il cui nome suona benedetto e immortale, il cui pontificato segna un'epoca memorabile nei fasti della chiesa cattolica. Conservò Pio VII sul trono le abitudini semplici e frugali del chiostro: la modestia e il disinteresse: ritrasse egli fedelmente nel volto e nell’abituale sorriso la soavità del carattere: conciliò l' esigenze della politica con la condiscendenza paterna. Se facilmente deferì ad altri l'amministrazione del governo civile, fu sempre geloso di tutto quello che riguarda la suprema autorità della chiesa, nel cui esercizio costante consultò solo Iddio e la sua coscienza. Figlio del patriarca dell'occidente, aggiunse nuovo splendore a quell’ordine insigne, cui tanto deve la civiltà mondiale: non fece ricchi i nepoti, n'ebbe moltissimi, non li volle in Roma: mirabile condotta divenuta esempio e legge ai pontefici successori: non permise che si discutesse presso la sacra congregazione dei riti la causa di sua madre, vissuta nel secolo e nel chiostro modello di domestiche e religiose virtù. Favorì le scienze, promosse le arti, premiò gl’ingegni, fece Roma più bella. La riparazione solenne, poche volte concessa agl'illustri infortuni e ottenuta da Pio, basta a mostrare, come la provvidenza veglia gelosamente al governo della chiesa di Dio.



Fine.

  1. Consalvi seppe ben distinguere da coloro , che si serbarono fedeli al pontefice, quelli che lo tradirono. Ad un tale che, amnistiato dal papa, chiedea arditamente un impiego, rispondea: « Pio VII perdonandovi, non ba contratto l'obbligo di provvedere ai vostri bisogni. »
  2. Apparteneva alla nobile famiglia dei duchi d'Altemps: gli furono prodigate cure immense dai nobili suoi congiunti. Pio VII offrivagli il permesso di ritirarsi dalla vita monastica; e rimaner prete nel secolo. Avrebbe potuto ottare ad onori e nol volle, pago di tornare alla vita solitaria, ma in altro cenobio.
  3. Questo giudizio solenne fu emanato nel di 1 Agosto 1820: il breve Assisiensem Basilicam porta la data 5 settembre 1820 Leggesi in esso « Constare de identitate corporis sancti Francisci nuper inventi sub ara maxima basilicae Assisiensis, »
  4. Questa medaglia fu eseguita da T. Mercandelli. Sopra l’urna leggesi Serap. è nell’esergo « S. Francisci sepulcrum gloriosum MDCCCXVIII. »
    Giucci. Vita di Pio VII
  5. Per ordine di Gregorio XVI fu collocato nel museo lateranense.
  6. Giova il ricordare che nel numero degli alunni del collegio inglese, dal segretario di stato presentati al papa, era Niccola Wiseman al presente illustre e dotto cardinale di santa chiesa e degnissimo arcivescovo di Westminster.
  7. Intorno all'accoglienza ricevuta dagli alunni del collegio inglese leggesi nel diario di quel rettore « Ho accompagnati sei collegiali dal papa: il santo padre li ha ricevuti in piedi, ha stretta la mano a ciascuno di essi, dando loro il ben arrivato a Roma.» Lodò il clero inglese della sua buona e tranquilla condotta, non che della sua fedeltà verso la santa sede. Esortò i giovani allo studio e alla pietà, e disse: spero che farete onore a Roma e al vostro paese.
  8. Questi sacri utensili eramo stati inviati in dono al papa dal capitolo Messicano. Consacrò egli stesso il calice sul quale venne scolpita la seguente epigrafe: « Pius VII Pont. Max. Tempio Lendini in Moorfields recens a Catholicis extructo, a se consecratum, libens donum misit. A.D. N. MDCCCXX Pont. a. XXI.»
  9. Nacque in Perugia il giorno 1 gennaro 1757, fu uditore del sacro tribunale della rota romana e quindi decano.
  10. Nato in Roma da illustre famiglia magnatizia il dì 17 settembre 1737.
  11. Nacque in Lucca il 2 marzo 1737.
  12. Nato in Genova il 14 marzo 1758.
  13. Nato in Valletta, capitale dell'isola di Malta il giorno 20 Aprile 1758.
  14. Nacque in Minfeld nel ducato dei due ponti il giorno 12 gennaro 1737.
  15. Era nato in Tortona il 4 decembre 1775.
  16. Affettuoso amico di Pio VII l'avea seguito nell’esilio e visse lungamente al suo fianco. Nacque in Lugo il 1 marzo 1764. nacque in Lugo il 1 marzo 1754
  17. Nacque in Corneto da nobile famiglia il giorno 7 Aprile 1767
  18. Nacque in Ferrara il 23 febrajo 1770.
  19. Nato in Roma da famiglia coscritta il dì 26 ottobre 1755.
  20. Nato in Benevento il giorno 2 novembre 1769.
  21. Oriundo Fanese nato in Cartoceto il giorno 6 settembre 1751
  22. Nacque in Toscanella il giorno 6 novembre 1755.
  23. Di nobile famiglia romana nacque il dì 25 luglio 1759.
  24. Figlio del principe del Sirmio e duca di Bracciano, nacque in Roma il giorno 5 marzo 1785. Dopo avere illustrata la porpora con l'esercizio costante di ogni cristiana virtù, rinunziò alle cariche luminose, che avea sostenule con santo zelo, e ottenute le opportune facoltà da Gregorio XVI si allontanò da Roma e vestì in Modena l’abito della compagnia di Gesù.
  25. Nacque in Modena il dì 8 settembre 1751
  26. Nato in Napoli da illustre famiglia li 8 gennaro 1782.
  27. Nacque in Foligno il giorno 23 Agosto 1751.
  28. Questa galleria venne aperta al pubblico il giorno 27 Aprile 1820. I busti, e l'erme degl'illustri italiani furono saggiomente distribuiti in varie sale e divisi per classi e per secoli. La Protomoteca romana si andò aumentando ogni giorno per munificenza del principe, per graziosa cura dei cittadini e specialmente degli artisti. Nella più vasta sala in mezzo ai ritratti, vedesi quello del pontefice fondatore accompagnato da un epigrafe che loda il generoso pensiero di Pio.
  29. Quando il popolo romano vide collocati al loro posto gli avanzi delle antiche colonne, trovandone una più alta di tutte e altre, dissero: « Le colonne rappresentano il sacro collegio, la più alta è Consalvi. »
  30. Sino dal 1 ottobre 1802 avea emanato Pio VII un chirografo per la gelosa conservazione degli antichi monumenti di Roma.
  31. Potrebbe dirsi, che quelle lapidi, quei frammenti irregolari su i quali veggonsi ora nobilissime iscrizioni, ora epigrafi in rozzo latino con graffiti e figure rappresentano la lotta dell'età passate. Qua veggonsi memorie di uomini e di famiglie cospicue in Roma repubblicana ed imperiale: là lapidi destinate a ricordare le guerre, le vittorie, le gesta, i titoli degl'imperatori, gli annunzi delle feste, le proprietà sacre e domestiche, i monumenti sepolcrali. Qui un rozzo marmo è consacrato ad una sposa perduta, là ad un tenero figlio, ad un padre amorevole. Non si può scorrere quel vasto ambulacro senza sentirsi rapito dai ricordi di un glorioso passato, ed innamorato delle generose cure di chi ha quivi raccolto un tanto tesoro di memorie e di affetti.
  32. Questa opinione è convalidata da una relazione di ufficio pubblicata dalla gazzetta di Milano il giorno 23 gennaro 1824.
  33. La rivoluzione di Napoli allarmò la polizia austriaca in Italia che, temendo pel regno lombardo veneto, comandò l'arresto di personaggi ragguardevoli per dottrina e per nascita. Erano fra questi Melchiorre Gioja, Domenico Romagnosi, il conte Camillo Laderchi, Pietro Marroncelli e Silvio Pellico. Dicea la sentenza: il conte Porro Lambertenghi, gran promotore delle arti, delle lettere e dell’ industria nazionale, capo della congiura che preparava gli elementi di una generale rivoluzione, della quale Napoli era il preludio. Porro condannato a morte si salvò con la fuga. Gioia, Laderchi e Romagnosi furono dichiarati innocenti: gli altri condannati nel capo, ebbero minorazione di pena.
  34. Dalle relazioni giunte a Roma rilevasi, che Napoleone pronunciò più volte il nome di Pio VII con sentimento di sincero rispetto. Chiamato a se l'abate Vignali dissegli alla presenza di tutti. « Io sono nato nel grembo della religione cattolica: voglio compiere i doveri ch’essa impone; voglio ricevere i conforti ch’essa amministra.
  35. Metternih e Lebzeltern per l'Austria, Chàteaubriand e Montmorency per la Francia: per l’Inghilterra Wellington, e Strangtord-Canning: per la Prussia Hardemberg e Bernstorf: Nesselrode, Lieven, Pozzo di Borgo e Tatichef per la Russia. Spedì il pontefice suo plenipotenziario il cardinal Spina genovese: il re delle due Sicilie avea seco il principe don Alvaro Ruffo: fecesi il re di Sardegna seguire dal suo consigliere il conte della Torre. Questo congresso che servì a render più forte e più temuta la lega, fu tenuto nell’ottobre 1822.
  36. Era la messa solenne pontificata dal patrizio veneto Zen, arcivescovo di Calcedonia: l'Amati dettava le iscrizioni onorarie collocate sulla. porta e nell'interno del tempio: l'abate Melchiorre Misserini ne diceva le lodi.
    Giucci. Vita di Pio VII.
  37. In virtù del trattato sottoscritto fra la santa sede e la Russia ebbe luogo in Polonia la circoscrizione delle diocesi e per le relazioni stabilite col gabinetto Britannico si parlò la prima volta della emancipazione dei cattolici in Inghilterra.
  38. In premio dei servigi resi alla santa sede dovea Pio VII promovere alla perpora il pàdre abate Cappellari camaldolese, quando in sua vece venne nominate Don Placido Zurla, nato da illustre e nobile famiglia Cremasca in Legnago diocesi di Verona il dì 2 aprile 1769: uomo di gran dottrina, autore di opere lodatissime, caro allo Czar di Russia, a comando del quale avea intrapreso un poderoso lavoro geografico. Leggo nel vol. LIII del dizionario storico-ecclesiastico del Moroni, che questa preterizione inaspettata fu conseguenza dei consigli del cardinal Consalvi, geloso della profonda dottrina di questo insigne religioso, che dovea ascender più tardi alla più sublime dignità della chiesa. È costante opinione di molti, che l'obblio momentaneo dei grandi meriti dell’insigne Cappellari ebbe originè dal sapersi aver desso disposta la futura sua corte prima di ricevere il preventivo biglietto dalla segreteria di stato, solita a dar I° avviso della stabilita promozione. L'uno sostenne con umiltà profonda un colpo che avrebbe prostrato l’uomo il più indifferente: l'altro, credendo la sua promozione un equivoco, corse ai piedi del papa e perorò per l’amico. Leone XII con singolare elogio ascrisse al sacro collegio dei cardinali l’abate Cappellari innalzato quindi sulla cattedra apostolica col nome di Gregorio XVI.
  39. Imitando Leone XII l'esempio dei suoi predecessori Bonifacio IX, Martino V, Eugenio IV e di altri pontefici, volle con una enciclica, che incomincia Ad plurimas, atque gravissimas diretta ai vescovi dell’orbe cattolico, eccitare i fedeli a concorrere con volontarie obblazioni al riparo della basilica Ostiense consumata dal fuoco. Fu secondato l’invito e dalle sue ceneri risorse splendidissimo il tempio dedicato al dottor delle genti. Tante cure gli profusero i pontefici, tante l'ingegno eminente dell’architetto commendatore Luigi Poletti da farci dire con san Girolamo che il sepolcro di san Paolo, servo di Cristo, è più illustre che i palagi dei re.