Storie (Tacito)/II
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LIBRO SECONDO
SOMMARIO
I. Tito spedito a Galba, intesa la di lui morte, volta strada. — II. Va al tempio di Venere Pafia. — IV. Ivi istruito del futuro, pien di speme torna al padre , che finito avea la guerra Giudaica. — V. Indole e costume di Vsspasiano : costume di Muziano : s’ accordan questi, deposti gli odj : indi nuova esca a guerre civili pel bollore delle legioni d’ Oriente. ~ VIlI. Burla d’ un finto Nerone ripressa da Asprenate. — X. In Roma per frivolerie gran chiasso. Vibio Crispo accusa Annio Fausto come spia, tinto egli della stessa pece. — XI. Principi di guerra fausti ad Olone. — XII. Sua soldatesca licenziosa, infierisce contro gli Alpini e ’l municipio Ventimiglia: egregia pietà di madre. —- XIV. Oste d’ Otone che invade la provincia Narbonese : ruffe a’ Vitelliani infauste. — XVI- Pacario per trarre Corsica a Vitellio, de’ Corsi è ucciso. — XVII. Oste Vitelliana in Italia. —- XVIII. Cieca temerità degli Otoniani. — XIX Spurinna fortifica Piacenza ’ indarno Cecina l’assedia: scioltala , va a Cremona. —- XXIII. Battaglia a Cremona felice agli Otoniani. — XXIV. Aguati di Cecina , contr’ esso volti da Svetonio Paolino; il Re Epifane pugna per Otone: è ferito. — XXVI. Neil’ incalzar il nemico non vai molto Paolino. — XXVII, Valente in Ita lia: gran sedizione de’ Batavi nel suo campo, dal saggio Alieno Varo attutata. Valente e Cecina con lor forze fan per Vitellio, improverando Otone. — XXXI, Confronto d’ Otone a Vitellio. Otone dibatte come dar battaglia : chi indugio consiglia; chi folle fretta, e prevale, — XXXIII. Con peggior consiglio va con gran truppa Otone in Brescello. — XXXIV, fingono i Vitelliani passar il Po. — XXXV. Scaramuccia agli Otoniani infausta. — XXXVII. Vana voce d’ un trattato di pace tra’ due eserciti per temenza e noia de’ pretendenti. — XXXIX. Tiziano e Procolo da inetti piantano il campo a quattro miglia oltre Bebriaco : esitano sulla battaglia — XL. Otone noiato , impaziente ordina d’arrischiare. —XLI. Battaglia a Bebriaco. — XLIV. Fuggono gli Otoniani : lor ira contro i duci. —- XLV. Entrano ì Vitelliani nel campo de vinti : vinti e vincitori in lagrime detestano la civil guerra. — XLVI. Intesa la rotta Otone, di sè risoluto, parla a soldati e amici che cercan consolarlo : frena la nata sedizione : poi si dà morte : soldati al suo rogo s’ uccidono.— L. Età, principj, fama d’ Otone. — LI. Sedizion rinata con lutto e duolo dell’ armata. — LII. Gran parte di Senato d’ Otone amica , in estremo rischio. — LV, In tanto sobuglio , niente teme Roma: godonsi gli spettacoli: udito morto Otone, tutti per Vitellio. — LVI. L’ armata vittoriosa , flagello d’Italia. — LVII. Vitellio ode sua vittoria: l’ una Mauritania e l’ altra va da lui — LX. Uccide i Centurioni più addetti a Otone: i Duci assolve, —— LXI. Castigato Mariio , oso provarsi a fortuna. —. LXII. Gola e leggi di Vitellio. — LXIII. Ucciso Dolabella. Licenziosa Triaria, modeste Galeria e Sestia. — LXV. Cluvio assolto —- LXVI. Legioni vinte inferociscono. Quartadecimani e Lettavi in rissa. —’ LXVII. Onorato congedo a’pretoriani, legioni sparse. — LXVIII- Tumulto al Ticino sedato da nuovo tumulto: rischio di Virginio. — LXIX. Coorti di Baiavi in Germania rimandate : dimembrate le coorti e gli aiuti : il resto dell’ armata guasto da lusso. LXX. Vitellio in Cremona : visita avido il Bebriacese campo, insensibile a tanti concittadini insepolti. — LXXI. Imita le libidini di Nerone : i Consolati divide. —. LXXII, Un finto Scriboniano punito di croce. — LXXIII Orgoglio e tracotanza di Vitellio al sicurarsi dell’ Oriente. — LXXIV. Vespasiano prepara a guerra. — LXXVI. Esita : l’ assoda e sprona Mudano. —. LXXVIII. I responsi anco degl’ indovini: ara e rispetto del munte e Nume del Carmelo. - LXXIX. Vespasiano gridato Imperadore in Egitto e’n Soria. .—- LXXXI. Gli si danno Soemo , Antioco, Agrippa e Berenice regina. •—- LXXXII. Consiglio di guerra : Vespasiano occupa l’Egitto : Tito insiste sulla Giudea : Muciano a guerra : accoglie danaro, di guerra nerbo. LXXXV. Legioni di Mesia e Pannonia datesi a Vespasiano , traggono le truppe Dalmate. Faci di guerra Antonio Primo e Cornelio Fosco. .—- LXXXVII. Vitellio vie sempre pigro e scostumato, con pesante e lussuriosa truppa a Roma s’ accosta. — LXXXVIII. Dopo strage di soldati e plebe, entra in Boma come in città vinta. — XC. Magnifica aringa di sè stesso. —- XCI. Del divino e uman diritto ignaro, a certe popolari cose dà mano. —. XCII. Cecina e Valente alle cariche dell’ impero, — XCIII. Truppa oziosa e sfrenata a Roma: morbi e morti. Soldansi sedici pretorie coorti; quattro urbane. — XCIV. Truppa scarsa e insolente. Vitellio, povero e prodigo. Ricchezza d’ Asiatico liberto. Miseria di Roma. — XCV. A gran pompa pur si celebra il natal di Vitellio. Fi fa l’ esequie a Nerone. — XCVI. Mal reprime le voci sparse della deserzion Flaviana. — XCVII. Chiamansi aiuti, dissimulata necessità. -—. XCIX. Contro al nemico , ch’ entra in furia, esce Cecina. — C. Ma ordisce tradimento con Lucilio Basso, Ammiraglio dell’ oste di Ravenna e Miseno.
AVVENIMENTI DI POCHI MESI SOTTO I CONSOLI GALBA AUG. LA II VOLTA E T. VINIO UCCISI. Sos. M. Salvio Oton. Aug. C. L. Salv. Oton. Tizian.
Anno di Roma DCCXXII. Di Cristo. 69. Sos. L. Virginio Rufo la II volta. C. Pomp. Vopisco.
Sostit. Celio Sabino. Cons. T. Flavio Sabino.
Sostit. T. Arrio Antonino. Cons. P. Mario Celso.
I. Ordiva la fortuna in diversa parte del Mondo, principj e cagioni d’ altro travasamento dell’ imperio, variamente alla reppubliea lieto o atroce ; ai principi felicità o rovina. Tito Vespasiano fu dal padre mandato di Giudea a Galba ancora regnante, per fargli servitù e per esser in età da chieder onori. Ma il popolo, che vuol cicalare, il faceva chiamato all’ adozione, vedendo il principe vecchio e solo; e non potendo la città astenersi di non dare a molti il principato, sino a che non è dato. Tanto più che il giovaue era per natura d’ ogni grandezza capace , Lello, con una certa maestà : le cose di Vespasiano prospere- in favore i responsi e la fortuna, che negli animi inclinati a credere val per tutto. Giunto in Corinto, città di Acaia, ebbe avvisi certi della morte di Galba: e gli era detto che Vitellio era armato e faceva guerra; dal che travagliato fece con pochi amici consiglio di tutto: » Se io seguito il viaggio di Roma, preso per altri onorare , chi me ne saprà grado ? sarò statico di Vitellio o d’ Otone. Se io torno addietro, offendo al certo chi vincerà; mentre se ne dubita, se mio padre s’accosterà a Uno, io, figliuolo, sarò scusato; se cercherà l’imperio per sè, che importa offendere, se si tratta di guerra ? »
II. Dibattuto per tali discorsi da timore e speranza, questa superò e tornò indietro. Alcuni dissero per martello della reina Berenice. Il giovane non le voleva male, ma non lasciava le faccende perciò: fu giovane allegro e di piaceri ; più modesto nell’ imperio suo che del padre. Costeggiate adunque l’ Acaia e l’Asia, e la banda sinistra, navigò a Rodi, in Cipri: indi più ingolfato, in Sorìa. Vennegli disio di visitare il tempio di Venere in Pafo, celebrato dai paesani e dai forestieri. Tedio non fia dir qui brevemente l’origine di questa divozione, il sito del tempio e la forma della Dea differente da quella degli altri luoghi.
III. L’ antica memoria fa il tempio edificato dal re Aeria: alcuno dice che questo è il nome di essa Dea; la moderna fama è, che Cinara sagrò il tempio: Venere nata del mare quivi arrivò : la scienza e arte dell’ indovinare vi portò Tamira di Cilicia; con patto che i discendenti suoi e quei del Re, governassero la religione. Poscia, perchè i reali avessero d’onore alcun vantaggio da’ forestieri, questi cederono a quelli la scienza portatavi. Non risponde se non sacerdote del sangue di Cinara. Animale non si sagrifica se non maschio; credesi che le viscere de’capretti mostrino il verissimo. Non è lecito versar sangue in su gli altari: porgonvi preghi e fuoco puro: sono scoperti e non vi piove. La immagine della Iddia è, non in forma umana, somigliantissima a piramide tonda; la ragione è occulta.
IV. Tito, veduti que’ ricchi doni de’ Re, e i miracoli che i Greci, vaghi di antichità, fingono nell’oscurità de’ tempi, si consigliò la prima cosa del navigare; e udito che il viaggio era aperto, il mare tranquillo, domandò per modo coperto di sua ventura , e molti animali sagrificò. Sostrato il sacerdote, vedute l’ interiora belle, ben disposte, e che la Iddia alle gran domande inchinava, gli rispose poche cose e generali: e chiamatolo al segreto, gli aperse quantunque doveva avvenirgli. Giunse al padre e alle province e agli eserciti sospesi, tutto incorato e pien di speranze. Vespasiano aveva finita la ^guerra Giudaica; solo restandoli sforzar Gerusalemme, opera dura, più per la gente bizzarra e ostinata nella sua fede, che per aver forze. Teneva egli tre legioni , coinè dicemmo, esercitate in guerra , e Muciano quattro, state in pace; ma per la gara e gloria del vicino esercito, non pigre; e quanto s’ eran quelle nei pericoli e nelle fatiche assodate, tanto queste per lo riposo e nullo scemamento per guerra, rinvigorite: forniti ambi di cavalli, fanti e navi d’ aiuto e di amici Re; di fama eguali, di qualità diversi.
V. Vespasiano era soldato feroce : il primo in bat« taglia ad accamparsi contro al nemico ; dì e notte mulinava, e menava, bisognando, le mani: maugiayasi a caso: vestiva poco meglio che soldatello, pari a’capitani antichi, levatone l’avarizia. Muoiano, per lo contrario, facean grande la magnificenza, la ricchezza , ogni cosa da maggiore, che privato : più atto era al parlare, disporre, provvedere: perito de’negozi civili; le virtù d’ ambi, congiunte, schiumate dei vizi, fatto avrieno al principato ottimo temperamento. Governando questi la Sorìa, quei la Giudea, v’era sempre che dire per la vicinanza e invidia. Per la morte di Nerone, diposti i rancori, incominciaro ad accomunare i consigli, prima per via d’ amici, poi per mezzo.di Tito; il quale tra loro nettò ogni ruggine, sapendo per natura e per arte ancora i costumi di Mudano addolcire. Guadagnavansi Tribuni, Centurioni e soldati, per industrie, licenze, virtù, piaceri, secondo le nature.
VI. Prima che Tito arrivasse, l’ uno e lvaltro esercito avea giurato perOtone; perchè le nuove volano, e la macchina della guerra civile era tarda a muoversi nel Levante, stato tanto senza ; essendosi quelle gran guerre trai cittadini in Italia e Gallia comin-** ciate con le forze di Ponente: e a Pompeo, Cassio, Bruto, Antonio, che tiraron la guerra civile oltre mare, male ne incolse. Cesari in Sorìa e Giudea, vi s’ eran più uditi che visti : legioni sollevate non mai : a’Parti solamente fatto paure, e con varia fortuna. L’ultima guerra civile travagliò ognuno: in Levante fu salda pace: e poi fede a Galba ; ma udendosi all’ ora Otone e Vitellio con iscelerate armi fare delle cose romane a chi più tira, quei soldati, perchè agli altrj non toccassero i premj dell’ imperio, e a Joro, la necessità del servile, cominciarono a fremire, e? riguardar le loro forze. Sette legioni pronte, e con grandi aiuti la Sona e la Giudea: l’ Egitto congiunto con due legioni: quinci la Gappado’cia e ’l Ponto e le frontiere d’ Armenia: l’ Asia con l’ altre popolate province e danarose: quante isole ha il mare: esso mare, alle provision della guerra atto e sicuro.
VII. Questo impeto de’ soldati era noto ai Capi ; ma l’attender il fine de’ guerreggianti parve vantaggio; perchè facessesi la fortuna vincere Otone o Vitellio, che monta? sempre macchina il vinto contro al vincitore: e le prosperità fanno ancora r buon Capitani insolenti. Esser questi due discordi, trascurati, morbidi : e per lor vizj, uno n’ estinguerebbe la guerra, l’altro la vittoria. Serbarono adunque l’ armi all’ occasione consigliatasi Vespasiano e Muciano, allora. Gli altri prima tra loro: i migliori per lo ben pubblico: cacciati molti dalla dolcezza del predare; altri per lo male stato di lor casa; così tutti buoni e mali, per cagioni diverse, con pari affetto bramavan la guerra.
Vili. In questo tempo Y Acaia e l’Asia ebbero falso spavento, che Nerone vi comparisse; essendosi la fine sua detta in più modi, tanti più lo fingean vivo e credeaulo. Nel corso dell’ opera direm degli altri. Allora, uno schiavo del Ponto, o, come altri dicono, libertino d’Italia, ceterista e cantore ( che, oltre al somigliarlo, fece più creder l’inganno), con certi truffatori sperduti, con gran promesse ammaestrati, entrò in mare : e per tempesta battè in Citno isola ; ove con certi soldati venuti di Levante s’unì, e quei che non vollero ammazzò: spogliò i mercanti; e li schiavi più rohusti armò. Sisenna Centurione, che portava le destre ( segnale di concordia ) dall’ esercito di Sorìa a’ soldati pretoriani, tentò con varie arti in maniera, qhe per non v’ essere ammazzato, s’ ebbe a fuggire dell’ isola di nascoso. Quindi si sparse il terrore, e quel gran nome molti svegliò, per desiderio di cose nuove e odio delle presenti.
IX. La fama, che ne cresceva ogni dì, fu per caso estinta. A Calpuraio Asprenate, governator di Gala-^ zia e Panfilia fatto da Galha, furon per suo passaggio date dell’ armata di Miseno due galee. Con esse afferrò a Citno; ove a’-capitani delle galee non mancò chi disse che venissero a Nerone. Egli con mesto \olto, invocando la fede loro, già soldati suoi, li pregava che lo ponessero in Sorìa o Egitto. Essi per dubbio o per inganno dissero, che ne sarieno con gli altri saldati e tornerieno con la risoluzione. Ma riferiro il tutto con fede ad Asprenate- per cui consiglio il navilio fu preso, e colui, chi fosse ammazzato. Il corpo di belli occhi e chioma, e volto fiero, fu portato per l’ Asia a Roma.
X. In quella città discordante, che per li spessi mutati principi non sapea se era libera o senza freno , di cose ancor mcnome si faceano gran romori. Vibio Crispo , per danari, potenza e ingegno , tenuto tra i chiari più che tra’ buoni, voleva che l’ accusa d’ Annio Fausto cavaliere, stato spia di Nerone, si vedesse in Senato, secondo il decreto da’ Padri ultimamente fatto a tempo di Galba. In alcuni si era osservato, in altri no; secondo che il reo aveva danari o favori. Cercava Crispo in tutti i modi di sprofondar questa spia di suo fratello ; e volti aveva , li più de’ Senatori a condannarlo senza disamina o difesa. Appresso ad altri, per lo contrario, nulla più al reo giovava che la soverchia potenza dell accusante. » Odansi » ( di ce ano ) » l’accuse, deasi tempo alla difesa ; come s’ usa al più tristo uomo del Mondo. » Ottennero tempo pochi di: e Fausto fu dannato, con meno approvazione della città che non meritava l’ uomo pessimo ; ricordandosi che Crispo aveva esercitato i medesimi rapportamenti per danari; e dispiaceva non il supplizio , ma l’ autore.
XI. Lieto principio alla guerra diedono a Otone gli eserciti mossisi di Dalmazia e Pannonia, come e’ comandò. Quattro legioni erano : dumila di loro mandati innanzi ; e seguitavano con piccole distanze, la settima fatta da Galba, l’undecima e tredicesima, Vecchie ; la quattordicesima famosa, che soppresse la ribellione di Britannia, scelta a ciò per sua gloria da PJerone per la più atta ; perciò a lui fedelissima e rivolta con l’ affetto a Otone. La confidenza in loro possanza e fortezza lo faceva più lento ; e innanzi alle legioni passavano gli altri fanti e cavalli. Di Roma uscivano forze non poche ; cinque coorti pretoriane, le insegne de’cavalli, con la legion prima; dumila accoltellatori; laido ripieno, ma nelle civili guerre adoperato ancora da’ Capitani severi. Annio Gallo, condottiere di queste genti, fu mandato con Vestricio Spurina innanzi a pigliare le ripe del Po, per esser già Cecina contro al primo disegno di tenerlo entro le Gallie, sceso l’Alpi, La persona d’Otone in mezzo a guardia eletta, con gli altri pretoriani, vecchi e pratici, e gran numero dell’armata, camminava non con agio e pompa, ma in corsaletto, innanzi alle insegne a piede, sucido, arruffato, contro a che aveva nome.
XII. La fortuna per giuoco l’impadronì con le forze di mare di quasi tutta Italia fino appiè del« l’Alpi marittime; avendo di tentarle e pigliare la provincia Narbonese , dato carica a Svedio Clemente, Antonio Novello, Emilio Pacense. Ma questi alla licenza de’soldati cedè: Novello non aveva autorità; Clemente per ambizione lasciava i soldati esser licenziosi , e di combattere era troppo avido. Non pareva che andassero per Italia lor patria, ma per paese straniero; ardendo, rubando, guastando nimiche città ; tanto più atroci, quanto meno aspettati. Era ancora la ricolta sopra la terra, le case aperte: andavano loro incontro i padroni con le donne e figliuoli, con sicurtà di pace ; ed eran sopraggiunti da’ mali della guerra. Teneva l’Alpi vicine al mare Mario Ma- . turo procuratore. Costui con la gioVentù, che v’ab-. bonda, volle cacciare di Provenza gli Otoneschi; ma furono al primo assalto sbaragliati e uccisi gli Alpigiani ragunaticci ; non d’ ordini, non di Capitano , nè d’onor di vittoria, o vitupero di fuga, conoscitori.
XIII. Accaniti per tale affronto i soldati d’Otone, e non vedendo guadagno a combattere con poveri villani, con armi vili, a pigliar impossibili, per lor velocità e pratica di que’greppi, voltaron l’ira sopra Ventimiglia: e con la calamità di quelli innocenti saziarono l’ avarizia ; e feceli più odiosi il nobile esempio d’una femmina di Liguria, che nascose il suo figliolino : e credendola i soldati aver con ello nascosi i danari , la domandavano con tormenti ove avesse appiattato il figliuolo : ella mostrando il ventre disse : » Qua entro : » nè strazio nè morte la spuntò da quella valorosa parola.
XIV A Fabio Valente giunsero affannati messaggi, che l’armata d’Otone pigliava la Narbonese, già giurata a Vitelli o; e ambasciadori di quelle città a chieder soccorso. Mandovvi sotto Giulio Classico due coorti de’Tungri, e quattro bande di cavalli, e tutti i cavalli tre viri; parte ne rimase in Fregius, acciocchè mandandosi tutte le forze per terra, non sopraggiugnésse loro l’armata del nimico, non essendo guardato il mare. Dodici frotte di cavalli e un fiore di fanti, con una coorte di Liguri, antica guardia del luogo, e cinquecento novelli Pannoni sfidarono il nimico ; il quale senza indugio accettò. Ordinaronsi in questa guisa : Tenevano le colline in su ’1 mare parte de’ soldati d’armata, mescolati con paesani; il piano tra i colli e ’l mare pretoriani ; nel mare i vascelli accostati, e volti a terra stavano pronti minacciando. I Vitelliani, forti di cavalli più che di fanti, mettono gli Alpigiani sopra i colli; le coorti con le file serrate dietro ai cavalli. Le frotte de’Treveri male accorte si presentarono al nimico; e furono da’soldati vecchi ricevute; e co’sassi incontanente le percosse per fianco una mano di paesani fromboJieri ottimi, che mescolati tra’ soldati, facevano nella vittoria le stesse prove, sì i codardi, come i valorosi; e per più terrore, que’ di mare gl’ investirono alle spalle: e così circondati, erano disfatti tutti, se la notte non copriva i fuggenti.
XV. Non quietano i Vitelliani per ciò: chiamano aiuti: e ’l nimico, per lo successo negligente e sicuro, assaltano ; ammazzano le scolte, sforzano il campo, e l’armata spaventano; sinchè gli Otoniani ripreso animo a poco a poco, e difesi da un colle vicino, corrono loro addosso. La strage fu atroce : i capitani Tungri, tenuta un pezzo la puntaglia, oppressi caddero. Nè senza sangue vinsero gli Otoniani, perchè, per troppo oltre seguitar i nimici, da certi cavalli, che rivoltaron faccia, furon circondati; c quasi fatto tregua, perchè l’armata di qua, e i cavalli di là non si infestassero, si ritirarono i Vitelliani in Antibo, terra della provincia Narbonese, e gli Otoniani in Albenga di Liguria.
XVI. La Corsica, la Sanligna c l’altre vicine isole, alla fama che l’ armata avea vinto, tennero da Otone. Ma ebbe a rovinar la Corsica la temerità di Decimo Pacario procuratore, che per odio d’Otone voleva pure con le forze de’ Corsi dare a Vitellio aiuto, in tanta macchina di guerra ridicolo, quando bene gli fusse riuscito ; ma gli tornò in capo. Aperse suo concetto a’principali isolani; e, perchè Claudio Firrico, Ammiraglio di quelle galee, e Quinzio Certo , Cavalier romano, ardirono di contraddirlo, li fece ammazzare. Spaventati que’ che presenti erano, con tutta la turba ignorante e tremante, giurano fedeltà a Vitellio. Ma, come Pacario cominciò a scriverli per soldati, aggravare quella gente rozza nelli ufici della milizia, fatiche non usate abborrendo, s’ avvidero d’esser deboli e in isola; la Germania e forze, lontane; saccheggiati e guasti dall’armata ancora i difesi dalle coorti e da’cavalli, e subito rivoltati, ma occultamente, presero il tempo; e quando fu Pacario da quei che lo corteggiavano lasciato nel bagno ignudo e solo, ammazzano lui e loro, e portano le teste come di nimici, a Otone; e non n’ ebbero nè da lui premio, nè da Vitellio gastigo , essendone in quella confusione de’ più scelerati.
XVII. Avea già rotto la guerra in Italia la cavalleria sillana, come dicemmo, e niuno favoriva Otone ; non per volere anzi Vitellio, ma per aver la lunga pace ognuno avvilito a lasciarsi cavalcare, 0 migliore o peggiore, da chi prima giugnesse. Arrivarono le genti avviate da Cecina; onde l’armi di Vitellio tenevano tutte le pianure e città, dal Po all’ Alpi, il fior dell’ Italia. Presero intorno a Cremona la coorte di Pannonia, e tra Piacenza e Pavia cento cavalli e mille soldati di mare ; così furon padroni del Po e sue ripe i Vitelliani. Il qual Po a certi Batavi, e d’oltre Reno, mosse vaghezza di passarlo drimpetto Piacenza, ove presero alcune guardie , con tanto spavento degli altri, che riferirono falsamente esservi comparito Cecina con tutto l’ esercito.
XVIII. Spurinna, che teneva Piacenza, sapeva non esser vero: e voleva, se si accostasse, non uscire, nè avventurare tre coorti pretoriane e mille soldati d’insegne con pochi cavalli, contro a un esercito di veterani; ma que’soldati novelli e sfrenati, ritte le insegne e bandiere, saltan fuori: al Capitano che vuol tenerli 3 voltan le punte ; sprezzano i Centurioni e Tribuni: gridano esservi tradimento : è Cecina chiamato. Spurinna seguitò lor pazzia, prima per forza ; poi finse di consentirvi, a fine di persuaderli con più autorità, se si mitigassero.
XIX. Giunti alla vista del Po, e facendosi notte parve da porre il campo. Questa fatica non usata, ai soldati della città tolse animo; e ripenlivansi, e mostravano i più posati, a che pericolo si mettevano d’ essere inghiottiti sì pochi in pianura da Cecina con tanto esercito; e già per tutto il campo parlavan meno altieri, frammettendosi i Centurioni e Tribuni; e celebrando lo gran vedere del Capitano d’ avere scelto per Fortezza e piazza di tutta la guerra quella forte e ricca città. Spurinna non tanto rimproverò -, quanto con le ragioni mostrò la lor colpa: e tutti, dalle spie lasciatevi in poi, li rimenò in Piacenza meno fastidiosi e più ubbidienti. Fortificò le mura, fece bertesche, alzò torrioni, vi provvide l’ armi, e misevi la riverenza e voglia d’ ubbidire; di che quella parte, per altro valorosa, mancava.
XX. Cecina , come avesse dietro all’Alpi lasciata la licenza e la crudeltà, passò per l’ Italia modestamente. Superbo parve alle ter re e città col dare alle persone togate udienza in saio di più colori e braconi alla barbara. E Salonina sua moglie, benchè a niuno nocesse, offendeva, cavalcando sopra nobil palafreno coverto di porpora, vedendo noi per natura la nuova fortuna altrui con mal occhio, e niuni estimando doversi moderare più di quei che già ci vedemmo eguali. Cecina passò il Po : e con trattato e promesse tentò gli Otoniani nella fede, e fu tentato altresì: andaro attorno paroloni di pace; finalmente si diede tutto allo aver Piacenza con ogni sforzo e terrore; sapendo che i primi successi darieno al resto reputazione.
XXI. Passò il primo giorno con più furia che sapere , l’ esercito di vecchi soldati ; andaron sotto le mura scoperti, sprovveduti e pieni di cibo e di vino. In quel conflitto .arse il bellissimo anfiteatro fuori delle mura per le fiaccole e palle e fuochi lavorati, tratti innanzi o in dietro. Credettero i terrazzani sospettosi, alcune vicine terre avervi portato esche, per invidia di quell’opera, la più capace d’Italia. Il male onde si venisse, duranti le atroci paure, parve leggieri ; passate quelle , il maggiore che’ potessero avere., Cecina con molto sangue de’suoi fu rigittato. La notte. s’ attese a provvedere; i Vitelliani, tavolati, graticci, copertoi e difese per le mura rompere e zappare: gli Otoniani, travi, cantoni, piombi e metalli, per li nimici infragnere e le opere fracassare. Stimolavali da ogni banda vergogna, gloria, diverso esortare e aggrandire ; di là le legioni e ’l poderoso esercito di Germania ; di qua la sovrana milizia guardatrice di Roma e del principe. Quelli a questi diceano, soldati da chiocciole e da meriggiare ne’ teatri; e questi a quelli forestieri e vagabondi: e d’Otone e di Vitellio contandosi le glorie e gli obbrobri, molto più s’ aizzavano.
XXII. Appena era di, che le mura fur piene di difenditori: la campagna luccicante di uomini armati; le legioni, insieme serrate: gli aiuti sparsi tiravano frecce o sassi alla cima delle mura ; assalivano ove erano dal tempo rotte o non guardate. Gli Otoniani di sopra , più grave e diritto lanciottavano i Germani,, temerariamente con orrido canto sottentrando, e li scudi a loro usauza sopra gl’ ignudi omeri percotendo. I legionari sotto le dette coperture zappano la muraglia: fanno trincea: spezzan le porte. Gli avversari, all’ incontro, rovesciano loro addosso condotti massi , che con gran tonfi sfracellano, conficcano , ammaccano; e la paura accrescendo la strage, perchè le mura fioccavano tanto più, si ritirarono con poco onore di quella parte. Cecina per la fama e vergogna della male assalita Piacenza, e per non farsi, standosi più in quel campo, uccellare, ripassato il Po, si dirizzò a Cremona, Nel suo partire gli si diedono Turullio Ccriale con molti dell’ armata e Giulio Brigantico con pochi cavalli : questi Batavo, Capitano d’ una banda ; quegli, di primopilo a Cecina non discaro . avendo avuto in Germania compagnia. XXIII. Spurinna, veduto il nemico partito, Piacenza difesa, quanto s’era fatto e Cecina volea fare, scrisse ad Annio Gallo. Venia questi con la legion prima a soccorrer Piacenza • che non s’ arrendesse per la poca gente al forte esercito germano. Quando egli intese che Cecina n’ era cacciato e andava a Cremona, ritenuto a fatica Fardore di quella legione, che voleva combattere in sin per forza ; si fermò a Bedriaco, borgo tra Verona e Cremona, famoso per due rotte romane e malurioso. In que’ giorni Marzio Macro vicino a Cremona ebbe un po’di vittoria. Ardito e presto passò i gladiatori all’altra riva del Po: e quivi, rotti certi aiuti vitelliani , que’che fecer testa e a Cremona non fuggirono, ammazzò ; e ritornossene, perchè aiuti nuovi non venissero e voltasser fortuna. Di questo fatto gli Otoniani, che sempre credevano il peggio, preser sospetto; e subitamente a gara i più codardi e linguacciuti danno varie accuse ad Annio . Gallo, Svetonio Paulino e Mario Celso loro Capi, dati pur da Otone. Tra questi gli ucciditori di Galba, stromenti pessimi da sollevamenti e discordie, forsennati per la sceleratezza e spavento, mettevano il Mondo sozzopra ; ora sparlando in pubblico, o scrivendo in secreto a Otone; il quale ad ogni vile credendo , e de’ buoni temendo, era nelle prosperità impacciato, ne’travagli migliore. Chiamò adunque Tiziano suo fratello , e fecelo Generale della guerra, da Paulino e Celso, in questo mezzo governata ottimamente. - XXIV. Cecina, che si rodeva d’esser tutte le sue imprese svanite, la fama dell’esercito menomata, gli aiuti ammazzati, sè da Piacenza cacciato, e al di sotto insino ne’ più spessi, che notabili affronti. de’ riconoscitori, vedendo Fabio Valente appressarsi, a fine che tutta la reputazion della guerra non venisse in lui, sollecitava con più agonia che consiglio, di racquistarla. Nel luogo detto Gastore, dodici miglia presso a Cremona, imbpsca i più feroci fanti d’ aiuto lungo la via, più innanzi fa passar i cavalli , con ordine che appicchino scaramuccia, voltino !e spalle; per farsi correr dietro sino al saltar fuori l’ agguato. I Capitani d’ Otone il seppero: Paulino prese cura dei fanti, Celso de’ cavalli. A sinistra furono la legion tredicesima, quattro coorti d’ aiuti e cinquecento cavalli- presero il ciglione della via tre coorti pretoriane in file serrate ; a destra la legion prima con due coorti d’aiuti e cinquecento cavalli; oltre a questi, mille cavalli pretoriani e d’aiuti stavano alle riscosse, bisognando, e, per vantaggio, vincendo.
XXV. Innanzi all’ appiccar la battaglia, i Vitelliani voltan le spalle. Celso, che sapeva lo inganno, gli lascia andare ; escono a sproposito gl’ imboscati : vannogli addosso. Celso cede passo passo, conduceli nelle forbici ; perchè gli aiuti a’ fianchi, la legione a fronte, e i cavalli girando lor dietro, subitamente gli accerchiarono. Non fu sollecito a dar alla fanteria il segno della battaglia. Svetonio Paulino, tardo per natura e vago anzi di andar cauto con ragione , che di vincere a caso; ma fece empier le le fosse, nettar la campagna, spiegar l’ordinanze; sembrandogli aver ben tosto cominciato a vincere , avendo provveduto di non esser vinto. Tale indugio diede agio a’Vitelliani a salvarsi in certe vigne intralciate lungo un picciol bosco, ove ripreso animo, ammazzarono i cavalli troppo volonterosi ; e fu ferito il Re Epifanc, che faceva per Otone gran prove. XXVI. Allora la fanteria d’ Otone si difìlò e mise a fil di spada i nimici combattenti, e ’l soccorso in fuga,- perchè Cecina col mandarne pochi per volta e non tutti insieme, gli sbrancò, indebolì, spaurì. Onde il campo si sollevò e prese Giulio Grato maestro di esso campo, per sospetto di tradigione, trattata con Giulio Frontone suo fratello Tribuno nel campo d’ Otone, ove per la medesima cagione anche egli fu preso. Nel fuggirsi, nel rincontrarsi in battaglia, alle trincee, per tutto, fu sì fatto lo spavento , che per comun detto dell’ una e dell’ altra parte, Cecina era del tutto disfatto se Paulino non sonava a raccolta; per non tenere, dicev’ egli, a petto a’ Vitelliani riposati nel campo e freschi, li suoi consumati per tanto cammino e opere, senza aver dietro soccorso alcuno; ragione entrata a pochi: il popolo ne levò i pezzi.
XXVII. Mise il danno de’ Vitelliani non tanto paura , quanto cervello ( non pure a Cecina, che ne incolpava i soldati suoi, più pronti a sollevarsi che a combattere, ma a quelli ancora di Fabio Valente, già comparito a Pavia) a non farsi beffe più del nimico: ricomperar l’ onore, e ubbidire con più dovuta riverenza il lor Capitano ; essendo accesa gran fiamma di sedizione, la quale ora , perchè i fatti di Cecina non erano da tramezzare, narrerò da principio più alto. Gli aiuti batavi ( che noi dicemmo essersi nella guerra di Nerone, andando in Britannia, spiccati dalla legion quattordicesima e congiunti con Fabio Valente ne’Lingoni ) udito il movimento di Vitellio, si vantavano per li padiglioni superbamente, d’ aver fatto stare i quattordicesimani • tolto l’Italia a Nerone; aver in pugno F esiio di tutta la guerra; cosa ingiuriosa a’soldati, aspra al Capitano; essendo per le tante parole e contese guasta la buona milizia; e finalmente Fabio sospettò non passasse Y insolenza in perfidia.
XXVIII. Perchè all’avviso che l’armata d’Otone avea rotti i cavalli treviri e i Tungri, e costeggiava la Gallia Narbonese ; per buona cura di difender quelli amici e per militare astuzia di spartire quelli Batavi scandolosi, e tutti insieme possenti, comandò a una parte, che andasse a quel soccorso. Ciò udito e sparsosi, s’addoloravano gli aiuti e fremevano i nostri: » Che l’aiuto di quei pratici e fortissimi vincitori di tante guerre, fosse levato lor in faccia del nimico in sul buono del combatterlo. Se più vale Provenza che Roma, e la salute dell’ Imperio, corressono tutti là; ma se la sanità, il nutrimento, il bene della vittoria, stava nell’Italia, non si tagliassono quasi i più forti nerbi di questo corpo ».
XXIX. Mandando Valente i sergenti per chetare questi orgogliosi, gli si voltan co’sassi : ei fugge: corrongli e gridangli dietro, che nascondeva le spoglie delle Gallie, l’oro dei Viennesi, e’l premio di lor sudore; saccheggiangli le bagaglie, i padiglioni, frugano infin sotterra co’ dardi e aste. Egli s’acquattò, vestito da schiavo, appresso a un Decurione di cavalli. L’ardore alquanto ammorzò; e Alfeno Varo maestro del campo v’ aggiunse quest’ arte : non fece andare i Centurioni a riveder le sentinelle; non sonar trombe che i soldati chiamano a’ lor ufici; onde si stavano a man giunte: guardavansi in viso balordi: e del proprio vedersi senza Capo impauriti, chiedevan mercè con silenzio, pentimento, preghi e pianti. Uscito fuori Valente tutto brutto, piangente, e vivo, fuor d’ogni credere, impazzati d’allegrezza, compassione, favore ( come va il popolazzo da estremo a estremo), con mille laudi e inchini circondato d’aquile e insegne lo portano in tribunale. Esso con utile moderanza, di niuno domandò supplizio : e pochi ne garrì, per non metter sospetto dissimulando ; sapendo che nelle guerre civili posson più i soldati che i Capitani.
XXX. Fortificandosi nel campo a Pavia, odon la rotta di Cecina, e rimontano in collora contro a Valente, quasi tenuti quivi a badalucco malignamente, perchè non fossero a quella fazione. Non dormono, non aspettano il Capitano; vanno innanzi all’insegne, pingono gli Alfieri e corrono a unirsi con Cecina, nel cui esercito Valente era lacerato, d’avergli lasciati sì pochi contro a tanti nimici e freschi e valorosi; magnificandoli per più scusa e men dispregio dell’essere stati vinti. E quantunque Valente avesse più legioni e aiuti quasi il doppio, i soldati nondimeno inchinavano a Cecina, come più benigno, giovane, alto di persona e per una cotal vana loro compiacenza. Onde si astiavano e ridevansi, Cecina delle codardie e macchie di Valente , questi della gonfiezza e vanità di Cecina. Ma celato l’ odio, tiravano a un segno: e a Otone scrivevan lettere vituperose, senza pensare a quel che poteva avvenire ; quando i Capitani d’Otone, che avevan che dire molto più di Vitellio, se n’ astenevano.
XXXI. Perchè veramente innanzi che facessero la lor fine, Otone egregia e Vitellio sceleratissima, si avea men paura de’ vili piaceri di costui, che delli appetiti ardenti d’ Otone. Era questi divenuto tremendo e odioso per la morte di Galba; quegli, dell’origine della guerra da niuno imputato. "V itellio era, per lo ventre e per la gola, nimico a sè stesso. Otone, con lo spendio, crudeltà e audacia, pareva alla repubblica più dannoso. Tosto che Cecina e Valente furon congiunti con tutte le forze, non avrebbero differita la giornata. Otone fece consiglio se la guerra si dovesse trattener o provar la fortuna. Parve a Svetonio Paulino, tenuto lo più scaltro guerriero de’suoi tempi, appartenergli discorrere di tutta la guerra, e conchiuse, che a’ nimici bisognava sollecitare, a loro indugiare.
XXXII. » Essere l’ esercito di Vitellio comparito tutto, e poco potersene aspettare, per essere le Gallie sospette, e non metter conto abbandonar la ripa del Reno, perchè v’entrino nazioni tanto moleste: i soldati d’Inghilterra aver che fare con que’ nimici : essere il mare in mezzo: armi alle Spagne non avanzare: la Narbonese per le galee e per la rotta ancor tremare: l’Italia di là dal Po esser dall’Alpi chiusa, per mare non soccorsa e guasta nel passar solo dell’ esercito, che non ha onde cavar da vivere, e digiuno non può durare : que’ corpi calosci de’ soldati germani, che sono i più atroci e i più feroci che i nimici abbiano, condotti nella state, non reggeranno alla mutazion del paese e dell’aria: esser molte guerre possenti e furiose svanite per tedio e lunghezza. Essi avere, all’ incontro, tutti i comodi, fede per tutto: la Pannonia, Mesia, Dalmazia co’loro eserciti non tocchi3 Italia e Roma, capo del tutto, il senato e’l popolo, non mai scuri nomi, se ben talora un poco rannugolati: ricchezze infinite, pubbliche e private, e contanti che nelle discordie cittadinesche vagliono più che ’l ferro : soldati di complessione avvezza all’ Italia o a climi caldi : difenderli il Po e sicure città per mura e uomini ; Piacenza difesa aver chiarito, che niuna s’arrenderebbe. Trattenesse per tanto la guerra pochi giorni sino all’ail’ivo della legion quattordicesima, di gran nome per sè, e con gli aiuti di Mesia: e se allora, fatto nuovo consiglio, paresse, eoa le forze cresciute si combatterebbe ».
XXXIII. Del parere di Paulino fu Mario Celso: e così consigliò Annio Gallo mandatone a domandare, perchè era poco innanzi caduto da cavallo. Otone voleva dar dentro: a Tiziano suo fratello e Procolo Prefetto del Pretorio, come a ignoranti, parea mill’anni; e col dire, che la fortuna e gl’lddii, e’l genio d’Otone, così lo consigliavano e l’aiuterieno, e con folle adulazione, tolsero animo di replicare. Risoluto il combattere, si disputò se l’Imperadore doveva trovarvisi o no. Gli autori del mal consiglio Io spinsero a ritirarsi in Brcscello; levarsi dalla fortuna, e serbarsi all’ultimo uopo e all’Imperio. Questo giorno fu la prima rovina d’Otone; essendo seco partito il meglio de’Pretoriani, cavalieri e alabardieri, e caduto d’animo a’rimaglienti ; perchè i Capitani eran sospetti: e Otone, di cui solo si fidavano i soldati, ed egli a lor soli dava credenza, avea lasciato jn compromesso l’ autorità de’ Capi.
XXXIV. Ogni cosa sapevano i Vitelliani da molti fuggitivi che sono nelle guerre civili : e le spie, per volontà di spiare i fatti d’ altri, scoprivano i loro. E vedendo Cecina e Valente il nimico armeggiare, saldi e attenti lo lasciavan ( il che è saviezza ) far sacco nella stoltizia; fingendo voler passare il Po contro a’ gladiatori per un ponte, cominciato per non impigrire i soldati, di navi equidistanti incatenate con travi, per resistere alla. corrente, con l’ancore afferrate per tenerlo fermo, coi canapi lunghi, per alzarsi col fiume quando egli ingrossa ; e con una torre in su l’ ultima nave del ponte per tenere, sparando tiri, il nimico discosto.
XXXV. Gli Otoniani ne fecero un’ altra in su la ripa, e tiravano sassi e fuochi. ll fiume faceva un’isola: brigavano d’entrarvi i gladiatori in barche5 i Germani a nuoto passavano loro innanzi. Macro vedendone passati molti, empiè le barche de’suoi più feroci, e quelli assali- ma non combattono i gladiatori col coraggio de’ soldati : e barcollando nel fiume , non aggiustavano le ferite, come quelli a piè fermo in ripa ; e cadendosi addosso rematori e soldati qua e là, spaventati diversamente, i Germani si gittano nell’acqua5 attaccansi alle poppe; montano in su le corsìe; affondano i vascelli in su gli occhi d’ ambi gli eserciti, con tanta allegrezza de’Vitelliani, quanta rabbia delli Otoniani; che bestemmiando quella rotta , e chi n’ era cagione,
XXXVI. ruppero i vascelli salvati, e finirono la battaglia con la fuga. Gridavasi : «Muoia Macro;» e già ferito da lontano di lancia, gli erano addosso con le spade; ma Tribuni e Centurioni accorsivi lo salvarono. Non guari dopo, Vestricio Spurina, di ordine d’Otone, lasciata poca guardia in Piacenza, venne con le forze a soccorrere; e ~Otone diede a Flavio Sabino, disegnato Consolo, la carica di quelle genti che aveva Macro ; piacendo a’ soldati questo scambiettar Capitani; e i Capitani ancora, per tante sedizioni, poco si curavano di sì fatti carichi.
XXXVII. Trovo scritto, che ambi gli eserciti, spaventati della guerra, o stucchi delle brutte sceleratezze dell’ uno e dell’ altro principe, che si scoprivano ogni dì più, pensarono, se fusse meglio che combattersi, accordarsi a fare essi, o far fare al senato, Imperadore un altro; e perciò persuadevano i Capitani d’Otone il trattenersi e indugiare, spezialmente Paulino, il più vecchio di quanti erano stati Consoli, famoso guerriero, di gran rinomo e gloria per sue chiare geste in Inghilterra. Io credo bene che qualcuno in suo segreto desiderasse quiete e non discordia: un santo principe e non due sciagurati ; ma non già che Paulino , di quella prudenza, sperasse in quel corrottissimo tempo, soldati tanto modesti , che avendo turbata la pace per aver guerra, Jasciasson la guerra per zelo di pace : nè che eserciti , di lingue e costumi così strani e diversi, potessero a ciò convenire ; o que’ lor Generali e Capitani , che si sentivano la maggior parte disonesti, poveri e scelerati, patire altro principe men tristo e a loro non obbligato.
XXXVIII. L’ antica e natural ansietà ne’ mortali della potenza, crebbe e scoppiò con la grandezza dell’ Imperio ; perché nello Stato piccolo volevano agevolmente l’ onesto ; ma soggiogato il Mondo e spento le repubbliche e i Re emuli, poichè potemmo agognar l’ asii curate grandezze, s’accesero tra i Padri e la plebe i primi combattimenti. Or tumultuavano i Tribuni ; or prevalevano i Consoli ; nella città e nel Foro erano aizzamenti a guerra civile. Indi C. Mario della infima plebe, e L. Silla tra i nobili crudelissimo, misono vinta con l’armi la libertà in tirannia: e dietro a loro Gn. Pompeo più coperto, non migliore; nè mai più s’ è trattato che d’ esser principe. Non lasciaron l’ armi in Farsaglia e ne’ Filippi i soldati de’ nostri cittadini :. non che deporle di voIonia gli eserciti d’Otone e Vitellio, discordanti per la medesima divina ira, umana rabbia e scelerate cagioni. E se", quasi a’ primi colpi, Cniron le guerre di questi principi, abbiasene grado alla lor dappocaggine. Ma il riandare i vecchi e’ nuovi costumi r mi ha traviato: ora seguito l’ordine.
XXXIX. Andato Otone a Brescello, il suo fratello Tiziano comandava in titolo ; e Procolo , Capitan della guardia , in effetto. A Celso e Paulino, intendentissimi, e da niuuo adoperati, il nome vano di capitani addossava gli errori altrui. Stavano i Tribuni e’ Centurioni sospesi : veggendo, sprezzati i valenti, governare quei da niente, i soldati gioivano; ma volevan più tosto conientar le commissioni, che eseguirle. Quattro miglia più innanzi a Bedriaco piacque ripiantare il campo , sì male inteso ; che di primavera, con tanti fiumi intorno, pativan d’acqua. Quivi si disputò del combattere. Otone lo sollecitava per lettere: i soldati vi volevano la persona sua: molti, che si mandasse per le genti poste di là dal Po. Quello che il meglio era fare, non può così ben giudicarsi, come che il fatto fu il pessimo.
XL. Camminossi in ordinanza più da viaggio che da battaglia , sedici miglia sin dove l’ Adda imbocca nel Po, gridando Celso e Paulino, che i soldati stanchi, carichi di bagaglie, si davano in preda al nemico, che spedito, camminato appena quattro miglia, non lascerebbe l’occasione d’assaltargli, o sfilati o occupati a fare il campo. Tiziano e Procolo, quando non sapean risponder alle ragioni, dicevano: » Otone vuol così. » Ed eravi giunto battendo un Numido con sue lettere, che li minacciava del non dar dentro ; struggendolo e l’aspettare, e ’l più staro su le speranze. XLI. Lo medesimo dì vennero a Cecina. intento a far il ponte, due Tribuni pretoriani a trattar seco. Mentre egli udiva le condizioni e pensava le risposte , eccoti riconoscitori trapelando a dirgli: il nimico esser quivi ; e rotto fu il- ragionare. Se i Tribuni vollero incannare o tradire o partito onesto, non si sa. Cecina li licenziò: tornò in campo ; e trovò da Fabio Valente dato il segno alla battaglia; li soldati in arme; e mentre le legioni traggon per sorte i luogbi, la cavalleria si spinse: e fu miracolo che pochi Otoniani non gli rincacciassero sino alla trincea. La virtù della legion italica gli spaventò, ebe con le spade al viso, li fece voltare e ripigliar il combattere. Ordinaronsi i Vitelliani senza spavento, perchè li folti arbori toglievan l’ aspetto dell’armi de’nemici, benchè vicini. JNelli Otoniani erano i Capitani sbigottiti in 0’lio a’soldati ; tra essi carri e bagaglioni, mescolati: la strada, per le fosse di qua e di là smottate, rimasa stretta ancora a quieto marciare: chi, era intorno alle insegne, chi ne cercava: da ogni banda correre e. chiamar si sentiva : ciascuno, secondo coraggio o codardia, correva nelle prime file o nelle sezze si ritirava.
XLIL Una falsa allegrezza venuta in quelli storditi, che l ’ esercito di Vitellio gli s’ era ribellato, fu per loro tanto peggio. Se questa voce uscì da’ riconoscitori di Vitellio o da gente d’Otone, a caso o per ingannare, non è chiaro. Fermato l’ ardore del combattere, gli Otoniani salutarono. Fu risposto con mormorio nimico; temessi di tradimento, non vedendosi a che proposito quel saluto. Allora gl’investì questo nimico esercito d’ordine, podere e numero, al disopra. Gli Otoniani, benchè male ordinati, strac chi e meno, presero feroci la battaglia, varia per lo luogo imbrattato d’arbori e vigne; affrontavansi da lontano e presso ; a squadre e conj : in su’l bastiona, della strada alle mani si urtavano con le persone e con li scudi: gittate via l’aste, con le spade e accette sfondavano celate e corazze : riconosciensi tra loro, e facicnsi vedere, combattendo per la fine di tutta la guerra.
XLII1. Tra’l Po e la strada s’ appiccarono in un plano due legioni : per Vitellio la ventunesima, detta Rapace, d’antica gloria; e per Otone, la prima detta Aiutrice, che non aveva più combattuta, ma feroce e volonterosa d’ onore, mandò per terra le prime file e guadagnò l’ aquila della Rapace : la quale dal dolore accesa ripinse quella indietro: uccise Orfidio Benigno Legato: e molte nimiche insegne e stendardi rapì. In altra parte, l’impeto della quinta cacciò la tredicesima, e fur da molti della quattordicesima circondate. Già eran fuggiti i Capitani d’ Otone: e Cecina e Valente rinforzavans i loro; e nuovo aiuto giunse di Varo Alfeno co’ Baiavi^ che, rotti i gladiatori nelle barche, vittoriosi per fianco urtarono,
XLIV. e per mezzo fenderono la battaglia delli Otoniani, che fuggiro verso Bedriaco, via lunghissima, impacciata di cadaveri, onde l’uccision fu maggiore, non si facendo prigioni nelle guerre civili. Paulino e Procolo per diverse strade sfuggirono gli alloggiamenti. Entrovvi, essendo ancora alto il Sole, Vedio Aquila, Legato della legion trentesima, e si espose, non da pratico, all’ ira de’ soldati scandolosi e fuggiti , che gli furo addosso con le grida, con le mani, chiamandolo truffatore, traditore, seuza suo peccato, ma all’usanza del volgo, gli apponevano i loro. Per Tiziano e Celso, si fece l’entrarvi di notte ; messe le scolte, attutati i soldati da Anriio Gallo, che consigliò, pregò, comandò noa aggiugnessero alla sconfina la crudeltà contro a loro stessi, o fosse finita la guerra o volesserla ripigliare: conforto unico a’ vinti, esser l’ unione. Si perderono gli altri d’ a~ nimo: i soldati pretoriani sbuffano, che non erano stati vinti per virtù, ma per tradimento: non era stata la vittoria senza sangue, avendo rotti i cavalli, e tolta un’ aquila; essere con Otone tutta la gente d’oltre Po; gran parte dell’esercito rimaso a Bedriaco : due legioni venir di Mesia ; questi non esser vinti però ; e pur dovendo, mori rie no in battaglia con più onore. Tra questi pensieri, or terribili, or paurosi, per ultima dispeiazione l’ira cacciava più spesso il timore.
XLV. L’ esercito di Vitellio si piantò cinque miglia presso a Bedriaco, non avendo i Capitani ardito il dì medesimo d’ assaltare il campo: e anche si sperava che s’ arrendesse; ma a quegli senza bagaglie, e usciti solo a combattere l’ armi e la vittoria, serviron per ogni cosa. La dimane di volontà non dubbia dell’ esercito d’ Otone (e volti a pentirsi i più feroci) furon mandati arnhasciadori a chieder pace. "I capitani di Vitellio non la stettero a pensare: ritennerli alquanto ; e se ne stette con arisietà, non sapendo se l’ avessero ottenuta. Rimandatili, lo stec«ato fu aperto. Allora i vinti e’ vincitori, con un mare di lagrime e miseranda allegrezza, maladicevano l’armi civili: ne’medesimi padiglioni medicavano le ferite de’ fratelli e de’ parenti ; le speranze e guiderdoni erano dubbi; le morti e’pianti certani : e uiuno ne andò così netto che non piangesse qualcuno. 1l corpo d’Orfid;o Legato fu trovato e arso con solita onoranza: seppelliti alcuni da’lor parenti; tutti gli altri in su la terra lasciati.
XLVI, Otone attendeva l’avviso della giornata, coraggioso, e di sè risoluto. Giunsene prima fama non troppo buona ; poscia i fuggiti della battaglia accertarono esser ito in malora ogni cosa. L’ affezione de’ soldati non aspettò ch’ ei parlasse, dicendo ; Non dubitasse ; esservi ancor nuove forze ; patirieno, ardirie«io essi ogni estremo ; e senza adulare, ardevano di voglia infuriata d’ire a combattere, risuscitar la fortuna: alzavano le mani i lontani, baciavangli le ginocchia i vicini. Scongiuravalo del medesimo, Plozio Fermo, Prefetto dei pretoriani: Non gittasse via si fedele esercito, soldati sì meritevoli: la fronte e non le spalle voltare il coraggioso all’ avversità ; speranza eziandio ritenere il forte e valoroso , contro a fortuna ; alla disperazione correre i ’codardi e vili. Secondo che a tali conforti Otone in viso pareva piegato o duro, uscivano allegrezze o sospiri. Nè pure i pretoriani, propri soldati d’Otone, ma i mandati di Mesia, portavano la medesima Ostinazione di quell’ esercito che s’appressava, e già era in Aquilea: e senza dubbio si poteva rifar guerra atroce, lacrimevole e dubbia.
XLVII. Ma Otone, deliberato di no, disse a’confortanti: » Non vale la vita mia quanto il mettere a nuovo risico quest’ animo e virtù vostra. Quanto più speranza mi date, volendo io vivere, tanto fia più bello il morire. Ho provato l’ una e l’altra fortuna, ed esse me: non fate ragion del tempo: felicità non durabile, è più difficile a temperare ; ma io sarò esempio d’aver voluto Una sola volta con armi civili combattere il principato con Vitellio , che fu il primo a muoverle. Quinci estimino i secoli chi fu Otone. Riabbiasi Vitellio il fratello , la moglie e i figliuoli ; io non ho bisogno di vendetta nè di conforti. Abbiansi tenuto altri più lungamente l’Imperio: niuno l’avrà lasciato sì fortemente. Come? io path’G che tanta gioventù romana, tanti valorosi eserciti siano straziati e tolti alla repubblica Un’ altra volta ? Accompagnimi questo vostro buono animo di aver voluto per me morire. Vivete pure; e non tratteniamo , io la vostra salute, voi la mia gloria. Le molte parole intorno al morire sono debolezza; vedete se io ne son dispostissimo, che io non mi dolgo • nè d’Iddii, nè d’uomini, perchè ciò fa chi vuol vivere ».
XLVIII. Così detto, suavemente comandò a-’ giovani, pregò i vecchi e graduati, che tosto da lui si partissero per non inasprire l’ira del vincitore : e con. volto piacevole e parole animose, le inutili lagrime de’ suoi riprendendo , fece dare a loro barche e carrette. Arse le lettere e scritture, contenenti notabile amore a lui e vituperj di Vitellio. Donò mance, ma scarse, come non dovesse morire. Di Salvio Cocceiano, giovanetto , figliuol del fratello, maninconcso e timido, lodata la pietà, ripreso il timore, lo consolò: » Che Vitellio non sarebbe sì crudo, che dell’avergli la casa salvata non gli rendesse almeno questa grazia: che la morte affrettatasi meriterebbe clemenza dal vincitore ; perciò che, non per ultima disperazione, ma chiedente battaglia l’esercito, avea risparmiato alla repubblica il pericolo estremo. Avere acquistato assai nome a sè e splendore a’ suoi avvenire. Dopo i Giulj, Claudj, Sevvj, lui primo aver messo l’Imperio in nuova famiglia. Vivesse con franco cuore: nè mai si dimenticasse, nè troppo si ricordasse, Otone essere stato suo zio ».
XLTX. Licenziato ognuno, alquanto si riposò ; e già pensando al suo fine, fu sturbato da repentino strepito e nuova, che i soldati minacciavano morte a chi si partisse : e la casa, ove tenevano assediato Verginio, abbattevano di tutta forza. Andò a ripi^endere i movitori del tumulto : e tornato, faceva motto a ciascuno, finchè tutti se ne furono andati salvi. In su la sera gli venne sete e bevve acqua fredda: fecesi portar due pugnali: tastolli: e uno sene mise al capezzale. Saputo non v’esser più amici, si passò quella notte quieta, e affermasi non senza sonno. All’ alba s’infilzò in su ’l pugnale col petto. Corsero al romore di lui, per quella sola ferita boccheggiante, servi e liberti, e Plozio Fermo, Prefetto del pretorio : e ’l seppelliro spacciatamente, come egli caldamente pregò, perchè non gli fosse tagliata la testa per ischernirla. Soldati pretoriani il portarono con laudi e lagrime, baciandoli la ferita e le mani. Alcuni soldati lungo la catasta s’uccisero; non per peccato o paura, ma per amare il Principe e imitare la sua virtù; e poscia a Bedriaco, a Piacenza e in altri alloggiamenti fu cotal morte usata da molti. Fu fatto a Otone sepolcro piccolo, ma da durare.
L. Tal fine ebbe di anni trenta sette. Fu natio della città di Ferente : il padre Consolo, l’ avolo , Pretore ; da lato di madre men chiaro; non però basso; fanciullo e giovane, quale abbiamo detto, per due fatti l’uno bruttissimo, l’altro egregio, meritò fama rea e buona, egualmente. Siccome la gravità di quest’opera non comporta solleticar gli orecchi a chi legge eoa favole, cosi non ardisco appellar favole le cose divolgate e scritte. Contano que’ paesani che il dì che si combattè a Bedriaco, si posò un uccel nuovo in un boscio di Reggio assai frequentato, nè mai fu per molta gente lo svolazzante uccello cacciato nè spaurito in sino a che Otone s’uccise : allora sparì : e che i tempi del principio e Gne di questo miracolo a’ accordano con la detta morte.
LL Nel suo mortoro fecero i soldati per lo duolo e pianto nuova sedizione, e non era chi quietarla. Voltatisi a Verginio, ora che pigliasse l’Imperio, ora che andasse ambasciadore da parte loro a Cecina e Valente, il pregavano minacciando. Verginio, entrandogli essi con impeto in casa, per l’ uscio di dietro scampò la furia. Delle coorti state a Brescello portò Rubrio Gallo le preghiere; e subito fu lor perdonato : e Flavio Sabino tirò tutta la sua carica a divozione del vincitore.
LIL Posata per tutto la guerra, corse pericolo una gran parte del senato uscita con Otone di Roma e rimasa a Modana. Dove, quando venne la nuova che s’ era perduto, i soldati non la credevano : e tenendo i senatori per nimici d’Otone, osservavano le parole, atti e volti, tirandogli al peggio: e con oltraggi e villanie cercavano occasione di manometterli. E già esscudo la parte di Vitellio gagliardissima, portavano un altro pericolo i senatori, di non parere d’aver" indugiato troppo a far allegrezza della vittoria.-Con questi batticuori si ragunavano; ciascheduno per sò era impacciata; assicuravagli aver molti compagni. Aggravavali il senato di Modana, che offeriva loro
arme e danari, del nome di Padri Coscritti, fuor di
otta, onorandoli.
LUI. Nacquevi gran contesa per aver Licinio Cecina detto a Marcello Eprio, che parlasse chiaro : non si lasciavano intendere anche gli altri; ma Cecina, uomo nuovo, tirato su ora in senato, si volle illustrare col farsi gran nimici e pigliarla contra Eprio, grande e odioso per la memoria delle sue accuse. Entraronvi di mezzo prodi uomini; e tutti a Bologna tornarono per fare nuovo consiglio ; in tanto verrebbero più avvisi. Da Bologna mandaron uomini a’ passi , a intendere da chi veniva fresco di là, che fosse d’Otone. Rispose un suo liberto: Che portava il suo testamento e l’ avea lasciato vivo ; ma pensava alla fama, non alla vita. Stupirono : vergognaronsi di più domandare; e tutti fur volti a Vitellio.
LIV. Era in quel consiglio Lucio suo fratello; e a que’ senatori già adulanti si presentava, quando Ceno, liberto di Nerone, con atroce menzogna gli mi-e sozzopra, affermando , esser la legion quattordicesima arrivata, unita con le forze di Brescello ; tagliati a pezzi i vincitori; rivoltata fortuna. Questo trovato fece, acciocchè le patenti d’Otone , che non si stimavano, ripigliasser forza per tal novella. Costui se n’ andò a Roma volando, ove pochi dì appresso Vitellio il fe’ gastigare. Credendo a tal novella i soldati d’Otone, crebbe il pericolo del senato ; tanto più essendosi in vista di consiglio pubblico uscito di Modana con abbandonar quella parte. Onde non si ragunò più: ognun pensò a sè: finalmente Fabio Valente con sue lettere gli cavò di paura; e la morte d’ Otone quanto più lodevole , tanto più prsito \olò. LV. Roma non se ne mosse : facevasi l’ usata festa di Cerere ; e quando nel teatro venne certezza che Otone era morto, e Flavio Sabino governante aveva fatto quandi soldati erano in Roma giurar fedeltà a Vitellio, si gridò: Viva Vitellio. Il popolo portò le immagini di Galba intorno a’ tempj con corone di fiori e d’ alloro, c feceli di esse a modo d’ un sepolcro a fonte Curzia, ove morendo sparse il sangue. In senato si decretò subito a Vitellio quanti onori mai ri trovaro a lungamente stato principe; a’ germani eserciti, laudi e ringraziamenti, e ambasceria a Vitellio, a rallegrarsi. Si lesse una lettera di Fabio Valente a’ Consoli, non ventosa; ma più grata fu la modestia di Cecina che sen’ astenne. i
LVI. Ma l’Italia era più atrocemente afflitta che aver guerra. I Vitelliani alloggiati a discrezione per le terre, spogliavano, rapivano, svergognavano, taglieggiavano, vendevano con ogni avidezza il sagro e 1 profano ; e alcuni uccisero lor nimici privati, sotto spezie di soldati d’ Otone. I pratici del paese volevano in preda i terreni grassi e i padron ricchi : chi replicava uccidevano: nè ardivano i Capitani, a loro obbligatissimi, rattenerli. Cecina, meno avaro, ma più ambizioso; Valente per li brutti guadagni infame; però all’altrui colpe chiudeva gli occhi. Italia già macinata non poteva più tollerare tanti soldati e cavalli , e danni e oltraggi.
LVII. Quando Vitellio, non sapendo di sua vittoria-, veniva via come a viva guerra, col rimanente delle forze di Germania, lasciati pochi soldati vecchi nelle guarnigioni ; avendo in furia fatto genti nelle Gallio per rinfrescar le legioni che rimanevano. La guardia della ripa commise a Ordeonio Flacco: egli con ottomila Inghilesi di più, camminato poche giornate, intese la vittoria di Bedriaco, e finita la vita d’ Otone e la guerra. Chiama a parlamento e alza a cielo la virtù de’soldati: raffrena l’adulazione disonesta di quelli domandanti tutti che facesse cavaliere Asiatico suo liberto ; poscia per debolezza , quel che negò in pubblico, fece a una cena: e delli anelli onorò Asiatico schiavo vituperoso, che s’aggrandiva per tristizia
LVIII. In que’giorni vennero avvisi, che arabe le Mauritanie s’eran volte a Vitellio, avendo morto Lucio Albino procuratore. Costui messo da Nerone a governo della Cesariense e da Galba della Tingitana , avea non poche forze. Diciotto coorti, cinque cornette, gran numero di Mori, gente assassiiia, rapace e perciò da guerra. Morto Galba, egli s’ accostò a Otone: e non bastandogli l’Affrica, uccellava alla Spagna, divisa da poco stretto. Cluvio Rufo, avendone paura, al lito accostò la Iegion decima per passare, e mandò innanzi Centurioni a tirare i Mori a divozion di Vitellio. Poca fatica durarono, perla fama del germanico esercito per tutto ’l Mondo ; e dicevasi che il procuratore Albino, prese l’ insegne regie, s’ intitolava il Re Iuba.
LIX. Onde , mutati gli animi , uccisero Asinio Pollione, confidentissimo d’Albino , che comandava una compagnia; e Festo e Scipione colonnelli e Al’ bino , andando dalla Mauritania Tingitana alla Cesariense, fu in su ’l lito ammazzato con la moglie , che si presentò agli ucciditori. Vitellio non cercava di cosa che si facesse: con breve udienza passava le più importanti, alle gravi cure non atto. Lasciò lo esercito venir per terra ; c se ne veniva giù per la Sona, non con apparecchio da principe , ma con la sua antica povertà ragguardevole. Ma Giunio Bleso, che reggeva la Gallia Lionese , di sangue illustre , ricco e magnifico, lo fornì di bella corte e l’ accompagnò. Vitellio l’ebbe per male" benchè noi mostrasse e lo coprisse con umili cirimonie. In Lione gli fecero riverenza i Capitani vincitori e i vinti. In pieno parlamento lodò Valente e Cecina . e fé’ sederlisi allato, e tutto l’esercito incontrare il suo figliuolo bambino. Come il vide, lo prese in collo • l’ appellò Germanico : lo cinse di sopravvesta e di tutte l’imperiali insegne. Il quale onore eccessivo nella ’ felicità , nella miseria gli fu conforto.
LX. Allora i Centurioni più divoti d’ Otone furo ammazzati : onde naccpie il principale sdegno nelli eserciti d’Illiria ; per lo quale male appiccaticcio , e per l’invidia a’soldati di Germania, gli altri pensavano a nuova guerra. Fatti lungamente storiare, e straziati Svetonio Paulino e Licinio Procolo , uditi alla fine si difesero con iscuse più necessarie che onorate , con affermare aver fatto per lui. tradimento. Il lungo cammino innanzi alla battaglia , la stanchezza degli Otoniani , le schiere ordinate fra* carriaggi e altre cose , le più di fortuna , attribuivano a lor froda. Vitellio credette il tradimento, e gli assolvè dalla fedeltà. Nè Salvio Tiziano, fratel d’Otone , portò pena, scusato come obbligato e dappocoFu confermato Mario Celso nel consolato; ma detto e creduto, e in senato rinfacciato a Cecinio Semplice d’aver offerto danari per conseguir quell’onore con la morte di Celso- Ma Vitellio non volle; e a Semplice poscia lo diè, senza peccato nè costo. Galena, moglie di Vitellio , favorì, e liberò Tracalo da’ suoi accusanti. LXI, Tra le fortune de’ Grandi si mescolò ( che Vergogna è a dire) un plebeo de’Boi, detto Marico; e ardì provocar l’ armi romane col chiamarsi Liberator delle Gallie e Iddio : e già con seguito di ottomila persone sollevava i vicini villaggi degli Edui, quando questa gente prudentissima con sua fiorita gioventù e gente avuta da Vitellio , sbaragliò quella moltitudine spiritata. Marico nella battaglia fu preso e giltato alle fiere : e , perchè non lo sbranavano , il volgo sciocco credeva che fusse inviolabile; finchè fu ammazzato , veggente Vitellio.
LXII. Contro ad altri felloni , o lor beni , non s’ andò più. De’ morti nella battaglia otoniana valsero i testamenti; o per li non testati, le leggi; da non temere d’avarizia , se ei si fusse temperato da quella brutta gola, non unque piena. Mandavanglisi di Roma e d’Italia gli aguzzamenti dell’ appetito : le poste correvano dall’uno e dall’altro mare; se n’ andavano in banchetti I Grandi della città ; rovinavansi esse città; tralignavano i soldati , passando dalle delizie: al disprezzo del Capitano. Mandò in Roma un editto , nel quale differiva il titolo d’Augusto , non riceveva quel di Cesare ; non diminuendo però sua podestà. Cacciò d’Italia gl’indovini. Sotto gravi pene ai cavalieri romani proibi macchiare quel grado, schermendo in teatro o recitando. Ciò sotto altri principi fatto aveano a prezzo e spesso forzati; eie terre e colonie gl’imitavano ; invitando con premj i più scorretti giovani.
LXIII. Ma Vitellio per l’ arrivo del fratello, e per li sott’ entrati ministri, divenuto più superbo e crudele, fece ammazzare Dolabella , messo da Otone in Aquino con guardia , come dicemmo. Il quale, udita la morte d’ Otone , se n’ era venuto a Roma. Plauzio Varo, stato Pretore, suo caio amico, l’accusò’a Flavio Sabino Prefetto di Roma, d’esser venuto, rotta la carcere, a farsi Capo della parte"vinta, e d’aver voluto corrompere la coorte che stava in Ostia- poi non provando sì gran delitti ,’tardi ripentito, chiedeva della bruttura perdono. Stando Sabino sopra tanta cosa sospeso , Triana moglie di L, Vitellio, feroce più che donna , il minacciò che non facesse il misericordioso, con periglio del principe.’ Il buono uomo , dolce per natura e mutabile per paura, per non far sue le brighe d’ altri, con l’ aiutar chi cadeva , gli diè la piata.
LXIV. Vitellio adunque, per sospetto di Dolabella e per odio , avendo egli per moglie Petronio , stata sua, lo chiamò per lettere; e ordinò che per fuggala via Flamminia frequentata , fusse fatto voltare a Terni, e quivi ucciso. L’ucciditore per farla più breve , lo scannò uel cammino , e lasciò in una di quelle osterie ; con grave carico e mal saggio del nuovo principato. E l’ arroganza di Trivia vie più appariva per la modestia di Galeria moglie dell’Imperadore, che non affliggeva gli afflitti, e di Sestilia madre d’ambi essi Vitellj, d’antica bontà, che alla prima lettera del figliuolo dicono che rispose: Avrr generato Vitellio, non Germanico. Nè lusinghe di fortuna nè corteggiamenti di Roma la fecero baldanzosa : i mali soli di sua casa seatì.
LXV. Vitellio si partì di Lione: e M. Cluvio Rufo, lasciata la Spagna , lo raggiunse con festa e rallegranza nel volto, ma dentro ansio; sapeudo che Ilario liberto di Vitellio gli aveva rapportato che egli ( udito esserci due Imperadori) tentò di farsi iu IspaI gna signore ; perciò nelle patenti pubbliche non era di sopra nome d’Imperadore : e certi passi di sue dicerie sponeva , che vituperasser Vitellio e facesser grato lui al popolo. L’ autorità di Cluvio ebbe più forza : e Vitellio fece il proprio liberto punire , o lui rimaner seco , e governar la Spagna benchè assente , come già L. Arunzio , ritenuto in Roma da Tiberio, perchè ne temeva, ma non Vitellio di Cluvio. Non fece tanto onore a Trebellio Massimo, per la furia de’soldati fuggitosi d’Inghilterra, ove mandò in suo cambio Vezio Bolano, che era di sua corte.
LXVI. Stava con timore delle vinte legioni, ancora altiere , sparse per l’ Italia. Mescolate co’ vincitori parlavano da nimiche; la quattordicesima più orgogliosa non accettava d’esser vinta; perchè vinti furono a BedriacO soli i vessillarj : nerbo di legione non v’ era. Piacque rimandarli in Brettagna , onde Nerone li chiamò e alloggiarli uniti co’Batavi, stati con loro tanto discordi. Poco ressero insieme tanti odj armati, .la Turino un Batavo a un artefice che l’ avea gabbato, diceva male : un soldato di legione alloggiato seco, lo difendeva ; ciascuno ebbe suo seguito : vennesi dal contendere allo ammazzare ; e seguiva focosa battaglia, se due coorti pretoriane, presaia per li quattordiciani, non mettevan loro animo e paura a’ Batavi ; i quali Vitellio menò seco come fidati : e comandò alla legione , che tenesse il camrniao per l’ Alpi Graie per scansar Vienna , sospettando de’ Viennesi. La notte che questa legione diloggiò, lasciò per tutto fuochi accesi : arse di Turino una parte; al qual danno, per li maggiori dell’altre città, non s’attese. Scesa che ell’ebbe le Alpi , ì più fastidiosi volevan voltar pur a Vienna; ma i migliori li tennero, e passò la legione in Brettagna.
LXVII. Il secondo timore di Vitellio erano i soldati pretoriani. Prima li separò; poi licenziò dolcemente per oneste cagioni 3 i quali rcndevan F arme a’Tribuni; finchè rinforzò voce, Vespasiano aver mosso la guerra; allora ripresele, furono il nerbo di parte Flavia. Mandò la legion prima , che era in armata , in Spagna ad ammansire nella pace e nell ’ ozio ; la undecima e la settima, rimandò alle loro stanze; la tredicesima impiegò in fabbricar anfiteatri , perchè Cecina in Cremona e Valente in Bologna , volevan fare lo spettacolo delli accoltellatori; non lasciando mai Vitellio , per pensieri che avesse , i piaceri.
LXVIII. Così furono i partigiani sbrancati bellamente. Nacque scisma tra i vincitori per cagione giocosa ; se i troppi uccisi non avessero accresciuto l’ odio alla guerra. Vitellio in Pavia metteva tavola, ed avea seco Verginio. Attendono i Generali e’ Capitani a cose gravi, o a conviti fuor d’ ora , secondo che veggono rimperadore; similmente i soldati sono obbedienti o licenziosi. Il campo di Vitellio era tutto confusione e crapola : veglie e baccani, anzi che scuola di milizia. Giucando adunque alla lotta un soldato della legion quinta con un altro degli aiuti galli; riscaldati e punti, il Romano cascò : il Gallo il beffava : i concorsi a vedere presero parie: i legionari corsero addosso alli aiuti , e ne ammazzarono duo coorti. Un altro tumulto rimediò a questo: fu veduto lontano polverìo e armi : e subitamente gridato esservi la legion quattordicesima, che tornava indietro a combattere ; ma saputo esser i sergenti, che acconciavano l’ordinanze,, si quietarono tutti quanti. Diede in loro a sorte uno schiavo di Verginio : dicono eh’ ei lo mandava a uccider Vitellio : corrono alla mensa addosso a Verginio, della cui innocenza Vitellio stesso, d’ ogni cosa ombrosissimo , non dubitò ; e appena cavò loro delle branche quell’uomo. stato Consolo e lor Capitano. E d’ ogni sedizione Verginio era il berzaglio : rimanevagli l’ammirazione e la fama; ma per esserne stucchi l’odiavano.
LXIX. L’ altro dì Vitellio diede udienza alli ambasciadori del senato , fattosi quivi aspettare : entrò nel campo e lodò i legionari dell’affezione verso di lui , fremendo gli aiuti del non punirsi sì crudeli arroganze : e perchè non facessero più bestialità , rimandò in Germania i Batavi; apparecchiando i fati principio di nuova guerra dentro e fuori. Rimandò altresì alle lor case gli aiuti galli : gran gente , soldata nel principio che ei prese l’ armi, per uno di que’ vani apparecchi di guerra. E perchè l’ Imperio per tanti premj smunto potesse reggersi, troncò le legioni e gli aiuti: avendo vietato i supplimenti, offerì le licenze; cosa perniziosa alla repubblica e non grata a’ soldati ; toccando a que’ meno i carichi , i pericoli e le fatiche, medesime ; e perdendosi per gli agi la robustezza contro a’buoni ordini antichi e costumi de’ nostri maggiori , che meglio tennero lo Stato romano con la virtù ebe co’danari. ’
LXX. Quindi Vitellio voltò a Cremona: e veduta la festa di Cecina, gli venne disio di passeggiar per quel piano di Bedriaco, e pascere gli occhi ne’ freschi vestigi della vittoria. Schifa vista e fiera dopo quaranta giorni , di corpi laceri , membra tronche, carogne puzzolenti, terrena imbrodolato di marcia^ arbori , biade , orti calpesti , solitudine orribile. Nè meno inumana cosa era una parte della strada dai Cremonesi pa-rata, fronzuta d’ alloro e rose, con altari , uccisovi ostie, come a Re ; le quali allegrezze tornaron poi loro in pianto. Valente e Cecina gli mostravano i luoghi della battaglia: » Qui s’affrontaron le legioni : quindi uscirono i cavalli addosso : qua circondaron gli aiuti. » Tribuni, sergenti, ognuno diceva : » Io feci , io dissi : » cose grandi , vere e false. Turbe di soldati saltan fuori di strada, con grida e allegrezza riconoscono ove furono le zuffe : guatano le masse dell’armi: le cataste de’corpi e strabiliano. Alcuni considerando quanto è varia la fortuna, piangevano e compativano. Vitellio niente intenerì , nè si raccapricciò di tante migliaia di cittadini rimase ai corbi , ma lieto e gaio alli Iddii del luogo sagrificava, non vedendo la roviua quasi vicina.
LXXI. Fabio Valente gli fece poi la festa de’ gladiatori in Bologna , con apparato fatto venire da Roma; ove quanto più s’appressava, più era il viaggio ammorbato di mandrie, distrioni, eunuchi e del resto della scuola di Nerone ; perchè Vitellio ammirava ancora lo stesso Nerone , e andandoli dietro , quando ei cantava , non per bisogno , che scusa i buoni, ma perchè ei s’era venduto per ischiavo al pappare e scialacquare. Per non tener a disagio Valente e Cecina , dell’ onore del consolato , raccorciò il tempo ad altri. Marzio -Macro, stato Capitano della parte d’ Otone , fece vista che non fusse Consolo, e Valerio Marino, destinato da Galba, prolungò ; noa per alcuna offesa, ma per esser dolce uomo da non sapersene risentire. Lasciò in dietro Pedanio Costa, avendolo poco a grado ; perchè contro a Nerone congiurò e sollecitò Vergi aiov Ma Vitellio trovò altre cagioni da vantaggio ; lo ringraziaro, come usa chi serve.
LXXII. Una falsa novella, da principio caldissima, durò pochi giorni. Uno si diceva essere Scriboniano Camerino, nascostosi per paura ne’ tempi di Nerone; in Istria, dove ancora erano creature, beni e favore del nome antico de’Crassi. Costui prese per istrioni di questa favola schiume di ribaldi. Azzuffavasi per seguitarlo il popolo corribo, e qualche soldato ingannato del vero. o vago di novità. Fu preso e menato a Vitellio, e domandato chi fosse , e veduto che ei s’ avvolpacchiava , anzi uno lo riconobbe per suo schiavo fuggito, per nome Geta , fu giustiziato da schiavo.
LXXIII. Le spie di Vitellio in Sorìa e GiuJea gli riferirono che l’Oriente gli avea giurato fedeltà : non. si può credere, quanto ei ne divenne superbo e tracotato ; perchè tra ’l popolo , se bene senza certezza, si bociava di Vespasiano ; e Vitellio a quel nome tutto si riscoteva. Ora che egli e l"esercito si videro senza competitore , la dieder pe ’l mezzo a uso de\ Barbari , ad ogni crudeltà , libidine e rapina.
LXXIV. Ma Vespasiano andava considerando la guerra , 1 ’ armi, le forze vicine e lontane. I soldati gli erano tanto infervorati, che udiron dettare il giuramento e pregar felicità a Vitellio, tutti mutoli. Muciano inclinava a Vespasiano, ma più a Tito: Alessandro, che reggeva l’Egitto, era seco d’accordo, la legion terza contava per sua, poichè di Sorìa era passata in Mesia: il medesimo sperava di quelle di Jlliria ; accendi ndo a tutti gli eserciti collera l’ arroganza de’ soldati che venivano da Vitellio, i quali <!' aspetto terribile, parlare orrido , si ridevan degli altri come da meno. Ma la macchina della guerra portava dimora ; e Vespasiano ora era tutto speranza, ora considerava i casi avversi: » Ho io ad avventurare me di sessant' anni , e due giovani figliuoli ? potere le private imprese cimentarsi ; e più e meno rimettersi alla fortuna : l' Imperio non aver mezzo : mandare in cielo o in precipizio ».
LXXV. Gli era in su gli occhi l' esercito di Germania poderoso, da lui, che dell'arte sapeva, ben conosciuto : le sue legioni in guerra civile sore, quelle di Vitellio vincitrici : nei vinti essere più querele che forze: nelle discordie poca fede: l'esser cinto d'armi o cavalli, che valere , se uno o altro soldato può tradirti per premio i Così essere stato morto Scriboniano sotto Claudio : così Volaginio , che l' ammazzò , salito di fantaccino a' primi gradi della milizia: potersi meglio spignere tatti , che guardarsi da ciascheduno.
LXXVI. Tentennandola egli tra queste paure , Legati e amici l' animavano : e Muoiano prima tra sè e lui, poscia presenti tutti, parlò in questa sentenza : » Qualunque volge l' animo a grande impresa, dee prima considerare se ella è util pubblico, gloria sua agevole o possibile almeno a riuscire : e se chi la consiglia , ci porta pericolo : e riuscendo , di chi fia tutto l'onore. Io ti chiamo, o Vespasiano, all' imperio : salutifero alla repubblica ; a te magnifico ; in mano tua , se gli Dii non mentono ; e perchè vegghi ch' io non t' adulo, l' esser eletto dopo Vitellio t' è vergogna più che onore. Noi non ci leviamo contro a quella gran testa del divino Augusto, a quel sagace vecchio di Tiberio, alla fondata casa per lungo Imperio di Caio, Claudio o Nerone: e tu anche alla nobiltà di Galba cedesti. Lo starti ora a dormire, « lasciare imbrattare e perdere la repubblica, sarebbe troppa viltà ; benchè quanto disonesta, tanto ti fusse sicura la servitù. Non è più tempo da guardarsi di non parer d' aspirare all' Imperio , ma da corrervi. Ricordategli, come fu ucciso Corbulone , di sangue chiaro più di noi ? si ; ma anche Nerone era più di Vitellio ; assai chiaro è appresso a chi teme colui eh'è temuto. E che uno possa esser fatto principe dal suo esercito, Vitellio il sa, che senza pratica nè nome di soldato l'odio di Galba vel pinse; che oramai ha fatto desiderare Otone , come buono e gran principe, vinto non da sapere del nimico o forza di esercito, ma troppo tostana disperazione. Ora sparpaglia le legioni , /disarma le compagnie , sparge ogni di nuovi semi di guerra. Se ardore e fierezza eran ne' soldati se ne va in fumo per le cucine e per le golosità imparate dal principe. Nove legioni hai tu in Egitto , Giudea e Soria , intere , non per niuna battaglia scemate o discordia corrotte; ma per esercizio assodate, e de'Barbari domatrici : forti armate , cavalli e fanti , fedeli Re, e sopra tutto lo saper tuo ».
LXXVII. » Io solo mi vanterò di non ceder a Cecina , nè a Valente; ma perchè tu non dispregi Mudano per compagno , poichè non l' hai per concorrente , ti vo' dire che antepongo me a Vitellio, e te a me. In casa tua hai trionfi e due figliuoli, l' uno capace d'Imperio, e nelle prime milizie nei germani eserciti tanto chiaro , che sproposito saria non cedere l'Imperio a te , lo cui figliuolo adotterei se io imperassi. Del bene 0 male che ne avverrà, non andremo tu e io a una stregua. Io, se noi vinciamo, me ne terrò l'onore che mi darai ; depravagli e pericoli faremo a metà ; anzi è meglio così : Reggi quelli eserciti tu: e lascia il rischio del guerreggiare e combattere a me. Oggi si regolano i vinti meglio che i vincitori : accende quelli a virtù , ira, odio e desiderio di vendetta ; guasta questi sdegno e disubbidienza. La guerra taglierà i loro enfiati e vedrasii la puzza che n' esce. Sperar meno mi fanno i sonni, l'ignoranza , la crudeltà di Vitellio, che la tua vigilanza , saviezza e modestia. Finalmente la guerra fa per noi più che la pace , perchè quei che consultano di ribellarsi son già ribellati ».
LXXVIII. Quando Muciano ebbe detto , gli altri più arditamente gli stavano intorno, esortando, mostrando i risponsi delli indovini, gli aspetti de'pianeti; nè egli era netto di tal vanità; e fatto Imperadore , teneva scopertamente Seleuco matematico , per sua guida e indovino. Ricordavansi di tutti i suoi augurj passati; in villa sua, un grande arcipresso a un tratto cadde ; e l' altro dì si rizzò più che mai bello , alto e verde. Gran cosa parve a tutti gl' indovinanti , e felice promessa di alto chiarore a Vespasiano allora mojto giovane. Le trionfali, il consolato, e la gloriosa vittoria di Giudea, pareano averla adempiuta ; ma avute queste cose , s' aspettava l'Imperio. Tra Giudea e Sorìa è il monte e'l Dio Carmelo, cosi chiamano l'uno e l'altro. Lo Iddio non ha tempio , nè immagine ( così parve a' maggiori ) ; altare solo e riverenza. Sacrificandovi Vespasiano con l' imperio nel cuore , Basilido sacerdote , osservate quelle viscere, gli disse: » Vespasiano, o palagio , 0 terreni, o numero di schiavi che tu ti cerchi d' accrescere , io veggio dartisi grande ogni cosa. » Di queste parole scure la fama subito corse : e ora le dichiarava e non si parlava d'altro : e a lui si diceva molto più , come si fa a chi spera.
LXXIX. Con questa deliberazione se n'andarono, Mudano in Antiochia, capo di Sorìa, e Vespasiano in Cesarea di Giudea. La prima mossa a dar l'Imperio a Vespasiano, fece Tiberio Alessandro in Alessandria, dove sollecitò a fargli giurar fedeltà dalle sue legioni il primo di luglio, celebrato poi per natale di suo Imperio ; benchè , il secondo giurasse l' esercito di Giudea dinanzi a lui proprio, sì ardent.e5 che non aspettò che Tito, il quale portava tra'l padre e Muciano i consigli , tornasse di Sona : passò il tutto con furor soldatesco; non s' aringo :
liXXX. non s'accordò il dove, nè il quando, nè chi dovesse esser il primo a gridarlo ; al che si va molto adagio in simili casi: chè la speranza e A timore , la ragione e 'l caso , danno da pensare ad ognuno. All' uscir di camera Vespasiano , pochi soldati gli si fanno, al solito, incontro, quasi per salutarlo Legato, e 'l salutaro Imperadore. Allora tutti corsero : e Cesare e Augusto e tutti i titoli gli ammassavano. Egli sollevò l'animo dalla paura alla grandezza. Non lo vedresti punto gonfiato, non arrogante , non in tanta novità nuovo. Fermato il polverìo di tanta turba , parlò in maniera soldatesca : e gli fu risposto con grida liete e favorevoli. E Muciano, che ciò aspettava, fece suo'soldati volonterosi giurar fedeltà a Vespasiano. Entrò nel teatro, ove li Antioc cui consultano: e a loro in gran numero concorsi e adulanti , parlò con bella grazia e greca facondia e arte propria dell' aggrandii e suoi delti e fatti. Quello .che ì paesani e l' esercito più n' accese di Voglia fu, l'affermare Muciano che Vitellio avea deliberato di tramutare le legioni di Germania in Sorìa , in quella grassa , riposata milizia ; e quelle di Sorìa a morir di freddo e fatiche in Germania ; perciocchè a' paesani que' soldati , con cui s' erano addimesticati e imparentati , eran cari ; e i soldati avvezzi tanti anni in quelle guarnigioni , le amavano come casa loro.
LXXXI. Avanti mezzo luglio tutta Sorìa ebbe giurato ; e congiunsesi Soemo con tutto suo reame di non poche forze:. Antioco di antica potenza e de'Re suggetti il più ricco. Àgrippa per occulti messaggi de'suoi chiamato da Roma, v' era volato per mare , che Vitellio ancor noi sapeva: e la Reina Berenice, giovane e bella , e al vecchio Vespasiano, per gran presenti, grata, era più calda di tutti in aiutar questa parte. Oyhi provincia che il mar LagUa sino all'Asia e l'Acaia, e tutta terra ferma dentro al Ponto, e T Armenia giurò. Ma non vi avendo Vespasiano mandate ancora le legioni di Cappadocia, reggeva quelli Stati per Legati senz' armi. Fecesi consiglio generale di tutta la guerra in Berito. Vennevi Muciano con Legati, Tribuni, Centurioni e soldati principalissimi, e dell' esercito di Giudea , sceltissimo fiore ; e tanto apparato di fanti e cavalli e pomposi Re gareggianti , che parea bene esservi Corte d' Imperadore.
LXXXIT. La prima cura della guerra fu fare nuovi soldati; chiamare i vecchi: fabbricar nelle migliori città nuove armi: in Antiochia battere moneta d'ariento e d' oro; e tutto si facea per ministri ottimi, ne' luoghi atti e con sollecitudine. Vespasiano in persona i soldati trovava; esortava i valenti con lode, i pigri con l' esempio, più incitando che riprendendo, i difetti, non le virtù, degli amici dissimulando. Molti onorò di prefetture e procuratorie: più fece senatori ; tutti prodi uomini che tosto a sommi gradi saliro: ad alcuni servì per virtù la fortuna. De' donativi a' soldati, e Muciano nel primo aringare andò scarso, e Vespasiano offerì meno nella civil guerra che gli altri non usavano nella pace: col tener forte di non largheggiare a' soldati, l' esercito faceva migliore. Con ambasciadori fermò il Parto e l’ Ar^ meno per non aver molestia alle spalle, ignude di forze, occupate in guerra civile. Parve che Tito dovesse tener la Giudea, e Vespasiano la chiave d' Egitto ; e che ad affrontar Vitellio bastasse parte delle forze , Muciano Capo, il nome di Vespasiano e il destino che tutto puote. Si scrisse a tutti. gli eserciti e Legati, che a ciascuno dei Pretoriani da Vitellio cassi e offesi, offerissero il soldo.
LXXXIII. Muciano con gente spedita, a guisa di compagno dell'Imperio, non ministro, marciava, nè adagio, per niuna paura mostrare, nè ratto, per dar tempo alla fama di crescere; sapendo d' aver poche forze e credersi le cose lontane esser maggiori. Ma dietro gli veniva la legion sesta con grande squadra di tredicimila vessillarj. L' armata aveva fatto venire del Mar Maggiore a Costantinopoli; e stava in dubbio di lasciar .la Mesia: e con tutti i cavalli e fanti andar a Durazzo ; e con le galee chiudere il mare verso Italia,, e dietro assicurar l' Acaia e l' Asia disarmate ; che non si guardando, andrieno in bocca a Vitellio; il quale ancora non saprebbe qual parte d'Italia si difendere 5 se tutti i liti di Brindisi, Taranto , Basilicata e Calabria s' infestassero a un tratto.
LXXXIV. Erano adunque per le province gran rumori di navi, armi e uomini. L'importanza era trovar danari ; questi, dicendo Muciano, esser il nerbo della guerra civile , non guardava ne' giudizj o torto o diritto, ma-a chi più ne dava; i ricebi erano spiati e ingoiati. Le quali iniquità intollerabili, ma nella guerra scusabili, rimasero nella pace. Vespasiano nel principio di suo Imperio v' andava a rilento; ma poscia, per la buona fortuna e da'maestri pravi, le imparò e ardì. Aiutò la guerra Muciano , anche col suo per rifarsi di questa larghezza privata in molti doppi dalla repubblica. Altri lo vollero imitare, ma pochissimi ebbero quella licenza nel riavere
LXXXV. Accelerò Y impresa di Vespasiano l'esercito d'Illiria venuto dal suo. La legion terza insegnò all' altre di Mesia. Queste erano F ottava e la settima Claudiana, che aveano Otone nel cuore, se bene non furono nella giornata. Le quali già passate in Aquilea, scacciati quelli che d' Otone portavano le novelle , stracciate l'insegne col nome di "V itellio, rubati e divisisi i danari, procedevano da nimiche ; onde ebber timore, e quinci risolverono di metter a conto a Vespasiano quello di che con Vitellio conveniva scolparsi. Così le tre legioni di Mesia per lettere allettavano l'esercito diPannonia, e ricusando , s'ordinavano alla forza. In questo movimento Aponio Saturnino governatore della Mesia piglia brutto ardire; manda un Centurione a uccider Terzio Giuliano, Legato della legion settima, nimico suo , sotto specie che fussc di parte contraila ; il quale ne fu avvertito, e con buone guide , fuor di strade per la Mesia fuggì di là dal monte Emo , e verso Vespasiano s'incamminò, trattenendosi per la via più e meno secondo gli avvisi, tanto che la guerra civile fu finita.
LXXXVI. In Pannonia la legion tredicesima e la settima Galbiana non potendo sgozzare quella giornata di Bedriaco, s' accostarono a Vespasiano incontanente , stigate principalmente da Antonio Pri-> mo. Questi, uomo reo, e dannato a tempo di Ne-, roiie per falsario , rifatto Senatore ( sopra gli altri mali della guerra ) da Galba, e Capo della legion settima, credettesi che a Otone s’offerisse per lettere, Capo di sua parte. Lo sprezzò, nè mai l’adoperò. Andando le cose di Vitellio all’ ingiù, prese a servire Vespasiano, cui fu grande aiuto quest’ uomo , fiero di mano c lingua, maestro di metter odj e scandoli, potente nelle sedizioni, rapace, donatore , in pace pessimo, ih guerra da non disprezzare. I due eserciti di Mesia e Pannonia, congiunti seco trassero i soldati di Dalmazia, non si movendo i Legati consolari , residenti T. Ampio Flaviano in Pannonia, itì Dalmazia Poppeo Silvano, ricchi e vecchi; ma v’era procuratore Cornelio Fusco , d’ età vigorosa e chiaro sangue. Giovanetto renunziò al senato per fuggir briga : governò per Galba la colonia sua, e n’ acquistò l’ esser fatto procuratore. Presa la parte di Vespasiano , fu gran fiamma a questa guerra ; godeva più de’ pericoli che de’ lor premj : lasciava le cose certe e già acquistate, per le nuove, in aria e pericolose. Cominciò adunque a smuovere e scuotere ciò che vacillava. Si scrisse alla legion quattordicesima in Britannia, alla prima iu Ispagna, per aver l’una c l’ altra tenuto da Otone contro a Vitello. Si sparsero lettere per le Gallie, e gran guerra in un attimo ardea. Gli. eserciti d’ Illiria già s’ eran dichiarati ; gli altri terrebbero da chi vincesse.
LXXXVII. Mentre che queste cose da Vespasiano e da’ suoi si facevano per le province, Vitellio ogni di più disprezzevole, e lento, baloccandosi intorno all’amenità d’ogni terra e villa, se n’andava a Roma con grav osa moltitudine. Sessantamila armati lo seguitavano, licenziosissimi: più numero di bagaglioni e guatteri, anche in comparazione delli schiavi, per natura insolentissimi, senza il gran traino de’ Legati e cortigiani non atti a ubbidire, ancorchè con somma severità retti : i Senatori e Cavalieri, venuti da Roma ad incontrarlo per paura, per adidare molti, anzi a poco a poco tutti, per non rimaner soli ; senza i giullari, strioni, cocchieri, per disonesti servigi notissime bazziche di Vitellio e carissime. Tanta moltitudine raccozzata saccheggiava e guastava, non purè le città e terre , ma i contadi ( essendo già la ricolta matura ) come paese nimico.
LXXXVIII. La discordia cominciata a Pavia, ond’ eran seguiti molti crudeli ammazzamenti tra le legioni e gli aiuti, ancor durava; ma tutti all’ammazzar paesani erano uniti. La strage grande seguì sette miglia fuori di Roma, ove Vitellio divideva il mangiare a’ soldati, quasi avesse avuto a ingrassare gladiatori. La plebe vi corse e mescolossi per tutto s il campo: alcuni con villano scherzo a certi soldati balocchi tagliano bellamente la cintura, e ridendo domandavano, se eran ben cinti. Quegli auimi, non soliti esser beffati, con le spade ignude vanno addosso al popolo senza arme, e vi fu morto tra gli altri il padi^e di un soldato trovandosi col figliuolo. Fu riconosciuto, e il caso divolgato rattenne la furia contro gl’ innocenti. Ma Roma andò sozzopra, correndovi per tutlo soldati di primo lancio al Foro, a vedere il luogo dove fu disteso Galba: e orribili erano a vedere essi, vestiti di pelli di fiera, con grandi spiedi, che non sapendo forar Ii calca, se sdrucciolando o urtati cadevano, venivano alle villanie, alle pugna, al ferro. Mettevano ancora spavento i Tribuni e Maestri di campo, in armate frotte ronzando.
LXXXIX. La persona di Vitellio da Ponte Molle sopr’a superbo corsiero in sopravvesta imperiale, dibrando cinto, col Senato e popolo Romano innanzi^ per non parere d’entrar in Roma presa per forza, per consiglio d’ amici, si vestì la pretesta e mosse adagio in tale ordinanza. Quattro aquile di legioni in fronte, con quattro gonfaloni d’altre legioni intorno: dodici di cavalli, e dopo le file della fanteria , cavalli ; poi xxxiv coorti d’ aiuti, separate secondo lor lingue e armi. Stavano Maestri di campo, Tribuni e principali Centurioni, innanzi alle loro aquile in veste candida ; e gli altri nelle lor centurie risplendevano con bella mostra d’ armi, doni, collane e abbigliamenti. Superba vista: esercito degno d’ altro principe che Vitellio. Così entrò in Campidoglio, ove abbracciò sua madre e onorolla di titolo d’Augusta.
XC. Lo dì seguente al senato e popolo, come russero d’ un’altra città, con magnifica diceria sciorinò le laudi di sè stesso: l’industria, la temperanza" sapendosi le sue sceleratezze da chiunque v’ era e da tutta Italia, per dove lasciò il segno della sua gola e sonno e disonestà vergognose. E pure il popolo scioperato alzava alle stelle le solite adulazioni imparate, vere o false; e non lasciandolo vivere, che accettasse il titolo d’Augusto, ne trasse un sì vano, come fu il ricusarlo.
XCI. La città, che ritrovava d’ ogni cosa la quinta essenza, prese a maluria che Vitellio, fatto Pontefice massimo, bandisse le cerimonie pubbliche per li diciotto di luglio, giorno infelice per le antiche rotte a Cremera e Allia ; sì era ignorante d’ ogni ragione umana e divina , e involto tra liberti e famigliari balordi, e come ebbri. Ma nel far de’ Consoli, chiedeva come gli altri candidati civilmente: nel teatro come spettatore, nel cerchio come partigiano, cercava piacer all’ infima plebe ; grate umanitadi, venendo da virtù; ma sapendosi chi egli era, erano indegnitadi e viltadi. Veniva in Senato a udire eziandio cause leggieri. Avvenne che Elvidio Prisco, eletto Pretore, non sentenziò a suo modo; di che Vitellio prima s’alterò alquanto, e chiamò i Tribuni in aiuto della sprezzata sua podestà. Alli amici, che credendolo molto più adirato, il mitigavano, disse: Non esser cosa nuova lo intendere due Senatori le cose pubbliche diversamente ; aver usato anch’ egli a contraddire a Trasea. Mosse riso la sua sfacciataggine d’agguagliarsi a Trasea; altri lodarono avere scelto lui e non qualche potente, per esempio di vera gloria
XCII. Fece P. Sabino Generale de’pretoriani : Giulio Prisco di Centurione, Colonnello d’una coorte: potenti ambo, Prisco per lo favore di Valente, Sabino di Cecina. Eran discordi : Vitellio niente poteva : e Cecina e Valente governavan l’Imperio. Già si odiavano, e gli odj mal si nascondevano nella guerra e ne’padiglioni; le male biette e la città, feconda madre di nimicizie, le rattizzò, e mise ambo in gara d’onori, di codazzi e turbe di salutanti, mostrandosi Vitellio variamente inclinato or all’ uno or all’ altro. La grandezza non è mai sicura quando ell’ è troppa ; e lo stesso Vitellio , che or veniva in repentina collora, or faceva spropositate carezze , sprezzavano e temevano. Non perciò con più lentezza rapivano le case, i giardini e le ricchezze dell’Imperio; mentre infelice e compassionevol turba di nobili, che insieme coi figliuoli Galba avea renduti alla patria, non trovavano alcuna pietà nel principe. Fu cosa grata a’Grandi e approvata dalla plebe, render loro il diritto sopra lor libertini; ma vana per l’astuzia schiavesca, che la moneta trafugava in ripostigli, o imbrogliava con potenti: e alcuni in casa Cesare accontatisi, potevano più de’padroni.
XCIII. Ma i soldati , la cui moltitudine non capendo nel campo, si spargeva per le logge, tenrpj e tutta Roma, senza conoscere l’insegne, far le guardie e mantenersi robusti con le fatiche, dati a’ piaceri della città e alle disonestà, imbolsivano il corpo nell’ozio e l’animo nelle libidini. Nè anche si pensava a sapità : attendossi gran parte neh" infame aria’ di Vaticano ; onde fu grande mortalità ; c quei corpi cagionevoli de’ Tedeschi e Franciosi, non sofferendo il gran caldo, nel vicino Tevere si gittavano e ammalavansi. Guastò anche gli ordini militari la malizia o ambizione : e sedici coorti pretoriane e quattro romanesche, si scrivevano di mille fanti l’ una. Va• lente si prese in ciò più autorità che Cecina, quasi per averlo salvato ; e veramente l’ arrivo suo rimise quella parte a cavallo, e la battaglia vinta; chetò le lingue del tranquillato cammino, e tutti i soldati della bassa Germania volevan Valente ; e qui si «rede cb.e Cecina cominciasse a vacillar nella fede.
XCIV. Ma se Vitellio sciolse la briglia ai Capitapi, molto più a’ soldati- Ognuno si faceva scrivere dove e’ voleva: ogni cerna alla guardia di Roma, E per lo contrario, rimanersi tra le legioni o cavalli potevano i valorosi : né mancava chi volesse, essendo per malattie infiacchiti , e allegando la cattiva aria. Nondimeno dalle legioni e bande, fu snerbato il più forte e il fior del campo. Di tutto l’ esercito si fece una massa, anzi che scelta di ventimila. Parlamentando Vitellio, furon chiesti al supplizio Asiatico, Flavio e Rufino capitani, avendo in Gallia servito Vindice. Pativa Vitellio simili voci per sua dappocaggine naturale : e perchè era venuto il tenipo del donativo, non avea danari, e co’soldati largheggiava in ogn’ altra cosa. Pose a’ liberti dei passati Imperadori un balzello di tanto per ischiavo ; egli per sola voglia di gittar via, attendeva a murare stalle a’ cocchieri • fare spettacoli nel cerchio di accoltellanti e fiere, e straziar danari come gli avanzassero.
XCV. E Cecina e Valente, per ogni strada della città, facendo feste di accoltellanti con apparati non visti unque, celebravano il natale di Vitellio. Liete alla feccia, odiose al fiore della città furono V esequie fatte a Nerone, con rizzati altari in Campo Marzio, vittime uccise e arse : datovi fuoco da’ sacerdoti d’Augusto, che Tiberio creò a casa Giulia, come Romolo al Re Tazio. Non era dopo la vittoria il quarto mese, che Asiatico, liberto di Vitellio, era maggiore che i Policleti e i Patrobj e gli altri vecchi nomi odiati. Uomo in quella Corte non fu, che d’industria 0 virtù gareggiasse5 sola via alla grande zza era empiere di prodigiose vivande di qualunque spendio la sfondata gola a Vitellio. A ventidue milioni e mezao d’oro diede fondo in pochi mesi; bastandogli godere, senz’ altro pensare. Grande e misera, Roma, che nel medesimo anno Otone e Vitellio, sopportasti, e mal menata fosti con varia e vergognosa sorte dai Vinj, Fabj, Iceli, Asiatici! E poi ne vennero Muciano e Marcello-, altr’ uomini sì, migliori no.
XCV1. La prima ribellione che Vitellio intese, fu della legion terza, per lettere d’ Aponio Saturnino, non ancor passato anch’egli a Vespasiano : ma non gli scrisse in quel subito spavento ogni cosa. Gli adulanti dicevano, essersi sollevala una legion sola gli altri eserciti fermi in fede. Così disse ancora Vitellio a" soldati : » e che queste false novelle spargevano i pretoriani dianzi cassi : e non v’ era alcun pericolo di guerra civile » ; senza punto nominare Vespasiano, sparse soldati per Roma, a dare al popolo in su la voce, il che la fece più crescere.
XCVII. Pur chiamò aiuti di Germania, Spagna e Britannia, freddamente e non mostrando necessità ; e cosi lo servivano i Legati e le province. Ordeonio Flacco avea da fare per sospetti de’Batavi; Vezio Bolano per non quietar mai la Brettagna : e l’uno e l ’ altro stava in tra due: nè Spagna era sollecita, non avendo allora viceconsolo: e così i Capi di tre legioni d’ egual podere, che avrieno gareggiato in servir Vitellio nella buona fortuna, ora egualmente il bistrattavano nella rea. In Affrica la legione e coorti^ fatte da Clodio Macro e disfatte da Galba, furon rifatte da Vitellio, correndo quella gioventù a servirlo, perchè egli vi fu viceconsolo giusta e beniguo : Vespa«iano il contrario; e tale aspettavano que’ confederati dover essere quel di loro che imperasse ; ma riuscì l’ opposito.
XCV1II. Valerio Festo Legato dapprima gli iesse bene e con fede; poi vario: in pubblico mandava lettere e bandi in favore di Vitellio, e in segreto avvisava Vespasiano, per tenere da chi vincesse. Per le Gallie e per la Rezia furon presi soldati e Centurioni , con lettere e ordini di Vespasiano, e mandati a Vitellio e uccisi; i più scamparono per loro astuzia o spalla d’amici; e così gli apparati di Vitellio eran noti, e i disegni di Vespasiano per lo più segreti ; prima per trascuranza di Vitellio, e perchè gli avvisi non passavano nè per Pannonia, standovi le guardie a’ passi ; nè per mare, regnando l ’ Etesie , che portano in Oriente e non lascian tornare.
XGIX. Spaventato finalmente dalle atroci novelle da ogni banda che il nimico veniva fulminando, spedisce alla guerra Cecina e Valente. Quegli partì prima, questi indugiava, per riaversi d’una grave malattia. Uscendo c!i Roma il germano esercito, non parea d’esso; non v’ era vigor di corpi, non ardor d’animi : marciavano lenti e radi: cascavan loro l’armi di dosso: non potevano i cavalli sgranchiare : non sole, polvere, pioggia i soldati patire ; aJle fatiche maturi, nelle qiistioni fastidiosi. Cecina all’ antica sua ambizione accompagnò nuova pigrizia; datosi per troppa feli;ità ai piaceri, o pensando a far fellonia, impoltroniva l ’ esercito ad arte. Credettesi per molti, che Flavio Sabino mettesse a Cecina il cervello a partito, facendogli da Rubrio Gallo offerir, volendo servire Vespasiano, il foglio bianco; ricordandogli che. non avendo potuto , per l’odio e invidia di Valente,
esser grato, nè grande con Vitellio, cercasse nuovo
principe.
C. Cecina partì, abbracciato da Vitellio con grande onore : e mandò parte de’ cavalli innanzi a tener Cremona : appresso i vessillarj delle legioni quattordicesima e sedicesima: seguitaron la quinta e ventiduesima : per retroguardia la ventunesima, detta Rapace, e la prima Italica co’ vessillarj di tre legioni di Brettagna e scelti aiuti. Partito Cecina, Fabio Valente scrisse aii ’ esercito governato da lui, che fermato l’ aspettasse • così esser rimaso con Cecina3 il quale in su ’l fatto però di più autorità, disse, essersi poi pentiti ; per opporsi tutli insieme alla guerra che urgeva ; così fece più ratio marciare a Cremona, e parte a Ostilia. Egli andò a Ravenna, quasi per parlare all’ armata ; poscia elesse Padova per quivi ordire la tradigione con Lucilio Basso, il quale da Vitellio fatto capitano di cavalli, poi dell’ armate di Ravenna, e Miseno Generale, perchè non fu fatto subito anche de’ Pretoriani, si vendicava iella collora iniqua con fellonia scelerata • alla quale non si può sapere se Cecina vi fu tirato da Lucilio, o pur (come accade, che i tristi sono anche simli ) dalla tristizia medesima.
CI. Quei che scrissero questa guerra nei tenpi che casa Flavia regnava, rivoltano, per quella adilare , la cattività di Cecina e Basso in carità dell, patria, di metterla in quella pace e santo governo. Io credo che la loro leggerezza naturale, lo stimare ( tradito Galba ) per niente la fede, e la invidia e gelosia che altri non passasse loro innanzi appresso Vitellio, li facesse rovinar Vitellio. Cecina ra ggiunse l’esercito ; e con varie arti sovvertiva gli animi dei Centurioni e soldati di fede ostinata a Vitellio. Basso faceva il medesimo più agevolmente, perchè l’armata , ricordandosi aver dianzi servito Otone, sdrucciolava al mutar fede.
FINE DEL LIBRO SECONDO.