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CANTI DELL’ORA

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LUISA ANZOLETTI

CANTI DELL’ORA

MILANO

fratelli treves, editori

1914

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proprietà letteraria.

I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l'Olanda.

Copyright by Fratelli Treves, 1914.




Tip. Treves, Milano.

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I

FANTASIE

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GLI SPIRITI DEL VERSO


Donde venite, spiriti del verso?
Che strana forza da l’abisso informe
3a l’armonia visibile v’attira?

Foste il polline in grembo a’ venti sperso?
o foste il seme che sotterra dorme?
6o il vampo che nel sangue mi s’aggira?

Non è sì pieno ne la sua corrente
quando nel mare il fiume si discarca;
nè sì lontana trae la sua sorgente
10la luce che gli spazi immensi varca.

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Fantasmi, forse, da le case avite
del sogno erranti in lunghi esilii? o forse
13spiriti de la vostra carne privi?

Che turba accolgo di penanti vite?
Perchè a’ selvaggi impeti, a l’aspre morse
16io so per prova che voi siete vivi.

Freme il pensiero in quest’ansie affannose
come selva al ventar de la procella
quando la muta anima de le cose
20m’assale in cerca de la sua favella.

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GRANDI FATICHE DI GENTE PICCINA


Gli gnomi cui dà noia il sol nascente
deliberaron di sbarrargli ’l passo
3per la spiccia, con novo espedïente.

Venner spiando raggricchiati al basso:
e lesti, al rotear del primo raggio,
6su tutti, in armi, con in mano un sasso,

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a cento, a mille. Uno stridìo selvaggio
di: - Ferma - dàgli - chiappalo - accorruomo, -
9un impeto di ciurme all’arrembaggio

dagli asili de’ topi a quei de l’uomo
tutt’empie, tutto scrolla, tutto quanto
12mette a soqquadro il cheto mondo gnomo.

— L’esercito crociato, che fu tanto
prode, ma un po’ stordito, a’ suoi castelli
15tornarsene dovè sbattuto, affranto.

Noi no! — dicono i cauti spiritelli;
e prevedendo l’occorrenza e ’l caso
18oltre l’armi han con sè chiovi e martelli,

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funi e scalèi. L’oste su ’l monte invaso
formicola. Ma che sorge in distanza?
21un bernoccolo in un cocuzzo raso?

No, l’è una barricata, e sopravanza
quasi d’un dito l’oriente. Or ecco
24a fronteggiar la luce che s’avanza,

springando le zanchette sue di becco
uno gnomin s’arrampica. D’in sulla
27gran mole e’ strizza un occhio ed apre il becco:

— Olà, quel solicello! o che gli frulla?
nascer da sè? sul nostro ben costrutto
30muraglion scavalcarci come nulla?

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O che sì che lo chiappo e giù lo butto!
E sbruffi pur quella sua luce sciocca:
33ciottoli abbìam da ciottolarlo tutto. —

Il fiero allarme a gli altri gnomi schiocca
con un fischio; e per più poter fischiando
36con le due dita stirasi la bocca.

Odono; e in mille le bocche stirando,
tutti a fischiare verso l’oriente
39che comincia a raggiar. Le blatte, quando

co’ stracci aspersi di petrolio ardente
s’appicca ’l fuoco a le lor buie sedi,
42sbucano a frotte, disperatamente

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fuggendo qua e là. Correr le vedi
come neri rigagnoli: a la caccia
45ride ’l fanciullo e le insegue e co’ piedi

le pesta ed una quantità ne schiaccia:
s’imbratta la parete, al pavimento
48di chiazze e di fetor resta la traccia:

tal co’ lor fischi a mezzo, in quel momento
che sorgea dardeggiando il novo lume,
51schiacciati stetter lì da lo spavento

palpandosi ’l nasin pieno d’acume
critico. Poi giù giù fra rovi e sassi
54a precipizio pullulò un nerume

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di nanerelli dai piccini passi;
fin che i raggi fermando alto lanciati,
57una cestaia di tassobarbassi

gli accolse, e brulicò come a’ mercati
fan le corbe de’ gamberi. Ma in questa
60ecco parlamentar tre potentati:

il re de’ gnomi con la buia vesta,
il re de’ silfi con quattr’occhi, il grave
63re de’ pigmei con tre corone in testa.

Dice il primo: — Pian piano io serro a chiave
la porta de le nuvole. Gaietto
66vi picchia ’l sol. Nessuno apre. Addio fave! —

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Dice il secondo: — Io stuzzico ’l folletto
che le nubi sbatacchia e il nembo aduna.
69Al novo astro ’l cammin si taglia netto. —

Dice il terzo: — Piccina è ben la luna,
pur s’ingegna. Lavora di straforo.
72Passa davanti al sole e lo rabbruna. —

Dissero; e tosto dan mano al lavoro.
Ma l’aria ormai di rose e di viole
75tutta quanta era un saettame d’oro.

Un frullo, un trillo s’alza: — Non si vuole,
grida una lodoletta, udite, amici,
78costaggiù non si vuol che nasca il sole! —

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E mentre rispondean: — Che è? che dici? —
con lungo cinguettìo via per le fratte,
81mattinando i lor nidi a le pendici

le cingallegre ridean come matte.

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PIÙ CHE LE STELLE


Dal cuore i versi, dal cielo le stelle:
voci di sogno e cenni di speranza
di là dal tempo: fratelli e sorelle,
4come si pare a la lor somiglianza.

Vengon le stelle di lontan lontano,
non si sa come, non si sa di dove,
co ’l loro passo piccioletto; e a mano
8a mano una dolcezza giù ne piove,

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dono de’ sguardi che a lenir tormenti
han la materna placida virtù.
L’occhio stanco sollevano i viventi
12pur sospirando: la pace è lassù!

Vengon le stelle da gli alti reami
a’ lor fidi convegni prediletti.
O protesi nel ciel giovini rami
16d’acacie ombrose e d’ailanti schietti,

a voi de i mondi l’armonia si svela
come nel Sogno di Scipione antico?
numero eterno, che ’l sonoro inciela
20turbine astrale in un amplesso amico.

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Vengon le stelle. Ma la notte è scura;
ma fredda è l’aria. Non importa. Ben
sì di te, di te sola hanno paura,
24nube, astiosa del puro seren.

Forme che ’l sogno innova a gli universi
dove s’addorme tutto quel che visse,
vengono anch’essi i piccioletti versi
28per le vie del mistero ignote e fisse.

Scaturiscon da l’ombre e van. D’avanti
foscheggia de le vane ansie il destino;
e dietro a le corrusche orme sonanti
32l’illusion riprende il suo cammino.

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Ma se il lor fuoco a le stelle s’agguaglia,
più che le stelle han lampi di bontà
da folgorar la bieca nuvolaglia
36che al dolce lume insidiando va.

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ANIME LONTANE


La forza tenebrosa
che sconvolge la terra ov’è sepolta,
turbinando ogni cosa
come ’l vento le nubi indietro avanti,
fa che ignoti s’incontrino talvolta
da immense lontananze i veri amanti.

Da lontananze immense
vengono, con le mani già protese
tremando. Intanto dense

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nebbie avvolgono l’anime d’affanno.
La lingua manca; e ’l cor si fa palese
al modo strano di parlare ch’hanno.

Parlano, ma diverso
l’uno intende da quel che l’altro dice.
Sempre ’l fiore va perso
di lor parole. E più l’uno si sforza
disasconderlo, e più della radice
l’altro assaggia l’amara unica forza.

Ma gli sguardi! le offese
essi no che non sanno e i disincanti
de l’anime incomprese:
gli sguardi che di luce hanno idioma
onde le più lontane disianti
cose insieme amoreggiano. E la chioma

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di un’umile alberella
io vidi sparsa ne la faccia pura
d’una sua cara stella.
E vidi ’l sole ch’alto trionfava
lasciarsi far per gioco un po’ paura
dal cipressetto mio che lo toccava.

Sembrano pur vicine
le amanti cose belle! e sono tanto
lontane! e senza fine
da un incubo premute di misteri,
che le farà soffrire chi sa quanto,
come noi fanno i nostri desideri.

Ch’altro ell’è mai la luce
se non d’amplessi una visibil brama,
la quale arde e riluce

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come la stella in tra la chioma suole
de l'umile alberella sua che l’ama,
o quando indulge al cipressetto il sole?

E ch’altro la bellezza
di forme e di colori, e così pieno
il cielo di dolcezza,
se non la gioia d’impeti viventi
ch’espandono qual onda senza freno
de la luce gli eterni abbracciamenti?

Così se di faville
l’aria avvampano i cenni e le dimande
ch’ardono le pupille
de’ veri amanti, un lume di speranza
quest’è, fervido più quanto più grande
fra quelli ’l vuoto de la lontananza.

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Chè del pari vicini
sembrano i veri amanti; e il cupo cielo
sta fra i loro destini
non mutabili mai. Non forza audace
d’amor trapasserà quel chiuso velo,
non silente agonìa, non umil pace.

Proseguono lontani,
poi ch’hanno sciolte da la stretta amica
le lor tremanti mani;
dove la notte e il turbine li porta
ciascuno compirà la sua fatica
fin che s’acqueti dentro a l’ombra morta.

Ma tu, luce, che ardi
e valichi gli abissi e i mondi abbracci,
di quei ridenti sguardi

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lampeggiasti una volta, e l’infinita
via del mistero da quel dì ne tracci
con le brame ch’eternano la vita

de’ veri amanti. Il raggio
in cui s’infuse l’anima co’l riso
seguirà ’l suo viaggio
senza fine, per quanto il sole accerchia
de l’aer nostro, e correrà indiviso
nel tempo che le umane età soverchia.

Le cose belle allora
svegliate al senso di quei caldi baci
benediran l’aurora
e i doni suoi. Semplicette, non sanno
la malìa de gli spiriti vivaci
ch’han sembianza di luce e vanno e vanno.

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IL MONTE


Dal monte luce e silenzii. Dal monte
libertà e forza. Ne l’acre lavoro
consunte vite, sovvengavi ’l fonte
                              4del vostro ristoro.

Date a l’ascesa le insonni ansie; date
al roborante aromatico strame
gli esaurimenti; a le ferree ventate
                              8le fisime grame.

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Oblìo pe’l cruccio che rode, pe’i morbi
salute il monte vi dona. Gli piace
l’orma de l’uomo se i suoi non intorbi
                         12dominii di pace.

Però che molto ei sofferse. Già corse
età di lotte oltre i secoli. I ghiacci
dente a le rupi implacabile e morse
                         16fur d’orridi abbracci.

Invan l’atleta gloriò in sua saldezza.
Per l’ime vene arse un palpito ignito;
tremò: e lo schianto del cor che si spezza
                         20conobbe il granito.

Le mostruose ire prime l’indomo
visse del mondo che null’occhio esplora:
quelle che occulte nel senso de l’uomo
                         24assonnano ancora.

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Or posa. Ossigeni l’aria gli fura,
calcari ’l mar, polle ’l fiume nascente,
metalli e selve l’industre pianura:
                         28ei tutto consente.

E posa, e vigila. Son l’orme altere
de l’uomo assai; ma più i ceppi serrati.
E i suoi raddoppia su l’irte scogliere
                         32pinnacoli astati.

Libero è il monte. Se il picciol rivale,
che opprime e serve, gli getta sue sfide,
ei sperde il vanto de l’ombra che sale:
                         36lo attira, e lo uccide.

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I LAVINI DI MARCO


Dante qui l’occhio posò. Ne l’interna
passione tal forza ebbe la vista
3de la ruina, che divenne eterna.

E la rivide ne la valle trista
dove le cose son verace specchio
6del male che più l’anima contrista.

Dove ne’ strazii sempre nuovi ’l vecchio
odio si sconta: e i disperati stridi
9percuotono tuttora il nostro orecchio.

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Quanto si spazia lungo gli aspri lidi,
fosso parea lo sterminato crollo
12da martorar tiranni ed omicidi.

Non altro. Era il fiero animo satollo.
Non han salvezza i rei se Dio li fiacca.
15Quando giustizia dà il fatal tracollo,

non sorge l’uomo La natura stracca
da lo sfacelo non ottien sollievo.
18Dante guardava. E la deserta lacca

empivagli di sangue il medioevo.

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Nel suolo che di scogli irto e ferrigno
21sente ancora l’orribile conquasso
sotto il piccone crepita il macigno.

D’ogni parte fuggendo, al ferro il masso
24cede; co’l tuon de la fenduta scheggia
se’n va la gran ruina a passo a passo,

come da i paschi la nomade greggia;
27e a lunghe strisce ne la scarca valle
il seminato qua e là verdeggia.

Spunta il magliuolo dal calcare, dalle
30bonificate sabbie esce la spica
dove i geli bruciarono le spalle

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de i tagliapietre, e tese a la fatica
33spaccò le schiene su la roccia il sole,
che l’assiduità de la formica

aveano al traino de le carriuole
36d’ingente soma, e il nerbo del Ciclopo
al carico de la sassosa mole.

L’informe avanti ’l cosmo; il verbo dopo
39gli abissi de la tenebra; e sovrano
radiante ne’ secoli ’l tuo scopo,

o creazione del lavoro umano,
42cui preparava campi ed officine
l’alluvione, il tremuoto, il vulcano.

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La storia ormai è sgombra di rovine,
45nè più teme natura il cieco scempio.
Specchio di mondi che non hanno fine

de l’operosa età sorge l’esempio;
48ed escono pinnacoli e colonne
dal masso antico per il nuovo tempio.

E la bellezza, ove raggio lascionne
51più vivido il pensier, che pare albeggi
da cieli eterni su la terra insonne,

l’aspra forza sentì de le tue leggi.

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NOTA.

I Lavini di Marco: vasta landa sulla riva sinistra dell’Adige presso Rovereto, coperta di massi franati, la cui rovina, secondo gli Annali di Fulda, sarebbe da attribuirsi ad un terremoto che sconvolse tutta quella regione nell’867 e ad un monte smosso, caduto nell’Adige nell’883. Ottone di Frisinga (sec. xii) ricorda un altro terremoto, non meno spaventoso, che circa il 1111 aveva rovesciato città, ville e monti.

Lo spettacolo di questa enorme frana è descritto nella visione dantesca, là dove il Poeta col Duce suo, scendendo dal sesto al settimo cerchio infernale,

                                             giù per lo scarco
     Di quelle pietre che spesso moviensi

vede sott’esso

     La riviera del sangue, in la qual bolle
     Qual che per violenza in altrui noccia. Inf., xii.

Oggi l’industria, che s’impossessò dei Lavini di Marco, ne trae ottimi materiali da fabbrica; e quel suolo, già in più parti

liberato dalle pietre, è bonificato e ridotto a cultura. [p. 33 modifica]

BRIVIDO ANTICO


Non sempre a l’erme città funeree
la sua dimora solenne e forte
visibilmente tra’ marmi rigidi
ferma la morte;4

o dentro il breve quadrato accogliesi
del pio campestre cimiterietto,
dov'è il riposo vero de gli umili
e benedetto.8

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Ma in mezzo a l’opre sonanti, tenue
nel vel de l’ombre, talor s’aggira;
beve la luce, la nostra vivida
aria respira.12

Fuori nel sole nereggian gli alberi,
le dolci cure l’animo oblia,
ne’ visi noti qualcosa straniasi,
non so che sia.16

Quando la sera le piazze affollansi,
sentir sepolte d’antica gente
l’ossa scricchianti là sotto il lastrico
mi viene in mente;20

e il focolare de’ cavernicoli,
che, un tetto e un seggio di pietra aggiunto,
teneanvi assiso, seco a convivere,
il lor defunto;24

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e l’ardua tomba de le Piramidi,
possenti come l’eterno Incerto
a dominare, fiaccando i secoli,
cielo e deserto.28

Paga del sonno, tra le necropoli
si spaziava, regal signora;
familiare sedea con gli uomini
la morte allora.32

Oggi l’esilio fuggendo e il lugubre
regno bugiardo de’ suoi recinti,
con la carezza del sol, de l’aure
ci tiene avvinti.36

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LE RUSALCHE


A’ bei dì che in veste florida
tutto al sol pur mo’ rinacque,
le Rusalche, strane vergini
ch’han dimora in fondo a l’acque4

de l’arcana Russia, a l’ospiti
verdi spiagge assise, come
è costume lor, si lisciano
le fluenti verdi chiome.8

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Or taluna va cullandosi
sopra un ramo d’arboscello,
che si flette al fianco tenue
men che a l’ala d’un uccello.12

Ora insieme gaie scherzano
via de’ laghi su le sponde:
sguardo alcuno ivi non penetri
curioso, chè ne l’onde16

tutte allora giù spariscono
in un lampo. Guai se qualche
giovinetto mira improvvido
le bellissime Rusalche!20

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Sempre a lui la maraviglia
desta in cor brama novella:
donna in terra più non trovasi
che gli possa parer bella.24

Ma fuor balzano spontanee
quando le malìe nascoste
mette in fuga co ’l suo limpido
raggio il sole a Pentecoste.28

Ecco allor fra danze e cantici
per le fresche amene lande
coglie fiori e intreccia il popolo
a le ninfe le ghirlande;32

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e ne l’acqua sparpagliandole
tutti fanno ad esse onore:
quella scotesi e d’un palpito
trema e ride insiem co ’l fiore.36

O se allora il rito amabile
su da i fluidi nascondigli
faccia mai che alcuna arrendasi
ai floriferi vincigli;40

se a l’omaggio favorevole
d’un eletto si mostri ella,
e d’amore il dono arridagli
sospirato, non sia quella44

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che scrutar de ’l tetro vortice
i misteri ama; non sia
quella che d’inganni specchio
fa sua vana leggiadria;48

ma sia quella che instancabile,
come vuole il buon destino,
gira intorno con la candida
man la ruota del mulino.52

Ben dal monte a precipizio
scenderà la dea Morena,
che su i carri de le nuvole
vento e gelo e morte mena.56

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Non farà la sferza e l’ululo
de le smunte carovane
tremar più vecchi nè giovani
perchè ognuno avrà ’l suo pane.60

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NOTA.

Le Rusalche: ninfe che appartengono alla mitologia slava. Sono descritte come vergini d’incomparabile bellezza, le quali abitano nei laghi e nei fiumi, talvolta anche nei boschi; e, secondo una fantasia popolare, sulle spiagge erbose stanno a lisciarsi i lunghi capelli verdi. Era costume di celebrarne l’apparizione durante la settimana di Pentecoste, gettando loro nell’acqua corone di fiori, fra danze e canti. Ma infelice chi arrivava a vederle! perchè solo assai raramente concedevano il loro amore ad un eletto. E quando egli ne aveva vista una, non poteva poi trovar bella nessun’altra donna terrena. (Vedi W. Vollmer, Vollständiges Wörterbuch der Mythologie aller Völker. Stuttgart, 1851, p. 965.)

Così pure si legge in Deutsche Mythologie di J. Grimm, Berlin, 1875, Vierte Ausgabe, I Band, p. 407: «Die Russen nennen ihre weiblichen flussgeister rusalki: schöne jungfrauen mit grünem oder bekränztem haar, auf der wiese am wasser sich kämmend und im see oder fluss badend. sie erscheinen zumal am pfingstage, in der pfingstwoche, und das volk pflegt dann unter tanz und gesang ihnen zu ehre kränze zu flechten und ins wasser zu werfen».

Vi accenna pure il Tiele nel suo Manuel de l’histoire des religions, etc., nouvelle édition, Paris, Leroux, chap. iii, 112, notando che «Toutes les propriétés de l’eau.... sa beauté trompeuse et sa mystérieuse profondeur, son pouvoir magique, qui met en mouvement la roue du moulin, sont personnifiés dans les belles Rusalkas....». [p. 45 modifica]

II

ELEGIE

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NELL’ANNIVERSARIO D’UNA SCIAGURA


Per il fanciullo M. F., vittima del disastro ferroviario di Piacenza.

6 ottobre 1906.


Oggi un anno. Ritorna, ecco, ne l’ora
tragica come un sogno di demente
la visione atroce. Ancora ancora3

odo il grido salir subitamente
per ogni terra ripercosso, e farsi
muta ascoltando e pallida la gente.6

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Turbinar del disastro i segni sparsi
vedo ne l’ombre. Il vapor romba: un cozzo
fulmineo d’inferno: uno schiantarsi9

di carriaggi e ferramenti. Mozzo
in due sfasciasi ’l treno. Ardon rottami
e corpi. Co ’l fragore alto un singhiozzo12

d’agonie va. Che orribili richiami,
taciturna Piacenza e voi nebbiose
rive del Po, percossero i velami15

muti del cielo! Erano speranzose
famigliuole, mariti erano e padri
e fidanzati, eran fiorenti spose18

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e figli tenerelli e incinte madri.
E tu ’l viso cui l’ala il nero dramma
sbattea, Mario, raggiavi e de’ leggiadri21

occhi pensosi a l’avvenir la fiamma,
bellissimo fanciullo; e scudo t’era
il ben che ti voleva la tua mamma.24

Invano. Potè mai siepe o barriera
dal fiore distornar, quando dirotta
crepita al campo, l’orrida bufera?27

Indifeso perivi e senza lotta.
La franca legge del volere umano
per te, fanciullo, a mezza via fu rotta.30

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Perivi. Il caso con la cieca mano
era a le spalle. Un attimo: ed infranto
le membra t’ebbe nel suo gorgo insano33

la distruzione. Spigavano intanto
a la tua fronte le speranze, i sogni
del padre, che vedea con dolce vanto36

se stesso in te risorridere ad ogni
libera vetta o ardimentoso scoglio
cui forte ingegno e fervid’estro agogni.39

Vivi tu sempre con l’antico orgoglio,
Niobe eterna, e provochi la sorte
a fulminar la pianta nel germoglio?42

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Stringersi al petto il figlio, e su le porte
d’un cimitero abbandonarlo! O forse
ha la sua primavera anche la morte?45

e chiede albe e sorrisi, e il fior che sorse
per nostra gioia era il fior del suo maggio
che di qua solo un poco la precorse?48

Speranza, che sostieni ’l buon viaggio,
quando s’abbatte l’ultima stanchezza
e con lento languir tremola il raggio,51

il morbo rode e la fibra si spezza,
pietosa amica, di pace favelli.
Ma quando in roseo vel la giovinezza54

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d’incanti ancora intatto e sogni belli,
co ’l sospiro immortal de la natura
s’addorme in seno de’ precoci avelli,57

ispiratrice sei. Spande una pura
chiarità di rinascita infinita
di là da l’ombre de la sepoltura60

la soave primizia de la vita.

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DALL’ANTICO AL NUOVO OSPIZIO


Quando i vecchi di Milano lasciarono l’antico Pio Albergo Trivulzio per la nuova sede fuori di porta Magenta.


I.


Se ’n vanno. Chi da l’ospite dimora
congeda i vecchi cui negò la vita
l’ultimo pane? Qual fortuna ancora3

dal bel palazzo che l’insegna avita
donò a l’erede povertà, chiamando,
un altro albergo a’ stanchi padri addita?6

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Guardan pensosi indietro a quando a quando.
Su, vecchi padri! Su, voi cittadini!
In alto i cuori! Non è questo un bando.9

Altre sedi, altre imprese, altri destini
la città industre spazïando innova
dietro il pensiero che non ha confini.12

E, date l’ali a la conquista nova,
Milano, madre de le forze intense,
tutte l’emule sue vince a la prova.15

Ai folti artieri le officine immense,
a l’atleta civil liberi campi,
a i fiacchi del cammino asili e mense.18

[p. 55 modifica]


E tutto innerva, e par che tutto avvampi
d’una corrente d’anima futura
la sua energia che non conosce inciampi.21

Uscite, o padri, da le antiche mura
senza rimpianto. Abbia ’l suo dì giocondo
l’idea che affranca l’uom da la sventura.24

Muoiono gli echi, e il brivido profondo
de’ luoghi abbandonati ampio e funesto
scorre il palazzo gentilizio. Al mondo27

mai non si vide uno squallor più mesto.

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II


Come quando de l’uomo si scolora
la vita senz’affetti, anche del Pio
Albergo il nome, che si spegne, accuora.3

Torna ’l mattino limpido e ’l brusio
del Verziere. Pur, tra la folla manca
qualcosa di domestico e natio.6

In bruna assisa la famiglia bianca,
ad uno ad uno, in mezzo a l’altra gente,
più non isciama e ’l suo passo rinfranca.9

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Muta è la casa. E nulla è sì possente
fra ’l suon de l’opre e l’incessabil moto
come il silenzio de le cose spente.12

Un sogno dunque, altro non fu, che a vuoto
raggiò ’l tuo ardor francescano verace,
Principe Tolomeo Trivulzio, il voto15

col quale tu chiudesti gli occhi in pace?
Oro e deserto avevi intorno e il lutto,
simile a grido che mai non si tace,18

de la sventura che travolse tutto.
Allor, sognando il tuo gran sogno umano,
— Qui, tu dicesti, dove a me distrutto21

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fu ’l nodo nuzïale, e l’amor vano
fu di marito e padre, un focolare
trovi chi stende per pietà la mano — .24

Quanti infelici udironsi chiamare
giù presso a morte, e qui venner contenti
di poter prima un poco riposare!27

Quanti reietti da i loro parenti
supplici atteser, rigidi la faccia
per l’angoscia di tutti i patimenti!30

Pure, al lavoro avean rotte le braccia
pe’ i molti figli a procacciare il pane:
ma ’l vecchio inerte ne la casa impaccia....33

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non ne la casa, ne le orrende tane.
Che valse tra’ mestieri e tra’ servizi
incanutir? spola ed ago da mane36

a sera trarre ne i densi opifizi?
e sotto ’l cenno altrui prendere in cura
de la famiglia i pazienti uffizi?39

Che valse lume di civil cultura
e solerzia di traffici e ’l vitale
sforzo che il popol ne le asprezze indura?42

Fu la lor sorte a la miseria eguale.
O giustizia ideal, quanto sei vana,
se un’immensa pietà qui non prevale!45

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Così sognava; e la pia gloria umana
già vedea del suo sogno il Fondatore
cogliere e benedir l’età lontana.48

Vinse l’oblio. Raggian novelle aurore;
ma prima in grembo a la tenebra folta
sempre una luce di tramonto muore.51

E ne la notte, che le voci ascolta
del mistero, qualcuno par sospiri
come di dolce cosa che gli è tolta.54

Par che qualcuno trepido s’aggiri
e chiami: — Chi turbò le soglie pie?
Dov’è la pace che a’ tardi respiri57

[p. 61 modifica]


concedean l’ampie sale e le corsie?
Del mio nome che fu? Qual mano il santo
voto cancella e le memorie mie? — 60

Sott’esso i belli archi sonò di pianto
un lungo eco a quell’inutil chiama:
sonò ne i vasti dormitorii. Intanto63

co ’l sospir vano e la delusa brama
di qua da l’ombre che la morte crea,
come la foglia da la morta rama,66

l’ultima vanità de l’uom cadea.

[p. 62 modifica]


III


Via con l’insonne battito de l’ora
notturna l’ansia e lo sgomento. Via
i pallidi fantasmi. Ecco l’aurora.3

Come creata da la fantasia
la nuova sede a le brezze odorate
le sue verande spalanca giulìa.6

A cento a cento lungo le vetrate
gli ospiti affaccian la lor bianca testa.
O il bel sole! O la vita a piene ondate!9

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Popolo, ride un ideale in questa
gioia pensosa del tuo buon destino
come vigilia d’aspettata festa.12

Quando ciascun tuo figlio, cui ’l meschino
frutto mancò de i lunghi sforzi, un raggio
veda splendere in fondo al suo cammino.15

Fra i tardi stenti pur veda un messaggio
scender di pace, e non abbia paura
de l’abbandono, e dica a sè: coraggio!18

O civiltà, che libera e sicura
guardi a la mèta, se al sognato lido
approdi ’l genio de l’età ventura,21

[p. 64 modifica]


da le fatiche esausto e gli anni, un fido
rifugio almeno trovi l’uom canuto
per la sua fine. Sorge questo grido24

dal cor de i buoni. Sia come un saluto
benedicente! Annunzi in ogni dove
co’ squilli e i canti del fraterno aiuto27

la primavera de le genti nove.

[p. 65 modifica]

IN MORTE DI UN FILOSOFO


Ad Augusto Alfani in memoria di Augusto Conti.


Torna il pensiero ove cantando osanna
Dante vedea dopo la nuvoletta
gli angeli che parean pioggia di manna.3

E mi ricrea la luce benedetta
onde ogni cosa che da lei rampolli
piacer diventa d’armonia perfetta:6

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le rive d’Arno e i fiorentini colli
d’eterno maggio glorianti in giro
ne l’amplesso del ciel vividi e molli;9

e curvi anch’essi sotto il bel zaffiro
Santa Maria del Fiore e il Battistero
che danno pace al mistico sospiro.12

Come lontano in paese straniero
mesto figliuol desidera la madre,
così voi, dolci luoghi, ’l mio pensiero.15

Ma quasi in sogno quell’aure leggiadre
chiamare a nome e sospirare ascolto:
— Augusto Conti, dolcissimo padre! — 18

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Nè più rivedo il bel vecchio raccolto
qual soleva mostrarsi ogni mattina
là tra i fedeli, luminoso il volto21

e la persona immoto, a la Regina
de’ Cieli orante, da cui fiamma attinse
d’opere belle. O quanto la Divina24

che l’Angelo annunziò e qui dipinse
diegli d’ardore, se per onorarla
orgoglio insieme e debolezza ei vinse!27

Un che celeste nel suo esempio parla
veracemente. Erano schiavi i tempi
tra falsi dubbi, e d’arrogante ciarla30

[p. 68 modifica]


cattedratica ottusi i volghi scempi;
quand’ei levossi e liberò la penna
da’ cavillosi lacci ambigui ed empi33

tra’ quali ’l senso e la ragion tentenna.
Mentre accennar gli altissimi intelletti
vedea, come ad amico amico accenna,36

lui precedendo: i filosofi schietti
di Grecia e Italia, quelli a la cui scuola
Dante filosofò gli eterni detti.39

O amabil luce de la sua parola
forte a snebbiar da’ scettici ludibri
l’unica verità che l’uom consola!42

[p. 69 modifica]


O d’armonia ideal candidi libri,
d’onde nel suo pacato ordine il bene
par che più raggi di bellezza vibri!45

Con la sincerità che fede ottiene
tralucea l’innocenza de la vita
a lui dal volto. E quando più serene48

speranza e morte han l’anima ingioita?
Quando così solenne e così in pace
la bontà di Firenze s’è partita?51

Ben è questa de l’uom gloria verace
che del suo fine allegrasi, per cui
più de la vita a noi la morte piace.54

[p. 70 modifica]


Ma la fatale ora di gloria a lui,
che un’altra volta l’aspettò da forte,
non nuova arrise. Arrisegli già sui57

campi, ne l’armi, quando per la sorte
del leonino battaglion toscano
con la bandiera andò incontro a la morte.60

O entusiasmi, o fede, o sovrumano
fremito de la patria! ed o speranze
oltre il vero felici! Il veterano63

ardea tuttora in quelle ricordanze
giovanilmente. E gli parea sentire
di quell’eroico maggio le fragranze.66

[p. 71 modifica]


Quando sul Mincio il cavallo nitrire
s’udì di Carlo Alberto, e l’Appennino
fu tutto un grido: «O vincere o morire!»69

E col fuoco saggiarono il destino
d’Italia Curtatone e Montanara,
abbreviando l’operar divino.72

Così un popolo elesse, e fu sì cara
la libertà, fior de l’idea civile
e del martirio, che gli eventi schiara.75

Così a lo sprezzo d’ogni via servile
crebbe armato da lei quel santo petto,
ch’era sì altero e fuor parea sì umile!78

[p. 72 modifica]


Or lo spirito, che divien perfetto
di luce in luce, glorioso e franco
giunge al riposo, ch’è quaggiù interdetto.81

O non mai sfiduciato e non mai stanco,
pur quando a gli altri largheggiar vedevi
le ricompense che a te venner manco;84

tu, che pago eri in cor, tu che sapevi
per quali lotte da’ peggior tiranni
a vera libertà l’uomo si elevi;87

se ti ricordi de’ passati affanni,
di quest’ombre ove soffresi e delira
dietro un vanir perpetuo d’inganni;90

[p. 73 modifica]


a noi qualche benigno alito spira
di quella pace cui s’appunta in vano
fuor del regno di Dio la nostra mira.93

Noi, fin che a vespro su le alture e ’l piano
tutta fiammando la serena chiostra
s’immergerà ne’ cieli ’l sol lontano,96

di te pensando, mentre il cor si prostra,
e di quel fine che immortale adempi,
riscossa sentirem l’anima nostra99

sorgere al cenno de’ tuoi vivi esempi.

[p. 75 modifica]

III

PAGINETTE

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IN UN ALBO


Se un dì per la tua gioia chiederai
la dolcezza ideale
che dono fa parer celestiale
la poesia quando più addentro parla;
pensa, fanciulla, che in te stessa l’hai5
per te, per gli altri; e che ti basta a darla,
se vien dal cuore, anche una voce sola,
un pio sorriso, una buona parola.

[p. 79 modifica]

LE NOTE DELLA MAMMA


Varii fogli di carta, e su ciascuno
qualcosa scritto, qualche noticina,
date, conteggi, elenchi ond’è provvista
la buona madre di famiglia. In uno
5ricette di cucina,
spese in un altro, in un terzo la lista,
capo per capo, de la biancheria.
Ed anche in mezzo a questo,
tutta scritta di mano eguale al resto,
10una piccola bella poesia.

[p. 80 modifica]


L’arti leggiadre e gli umili profitti
che i destini scompagnano, fratelli,
varii fogli di carta anch’essi sono,
eguali, e sol diversamente scritti,
15ciascun de’ quali ad una cosa è buono.
Utili sieno o belli,
nobili o vili, d’una mano stessa,
senza far differenza,
tutti gli scrisse a un fin la provvidenza,
20ch’è buona madre di famiglia anch’essa.

[p. 81 modifica]

CARRIERA POETICA


Ne la pubblica via c’era un poeta.
Stava aspettando che passasse gente.
Stava in orecchi semmai venga alcuno
co ’l tema per il canto e la moneta.
Ascolta e ascolta. Non viene nessuno.
Guarda e riguarda. Non vede niente.6

Quel che lo inquietava era il pensiero
d’aprir bocca nè aver nulla da dire.
Conosceva le regole del Bello,

[p. 82 modifica]

e che un poeta, per piacer davvero,
deve sempre badare a dir sol quello
che più la gente ha piacere d’udire.12

Finalmente! ecco le folle! son esse,
quelle che plaudono e pagano! a cui
egli si fa con bel gesto d’avanti.
Ma chè! Tutti poeti e poetesse
che aspettano anche loro. Tutti quanti
che null’hanno da dire; come lui.18

[p. 83 modifica]

AUGURII


I nostri contadini hanno per uso,
quando gli augurii l’uno a l’altro fa,
dire semplicemente: «Vi desidero».
4Che cosa? Non importa andar più in là.

O schietta cortesia contadinesca,
quanto meglio t’accosti a verità
del costume che un mondo di beni augura....
8perchè rincresca poi se alcuno gli ha.

[p. 85 modifica]

PER L’AUTO-ACCUSA DI UN POETA


Qualche volta, allor che sciolgono
certi vati i cignei canti,
a sè stessi e al mondo imprecano
4....d’aver fatto i commedianti.

Sacro sdegno, nobil impeto
di rivolta! onesti detti!
Ma, di grazia, o vati, diteci:
8e chi mai v’avea costretti?

[p. 87 modifica]

FEDE D’ARTISTA


Per una commemorazione del Pergolese.


Benedetta sii tu, arte divina,
educatrice di gentili età;
non per la gioia che su i fior si china,
4non per la gloria che seduce e va.

Ma pe ’l dolore che l’ingegno preme
ne le asprezze temprando il forte ardir;
e da la sua pupilla un pianto spreme
8che passa i cieli e che non può morir.

[p. 88 modifica]


Che fa se oscuro ne la tomba ei scende
ove ancor stride il sibilo crudel?
Giovine eterno, il secol novo attende:
12quest’è il suo regno, e gli sarà fedel.

Sempre l’eroe che ne la notte sorge
cammina verso il trionfal suo dì.
Svegliasi ’l mondo, e le braccia gli porge
16come a chi ’l fonte de la luce aprì.

[p. 89 modifica]

PAGINA D’ALBO


Come faville rende l’occhio al sole,
chi le mercedi pie coglie del ben,
se dà conforto d’opere o parole
4prodiga ’l raggio che dal cielo vien.

Pur, v’è uno sguardo il qual ne’ cieli bui
lampeggia un lume ond’egli è fonte a sè.
Pur, v’è un amore il qual sa dare altrui
8una dolcezza che nessun gli diè.

[p. 91 modifica]

IV

MOTIVI LIRICI

[p. 93 modifica]

L’INVISIBILE PRESENZA


Tranquilli dì, che l’opera fa brevi,
dal pianto a nuova gagliardìa rinati,
non trascorrono a me sì dolci e lievi,
quasi appena sognati,
5che d’improvviso ancor non mi sorprenda
co’ suoi cenni l’Amato ch’io perdei;
e credo egli m’intenda,
sebbene gli occhi miei
co ’l sorriso di prima non consola.

[p. 94 modifica]


10Come non so, ma che m’intenda ho fede,
a quella guisa che di lui m’accorgo.
Da quattro anni ormai tra’ morti siede,
e pur sempre lo scorgo!
Qualche volta, figgendo forte gli occhi,
15mi pare ancor sentirlo sì da presso
che basta ch’io lo tocchi;
e ne l’orecchio spesso
mi percuote co ’l suon la sua parola.

È il sogno? È l’ombra sua che in me ritenni?
20È il senso errante? O è la mente inferma?
Non so. Ma intanto co’ suoi proprii cenni
a sè mi volge e ferma.
Piega la volontà, piega l’evento;
la speranza, la pace egli può darmi.
25Se di lui tutto è spento,
incredibile parmi
che tanto possa la memoria sola.

[p. 95 modifica]

SULLA TOMBA DI UN FANCIULLO


Placido in atti, come movendo ad un fido convegno,
il molto amato figlio solo ne l’ombra sparve.

Qual cenno udì? lontano chiamavanlo forse i fratelli?
4che incanto a gli occhi vaghi di visioni rise?

Non la pietà del padre, non co ’l lacrimabile grido
la madre ne le care braccia non lui rattenne.

[p. 96 modifica]


Ospite d’un mattino, quel ben che la vita può dare
8tutto nel primo lume de le speranze lievi

come in un sogno colse. Ne la mano ancor di fanciullo
tenne soavemente il fiore de le cose:

i baldi entusiasmi, le vergini cure serene,
12la gioia che co ’l riso de la bellezza spira,

fior de le cose eterne. O mesti a la zolla che cuopre
il molto amato figlio date rose e viole.

Lo spirito presago non forse un cammino sospira
16senza fin radioso? Meglio con rapid’ala

trasvolare le tarde ombre incontro a l’alba divina,
che giunger stanchi al fondo de la deserta via.

[p. 97 modifica]

APATIA


Stagioni, che l’acqua con sùbite scosse
su l’alida terra vapora e non bagna.
Stagioni, che ’l sole gli è come non fosse
4per l’irta nel gelo marmata campagna.

Stagioni, che l’aria non giova d’alena,
ma torpe nel cavo a gl’inerti polmoni;
e ’l sangue che affredda entro l’arida vena
8scaldare non posson gli ardenti carboni.

[p. 98 modifica]


Stagioni, in cui tacita prende l’avvio
colei che di nulla non sente bisogno:
l’Ignota, che semina in terra l’oblio,
12e miete anco i fior tenerelli del sogno.

Stagioni, ove qualche gran cosa finisce,
o forse al nativo suo mondo trasvola:
si parla si parla, e nessuno capisce;
16si soffre si soffre, e niente consola.

[p. 99 modifica]

IL SEMPIONE


Battute in breccia l’ultime pareti,
dove su ’l quarzo scintillò più bianco
3il vittorioso acciaio de gli atleti,

apresi ’l monte, e pe ’l forato fianco
avanti e indietro, come sangue in vene,
6corre l’ingegno uman libero e franco.

[p. 100 modifica]


Che fûr le rocce e le franose arene?
Che il sotterraneo orror? Quando tu passi,
9eroica volontà, chi ti rattiene?

Tutto cede. Le tenebre ed i massi
concepiscono l’uom. L’aria e la luce
12palpitando s’inviscera ne’ sassi.

Squarcian l’acque il macigno, e ne traluce
pe’ cocenti cunicoli ’l sentiero
15ch’un verso l’altro i popoli conduce:

perchè più non esista uno straniero,
perchè il sudore si accomuni e l’oro,
18perchè sia ’l regno de la pace intero.

[p. 101 modifica]


O cuori umani, dove ’l pio lavoro
a unificarvi le montagne spezza,
21compite voi questo civil ristoro.

Vincasi ogni distanza, ogni durezza
che nel cammino de la vita attardi
24la fraterna de’ popoli salvezza.

E tu che ascendi e sempre avanti guardi,
genio del vero, se l’impervia pietra
27a perforar fai gli uomini gagliardi,

pulsa, martella, folgora la tetra
chiostra del senso, ove dal ciel la mente
30più s’allontana quanto più penetra.

[p. 102 modifica]


Questo scavo, cui preme eternamente
un’angoscia di tomba e di sfacelo,
33ne inghiotta anch’esso come cieca gente.

ma per uscirne sotto nuovo cielo.

[p. 103 modifica]

PER CERTE FESTE CENTENARIE


Son civici onori a la tomba d’un grande?
o il carnevale che il popol sollazza?
Correte. Plaudite. Ci son cori in piazza;
4concioni in teatro; in istrada le bande.

E l’obolo date. Guai se la baldoria
non rende quattrini. Ci sono cortei;
e, dietro, una frotta d’oscuri pigmei
8s’atteggia a grandezza. Se questa è la gloria,

[p. 104 modifica]


io ’l nome rinnego che serve a chi fiuta
tra’ spiriti magni la buona fortuna.
Io voglio distrugger la fede se in una
12tirannide nova l’idea si trasmuta.

Sospiro, cui breve parea l’orizzonte
varcando la fiamma dal vespero accesa
con l’anima tutta ne gli occhi protesa
16a’ lidi del sogno, con alta la fronte;

sospiro, in che l’ombra solinga i cocenti
fervori premea d’un sublime delirio
e il rombo del sangue nel muto martirio
20e il trepido gaudio de’ versi nascenti;

[p. 105 modifica]


che foga seguìati d’indomo pensiero,
che audacia di lotte imminenti fremevi,
che sdegno del vano romore chiudevi,
24che austeri silenzii l’eloquio ti diero!

E ch’erano i crucci, serbati a gli schiavi,
di quel che la gente può dire o non dire?
Tu solo a la meta del mio buon ardire,
28tu solo al mio libero cuore bastavi.

Sospiro, che simile a l’onda te ’n vai,
e al segno tuo fisso, com’è fissa l’ora
che la luce a noi d’una stella tuttora
32incognita arriva, pur tu arriverai;

[p. 106 modifica]


no ’l zeffiro molle, ma il nembo ti valga,
quand’impeto fa co’ i cavalli e i giganti
de l’aria il ciclone, e si caccia d’avanti
36le torpide afe. Lasciate che salga

ai grandi l’omaggio: e sia come l’odore
che mandano i fiori, se il sole più ricchi
li fe’. Voi a forza di storte e lambicchi
40mettete in commercio l’essenza del cuore.

[p. 107 modifica]

A UNA MALIGNA

Vecchi ricordi


Lasciami in pace. O con gl’inferni Lemuri
gareggi a prova di terror novelli?
Pender mi sento da lungi su l’anima,
4come coltelli

a ferir presti, che a vicenda affilansi,
di luce no, di tenebra ministri,
i tuoi guizzanti ne la picciola orbita
8occhi sinistri;

[p. 108 modifica]


grigi, taglienti, senza lampi e lacrime;
del tristo cor ne’ malefizii vecchio,
fuor che ne l’odio, che sì ben dissimuli,
12orribil specchio.

Occhi d’Arpìa; quali a l’artiglio gemini
forse rotò, con fiato di veleno
peste e menzogna profetando a’ naufraghi
16eroi, Celeno.

Ben quelli al segno de la cava buccina
tese avean contro il maledetto rostro
le spade. Invan. Ne l’atra selva incolume
20fuggiasi ’l mostro.

[p. 109 modifica]

SUORA CHIARA

Leggenda francescana


Quando la Povertà sua sposa elesse
santo Francesco, che l’ebbe sì cara,
3vide Ascesi quel Sole come ardesse.

E tu dal grembo de la terra avara
fiorivi a lui ne la profonda notte
6suo nobile germoglio, santa Chiara.

[p. 110 modifica]


Parvero allora de l’umano rotte
per opera di Dio tutte le leggi
9e ad innocenza l’anime raddotte.

Quale giglio che più tra l’ombre albeggi,
virginità, de’ cieli onor sovrano,
12splendea più pura ne’ romiti seggi.

O pace eletta di San Damïano,
che in seno t’accoglievi a maraviglia
15l’estasi ed il lavoro de la mano!

O serafica vita, la cui figlia
cercò l’obbedienza, e fu ’l cammino
18perfetto ond’ella con la sua famiglia

[p. 111 modifica]


die’ compimento a l’ordine divino!
Qui ne la notte di Natale in coro
21vider Gesù le suore al mattutino.

Qui mandò per consiglio, e per ristoro
qui venne il Padre, quando la tristezza
24gli crebbe a morte il corporal martoro:

fatto simile al vaso che si spezza
per la forza del buon liquore, ed empie
27l’aria e la terra di fragrante ebbrezza.

Ecco, già presso a coronar le tempie
dove la gloria del mistico Agnello
30ne l’infinita carità s’adempie,

[p. 112 modifica]


a quest’asilo suo, come fratello,
grave il cor di sconforto e d’aspre cure,
33torna cercando pace il Poverello.

Qual grazia arride entro le soglie pure?
Che voci udì? Che segrete parole
36favellarono a lui le creature?

Più che suon di tiorbe e di viole
corre pieno di laudi armoniose
39via pe ’l cielo umbro ’l Cantico del Sole.

E la celluzza che di frondi e rose
santa Chiara intesseva al pio cantore,
42ribenedette in Dio tutte le cose,

vide, Italia, de’ tuoi inni l’albore.

[p. 113 modifica]

CONVITO NUZIALE


Era festa di nozze in Galilea,
e Gesù venne. Non ancor l’ardente
3verbo agitava ne’ cuori. Cogliea

un’ora di dolcezza. Oh, di sovente
quello che vide e sì gli piacque allora
6dovea tornargli con dolcezza in mente

[p. 114 modifica]


chiamando i buoni al regno suo! Qualora
apriva i cieli al picciol stuolo eletto,
9ne la mente tornavagli quell’ora

e le nozze e il convito benedetto.
O sposi, ’l vostro calice consola
12Colui che asseta d’amore perfetto.

Il primo segno de la sua parola
voi miraste. Con voi Egli divise
15la gioia breve. E quella fu la sola

umana gioia che a Gesù sorrise.

[p. 115 modifica]

LA FOLLE PAROLA


Gente de i campi: quando a le sue braccia
fu pingue ’l solco e fu carico ’l ramo,
prima ebbe il focolare e poi la culla.
E la donna diceva fiera in faccia:
— Chi è felice come noi, che siamo
6povera gente, e non ci manca nulla? —

E quando al solco e al ramo parve lieve
tutto il lavoro de la buona annata,
n’ebbero un poco due fiorite aiuole.
O maraviglia de la prima neve
a vedere una rosa imbalconata,
12e con lei trattenersi alquanto il sole!

[p. 116 modifica]


Si tratteneva il sole con la rosa
imbalconata, e più con un amore
di testolina ricciutella e bionda.
Intorno a lei rideva ogn’altra cosa.
Ma la morte, che abita nel cuore
18de l’aria, intanto usciva a far la ronda.

E chiamava. E sì forte era l’appello,
che il tuono e il vento di più non potrebbe.
Nessuno ode; nessun risponde a quei
foschi cenni: nè il padre nè il fratello
nè la madre nè il nonno. Quella ch’ebbe
24coraggio di rispondere fu lei,

la più piccina e la più cara; quella
che al sol piaceva. E il sole par che pianga
perchè non accarezza oggi la gaia

[p. 117 modifica]

sua testolina bionda e ricciutella,
da canto al padre, al colpo de la vanga,
30dimentica per lei de la cavaia.

Raccolti a sera ne la lor cucina
dicevano il rosario. Era la festa
de i Santi. Per le inferriate quadre
il cielo tralucea. La piccolina
a un tratto, senza nulla dir, la testa
36chinò su le ginocchia de la madre,

e pianse. Ma non fu quello il segnale.
Fu più tardi. Fu la mattina, quando
ell’andò per le rèdole a cercare
il musco, la vigilia di Natale,
pe ’l presepio. Chiamavano gridando
42tutti. E non la vedevano tornare.

[p. 118 modifica]


E cerca, e chiama da tutte le bande:
si perdeva la voce solitaria;
ed ella non veniva mai. Venne entro
un’ora; e disse d’aver preso un grande
freddo. Un freddo che non era ne l’aria,
48ma che se lo sentiva ella di dentro.

Quel dì aspettarono. L’altro, la festa,
il padre andò pe ’l medico. Non c’era.
Venne tardi. La vide, e a l’ospedale
disse che la portassero alla lesta.
E il fratellino con brusca maniera
54cacciò fuori, che non prendesse il male.

Quando una mamma sta con ansia al letto
de la sua creatura, per due vite
che si distruggon basta un’agonia.

[p. 119 modifica]

Ne le materne braccia, al lazzaretto,
l’ultima angoscia de la difterite
60la soffocò. Era l’Epifania.

La donna che lasciava quella tetra
stanza, da un uscio alcunchè bianco scorse.
Guardò di là. Vide la sua fanciulla
nuda sopra una tavola di pietra,
al buio, con un lumicino. Torse
66gli occhi, gemè. Poi non vide più nulla.

Fiorì la rosa. L’uomo un dì, a vederla,
fece: — O la volta che ci venne in mente,
moglie, d’esser felici! Pe’ vignazzi
era da pascolare; e con la gerla
cavar l’acqua dal pozzo; che la gente
72dicesse: non vedete? sono pazzi. —

[p. 121 modifica]

L’ARANCIO


Tu, di perenne primavera adorno,
di là venisti donde venne il giorno,
3l’aure allietando dietro ’l suo cammino.
Il colore sortivi de l’aurora,
dal quale ti nomò l’itala flora,
6e somiglia la luce il tuo destino,

ilare arancio: i doni tuoi consenti
per i tripudii e per i patimenti.
9Albero di bellezza e di bontà,

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fai come ’l sole, che donando tutto
si fe’ per amor tuo picciolo frutto,
12e da’ tuoi rami aureo pendendo va.

Sovrano sei quando cospicuo eretto,
coronando i trionfi del banchetto,
15dòmini l’ardua signoril letizia.
E sei poeta quando a la dimora
concedi de la gente che lavora
18l’illusione almen de la dovizia.

Il mondo allegri. Ma per i bei doni
che tieni in serbo, da premiare i buoni,
21sono i fanciulli quei che t’aman più.
Oh prodigio! e con l’arti tue leggiadre
quel che sovente non ottien la madre
24dal piccolo ribelle ottieni tu.

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E chi dirà quante speranze, quali,
o tu che infiori i serti nuziali,
27vaghi sogni d’amor t’accogli in seno?
Se ’n portin pure le speranze gli anni,
i vaghi sogni cedano a gli affanni,
30del tuo fiore la gioia non vien meno.

Pur, colei che t’inciela oltre ogni vanto
è la pietà, quando ti trova accanto
33a chi veglia tra’ spasimi, a chi muor.
E tu a le labbra che il dolor sigilla
co ’l refrigerio d’una dolce stilla
36tempri l’arsura e l’ultimo languor.

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V

SONETTI

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PER UNA PUBBLICAZIONE
DELLE DONNE ITALIANE


«Pro Calabria»
dopo il terremoto.


Per le rovine di Calabria affranta
sanguina, non echeggia inni, ’l sentiero
de’ salvatori. L’anima si schianta;
4muto è lo scavo come un cimitero.

Ma piange e spira a quella vita infranta
quante ha voci ’l femmineo pensiero.
È pia la donna; e pur quando ella canta
8sempre lacrima in lei qualche mistero.

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Somiglia il canto suo quello ch’errando,
alta la bruma, al camposanto udivo
3d’un uccelletto che gemea volando.

E in udirlo parea la terra avvezza
a serrar le sue bare un che di vivo
6scorrere, blando come una carezza.

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IDEALE DI PATRIA


Per la Lega Nazionale.


Chi ridesta ne gli animi ’l tuo raggio,
o ideal di patria? Al tardo erede
quale gloria ormai reca, qual vantaggio
4l’opera che tu ispiri? E in te chi crede?

Noi, pe’ i quali a la lotta, al lungo oltraggio,
il carattere fu pari a la fede.
Noi, su ’l cui labbro è vindice il linguaggio
8del buon diritto, che già mai non cede.

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Indomito ideale! Quando incita
ad ardue sfide la virtù civile
9come vittorie onoran le disfatte.

E ascendendo le cime de la vita
sempre ribacia un popolo gentile
12l’orme eccelse di chi per lui combatte.

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LAUDATORES TEMPORIS ACTI


Come tanti incappati, a notte scura,
voi, l’uno dietro l’altro a testa bassa,
vorreste incamminar l’età ventura
4co ’l funerale de l’età che passa?

Fatevi cuore. O pìgliavi paura
che dopo noi rovini ’l mondo? in massa
gl’ideali soccombano? e natura
8sia diventata proprio una carcassa?

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Fatevi cuore. I turbini han d’avanti
e l’abisso: pur vanno, a’ destinati
9fini la terra, il sol, l’acque operanti.

E su le vie de le stelle fiammanti,
incontro a l’avvenir, incontro ai fati,
12grida l’anima umana: avanti! avanti!

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MOMENTO AUTUNNALE


La stagione amorevole, che tutto
accoglie, l’ora triste e l’ora lieta,
dolce autunno sei tu, come un poeta
4che de gli uomini sa le gioie e il lutto.

Quel che risorge e quel che va distrutto
ti confida la sua cura segreta;
in te quale in un grande inno s’acqueta
8l’opera de la vita e ’l fiore e ’l frutto.

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Tra ’l riso tuo balza la morte, come
nel brindisi d’Enotrio, ed al rubesto
9impeto scioglie l’Elegia le chiome.

Ogni amor che si spegne in te confonde
li suoi sospiri. Ed io t’amo per questo.
12Le vite spente son le più profonde.

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SUL TRAMONTO


Vien la pace de l’ombre vespertine
suadendo l’oblìo, che ogn’ira ammorza.
Bello è scordarvi, compagnie meschine,
4che tra voi schiava mi teneste a forza.

Serrata intorno d’anime piccine,
come fiamma senz’aria, che si smorza,
quante volte diss’io: — questa è la fine! —
8sentendo venir meno la mia forza.

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Vana l’opera sempre ed ingioconda,
e la via con l’andar più disamena,
9e de l’oggi ’l dimani anche più tetro.

Or come avviene, se mi volgo indietro
a guardar la mia vita, che sì piena
12di dolcezza ella parmi e sì feconda?

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PER UNA RIVISTA DI PAESE ALPINO


O nati a custodir le prime fonti
da cui scende la vita alacre e pura,
ben venga, figli de’ sereni monti,
4l’opera amica che ispirò natura.

Ridano come in sogno a l’arse fronti
dal foglio impresso con industre cura
e a’ stanchi petti gli alpestri orizzonti
8diano ’l ristoro de la fresca altura.

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Muscoli e nervi l’anima montana
vuol forti; e da lei sempre un che divino
9pe’ i gioghi e per gli abissi al senso emana.

Pur, basta anche l’immagine sovente
del suo riso, una selva, un lago alpino,
12a ingioir gli occhi e molcere la mente.

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VI

POEMETTI GUERRESCHI

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ALLA MADRE DEL POETA

«E tu cantasti già qualche canzone
a la madre pensosa d'un lontano?»

Gabriele d'Annunzio.     


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Madre, sorridi. Non è un sogno. Ascolta:
leva nel sole la tua bianca testa
3e sorridi. Non è come altra volta,

oggi, no, quando a la tua casa mesta
vàgolo in rime callide e leggiadre
un suo pensier lieve illudea. No, questa

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che vien squillando a mattinar le squadre,
su l’alba grigia limpida diana,
9è la sua voce, la sua voce, o madre!

La sempre invitta, l’unica sovrana,
che gli ozi ignora e sa tutte le prede,
12impetuosa come la fiumana.

È la sua voce che improvvisa riede
qual non fu mai sì piena e sì possente,
15vergin d’insanie, indomita di fede.

Porgi le braccia a lui benedicente
senza un sospiro per la sua pressura
18che quest’ora di gloria gli consente.

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Ne l’erma landa, ove grandeggia e dura
le asprezze note a chi provò l’esiglio,
21ei vide, Italia, ’l mare e la pianura

a l’anima fiammar il tuo vermiglio.
La tua Vittoria egli sentì presente:
24e a’ piedi le gettò, verace figlio,

i lauri, orgoglio del suo cuore ardente.
Rutilo in gemme sì com’ei lo scalpe
27scintilla il verso; e la percossa gente

volgesi al lume raggiante d’oltralpe,
prodigioso pur anche a coloro
30che sopra gli occhi avean pelle di talpe.

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Fu il segno, fu l’appello, fu il ristoro.
Ecco, da i monti fino a la marina
33è tutta l’aria un palpito sonoro.

Chi si desta presago, e chi cammina
alacre, conscio il dissueto spirto
36come d’una rinascita divina,

maravigliando: — Fino a ier fu irto
di geli ’l cammin nostro, aspro di rovi;
39or lo allieta la rosa e abbella il mirto!

Godemmo il serpe stuzzicar ne’ covi,
e le volpi aggiogar, plaudendo a Mevio;
42or non è senso in noi che non s’innovi! —

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Chi potè dire: il verno arido abbrevio
e la tristizia e la stoltezza? l’onta
45del gioire il deforme, o ciechi, allevio?

Sol quei che il mondo più di luce impronta,
titanio efebo da le molte vite,
48e con la morte vincitor s’affronta.

O anime nel tedio svigorite,
o petti senz’amore e senza ira,
51o rede di Belacqua, aprite aprite

le mute chiostre all’Unico che attira
i raccesi disii con la sua foga
54ne l’alto sempre, pur quando delira.

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Liberatore è il vate. Egli disgioga
l’età mal vive, cui ottunde e preme
57l’indifferenza, che ogni possa affoga.

Ei frange al varco le barriere estreme
del vero, e salde edifica le mura
60ai dominii del sogno. Ei getta il seme

nel campo per la nuova mietitura,
onde s’allegra in sua virtù ferace
63la terra che odorò di sepoltura.

Ei precorre con l’ala e con la face
i secoli, eternando la favilla
66sempre più alto ardente e più vivace.

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O giorni che il crepuscolo sigilla
di silenzio e d’oblìo, quando l’ardore
69del sacrifizio in cor più non assilla!

O vedove contrade, poi che il fiore
eletto a coronare, il nembo sperde,
72la nobiltà del popolo e il valore!

Del canto che fioriva l’età verde
rimembrando il miracolo qual era
75la mente mia per poco non si perde.

L’ingenuo costume e l’indol fiera
nel sangue armonioso una tenzone
78rendeano qual di luci a primavera.

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Canto eran l’armi e la religione,
canto gli amori e canto le contese,
81e l’anima correa su la canzone.

Indi ’l nodo primiero al bel paese
d’una patria ideal, clamata indarno,
84la Lauda incorava e il Serventese.

E al popolo, che il nobil verso scarno
di sè nudrìa, le rime andavan come
87dal Casentino i ruscelletti in Arno,

tutto agitando: le sue forze indome,
le gioie sue, le visioni sante,
90e i flagelli e i dolori senza nome.

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Fu poeta il notaro, il mercatante,
l’uom d’armi; e il sangue cittadino scrisse
93l’acre invettiva, che sì piacque a Dante.

Perchè il genio latin mai non perisse,
Italia e poesia nacquero insieme;
96nè indi l’una senza l’altra visse.

Oh come scialbe e di grandezza sceme
tramontano l’età cui la civile
99oda non spira e marzio ardir non freme!

Ma la patria che il braccio usa virile
s’infutura nel suo carme vetusto
102che sempre aulisce di recente aprile.

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Romano è il carme; di cimenti onusto
e di trofei, che ancor domina ’l mondo
105folgorando con l’aquile d’Augusto.

Ascendea, novo sole, dal profondo
silenzio a ravvivare in chiaritade
108l’orme di dieci secoli fecondo.

E il sonito de l’aste e de le spade
era ne’ ritmi, ’l grido de gli eroi,
111la forza, il dritto e l’incolpata clade.

Polvere il resto. Ei varca l’ombre, e poi
ch’è giunta l’ora, epico messaggio,
114assale il vate co’ fulgori suoi.

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Spirito insonne, se de’ cieli un raggio
ti affranca, rendi rendi a l’avvenire
117di civiltà quest’inclito retaggio.

E mentre i corpi esercita a perire,
àlea nostra, la cava, il bruto ordegno,
120l’attoscato sudor, drizza le mire

al Divino, che ovunque inciela un segno
di milizia la vita, aspira ed alia.
123Già te conclama e aspetta a questo regno

l’altra tua madre vigile, l’Italia.

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LA BUONA GUERRA

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Chi ’l seme getterà de la parola
nel solco de gli eventi? Ecco, siam come
3l’infante che ha ne gli occhi e ne la gola

lo stupor de le cose, e non sa il nome:
trepida, e tutto il suo corpo è linguaggio,
6quale arco teso da i piedi a le chiome.

Così stupimmo noi. Soverchia il raggio
la pupilla che a pena si disserra,
9o patria, al folgorìo del tuo coraggio.

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Sacre a l’offesa, che inasprì la terra,
non hanno l’armi per l’amore un grido;
12un grido solo hanno per l’odio: guerra!

Ma non strinse la frode un patto infido,
ma non l’insidia premunì ’l valore,
15ma non l’odio gettò da lido a lido

il franco appello del liberatore,
quando die’ l’armi a l’itala conquista,
18o civiltà, la tua gran forza: amore.

Cieli nuovi, da cui scende la vista
quasi divina de l’eroe che vola
21su l’aquila di guerra al nembo mista;

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terre nuove, reviviscente aiuola
dove il piombo darà fiore di biade
24e d’arti urbane il sangue, la parola

aspettata nel solco che le spade
apersero matura il suo germoglio
27fin che del sole troverà le strade.

La vita è qui. De’ suoi contrasti spoglio
qui vigila d’Italia il cor fraterno:
30vigila de i rivali anche l’orgoglio;

e con la prepotente ira e lo scherno,
che occulto ad ora ad or gonfia e divalla,
33quanto colpì di più geloso e interno

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questo splendido ardir se ’n viene a galla.
Simile al corpo lo spirito sente
36le sue percosse, e il suo bruciore sgalla.

La vita è qui: la sempre rinascente
eroica vita: quella che rinnova
39l’intera gagliardìa di nostra gente.

Quella ch’alto fiammeggia quando trova
la storia i suoi vertici augusti, quella
42per cui d’ogni altra l’anima si prova,

e ogni altra al paragone è quasi ancella.
Come apparivan l’opre inclite e i nomi
45maravigliosi e la leggenda bella,

[p. 161 modifica]


udendo le virtù, gli spirti indomi
de’ Curii e de’ Camilli e la devota
48squadra de’ Fabii a morte e i loro encomi!

Come fulgea la marzia età remota
di Regolo e di Scipio e de’ guerrieri
51padri di Roma a l’età imbelle e vuota!

Or di là da la Sirte, che pur ieri
serrava il Mare Nostro, irrupper forse
54con men prodigo sangue i bersaglieri?

Più cauto al fuoco il giovin stuolo corse
de’ marinai? O al tuon de la mitraglia
57d’ignave donne il vano ululo sorse?

[p. 162 modifica]


Su, genti, dite voi se male agguaglia
la nuova gesta il grande esempio antico,
60e l’anima rinata oggi men vaglia.

Non di straniero, no, non di nemico,
ma come di chi torna al suol de gli avi
63era la mente, e libere d’intrico

le vie, quando su l’ancore le navi
pazïentavan la resa e il martoro
66de la tempesta. O perituri schiavi,

i pii coloni riedono, che i loro
focolari lasciarono inestinti,
69e sempiterni i segni del lavoro.

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Che a questa meta ancor da Dio sospinti
per la franchigia issano il pavese,
72memori pur del grido: «Guai ai vinti!»

Ah non il fuoco invan de le contese
purga una gente, e la batte a l’incude
75millenaria il martello de le offese,

chè la durezza pe ’l travaglio rude
avrà del ferro, e pe ’l cimento forte
78l’acie vibrante de le lame ignude.

E faville inconsunte da la morte
avrà per le sventure in cui più splende
81la volontà che domina la sorte.

[p. 164 modifica]


Voci frementi l’armi e le vicende
e il magnanimo ardore onde a le zone
84libiche or ella in una fiamma tende,

non dite guerra, ma redenzione,
se il sacrifizio è prezzo del riscatto
87dovunque pesa un giogo d’abiezione.

O terre, da cui mai per legge o patto
surse la carità del natìo loco,
90nè il predatore ha mai l’ugna ritratto;

quando i bellanti Arabi fra poco
abbracceremo e chiamerem fratelli,
93vergini terre dopo il sangue e il fuoco;

[p. 165 modifica]


e gli altri figli del deserto, e quelli
su cui scende l’età, mora fatale,
96senz’alba che già mai la rinnovelli.

non più a l’aride steppe il marziale
fulminìo, ma risplendere vedranno
99infaticato al sole ampio il novale:

quando sopito il lacrimevol danno
vanirà ne le tenebre onde verso
102la nova luce i popoli se ’n vanno;

e su le sabbie, giovin mondo emerso,
vaste qual mare da l’immoto flutto,
105che fa co’ venti guerra a l’universo,

[p. 166 modifica]


vitale a’ solchi ’l risurto acquedutto,
pulsante industrie atletiche il vapore,
108eternerà de la conquista il frutto:

e solo crederà più bionde aurore
qui rosseggiare al suo natìo villaggio
111l’emigrato d’Italia agricoltore;

vergini terre, co ’l vigor selvaggio
commista allora la forza gentile
114darà i suoi fiori per il vostro maggio.

Presente ell’è. Apri, pastor, l’ovile;
torna al campo, bifolco. Ell’è vittrice,
117ma con la baionetta e co ’l fucile

[p. 167 modifica]


«che non uccide». Ell’è la protettrice
che sol ricusa al tradimento stanza,
120e l’armi solo a la difesa indice.

O ammirabil ne la tua baldanza,
o ne l’unico tuo voler vincente,
123o sovrumana ne la tua costanza,

latina stirpe, le tribù redente
de la patria per te ne l’indiviso
126amplesso, sotto il ciel benedicente,

saluteranno un dì ’l materno riso.

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LA CONQUISTA

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Non più su noi co ’l lampo de le spade
passa la forza e tutto l’altro schiaccia
3come sotto la macina le biade.

Non più le madri si fan bianche in faccia
al suono de le tragiche novelle,
6straziate dal ver ne la minaccia.

La guerra stride ormai sotto altre stelle,
come percuote l’invisibil sprone
9che avventa ne la notte le procelle.

[p. 172 modifica]


Risorge ’l cor dopo la passïone;
e la mente, ove breve han stanza i lutti,
12respira un soffio di ripensazione.

Del seme amaro vede i dolci frutti,
su ’l suolo a cui dettero ’l sangue gli uni
15novera i beni che saran di tutti.

E par che qualche cosa si rabbruni
mentre la vita ai soliti negozi
18torna e la morte ai soliti infortuni.

Il popolo, che ignora i flaccidi ozi,
e abbatte l’idol su l’iniquo altare,
21e vitupera i falsi sacerdozi,

[p. 173 modifica]


crede a la gloria. Egli che deve osare
tutto per far franca a sè l’esistenza,
24placida ad altri, egli che deve dare

braccia gagliarde e viva intelligenza
per cimentarsi con la sua fatica
27e coronarsi d’ogni pazienza,

egli che da la nova anima esplica,
come il bisogno d’ogni giorno chiede,
30le virtù de la grande anima antica

fuse nel sangue, egli a la gloria crede,
e al sogno dona il sopruman valore
33del sacrifizio che non ha mercede.

[p. 174 modifica]


O angustia sempre egual di tutte l’ore,
o senza tregue mai curva giornata,
36o anni logorati in un sudore,

il qual farà che a la soglia negata
d’un ospizio famelica t’assidi
39implorando, vecchiaia abbandonata!

A voi la gloria. O come a’ noti gridi
s’illuminava il fondaco ed il banco
42e la grama soffitta! Io vidi io vidi

la sera intorno a l’operaio stanco
i figli accolti a la lor scarsa mensa.
45— Mangiate — dice il padre; e volta ’l fianco.

[p. 175 modifica]


Nessuno mangia. Ecco, uno legge. Immensa
ne gli occhi sta la visione e nello
48smunto viso a ciascun l’anima intensa.

Vedono il figlio, vedono il fratello
ne lo scontro, colà dove la Barca
51Marmarica sanguigna fe’ ’l tranello

de’ Beduini. È lui. Certo egli varca,
adesso, la terribile pendice
54che i cacti enormi imbosca e ’l suolo inarca

a l’agguato. La torre traditrice
fulmina piombo. Un tuon risponde orrendo:
57e sta. Colpita è la mitragliatrice,

[p. 176 modifica]


e a lei s’avvince il puntator morendo.
— Viva, o prodi! — Fin che la storia parli
60di valore, dirà: — Vincean cadendo,

e la morte sentì ne l’atterrarli
il trionfo de l’anime non dome.
63Morte ucciderli può, non disarmarli. —

Qualcuno piange. Ma improvviso come
il folgorar d’un lampo arde ne gli occhi.
66— Onore ai forti! — e il giornale fa il nome

del lor soldato. Qual se fuori scocchi
da ogni fibra un’elettrica scintilla
69sussultano essi. Odono già ne i crocchi

[p. 177 modifica]


fremere e palpitar quel nome. Brilla
con la luce d’un astro. Di lui tutta
72la città, di lui tutto ’l mondo squilla.

O poesia! tra la feroce e brutta
necessità, di queste fiamme d’oro
75fu la magica tua veste costrutta.

Mancavano le braccia pe ’l lavoro,
mancava ’l soldo al misero pecuglio,
78non mancava a le fronti ’l tuo decoro.

E incessante venìa la romba e ’l muglio
de l’armi e l’eco de gli scempii atroci
81e un gemer d’agonìe da ottobre a luglio,

[p. 178 modifica]


da Tripoli a Tobruk, sol queste voci:
da Bengasi a Misrata: e l’orme altere
84de la conquista, che premean veloci

l’oasi dopo le città costiere;
fin che tutte, una dopo l’altra, via
87furono rase al Turco le bandiere.

Al popolo spiravi, o poesia,
il tuo possente anelito. Per esso
90l’aura de l’infinito ognun sentia

fluire, quella ch’è come un amplesso
de la Divinità, che va e che viene,
93e glorifica l’uom sopra se stesso.

[p. 179 modifica]


Quella che l’armonia die’ a l’arti ellene
e il nume, quando celebrava l’ode
96di Pindaro i cavalli di Cirene.

Beati i dì che da la gesta prode
irradiando sorge quest’aurora
99di bellezza che ’l tempo non corrode!

Altra è la sorte quando si colora
dopo l’ignava tenebra al suo raggio.
102Altra è la nazione ch’esce fuora

da l’epica sementa del coraggio
e dei martìri. Altra è la pace poscia
105ch’ella su ’l turpe strame del servaggio

[p. 180 modifica]


gravata di torpore non s’accoscia.
O tu, che trascinavi ’l tuo fardello
108nel deserto, senz’odio e senz’angoscia,

in ginocchio al destin, come ’l cammello
al vento, e surto a i tradimenti, quali
111contro il Numida fean cauto Metello,

barbarie esausta d’energie vitali,
in che trapassa come belva stanca
114la razza de gli schiavi e de’ corsali,

se a l’enorme viltà la sferza manca,
flagel sia ’l ferro e ’l fuoco, e la tempesta
117fulmini ’l raggio che la notte imbianca.

[p. 181 modifica]


Al dominio correa l’Italia. E questa
era la meta onde mirava i cieli
120illuminarsi de la propria gesta.

Umanità, umanità che aneli
sempre al ristoro, e di combattimento
123l’anima sempre insaziata sveli,

fin che v’è un lauro per il buon cimento,
e per l’ozio una steppa, arma la mano,
126con la sfida misurati a l’evento,

che il giorno de la pace è ancor lontano.

[p. 183 modifica]

LA GUERRA SENZA POETI

[p. 185 modifica]


Tempo è di dare quel che fu promesso.
Popolo, assai giovò muovere in cerca
3di un’altra Italia, e ritrovar te stesso!

Ripreso ha ’l sonno, e lascia oggi a la Berca
le macchine pulsare il marabutto.
6Ma che si trae di Libia? e che si merca?

[p. 186 modifica]


Sterminati poderi eran da frutto
le arene rosse nel supremo sforzo
9per cui tu desti l’oro, il sangue, tutto!

Or negano il frumento, e scarso l’orzo
ti prometton le zone sizïenti
12da cui speravi tutto il tuo rinforzo.

Sì pochi al natìo greto son gli stenti,
forse, che cerchi più selvagge steppe
15e senza polle per i tuoi armenti?

O forse ti fiorisce ne le zeppe
metropoli la sorte del lavoro,
18e d’agi sì gran fonte aprir ti seppe,

[p. 187 modifica]


da coltare i deserti co ’l tesoro
che tu avanzi ove l’erbe l’ortolano
21a peso d’or ti vende, a peso d’oro?

Sibilano questi echi di lontano
a le coste che ne l’armi per poco
24non folgorò l’evento sovrumano,

quando i tuoi fantaccini sotto il fuoco
de’ fucilieri arabi a manciate
27le palle raccattavano per giuoco.

E, speranze di guerra pur mo’ nate,
gli ascari, più veloci che destrieri,
30proteggeano l’eroiche avanzate.

[p. 188 modifica]


Sempre a la luce che rifulse ieri
ne la mente una grigia ombra s’addopa.
33Ma non per fasciar d’ombra i tuoi pensieri

fuor de la notte l’arco e la metopa
quindici secoli esce a trionfare,
36mentre a la vecchia civiltà d’Europa

risorride la culla e il focolare.
Natìe virtù, ne l’anima risorte
39con le reliquie! E tu, che dove il mare

disuniva la stirpe, unica forte,
carità patria, ad integrarla sei!
42Troppo divine per rimaner morte

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sotto le dune, giù negl’ipogei,
con la forza rompeste che il germoglio
45urge perchè la pianta si ricrei.

Com’è del fiore, che nel suo rigoglio
si va sfacendo: i petali cadenti
48piovono a terra da l’inerte invoglio;

e prima via se ’n portarono i venti
a grandi ondate il polline fecondo,
51così nel lor destino anche le genti.

Quello ch’è più possente dal suo fondo
con la vita c’ha in sè vassene altrove,
54e muore in esse quel ch’è moribondo.

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Nè, forse, a gli occhi le bruttezze, dove
il deserto saggiò la repentina
57forza de l’armi, tutte apparver nuove.

E l’adultera tenda beduina
soffermò, forse, e fe’ chinar la fronte
60di sè pensosa, la virtù latina.

Questa spargea su le sanguigne impronte
tutto ’l nerbo che i popoli solleva,
63di rinascite empiendo l’orizzonte.

E dietro a lei la civiltà longeva
seppe lo stremo. Come ’l fiore vizzo
66qualcosa anche di qua sfatto cadeva;

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l’anima stanca, che non dà più guizzo,
le vane audacie de l’idea senz’ali,
69lo scetticismo, in cor fumido tizzo.

Un’altra gente usciva a le campali
fatiche da le case ove s’ingabbia
72avvezza a sopportar disagi e mali.

Un’altra gente, monda d’ogni scabbia,
cibava il rancio là dove al convito
75companatico al pane era la sabbia.

E quando riparar vide l’ardito
ufficiale dal tiro che non sbaglia
78portando in collo il soldato ferito,

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ell’aprì gli occhi a la legge che agguaglia,
ciascun giogo d’umana sudditanza
81ne la fraternità de la battaglia.

Quella fede ch’è sol forte abbastanza
quando davanti al tripode idolatrio
84il martire ne afferma la costanza,

le franchigie così del suolo patrio
munìa: chè, dove rondano i predoni,
87guai a la casa se indifeso è l’atrio.

E tu bensì mentre a l’ascesa sproni,
o socïale idea, pacata e bella
90del tuo raggio il pensiero alto coroni:

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l’antica belva in cor non si cancella;
e ne gli assalti de la fame eterna
93la ferocia de l’uomo è sempre quella,

Rosseggiò prima dentro la fraterna
pupilla astiosa de la pingue greggia;
96rosseggiò quando ne la sua caverna

su strati d’ossa la silicea scheggia
al sangue confricava il troglodita;
99da l’irte baionette ancor rosseggia.

Ecco, la furia che parea sopita
nel tempo più da studii utili arriso
102e leggiadre arti, in mezzo, ecco, a la vita

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da ignoti abissi scagliasi. Improvviso
ne’ volti umani erra la sfida atroce:
105— uccidere per non essere ucciso — .

Questa, sol questa. Nessun’altra voce.
Nè amor di patria nè odio di razza
108nè fede alcuna l’impeto feroce

co ’l grido inebria che di piazza in piazza
preme le folle e va: come il rovaio
111polverulento cielo e terra spazza.

Questa, sol questa. E un luccicor d’acciaio
ne gli occhi dove imperano i decreti
114del più forte, impassibili al carnaio.

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Trista la guerra che non ha poeti!
Senz’amor, senza odio, ecco, le loro
117valli lasciano, i lor monti, i quïeti

lor focolari, l’urbano ristoro
lasciano, meta a’ lucri ed a’ risparmi,
120le pacifiche squadre del lavoro,

e senza inni, prendono le armi
docili al muto voler che sovrasta.
123Chi agiterà su i morituri i carmi?

Quando da i fati cui non si contrasta,
uomo, per rivelar la tua grandezza
126sorge il dovere, la sua voce basta.

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Tutto ella innova allorchè tutto spezza:
solo per lei la vita che combatte
129 tanto più vale quanto più si sprezza.

Chè di là sempre ove il cimento ha tratte
le spade esce un vigore più profondo
132a far potenti e libere le schiatte.

Palpito ferve ed ansia il furibondo
cozzo: e balzar da i materni ginocchi
135vede al dominio un'età nuova il mondo

che di secolo in secolo apre gli occhi.

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L’OSCURO STERMINIO

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Come se ’l volo a l’aerio piloto
fulmineo si tronca, ruinose
3le vele in fascio piombano pe ’l vuoto;

anche le nostre audacie radiose
s’abbattono là dove più profondo
6salì ’l pensiero a dominar le cose.

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Par che si spezzi l’elica del mondo
ne l’urto che di nuovo lo ricaccia
9pe ’l caotico vortice errabondo.

La violenza sfigurò la faccia
de’ cieli: ed è come più nulla importi
12di mani giunte nè d’aperte braccia.

Suo ’l diritto, suo ’l cenno, sue le sorti.
Chiude ogni orecchio, soffoca ogni voce
15che uman sospiro intenda o pace esorti.

Un sibilìo d’irrisïone atroce
è ne l’aria. O scuola che a la vita
18insegni quel che giova e quel che nuoce,

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e d’un cibo d’eletti l’hai nudrita,
se per ciascun morbo che spegni inventi
21un’arma nuova a la mortal ferita,

lascia al destino de gl’ignari armenti,
nati al macello, i curvi analfabeti
24che sempre al giogo stettero contenti.

O dolcezza de l’intime pareti,
o vincoli del sangue e de l’amore,
27dati a l’uomo perch’egli in voi s’acqueti

con la speranza, che lo fa migliore;
ove ’l pio labbro e le soavi ciglia
30più non san che un martirio, ove ’l terrore

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dissenna i padri ed a le madri artiglia
le viscere, voi, culle, scomparite!
33spèzzati anello! E sia de la famiglia

come de le sorgenti inaridite.
Che se il latte convertesi in veleno,
36è giunto ’l dì quando non parve immite

chiamar beato l’infecondo seno.
O tu, che superbivi ad ogni passo
39d’un laccio infranto e d’un calpesto freno,

secolo, al qual mirò nel suo trapasso
la storia, come chi vede l’altura
42rider nel sole, tra le nebbie, al basso;

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per le anime nostre, che snatura
il comando e l’orror de la ferocia,
45quale rogo sparmiasti? e qual tortura?

Ecco, l’idea fraterna oggi consocia
in un amplesso i popoli. E dimani
48un cenno a morte le lor spade incrocia?

Ecco, pur ora strinsero le mani
straniere ne’ commerci ove s’incappia
51l’util comune. E si faranno a brani

perchè un odio forzato li calappia?
Ah, l’uomo incontri, sì, guerra; ma prima
54un nemico lo assalga, ed ei lo sappia.

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Non senza una tirannide che opprima,
nè livore selvaggio che divampi,
57umano è ’l grido che battaglia intima.

Ma noi l’eccidio flagellare i campi
vedemmo mentre quei che ’l ferro stringe
60gode se al colpo l’avversario scampi;

e il duce che gli eserciti sospinge
stupisce ’l danno de’ mal noti eventi.
63Arbitra è qui la sanguinaria Sfinge.

Armi senza splendor, combattimenti
durati fuor del tempo e de lo spazio,
66invisibili, come i tradimenti;

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coraggio eroico, non di luce sazio,
ma d’ombra, senza nomi nè bandiere,
69cui solo è pari l’infinito strazio

de le agonie sperdute per le nere
lande, e ’l singhiozzo de le case vuote,
72e ’l suolo raso dopo le bufere

del piombo: scende un gel di nebbie immote,
e tutto avvolgerà, come il lenzuolo
75che si distende su le salme ignote.

E una povera vecchia s’avrà solo,
per ricordo, la benda insanguinata
78che le mandò morendo il suo figliuolo.

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E in cor, noi, come punta conficcata,
l’ultimo sguardo del ragazzo a i suoi,
81in sul partire, ’l dì de la chiamata.

O sublime epos, o accesi inni! Poi
che tutto sparve, ancor ci rimanea
84intatta la bellezza de gli eroi.

La visione, un raggio che ricrea,
e il novo entusïasmo era ne i petti
87simile a l’agitar de la marea.

Balzavan su gli animi giovinetti:
e che ardimento impallidìa nel volto!
90che fiera maraviglia! e quanti affetti!

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A le fulgide pugne Ettore vòlto,
incuora ne l’addio lei che un sorriso
93mesce al pianto, il suo bimbo al sen raccolto.

Come fiore purpureo succiso
da l’aratro, Eurialo soccombe;
96e morte gli avvincea l’ardente Niso.

Gli echi non soffocò de l’ecatombe
epica il tempo mai. Per fin la bruta
99barbarie senza sedi e senza tombe

ha una voce. Ancor, mentre la perduta
battaglia impreca ’l re Unno e s’inselva
102tra carri e lance, suona l’ombra muta

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d’armi percosse e d’un urlar di belva.
E dove seppe il Cherusco men saldi
105i Legionarii, e biancheggiò la selva

d’ossa romane, i suoi più pronti araldi
la storia elesse; e l’anima guerriera
108si trasfuse ne’ canti de gli Skaldi.

Che cercate, oggi, voi, mattina e sera,
donne, con gli occhi in un’attesa assorti?
111Così bella ridea la vita! Ed era

gioia il lavoro a i figli ed a i consorti!
Al sacrifizio corsero. E sol piena
114de’ loro nomi è la lista de i morti.

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Tenebre intorno. La profusa vena
non lascia nel pensier più lunga traccia
117che fa una stilla su la secca rena.

O mistero, che ascondi la tua faccia
perchè tra ’l riso de le illusïoni
120ti si addorma la vita ne le braccia;

se destinate sono le tenzoni
a raggiar l’universo, ove ne l’ombra
123combattono gli ioni e gli elettroni,

anche questa caligine, che adombra
lo sterminio, non cela ’l suo destino
126a gli occhi cui la via del vero è sgombra.

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Mirate: fugge ’l sole in suo cammino,
qual moribonda fiera, il truce evento
129che il mondo empì co ’l rugghio leonino.

L’orror preme a le spalle il violento.
Pende il giudizio su le umane lotte
132nel silenzio. Così per sempre spento

fugge l’astro perduto ne la notte.

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VII

STROFE NUOVE

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GLI OPPRESSI DELL’AVVERSO CAMMINO


Una mano invisibile respinse
l’offerta de le lor mani protesa
3come un ricolmo calice a la vita.

Furon gli erranti, che la via costrinse
a perdere la meta; e la discesa
6faticarono in vano e la salita.

Furono tra gli eredi essi gli esclusi
dal reditaggio. Dove altrui consola
l’ospite mensa, furono gl’intrusi
10cui nessuno rivolge la parola.

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Per altri era la voce che ammoniva:
— Giuocan le sorti, e vien con la vicenda
13de l’oggi e del domani il buon momento. —

Per altri era la via che dritta arriva,
e infallibil la mira ovunque tenda,
16e a le brame il conforme esaudimento.

Posaron stanchi. Li premea la mano
invisibile, come l’ombra a sera
che giunge, e sarebbe ogni sforzo vano
20a soffermarla, e inutil la preghiera.

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LE RONDINI NON VENGONO PIÙ


Rondini, dove siete? È primavera,
rondini! È il tempo. Ed è già su ’l finire,
3rondini, e non si sa che sia di voi!

L’ultimo aprile anche tornaste ch’era
già tardi. Il noto canto udii venire
6di sorpresa. Più non l’ho udito poi.

Siete dunque voi morte ad una ad una,
rondini de la nostra fanciullezza,
che l’aria è muta, e quando albeggia e imbruna
10più non canta con voi, com’era avvezza?

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Quel canto spesso mi soleva a forza
svegliare innanzi dì con le sue prove.
13Egli era il primo, e non avea compagno.

E come fa la gemma da la scorza
rompea, dentro passando il cor fin dove
16parola mai nè riso giunge o lagno.

Ora è scomparso. A la memoria in fondo
come le cose sta che son finite
per sempre. Altre gentili cose al mondo
20mi sovviene che son così sparite.

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LA PRIMAVERA


Primavera, sei figlia de la morte.
Ella ti strinse ne le fide braccia,
3ti portò nel suo grembo e t’ha nudrita.

Poi, quando apparve e sospinse le porte
colei che schiara i sogni e l’ombre scaccia,
6ti affidò di sè memore a la vita.

Co ’l sospiro natio fai tremar spesso
l’erbe nel sol, l’anime in allegrezza;
e il tuo ricordo del materno amplesso
10abbrividisce in fondo a la carezza.

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Ben di te l’universo si gioconda,
come là dove in figurato velo
13il tuo bel regno la pittura accoglie.

La deïtà quivi aspira feconda,
danzan con piede che non curva stelo
16le belle, l’aureo pomo un giovin coglie.

Tu non sorridi. Sciogli ad essi ’l nembo
de’ fiori. E intanto co’ suoi giochi e l’arti
rempiendo ’l verde ne l’aprico lembo
20par studioso ognun di consolarti.

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CIELO E TERRA


Quando ne l’ombra chiarità di perla
il crepuscolo perde, unica il cielo
3fa trepido di sè la prima stella.

Pensoso il monte è solo del vederla;
e il mistero a le cose addensa il velo
6perchè i sogni lucenti avvii sol quella.

Poi scaturisce l’altra schiera folta,
che tenta in vano per virtù di luce
vincer la notte, e da l’eterna volta
10calando lenta lenta il sonno induce.

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Voi siete, stelle, come gl’infelici.
L’orma d’un solo, che si disasconde,
13empie ogni cor de la pietà che ispira.

Nel naufragio son mani salvatrici
per sospingere un misero a le sponde
16di tra i mille che il gorgo a fondo tira.

Ma chi sotto ’l ciel numera le torme
travolte ne l’oscura sofferenza?
Seguono il lor destino. E intanto dorme
20sovr’esse un sonno egual l’indifferenza.

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LA CASCATA


Su ’l monte, dove più nutre le borre
l’acqua del cielo, ha breve corso un rivo
3che lascia il bosco e alquanti solchi bagna.

Come chi la sua via diritto corre,
giunge a la balza, che cingendo il clivo
6spicca biancastra a mezzo la montagna.

Quivi diroccia lungo il roso sasso
giù dal ciglion de la rupe scheggiata,
e nel cavo cratere in fondo al masso
10sparisce alto piombando la cascata.

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Sparisce entro la gola orrida, e lume
più non vede, nè zolla irriga, e vano
13quanto di vivo fu in sua possa pare.

Ma tal non è, perchè l’accoglie il fiume
che a valle scorre, e sempre più lontano
16se ’n va tranquillo azzurreggiando al mare.

So di un’idea, che pari ebbe il destino.
Nacque, lottò, cadde ne l’oblio spersa:
poscia compì ’l suo trionfal cammino
20ne l’età chiare, che giungeano, emersa.

[p. 223 modifica]

CHIUSA


Forza del cuore, dove Dio ti pose,
sincerità, con l’anima che adora
e sdegna, a te la poesia consacro.
Quando tu l’occhio illumini, le cose
si fanno monde come uscite allora
6allora da un purissimo lavacro.

Splendono in luce i volti e le parole,
quando il tuo raggio dal profondo muove,
e la mano che stringe un’altra mano,
come le insegne alzate in faccia al sole.
Ma l’ombre intorno crescono, che dove
12natura ti negò cercarti è vano.

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Arte non sei che a’ procaccianti frutta
favore e gloria. Nè di più giocondo
cammino gli alti spiriti ricrei.
Un’innocenza che accompagna tutta
la vita e saggia il bene e il mal del mondo,
18e non sa quello ch’ella sia, tu sei.

Per attingere il vero a le tue pure
fonti l’umanità che non sostenne?
Di sospetti fe’ tetro il suo destino,
drizzò lungo la via roghi e torture,
e apprese tra feroci ansie il perenne
24contrasto de l’umano e del divino:

e non t’aggiunse mai. Le cose false
sono a lei come la ceppaia al toppo,
come le nubi sopra le riviere.

[p. 225 modifica]

Quel che ieri cadea diman risalse,
e fu dolce l’inganno al cuor che troppo
30conobbe l’odio de le cose vere.

A somiglianza ch’entro morte gore
il ciel si specchia, e la malaria stende
le invisibili branche, in vista, quanta
illusïone d’egoismo è amore!
quant’aridezza per virtù si prende!
36e quanti orgogli ’l benefizio ammanta!

Velenosa fungaia a le radici
de l’anima. Ed almen palese traccia
fosse di lei ciò che di fuori apparve!
Ognuno il suo nome, amici e nemici,
buoni e cattivi, ognuno la sua faccia
42avesse, e fossero uomini, non larve!

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Vide la colpa ne la sua vergogna,
e perdonando incontro le venìa
Quei che co ’l sangue sigillò il Vangelo
perchè non sia l’altare una menzogna.
Vide prostrata orar l’ipocrisia,
48e chiuse a lei senza speranza il cielo.

Sincerità, per cui l’umile fede
penetra e fa l’anima che la sente
pari a goccia ove il raggio si rifranse,
te sola io loderò se altri vede
splendere il verso mio come un’ardente
54pupilla splende a me, che molto pianse.

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INDICE


I. Fantasie.|||
Gli spiriti del verso |||
 Pag. 3
Grandi fatiche di gente piccina |||
 5
Più che le stelle |||
 13
Anime lontane |||
 17
Il monte |||
 23
I Lavini di Marco |||
 27
Brivido antico |||
 33
Le Rusalche |||
 37


II. Elegie.|||
Nell’anniversario d’una sciagura |||
 47
Dall’antico al nuovo ospizio |||
 53
In morte di un filosofo |||
 65

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III. Paginette.|||
In un albo |||
 Pag. 77
Le note della mamma |||
 79
Carriera poetica |||
 81
Augurii |||
 83
Per l’auto-accusa di un poeta |||
 85
Fede d’artista |||
 87
Pagina d’albo |||
 89


IV. Motivi lirici.|||
L’invisibile presenza |||
 93
Sulla tomba di un fanciullo |||
 95
Apatia |||
 97
Il Sempione |||
 99
Per certe feste centenarie |||
 103
A una maligna |||
 107
Suora Chiara |||
 109
Convito nuziale |||
 113
La folle parola |||
 115
L’arancio |||
 121


V. Sonetti.|||
Per una pubblicazione delle donne italiane |||
 127
Ideale di patria |||
 129
Laudatores temporis acti |||
 131
Momento autunnale |||
 133
Sul tramonto |||
 135
Per una rivista di paese alpino |||
 137

[p. 229 modifica]

VI. Poemetti guerreschi.|||
Alla madre del poeta |||
 Pag. 143
La buona guerra |||
 157
La conquista |||
 171
La guerra senza poeti |||
 185
L’oscuro sterminio |||
 199


VII Strofe nuove.|||
Gli oppressi dell’avverso cammino |||
 213
Le rondini non vengono più |||
 215
La primavera |||
 217
Cielo e terra |||
 219
La cascata |||
 221
Chiusa |||
 223