Il mestiere di vivere/1940

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1940

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1940


1° gennaio.

Poco di fatto. Tre opere: Le due stagioni e i Paesi tuoi, e il Carrettiere.

I due racconti sono cosa del passato: valgono forse in quanto mi sono cavato la voglia e provato che so volere uno stile e sostenerlo, e basta. La poesiola è poca, ma forse promette avvenire. Chiudo sperando di tornarci ora, ringiovanito dalla molta analisi e dalla purgazione degli umori narrativi.

Di pensieri non mi sono piú espanso molto su queste pagine, ma in compenso ne ho colti diversi maturi e ricchi e, piú che tutto, mi sono allenato a viverci con agilità. Chiudo il ’39 in uno stato di anelito ormai sicuro di sé, e di tensione come quella del gatto che aspetta la preda. Ho intellettualmente l’agilità e la forza contenuta del gatto.

Non ho piú smaniato. Sono vissuto per creare: questo è acquisito. In compenso ho molto temuto la morte e sentito l’orrore del corpo che può tradirmi.

È stato il primo anno della mia vita dignitoso, perché ho applicato un programma.

Artisti come Dante (lo Stilnuovo), Stendhal1 e Baudelaire sono dei creatori di situazioni stilistiche: sono gente che non cadono mai nella bella frase, perché concepiscono la frase come creatrice di situazioni. Non danno mai nello sfogo, perché per loro riempire una pagina è creare una situazione mentale che si svolge in un [p. 161 modifica]piano chiuso, costruito, avente leggi interne, diverso da quello della vita. I loro contrari invece (Petrarca, Tolstòj, Verlaine) sono sempre sull’orlo della confusione di arte e vita; e anche nell’arte, se sbagliano, sbagliano per frasi belle o brutte, non per situazioni piollate, come quegli altri. Hanno tendenza a fare della loro arte un modo di vita pratico (Petrarca = umanista; Tolstòj = santo; Verlaine = maledetto) e sono quasi sempre dei riusciti in quanto la loro attività pratica li porta. (Sono anche i malcontenti dell’arte per ragioni esistenziali, cfr. II, 26 novembre ’39). I loro contrari invece sono sempre dei falliti che non elegizzano sul loro fallimento mondano, come qualcuno degli sfogatori che cosí si fa piacere al volgo, ma costruiscono un altro mondo dove l’esperienza ordinaria e cocente è vagliata dall’intelligenza e lasciata entrare nell’opera solo se risponde alla costruzione. Sono grandi costruttori di opere giudicanti, che non scrivono una pagina soltanto per sfogare una loro piena, ma di questa piena fanno meditazione e pretesto di costruzione mentale anteriore all’opera.

Sono grandi teorizzatori dell’arte — il problema che li travaglia sempre — mentre quegli altri scrivono come si respira, come si canta, come si vive, op là! I miei sono grandi solitari, sono asceti, non chiedono altro alla vita che la realizzazione del loro sogno formale (di arte, di morale, di politica), mentre quegli altri chiedono alla vita l’esperienza e questa esperienza riflettono in quei diari che sono le loro opere.

Flaubert è la caricatura involontaria dei miei artisti (cfr. il giudizio del 17 febbraio ’38 — dove si vede che benché l’arte per lui sia il cerchio chiuso, autonomo, costruito dall’intelligenza, in essa non entra la completezza morale dell’uomo e s’inseguono solo fantasmi di belle frasi).

[......]2.

Potrebbe darsi che le situazioni stilistiche fossero le tue immagini-racconto, un presentare cioè delle immagini che non sono la descrizione materiale della realtà, ma «simboli fantastici cui accade qualcosa», le persone del racconto. [p. 162 modifica]

3 gennaio.

C’è un tipo abituato a pensare che niente gli sia dovuto, nemmeno in nome di un lavoro o di una fatica durata. Niente dagli altri sotto nessun pretesto, nemmeno dai beneficati, e quindi non dà niente agli altri se non per suo piacere. Sono io. (Cfr. 20 febbraio ’38, IV e 13 ottobre ’38, II).

8 o 9 gennaio.

La prova del tuo disinteresse per la politica è che credendo al liberismo (= la possibilità di ignorare la vita politica) vorresti applicarlo tirannicamente. Senti cioè la vita politica soltanto in tempi di crisi totalitaria, e allora t’infiammi e contraddici al tuo stesso liberismo pur di realizzare presto le condizioni liberali in cui potrai vivere ignorando la politica.

11 gennaio.

La poesia italiana dal ’200 al ’500 agita il mondo della nobiltà: comincia col concetto della nobiltà di cuore (stilnovo), ammira quella di costume e di tono (Boccaccio), ricrea fantasticamente quella cavalleresca (Boiardo), l’ironizza e teorizza (Ariosto e Castiglione). Morendo, la cede al witticism shakespeariano e al buon gusto neo-classico (grand siècle), e la vede ricomparire come nostalgia del passato e norma di vita in certi romantici (Stendhal, Baudelaire). Qui c’è forse qualche addentellato col 1° gennaio, II. Come ideale di contegno il tratto cavalleresco corrisponderebbe alla situazione stilistica come ideale estetico. È sorprendente che questa stessa vena affiorasse già il 2 ottobre ’36, dove i due tratti segnati || annunciano il 1° gennaio.

Le grandi fioriture sono precedute da una generazione d’intensi traduttori (neòteroi, stilnovisti, elisabettiani, trio del dolore, romanzo russo, neo-realismo americano). Quando si dice l’esterofilia... Cfr. 6 luglio ’39, II. [p. 163 modifica]

Piú la storia s’avvicina ai nostri tempi, e piú alle fusioni di due civiltà attraverso la carne si sostituisce quella attraverso la carta. Alle invasioni le traduzioni.

21 gennaio.

Prima la potenza serviva alle ideologie, ora le ideologie servono alla potenza.

Le cose gratuite sono quelle che costano di piú. Come? Costano lo sforzo per capire che sono gratuite.

22 gennaio.

(Cfr. 27 dicembre ’39). Le figurazioni di un sogno sono procreate e intrise da una dominante esperienza della veglia, che macerandosi in noi diventa un caleidoscopio, simbolico della «passione» («dopo il sogno la passione impressa» Dante) e degli stimoli della veglia. Ecco spiegato come il mondo di un sogno nasce col suo paesaggio temporale retrospettivo — realtà dell’esperienza che noi lasciamo a sfondo della figurazione simbolica che è il sogno.

Inoltre, si capisce perché il sogno si svolga come un racconto costruito — dove, cioè, un particolare viene acquistando un’importanza ulteriore già implicita nella sua prima comparsa. Noi non sappiamo quello che accadrà, ma siamo noi stessi la «passione» del sogno e la massa di impressioni della veglia. Siamo insomma come chi — narratore — sappia (viva in sé) il secondo termine simbolico di una sua fantasia, ma non il primo, la figurazione simbolica. Via via che passerà davanti agli occhi, questa nascerà piena degli sviluppi futuri, di spunti che la storia stessa interpreterà, dando loro un senso. Sognare è come scrivere una storia simbolica già nota come spirito e in formazione quanto alla lettera. [p. 164 modifica]

26 gennaio.

Nulla può consolare della morte. Il gran parlare che si fa di necessità, di valore, di pregio di questo passo lo lascia sempre piú nudo e terrificante, e non è che una prova della sua enormità — come il sorriso sdegnoso del condannato.

1° febbraio.

Proustiano: mancandoti il caffè, non trovavi piú l’agio nervoso per immaginare. Ti stavi abituando (Il paradiso sui tetti e Paesaggio e trama della Tenda3). Ora che c’è il caffè, ti pare che contrasti all’ozio fantastico.

L’ira non è mai improvvisa. Nasce da un lungo rodio precedente che ha ulcerato lo spirito e vi ha accumulato la forza reattiva per l’esplosione. Ne consegue che un bello scatto d’ira è tutt’altro che il segno di un’indole franca e diretta. È invece rivelazione involontaria di una tendenza a nutrire dentro di sé rancore — cioè di temperamento chiuso e astioso e di complesso d’inferiorità.

Il consiglio di «stare in guardia da chi non è mai irritato» (22 luglio ’38, I) perché solo chi perde la testa è sincero (7 dicembre ’37, VI) viene quindi a dire che — tutti gli uomini accumulando inevitabilmente odio — conviene guardarsi specialmente da quelli che non si tradiscono con scatti d’ira. Quanto a te, non fai male ad essere insincero nel tuo rodio, ma a tradirti ingenuamente con lo scatto.

9 febbraio.

In genere è per mestiere disposto a sacrificarsi chi non sa altrimenti dare un senso alla sua vita.

Il professionismo dell’entusiasmo è la piú nauseante delle insincerità. [p. 165 modifica]

18 febbraio.

Scaduto il fervore di una monomania, manca un’idea centrale che dia significato agli sparsi momenti interiori. Insomma, piú l’animo è assorto in un umore dominante, piú il paesaggio interiore si arricchisce e svaria.

Bisogna cercare una cosa sola, per trovarne molte.

19 febbraio.

Fra i personaggi delle tue poesie abbondano un po’ troppo i mestieri singolari (i. e. pittoreschi).

21 febbraio.

È facile conservare lo stile, l’aloofness (il distacco), la familiarità moqueuse (beffarda), l’aristocratica impassibilità, ecc., con le persone cui non si ha nulla da chiedere. Esse ci sono sommamente indifferenti, ci sono un gioco, un pretesto di posa, come animali (che non mordono).

È quanto si dice chiamando superiore il contegno sopradescritto. Ma appena si ha da chiedere qualcosa, non si è piú nemmeno uguali, ma inferiori, per la ragione che l’altro potrebbe negarcelo.

Il perfetto stile (tuoi rapporti con **) nasce dalla totale indifferenza.

Ecco perché si ama sempre follemente chi ci tratta con indifferenza: essa è stile, è fascino di classe, è amabilità. Ciò riprende infiniti pensieri del 37-38 sulla necessità di non abbandonarsi per possedere — specie 16 novembre, II, ’37.

22 febbraio.

L’interesse di questo giornale sarebbe il ripullulare imprevisto di pensieri, di stati concettuali, che di per sé, meccanicamente, segna i grandi filoni della tua vita interna. Di volta in volta cerchi [p. 166 modifica]d’intendere che cosa pensi, e solo après coup vai a riscontrarne gli addentellati con giorni antichi.

È l’originalità di queste pagine: lasciare che la costruzione si faccia da sé, e metterti innanzi oggettivamente il tuo spirito.

C’è una fiducia metafisica in questo sperare che la successione psicologica dei tuoi pensieri si configuri a costruzione.

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·

È cosí che si fanno i canzonieri, l’hai detto nelle Certe poesie non ancora scritte. Sarebbe quindi illusoria la differenza tra «poesie» e «pensieri»? Basta dire che i pensieri sono tentativi di chiarire a te un problema, uno stato, e le poesie tentativi di creare un’immagine universale?? Non vedo che basti.

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·

Il problema è come per le opere omnia di tutta una vita: ciascuna costruita s’intende, ma nel loro complesso fanno successione o costruzione? È un sofisma ricordare che i secoli letterari sono inesistenti nella storiografia concreta: un secolo è un ente empirico, astratto, ma una vita, un individuo è qualcosa di piú.

Certamente, qualcosa di piú in quanto intende esserlo e costruirsi; ma di per sé, in successione meccanica di giorni, in quanto s’indaga après coup, ha dunque un’unità-costruzione implicita? quella che tu chiami unità metafisica.

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·

Inversamente. Un’opera singola, costruita, vien forse fatta in altro modo che saldando après coup — magari prima della stesura, beninteso — i diversi pezzi?

Verrà un tempo che la nostra fede comune nella poesia farà invidia.

Succede che io sono diventato uomo quando ho imparato a essere solo; altri quando hanno sentito il bisogno di accompagnarsi. [p. 167 modifica]

23 febbraio.

La grandezza inumana di Shakespeare si vede piú che dall’opera, da questo ch’egli morí lasciandone inediti due terzi — tra cui Antonio e Cleopatra, Macbeth (?), molte commedie, ecc.

Ciò è tanto enorme che viene da sospettare che al principio del seicento non fosse ancora ben diffusa la mentalità «editrice» e si credesse di aver legata ai posteri un’opera quando la si era scritta, semplicemente. Ma allora, come spiegare i testi in stato di copione che Shakespeare sapeva di lasciare corrotti e corrompibili? Né si può dire che gli sia mancato il tempo e l’agio di attenderci.

C’è qui una saggezza che confina con l’ironia cosmica. Un gesto sovrumano.

24 febbraio.

La persona o l’istituto che incarichiamo di renderci felici ha diritto di lagnarsi se gli ricordiamo che però restiamo liberi e padroni di recalcitrare. Tutto ciò che non bastiamo da soli a compiere, diminuisce la nostra libertà. Il paziente nelle mani del dottore è come la società nelle mani del salvatore — eroe o partito.

Come? c’incaricate di riorganizzare la società — cioè, voi stessi — e poi pretendete di restare liberi?

Appunto perché non esiste società economica pura, ogni organizzazione scientifica dell’economia porta in sé l’affermazione di una mistica — cioè, un credo statale che investe anche la vita interiore, e come l’organizzatore deve eliminare ogni eterodossia economica, cosí dovrà eliminare tutte quelle interiori.

La società tutta controllata economicamente e tutta libera spiritualmente, è una contraddizione.

(Cfr. 30 luglio e 27 agosto ’39). Ideale morale è una nozione collettiva. L’individuo non ha ideale morale, perché nella sua assolutezza (eterno presente) non si adegua a una norma ma è. (bergson, Les deux sources ecc.).

Se la società non può realizzare l’assoluto, in quanto un suo individuo può sempre recalcitrare, nemmeno l’individuo lo può nel [p. 168 modifica]tempo, perché, raggiunto l’assoluto in un suo momento, un istante dopo può decadere. Ciò riprende il pr. del 22 febbraio ’40, e insomma nega che una vita, còlta nella successione meccanica dei suoi istanti, anche i piú coscienti, possa configurarsi a costruzione metafisica. Infatti, la successione meccanica dei pensieri cade nello schema — riconosciuto empirico — del tempo. Perché un’esperienza abbia un valore metafisico deve sfuggire al tempo. Nella vita pratica ciò pare che accada soltanto nell’attimo isolato — evasione dal tempo — .

La «falsità della poesia» (3 ottobre ’38, III) — sostituzione del tempo assoluto al tempo empirico — riesce piú affascinante del «regno dei cieli», perché questo si realizza solo in attimi e quella in costruzioni che, benché valgano come un solo attimo assoluto, si distendono però gradevolmente e abbracciano a volte lunghi lassi empirici.

· · · · · · · · · · · · · · · · ·

L’unità di un’opera consisterà dunque nell’appartenenza di tutti i suoi momenti a uno stesso periodo assoluto o metafisico che si dica4.

Di qui la difficoltà di determinarla fuori dello sviluppo deterministico dei suoi casi e fenomeni, per noi che siamo avvezzi a sperimentare la vita sempre secondo lo schema del tempo empirico e a conoscere — praticamente — quello assoluto solo come negazione del tempo empirico, negli atti morali. (Di qui, intanto, il carattere individuale dell’opera d’arte, come dell’atto morale: esperienze per loro natura non-collettive perché assolute).

È facile creare un’opera d’arte «istantanea» (il «frammento»), come è relativamente facile vivere un attimo di moralità, ma creare un’opera che superi l’attimo è difficile, come è difficile vivere piú a lungo di un palpito il regno dei cieli. L’arte di organizzare il regno dei cieli di là dall’attimo (santità) è allo stesso livello dell’arte di organizzare un’opera di poesia di là dal frammento, o congerie di frammenti che si dica.

Che la prima tu l’abbia definita quasi impossibile (tanto che consideri in sostanza la moralità come faccenda di attimi isolati) e speri invece nella seconda, nasce dal fatto che la tua vocazione è poetica e non etica. Contento? [p. 169 modifica]

26 febbraio.

Come del tempo, cosí dello spazio. Poesia e Pittura. Non deve esistere, in una poesia, tempo empirico cosí come in un quadro non deve esistere spazio empirico.

Creare un’opera è dunque trasformare in assoluti il suo tempo e il suo spazio. Uno dei metodi piú accreditati fu sempre di ricorrere alla intensità sentimentale che, come è noto, trasforma il tempo e lo spazio empirici. (Un’ora riempita di forte passione è più lunga di un’ora d’orologio. Notare che la noia è una forte passione, e quindi l’assenza di occupazione allunga il tempo in quanto lo riempie di tensione).

· · · · · · · · · · · · · · · · ·

Quello che tu chiami contemplazione (il tuo carattere poetico) è il passaggio dal piano empirico a quello poetico.

L’ipotesi che l’evoluzione proceda (De Vries) per mutazioni brusche del germe [che poi si conservano attraverso la selezione naturale (jean rostand, Hérédité e Racisme)] va d’accordo con la tua esperienza che la vita interiore (creazione di concetti e immagini) non procede per sviluppo di pensiero in pensiero (d’individuo a individuo, in biologia) ma per brusche intuizioni (trasformazioni sempre germinali) che solo après coup si scoprono legate a intuizioni precedenti e si conservano (selezione interiore).

Il 29 ottobre ’39, II e l’esempio del 1° novembre sono un altro parallelismo di vita interiore e biologia. Due concetti o due immagini dànno un frutto valoroso (una brusca mutazione) una volta ravvicinati, piú che un concetto o un’immagine macerata singolarmente. Incrocio di razze discoste che produce individui sovente felicissimi.

27 febbraio.

L’analisi del 24 febbraio, dove negavi la possibilità di costruzione metafisica di una vita in quanto l’insieme dei suoi momenti [p. 170 modifica]significativi sarebbe successione empirica, è falsa. Non è escluso che la successione empirica dei momenti eterni (atti morali, atti poetici, atti concettuali) possa venire après coup interpretata o disposta a costruzione vitale.

Tanto piú che si ammette (22 febbraio, IV, e 26 febbraio, II) che qualunque opera di costruzione è sempre fatta d’istantanee illuminazioni — momenti metafisici — che vengono après coup saldate, cioè chiarite unificabili.

Potrebbe darsi che nessun pensiero per quanto fugace, per quanto inconfessato, passasse senza traccia nel mondo. Ciò è sicuramente vero per ogni singolo individuo. Tuttavia interesserebbe sapere se una traccia ne rimanga sulle cose non solo in quanto l’individuo, modificato da quel qualunque pensiero, vi agisce su diversamente, ma addirittura di per sé — nel caso, ad esempio, che l’individuo morisse appena pensatolo. Che è un modo di credere all’anima del mondo, e ad altro ancora.

1° marzo.

L’equilibrio di un racconto è nella coesistenza di due persone: una l’autore, che sa come finirà, l’altra i personaggi, che non lo sanno. Se autore e protagonista si confondono (Je) e sanno come finirà, occorre rialzare la statura di altri personaggi per ristabilire l’equilibrio. Perciò il protagonista, se racconta lui, dev’essere piú che altro uno spettatore (Dostojevskij: «nel nostro distretto». Moby Dick: «chiamatemi Ismaele»).

Se si racconta in prima persona, è evidente che il protagonista deve sapere fin dall’inizio come la sua avventura andrà a finire. A meno di farlo parlare al presente.

La tua concezione dello stile come vita interiore che si fa (Cfr. 24 ottobre ’38 -5 novembre ’38), tende a trasportare il racconto al presente e in prima persona, donde negazione dell’equilibrio tra attore e personaggi, tra chi sa e chi ignora. Donde impossibilità di [p. 171 modifica] costruzione che è gioco di prospettive tra presente (chi sa) e passato5 (chi ignora).

Il bello del teatro è che tutti i personaggi appaiono in prima persona e al presente ma non sanno come finirà.

9 marzo.

Il naturalismo ha insegnato ai narratori — e ormai tutti ce l’abbiamo nel sangue — che nulla che non sia azione deve entrare nel discorso. Allora si descriveva l’ambiente che era parte dell’azione, e gli eventi, oggettivamente; ora tutto ciò si descrive guardando con l’occhio del personaggio; ma è per tutti acquisito che non si deve piú digredire. Come nel naturalismo l’autore doveva scomparire davanti alla realtà, cosí ora esso deve scomparire davanti all’occhio del personaggio.

17 marzo.

Se una vita libera assolutamente da ogni senso di peccato fosse realizzabile, sarebbe vuota da far spavento.

Si può dire che questo senso («la cosa non permessa») è nella vita ciò che la difficoltà della materia in arte. Che seccherebbe tutti, e primi gli artisti, se non fosse difficile.

Naturalmente il vivace della vita sono la lotta, gli espedienti, i compromessi, con questo senso. Meglio avercelo e violarlo, che non avercelo. (22 luglio ’38, III, sul rimorso). Sapere che certe cose non possiamo o non dobbiamo farle, ci lusinga (cfr. il tuo Adamo e Eva, e il 17 settembre ’38, VII).

25 marzo.

Non è vero che chi, come te, è avvezzo al poco, al semplice, allo spicciativo, abbia a soffrire di meno quando si trovasse ridotto [p. 172 modifica]alle durezze e privazioni della guerra o di un altro evento simile. La ragione? Chi è avvezzo al raffinato, al complesso, allo scelto, scoprirà di fronte alla realtà dura il fascino del semplice e dello scarso; tu, invece, non potrai scendere piú oltre e non avrai più nulla da scoprire.

L’equilibrio vivente di un’opera nasce dal contrasto fra la logica naturalistica dei fatti che si svolgono sotto la penna, e la nozione presupposta, e ricordata, di una logica interiore che domina come una mèta6. La prima si dibatte nelle strettoie della seconda, e vi si carica di sensi simbolici, o stilistici che si dica. Quanto piú lontani i due modi d’essere, tanto piú vivace e appassionante la stesura dell’opera (14 dicembre ’39).

28 marzo.

Gli aggettivi geografici della poesia latina («ante tibi Eoae Atlantides abscondantur») sono l’estremo modo — riflesso — di fare il mito, immergendo la realtà fantastica nel passato e nella lontananza. Sono il solo esotismo di cui è capace la mente antica: la leggenda diventata definizione e limitata ad attributo — perché tutto era limite, allora. Qui si vede appunto come il simbolo (l’allusione?) diventi stile (cfr. pensiero precedente). Cfr. soprattutto il 10 dicembre ’39, definitivo sul simbolo.

29 marzo.

Devi riconoscere che le magnifiche promesse della scienza avvenire ti atterriscono e le vedresti volentieri abortire. Non per la ragione che la scienza crea micidiali armamenti (si troverà sempre la difesa equivalente; e, comunque, non è l’uccisione di uomini che sia per dispiacerti: si viene al mondo per morire), ma perché la scienza potrà fornire un giorno mezzi tali di controllo sulla vita [p. 173 modifica]interiore e sulla vita fisica dell’individuo (sincerity test, sterilizzazione, ecc.) o surrogati dell’individuo stesso (robots) o intervento nell’attività interiore e fisica individuale (inoculazione di sperma artificiale, classificazione delle attitudini, controllo statistico dei gesti alla Taylor, ecc.), che la vita non varrà piú la pena di essere vissuta. La conclusione tipica dei romanzi avveniristici è, infatti, dopo una descrizione del meccanismo controllatissimo di quella vita, un climax di rottura di coglioni per cui le masse si scatenano uccidendosi e impazzendo, pur di uscire dall’incubo. Insomma, morire (sia di spada, sia di raggio mortale) non è nulla; vivere scientificamente appare spaventoso. Un conforto è il pensiero del 25 ottobre ’38.

6 aprile.

[......]7.

Vecchi ritmi:

Pupe fiape
côme rape
rape d’uv̈a
d’una fômna patanuv̈a

[......]8.

7 aprile.

C’è quello che gli pare d’essere piú vecchio della sua età, e quello che si ritrova sempre piú giovane degli anni che compisce. Sono due tipi d’uomini; probabilmente hanno altre differenze.

Tu sei dei piú giovani dei loro anni. A trenta, non credevi di essere tanto vecchio. [p. 174 modifica]

16 aprile.

Dev’essere importante che un giovanotto sempre intento a studiare, a voltar pagine, a cavarsi gli occhi, facesse la sua grande poesia sui momenti in cui usciva al balcone o sotto il cespuglio o sul rialto o in verde zolla. (Silvia, Infinito, Vita solitaria, Ricordanze). La poesia nasce non dall’our life’s work, dalla normalità delle nostre occupazioni, ma dagli istanti in cui leviamo il capo e scopriamo con stupore la vita. (Anche la normalità diventa poesia quando si fa contemplazione, cioè cessa di essere normalità e diventa prodigio).

Qui si capisce perché l’adolescenza è grande materia di poesia. Appare a noi — uomini — come istante in cui non avevamo ancora chinato il capo alle occupazioni.

19 aprile.

Le generazioni non invecchiano. Ogni giovane di qualunque tempo e civiltà ha le stesse possibilità di sempre.

L’Impero non è caduto per decadenza della razza (tant’è vero che le generazioni contemporanee e successive a quelle che han visto cadere l’edificio politico, ne hanno costruito uno spirituale — la Chiesa Cattolica), ma per mutate condizioni economiche e sociali che hanno spostato le forze (anchilosi economica, decentramento provinciale, immissione di barbari, ecc.).

20 maggio.

I Paradis artificiels descrivono il vero paradiso baudelariano, sono il suo programma; soltanto, escludono che sia lecito giungerci con un trucco, bensí richiedono che tutto questo mondo interiore sia opera fiera e sudata dell’intelletto. Polemizzano insomma contro la concorrenza delle droghe, pur rievocandone le virtú. (Specialmente il cap. IV L’Homme-Dieu, che è la sua autentica poetica). [p. 175 modifica]

21 maggio.

Se è vero che l’individuo si accoppia di preferenza al suo contrario (la «legge della vita»), ciò nasce dal fatto che esiste un orrore istintivo di esser legato a chi esprime i nostri stessi difetti, le nostre idiosincrasie, ecc. La ragione è evidentemente che difetti ed idiosincrasie, scoperti in chi ci è vicino, ci tolgono l’illusione — prima da noi nutrita — che fossero in noi singolarità scusabili perché originali.

28 maggio.

Le immagini di Faulkner (Sanctuary) sono modi di dire dialettali e immaginosi — tipo «a l’è fol côme na vaca ’n bici». Per esempio gli occhi del vecchio sordo «come voltati all’interno e mostranti il deretano dei globi» o Temple che pensa di diventare uomo e sente l’impressione di un tubo che rivolta come il dito di un guanto — flop! — Sono insomma l’immagine elisabettiana: «Fate is a spaniel we cannot beat it from us». Sono immagini narrative, non contemplative, che sostituiscono all’oggetto un’evidenza espressiva; le immagini che creano la lingua (ad-ripare, arrivare).

29 maggio.

The Revenger’ s Tragedy di Tourneur avrebbe potuto essere la storia del vindice esacerbato che, mettendosi all’opera, scopre che ogni valore piú caro è corrotto o pronto a corrompersi; e tale accenna a diventare nella corruzione da lui praticata della madre Graziana (sc. i, a. II) e nel discorso della figlia Castiza (sc. iv, a. IV). Senonché la madre si ripente presto e la figlia faceva per finta. La storia si riduce cosí a un gioco d’intrighi e di sangue tra gli ambiziosi e i lussuriosi della corte e i vendicatori; e Vindice non fa nei cinque atti nessuna scoperta morale, non raccoglie un’esperienza, ma meccanicamente procede alle sue vendette ed è poi altrettanto macchinalmente punito. Tant’è vero che le sue ultime parole non sono il ieratico canto del cigno dei personaggi shakespeariani, o websteriani (White Devil: le ultime parlate di Flammeo e Vittoria) [p. 176 modifica]che hanno avuto un’esperienza, ma un ripicco nato da un’imprudenza che lo distrugge e che con astuzia poteva evitare: «We die after a nest of dukes» troppo poco.

Immagini di Tourneur tipo 28 maggio:

«...’Sfoot, just upon the stroke
jars in my brother; ’twill be villainous music»;

e di un povero che

«...hope of preferment
will grind him to an edge...»

1° giugno.

Perché la gente prende delle pose, e fa il dandy, o lo scettico, o lo stoico, o il sans-souci, ecc.? Perché sente che c’è una superiorità nell’affrontare la vita secondo una forza, una disciplina che ci si dà se non altro ai pensieri.

È infatti questo il segreto della felicità: assumere un atteggiamento, uno stile, uno stampo in cui devono cadere e modellarsi tutte le nostre impressioni ed espressioni.

Ogni vita vissuta secondo uno stampo coerente e comprensivo e vitale, è classica.

5 giugno.

Il dolore fa vivere in una sfera incantata e trasognata, dove le cose quotidiane e banali prendono un rilievo pauroso e thrilling, non sempre sgradito. Dà coscienza di un distacco tra la realtà e l’anima; ci fa levare in alto e ci lascia intravedere il reale, e il nostro corpo, come qualcosa di remoto e di strano insieme. È questa la sua efficacia educativa. [p. 177 modifica]

La realtà della guerra suggerisce questo semplice pensiero: non è doloroso morire quando muoiono tanti tuoi amici. Dalla guerra nasce il senso di gruppo. Benvenuto.

9 giugno.

Chi ha una passione dominante, in funzione di questa odia il genere umano, perché tutti gli appaiono, in rapporto alla sua passione, come rivali, o, comunque, resistenze.

12 giugno.

La guerra rialza il tono della vita perché organizza la vita interiore di tutti intorno a uno schema d’azione semplicissimo — i due campi — e sottintendendo l’idea della morte sempre pronta fornisce alle azioni piú banali un suggello di gravità piú che umana.

13 giugno.

Una dichiarazione di guerra è come una dichiarazione d’amore. Si diventa l’eguale del nemico e ci si innalza o abbassa con lui. Si rinfacciano al nemico le stesse enormità dispettose che — una volta innamorati — siamo prontissimi a compiere noi, e si rinfacciano sullo stesso motivo di lesa umanità.

Ripeti dell’amore ciò che hai detto il 12 giugno della guerra.

14 giugno.

La ragione perché in politica è permessa qualunque porcheria e il criterio è astuto-sciocco, non buono-cattivo, pare questa: il corpo politico non muore e non risponde quindi davanti a nessun dio. La sola ed esclusiva ragione della moralità individuale è che un giorno si morirà e non si sa di poi. [p. 178 modifica]

16 giugno.

(Allarmi aerei).

Gli stridori, i tonfi, gli scoppi, che fanno trasalire tutti in questi giorni, non solo prima della guerra non spaventavano, essendo innocui, ma non erano nemmeno percepiti. Ogni passione — qui, il terrore — crea una particolare sensibilità verso i propri stimoli e pretesti, e rivela tutta una provincia della vita oggettiva che prima passava inosservata. L’uomo piú oceanico è quello «trasmutabile per tutte guise». Finché si avranno passioni non si cesserà di scoprire il mondo.

La natura astrattamente descrittiva di Giganti di Doeblin rivela che Berlin-Alexanderplatz anche là dove pareva farcito di esperienza umana e di meditazione era soltanto materiato di bruta e banale verità quotidiana, descritta non drammatizzata; che è difetto comune di molta narrativa attuale e della tua.

Doeblin, Dos Passos, tu: se volete sfuggire al verismo epidermico, cascate nell’astratta costruzione espressionistica. Vi manca soprattutto il senso del dramma.

Bisogna imparare non solo a essere molte persone diverse (Dos Passos ci riesce), ma anche a fare queste persone scegliendole e scegliendone i tratti (i ritratti di Dos Passos si possono spostare da un personaggio all’altro).

18 giugno.

La creazione dei governi parlamentari è la foce dei contrasti tra re e nobili.

Si sente il bisogno del governo parlamentare quando le oligarchie decadono, non quando decadono le monarchie (o dittature). Da queste nascono le oligarchie. [p. 179 modifica]

21 giugno.

Animare la natura descrivendola in atteggiamenti umani («il campo si ricrea sotto l’acqua») è inizialmente dialettale, in quanto ricorre alla forma piú istintiva dell’immagine («la pioggia mormora») e riduce in sostanza la descrizione delle cose a una presentazione di macchiette, a un’arguzia giudicante, di tipo impressionistico — quale è appunto la macchietta.

Diciamo allora che l’impressionismo è macchiettismo.

Il punto d’attacco del tuo mestiere alla vita è il bisogno di espressione del primo e il bisogno di contatto col prossimo della seconda.

Fin che ci sarà qualcuno odiato, sconosciuto, ignorato, nella vita ci sarà qualcosa da fare: avvicinare costui.

La tua poetica è forzatamente drammatica perché il suo messaggio è l’incontro di due persone — il mistero e il fascino e l’avventura di questi incontri — non la confessione della tua anima.

Hai sinora preferito i contrasti d’ambiente (nord contro sud; città contro campagna) perché questi vestono vistosamente quelli delle due persone.

23 giugno.

Per esprimere la vita, non solo bisogna rinunciare a molte cose, ma avere il coraggio di tacere questa rinuncia.

L’estetismo dell’800 inglese — le belle immagini da Keats a Hardy, il tono sostenuto e oxoniano è un riflesso di Elisabetta.

C’è un rapporto tra la frase dostojevskiana, nuda e discorsiva, e le sue invenzioni tutte cerebrali e raziocinanti. La forza con cui [p. 180 modifica]sente la vita, si esprime non in vive immagini, ma in entità drammatiche e visionarie fatte di quotidianità. Cfr. con Platone: la dialettica, i miti (i dialoghi, le visioni di Dostojevskij).

Cfr. II oggi. Defoe è il piú grande romanziere inglese perché è il meno elisabettiano. Ha una voce unmarred. Gli altri — anche Dickens — risentono il ’600 sia nel poetico sia nell’umoristico sono immaginosi, parlano per immagini che non hanno piú la carnalità istintiva e linguistica (wit) degli elisabettiani ma fanno frase retorica e non nascono dal personaggio e quindi non sono drammatiche.

Può essere drammatico anche un racconto con un solo protagonista apparente (Defoe). Ma in questo caso c’è un uomo e un ambiente che si affrontano.

24 giugno.

Tess del d’Urberville non vive, perché nessun suo personaggio (tranne le macchiette) ha un linguaggio. Come parla Tess? e come Angel? C’è il linguaggio dell’autore, questo sí, che avvolge tutto, ma è appunto un descrittivismo astratto e ricco e talvolta sobrio, che serve tutt’al piú a stendere una scena fortissima (riincontro di Angel e Tess a Sandbourne, cap. LV) dove c’è il pathos ma non le figure vive (melodramma).

Melodramma è quando i personaggi parlano per il pathos esterno della scena, non esistendo come persone ma provvisori e posticci allo scopo di prestare pretesto di commozione.

Le persone vanno rispettate anche nel raccontare altrimenti si dà nel melodramma che è in arte quello che l’ambizione o edonismo nella vita. [p. 181 modifica]

C’è sí il diritto di adoperare i personaggi, ma non a un effetto bensí a una costruzione — come nella vita, non a scopo di sentire, di sperimentare, ma di realizzare un significato.

27 giugno.

A un popolo vecchio si chiede una grande coerenza, rispetto della legalità, ecc. A uno giovane si permettono molte cose. Gioventú e vecchiaia nei popoli sono gioventú e vecchiaia delle loro ideologie informatrici, e ne consegue che a una giovane ideologia si menano buone molte malefatte, per la semplice ragione che non si vede ancor bene fino a che punto le sue sono malefatte o invece interventi chirurgici. Ai vecchi non si chiede che la legalità.

28 giugno.

Anche nella storia succede che quando una cosa farebbe piacere, non può accadere; accadrà quando ci sarà indifferente. I vecchi imperi cadono quando sono diventati pacifici, civili e benefici; fin che una potenza è impertinente e illegale e violenta nessuno può arrestarla.

3 luglio.

Tutto questo parlare di rivoluzioni, questa smania di vedere accadere avvenimenti storici, questi atteggiamenti monumentali, sono la conseguenza della nostra saturazione di storicismo, per cui, avvezzi a trattare i secoli come i fogli di un libro, pretendiamo di udire in ogni raglio d’asino lo squillo dell’avvenire.

È avvenuto uno sdoppiamento anche dei popoli, oltre che degli individui.

Inoltre, vedendo tutto sotto specie storica, giudichiamo per idee, per astrazioni, che debbono o meno trionfare, e non sappiamo piú che cosa sia un uomo. Siamo tornati, cioè, per via di larga [p. 182 modifica]dottrina, ai tempi in cui si odiava il nome nemico, la piú religiosa delle barbarie. Ma c’è una differenza da quei tempi: non siamo affatto religiosi.

6 luglio.

S’insegna soltanto ciò che infallibilmente è. (Le tecniche infatti sono). Del resto, per insegnare una cosa, bisogna credere nel suo valore assoluto — che esista anche senza noi; che sia oggettivamente.

7 luglio.

Il pregio estetico, l’essenza morale, la luce della verità, non si possono insegnare — ognuno se li deve creare dentro di sé. Sono assoluti, fuori cioè del tempo e quindi della società (cfr. 27 agosto ’39 e II 24 febbraio ’40) e perciò incomunicabili. Le parole ne esprimono solo uno schema.

8 luglio.

Le prime donne di Dostojevskij non si decidono mai chi prendere (Nastàsja Filǐppovna tra il principe e Rogòžin; Katerina Nikolàjevna tra Versilov e l’adolescente; Grušegnka tra Dmitrij e Fjodor Karamazov). Chi è polo negativo a volte (Rogòžin), è positivo altre volte (Dmítrij).

Le donne non sono mai protagoniste, sono sempre vedute da altri.

L’Adolescente non è fiacco perché tratti di malati psichici piú del solito; ma bensí perché è il piú panoramico dei grandi romanzi di Dostojevskij. Vi manca quella scena o quel grappolo di scene che assomma e assorbe in sé tutto il febbrile raccontare, quella specie di giungla improvvisa nel deserto; e la storia si stende piuttosto [p. 183 modifica]protratta, diluita, in una cronaca; ci sono cioè continui soprassalti di crisi, di scene zeppe e allucinanti, ma sono appunto riprese continue, mai decisive, come un motore che rugge e non ingrana mai.

9 luglio.

Non è per riflessione e coscienza di me, che sono infelice, bensí quando ne manco, non diceva Leopardi.

10 luglio.

Questa guerra è forse la piú ricca di tradimenti che si sia mai avuta; il che indica clima rivoluzionario, clima cioè dove lo stato di cose iniziale si trasforma via via, e il criterio di giudizio diviene diverso da quello dell’appartenenza a questo o quel gruppo.

13 luglio.

Dal Tramonto del Medioevo. Dice Gerson, cancelliere dell’Università di Parigi: la vita contemplativa è piena di pericoli. Molti ne sono diventati malinconia o pazzi.

E prima distingueva tra il bestemmiatore per gusto di fare cosa perversa, e quello che dice senza pensare alla gravità.

Giudica della vita religiosa secondo il rispetto dei dogmi, ma sente che non basta e introduce metri psicologici, caso per caso, valutando se l’intensità non sia patologica.

Condanna Giovanni di Varennes che, per smania della verginità, diceva che il prete indegno amministra sacramenti svuotati. Ciò buttava in aria la compagine ecclesiastica.

(Fratelli della Vita Comune) Analizza la dulcedo, il fervore, dei devoti moderni dei Paesi Bassi (borghesi ritirati che mantenevano il tono rapito dell’alta commozione religiosa, in una tranquilla consuetudine di amicizia e di unzione) e trova che il fedele se ne accontenta e dimentica Dio. L’annientarsi in Dio di Ruysbroeck non gli va, perché allora si pretende di non peccare piú e si perde la [p. 184 modifica]responsabilità (Begardi, Frat. del Libero Spirito, Turlupini = dissoluti santi).

Storico. Questi mistici vivono immagini di fame, sete e lussuria. Passano dalla dulcedo alle diavolerie compiaciute e carnali = gusto delle streghe. Ed ecco la ragione per cui col XV cresce la stregheria: è decadenza della pietà vera, si crede ai simboli in modo materialistico.

14 luglio.

La tendenza medievale a vedere in ogni oggetto e individuo l’universale; non fra’ Dolcino ma l’eretico, non Arrigo VII ma l’imperatore ecc. somiglia alla nostra di vedere gli individui sotto specie di classe o di nazione (cfr. 3 luglio, II). Con la differenza che allora era viva la dignità assoluta dell’anima individuale (problema della salvezza), ora non piú.

Bellissima la trovata di Huizinga (pp. 300-1) che il realismo medievale (tutto è cristallizzato in realtà essenziali, anche i piú fuggitivi fenomeni e pensieri) è in sostanza materialismo. (Cfr. thesaurus di buone opere dei Santi). (Il peccato è una corruzione del sangue. Cristo lava col sangue. Traslati che diventano realtà).

21 luglio.

In Dostojevskij non c’è mai la storia di una realtà naturale (uomo, famiglia, società) ma bensí frammenti di blocchi esagitati e dialettici, composti insieme come aneddoti durante una discussione (miti di Platone). L’unica storia piú naturale è Delitto e Castigo.

22 luglio.

Sognare che si torna, di prigione o dal confino, nella propria casa, ricchissima principesca, a saloni e scalinate, e trovarci i [p. 185 modifica]conoscenti di famiglia a cui si viene presentato, e attendere con moltissima curiosità che entrino in scena padre e madre, per vedere come sono, che tipi ti sono stati scelti — è un altro caso di sogno fatto come un romanzo che si legge senza sapere come andrà a finire, dove cioè lettore e protagonista coincidono.

Il sogno è una costruzione dell’intelligenza, cui il costruttore assiste senza sapere come andrà a finire.

23 luglio.

Un’altra singolarità dei sogni è che — a meno di un immediato e fortissimo afferrarli e ripensarli, riviverli — non si ricordano. Un sogno è cosa meno nostra anche di un racconto composto da altri, perché mai ascoltando siamo tanto passivi quanto sognando. Eppure è indubbio che il sogno lo creiamo noi. Creare senza averne coscienza, ecco lo strano del sogno.

25 luglio.

Un caso in cui l’ingiustizia tirannica passa liscia, è quando viene esercitata, sia pure sfacciatamente, contro un gruppo nettamente definito e non numerosissimo.

Gli scrittori che piacciono per la loro esistenza — per l’atteggiamento da loro preso nell’esistenza — (Stendhal, ecc.) in genere sono stilisti anche nella pagina.

Gli artisti sono i monaci dell’età borghese. In essi l’uomo comune vede attuarsi quella vita di contatto con l’eterno, quell’ascesi, che i villani del 200-400 vedevano nel monaco. [p. 186 modifica]

26 luglio.

Gôgnin.

27 luglio.

Le cose di questo mondo (i gesti, esclusa beninteso la natura) sono simboli della realtà interiore nostra o altrui. Ne viene che quanto piú si è sapienti tanto meno si è disposti a sacrificare l’ultima istanza (la vita carnale) per fare onore a un vano e arbitrario simbolo.

Ecco un caso dove l’apparente realismo del pensiero si rivela disfattista, e dove la trascendenza invece si fa tutta disciplina, dando al simbolo un significato tremendo. Il credente si fa uccidere pur di non compiere un gesto che è simbolo di male.

Per l’animo fervente tutto è simbolo. Vedi l’innamorato.

O non succede forse che nell’idealismo sono simbolo i gesti, nella trascendenza gli oggetti naturali? Sarebbe simbolo soltanto ciò che è messo al mondo dallo spirito creatore.

Gli anacoreti si maltrattavano a quel modo, per farsi scusare presso la gente comune la beatitudine che avrebbero goduto in cielo.

28 luglio.

Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi.

1° agosto.

Tutti i libertini sono sentimentali. Anzitutto, nasce dalla lunga finzione verbale di esserlo; poi, dalla consuetudine delle donne, che [p. 187 modifica]avvezza appunto alle fini mollezze formali. Ma soprattutto nasce dal considerare i rapporti tra uomo e donna un campo non di doveri ma di emozioni.

Si corregge il sentimentalismo non diventando cinici ma diventando seri.

2 agosto.

Nei sogni, chi sogna è sempre molto vile e tollera cose che nella vita non tollererebbe. Manca assolutamente di senso morale e sociale. Diventa nodo d’istinti.

5 agosto.

Non bisogna mai dire per gioco che si è scoraggiati, perché può accadere che ci pigliamo in parola.

Segno certo d’amore è desiderare di conoscere, di rivivere, l’infanzia dell’altro.

Commuove e intenerisce lo stato di una persona che si sente inferiore al nostro, proprio al nostro. Se invece lo stato invidiato e anelato è altrui, la persona non ci interessa e anzi ci urta.

7 agosto.

Tono del Gôgnin. Libertà di giudizio sessuale e sodale; come da ambiente di viveuses e viveurs. Interiorità chiusa e schiva, di vergine. Frattura comune in tempi di transizione: le forme sono nuove e l’anima vecchia. Non, come si crede, viceversa.

Prima mutano le forme, poi le cose interiori. Potenza della parola, della forma, dello stile. [p. 188 modifica]

8 agosto.

La vita non è ricerca di esperienze, ma di se stessi. Scoperto il proprio strato fondamentale ci si accorge che esso combacia col proprio destino e si trova la pace.

11 agosto.

Una delle cose piú spiacevoli della vita è sbagliar tono — anche una semplice frase. È cosí facile — anzi, troppo facile — dar un tono a un personaggio dell’arte e non stonarlo mai. Per questo, esistono molti tipi ideali nei romanzi, che lettori e lettrici amano.

Odiamo una persona quando questa sbaglia tono.

I matrimoni felici paiono pochi, perché i romanzieri non si ritrovano in un matrimonio felice.

Senza dubbio tu preferisci quelli che fanno una cosa perché la devono fare, a quelli che la fanno perché cosí porta il loro istinto. Beninteso, il dovere non è soltanto quello corrente. Conferma della teoria dello stile, del tono (25 luglio, II, e prima, 1° giugno).

12 agosto.

(Cfr. 16 dicembre ’37). Amore e poesia sono misteriosamente legati, perché entrambi sono desiderio di esprimersi, di dire, di comunicare. Non importa con chi. Un desiderio orgiastico, che non ha surrogati. Il vino dà un fittizio stato di questo tipo, e difatti l’ubbriaco parla, parla, parla. [p. 189 modifica]

14 agosto.

Riesce a compiere una certa opera soltanto chi valga di piú di quest’opera.

16 agosto.

L’idea che non esistano sbagli ma siano «portals of discovery» postula l’altra che è un dovere essere fortunati: cioè l’intelligente non fa mai sbagli, vale a dire è fortunato. O li fa e gli servono. Idee suggerite dal Gôgnin che dice che per le donne è un dovere esser belle.

17 agosto.

Il modo del Gôgnin di «parlare a vanvera» smettendo capricciosamente un argomento e riprendendolo poi a gusto, è diventato uno stile, e diventa suo amico chi lo accetta e adotta. Lei se ne compiace e se ne fa un vezzo. Potenza dello stile.

19 agosto.

... come tutti gli uomini sensuali, un pauroso... Sensuale vuol dire non chi ha il sangue ricco ma chi non sa dominarlo e ritiene unici piaceri quelli del senso. È mancanza d’inibizione.

Sensualità è sentimentalismo. Infatti le canzoni e le musiche piú sentimentali nascono nell’ambiente corrotto del caffè mondano. (Cfr. 1° agosto).

21 agosto.

Sedersi su una panchina in compagnia ma non al caffè, è un tabú di vergine. [p. 190 modifica]

Checché se ne dica è preferibile il fastidioso e formalistico stile della haute a quello trasandato e comodo della comune borghesia. Perché nei momenti di crisi la prima si sa comportare, la seconda diventa natura bruta.

31 agosto.

Non c’è idea piú sciocca che credere di conquistare una donna offrendole lo spettacolo del proprio ingegno. L’ingegno non corrisponde in questo alla bellezza, per la semplice ragione che non provoca eccitamento sensuale; la bellezza sí.

Tutt’al piú si può conquistarla in questo modo, quando l’ingegno appaia un mezzo di acquistare potenza, ricchezza, considerazione — valori di cui per riflesso la donna, lasciatasi conquistare, godrebbe anche lei. Ma l’ingegno, come stupenda macchina che si muove disinteressatamente, lascia indifferente qualunque donna.

Verità che non dovresti dimenticare.

6 settembre.

In fatto di amori, non si tollerano che i propri.

7 settembre.

L’idea centrale di Proust, che le situazioni e le persone mutino continuamente e inafferrabilmente, tanto che ciò che si desiderava, una volta realizzato si scopre insoddisfacente, somiglia all’idea di Croce, che situazioni e persone sono risultati pratici che non dànno un contento assoluto ma appena raggiunti si trasformano e negano dialetticamente il loro primo essere.

Differenza enorme: per Proust ciò è incentivo a ritrarsi dalla vita, per Croce a buttarcisi. [p. 191 modifica]

9 settembre.

Vedo la scena. Lei che sfugge sempre, volubile, alla compagnia; si alza da tavola, interrompe colloqui, va al telefono, ecc., e a chi le rimostra i suoi doveri, risponde: «Colpa tua che non sai interessarmi e farmi stare seduta».

Una simile risposta presuppone inasprimento interiore di adolescenza, perché sottintende che le cose sarebbero potute andar diverso se il compagno fosse stato diverso. Equivoco che si prende da adolescenti ma non dopo, quando si è capito che qualunque cosa succeda è colpa nostra.

12 settembre.

La vita pratica si svolge nel presente, la contemplativa nel passato. Azione e memoria.

21 settembre.

Certe azioni banali o indifferenti che mi toglierebbero da un disagio effettivo — ricoprire il letto quando la mattina resto in casa; spendere molto per far festa a qualcuno che se lo aspetta; lavarmi con molto sapone, ecc.; mi dànno un orrore istintivo, e per commetterle — quando arrivo a pensarle — devo fare uno sforzo grande. Questa è la traccia di un allevamento inflitto con durezza su un’indole di per sé sensibilissima e timida. È il resto dei terrori di tanta mia infanzia. E pensare che i miei non erano cattivi né eccessivi. Ma allora, i veramente maltrattati, come sono ridotti?

Per me è bizzarro e sempre uno stupore, l’accorgermi a un tratto che certe cose le posso fare tranquillamente, che nessuno me le vieta o grudges, che non è proibito godere un gesto invece di compierlo seccamente. Ecco spiegata la mia capacità poetica: da uno stato di indurimento sperimentare la voluttà di fondersi, di ammollirsi — voluttà che durerà a lungo, finché non avrò volatilizzato tutto lo scoglio della mia infanzia.

(Pensieri dovuti a una parola gentile del Gôgnin) [p. 192 modifica]

25 settembre.

lettera

sera del 29 settembre.

pf!!!!

30 settembre.

La miglior difesa contro un amore è ripetersi, fino al bourrage, che questa passione è una sciocchezza, che non vale la candela, ecc. Ma la tendenza di un amore è proprio di illuderci che si tratti di un grande avvenimento, e la sua bellezza sta proprio nella continua coscienza che qualcosa di straordinario, di inaudito, ci va accadendo.

Dopotutto, il gesto del 25-29 settembre attua l’indole enunciata nel trionfante pensiero del 4 novembre ’38 (V). Ha l’unico difetto di non essere troppo trionfale.

Il mio contegno col Gôgnin (purché sia finito...) è stato un sunto del ’34-’38.

5 ottobre.

No, che non è finito.

7 ottobre.

Sarebbe vero che tu t’innamori soltanto di donne molto repandues (ballerina, ***, Gôgnin) e che quindi ti compiaci in loro di [p. 193 modifica]ciò che è all-desidered e soffri perché vorresti essere il solo a possedere tutto ciò?

La vera genialità, in queste cose, non è conquistare una donna già desiderata da tutti, ma scovarne una preziosa in un essere ignoto. (Cenerentola).

10 ottobre.

C’è un’arte di ricevere in faccia le sferzate del dolore, che bisogna imparare. Lasciare che ogni singolo assalto si esaurisca; un dolore fa sempre singoli assalti — lo fa per mordere piú risoluto e concentrato. E tu, mentre ha i denti piantati in un punto e inietta qui il suo acido, ricordati di mostrargli un altro punto e fartici mordere — solleverai il primo. Un vero dolore è fatto di molti pensieri; ora, di pensieri se ne pensa uno solo alla volta; sappiti barcamenare tra i molti, e riposerai successivamente i settori indolenziti.

12 ottobre.

L’amore ha la virtú di denudare non i due amanti l’uno di fronte all’altro, ma ciascuno dei due davanti a sé.

14 ottobre.

Rivedere la persona desideratissima da quindici giorni, unico pensiero di ogni istante, colpisce per un effetto di sfocamento: la persona reale è diversa, piú concreta e piú sfuggente, da quella che si sognava. (Cfr. Leopardi, Dialogo di Tasso e Genio fam.).

Le donne hanno una profonda fondamentale indifferenza per la poesia. Somigliano in questo agli uomini d’azione — le donne sono tutti uomini d’azione — . Sembra che se ne interessino — da giovani — per una sottile ragione: la poesia nasce da un’esaltazione [p. 194 modifica]dionisiaca, e l’esaltazione dionisiaca è il fondo di tutta la realtà donnesca, succede quindi che nell’inesperienza e nella superficie le donne ne scambiano l’emozione per la vera emozione attiva, vitale, che le prenderà poi davanti alla vita.

I grandi amanti saranno sempre infelici, perché per loro l’amore è grande e quindi esigono dalla bien-aimée la stessa intensità di pensieri ch’essi hanno per lei — altrimenti si sentono traditi.

A una donna ripugna un uomo che pensi a lei giorno e notte — per la ragione che lei non ci pensa.

Non è vero che con l’andare degli anni l’amore si faccia meno tremendo. Alle solite sofferenze (gelosia, brama, ecc.) si aggiunge il terrore del tempo che fugge irreparabile.

Nessuno rinuncia a ciò che conosce. Si rinuncia solo a ciò che si ignora. Ecco perché i giovani sono meno egoisti degli adulti e dei vecchi.

15 ottobre.

Le cose si ottengono quando non si desiderano piú.

Per consolare il giovane cui succede una disgrazia, gli si dice: «Sii forte, prendila con fegato; sarai corazzato per l’avvenire. Una volta succede a tutti, ecc.». Nessuno pensa a dirgli quello che invece è vero: questa stessa disgrazia ti succederà due, quattro, dieci volte — ti succederà sempre, perché, se sei cosí fatto che le hai offerto il fianco ora, lo stesso dovrà accaderti in avvenire. [p. 195 modifica]

Tipologia delle donne: quelle che sfruttano e quelle che si lasciano sfruttare. Tipologia degli uomini: quelli che amano il primo tipo e quelli che amano il secondo.

Le prime sono melliflue, urbane, signore.

Le seconde sono aspre, maleducate, incapaci di dominio di sé. (Ciò che rende villani e violenti è la sete di tenerezza).

Tutti e due i tipi confermano la impossibilità di comunione umana. Ci sono servi e padroni, non ci sono uguali.

La sola regola eroica: essere soli soli soli.

Quando passerai una giornata senza presupporre né implicare in nessun tuo gesto o pensiero la presenza di altri, potrai chiamarti eroico.

O altrimenti essere Cristo — cioè annientarsi. Ma l’hai detto ieri — nessuno rinuncia a ciò che conosce — e tu conosci troppe cose.

17 ottobre.

Non si mentisce la propria natura.

Hai voluto fare una cosa forte, fuggire come lo stoico che si domina, e ti sei messo in situazione che né sei fuggito né godi piú la naturale compagnia di un tempo.

La lezione piú atroce di quest’altro calcio è che non eri per nulla cambiato, per nulla corretto, dai due anni di meditazione.

Ciò per toglierti anche il conforto che tu possa ancora uscire da questo pozzo con la meditazione.

20 ottobre.

La tua pena particolare — che è quella di tutti i poeti — sta in questo, che per vocazione tu non puoi avere che un pubblico, e invece cerchi anime gemelle. [p. 196 modifica]

Gli artisti interessano le donne non in quanto sono artisti, ma in quanto riescono nel mondo.

È naturale. Sposarsi è farsi una posizione, e quale uomo — il piú altruista — s’impiegherebbe, avendo possibilità di scelta, in un’azienda non solida? Cosí le donne, e fanno bene.

Anche sacrificarsi (o rinunciare) è un problema di astuzia.

Parli sempre d’astuzia proprio tu che sei nato per tutt’altro.

Ciò che distingue l’uomo dal bambino è il saper dominare una donna.

Ciò che distingue la donna dalla bambina è il saper sfruttare un uomo. (Il secondo gruppo di donne — del 15 ottobre — è in sostanza il gruppo delle bambine — tant’è vero che si tratta di anime incapaci di controllo di sé).

E poi: Bambini o Adulti si nasce, non si diventa.

E ora consòlati.

21 ottobre.

Siccome ciò che un uomo cerca nei piaceri è un infinito, e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di conseguire questa infinità, ecco che succede che tutti i piaceri finiscono nel disgusto. È un ritrovato della Natura per staccarcene violentemente.

22 ottobre.

(Cfr. 9 ottobre ’39, IV Lavelle). Una persona conta per quello che è, non per le azioni che fa. Le azioni non sono vita morale; il modo come trattiamo gli altri è solo bene — o maleficenza. Vita morale è l’essere eterno, immutabile, dell’io — le azioni non sono che [p. 197 modifica]increspature su questo mare, che rivela i suoi abissi reali soltanto nelle tempeste, e poi nemmeno.

23 ottobre.

Non sono ambizioso: sono orgoglioso.

La vita attiva è virtú femminile; quella contemplativa, maschile. (Cfr. 14 ottobre, II, e Analisi amorosa di F.). Un significato della mia presenza in questo secolo potrebbe essere la missione di sfatare il leopardiano-nietzchiano mito che la vita attiva sia superiore alla contemplativa. Dimostrare che la dignità del grand’uomo consiste nel non consentire al lavoro, alla socialità, al bourrage. Senza, si capisce, smettere di vivere dostojevskianamente. Tutte le passioni, vengano pure. Ma non dimenticare che si conta per ciò che si è non per ciò che si fa (22 ottobre).

24 ottobre.

La strategia amorosa si sa adoperare soltanto quando non si è innamorati.

30 ottobre.

Il dolore non è affatto un privilegio, un segno di nobiltà, un ricordo di Dio. Il dolore è una cosa bestiale e feroce, banale e gratuita, naturale come l’aria. È impalpabile, sfugge a ogni presa e a ogni lotta; vive nel tempo, è la stessa cosa che il tempo; se ha dei sussulti e degli urli, li ha soltanto per lasciar meglio indifeso chi soffre, negli istanti che seguiranno, nei lunghi istanti in cui si riassapora lo strazio passato e si aspetta il successivo. Questi sussulti non sono il dolore propriamente detto, sono istanti di vitalità inventati dai nervi per far sentire la durata del dolore vero, la durata tediosa, esasperante, infinita del tempo-dolore. Chi soffre è sempre [p. 198 modifica]in stato d’attesa — attesa del sussulto e attesa del nuovo sussulto. Viene il momento che si preferisce la crisi dell’urlo alla sua attesa. Viene il momento che si grida senza necessità, pur di rompere la corrente del tempo, pur di sentire che accade qualcosa, che la durata eterna del dolore bestiale si è un istante interrotta — sia pure per intensificarsi.

Qualche volta viene il sospetto che la morte — l’inferno — consisterà ancora del fluire di un dolore senza sussulti, senza voce, senza istanti, tutto tempo e tutto eternità, incessante come il fluire del sangue in un corpo che non morirà piú.

La forza dell’indifferenza! — è quella che ha permesso alle pietre di durare immutate per milioni d’anni.

31 ottobre.

La prova che tutto in te è orgoglio, eccola. Ora che hai riacquistato il permesso di telefonarle e scriverle, non solo non lo fai, ma nemmeno senti il bisogno bruciante di farlo.

Che potrebbe anche essere la prova che in tutte le cose noi cerchiamo soltanto la possibilità futura. Se sappiamo che una cosa la potremo fare, saremo contenti e non la faremo forse nemmeno.

1° novembre.

Fern. cerca nell’uomo povero le virtú del ricco (squisitezza, sentire delicato, socievolezza, ecc.) e nel ricco le virtú del povero (serietà, praticità semplice, bontà laboriosa, ecc.).

2 novembre.

Chi non si salva da sé, nessuno lo può salvare9. [p. 199 modifica]

Mi sono accorto sovente che ciò che scoprirò valere e importare di piú, comincia sempre col dispiacermi e ripugnarmi.

8 novembre.

A sentire Freud (Essais de Psychanalyse) tutto il pensiero nasce dall’istinto della morte: è uno sforzo per legare i moti fuggitivi, dionisiaci, libidinosi della vita, in uno schema che contenti il narcissismo dell’io. L’io tende alla regressione verso la quiete, a bastare a se stesso, nella sua immobilità e assenza di desideri.

È una verità che si apprezza quando si soffre e si cerca di analizzare, capire, fissare la propria crisi e in definitiva ucciderla.

9 novembre.

Tutto ciò che fa il nostro corpo oltre all’esercizio dei sensi, rimane impercepito. Le piú vitali funzioni (circolazione, digestione, ecc.) non le sappiamo. Cosí è del nostro spirito: ignoriamo tutti i suoi movimenti e mutamenti, le sue crisi ecc. che non siano la superficiale ideazione schematizzante.

Soltanto una malattia ci rivela le profondità funzionali del nostro corpo. Cosí presentiamo quelle dello spirito, quando siamo squilibrati.

12 novembre.

Si ha pietà soltanto delle persone che di sé non ne hanno.

24 novembre.

Recinto a cancelli e griglie, multispartito (= piscina). F. apre a tre (= i tre siciliani del rifugio di stanotte) composti, minaccioso-sorridenti, taciturni. F. aprendo assume un volto duro. Io sono prigioniero di questi tre — ne ho la piena sensazione, e ogni tanto [p. 200 modifica]guardo F. che non dice nulla ed è dura. Penso al lungo inganno che mi ha teso per farmi cadere nelle mani di costoro (= conoscenze misteriose delle molte, ma anche forse un fratello). Il quale fratello oscuramente si ripromette di mettersi ai ferri corti con me su questioni di studio della sorella F. Hanno pugni pesanti e scherzano tra loro. Io sono sorvegliato a coda d’occhio. Il senso di pericolo che verrà da loro è fortissimo e angoscioso.

Finché giro un cancello e galoppo furtivo, e grido a F. che la rivedrò e le spiegherò. Cioè, che non credo al suo tradimento.

30 dicembre.

foscolo, Prose letterarie, Le Monnier.

 vol. II, p. 65 «Chi dunque è capace di piú forti sensazioni, ha piú vigore d’idee».

Lezioni di Eloquenza:

 p. 129 «nella storia letteraria tanti uomini che pur poteano lusingarsi di vera e utile gloria, e che nondimeno dopo i primi e nobili tentativi si rimasero da ogni lavoro ed anteposero di vivere ignoti, benché e forse nell’ozio e nell’oscurità non trovarono la contentezza e la pace a cui sí modestamente aspiravano».

 p. 19 nota «R. Cartesio pianta per assioma. Che la natura abbia dotati gli uomini di pari facoltà di ragionare (Diss. de Methodo, num. 1): Gian Giacomo Rousseau incomincia il Contratto Sociale con questa sentenza: L’uomo nasce libero: errori ambedue funestissimi sempre alla filosofia delle lettere e del governo».

 p. 152 «cosí che voi cadreste appunto in quel disinganno che è l’unico scoglio che l’uomo deve accuratamente schivare».

Sul testo del «Decamerone»:

 vol. III, p. 20: «Non però è meno vero che i dialetti diversi hanno perpetuamente cospirato a comporre una lingua letteraria e nazionale in Italia, non mai parlata da veruno, intesa sempre da tutti, e scritta piú o meno bene secondo l’ingegno, e l’arte, e il cuore piú che altro degli scrittori». [p. 201 modifica]

 p. 38 (dialetti per lingua letteraria). «Le antiche commedie toscane, e le veneziane del Goldoni, sono le migliori: ma nel regno di Napoli, e a Roma, ed in Lombardia, riescirebbero freddissime al popolo».

 p. 41 (Boccaccio): «tutti scrivevano in modo diverso dal suo, chi affermerà ch’ei scrivesse per l’appunto come parlava, e che la lingua scritta da lui fosse il dialetto del popolo Fiorentino, né piú né meno?»

 p. 42: «Se non che l’arte, necessaria in tutte le lingue, riesce difficilissima agli Italiani; perché non hanno Corte né città capitale, né parlamenti dove la lingua possa arricchirsi secondando... il corso e mutazioni delle idee».

 p. 43 «per l’essenza sua letteraria, la lingua Italiana fu l’unica tra le lingue recenti la quale abbia preservato quasi tutte le sue parole armoniose, evidenti e graziose, e tutti i suoi modi eleganti, per cinque secoli e piú».

 p. 58: «Altrove, spero, ho appurato che la lingua Omerica non fu congegnata a mosaico di dialetti diversi, com’è generale opinione: ma sí, che fu studiata da poeti e da storici a infondere qualità letteraria a dialetti delle loro città, sí che scrivendoli riescissero piú agevoli a tutta la Grecia (History of theè Aeolic Digamma)».

 p. 76: (la Crusca): «rimane pur sempre vocabolario di dialetto e non di lingua» .

Sul testo del Poema di Dante:

 p. 117: «scrittori Greci e Romani... non perché insegnino teorie di libertà naturale e di diritti imprescrittibili, quando anzi per essi tutto diritto ed obbligo erano decretati dal fato e dalla vittoria».

 p. 120: «né le opinioni prevalgono mai se non quando regnano in compagnia della forza dei governi per cui solo possono prosperare».

 p. 321: «Le lingue, dove è nazione, sono patrimonio pubblico amministrato dagli eloquenti; e dove non è, si rimangono patrimonio di letterati; e gli autori di libri scrivono solo per autori di libri».

 p. 382: «E mi credo, e in ciò mi sento sicuro del vero, che moltissimi tratti, e piú veramente i dottrinali e allegorici del Paradiso, siano stati i primi pensati e composti piú tempo innanzi che [p. 202 modifica]il Poeta s’insignorisse della lingua e dell’arte. Perché di rado nella prima Cantica, e piú di rado nella seconda, gli è forza di contentarsi di latinismi crudissimi, di ambiguità di sintassi, e di modi ruvidi che alle volte guastano l’ultima».

 p. 453: «da quali di esse idee piú naturalmente prorompano fantasmi poetici».

 p. 458: «D. li serbava; e con essi i significati meno rari nel verbo medesimo di durabilità di tempo, e di costanza e vigore crescente di azione. Indi può intendersi, altrimenti parrebbe enigma, ciò ch’ei diceva al suo Interprete: “che molte e spesse volte faceva li vocaboli dire nelle sue Rime altro che quello che erano appo gli altri dicitori usati di esprimere” (l’Anonimo) “Indi il conflitto d’idee concomitanti prorompe simultaneo e potente dalle sue locuzioni”».

 p. 479: «La lingua nondimeno per que’ suoi fondatori fu scritta, né mai parlata; e quindi i libri non avendo compiaciuto alle successive pronunzie, gli organi della voce hanno da stare obbedientissimi all’occhio».

Sulla Lingua italiana (scritto in Inghilterra in italiano):

 vol. IV, p. 180 (Lingua d’Omero): «nelle parole procede costantemente semplice, e naturalmente grammaticale. Le sue frasi non sono mai troppo pregne di metafore, e non mai applicate a idee metafisiche, né a pensieri o sentimenti che non siano, per cosí dire, tangibili. Cosicché, se vi si togliesse il metro dei versi, e l’Iliade e l’Odissea si riducessero in prosa, parrebbero storie romanzesche e meravigliose come mille altre che a’ dí nostri si scrivono in lingue e stile mille volte peggiori...»

«La lingua poetica di Dante... non ha potuto, né potrà mai servire di modello a composizioni in prosa».

 p. 197: «Finalmente Tucidice adopera i vocaboli quasi materia passiva, e li costringe a raddensare passioni, immagini e riflessioni piú molte che forse non possono talor contenere; ond’ei pare quasi tiranno della sua lingua. Or il Boccaccio la vezzeggia da innamorato...»

 p. 210 (Petrarca): «ma la sua lingua è piú dell’autore che della nazione».

 p. 211: «il Villani, il piú idiomatico tra gli scrittori fiorentini». [p. 203 modifica]

Cfr. per le sue tendenze e capacità analitiche di romanziere il Saggio d’un Gazzettino del Bel mondo (Al Lettore, dove è espressa la rassegnazione del quarantenne) e i Frammenti, specialmente il 10° «... Io, col cuore irrigidito dalla esperienza...»; la prefazione alla grande traduzione (Didimo Chierico a’ lettori salute) dove descrive Sterne «... e gli occhi suoi scintillanti di desiderio, par che si chinino vergognosi»; la Notizia intorno a Didimo Chierico tutta; la Lettera Apologetica; le tirate degli Atti dell’Accademia de’ Pitagorici (essay umoristico e dolente tipo il Bel Mondo); la traduzione del Viaggio sentimentale; la traduzione Degli effetti della fame e della disperazione sull’uomo, tolta da un Voyage en Pensylvanie de Crevecœur; e infine il tentativo giovanile del Jacopo Ortis. Non divenne romanziere anche perché si trovò in Sterne e si accontentò di tradurre, ma il suo tipo di humour era appunto quello — come dimostrano il Bel Mondo e gli Atti e i Frammenti vari.


Note

  1. Nel manoscritto leggiamo: Dostoievskii? [N. d. E.].
    Shakespeare?
    Stendhal
  2. Omesse due righe [N. d. E.].
  3. La tenda: titolo iniziale del racconto La bella estate (nel volume La bella estate, Einaudi, 1949)
  4. Sottolineatura e segni in margine a matita [N. d. E.].
  5. Nel manoscritto leggiamo: futuro? [N. d. E.].
    passato
  6. Beckons from afar [N. d. A.].
  7. Omesse due righe [N. d. E.].
  8. Omessi nove versi di una filastrocca oscena in piemontese [N. d. E.].
  9. Nel manoscritto leggiamo: non lo salva nessuno [N. d. E.].
    nessuno lo può salvare