Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. II)/Libro undecimo - Capo II

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Libro undecimo - Capo II

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C a p o   II.


Stato delle arti sotto gl’imperatori – Augusto... suoi monumenti – Supposte statue di Cincinnato... di Livia... e di Cleopatra – Statue d’Augusto... sue teste... e gemme – Testa d’Agrippa – Cariatide – Opere d’architettura... irregolarità di essa – Depravazione del gusto – Monumenti d’Asinio... e di Vedio Pollione – Tiberio non favorì punto le arti... sue teste... base a lui eretta – Immagini di Germanico – Nocque pure alle arti Caligola...sue teste – Claudio non avea gusto... sua effìgie – Pretesi gruppi d’Arria e Peto... di Papirio e sua madre.

Stato delle arti sotto gl’imperatori Quando Roma riconobbe un solo monarca, andarono le arti a stabilirsi in essa come nel loro centro, e ivi concorsero i migliori maestri, poichè rare occasioni di lavorare somministrava loro la Grecia. Atene, perchè era stata del partito d’Antonio, spogliata fu da Augusto di molti suoi privilegi1, e dal suo dominio egli ne sottrasse gli Eretrj e gli Egineti; nè, benchè gli Ateniesi ergessero a questo imperatore un tempio, di cui esìste tuttora il portale d’ordine dorico2, furon poscia con maggior clemenza trattati. Verso la fine del di lui regno tentarono di sollevarsì, ma furono bentosto ridotti all’ubbidienza.

§. 1. Della decadenza dell’arte nelle città greche fanno testimonianza le monete, e singolarmente quelle grandi medaglie di bronzo, che chiamar sogliamo medaglioni. Osservasi che quelle, le quali hanno intorno un’epigrafe greca, inferiori sono alle altre che hanno l’iscrizione latina; e dirsi può in generale che, se un raro medaglione romano vien pagato 50. scudi, un greco ne varrebbe appena dieci.

[p. 327 modifica] Augusto... §. 2. Augusto, cui Tito Livio chiama l’autore e ’l restauratore di tutt’i tempj, era altresì grand’amatore de’ monumenti dell’arte, onde di lui ben disse Orazio che

....veteres revocavit artes3.

... suoi monumenti §. 3. Comperò egli molte belle figure delle divinità per ornare le piazze e le strade di Roma4; e le statue di tutt’i grand’uomini romani, che aveano contribuito all’ingrandimento della patria, rappresentati quali in atto di trionfare, furono da lui collocate nel portico del suo Foro, ove pur fece restaurare quelle che già vi esistevano5. Fra queste eravi quella d’Enea6. Da un’iscrizione trovata nel sepolcro de’ servi e liberti di Livia7 sembra che fu quelli o fu altri monumenti dell’arte avesse Augusto8 fissato un ispettore9.

Supposte statue... §. 4. Fra le statue degli eroi romani collocate da quest’imperatore nel Foro, se vogliamo seguire l’opinione ricevuta, annovereremo quella che dicesi di L. Quinzio Cincinnato, ...di Cincinnato... esistente una volta nella villa Montalto poscia Negroni, ed ora a Versailles10. E’ questa una figura virile affatto ignuda, in atto di allacciarsi al piè destro un calzare, essendo l’altro presso il piè sinistro che è scalzo. Dietro ai piedi della statua v’è un vomere, per cui si è creduta effigie di Cincinnato, [p. 328 modifica]ben sapendosi che questo grand’uomo fu dal Senato eletto a dittatore della repubblica nel tempo che stava arando i proprj campi11. Tale stromento però non vedesi nella figura in rame pubblicatane dal de Rossi; e non so perchè Maffei12, il quale ne parla secondo questa figura, abbiala attribuita al mentovato dittatore, e ne racconti la nota istoria; poichè mancando il vomere non ha più la statua nessun rapporto con Cincinnato. Lo stesso Maffei crede altresì di ravvisare l’effigie del medesimo eroe in una gemma incisa, ma non ne adduce nessun argomento, e sembra questa altronde un lavoro moderno13.

§. 5. Se debbo dire il parer mio intorno a quella statua, io penso che, essendo essa ignuda, non possa in alcun modo esser l’effigie di Cincinnato, nè di alcun console romano. E’ quindi chiaro che debba essere una statua eroica; e, se mal non m’appongo, rappresenta Giasone allorchè fu con altri invitato da Pelia suo zio, cui era ignoto, ad un solenne sagrificio che far si doveva a Nettuno. Ebbe l’eroe l’invito mentre stava arando, e ciò forse nella statua indicar si volle col vomere: e siccome avea dovuto attraversare il fiume Anauro, erasi in fretta allacciato il calzare al piè destro, dimenticandosi del sinistro14; onde essendosi presentato così a Pelia fegli risovvenire dell’oracolo che risposto gli avea di guardarsi da colui, che a lui venisse con un solo calzare, μονοκρηπίς15. Così a mio parere s’indovina meglio che in qualunque altro modo l’intenzione dell’artista che scolpì quella statua16. Eravi pure una figura [p. 329 modifica]d’Anacreonte con un calzare soltanto, per indicare che avea perduto l’altro nell’ubbriachezza17.

§. 6. A quest’epoca pur apparterrebbe, se convenissero i nomi alle cose, la Livia della villa Mattei tanto celebrata dagli scrittori, tra i quali però alcuni la dicono Sabina18 moglie d’Adriano; ma tale statua ha la figura d’una Melpomene, anzichè d’un’imperatrice, come rilevasi dal coturno19. Così alle due figure muliebri sdrajate, maggiori della grandezza naturale, una in Belvedere, e l’altra nella villa Medici, è stato dato il nome di Cleopatra perchè hanno un braccialetto in figura di serpente20; e si legge altresì che in tal positura sia stata trovata morta la regina d’Egitto21; ma quelle statue più probabilmente rappresentano delle [p. 330 modifica]Ninfe dormenti22 o Venere23: e quindi nulla da esse si può inferire per giudicare dell’arte ai tempi d’Augusto. La della prima non ha altro di rimarchevole, se non che è un po di traverso24; la seconda, che da alcuni tiensi per un miracolo dell’arte, e si paragona alle più belle teste antiche25, è senza dubbio nuova, e lavoro d’un artefice, che non avea studiato il bello nè sulla natura nè su i pregevoli monumenti dell’antichità. Una simile figura, che apparteneva dianzi al museo Odescalchi, è stata trasportata in Ispagna nel museo reale a sant’Ildefonso.

Statue d’Augusto... §. 7. Opere certe di questi tempi sono la statua d’Augusto nel Campidoglio26, che è d’un lavoro mediocre, e lo rappresenta in un’età giovanile, con un rostro di nave ai piedi allusivo alla battaglia d’Azio27, e la statua sedente dello stesso Cesare nel luogo medesimo, la quale però verosimilmente non ha di lui che la testa, e altronde merita appena d’esser qui mentovata28.

... sue teste... §. 8. Il marchese Maffei parla d’una testa d’Augusto colla corona civica, cioè coronata d’un ramo di quercia, esistente nel museo Bevilacqua a Verona, e dubita, se altra ve [p. 331 modifica]n’abbia con tal corona29; ma è strano che non gli fosse nota una simil testa d’Augusto nella biblioteca di s. Marco a Venezia30: oltre di che tre teste del medesimo imperatore così coronate veggonsi nella villa Albani; e presso il signor generale Walmoden serbasi una così cinta testina d’agata, grossa quanto un melarancio: essa però è sì guasta che appena è restata la capigliatura e gli occhi a cui riconoscere Augusto31.

...e gemme. §. 9. Abbiamo pure alcune gemme che portano il nome di Dioscoride, incisore delle teste d’Augusto, le quali a quell’imperatore32, e quindi a’ suoi successori, eccettuatone Galba, servirono di sigillo. Una di queste gemme33, posseduta dal signor marchese Massimi in Roma, è stata rotta in tre pezzi nel volerla legare in oro. Rimarchevole è qui l’effigie d’Augusto per la barba che ha alquanto lunga, laddove nelle altre sue teste è sbarbato sempre e liscio, ond’è probabile che qui rappresentisi in que’ giorni in cui afflitto per la disfatta di Varo si lasciò crescere la barba, come dicemmo qui avanti34. Con simil barba vedesi nella villa [p. 332 modifica]Albani una testa dell’imperatore Ottone, in cui non è meno straordinaria che in quella d’Augusto. Merita d’efler qui principalmente rammemorata la bella testa d’Augusto incisa in una calcedonia alta più di mezzo palmo romano, esistente nel museo della biblioteca Vaticana, e pubblicata dal Buonarruoti35.

Testa d’Agrippa. §. 10. Faremo pur qui menzione d’una bella e poco men che colossale testa di M. Agrippa, uomo il più grande di quelli tempi36. Evvi a Venezia nel palazzo Grimani una statua eroica che dicesi del medesimo Agrippa; ma, se così venga a ragion nominata, lascerò che ne giudichi chi potrà ben esaminare se la testa sia la vera antica della statua, e se somigli alle altre note teste di quel celebre romano.

Cariatide. §. 11. Un altro monumento, forse più pregevole de’ sin qui mentovati e verosimilmente opera de’ tempi d’Augusto, ancor ci rimane, cioè una delle Cariatidi di Diogene ateniese, che stavano nel Panteon37. Si dà il nome di Cariatidi a tutte le figure destinate a sostenere qualche parte degli edifizj, o femminili sian effe o maschili, sebbene queste solessero anche chiamarsi Atlanti dai Greci, e Telamoni dai Romani38. Stava tal monumento per terra e trascurato nel [p. 333 modifica]cortile del palazzo Farnese a Roma, daddove fu trasportato a Napoli alcuni anni addietro. E’ quella la metà d’una figura maschile affatto ignuda, cui mancan le braccia colla metà inferiore del corpo. Ha sul capo una specie di canestro, che non è però d’un pezzo solo col resto, e vi si veggono indizi di foglie, e probabilmente d’acanto, che intorno lo circondavano ad imitazione di quello della fanciulla corintia, da cui l’artista Callimaco, vedutolo così di foglie ornato, l’idea prese del capitello corintio. La mezza figura ha circa otto palmi romani d’altezza, e due palmi e mezzo il canestro; onde potea benissimo l’intera statua aver la debita proporzione coll’ordine attico del Panteon, in cui, secondo Plinio, erano collocate le Cariatidi, e che ha circa 19. palmi d’altezza39. Una pubblica prova del suo poco sapere nell’antiquaria diede uno scrittore40 che prese per una di queste Cariatidi certa figura di rilievo posta sopra lo stipite d’un arco, che sino a’ tempi suoi era stato sotterra vicino al Panteon, e sotto tal nome pubblicolla41.

Monumenti d'architettura... $. 12. Fra i monumenti d’architettura de’ tempi d’Augusto sussiste tuttora sotto Tivoli presso l’Aniene, il sepolcro in forma rotonda della famiglia Plauzia, edificato di pietre quadre per ordine di M. Plauzio Silvano, che fu console insieme ad Augusto. Sen vedono alla facciata gli epitafj fra le mezze colonne; quello di mezzo, scritto in più grosil caratteri, riguarda lo stesso Plauzio che lo fece fabbricare: vi [p. 334 modifica]si fa menzione de’ suoi meriti, delle sse gesta militari, e del suo trionfo per la vittoria riportata contro gli lllirj; ed è terminato con queste parole VIXIT. ANN. IX. Wright ne’ suoi Viaggi ec.42, non sapendo capire come uno che avea fatto tante cose ed era stato console, avesse vissuti soli nove anni, si argomenta di sciogliere la difficoltà con dire che vi manca un L avanti IX, e gli dà così cinquantanov’anni di vita. Ma egli non ben s’appone, poichè qui non manca nessun numero, e sì le lettere delle parole che le numeriche, lunghe una buona spanna, si sono benissimo conservate. Convien dire piuttosto che M. Plauzio numerasse soltanto quegli anni, che passati avea tranquillamente nella sua villa contigua al sepolcro, non computando per nulla l’antecedente sua vita. Così visse altrettanto l’imperatore Diocleziano in una sua villa presso Salona nella Dalmazia, dopo d’avere abdicato l’impero; e simile, uno de’ più ragguardevoli cittadini ai tempi di Adriano, fece scrivere sul suo sepolcro, ch’egli, comunque vecchio, pur non avea vissuto che sett’anni, cioè che solo per quello tratto di tempo avea goduta alla campagna una tranquilla esistenza43. A quella occasione io nominerò le pitture del sepolcro de’ Nasoni, alla famiglia de’ quali appartiene anche Ovidio. Quelle disegnate furono allora e pubblicate da Sante Bartoli, ma non tutte si sono guastate in appresso, come Wright ed altri hanno creduto, poichè un pezzo se n’è conservato, esistente tuttora nella villa Altieri, in cui rappresentasi Edipo e la Sfinge44. Ne abbiamo data la descrizione al Libro VII. Capo III.45.

... irregolatità di essa. §. 13. Sebbene, come altrove osservammo46, sulle opere d’architettura eseguite lungi da Roma giudicar non si possa del gusto che allora regnava nella capitale; ciò non [p. 335 modifica]ostante voglio qui riferirne un monumento, per le stravaganze che vi si trovano. E’ quello un tempio a Milasso nella Caria47 edificato ad onore d’Augusto e di Roma, come appare da un’iscrizione nell’intavolato. Ivi contro ogni regola, e contro il buon gusto le colonne sono d’ordine romano o composito nella facciata, e jonico lateralmente, e sono alla base ornate de’ fogliami alla maniera de’ capitelli. Nè questa fabbrica è la sola in cui siano stati uniti in un solo due diversi ordini d’architettura; nel più piccolo de’ così detti Ninfei presso il lago di Castello veggonsi pilastri jonici con un fregio dorico; e un sepolcro presso la città di Girgenti in Sicilia, generalmente detto del tiranno Terone, ha su pilastri jonici non solo i triglifi dorici, ma eziandio sul cornicione dell’intavolato la solita serie di dentelli.

Depravazione del gusto. §. 14. Il buon gusto però cominciò a Roma medesima a decadere sotto Augusto riguardo allo stile degli scrittori, la qual cosa sembra doversi attribuire principalmente alla compiacenza loro per Mecenate, che amava uno stile ornato, molle, e piacevole48. La stessa decadenza di gusto manifestossi allora presso i pittori d’ornati, ond’ebbe a lagnarsi Vitruvio49 che, laddove la verità o la verosimiglianza almeno esser dovrebbono l’oggetto principale della pittura, invece dipingeansi cose contro natura, e tali che immaginarsi non poteano da una sana mente, come palazzi su canne, su giunchi, e su candelabri, colonne informi, lunghe, e sottilissime, quali erano i bastoni che sosteneano le lucerne degli antichi. Di questa maniera di dipingere possono darci un’idea alcuni pezzi delle pitture d’Ercolano50, fatte forse a que’ tempi, e certamente non molto dopo. Le colonne [p. 336 modifica]son lunghe il doppio di quello ch’esser dovrebbono, e anzi alcune veggonxi fatte a forma spirale, il che ripugna all’idea d’un corpo destinato a sostenere51: gli ornati ne sono stravaganti e barbari52. Sono stati dipinti con un’architettura di quella maniera, oltre un muro lungo quaranta palmi nel palazzo de’ Cesari, ora nella villa Farnese, tutt’i bagni di Tito53.

Monumenti d’Asinio... §. 15. Non meno che quello d’Augusto esser dee celebre nella storia dell’arte il nome d’Asinio Pollione, di cui narra Plinio54 che le opere degli antichi artisti raccolse, e alla pubblica vista le espose. V’erano fra quelle il rinomato Toro Farnese di cui già parlammo55, e le così dette Ippiadi di Stefano, che probabilmente rappresentavano delle Amazzoni a cavallo, dal nome ἵππος cavallo. Io rammento qui quelle Ippiadi non perchè possiamo riportare a quelli tempi l’età dello scultore, ma perchè probabilmente fu esso quel medesimo Stefano, cui Menelao, nella greca iscrizione d’un suo gruppo esistente nella villa Lodovisi, di cui parleremo qui appresso, chiama suo maestro.

...e di Vedio Pollione. §. 16. Viveva allora un altro celebre Pollione col prenome di Vedio, che fece edificare una magnisica villa su Pausilipo presso Napoli, e lasciolla per testamento ad Augusto. In essa fu trovato un bel basso-rilievo, che noi pubblicheremo altrove. Sorprendono tuttora le ruine di quella villa, fra le quali v’è la gran peschiera delle murene formata in mezzo al mare con un muro, in cui fece gettare per [p. 337 modifica]per cibo de’ pesci (ad murænas) lo schiavo che ruppe un prezioso vaso di cristallo, mentre avea seco a mensa Augusto. L’imperatore allora fece spezzare tutti que’ vasi acciò Pollione non avesse più motivo di usare una simile crudeltà56, Questa peschiera sussiste intera, e v’è tutta l’apparenza che le due grate di bronzo, per le quali passa l’acqua, siano ancora le antiche. Non so se alcuno scrittore abbia sinora ben esaminato questo ragguardevole monumento.

Tiberio non favorì le arti. §. 17. Degli artisti che fiorirono sotto i primi successori d’Augusto, appena sono a noi pervenuti alcuni nomi. Star dovean assai male sotto Tiberio, che poco fece edificare57; e poiché con ogni sorta di pretesto per mezzo d’iniqui emissarj spogliava de’ loro beni i ricchi di tutte le provincie58, è naturale che niuno avrà voluto impiegar l’oro per avere de’ sontuosi lavori esposti all’avidità dell’imperatore e de’ suoi ministri. Non s’innalzò d’ordin suo altra fabbrica, fuorché il tempio d’Augusto, a cui nemmeno diè compimento59. Fece prendere a Siracusa, per collocarla nella biblioteca palatina, una statua d’Apollo detto Temenite60 dalla fonte Temene da cui prendeva il nome un quartiere di quella città. Vero è che Tiberio, essendogli stato lasciato in legato un quadro immodesto di Parrasio, o una somma considerevole in vece di esso se non gliene fosse piaciuto il soggetto, il quadro preferì al denaro61; ma ciò dimostra la sua inclinazione alle cose lubriche anziché l’amor suo per le arti. Avvilite erano allora le statue, perchè sovente ergeansi in ricompenfa a’ delatori62.

...sue teste §. 18. Rare sono le teste di questo imperatore, e molto più che quelle d’Augusto; due però se ne vedono nel museo [p. 338 modifica]Capitolino63, ed una nella villa Albani imposta ad una statua: in questa vien egli rappresentato nella sua gioventù, laddove quelle sono d’un’età più avanzata64.

Base a lui eretta. §. 19. Il solo pubblico monumento dell’arte di questi tempi sino a noi conservatosi è una base quadrangolare esistente sulla piazza di Pozzuolo, eretta ad onor di Tiberio da quattordici città asiatiche, le quali, dopo il terremoto per cui molto aveano sofferto, furono da lui riedificate, come appare dall’appostavi iscrizione, e sappiamo dalla storia65. Ogni città è ivi rappresentata con una figura simbolica, sotto di cui v’è il suo nome. Alcuni con ragione si son maravigliati, perchè in Pozzuolo, anzichè in Roma, sia stato eretto tal monumento; ma ciò probabilmente è stato fatto affinchè fosse veduto dall’imperatore che aveva allor fissato il suo soggiorno nella vicina isola di Capri, daddove visitava sovente i contorni di Pozzuolo, e ch’è poi morto nella villa di Lucullo sul promontorio di Miseno, senza più ritornare alla capitale66.

Immagini di Germanico. §. 20. Si dà il nome di Germanico, nipote di Tiberio67, ad una bella statua esistente a Versailles, che era dianzi in Roma nella villa Montalto poscia Negroni68. Prima però di così chiamarla bisognerebbe esaminare se la testa è simile alle altre che abbiamo di questo principe, e se è dessa la testa originale della statua, ovvero posticcia. V’è nello zoccolo il nome dello scultore Cleomene, e su di esso [p. 339 modifica]una testuggine sulla quale cade il panneggiamento, che pende dalla man sinistra della figura, ignuda nel resto. La testuggine deve qui avere certamente qualche significato; ma io non so ora congetturarne nessuno che abbia della verosimiglianza69. Quella su cui appoggiava il piede la Venere di Fidia ha un senso simbolico che qui non può aver luogo70. Vera testa di Germanico è quella che vedesi in Campidoglio71, ed è al tempo stesso una delle più belle teste de’ cesari che ivi siano. V’era altre volte in Ispagna la base d’una statua che allo stesso Germanico avea fatta ergere l’edile L. Turpilio72.

Nocque pur alle arti Caligola... §. 21. Caligola, per cui ordine abbattute furono e rotte le statue degli uomini illustri porte in Campo Marzo73, che fece levar le teste alle più belle statue delle divinità per collocarvi la propria74, che annichilar voleva le opere di Omero75, non può certamente considerarsi come protettore delle arti76. Egli però spedì in Grecia Memmio Regolo, a cui avea rapita la sposa Lollia Paolina, con ordine di spogliare tutte le città delle migliori statue, e trasportarle a Roma, sotto il pretesto che le più belle cose doveano stare nel più bel luogo della terra, e che questo era Roma77. Qui le divise fra le sue ville. Quello comando s’estese sino al Giove Olimpico di Fidia78, ma gli architetti gli fecero [p. 340 modifica]intendere che, essendo tal figura formata d’avorio e d’oro, nello smoverla da quel luogo, scomposta sarebbesi e guadata; onde colà rimase79. Da ciò si argomenta che poco danno avesse fatto a tale statua il fulmine che percossa l’aveva ai tempi di Giulio Cesare80.

...sue teste. §. 22. Assai rare sono le figure di Caligola in pietra, e due sole teste ve n’ha a Roma; una di basalte nero nel museo Capitolino81, e l’altra di marmo bianco nella villa Albani, in cui ha la toga tirata sul capo come pontefice massimo82. La più bella effigie di quest’imperatore, e nel tempo stesso un de’ più ben lavorati cammei, è senza dubbio quello che fu comprato in Roma dal signor generale Walmoden nel 1766.83.

Claudio non aveva gusto. §. 23. Qual abile conoscitore de’ lavori dell’arte fosse Claudio, argomentar lo possiamo dall’aver egli fatte ritagliar da due quadri le teste d’Alessandro84, per mettervi in vece loro quelle d’Augusto. Non ostante la sua ignoranza però amava d’esser chiamato il protettore delle scienze, e perciò ampliò il museo, ossia l’abitazione de’ letterati in Alessandria85; ed aspirando alla gloria d’esser detto un nuovo Cadmo coll’inventare delle nuove lettere, immaginò d’usare la Ⅎ rivoltata. Un bel busto di quest’imperatore, trovato alle Frattocchie fuori di Roma, fu dal cardinal Gerolamo86 Colonna mandato in Ispagna87: e dicesi che, quando Madrid fu presa dagli Austriaci, lord Galloway, che n’andava in traccia, lo trovasse nell’Escuriale, posto per peso al grande orologio della chiesa, e lo mandasse in Inghilterra. Io però [p. 341 modifica]non so se vi sia pervenuto, e che ne sia stato appresso88.

Pretesi gruppi di Arria e Peto. §. 24. Una pregevol opera dei tempi di Claudio89 sarebbe il gruppo detto di Arria e Peto nella villa Lodovisi, se questi nomi veramente gli convenissero. E’ noto che, essendo Cecina Peto patrizio romano stato scoperto nella congiura di Scriboniano contro Claudio, e perciò condannato a morte, Arria sua moglie, per incoraggirlo a privarsi di vita anzichè perderla per mano d’un carnefice, si conficcò in sua presenza uno stilo nel petto, e trattoselo glielo presentò dicendo: non fa male90. Gli amatori conoscono questo gruppo composto d’una statua virile ignuda colle basette, che si conficca in petto una corta spada, e sostiene col manco braccio una figura vestita di donna caduta in ginocchio, dal cui petto veggonsi stillanti alcune gocce di sangue: sta a’ piedi di queste figure uno scudo ovale, e sotto di esso un fodero di spada.

§. 25. Secondo i miei principj, anzichè un avvenimento della romana storia, qui, come in tutte le altre opere d’antico scarpello, io ravviso qualche tratto mitologico91, tanto più che, secondo gl’indizj lasciatici da Plinio92, la figura virile essendo ignuda deve rappresentare un greco, o un personaggio de’ tempi eroici, e non un romano. Molto meno può ivi scorgersi un senatore, a cui non converrebbe nè lo scudo, nè la spada, nè le basette, che a’ tempi di Peto più non si portavano; e in nessun modo può ravvisarvisi Peto, il quale non ebbe il coraggio d’imitare l’esempio della moglie, e perì, al dir di Tacito93, condannato a tagliarsi le [p. 342 modifica]vene. Per ultimo, come mai a costui sarebbe stata eretta una statua, se quell’onore non trovasi accordato nemmeno a Trasea e ad Elvidio Prisco, i quali contro Nerone cospirato aveano, e da alcuni perciò venerati furono come dei?

§. 26. Il Maffei94, ben sapendo che Peto trucidato non s’era sul corpo della moglie, ricorre per ispiegare questo gruppo alla storia di Mitridate ultimo re di Ponto, e vede ivi rappresentato l’eunuco Menofilo, che uccise Dripetina figliuola di quel re a lui lasciata in custodia, acciò non fosse violata dai nemici, e quindi trafisse sè medesimo. Ma quella spiegazione conviene ancor meno della prima, non permettendo le ben intere parti genitali e le basette di qui ravvisare un eunuco95.

§. 27. Meno dal verosimile s’allontana Gronovio96, che scorge in quello gruppo Macareo figliuolo d’Eolo, e Canace sua sorella e sposa, i quali, secondo Igino97, un dopo l’altro s’uccisero: ma io, se devo qui proporre la mia opinione, vi ravviso piuttosto quel satellite che il medesimo Eolo, avendo risaputo l’incesto commesso da Macareo colla sorella Canace, spedì a questa con un ferro, col quale togliersi dovea la vita. Non approvo interamente il pensiere di Gronovio98, perchè nella figura virile non posso ravvisare il fratello di Canace il qual era un giovanetto, nè alcun eroe dell’antichità, poichè ignobili ne sono le sembianze, rendute ancora più vili dalle basette alla moda de’ barbari. [p. 343 modifica]Sembra pertanto che l’artista nel dare sembianze rozze, tratti feroci, e membra robuste e grossolane alla figura, abbia voluto esprimere un de’ satelliti, i quali per lo più sogliono di tal maniera rappresentarsi99; e tale aspetto hanno, e sono egualmente ignudi i satelliti del re Cercione nel basso-rilievo esprimente la favola di Alope nella villa Panfili100. La mia opinione vien confermata dalla figura femminile; poichè la chioma liscia e senza ricci, simile alla capigliatura usata da’ Greci nelle figure di genti straniere, e la sopraveste colle frangie, mostrano una persona che non era greca101. Se il mio leggitore non è soddisfatto di questa spiegazione, pensi che difficilmente se ne potrà dare una migliore, e forse il tutto meglio spiegherebbesi se avessimo un più esteso racconto del caso di Canace, di cui non altra memoria ci resta se non il poco che ne dice Igino, e la eroide d’Ovidio scritta a di lei nome al fratello Macareo102, in cui gli narra che il padre le ha mandato per un satellite un ferro, di cui già comprendea l’uso che fame doveva, immergendoselo nel petto:

Interea patrius vultu mærente satelles
Venit & indignos edidit ore sonos:
Æolus hunc ensem mittit tibi: tradidit ensem,
Et iubet ex merito scire, quid iste velit.'
Scimus; & et utemur violento fortiter ense;
Pectoribus condam dona paterna meis.

Ora poichè la lettera fu scritta poco prima di morire, nè verun autore più altro dice di quel satellite, possiamo dal gruppo argomentare che questi, il quale, ignorando il motivo della sua ambasciata, presentolle il ferro con volto [p. 344 modifica]turbato, siaselo conficcato nel petto dopo che vide Canace privatasi di vita103.

.... di Papirio e sua madre. §. 28. Come a quello gruppo è stato senza ragione dato il nome di Arria e Peto, così non meglio credesi rappresentato Papirio e sua madre in un altro gruppo della medesima villa degno egualmente de’ floridi tempi dell’arte greca. Lavoro è questo di Menelao scolare di Stefano, come appare dalla greca iscrizione. Ivi s’è voluto ravvisare un tratto storico raccontatoci da Aulo Gellio104, perchè generalmente si sono voluti spiegare colla storia romana gli antichi monumenti, anzichè crederli presi da Omero, o dalla greca mitologia. Che male siagli stato apposto quel nome argomentasi dall’essere opera di greco artefice, che certamente non avrà voluto scegliere un avvenimento de’ Romani, altronde poco importante e forse incerto, poichè Aulo Gellio, che lo riporta, dice d’averlo letto altre volte in un discorso di Catone, cui però più non avea sott’occhio quando ciò scriveva105.

§. 29. Un altro argomento per non ravvisare in questo gruppo Papirio si ricava dalla stessa figura in cui vuolsi [p. 345 modifica]rappresentato, la quale è ignuda, com’esser lo sogliono le figure de’ Greci, e non mai quelle de’ Romani, siccome già sopra avvertimmo colle parole di Plinio106.

§. 30. Non potendo qui dunque scorgersi Papirio, potrebbe credervi rappresentata Fedra che dichiarasi amante d’Ippolito, al che pur conviene una certa vergogna, quale espressa scorgesi sul di lei volto, ove non vedesi il menomo indizio di quello scaltro sorriso, che un moderno scrittore, giusta supponendo la prima denominazione, s’è immaginato di vedervi107. Tanto più verosimile sembra tale spiegazione, quanto che non solo sappiamo che gli antichi maestri più volte rappresentarono questo soggetto, ma lo scorgiamo tuttora nelle loro opere rimateci, fra le quali due ve ne sono nella villa Albani, ed una nella villa Panfili. Ma ciò non ostante non sa pienamente appagarmi quell’opinione. Ivi sembrerebbe che Fedra avesse dichiarato l’amor suo ad Ippolito, il che, secondo Euripide, essa mai non fece. Altronde i capelli in amendue le figure sono recisi e corti quali suole portarli Mercurio; laddove, presso gli antichi Greci, i giovani di quella età soleano generalmente portar lunga capigliatura, ed ha sempre una qualche particolare significazione la chioma recisa108.

[p. 346 modifica]§. 31. Questa circostanza de’ capelli corti, mentre dubbioso consideravo quel gruppo, mi suggerì una nuova spiegazione. Ivi parvemi di ravvisare Elettra in colloquio con Oreste fratel suo e di lei più giovane. Amendue aver doveano i capelli recisi: Elettra volle farsegli tagliare dalla sua sorella Crisotemide (il che qui dee prendersi come eseguito) affine di appenderli, unitamente a quelli della sorella medesima, alla tomba d’Agamennone come un monumento del loro durevol dolore109. Lo stesso avea fatto Oreste avansi di scoprirsi alla sorella; anzi avendoli Crisotemide trovati sulla tomba, serviron loro d’indizio del suo arrivo110. Or quando Oreste si svelò ad Elettra, essa la man gli prese, e dissegli: ἔχω σὲ χερσίν; ;111 ti tengo io per la mano? il che vien propriamente espresso in questo gruppo, in cui Elettra tien la sinistra mano sul braccio destro d’Oreste, e gli posa la destra sulla manca spalla112. Qui possiamo per tanto figurarci rappresentata l’interessante scena di Sofocle, che contiene quello dialogo, e certamente l’artista ha avuto più di mira quella tragedia, che le Coefore d’Eschilo. Sul volto d’amendue le figure vedesi chiaramente espresso il primo incontro d’Elettra con Oreste: gli occhi di lui sono come pieni di lagrime, e gonfie ne sembrano le palpebre pel lungo pianto; e tali pur sono in Elettra, ne’ cui tratti si scorge altresì la gioja mista alle lagrime, e la tenerezza unita al dolore113.

§. 32. Se queste figure per tanto sono Elettra ed Oreste, io potrò dire d’averle riconosciute a quello stesso indizio a cui, presso Eschilo, questi si fece da lei ravvisare, cioè alla [p. 347 modifica]chioma114, colla quale egli dissipar seppe ogni dubbio della sorella115. E sebbene nello scioglimento d’una tragedia, secondo l’avviso d’Aristotele116, questa maniera di riconoscimento fra due attori, detta ἀναγνώρισις, sia fra le quattro ivi accennate la meno interessante, nulla di meno deggiamo convenire che ci ha qui servito più che tutti gli altri indizj a dare una verosimile spiegazione di quel gruppo.

§. 33. Su questa supposizione io penso doversi pur dare il nome d’Elettra ad una bella statua della villa Panfili che, tranne il manco braccio, s’è serbata intera, è d’egual grandezza, ed ha la stessa espressione, anzi i medesimi tratti nel volto, sebbene diversa ne sia la positura. Io questa pur riconosco al medesimo indizio de’ capelli recisi, che sono altresì allo stesso modo lavorati. Questi capelli, che al primo scoprirsi della statua sembrarono una cosa affatto strana, e fecerla credere figura virile anziché di donna, indussero alcuni antiquarj, che non sapeano uscire dalla storia romana, a ravvisarvi il famoso P. Clodio in abiti donneschi, poiché in tal modo si travestì per introdursi ove si celebravano i segreti misterj della dea Bona, dai quali esclusi erano i maschi, affine di abusar della moglie di Cesare117. Sotto questo nome diffatti tale statua vien riportata in più d’un libro. Se per tanto, come a me pare, le conviene il nome d’Elettra, siccome vi manca l’antico zoccolo, io m’immagino che a questa figura fosse pur unita quella d’Oreste sulla cui spalla essa appoggiasse il manco braccio, e formasse così un gruppo non molto dissimile dall’altro118.

[p. 348 modifica]§. 34. Il lettore, io spero, vorrà perdonarmi quelle digressioni, e le altre che per avventura farò in appresso, poichè sebbene rompano alquanto il filo della storia, danno però luogo a qualche erudizione, tanto meno inopportuna quanto che i tempi di cui parliamo non ci somministrano nessun monumento dell’arte degno di considerazione.



Note

  1. Dio Cass. lib. S4. c. 7. p. 735. Tom. I.
  2. Le Roy Le ruines, ec. Tom. iI. pl. 18.
  3. lib. 4. od. 15. vers. 12. [ Non lo dice ristrettamente alle arti del disegno, delle quali forse neppure ha inteso parlare; ma riguardo alla religione, al buon ordine, alle scienze, al commercio, e a tutto ciò, che poteva far rifiorire lo stato in tempo di pace, come si rileva dai versi appresso.
  4. Suet. in Aug. cap. 57.
  5. ibid. cap. 31.
  6. Ovid. Fast. lib. 5. vers. 563.
  7. Gori Descr. monum. sive columb. libert. & serv. Liv. num. 125. pag 178. [ Al n. 126, pag. 179. è nominato il pittore Eracla liberto, di cui parlammo qui avanti alla p. 71. col. 2.
  8. In un’altra iscrizione riportata da Grutero Tom. I. pag. 2. pag. 323. n. 5. si parla di un Entichete liberto d’Augusto, e si dice officinator a statuis, che il Pignorio De serv. presso Poleno Suppl. thes. Antiq. rom. T. iI, col. 1273. F. spiega per fabro statuario.
  9. Fra gli altri vantaggi che Suetonio in Aug. cap. 72. riferisce recati da Augusto a Roma, novera i varj musei ad uso pubblico da lui ordinati, ove copiosa raccolta vi avea di statue, di pitture, e di altre cose rare ed antiche, tra le quali ammiravano le armature degli eroi. In uno di questi musei vi era pur un luogo per le rarità spettanti alla storia naturale. Tra queste accenna Suetonio delle membra sterminate di fiere e di bestie, credute ossa di giganti. Altri musei vi avevano allora in Roma di cose naturali, in ispecie di gemme e pietre preziose. Il più antico era il museo formatovi da Scauro figliastro di Silla; ma il più prezioso riputavasi quello di Pompeo. Cesare arrivò a farne sei nel tempio di Venere Genitrice; ed uno pur ne fece Marcello figlio d’Ottavia nel tempio d’Apollo Palatino. Plin. lib. 37. c. 1. sect. 5.
  10. Si ha il gesso nell’Accademia di Francia.
  11. Cicerone De finib. lib. 2. cap. 4., Valerio Massimo lib. 4. cap. 4. num. 7.
  12. Racc. di statue, Tav. 70.
  13. Lo crede in due, Gemme ant. fig. Tomo IV. Tav. 7. g. Le figure hanno la barba. La prima ha amendue i calzari, ed ha avanti una Minerva, che le presenta una spada e una lancia. La seconda si tira su il calzare al piè destro, e ha nudo il sinistro. O sono moderne, o non hanno che fare nè con Giasone, nè con Cincinnato.
  14. Lo perdè nel fiume restandovi attaccato nel fango, come dicono tutti d’accordo gli scrittori.
  15. Apollod. Biblioth. lib. 1. cap. 9. §. 18. pag. 48., Schol. Pind. Pyth. ode 4. vers. 133 [ Apollonio Argon. lib. 1. v. 10., Igino fab. 12.
  16. Per escludere Cincinnato si può aggiugnere, che la statua avrebbe avura la barba, che in que’ tempi, cioè nell’anno 296. di Roma, e anche circa ducent’anni dopo si portava; e barbati si rappresentavano gli uomini illustri di que’ tempi, come si e veduto sopra alla pag. 154. §. 19. L’idea del volto doveva esser d’uomo più avanzato in età, giacchè Cincinnato era allora padre di tre figli, il primo de’ quali, Cesone, si era già reso alcuni anni prima famoso per la sua facondia nel foro, e per militari imprese. Vegg. Livio lib. 3. cap. 5. num. 11., cap. 8. num. 19. Ma poi per sostituirvi Giasone, converrà dire che egli vi fosse rappresentato nell’atto di calzarsi dopo lasciato l’aratro, non dopo aver passato il fiume, allorchè avea perduta una scarpa, come ho notato, non già come dice Winkelmann adattando la storia alla statua. In tal caso lo scultore si sarebbe dipartito dallo stile solito degli artisti, e de’ pittori in ispecie, i quali fecondo Filostrato Epist. 22. op. Tom. iI. pag. 923. solevano effigiare quell’eroe con un piede solo calzato, perchè appunto avea lasciata una scarpa nel fiume attraversandolo. Notisi però da questo luogo di Filostrato, che Giasone in quell’atto era un soggetto solito rappresentarsi dagli artisti, e certamente più adattabile all’uso, e al gusto della scultura, e della pittura, che Cincinnato.
  17. Anthol. lib. 4. cap. 37. num. 15.
  18. Maffei Raccolta di statue, num. 107.
  19. È passata ora al Museo Pio-Clementino; e come nota il signor abate Visconti nel Tomo I. di esso alla Tav. 41. not. *, e il signor ab. Amaduzzi Monum. Matthæj. Tom. I. Tab. 61., ove ne dà la figura, non è altro, che la Pudicizia, o vogliam dire una imperatrice, o matrona romana, sotto quella figura, come si vedono in tante altre statue, e nelle medaglie. Chi poi sia è impossibile il dirlo, perchè la testa è moderna: al che non hanno avvertito quelli, che vi trovarono Livia, o Sabina. Il fondamento del coturno fu cui si appoggia Winkelmann per farne una Melpomene, è troppo generico; sapendosi che il coturno si portava d’ordinario dalle dame romane, e anche dalle imperatrici, come fa avvertire il lodato Amaduzzi pag. 57. Altronde il braccialetto, che le si vede indicato sotto la veste al braccio destro, non converrebbe a Melpomene.
  20. Tale è certamente quale si vede anche in altre statue, e in ispecie nella nominata, qui avanti; e il signor Lens Le costume, ou essai ec. liv. I. in fine, pag. 27., che mostra di negarlo perchè vi trova una forma irregolare più propria di serpe, che di braccialetto, non ne avrà veduti forse de’ consimili in altre sratuc. Questo altronde non è tondo come il serpe, ma piatto. In quella, che fece fare Augusto per portarla in trionfo, il serpe non doveva essere in forma di braccialetto, nè quale si vede alle statue in questione; poichè era attaccato al braccio in atto di mordere, Plut. in M. Antonio, op. Tom. I. pag. 955. B.; ed è ben probabile, che tale statua servir dovesse di modello alle altre.
  21. Gal. ad Pison. de Theriac. lib. 1. cap. 8. oper. Tom. XIII. pag. 941. [ Racconta Galeno che fu trovata colla destra sul capo in atto di tener il diadema; come scrive anche Glica Annal. par. 1. pag. 59. Aggiunge in oltre Galeno, che Cleopatra cadendo morta volle osservare tutta la modestia, imitando Polissena, che, secondo Euripide in Hecuba, vers. 568., nel cadere esangue cercò di coprirsi le parti da celarsi. Or quell’atteggiamento, e questa modestia non si vede nelle statue, che hanno quasi tutto scoperto il ventre: al che non avrà badato il signor Lens Le costume, ec. loc. cit., ove dice, che l’abito di esse farebbe stato indecente per tutt’atltra regina fuorchè per Cleopatra. Neppur si scorge in esse l’abito più fastoso di regina, che vestì Cleopatra prima di farsi mordere dal serpe, o di avvelenarsi, come alcuni pensarono, nè indizio del letto prezioso d’oro, su cui morì, al dir di Plutarco loc. cit. pag. 956. E.
  22. Si trovano difatti altre statue sicuramente di Ninfe, che stavano sopra fontane nello stesso atteggiamento appoggiate sopra un vaso da gettar acqua, come tra le altre è una piccola del Museo Pio-Clementino. Ma però non convengono nella ricchezza, e forma del panneggiamento. Chi sa che non rappresentino anche Semele; già che hanno quali una perfetta somiglianza alla Semele, che vedesi nella gemma data dal nostro Autore nei Monum. ant. ined. n. 1., nominata anche in quest’opera nel Tomo I. p. 174. §. 3.
  23. Steph. Pigh. in Scot. Itin. Ital. p. 126.
  24. Ne sono state pubblicate moltissime diverse stampe, come dal Maffei Raccolta di statue, Tav. 8., nella Metalloteca del Mercati, e altrove; ma più corretta è quella fatta ultimamente dal Piranesi.
  25. Richards. Traité de la peint. & de la sculpture, Tom. iiI. par. 1. pag. 206.
  26. Nel cortile del palazzo dei Conservatori a mano manca entrando.
  27. Maffei Raccolta di statue, Tav. 16.
  28. Mus. Capit. Tom. iiI. Tav. 51.
  29. Ver. illustr. Par. 3. cap. 7. col. 215., & col. 217. Tav. 1. n. 1.
  30. Zanetti Stat. della libr. di s. Marco.
  31. Queste teste ora possono dirsi molte. Una in marmo bianco, parimente con corona civica, fu trovata con altra testa di Annibale, ornata di galea, e della finta barba, e che similmente conservasi nel museo Borgiaro a Velletri, in uno scavo a un miglio e mezzo dalla detta città nella contrada di san Cesale, o San Cesareo, dove è antichissima tradizione dei Velliterni, che fosse l’avito suburbano della famiglia Ottavia di Velletri, ricordato da Suetonio in Aug. cap. 6., per l’educazione, che vi ebbe Ottaviano, e per la opinione, che sin d’allora correva in quella città, che egli vi fosse anche nato. Altra testa di questo imperatore d’eccellente scultura, ma giovane, e senza alcuna corona, fu nel medesimo territorio ritrovata con altre antichità nella contrada di Monte Secco a quattro miglia dalla città, la qual testa ora conservasi nel Museo Pio-Clementino. In questo Museo vi è inoltre una testa di cattivi maniera, in cui Augusto è coronato di spiche, e un’altra che rappresenta il medesimo in età senile, come dicemmo nel Tomo I. p. 369. not. c., colla corona di quercia, in cui sulla fronte è rapresentato Giulio Cesare come in un cameo dello stesso marmo. Vi è anche una di lui statua quasi tutta nuda all’eroica, e un’altra velata in atto di sacrificare, insieme ad una statua feminile in atto di orare colle mani levate in alto secondo il rito degli antichi, come si vede la Pietà nelle medaglie; e può credersi immagine di Livia, moglie di lui; giacchè sono state trovate insieme negli scavi d’Otricoli.
  32. Suet. in Aug. cap. 50.
  33. Data in rame da Stosch Pierr. grav. pl. 25. Altra ne riporta pl. 26. simile a questa, presa dal museo Strozzi.
  34. Daremo in appresso la figura d’una gemma incisa da Dioscoride, rappresentante Mercurio Crioforo, cioè che porta nella sinistra una testa di montone fu un desco. [ Cinque altre gemme col nome di questo artista rappresentanti varj soggetti le dà Stosch pl. 27-31., la seconda delle quali era già stata data dallo Spon Miscell. erud. ant. sect. 4. p. 122., ove ne nomina un’altra, in cui è incisa la testa di Solone. Il nostro Autore nel Tratt. prel. cap. IV. pag. XCI. parla di quella bellissima del museo del sig. principe di Piombino, di cui dà la figura in fine della prima parte dei Monumenti antichi, alla pag. 108., e nella spiegazione dei rami frapposti nell’opera, prima del detto Trattato preliminare, al num. XVI. pag. XIII. la dice d’un personaggio incognito. A considerarla, non sulla detta stampa, ma sull’originale, o anche nei solfi, si vede, che rappresenta Demostene simile alle teste, delle quali si è parlato qui avanti alla pag. 254.; e la pietra è un ametisto, non corniola, come la dice lo stesso Winkelmann.
  35. Osserv. sopr. alc. med. pag. 45.
  36. E al quale dovettero moltissimo le arti del disegno, poiché abbellì Roma con tanti edifizj, e tra gli altri, colla fabbrica magnifica del Panteon, volgarmente detta la Rotonda, che è quella fra le antiche conservatasi più intera sino a’ nostri giorni. Dentro vi collocò una statua di Giulio Cesare, e nell’atrio quella d’Augusto, e la sua. Intorno ad essa, ed altri suoi antichi ornamenti può vedcrsi il Nardini Roma antica, lib. 6. cap. 4. reg. IX., colle note dell’Orlandi. Aggiunse a questa fabbrica le terme, o bagni; e fabbricò pure un portico in onor di Nettuno decorato colla pittura degli Argonauti. Dione Cassio lib. 53, cap. 27. p. 721. Tom. I. Vedasi anche Giunio Catal. archit. ec. pag. 8. e 9.
  37. Plinio lib. 6. cap. 5. sect. 4. §. 11.
  38. Nei Monumenti antichi al luogo da citarsi qui appresso dà questa sua spiegazione per un sospetto soltanto, appoggiato al supposto, che Plinio abbia parlato, come abbiam detto anche noi nel Tomo I. p. 115. not. a. che si parla ora abusivamente, dicendo cioè Cariatidi in vece di Telamoni, quali si dicevano dai Romani secondo Vitruvio lib. 6. cap. 10., le figure d’uomini, che tacevano la stessa figura delle Cariatidi, reggendo pesi col capo. Io non saprei menar buono un tal supposto, e non so trovar fondamento in tutto il discorso ch’egli fa per adattare questa figura all’ordine del tempio, e al racconto di Plinio, che è molto oscuro.
  39. Ne’ Monumenti ant. inediti, Par. IV. c. 14. pag. 268., dice l’Autore che l’altezza è di palmi 23. e un quarto, ma pretende che lo zoccolo della statua avrebbele data l’altezza necessaria. Parla ivi a lungo di questo monumento, avendone data la figura al n. 205.
  40. Demontios. Gall. Rom. hosp. pag. 12.
  41. Veggasi Orlandi al luogo citato del Nardini pag. 296. seg.
  42. Travels &c. pag. 369.
  43. Xiphil. in Adr. pag. 266.
  44. Tzetz. Schol.ad Lycophor. Alex, v. 7. [Ateneo lib. 6. cap. 15. pag. 253.
  45. pag. 55. §. 7.
  46. Sopra pag. 134.
  47. Pococke’s Descript. of the East. Vol. iI., par. 2. pag. 61. pl. 55.
  48. Suet. in Aug. cap. 86 [ Si veda su questo punto il ch. Tiraboschi Storia della Letteratura italiana, Tom. I. par. iiI. lib. iiI. capo iI. §. XX. segg., ove lo esamina magistralmente.
  49. lib. 7. cap. 5.
  50. Pittur. d’ Ercol. Tom. iiI. Tav. 57. 58. 59., Tom. IV, Tav. 56. segg.
  51. Colonne veramente spirali, come diconsi oggidì, e come sono quelle del Bernini alla Confessione di san Pietro in Vaticano, e quelle degli altari grandi laterali ne la chiesa di s. Ignazio nel Collegio romano, non si trovano nelle pitture d’Ercolano. Si veggono bensì nel Tomo IV. Tav. 65. colonne ornate di fiorami a modo di spira, e Tav. 58. una colonna scanalata a modo spirale; e nel Tomo iiI. Tavola 56. colonne formate di più rami, o frondi intrecciate largamente nello stesso modo: il che è più ridicolo ancora di ciò che dice Winkelmann.
  52. Vedasi qui avanti pag. 72. 73. 129.
  53. L’Autore non ne avea veduto che un disegno fatto da Giovanni d’Udine scolare di Raffaello; ma ora tutte quelle pitture son pubblicate; e noi ne abbiamo già parlato qui avanti nelle note alla pag. 53 e 129.
  54. lib. 36. cap. 5. sect. 4. §. 10.
  55. Qui avanti pag. 262.
  56. Seneca De ira, lib. 3. cap. 40.
  57. Suet. in Tiber. cap. 47.
  58. ibid. cap. 49.
  59. idem in Cajo Calig. cap. 21., Xiphil. in Cæs. Aug. in fine, pag. 192. E.
  60. Suet. in Tiber. cap. 74.
  61. Suetonio loc. cit. cap. 44.
  62. Constantin. Porphyr. Excerpta Dion. Coccej. lib. 58. pag. 668.
  63. Bottari Mus. Capit. Tom. iI. Tav. 5. 6.
  64. Ora non sono tanto rare; e una se ne vede nei Museo Pio-Clementino.
  65. Tacito Annal. lib. 2. cap. 47. Si rileva anche dalle medaglie battute in quella occasione coll’epigrafe: Civitatibus Asiæ restitutis.
  66. Suetonio nella di lui vita cap. 29. seg. Ornò la città d’Antiochia di molte magnifiche fabbriche, di più portici, d’un teatro, d’un tempio a onor di Giove Capitolino, di molte statue, e colonne di bronzo. Vedasi Giovanni Antiocheno cognominato Malala Hist. Chron. lib. 10. pag. 98. e 99., ove dice che Tiberio era portatissimo a innalzar fabbriche.
  67. Figlio di Druso fratello di Tiberio, poi adottato da questo per figlio. Suetonio in Tiber. cap. 15., Tacito Annal. lib. 1. c. 33., lib. 12. cap. 25.
  68. Maffei Raccolta di statue, Tav. 69. ne dà la figura troppo caricata. Se ne ha il gesso in Roma nell’Accademia di Francia.
  69. Se mai non alludesse a Mercurio, che della testuggine formò la sua lira; cosicchè Germanico fosse rappresentato col di lui simbolo, e sotto la di lui protezione. Non so come non sia venuta in mente a Winkelmann questa congettura, avendo egli data nei Monumenti antichi inediti, num. 39., una gemma in cui è rappresentato Mercurio con una testuggine fu una spalla a modo di cappello, e della quale ha parlato anche in quest’opera nel Tomo I. pag. 176.
  70. Vegg. Plutarco Conjug. præc. op. Tom. iI. p. 142. D., Pausania l. 6. c. 25. p. 515. in fine.
  71. Bottari Mus. Capit. Tom. iI. Tav. 9.
  72. Grut. Inscr. T. I. p. 236. n. 3. V. Pigh. Ann. rom. Tom. iiI. l. 18. ann. 764. p. 549.
  73. Suet. in Cajo Callg. cap. 34.
  74. ibid. cap. 22.
  75. ibid. cap. 34.
  76. Fece distruggere una bellissima villa nell’Ercolano per il solo motivo, che vi era stata custodita una volta sua madre. Seneca De ira, lib. 3. cap. 22.
  77. Jof. Antiq. jud. lib.19. cap. 1. princ.
  78. Suetonio loc. cit. cap. 22. Fece tra le altre cose trasportare a Roma il famoso Cupido di Prassitele, di cui si è parlato qui avanti pag. 224. not. i. Dopo la di lui morte Claudio lo rimandò a Tespi; ma Nerone lo fece riportare a Roma, ove poi fu consunto da un incendio. Pausania lib. 9. c. 27. p. 72.
  79. Veggasi appresso al Lib. XII. Cap. iiI. §. 16.
  80. Eusebio De præpar. evang. lib. 4. c. 2. pag. 135.
  81. Bottari Mus. Capit. Tom. iI. Tav. 11. Nella Tav. 13. ne riporta un’altra in marmo bianco non inferiore di bellezza.
  82. Nel Museo Pio-Clementino è la sua statua nuda in marmo bianco trovata negli scavi d’Otricoli.
  83. La parta antica posseduta dal sig. cav. de Azara è di un lavoro sorprendente.
  84. Plin. lib. 35. cap. 10. sect. 36. §. 16.
  85. Ath. Dcipn. lib. 6. cap. 9. pag. 240. B.
  86. Ascanio.
  87. Montf. Ant. expl. Tom. V. pl. 129.
  88. Tutto questo racconto è falso, come me ne avvisa il lodato signor cavaliere de Azara. La testa di Claudio non è stata mai nell’Escuriale, ma bensì a Madrid nel palazzo del Ritiro, ov’è anche al presente. Era stata staccata dalla sua base per esser collocata sopra un tavolino, come tante altre teste. La detta base, o piedestallo sta in una camera sotterranea ed palazzo reale di Madrid; ed è di una bellezza straordinaria. Montfaucon loc. cit. ne dà la figura unicamente alla testa.
  89. Si veda anche qui avanti pag. 215.
  90. Plinio Secondo Epist. lib. 3. epist. 16., Marziale lib. 1. epigr. 14.
  91. Ved. qui avanti pag. 147.
  92. lib. 34. cap. 5. sect. 10.
  93. Annal. lib. ult. in fine. Parla di Peto Trasea, di cui pure Winkelmann parla qui appresso.
  94. Raccolta di statue,Tav. 60. 61. ove ne dà la figura disegnata, o incisa all’opposto, e non troppo esattamente.
  95. Quale era veramente Menosilo, come scrive Ammiano Marcellino lib. 16. c. 7., ove racconta questo fatto; e sappiamo altronde, che veri eunuchi erano quelli, che si tenevano dai sovrani della Grecia, e della Persia per loro guardie, o per camerieri, e per custodire le donne; ed erano per lo più figli di barbari. Veggasi Erodoto lib. 8. cap. 105. pag. 668.. Senofonte Cyropæd. l. 7. p. 156., Evagrio Eccles. hist. lib. 4. cap. 22.
  96. Thes. Antiq. græc. Tom. iiI. xxx.
  97. Fab. 242. e 243. Si uccisero però in diverso luogo, e in diverso tempo; onde non potevano mai rappresentarsi in un gruppo consimile.
  98. Questi lo dà per una congettura, ma vi sostiene rappresentato Arria e Peto, secondo la comune opinione d’allora.
  99. Suid. v. Ἄγρευς.
  100. Dato nei Monum. ant. ind. n. 92.
  101. Vedi Tom.I. p. 110. n. a., p. 410. §. 17.
  102. Epist. 12. vers. 95. segg.
  103. Igino, il quale nel citato n. 242. parla degli uomini, che da sè stessi si sono uccisi, Avrebbe dovuto dirlo; tanto più che parla della morte di Canace, e di Macareo. Quel che si può dir di sicuro intorno a questo gruppo, è che la statua dell’uomo rassomigiia nei capelli, nei mustacci e nell’aria del volto al supposto Gladiator moribondo di Campidoglio, come è similissimo lo scudo dell’uno, e dell’altro. Da questo si può argomentare con sicurezza, che amendue siano stati soldati di una stessa nazione. E siccome del Gladiatore si è osservato qui avanti alla p. 208. col. 2. che può essere un armigero spartano; cosi spartano potrebbe essere anche l’altro guerriere del gruppo. Lo stile del lavoro di questo, se ne eccettuiamo i restauri del braccio destro, con cui si uccide, e gli altri pochi, non ne farebbe molto diverso.
  104. Noct. att. lib. 1. cap. 23.
  105. Ea Catonis verba huic prorsus commentario indidissem, si libri copia fuisset id temporis cum hæc dictavi, loc. cit. Potrebbe dubitarsi di questo fatto da ciò che aggiugne Aulo Gellio, cioè che i senatori soleano condurre in Senato i loro figliuoli tosto che prendeano la pretesta, all’età di dicisette anni. Fondasi quello dubbio fu Polibio, il quale accusa d’errore due scrittori greci, che pretendeano essere stati i figliuoli de’ Romani introdotti nel Senato all’età di dodici anni, la qual cosa, dic’egli, non è nè verosimile nè vera, poichè certamente la natura non è stata tanto liberale coi Romani, che sapienti ne siano i figliuoli appena nati. Quantunque però Polibio, come scrittore più antico, meritasse più fede, pure io non insisterò sulla di lui testimonianza per confutar Gellio; poichè se non a dodici anni, a dicisette almeno poteano i fanciulli aver luogo in Senato; e questa avventura di Papirio può esser vera, benchè non ne troviamo fatta menzione altrove che presso di lui. Gronovio commentando questo passo avrebbe dovuto citar Polibio.
  106. In una delle pitture delle Terme di Tito composta di tre figure s’immaginarono alcuni di ravvisare questo medesimo tratto della storia Romana; ma, dice il signor Carletti „non potendosi qui render ragione della terza figura, rivolgansi eglino piuttosto ad altro fatto luminoso; e se mai loro non sovvenisse, rammentino a proprio ristoro, quanto degli storici libri, quanto de’ mitologi si è funestamente perduto, e cessi una volta la smania, ed il fasto di ritrovare a viva forza in ogni pittura, in ogni sasso il loro originale„. Ivi egualmente ignuda è la figura che credesi di Papirio.
  107. Du Bos Reflex. sur la poes. & sur la peint. Tom. I. sect. 38. pag. 400. segg.
  108. Si veda Tom. I. pag. 364. n. 1, pag. 379. §. 37., pag. 433. §. 14., ove nella not. b. ho notato secondo Plutarco, nelle calamità essere stata regola generale che le donne greche si recidessero i capelli, e gli uomini se li lasciassero crescere; all’opposto dei Romani, tra i quali gli uomini non tagliavano nè capelli, nè barba, come si è veduto qui avanti pag. 308. col. 2., e le donne anzichè tagliarsi i capelli, sciolti li portavano per le spalle, e scarmigliati, come nell’esempio, che dà Plutarco ai funerali del loro padre. Converrebbe dunque trovare una ragione particolare, per cui Papirio, e sua madre, romani, avessero dovuto portare la chioma recisa in quella occasione; e non avrebbe dovuto trasandarla fra i più moderni il signor abate Dolce nella Descriz. istor. del museo di Crist. Denh., Tom. iiI. n. 38.
  109. Sophocl. Elettr. vers. 52. 450.
  110. ibid. vers. 905.
  111. ibid. vers. 1228.
  112. Si può vedere anche la figura presso Maffei Raccolta di statue, Tav. 62. e 63.
  113. Properzio lib. 2, eleg. 14. vers. 1. 5. 6.:

    Non ita dardanio gavisus Atrida triumpho est,
    . . . . . .
    Nec sic Electra salvum cum aspexit Orestem,
    Cujus falsa tenens fleverat ora soror.

  114. Æschyl. Choeph. vers. 168. 178.
  115. ibid. vers. 224.
  116. Poet. cap. 11. op. Tom. IV. pag. 12.
  117. Cicerone ad Attic. lib. 1. epist. 12., Dione Cassio Hist. l. 37. c. 45. Tom. I. pag. 139.
  118. Mi pare più probabile l’opinione del signor abate Visconti, accennata nel Tom. I. pag. 299. not. a., di riconoscervi un Ercole giovane sbarbato; come può esserne argomento la grossezza del collo proprio di lui, e secondo ciò, che dice Winkelmann al luogo citato, e quale si vede nella figura data nello stesso Tom. I. pag. 207. Potrebbe allora credervi rappresentato Ercole vestito da donna presso la regina Onfale; o piuttosto quando giovanetto e vestito da donna, dopo la battaglia con Antagora ajutato dai Meropi, dovette fuggire, e ritirarsi presso Tressa, la quale non seppe riconoscerlo per uomo: del qual fatto si rinovava ogni anno la memoria nell’isola di Coo, ove il sacerdote d’Ercole così vestito da donna, e cinto il capo con una benda, dava principio ad un sagrifizio, come narra Plutarco Quæst. gnæcæ, in fine, oper. Tom, iI. pag. 304.