Vite dei filosofi/Libro Sesto/Vita di Diogene

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Libro Sesto - Vita di Diogene

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Diogene Laerzio - Vite dei filosofi (III secolo)
Traduzione dal greco di Luigi Lechi (1842)
Libro Sesto - Vita di Diogene
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CAPO II.


Diogene.


I. Diogene, figlio del banchiere Icesio, era da Sinope. Narra Diocle che tenendo suo padre il banco pubblico e falsando la moneta, dovette fuggire: Ma Eubulide nel libro Di Diogene dice che Diogene stesso fece questo, e che andò ramingando col padre; anzi nel Pordalo parla anch’egli di sè come di aver falsato moneta. Alcuni affermano che essendo provveditore, vi fosse indotto dagli artigiani, e che andato a Delfo o a Delo consultasse Apollo, se in patria dovea fare ciò che gli si consigliava. Che assentitogli, non intendendo la civil consuetudine ([testo greco] che significa anche moneta), alterò il rame, e che colto sul fatto, secondo gli uni fu bandito, secondo gli altri, per timore si sottrasse volontario. V’ha chi dice che ricevuta la moneta dal padre suo, ei la corruppe, e che quegli morì in catene, questi fuggì. Che ito poi a Delfo, chiese, non se dovea falsare, ma qual cosa operare per divenir gloriosissimo, e che così ebbe quell’oracolo.

II. Venuto in Atene, s’attaccò ad Antistene, il quale rigettandolo, poichè nessuno ammettea, dovette poi cedere all’insistenza; e una volta avendogli alzato contro il bastone, Diogene postavi sotto la testa: Batti, disse, [p. - modifica] [p. 11 modifica]che non troverai legno sì duro per discacciarmi, fin che si vegga che tu ragioni di qualche cosa. D’allora in poi divenne suo uditore, e siccome era bandito, si diè di proposito ad una vita di poca spesa.

III. Avendo veduto, come racconta Teofrasto nel Megarico, passar correndo un topo, il quale nè si dava pensiero di letto, nè temeva l’oscurità, o desiderava nessuna di quelle cose che si credono dilettevoli, trovò un compenso alla necessità della vita, essendo stato il primo, al dire di alcuni, a doppiare il mantello pel bisogno di portarlo, e per dormirvi. Portava anche una bisaccia entro cui stavano i cibi, e ogni cosa usava fare da per tutto, e mangiando, e dormendo, e disputando: a tale che, additando il portico di Giove e il Pompeo, era solito dire, gli Ateniesi averglieli preparati perchè vi abitasse dentro. - S’appoggiò, per malattia, ad un bastone, poi lo portò di continuo, non per altro, in città: ma in viaggio, e quello e la bisaccia, siccome affermano Olimpiodoro protettore degli Ateniesi, e Polieucto il retore, e Lisania di Escrione. — Avendo scritto ad un tale che gli procurasse una casetta, e quegli indugiando, prese per casa la botte ch’è nel Metroo, come lascia veder chiaramente ei stesso nelle Lettere. — E la state si voltolava sull’arena bollente, il verno le statue coperte di neve abbracciava, a tutto assuefacendosi.

IV. Era terribile nel disprezzare gli altri; onde la scuola (σχολή) di Euclide chiamava bile (χολή); i colloqui (διάλεξις) di Platone, consumamento ([testo greco]): e disse le feste dionisiache grandi miracoli per gli stolti; i capi popolo servitori della plebe. — Diceva eziandio, [p. 12 modifica]allorchè nel mondo vedeva piloti, e medici, e filosofi, che l’uomo era l’intelligentissimo degli animali; ma quando in cambio interpreti di sogni e indovini, e chi crede a costoro, o quelli che sono attaccati alla gloria e alle ricchezze, nessuna cosa stimava più matta dell’uomo. — Diceva credere che nella vita fosse d’uopo apprestare con maggior frequenza la ragione che il laccio. — Una volta avendo osservato Platone gustare in una cena suntuosa delle olive: Perchè, disse, o valent’uomo, tu che navigasti in Sicilia in grazia di siffatte mense, ora che l’hai vicine, non le godi? E quegli: Ma per gli dei, rispose, o Diogene, colà pure io mi accostava d’ordinario alle olive ed a cose simili; e questi: Che bisogno era dunque navigare a Siracusa? forse che l’Attica allora non produceva olive? Favorino per altro riferisce, nella Varia istoria, ciò aver risposto Aristippo. — E un’altra volta abbattutosi, mangiando dei fichi, in Platone, Pigliane, disse, se ti piace; e prendendone e mangiandone l’altro, Diogene aggiunse: Ho detto prendere, non divorare. — Calpestando i tappeti di lui, un giorno ch’e’ banchettava alcuni amici di Dionisio, disse: Calpesto la vanità di Platone. E a lui Platone: Quanto fumo fai travedere senza parer di averne! — Narrano altri che Diogene dicesse: Calpesto il fumo di Platone; e quegli soggiungesse: Con altro fumo, o Diogene. — Nondimeno Sozione nel quarto afferma questo aver detto il Cane a Platone. — Una volta Diogene chiese a questo del vino, e in pari tempo anche dei fichi. Ei gliene mandò un’anfora piena; e quello: Se tu, dissegli, fossi interrogato: due e due quanti fanno, venti [p. 13 modifica]risponderesti? Così non dando secondo che ti è richiesto neppure rispondi secondo che ti si domanda; quindi pungevalo come parolaio. — Interrogato in qual parte di Grecia avesse veduto uomini dabbene? Uomini, rispose, in nessun luogo, fanciulli a Lacedemone. — Ragionando una volta di cose gravi, siccome nessuno gli dava retta, prese a canticchiare. Fattasi allora ragunata, uscì in rimproveri perchè si accorresse alle bagattelle con serietà, con negligente indugio alle cose serie. — Diceva che gli uomini gareggiano per darsi delle sbancate o de’ calci, ma dell’onestà e della probità nessuno si prende briga. — Si maravigliava dei grammatici che cercassero i mali di Ulisse, e i propri non conoscessero, ed ancora che i musici le corde della lira accordassero, e i costumi dell’anima lasciassero scordati; che i matematici contemplassero il sole e la luna, e non vedessero le cose che hanno tra’ piedi; che i retori si studiassero dire le cose giuste, e per nulla di farle; e più poi che gli avari biasimassero il danaro, e l’amassero sopra ogni cosa. — Biasimava coloro eziandio che lodano i giusti, siccome spregiatori di ricchezze, ma invidiano que’ che sono danarosi. — Movealo parimente a sdegno che si facessero sagrifizj agli dei, e nello stesso sagrifizio, a danno della salute, si cenasse. — Ammirava gli schiavi , i quali vedendo i loro padroni mangiare con avidità, non rubavano nulla delle vivande. — Lodava chi stando sul prender moglie, non si ammogliava mai; e chi essendo per navigare, non mai navigava; e chi volendo amministrare la repubblica, non l’amministrava poi mai; e chi in procinto di allevar fanciulli, non mai gli allevava; e chi [p. 14 modifica]parato a convivere coi potenti, non vi s’accostava mai. — E diceva pure che agli amici non si doveano stendere le mani colle dita chiuse. — Racconta Ermippo, nella Vendita di Diogene, che preso e venduto, lo si interrogò qual cosa sapesse fare? e che rispose: Comandare ad uomini. E al trombetta poi: Grida, disse, se qualcuno volesse comprarsi un padrone. — Proibitogli di sedere, Non fa caso, disse; chè anche i pesci, come che si giacciano, si vendono. — Diceva maravigliarsi che se comperiamo una pentola od un tegame, li facciamo suonare, se un uomo poi, stiamo contenti alla sola vista. — Disse a Seniade suo compratore ch’egli doveva obbedire a lui, quantunque schiavo; perchè se anche un medico ed un pilota fossero schiavi, si dovrebbe a quelli obbedire.

V. Eubulo, nel libro intitolato: La vendita di Diogene, riferisce, ch’egli educò i figli di Seniade di tal modo che, dopo le altre discipline, imparassero a cavalcare, tirar d’arco, girar la fionda, lanciare il giavellotto. Poi nella palestra non permetteva che il maestro gli esercitasse a modo degli atleti, ma solo per averne bel colore e dispostezza. Ritenevano que’ fanciulli molti detti di poeti, di scrittori e dello stesso Diogene. Usava in ogni cosa esposizione ricisa, onde meglio tenessero a memoria. Gli educava in casa ne’ servigi, ad usare poco cibo, e a bere acqua; e li facea tosare sino alla cute, avvezzandoli senza attillature, e senza tunica di sotto, e scalzi, e silenziosi, a guardare a sè per le vie. Li faceva anche uscire alla caccia. Ed essi in ricambio si prendevano cura del medesimo Diogene, e gli aveva mediatori presso i parenti. [p. 15 modifica]

VI. Racconta lo stesso ch’egli invecchiò in casa di Seniade, e che essendovi morto, fu sepolto dai figli del medesimo. Su di che, richiesto da Seniade come voleva essere seppellito, rispose: Colla faccia in giù; e l’altro interrogandolo del perchè? Perchè, soggiunse, le cose di sotto devono rivolgersi all’insù. E questo perchè già cominciavano a prevalere i Macedoni, o da umili a farsi grandi. — Un tale introducendolo in una casa magnifica e proibendogli sputare, da poi che s’era spurgato, gli sputò in faccia dicendo, che non avea trovato luogo peggiore per farlo. — Altri racconta ciò di Aristippo. — Gridando una volta: Ohè uomini! e essendone accorsi molti, li toccò col bastone dicendo: Uomini ho io chiamati, non sudiciumi; come dice Ecatone nel primo delle Crie. — È fama che Alessandro dicesse, che se non fosse nato Alessandro, avrebbe voluto essere Diogene. — Affermava difettosi ([testo greco]) non i sordi ed i ciechi, ma e coloro che non avevano bisaccia ([testo greco]). — Entrato una volta, al riferire di Metrocle nelle Crie, col capo mezzo raso in un banchetto di giovani, toccò delle busse; dopo scritti i nomi di coloro che lo avevano percosso, sovra una tavoletta bianca, andava attorno con quella attaccata, di modo che, facendoli riconoscere e biasimare, li coprì d’infamia. — Diceva ch’egli era bensì uno tra i cani lodati, ma che nessuno dei lodatori osava andare a caccia in sua compagnia. — Ad uno che affermava: Io ne’ giuochi pitici vinco uomini, rispose: Io sì certo uomini, ma tu schiavi. — A taluno che gli diceva: sei vecchio; riposati ormai: E che, rispose, se corressi il Dolicon, dovrei sul fine allentare e non piuttosto far [p. 16 modifica]forza? — Invitato a cena, rispose di non volervi andare, perchè da ultimo non gliene fu saputo grado. — Calpestava la neve a piedi ignudi, e faceva tutte l’altre cose che si sono raccontate di sopra. Si provò anche a mangiar cruda la carne, ma non potè digerirla. — Sorprese una volta Demostene l’oratore che pranzava all’osteria, e ritirandosi costui in dentro: Tanto più, dissegli, sarai nell’osteria. — E un giorno volendo alcuni forestieri veder Demostene, steso il dito medio: Eccovi, disse, il demagogo degli Ateniesi. — Volendo ammonir uno che gettava via del pane e si vergognava raccorlo, legatogli al collo un vaso di terra cotta, lo strascinava pel Ceramico. — Diceva imitare i maestri dei cori, poichè essi pure danno un tuono alto, onde gli altri tocchino il tuono conveniente. — Diceva la maggior parte degli uomini di un dito vicini ad impazzare; imperciocchè se uno passasse col medio proteso, lo si stimerebbe matto, se coll’indice, no. — Affermava le cose di sommo pregio vendersi per nulla, e al contrario quelle di nessuno, poichè una statua valeva tre mila dramme, e un chenice di farina due monete di rame. — Al suo compratore Seniade: Or su, disse, vediamo come tu faccia quello che ti verrà comandato; ed egli rispondendogli:

     In su le fonti corrono dei fiumi.

Se tu avessi, riprese, comperato un medico, essendo infermo, non l’ubbidiresti, ma gli diresti:

     In su le fonti corrono dei fiumi?

[p. 17 modifica]— Voleva uno sotto di lui imparare filosofia, ma egli datagli a portare una saperda, se lo fece venir dietro. E siccome per vergogna gettatala era svignato, dopo qualche tempo abbattutosi in lui, dissegli ridendo: La tua e mia amicizia ha disciolto una saperda. — Diocle però così la racconta. Dicendogli un tale: Diogene, comandaci, egli conducendolo seco gli diè a portare un formaggio da mezzo obolo ma rifiutandosi colui: La tua e mia amicizia, dissegli, un formaggio da mezz’obolo disciolse. — Una volta osservando un fanciullo bercolle mani, gittò fuori della bisaccia la sua ciotola dicendo: Un fanciullo mi vinse nel fare con poco. Gettò poi anche la scodella vedendo parimente un fanciullo, dopo ch’ebbe rotto quell’utensile, por la lente nel concavo di un pezzo di pane. — Faceva questo sillogismo: Tutte le cose sono degli iddii; amici agli iddii i sapienti; le cose degli amici comuni; dunque tutte le cose sono dei sapienti. - Osservando un giorno una donna prostrarsi innanzi agli dei nel modo jl più sconcio, e volendo — siccome riferisce Zoilo pergeo — torle d’attorno quella superstizione, le si fe’ presso dicendo: Non hai, o donna, nel fare quest’atto sconcio, un santo ribrezzo, pensando che il numeda che ogni cosa è piena di luiti stesse forse di dietro? — Appese, per voto ad Esculapio, un manigoldo, il quale, saltando addosso a coloro che cadevano colla faccia per terra, li percoteva. — Era solito dire che a lui erano toccate tutte le imprecazioni tragiche; perciocchè:

     Egli senza cittade; senza casa;

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     Privo di patria; mendico, ramingo
     Traea la vita dì per dì.


Ma che contrappoueva alla fortuna i! vigore dell’animo; alla legge la natura; alla passione la ragione. — Standosi a soleggiare nel Craneo, gli disse, sopravvenendo, Alessandro: chiedimi ciò che vuoi. Ed egli: Non aombrarmi, risposegli. — Facendo un tale una lunga lettura, e mostrandosi, alla fine del libro, la parte non scritta: Coraggio, disse, signori, vedo terra. — Ad uno che con sillogismi provava ch’egli avea le corna, toccandosi la fronte: Io certo, disse, non le sento. - Anche ad uno che parimente sosteneva, non v’esser moto, alzatosi, passeggiò intorno. — Ad un altro che discorreva sulle meteore, chiese: Da quando in qua se’ tu venuto di cielo? — Un eunuco, uom pessimo, avendo scritto sulla sua casa: Nessuna cosa cattiva entri qui, disse: Ove dunque entra il padrone di casa? — Untisi i piedi di unguento, disse: Dal capo certo l’odore se ne va per l’aria, ma da’ piedi alle narici. — Instando gli Ateniesi perchè e’ si facesse iniziare, asseverando come all’inferno gli iniziati a’ misteri ottenevano i primi seggi, disse: Sarà da ridere se Agesilao ed Epaminonda staranno nel fango, e gli iniziati abbietti nell’isole beate! — Di certi topi che gli si arrampicavano sulla mensa: Ecco, disse, anche Diogene nutrisce parassiti. — Platone chiamandolo cane: Certo', disse, perchè sono ritornato a quelli che m’hanno venduto. — Uscendo del bagno, a chi gli chiese se molti uomini vi si lavavano, rispose del no: a chi se molta gente, disse di sì. — [p. 19 modifica]Platone avendo data questa definizione: L’uomo è un animale bipede, senza penne;ed essendone applaudito, Diogene, pelato un gallo, lo introdusse nella sua scuola, dicendo: Questo è l’uomo di Platone; onde si fece alla definizione l’aggiunta: a ugna larga. — A chi lo interrogava a che ora si dovea desinare: Se uno è ricco, rispose, quando vuole; se povero, quando può. - Vedendo tra Megaresi le pecore coperte di pelli, e i loro fanciulli ignudi, disse: E meglio esser becco d’un Megarese che figlio. - Ad uno che lo aveva urtato con una trave, e gli diceva poi, guarda, chiese se forse lo volea percuotere aucora. — Chiamava i demagoghi servi della plebe; le corone pustole della gloria. — Accesa una lucerna di giorno: Cerco, disse, un uomo. — Stava una volta sotto uno spruzzo d’acqua che cadeva dall’alto, e i circostanti compassionandolo, Platone ch’era presente disse: Se volete avergli compassione partite, accennando alla sua ambizione. — Un tale gli die’ di forza un pugno sul volto: Oh Ercole, disse, come ignota m’era la cosa di dover passeggiare coll’elmo. — Anche un certo Mida dandogli dei pugni e dicendo: Tre mila dramme per te si sono poste sul banco al dì seguente, prese le coregge da pugillatore, e battendolo come si fa col grano, disse: Si sono poste sul banco tre mila dramme per te. — Domandato dallo speziale Lisia se e’ credeva negli dei? Come non credo, rispose, quand’io ti reputo nemico agli dei? Altri affermano ciò aver detto Teodoro. — Vedendo uno purificarsi con aspersioni, disse: Sciagurato, oh non sai, che siccome collo aspergerti non potresti cancellare gli spropositi che si [p. 20 modifica]fanno in grammatica, così nè quelli che si commettono nel vivere. — In proposito della fortuna accusava gli uomini dicendo, che e’ chiedono i beni che loro sembrano tali, e non quelli che veramente sono. — A que’ che si spaventavano dei sogni diceva, come sulle cose che fanno vegliando, non riflettono, sull’altre che nel sonno fantasticano, si danno un gran che fare. — In Olimpia proclamandosi dal trombetta: Diosippo vince uomini; Costui per certo schiavi, ma io, uomini. — Era amato anche dagli Ateniesi; e per verità avendogli un giovinetto fracassata la sua botte, diedero a quello delle busse, a lui ne procurarono un’altra. — Racconta Dionisio lo stoico, che preso dopo la battaglia di Cheronea, fu condotto a Filippo, e interrogato chi fosse, rispose: Un esploratore della tua insaziabilità. — Mandando un giorno Alessandro una lettera ad Antipatro in Atene per un certo Atlias, trovandosi presente, disse: Uno sciagurato ([testo greco]) da uno sciagurato ([testo greco]), per mezzo di uno sciagurato ([testo greco]) ad uno sciagurato ([testo greco]). — Minacciando Perdicca, se non veniva a lui, di ucciderlo, disse: Cosa non grande; poichè anche una cantarella ed un ragno potrebbero far ciò. Ma di questo dovea minacciarmi piuttosto: che se fosse vissuto senza di me, sarebbe vissuto felicemente. — Gridava spesso dicendo: Che i Numi aveano concesso agli uomini un viver facile, ma che era stato occultalo da coloro che vanno in traccia di cose fatte col miele, di unguenti e simili. — Quindi ad uno che si faceva calzare dal servitore: Non ancora, disse, tu se’ beato, s’ei non ti soffia anche il naso; e questo avverrà, essendo tu [p. 21 modifica]impotente delle mani. — Vedendo una volta condur via dagli Ieromnemoni un tesoriere che aveva rubata certa fiala, disse: I grandi ladri conducono il piccolo, — Vedendo una volta un giovinetto gettar delle pietre ad una croce: Coraggio, disse, tu aggiugnerai lo scopo. — Ai fanciulli che gli stavano d’intorno e dicevano, guardiamo che tu non ci morda: Fidatevi, disse, ragazzi, cane non mangia bietole. — Ad uno che si compiaceva di aver indosso una pelle di leone: Cessa, disse, di svergognare le coperte della forza. — Ad uno che beatificava Callistene, e raccontava com’era partecipe alle magnificenze di Alessandro: Infelice egli adunque, disse, che desina e cena quando piace ad Alessandro. — Solea dire, quando abbisognava di danari, ch’era un richiederli agli amici, non un chiederli. — Una volta in piazza lavorando di mano: Così, disse, col fregare il ventre si potesse non aver fame! — Vedendo un giovinetto andare a cena con alcuni satrapi, lo trasse di forza con sè, e lo condusse a’ suoi di casa, ordinando che lo custodissero. — Ad un giovinetto attillato che gli chiedea qualche cosa, rispose, che e’ non gli avrebbe parlato se prima, alzatisi i panni, non gli mostrava qual dei due fosse, femmina o maschio. — Ad un giovinetto che al bagno faceva il giuoco del cottabo, disse: Quanto meglio; tanto peggio. — In una cena alcuni gli gettavano delle ossa, come ad un cane: ed egli nel partirsi pisciò loro addosso, come i cani. — Gli oratori e tutti che cercano gloria dalla parola chiamava tre volte uomini, per dire tre volte sciagurati. — Chiamava un ricco ignorante, pecora dal vello d’oro. — Vedendo [p. 22 modifica]scritto sulla casa di un dissipatore: Da vendersi; disse: Sapeva già, o casa, che tu, sì piena di crapula, avresti facilmente vomitato colui che ti possedeva. — Ad un giovine che accusava molti importuni, disse: Cessa adunque anche tu di portare attorno i segni di bagascione. — Entrando in un bagno sudicio: Questi, disse, che qui si lavano, dove si lavano? — Lodava ei solo un grossolano sonatore di cetra da tutti biasimato; e richiesto del perchè, rispose: Perchè, anche tale, suona la cetra, e non fa il ladro! — Un altro sonatore di cetra che sempre era abbandonato dagli uditori, lo salutò con dirgli: Addio gallo! e soggiugnendo costui, Perchè ciò? Perchè, riprese, cantando fai levare ognuno. — Vedendo un giovinetto che si faceva contemplare da molti, riempiutosi il seno di lupini, andò mangiandone pubblicamente. La moltitudine si volse a lui, ed egli disse, che si meravigliava che lasciato quell’altro guardassero lui solo. — Dicendogli un uomo assai superstizioso, Io con un colpo ti spaccherò il capo; Ed io, rispose, starnutando da sinistra ti farò tremare. — Pregandolo Egesia di prestargli qualche suo scritto; Tu se’ pazzo, dissegli, o Egesia, il quale certo non prenderesti fichi dipinti, ma veri, pure negletta la vera scuola, brami la scritta. — Ad uno che gli rinfacciava l’esiglio. Ma se appunto per questo, disse, o sciagurato, io divenni filosofo! - E di nuovo dicendogli un altro, i Sinopesi hanno condannato te ad esulare dal loro paese. Ed io, essi, soggiunse, a rimanervi. — Vedendo una volta un vincitore olimpico pascolare le pecore, Presto, disse, o buon uomo, sei passato dalle Olimpie alle [p. 23 modifica]Nemee. — Interrogato perchè gli atleti fossero insensibili? rispose: Perchè fabbricati di carni di maiali e di buoi. — Chiedeva una volta l’elemosina ad una statua: interrogato peichè facesse questo? Mi avvezzo, rispose, a non ottenere. — Chiedendola ad un tale — e questo fece la prima volta per bisogno — disse: Se hai dato ad altri, dà a me pure, se a nessuno, comincia da me. — Interrogato un giorno da un tiranno, quale sarebbe il miglior bronzo per fare una statua, rispose: Quello col quale si sono fuse le statue di Arrnodio e di Aristogitone. — Interrogato come usasse Dionisio cogli amici, disse: Come co’ sacchi: pieni appendendoli, vuoti gettandoli. — Uno sposo novello avendo scritto sulla sua casa: Il figlio di Giove, Ercole dalle belle vittorie abita qui, non entri alcun male; egli vi scrisse sotto: Dopo la guerra gli ajuti. — Chiamava l’avarizia metropoli di tutti i mali. — Vedendo un dissipatore mangiar ulive all’osteria, dissegli: Se cosi tu avessi pranzato, così non ceneresti. — Gli uomini buoni diceva essere immagini degli dei. — L’amore occupazione di sfaccendati. — Interrogato che vi fosse di miserabile nella vita, rispose: Un vecchio povero. - Interrogato qual bestia avesse peggiore il morso, rispose: Tra le selvatiche il calunniatore, l’adulatore tra le domestiche. — Vedendo una volta due centauri malissimo dipinti disse: Quali di questi due è Chirone (peggiore)? — Il discorso fatto per lusingare chiamava laccio unto di miele. — Il ventre Cariddi della vita. — Un giorno avendo udito che l’adultero Didimo (testicoli) era stato preso: Merita, disse, di essere impiccato pel suo nome. — Interrogato perchè [p. 24 modifica]l’oro è pallido? Disse: Perchè ha molti insidiatori. — Vedendo una donna in lettiga, La gabbia, disse, non è secondo la bestia. — Vedendo sedere su di un pozzo uno schiavo fuggito, disse: Guarda, o giovinetto, di non cadervi. — Vedendo in un bagno un giovincello ladro di vesti, disse: Se’ tu qui per la piccola unzione ([testo greco]) o per altra veste ([testo greco])? — Vedendo una volta alcune donne appiccate ad un ulivo; Piacesse a Dio, disse, che tutti gli ulivi portassero frutta cotali! — Vedendo un ladro di vesti, disse:

     Perchè tu qui, buon uom? per ispogliare
     Forse qualche cadavere di morti?


— Interrogato se aveva fanticella o ragazzo, disse: No; e l’altro soggiugnendo, se tu dunque morissi, chi ti porterà a seppellire? rispose: Chi avrà bisogno della casa. — Vedendo un giovine di bell’aspetto dormire sbadatamente, urtandolo, svegliati, disse:

             Onde talun, dormendo,
     Non t’infigga la lancia per di dietro.


— Ad uno che comperava vivande suntuose:

     Figlio, tu mi sarai di corta vita,
     Se queste cose compri.

Disputando Platone delle idee, e nominando la tavolità e la bicchierità: Io, disse, o Platone, veggo la tavola e il bicchiere, ma la tavolità e la bicchierità per [p. 25 modifica]nessuna maniera. E quegli: A ragione, disse, poichè tu hai gli occhi coi quali si mirano tavola e bicchiere; ma quella che vede la tavolità e la bicchierità, la mente, non hai. — Chiesegli un tale: che uomo, o Diogene, stimi Socrate? rispose: Un pazzo. — Interrogato in qual tempo si dovea menar donna? Disse: I giovani non ancora; i vecchi non mai. — Interrogato che cosa volesse per ricevere un pugno, disse: Una celata. — Vedendo un giovinetto che studiavasi di comparire attillato, disse: Se lo fai per gli uomini è una cosa inutile; cattiva, se per le donne. — Vedendo una volta un giovinetto arrossire. Fatti animo, disse, che tale è il colore della virtù. — Uditi una volta due legisti, li condannò amendue dicendo, che l’uno avea rubato, ma che l’altro non avea perduto. — Chiestogli qual vino più volentieri bevesse? rispose: L’altrui. — Ad un tale che gli diceva: Molti ti deridono; Ma io, disse, non mi tengo deriso. — Ad uno che affermava essere un male il vivere, Non il vivere, disse, ma il viver male. — A coloro che lo consigliavano di cercare lo schiavo che gli era fuggito: Sarebbe ridicolo, disse, se Manete vive senza Diogene, che Diogene non potesse senza Manete! — Desinando con delle ulive, gli fu posta innanzi una focaccia; disse, gettandola via:

     Fuor dai piè de’ tiranni, o forestiero.


— E un’altra volta:

     E abbacchiò poi l’ulive.

[p. 26 modifica]— Interrogato di che specie cane egli fosse, rispose: Affamato, maltese; pasciuto, molosso, di quelli che la maggior parte degli uomini lodano, ma non s’attentano, per la fatica, di uscir con loro a caccia. Allo stesso modo neppur voi potete vivere con me per tema dei dolori. — Domandato se i sapienti mangiano focaccia; Di tutto, disse, come gli altri uomini. — Domandato perchè a’ mendicanti sì desse e ai filosofi no, rispose: Perchè ognuno s’aspetta bensì di diventare e zoppo e cieco, ma filosofo non mai. — Chiedeva ad un avaro, e quello andava per le lunghe; Galantuomo, dissegli, ti chiedo pel vitto, non pel sepolcro. — Un dì gli rinfacciavano di essere stato monetario, disse: Fu già quel tempo ch’io era tale, quale tu se’ adesso; ma quale io sono ora, tu non sarai mai. — E ad un altro che della stessa cosa gli facea rimprovero: Prima anche io mi pisciava addosso, ed ora no. — Venuto a Mindo e viste grandi le porte, e piccola la città, Signori Mindii, disse, chiudete le porte onde la vostra città non esca. — Vedendo una volta un ladro di porpore preso sul fatto, disse:

                — La morte
     Purpurea il prese e l’indomabil Parca.


— Richiestolo Cratero che andasse da lui, rispose: Ma io voglio più presto leccare il sale in Atene, che godere una mensa sontuosa presso Cratero. — Accostandosi all’oratore Anassimene, ch’era assai grasso, Fa, disse, di partecipare anche a noi poveretti della tua [p. 27 modifica]pancia, imperciocchè e tu ne saresti alleggerito, e noi ne avremmo pro. — Disputando un giorno il medesimo oratore, Diogene, mettendo fuori un salame, trasse a sè gli uditori. Sdegnatosene l’altro: La disputa di Anassimene, disse, è stata disciolta da un salame di un obolo. — Un dì lo si biasimava perchè mangiasse in piazza, In piazza, disse, ho anche avuto fame. — Alcuni tengono per suo anche quel motto: che quando Platone vedendolo lavare dei camangiari, avvicinandosi a lui pianamente gli disse: Se tu avessi fatta la corte a Dionisio non laveresti i camangiari; egli pienamente del pari gli rispondesse: E tu se lavati i camangiari, non avresti servito Dionisio. — Ad uno che gli diceva: Molti si burlano di te: Anche di loro per avventura gli asini, rispose; ma nè dessi abbaiano agli asini, nè io a loro. — Vedendo un giovinetto filosofare, dissegli: Coraggio via, trasferisci gli amatori del corpo alle bellezze dell’anima. — Ammirando uno i voti che sono in Samotracia, disse: Sarebbero molto di più se ve gli avessero posti que’ che non si salvarono. — Altri raccontano questo dì Diagora melio. — Ad un bel giovinetto che andava ad un convito, disse: Tu ritornerai indietro Chirone (peggiore). Tornato costui il giorno dopo e dicendo: Io andai e non diventai Chirone, gli rispose: Per verità Chirone no, ma Eurizione (più largo). — Chiedeva ad uno assai difficoltoso, e costui rispondevagli, se mi persuaderai. Dissegli: e ti potessi persuadere, ti persuaderei a strangolarti. — Era tornato da Sparta in Atene. Ora ad uno che gli dimandò: Donde e dove? Dall’appartamento degli uomini, rispose, all’appartamento delle donne. — Tornava [p. 28 modifica]dai giuochi olimpici: ad uno pertanto che lo interrogò se vi era molto popolo? Molto popolo certo, rispose, ma uomini-pochi. — Gli scialacquatori diceva essere simili ai fichi nati in luogo dirupato, il frutto dei quali l’uomo non gusta, ma se lo mangiano gli avoltoi ed i corvi. — Avendo Frine consacrato in Delfo una Venere d’oro, egli vi pose quest’iscrizione: dall’intemperanza dei greci. — Un giorno Alessandro gli si presentò dinanzi dicendo: Io sono Alessandro il gran re, Ed io, disse, Diogene il cane. — Chiestogli che cosa faceva per esser chiamato cane, rispose: Accarezzo chi dà; a chi non dà abbajo, e mordo i cattivi. — Coglieva frutta da un fico; dicendogli il guardiano, non ha guari vi s’appiccò un uomo, Io dunque, rispose, lo purificherò. — Vedendo un vincitore olimpico fissare gli occhi frequentemente in una cortigiana: Vedi, disse, quello smargiasso, come gli fa torcere il collo la prima ragazzetta, che si presenta. — Le belle cortigiane diceva essere simili a misture mortifere di miele — Desinando in piazza i circostanti seguitavano a dargli del cane, ed egli: Voi siete cani, che mi state dintorno mentre desino. — A due giovani effemminati che si ascondevano da lui, disse: Non temete, il cane non mangia bietole. — D’un fanciullo che si prostituiva, richiesto di dove fosse? Tegeate (di bordello), rispose. — Vedendo un inetto lottatore fare il medico, Perchè questo, disse, se non per abbattere ora quelli che una volta ti hanno vinto? — Vedendo il figlio di una cortigiana gettare un sasso nel popolaccio: Guardati, disse, di non cogliere tuo padre. — Un fanciulletto gli facea vedere un coltello, che avea ricevuto in dono [p. 29 modifica]dall’amoroso; Il coltello, disse, è bello per certo, ma n’è brutta la presa ([testo greco]). — Lodando alcuni un tale che gli dava, E me, disse, non lodate che sono degno di prendere? — Da un tale gli era ridomandato il mantello; disse: Se me l’hai donato, lo posseggo, se me l’hai prestato, lo adopero. — Dicendogli un bastardo che aveva dell’oro nel mantello: Anzi, rispose, perciò stesso me lo pongo sotto a dormire. — Interrogato qual vantaggio avesse tratto dalla filosofia, rispose: Quand’anche nessun altro, questo almeno di essere apparecchiato ad ogni evento. — Interrogato d’onde fosse? Cosmopolito, rispose. — Alcuni facevano sagrificio per la nascita di un figlio, E per la sua riuscita, disse, non farete sagrifizj? Richiesto un giorno di un’elemosina, disse al capo della colletta:

     Gli altri spoglia , da Ettor rattien le mani.

Le cortigiane, diceva essere regine dei re; poichè chiedevano quel che ad esse pareva. — Avendo gli Ateniesi fatto un decreto che Alessandro fosse Bacco, Me pure, disse, fate Serapide. — Ad uno che il rimproverava com’egli entrasse in luoghi immondi, Anche il sole, disse, entra ne' cessi, ma non s’imbratta. — Pranzando in un sacrato, gli furono posti dinanzi dei pani sporchi; levandoli, li gittò via col dire: Nessuna lordura entrar dee nel sacrato. — Ad un tale che gli diceva: Tu fai il filosofo senza saper nulla, rispose: E s’io fingo sapienza, non è ciò stesso filosofare? — Ad uno che gli raccomandava un fanciullo e diceva, come [p. 30 modifica]fosse d’indole buonissima ed ottimo per costumi, rispose: Che ha dunque bisogno di me? — Quelli che dicono cose buone e poi non le fanno, affermava non differire dalla cetra, la quale del pari nè ode, nè ha sentimento. — Entrava in teatro a rovescio di que’ che uscivano. Interrogato del perchè? Questo, rispose, mi studio di fare tutta la vita. — Vedendo una volta un giovine infeminirsi, Non ti vergogni, disse, di stimarti peggiore di quel che ti abbia stimato natura? poichè essa ti fece uomo, e tu sfolti te stesso ad essere donna. — Vedendo uno sciocco accordare un salterio, Non ti vergogni, disse, che accomodando i suoni col legno, non accordi poi l’anima alla vita? — Ad uno che diceva, io non sono adatto alla filosofia, rispose: Perchè dunque vivi se non ti dai pensiero di viver bene? — Ad uno che disprezzava il padre, Non ti vergogni, disse, di disprezzare quello dal quale ti provenne ciò per cui tu apprezzi tanto te stesso? — Vedendo un bel giovine parlare bruttamente, Non ti vergogni disse, di tirare da un fodero d’avorio un coltello di piombo? — Lo biasimavano che bevesse alla taverna, E nella barbieria, disse, mi faccio tondere. — Lo biasimavano che da Antipatro avesse ricevuto un piccol mantello; disse:

                  — Non vanno
     L’incliti doni degli iddii rejetti!


— Ad uno che lo urtò con un trave, e dopo gli disse, Guardati; percotendolo col bastone, disse, Guardati. — Ad uno che pregava istantemente una cortigiana, disse: [p. 31 modifica]Perchè vuoi, o misero, che avvenga ciò ch’è meglio non avvenga? — Ad uno che usava unguenti, Guarda, disse, che il buon odore del tuo capo, non prepari cattivo odore alla tua vita. — Gli schiavi, diceva, servire ai padroni, gli stolti alle cupidità. — Interrogato perchè gli schiavi (ανδραπόδα) si chiamino così, Perchè, rispose, hanno i piedi d’uomini, ([testo greco]), ma hanno l’anima quale hai tu ora che mi stai interrogando con tanta premura. — Chiedeva una mina ad uno scialacquatore, e interrogato perchè agli altri cercava un obolo, ad esso una mina? Perchè, rispose, dagli altri spero di aver nuovamente, ma, sta sopra le ginocchia degli dei, se da te riceverò un’altra volta. — Vituperandolo ch’egli accattasse, mentre non accattava Platone; Accatta, disse, anche costui, ma:

     Il capo accosta onde nol sentan gli altri.


— Vedendo un arciere inetto, si assise al bersaglio, dicendo: Perchè non mi colpisca. — Gli innamorati, affermava, ingannarsi circa il piacere. — Interrogato se la morte era male? Come, rispose, male, se quando è presente non la sentiamo? — Ad Alessandro che gli s’era accostato, e gli diceva: Non hai timore di me? E chi se’ tu, chiese, buono, o cattivo? £ quegli dicendogli: buono; Chi dunque, riprese, teme le cose buone? — La disciplina diceva essere temperanza a’ giovani, conforto a’ vecchi, ai poveri ricchezza, ai ricchi ornamento. — A Didimone, l’adultero, che una volta medicava un occhio di una fanciulla ([testo greco]); Guarda, disse, che [p. 32 modifica] l’occhio della vergine, tu non guastassi mai la pupilla ([testo greco]). — Dicendogli un tale che gli amici gli tendevano insidie, E che cosa, disse, s’ha egli a fare, se a un modo istesso e’ converrà servirsi degli amici e dei nemici? — Interrogato che vi fosse di più bello tra gli uomini? rispose: La franchezza nel dire. — Entrando in una scuola e vedendovi di molte Muse, ma scolari pochi, disse: Maestro, compresi i numi, tu hai scolari in buon dato. — Avea per costume di fare tutto in pubblico e le cose di Cerere e le cose di Venere; e questi ragionamenti faceva con alcune domande: Se il desinare non fosse cosa sconveniente, nè in piazza sarebbe sconveniente; ma il desinare non è cosa sconveniente, dunque non è sconveniente in piazza. — Facendo di frequente in faccia a tutti un atto sconcio, Oh perchè, diceva, non si può anche fregando il ventre, far cessare la fame? — Altre cose ancora si attribuiscono a lui, che lungo sarebbe raccontare, essendo molte. — Diceva che doppio era il modo dell’esercitarsi: uno spirituale, l’altro corporeo; secondo il quale le immagini che del continuo si creano coll’esercizio, forniscono, all’opere della virtù, la scioltezza; ma essere l’uno senza dell’altro imperfetto; creandosi la buona disposizione e robustezza non meno nell'anima che nel corpo. Ed aggiugneva a prova dell’arrivare facilmente alla virtù coll’esercizio, l’aver egli veduto ne’ mestieri meccanici, e d’altra maniera, gli operai essersi fatta collo studio una prestezza di mano non comune; e i suonatori di flauto e i lottatori, soltanto colla propria fatica vincersi gli uni gli altri fra loro; e che se questi trasportassero [p. 33 modifica]il loro esercitarsi anche sulle cose dell’anima, non inutilmente e imperfettamente si travaglierebbero. Nulla insomma nella vita, diceva, condursi a buon fine senza esercizio, e questo poter vincere ogni cosa. Dovendosi adunque, collo scerre, in cambio dr fatiche inutili, quelle che sono secondo natura, vivere felicemente, gli uomini per istoltezza si rendono infelici. E per vero il disprezzo della stessa voluttà è piacevolissimo, premeditato. E siccome gli accostumati a vivere voluttuosamente con disgusto si lasciano andare nel contrario, così quelli che si sono esercitati nel contrario, con maggior piacere dispregiano la voluttà. — Di tali cose teneva discorso, e col fatto le dimostrava, veramente falsando la moneta (il costume), col non concedere nulla così alla legge come alla natura, affermando di condurre una vita del conio istesso di quella di Ercole, niente preferendo alla libertà; e dicendo tutte le cose essere dei sapienti; e facendo interrogazioni con que’ modi di ragionamento che sopra abbiamo riferito: Tutte le cose sono degli iddii; amici a’ sapienti gli iddii; comuni le cose degli amici; tutte le cose dunque dei sapienti. — Intorno alla legge, cioè che senza di quella era impossibile governare uno stato, diceva: senza città non esservi alcun utile dell’urbano; cosa urbana la città; e di nessun utile la città senza la legge; urbana dunque la legge. — Della nobiltà, della gloria e simili cose burlavasi dicendo, che erano abbigliamenti del vizio, e che il solo governo retto era quello del mondo. — E affermava che anche le donne doveano essere comuni, e senza far cenno di matrimonio, che ognuno potea congiugnersi col [p. 34 modifica]vicendevole assenso, e che per questo fossero anche i figli comuni. — E che non era al tutto sconveniente prendere alcune cose dal sacrato, o mangiare di qualsiasi animale; nè scellerato il gustar carne anche d’uomini, come è manifesto pei costumi di altri popoli; e ciò a dritta ragione, dicendo tutte le cose essere in tutte e per tutte; e trovarsi di fatto nel pane delle carni e nell’erbaggio del pane, e degli altri corpi in ogni cosa, insinuandosi e svaporando insieme, per mezzo di certi occulti pori e gonfiezze.

VII. Ciò che dichiara nel Tieste, se pure di lui sono le tragedie, e non di Filisco eginese, suo famigliare, o di Pasifonte, figlio di Luciano, il quale, secondo che racconta Favorino nella Varia istoria, le scrisse dopo la morte di lui.

VIII. Della musica, della geometria, dell’astrologia e delle altre sì fatte cose non davasi cura nessuna, siccome inutili e non necessarie. — Era destrissimo a farsi incontro agli argomenti colle risposte, come è chiaro da ciò che si è raccontato sopra.

IX. Anche la propria vendita comportò nobilissimamente. Navigava egli ad Egina, quando, preso da’ pirati dei quali era capo Scirpalo, fu condotto in Creta e venduto. Interrogato dal banditore che cosa sapesse fare, rispose: Comandare agli uomini. Accennandogli poi un tale da Corinto pomposamente vestito (il prefato Seniade) disse: Vendimi a colui; egli ha bisogno di padrone. Così Seniade lo comperò; e conducendolo a Corinto, lo pose vicino a’ suoi figli, e gli die’ il maneggio di tutta la casa. Ed egli per tal modo si condusse in ogni [p. 35 modifica]cosa, che Seniade andava attorno dicendo: Un buon genio è entrato in mia casa. — Racconta Cleomede nel libro che ha per titolo: Pedagogico, che i suoi famigliari il volevano riscattare, ma che e’ li chiamava semplici, poichè i leoni non sono schiavi di quelli che li nutriscono, ma quelli che li nutriscono dei leoni; ed è cosa da schiavo l’aver paura, e le fiere sono paurose agli uomini.

X. Aveva quest’uomo non so quale mirabile persuasiva che ne’ discorsi, chi che fosse, facilmente rapiva. A proposito di che si racconta come certo Onesicrito eginese mandò in Atene uno dei due figli che aveva, chiamato Androstene, il quale avendo udito Diogene, colà si rimase con lui; che mandatogli appresso anche l’altro, detto di sopra, cioè Filisco, il maggiore, fu del pari trattenuto anche Filisco; che giuntovi terzo anch’esso, si pose egualmente insieme co’ figli a filosofare. Tale incanto avevano in sè i discorsi di Diogene. — Furono suoi uditori e Focione, soprannominato il buono, e Stilpone megarese, e molti altri personaggi di repubblica.

XI. Si dice ch’e’ morì dopo quasi novant’anni di vita. Ma della sua morte si fanno diversi racconti; poichè affermano alcuni che avendo mangiato una zampa cruda di bue, fu preso da morbo colerico, e per tal modo cessò; altri che per rattenimento di respiro. E tra questi è anche Cercida megalopolitano, o cretense, il quale ne’ suoi meliiambi dice così:

     Or presente non è quel sinopeo,
     Quel che il baston portava e il mantel doppio,

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     E mangiava al seren; che, stretto un giorno
     Con forza il labbro a’ denti e morso il fiato,
     In ciel salì; che Diogene vero
     Era; prole di Giove, e can celeste.


Altri affermano che volendo spartire a’ cani un polipo, ne avesse morsicato il tendine di un piede, e morisse. I suoi famigliari per altro, al dire di Antistene nelle Successioni, congetturavano che e’ si fosse ucciso col rattenere il fiato. Poichè trovandosi egli per caso ad abitare nel Cranao, quel ginnasio ch’è rimpetto a Corinto, e venendovi, come per costume, i suoi famigliari, lo sorpresero ravvolto nel palio; nè stimando ch’e’ dormisse, poichè non era nè sonnacchioso, nè pigro, svoltone il mantello, lo trovano spirato; e sospettarono che ciò avesse fatto volendo sottrarsi al resto della vita. In quel frangente, come si racconta, nacque contesa tra’ discepoli per chi dovea seppellirlo, e poco meno che non vennero anche alle mani. Ma sovraggiunti i genitori con alcune persone riputate, il filosofo, secondo ch’e’ vollero, fu sepolto presso la porta che mena all’Istmo; e gli posero una colonna, e sopravi un cane di marmo pario. — Da ultimo anche i concittadini lo onorarono con immagini di bronzo e collo scrivervi sotto così:

     Per tempo invecchia il bronzo ancor; ma tutta
        L’eternitade non potrà tua gloria,
        O Diogene, abbattere giammai.
        Perocchè il damma tu solo a’ mortali
        D’una vita mostrasti a sè bastante,
        E di viver pianissimo il sentiero.

[p. 37 modifica]V’ha anche di nostro in metro proceleusmatico:

   A. Diogene, su via dimmi qual sorte
      In Averno ti trasse?
   D. Mi vi trasse crudel morso di cane.

Però dicono alcuni che morendo ingiugnesse di non seppellirlo, ma di gettarlo via, onde qualche parte di sè toccasse a tutte le fiere; ovvero di cacciarlo in una fossa e di coprirlo con poca polvere; o, secondo altri, dentro l’Elisso, affine di essere utile a’ fratelli. — Racconta Demetrio negli Omonimi, che il medesimo giorno che Alessandro in Babilonia, Diogene finì in Corinto. — Egli era vecchio nella centredicesima olimpiade.

XII. Corrono come suoi questi libri. Dialoghi: Il CefalioneL’IctiaLa cornacchiaLa panteraIl popolo atenieseLa repubblicaL’arte moraleDelle ricchezzeL’amatorioIl TeodoroL’IpsiaL’AristarcoDella morte. — Alcune lettere. — Sette tragedie: L’Elena; Il Tieste; L’Ercole; La Medea; Il Crisippo; L’Achille; L’Edipo. — Sosicrate nel primo della Successione, e Satiro nel quarto delle Vite affermano che nulla è di Diogene; e le tragediole, dice Satiro, che sono di Filisco eginese, discepolo di Diogene. — Sozione però nel settimo assevera che sono di Diogene queste opere sole: Della virtùDel beneL’amatorioIl mendicoIl TolomeoLa panteraIl CassandroIl CefalioneL’Aristarco di FiliscoIl SisifoIl GanimedeLe CrieLe lettere. [p. 38 modifica]

XIII. Furono cinque Diogeni: il primo apolloniate, fisico. Egli incomincia il suo libro in questo modo:Chiunque si pone a discorrere, pare a me che debba di necessità produrre un principio irrefragabile. — Il secondo da Sicione, che scrisse le cose del Peloponneso. — Il terzo questo medesimo. — Il quarto uno stoico, razza seleucia, ma chiamato, per la vicinanza, babilonese. — Il quinto da Tarso, che scrisse delle Quistioni poetiche, cui si sforza di sciogliere.

XIV. Dice Atenodoro nell’ottavo delle Passeggiate,che il filosofo appariva sempre lucido dall’ugnersi che faceva.