Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo II/Libro I/Capo XI

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Capo XI - Arti liberali

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Capo XI.

Arti liberali.



Invidia di Tiberio verso gli illustri artisti ae’essi dannosa. I. Quel medesimo umor capriccioso e crudele che molti degli imperadori de’ tempi di cui parliamo, condusse a non avere in alcun pregio le scienze e gli uomini dotti, fu cagione [p. 381 modifica]ancora die il loro impero fosse comunemente funesto alle arti liberali e a coloro che le professavano (1). Al principio di questo libro abbiamo accennato ciò che narra Dione essere avvenuto ad un famoso architetto, di cui, egli dice (l 57), non ci è giunto a notizia il nome, perchè l’invidioso Tiberio ordinò che non se ne facesse memoria alcuna ne’ libri. Uno de’ più ampj portici di Roma erasi incurvato e ripiegato su un fianco, quando un architetto accintosi alla difficile impresa di raddrizzarlo, tanto adoperossi con legare e stringere da ogni parte le colonne, e con macchine ed argani a tal fine opportuni, che venne gli finalmente fatto di sollevarlo e rimetterlo interamente all’antico equilibrio. Speravane egli ricompensa uguale ali ingegnoso e felice suo ritrovamento. Ma Tiberio che non potè a meno di non istupirne, ma ad un tempo medesimo (a) 11 sig. Laudi nelle note aggiunte al Compendio francese della mia Storia afferma clic in questo capo ei si è interamente allontanato d il mio sentimento , e che i fatti eh’io reco a provare il decadimento delle arti, provano anzi eh’esse fiorivano felicemente, e che citi provasi anche meglio da altri fatti da lui aggiunti (t. 1 , p. 353). Questi sono assai pochi, per quanto a me ne pare, e io lascio che i lettori decidano se dalle cose da me e anche da lui narrale si casi altra conseguenza da quella ch’io pure I10 stabilita; cioè che alcuni degl’imperadori di questa età furou poco amici delle arti; che altri le protessero; che da alcuni di essi furono innalzati magnifici edifici!; che si ebbero ancora pittori, scultori, architetti illustri; mi clic ciò non ostante vedesi, generalmente parlando, un grande decadimento nelle arti. [p. 382 modifica]382 LIBRO ri ebbe invidia , dirgli insieme non so quanto denaro, e insieme, il cacciò in esilio. L’infelice architetto ardì di nuovo di farsi innanzi a Tihe rio, e di è saggio di uri altra sua bella scoperta; percicchè gittato a terra ed infranto, un vaso di vetro , che avea tra le mani, poscia il riprese, e ne ricompose i pezzi per modo che fu intero come dianzi. Ma troppo gli andaron fallite le sue speranze; poichè Tiberio acceso d’invidia dannollo a morte. Così narra il fatto Dione; ed è il solo tra gli antichi storici che lo narri in ciò che appartiene al portico raddrizzato. Questo silenzio medesimo degli altri scrittori su un fatto per altro così prodigioso non potrebbe egli muovere qualche difficoltà intorno ad esso? È egli veramente possibile il raddrizzare con argani un portico inclinato? Io ne lascio la decisione a’ valorosi meccanici. Ma la seconda parte del fatto trovasi rammentata da altri antichi in tal maniera però, che aneli1 essa ci si rende sospetta assai. Petronio Arbitro racconta Satyr. c. 51) che un fabbro avendo lavorata una tazza di vetro che non rompevasi, venuto innanzi a Cesare (ei non esprime il nome dell’imperadore), e a lui mostratala, gittolla in terra, e quindi presala in mano, fece osservare eh1 era ammaccata appunto come se fosse stata di bronzo; e preso un picciol martello la ritondò di bel nuovo; e che egli fu fatto uccider da Cesare, perchè altrimenti, disse, l’oro sarebbe divenuto vile al par del fango. Plinio il Vecchio ancora ci narra (l. 36, c. 26) che a’ tempi di Tiberio trovossi l’arte di render flessibile [p. 383 modifica]il vetro; e che perciò la bottega dell’artefice inventore fu interamente rovinata, perchè non si scemasse di troppo il prezzo degli altri metalli. Egli aggiugne però, che di tal fatto corse bensì voce fra molti, ma non abbastanza sicura. Abbiam dunque tre antichi autori, uno de’ quali afferma che i pezzi di vetro furon tra lor riuniti, l’altro che il vetro fu renduto duro e resistente, il terzo ch’esso fu renduto flessibile. Ma i fisici negano comunemente che alcuna di tali cose sia possibile; e io penso che miglior consiglio sia attenersi a Plinio che non ci racconta tal cosa se non come una popolar voce che allora corse.

II. Il consenso però degli antichi scrittori nel rappresentarci Tiberio vilmente invidioso, della gloria de’ più illustri artefici, ci fa co- ’ nosccre quanto poco favorevole alle arti fosse 1 il suo impero (2). Oltrechè egli principe avaro non era punto curante di una regia munificenza (Svet in Tib. c. 47); e perciò i professori delle arti non potevano sperare nè esercizio nè ricompensa del lor valore. Havvi nondimeno qualche monumento di questi tempi, che ci fa conoscere che eranvi ancora in Roma scultori illustri, e il Winckelmann rammenta (Hist. de l’Art, t.. 2, p. 280) una statua di Germanico fatta da Cleomene ateniese, eli1 era prima in (a’ Intorno allo stato delle arti sotto 1" impero di Tiberio, c de’ successori di e-so tino alle invasioni de’ Barbari, si possou vedere notizie ancor più copiose nella nuova romana edizione della stessa Storia del Winckelmann (t. 2 , p. 337 -, ec• 5 , ec. -, 3?5, ec.), [p. 384 modifica]384 LIBRO Roma, e poscia fu trasportata a Versailles, la quale egli dice che può essere considerata come un bel monumento dell’arte di questo- tempo; innoltre la testa dello stesso Germanico, che serbasi nel Campidoglio, e che è, die’egli, una delle più belle teste imperiali. E innoltre, se Tiberio mal volentieri soffriva gli artefici valorosi , godeva nondimeno di avere statue e pitture fatte per mano di antichi pittori e scultori, che più non potevano essergli oggetto d’invidia e di gelosia. Così avendo egli veduti una bellissima statua di bronzo fatta per man di Lisippo, e posta alle terme di Agrippa, trasportolla nel suo gabinetto, e un’altra ve ne ripose. Ma il popolo che ancor serbava qualche parte dell’antica sua libertà, avendo ad alta voce gridato nel pubblico teatro che vi rimettesse la statua, Tiberio, benchè suo malgrado, ve la fè riportare (Plin. l. 34, c. 8). E un quadro parimente assai pregiato di Antidoto, che Augusto avea da Alessandria portato a Roma, egli solennemente ripose nel tempio che allo stesso Augusto fece innalzare (ib. I. 35, c. II). III. Ma Caligola successor di Tiberio fu ancor più funesto alle belle arti; che non solamente egli non le sostenne, nè le avvivò colla sua protezione, ma di molti bei monumenti ch’erano in Roma, fece un orribile guasto. Perciocchè volle che fossero atterrate tutte le statue de’ grandi uomini che Augusto avea fatte innalzare nel campo di Marte (Svet. in Cal c. 34); e innoltre fatte trasportar dalla Grecia quante potè trovare statue degli Iddii, opere de’ più [p. 385 modifica]famosi artefici, fece a tutte troncare il capo, perchè il suo vi fosse sostituito (ib. c. 22). Tra quelle a sì pazzo uso da lui destinate era la statua di Giove Olimpio, lavoro del divino Fidia; ma gli architetti col persuadere a Memmio Regolo, il quale aveane avuto il comando, che non era possibile il trasportarla salva ed intera a Roma, ottennero finalmente ch’ella non fosse rimossa. La sola opera che troviam di Caligola intrapresa, si è l’erezion di un obelisco nel Circo, di cui parla Plinio (l. 36, c. 10) , ma in modo che sembra che l’opera fosse bensì da Caligola cominciata, ma finita sol da Nerone. IV. Il Winckelmann annovera ancor Claudio tra gli imperadori nimici delle belle arti (Hist. 1 de l’Art. t 2, p. 281). È certo l’ordine da lui 1 dato di cancellare da due famosi quadri di Apelle, che vedevansi in Roma, la testa di Alessandro, per sostituirvi quella di Augusto (Plin. l. 35, c. 18), fa chiaramente conoscere quanto infelice estimatore egli fosse di tai lavori. Noi veggiam nondimeno che molte pregevoli statue fece ei trasportare a Roma, come alcune di un cotal porfido rosseggiante, cui Vitrasio Pollione suo procuratore gli mandò dall’Egitto (id. l. 36, c. 7). Così pure si rammenta da Plinio il colosso di Giove, ch’egli fece innalzare nel campo di Marte (l. 34j c. 7). Ma singolarmente a tenere in fiore le belle arti non poco dovettero contribuire le magnifiche opere da lui intraprese, e condotte con più felice successo, che non dovesse da lui aspettarsi; come il porto di Ostia, l’asciugamento Tuiaboschi, Voi. II. 25 ^ [p. 386 modifica]386 LIBRO del lago Fucino, e acquedotti e canali, ed altre opere di regia magnificenza (Svet. in Cl. c. 20; Plin. l. 36, c. 15; Dio l. 60), che senza valorosi architetti non potevansi certamente eseguire. V. Roma fu debitrice a Nerone di molte pregevolissime statue eh’egli vi fe’ trasportar dalla Grecia per ornare il suo celebre palazzo d’oro, ma con tal violenza, che si rendette a tutti esecrabile. Cinquecento statue di bronzo dal solo tempio di Apolline in Delfo furono trasportate a Roma (Paus. l. 10).Fra queste pensa il Winckelmann che fossero probabilmente le due celebri statue che ancor si veggono, di Apolline a Belvedere, e del Gladiatore nella villa Borghesi, delle quali, e della prima sin- 1 golarmente, egli parla con tale entusiasmo che sembra rapito fuor di se stesso nel contemplarla (3). Nè solo volle Nerone ornare di straniere statue Roma; ma ancora un tal monumento innalzare alla sua gloria, che ne rendesse a’ posteri eterno il nome. Era a que’ tempi nelle Gallie Zenodoro scultore insigne, di cui narra Plinio (l. 34, c. 7) che nella città di Auvergne avea con un lavoro di dieci anni fatta una statua di Mercurio di sì gran pregio, che fu venduta per quaranta milioni di sesterzj che corrispondono circa ad un milione di scudi (a) Del palazzo d’oro di ¡Verone , di cui furono architetti Celere e Severo, seggasi la descrizione che, seguendo gli antichi scrittori ci ha data il sig. Francesco Milizia (Meni. degli Ardii letti, t. 1 , p. 5g, ed. Ba ss.). [p. 387 modifica]romani. Or questi chiamato a Roma ebbe ordine da Nerone di Fare un colosso alto centodieci piedi, o, come dice Svetonio (in Ner. c. 31), centoventi; e il Fece poi collocare innanzi al suo palazzo d’oro. Fu dunque Zenodoro egregio scultore di questi tempi; e io non so se altri allora vi Fosse che in quest’arte avesse ottenuta Fama. Anzi il vedere che Fecesi perciò dalle Gallie venir Zenodoro, mostra che Nerone non credeva che Fosse in Roma altro scultore a cui una tal opera si potesse affidare. Ma degne sono d’osservazione le parole che, dopo aver parlato di questo colosso, soggiugne Plinio. E a statua indùavit infortisse fundendi aeris scientiam, cum et Nero largiri aurum argentumque paratus esset, et Zenodorus scientia fingendi caelandique nulli veterum postponeretur. E dopo avere narrato di due tazze di bronzo da lui Formate in modo che nulla si distinguevano da due antiche Fatte per mano di Calamide scultore illustre, conchiude: quantoque major in Zenodoro praestiantia fuit, tanto magis deprehendi aeris obliteratio potest. Che mai ha egli preteso Plinio di dirci con tali parole? Io conFesso sinceramente che non l’intendo. E -evidente eli’ egli afferma che allor si vide esser perita l’arte di fondere il bronzo. Ma come ciò? Non era ella di bronzo la statua di Nerone? Alcuni citati dal Winckelmann (Hist. de l’Art t. 2, p. 291) ne han dubitato, e han creduto ch’essa Fosse di marmo. Ma il contesto di Plinio contradice a ciò troppo apertamente. In questo luogo ei non parla che di lavoro di bronzo; de’ marmi ragiona altrove. [p. 388 modifica]388 LIBRO Or se era di bronzo, non si dovette egli fon. dere il metallo per fare sì grande statua l Come dunque era perita l’arte del fondere? Il Win. ckelmann spiega queste parole (l. cit.), come se Plinio volesse dire che Zenodoro con tutta la sua abilità non vi potè riuscire. Ma in che non riuscì egli? Nel fondere il bronzo? Ma egli ne avea fuso altre volte, perchè oltre altri lavori avea fatta la mentovata statua di Mercurio. Nel fonderlo a dovere e secondo le giuste leggi? Ma se egli era si felicemente riuscito nella statua di Mercurio, ne sapea dunque f arte; e ancorché il colosso gli fosse mal riuscito, non poteva Plinio a ragione inferirne che perita fosse r arte di fondere il bronzo. Potrebbe dirsi per avventura che Plinio volesse solo indicare ch’era perita in Roma l1 arte del fondere , e che perciò convenne chiamar dalle G;;llie Zenodoro. Ma anche questo senso non può ammettersi. Plinio dice espressamente che F arte dei fondere il bronzo era perita, essendo pur Zenodoro si eccellente scultore: interiisse fundendi aeris scientiam, cum... Zenodorus scientia fingendi caelandique nulli veterum postponeretur. Io non trovo, tra gl’interpreti di PI ilio, chi faccia riflessione alcuna su questa difficoltà. La sola spiegazione che a queste parole si possa dire con qualche probabilità, si è quella che il valoroso sig. Carlo Bianconi bolognese, nella storia al pari che nella scienza delle belle arti versatissimo, mi ha in una sua lettera suggerito; cioè che Plinio voglia dire che la grandezza di questo colosso, la difficoltà dell’opera , e in conseguenza 1" eccellenza di Zenodoro, [p. 389 modifica]è stata l’ultimo termine di perfezione a cui giugnesse l’arte di fondere il metallo; poichè essendovi qui congiunte due cose troppo difficili a ritrovarsi, cioè un imperadore pronto a qualunque spesa, e un artefice di una somma eccellenza, n’era quindi riuscita la più grande opera che fosse mai; e perciò era ad aspettarsi che quest’arte giunta al sommo, ricadesse quindi, come suole avvenire, e tornasse al nulla. In somigliante maniera dice il Vasari che l’eccellenza a cui le arti erano al suo tempo arrivate, era indicio della vicina lor decadenza. Se egli avesse detto in vece che il valore di Michelangiolo e di Rafaello mostravano che l’arte periva, avrebbe parlato più oscuramente, ma avrebbe detto appunto ciò che sembra intendere Plinio colle allegate parole. Che se ad altri sembra che altra spiegazione si possa più felicemente dare alle recate parole, io ben volentieri l’abbraccerò, e godrò in veder finalmente illustrato questo sì oscuro passo di Plinio1. [p. 390 modifica]3go imo VI. Or tornando a Nerone, se egli era avido ricercatore de’ lavori dell’arte, non erane sempre buon giudice; e ben di elio a vedere quando

ageingnendo che il bronzo nasco più perfetto dalla più perfetta composizion de’ metalli, sicché.1011 basti Posare i metalli preziosi, ma convenga saperli unire e comporre con quella proporzione die forma il bronzo perfetto; e che perciò Plinio osserva che Ner< ne era pronto a dare argento ed oro, quanto fosse bisogno ,4 Ìier farci conoscere che se il bronzo non riuscì perfetto , ciò non fu per mancanza di noe’ metalli onde esser dovea composto, ma perchè l’artefice non fa abbastanza sperto nel far quella composizione , e che Plinio perciò ebbe ragion di affermare interiisse fanzini di aeris scìen,!am. Dopo ciò il sig ab. Gian-Girolamo Carli, segretario della reale Accademia di Mantova , in due sue lettere de’ 6 e de’ 23 di gennaio I del 1777 mi diede avviso che in una dissertazione da lui recitala in Mantova nel giugno del 1775, e prima • ancora, benché più in compendio, detta in Siena nella primavera del 1774 , ne avea recata a un dipresso la medesima spiegazione. Più a lungo si è steso nel rischiarar questo punto, e nel comprovar maggiormente la medesima spiegazione il sig. ab. Tommaso Puccini in una sua lettera scrittami da Roma a’ 2> di luglio 1 del 1778, che io stimo di far cosa grata a’ lettori col j riportare qui stesamente. « Voi lo avete detto nel Di- j u scorso Preliminare alla dottissima Stona tanto deco- 1 « rosa alla letteratura italiana. che anzi che sdegnarvi « contro chi vi additasse le inesattezze e gli sbagli corsi « nella vostra opera. gliene sapreste buou grado. Prou fitto della libertà che avete fatta comune a tutti , e « vi prego a riassumer meco per un momento ciò che a nel libro 1. tomo 2, pag. 231 , 232 avete scritto « su quel passo di Plinio (fiist. noi. t. 34, c. 7) al« Insivo al colosso di bronzo che Nerone fé’innalzare « alle sue glorie, mediante l’opera e l’industria di « Zenodoro, chiamato a questo effetto dalle Gallie in « Roma, come il più abile artista che fiorisse a quel vt. Novità introdotte n»-lla pittura. [p. 391 modifica]ordinò che fosse dorata una statua di Alessandro fatta per man di Lisippo (Plin. l. 34, c. 8) j benché poscia conoscendo egli pure che l’oro <. tempo. Ecco le precise parole onde la quistione ha « origine: Ea sin iva in dicavi! perline fundendì aeris scientiam, cum et Nero largiri aurum argruluriiqiie paratus esset, et Zenodorus scientia fingemi 1, caeìandir/ue nulli veterum posiponeretur: e più sotto: Quantoque major in Zenodoro pra.esla.mia fuit, tanto magis deprehendi aeris obliteratio potest. Che mai, d ie voi , » ha egli preteso Plinio con tali parole? Come « poteva assente esser perita l’arte di fondere il bronzo, » quando Zenodoro in fare statue di questo metallo 11 era tanto eccellente da non esser posposto agli an■1 tichi di maggior fama? Quindi rigettate saviamente « le stravaganti opinioni di molli insigni letterati, la « sola spiegazione probabile trovate esser quella che u in uùa sua lettera vi comunicò il sig. Carlo Bian•• coni, degno segretario dell’Accademia delle lìelle « Arti in Milano, vostro e mio intimo amico, cioè che « abbia voluto dir Plimo della eccellenza di Zenodoro « ciò che ili Michelangelo e di Rafacllo dice il Vasari, « i quali essendo arrivali all’ultimo termine di perieli zione nelle arti, per’la natura delle umane cose 11 tutte, che giunte al loro apice declinano, dierono « sicuro indizio della vicina lor decadenza. Perdonali temi, gentilissimo sig. Tiraboschi: l’interpretazione « del dotto Bolognese è ingegnosa, e degna della sua « profonda cognizione nella storia delle arti , e tale « certamente da esser preferita a quella dell"ab. Win* « ckelmann e degli altri autori da lui citali; ma in « quanto a me ella è poco probabile e meno vera, o Se Plinio avesse usato di questa espressione parlando « di una statua di Lisippo, il quale forse portò quell st’arte all’ultimo grado di perfezione, sarei men « ditficile a convenire in un tal sentimento; ma parti landò di Zenodoro , il quale per quanto fosse ecc ■!« lente ad uguagliare gli antichi, ed anche Lisippo « islesso, pure fioriva in un secolo in cui le at ti aveano [p. 392 modifica]392 IIBRO rendevala più preziosa sì, ma men bella, fé1 toglier d’intorno. Anche di pitture si com. piaceva Nerone, e il suo pazzo capriccio «Uè u perduto tanto della loro primaria bellezza , non bene u avrebbe il romnno filosofo asserito delle di Ini opere u esser elleno tanto squisite e peritile da annunziare « la prossima decadenza d*H’arte. Infatti se al presente « ci fosse nn genio privilegialo di 11 dia inferiore al o gran Rafaello, ne inferireste forse piuttosto la de<au denza delle arti, che il loro risorgimento? Voi che ti sicuramente dovete aver l’occhio formato al bello, « conoscerete meglio di me che pur troppo hanno esse « anticipato questo passo fatale. So bene che le arti e dopo il secolo fortunato d’Alessandro , perseguitate « in Egitto dalla crudeltà del tiranno Tnlomeo Fili scone , si ricovrarono in Greeia , dove fiorirono di 0 nuovo assistite dal favor de’ Romani che l’aveano u dichiarala libera; ma gli artisti di questa epoca non « han maggior pregio de’ Canteri con la loro scuola « numerosa, i qua’i benché dessero una nuova vita « alla pittura piena di licenza e d affettazione nel penti nello di Giuseppe d’Al pino, ignobile e grossolana « in Michelangelo da Caravaggio. pure non giunsero « mai (sebbene ivi mirassero) a quella estrema eccelli lenza ’he tanto dagli a’ tri distingue Rafaello , sicché 11 non possa dirsi con verità che anche nelle loro opere k più sub! mi scorgesi sPinpre la decadenza dell" arte. « E quando il paragone de" Caracci con gli artisti «li « quel tempo, per la mancanza di sicuri documenti, « non vi persuadesse pienamente rammentatevi 1 • stragi « e la desolazione che portò ’■illa in tutta la Grecia, u per aver protette le parli di Mitridate, e allora toc« cherete con mano che poco dopo il loro ristabiliti in nto , cioè nella centesima settuagesima quinta olim« piade, furono le arti quasi aTatto distrutte, l’armi « che questa riflessione escluda affatto il sentimento « del nostro ingegnosissimo interprete, quando non si « votrlia accusar Plinio o di poca perizia nella storia h delle arti, o di troppa incocrenza nelle sue illazioni; il [p. 393 modifica]occasione a un nuovo ritrovato per maggiormente perfezionarla. Egli volle esser dipinto in gigantesca statura di cento venti piedi, cioè u che non credo che possa dirsi senza fare oltraggio ad u uno de’ più insigni ielleiali dell’antichità..Va quello » che più mi conferma nella mia opinione , è il senso „ limpido e netto che scorgo in questo passo di Plinio , • dopo aver letto ciò ch’egli medesimo scrive al capo a « di questo libro 34 Sentite di grazia che bravo inter„ prete di se medesimo è il nostro autore: Quondam aes confusum auro ar gentoquc niisctbatiir, et tamen ars pretiosior erat; nunc ineertum est pejor hate sii, an materia , mi rum eque, citai ad infinitum operimi prctia erevtrint, auctoriias arlis extincta est. Quarstus musa eni/n ut omnia exerceri caepta tjuae gloriar solrbant. Ideo elioni deorum adscripta oprri, cum proccres gentium claritatem et hoc via quaererenl; adeoque exolevit fluidi lidi aeris pretiosi ratio , ut jamdiu foritina quidtm aere jus artis habeal. Dunque siam pienamente k informati da questo passo di Plinio, che al suo tempo, « e in conseguenza anche sotto l’impero di Nerone , ti perchè non vi corse di mezzo che un brevissimo spali zio di anni, ed egli parla come di una cosa acca* duta qualche secolo innanzi; siamo informati, io dissi, u che per la troppa avidità del gtiadngno crasi già deli teriorata la qualità del bronzo e in Koma c altrove , ti perchè altrimenti Nerone disposto a profondere oro « ed argento per ben riuscire in un’opera che (unto « lusingava la sua vanità, lo avrebbe tratto da quali lurique parte del mondo la più remota. Ma perchè, u dite voi , non lo cercò egli nelle Gallie, giacche il u Mercurio era ivi riuscito cosà felicemente , come ce « De l’anno fede il prezzo e la fama che indi ne trasse u il suo autore? Chi sa? Forse tutti insieme i citta« diniM’Auveigne interessati per la gloria della patria u ottennero con le assidue loro premure ciò che non •» poterono ottenere l’imperatore e l’artefice; torse « rh" eglino si servirono di bronzo già preparato, quando u T arte di fonderlo era anche iu fiore, e non posto [p. 394 modifica]3g4 libro della stessa misura a un dipresso di cui volle che fosse ancora il colosso. Convenne dun. que, poiché non era possibile aver tavole di $j « in uso, o impiegato in opere di niun conto; forse « che quel colosso fu anch’esso di basso metallo e dj «i eccellente lavoro Par che le parole di Plinio l’avo. « ristiano questa mia ultima opinione, poiché parlando « delle due tazze fatte a imitazione delle due celebri « di Calamide, conchiude egli, ut mx ulta differiti, tia e“ fri arti< , quasi che coll’averci individuata la so. a roiglianza del la.oro ci abbia voluto significare la « differenza del metallo inferiore in bontà, quando al

contrario sul proposito della gara fra Mirone e Po.

« lichue al capo 2 di questo istrsso libro 3\ espresse1 « chiaramente f emulazione di questi due condiscepoli « non tanto nell’arte che nella materia: /Emulali o Ut et >n materia fui! Se questa riflessione è sana, anche « la statua colossale d 1 Mercurio, perchè lavorata conti temporaneamente alle due tazze, non dovea essere^ « di prezioso metallo. Qua! contraddiz one dunque troll vate voi in ’’limo, quando asserisce esser perita « P arte di fondere il bronzo, essendo Nerone prepa« rato a qualunque spesa e Zenodoro a niun degli « antichi secondo in modellare e in cesellare? Conti (l’addizione ci troverei quando l’espressione fundendi aeris <riritt ani dovesse necessar amente significare la « perdita totale di fare il getto delle statue in bronzo « intanto che Zenodoro ne avea eseguita una di tanta « difficoltà. Ma no , era accaduto nel bronzo quel che u nelle arti tutte vediamo non di rado accadere , le « quali se smontano dal primo grado di perfezione , « qualunque ne sia la causa, vanno insensibilmente a « cadere m uno stato di corruttela, dal quale è quasi « impossibile che risorgano; perché non evvi più alti cuno che conosca ed eseguisca quelle regole tanto « ben conosciute, ma non eseguite dai primi autori « della lor decadenza. Cosi è: era perduta l’arte di « preparare, temperare e mescere insieme il metallo, « sicché ne risultasse un ottimo bronzo capace di [p. 395 modifica]enorme grandezza, usare a tal fine di tele, cosa, dice Plinio (l. 35, c. 7), finallora non usata. Nè questo fu il solo progresso che la „ prestarsi docile alle intenzioni dell’artefice statuario, il „ quale in questa preparazione tempera e mistura non u avea parte alcun», essendo un mesliero totalmente « diverso, e che altre volte avea falla la gloria di » poche città della Grecia, come parlando del bronzo « eginetico si esprime il nostro autore al medesimo « capo a di questo libro: Projcima lans famelico fuit insula et ipsa, ncc aes gignens, sed officinarum temperatura nobilitata. Certamente o che l’isola ef Eu gina fu sempre la sede degli statuarìi in metallo, il ii che non ho mai nè udito nè letto, o che il fondere « il bronzo era un’arte allatto distinta dal gettare e « cesellare le statue. Nè per dimostrare all’ultima eviti denza la perdita di quest’arte andava ogni giorno più « sicuro riscontro che l’intervento delle due circoli stanze, di un iroperator prodigo e di un artista ec« celiente. L’avidità del guadagno indusse i primi « fonditori a deteriorare la qualità del bronzo; eppure « per qualunque più ampia mercede m n fu possibile « a Nerone di averlo per il suo colosso, quale in oriti gine, forbito e perfetto: tanto di forbirlo e perièli zionarlo erasi perduta ogni scienza. Gli artisti quanto u più sono eccellenti nella professione che esercitano , tu tanto meglio san celare i difetti che nella materia u s1 incontrano , e tanto più sono solleciti della scelta « della medesima , il che molto contribuisce a render a più belle e più durevoli le opere loro. La gara tra « Mirane e Policlete conferma abbastanza ciò che abn biamo tutti i giorni sotto i nostri occhi , che veli diamo le opere di que’ pochi pittori, i quali più « che al guadagno aspirano alla gloria, da capo a « fondo ricoperte di colori più stagionali e più lini, u mentre gli statuarii animati dal medesimo desiderio « si sdegnano per qualunque macchia più leggera si « scuopra ne’ marmi che con sommo studio fra mille ti altii si elessero: e ciò non ostante la siugolare abilità [p. 396 modifica]09O LIBRO Pittura facesse di questi tempi in Roma. Sott0 impero di Claudio, dice il medesimo Plinio (ib.c. 1), si trovò l’arte di dipinger sul marmo, a e le premure di Zenodoro (le quali dovettero es. « se>e al sommo diligenti, perchè dalla bontà e ric. a chezza del bronzo non ne risentiva dispendio alcuno) « n n ebbero più.felice successo della prodigalità di « un imperadnre. E egli possibile d’immaginare che « siansi mai combinate insieme due riprove più certe a e più atte a persuadere la perdita di qualunque arte « o scienza che sia stata una volia nel più florido « s^to di perfezione? Nè punto discorda dalla mia in« terpretazione, anzi con essa combina a meraviglia « ciò che in ultimo luogo riflette Plinio, cioè che « tanto più si rese evidente la dimenticanza di fon« dere il bronzo, quanto fu maggiore in 7cnodoro la « perizia nell’arte Infatti , se Zenodoro non fosse u stato che un mediocre artefice, quali erano per la « massima parte i suoi contemporanei, niuno forse » sarebbe stato accorto a rilevare la pessima qualità u del metallo, come impiegato in opera di poca esti« mazione; ma essendo egli di tanta eccellenza da anu dar del pari con gli antichi di maggior fama, cd « avendo perciò ben modellato e cesellato il suo coti losso , è da credere che niuno vi fosse in Roma , al « quale non riuscissero molto sensibili i difetti della « materia di gran lunga inferiore alle finezze dell’arte; u tanto più che a quel tempo vi era (dirò così) un « popolo di statue tratte dalla Grecia in metallo il più u pre7,ioso e più fino. Ecco la mia interpretazione. <> Certamente o che io prendo un grosso sbaglio, o « che ella è chiarissima Vi prego di esaminarla , e u comunicarmi, se vi piace, il vostro sentimento , asci smurandovi che nou sono sì tenace delle mie opi« n oni da non sacrificarle di buona voglia alla verità. u Sono certo che bianconi non si offenderà che altri « d.ssenta dai suoi pensieri. Io lo conosco; egli è « troppo docile e troppo virtuoso. La gloria è per lui u un forte incentivo a coltivare gli studi; ma sa bene [p. 397 modifica]e sotto quel di Nerone si prese ancora a contraffare le macchie dei marmi stessi, aggiugnendo a quelle ch’eran loro naturali altre

<ref>ch’egli è anche glorioso il confessare gli errori, onde dalle proprie meditazioni non ne derivi altrui inganno ed ignoranza, come saviamente riflette Celso (l. 8, c. 4): Magno ingenio, multaque nihilominus habituro convenit etiam simplex veri erroris confessio, ec. ne qui decipiantur eadem ratione, qua quis ante deceptus est. Egli di più sarà animato a seguire l’esempio vostro, che in molti luoghi della vostra Storia, ma in questo passo precisamente, avete promesso al pubblico di abbracciare ben volentieri qualunque altra più confacente interpretazione, godendo di vedere finalmente illustrato questo sì oscuro passo di Plinio„. Io volli comunicar questa lettera allo stesso sig. Carlo Bianconi, ora segretario della reale Accademia delle Belle Arti in Milano; ed egli, lasciando l’antica sua spiegazione, e non parendogli abbastanza probabile quella con molto ingegno sostenuta dall’ab. Puccini, un’altra me ne propose alquanto diversa. Ecco la lettera che su ciò egli mi scrisse da Milano a’ 22 di decembre 1779: “Ho ricevuto giorni sono la gentilissima vostra delli 12 corrente, che di nuovo ricerca il mio parere sopra la lettera scrittavi dal sig. ab. Puccini in ispiegazione del noto passo di Plinio ove parla di Zenodoro, ec., lettera che mi mandaste tanto tempo fa allo stesso oggetto da me non mai adempito Eccomi alla fine ad obbedirvi. Non incolpate di mia straordinaria tardanza i favori e le grazie che ricevo da questi milanesi signori, credendomi da essi troppo distratto, ma piuttosto la renitenza che provavo a scrivere qualche cosa contro il sentimento (giacchè non mi accordo interamente con lui) di chi amo e stimo sommamente. Mi ha determinato alla fine il reiterato chieder vostro, ed il riflettere che Puccini, sempre amante del vero, non s’offenderà che, cercandolo anch’io, in qualche modo me gli opponga. Si venga dunque a ciò [p. 398 modifica]3y8 litiiio diverse macchie di allri marmi. Così il lusso. e dirò ancora, il capriccio degli iinperadori gi0. vava ad aggiugnere nuova perfezione alle arti, a che volete. T’er farlo eon chiarezza, lasciatemi ti-a«

  • < scrivere il passo di Plinio su cui s’aggira la qui.

« <tione , poirh quantunque a voi notissimo , non è « che bene l’averlo presente. Veruni omnem ampuMu dim m statuarum hujus generis (colossale) vicit aetatg nostra Zinodorus Mercurio fac’o in civitate Galline Arvernis per annos decerti H-S CCCC nianu predo, Postquam satis ibi artem approbacerat, Romam acci lui est a Nerone, ubi dcstnatum illius principis si. mulacrum cnlossuni fedi ex pedunt longitudine.... En statua indeadt interasse fundendt aeris scientiam, cum et Nero largiri aurum argentumque paratus esset, et Zenodorus scient a fingend’ melanitique nulli veterum postponeretur. Statuam Arcernorurn rum facerei.. duo pocula Cai ami da rnanu cariata aemulatus est, ut nix ulta differenti csset wtis. Quantoque major in Zeno doro praesuintia fuit, tanto magis deprehendi aeris obliterano poiest (l. 3j, t. 7). « Se Zenodoro ha fatto di bronzo questo colosso] « di Neroné, come può dirsi che con questa statua si « sia scoperto lo smarrimento dell’arte, o scienza ih « fondere il bronzo? Voi sapete che qualcheduno ha « pens ilo che Zenodoro non facesse altrimenti di bronzo! « il \eioniano colosso, ma di sasso, e cosi è stata « tolta la difficoltà; se con ragione, o no, lo vedremo! « sul fine di questa; e intanto veniamo al sig Puccini,] « che dopo avere di moltiplice erudizione sparsa la vi lettera sua, cerca di togliere la supposta contraddi« zione. asserendo che l’arte smarrita, indicata da Pli« nio, non era quella di fondere semplicemente il « bronzo, ma » di preparare, temperare e mischiare ’ insieme il metallo, sicché ne risultasse un ottimo bronzo capace di prestarsi docile all’intenzione dell3 artefice e statuario , sue parole. « Per conoscere se ciò regga, vi prego a riflettere « che si scopre lo smarrimento sopra indicato nel fare [p. 399 modifica]poiché sembrava ornai che non potesse piacere se non ciò che era nuovo.

un colosso, e nel farsi «la Zenodoro. Queste due particolarità tolgono, a mio giudizio, la forza al pen„ siere del sig. Puccini; perchè se v’ è mai occasione „ in cui s’abbia poco bisogno di docilità nel metallo, (i e nel rinettare e risellare il gettito d’un colosso. Le u parti grandiosissime di simili gigantesche moli non „ richiedono che pochissime finezze, essendo superflua u ogni cura ulteriore. Ma figuriamoci ancora che Meli rone avesse voluto finitezza somma nel suo colosso, 11 e però fosse stata vantaggiosa la docilità del metallo. a Lo smarrimento di essa non si sarebbe scoperto cer11 tamente in Zenodoro, giacche avrebbe potuto finire u il colosso come una statuina da gabinetto anche senza a la docilità non ritrovata. Bastava che lo finisse coinè <1 le due giare o vasi da bere che io Francia aiea falle u ad imitazione di due travagliale da (ala mi de scul11 tore eccellentissimo; le quali riuscirono tali, ut vtx ulla differenza esset artis. E poi non era Zenodoro « maestro sonano nel cisellare e nello scolpire quanto « qualunque de’ passati? Et Zenodoruv scientia /incendi eaelaudque nulli veterum portponebatur Ma vi è di « più. Come starà mai che dall’essere Zenodoro raaeii stro eccellente si possa scoprire eh’era perduta la u composizione di cotesto docile metallo? Zenodoro « essendo bravissimo, potea bensì occultare e facil» mente i difetti della materia, ma perché egli è vati lorosissimo, che si abbiano a farsi palesi? questo, « abate veneratissimo , non può stare in conto veruno. « E pure Plinio parla chiaro. Quantoque major in Zenoduro praesiantia fuit, tanto magi* deprehendt acrìs obl leratio polest. Aggiugnete alla fine che il metallo « capace di prestarsi docile all’intenzione dell’artefice « statuario era a quel tempo conosciutissimo. Plinio « ci dà il modo onde comporre la lega del metallo « che gli artefici usavano per le statue, il quale se « era tauto in uso (lo era moltissimo in que’ giorni « il fare statue di bronzo), dovea avere le qualità [p. 400 modifica]4oo LIBRO

VII. Vespasiano e Tito come alle lettere così alle arti ancora accordarono protezione e « necessarie per essere rinettalo bene, e cisellato fina. <« mente, e perciò doveva avere la docilità. Eccovi le « parole di Plinio al libro 34, capo 9. Sequens eoi. jieratura statuaria est... hoc modo: Massa prnflaiw in primi%• max in profla’um addi tur ter ha porlio acris collectanei. Mucentur, ec. Sicch • permettetemi che io u dica con qualche asseveranza che la qualità uel bronzo ìi ricercata , di cui si conobbe Zenndoro ign rante, non « potea riguardare la docilità, o altro che rendesse « I opera più Gna ed ¡squisita in genere di travaglio, « ma dovea essere in genere di lega intrinsecamente » pregiata, ed avuta in estimazione. Vediamo se que« t> sta proposizione si possa provare baslevolmente. a Per fai’ questo , riflettete, che ve ne prego, chi « era Nerone in genere di gusto giacche per ess •, e 11 d’ordine suo è fiuto questo colosso da Zenodoro*’ 11 Non v’ è stato, credo io, principe di 1 ù più amante a dell’ultimo grado di magnificenza, di grandiosità e « di finezza. Agitato da questa in lui sl’ren ita pascione a arrivò alla convulsione ed al furore , onde bruciò un n pezzo di Roma non ad altro fine che per allargare la a sua immensa casa, e sordo divenendo al pianto ed a alle strida d’infinite vittime, giunse ad un grado a di barbarie e crudeltà non più intesa. Chi è, direi a quasi, che non senta ancora fra il rumoreggiar delle « fiamme e i! gemito de’ Romani il consiglio di cedere a P intera Roma a chi mos’trava volere per sua abitaa rione si vasta città? Tralascio adunque tutto questo, u ina non posso lasciar d’indicarvi la poetica espres11 sione di Plinio su di essa casa che le dà l’epiteto, aiire.ae domus urhem ambienti*. Non meno poi cerca » questo forsennato amatore del bello che ricca sia la a sua abitazione di quello fosse estesa. Domus aurea a per ciò fu nominala non solo da Plinio, ma da chiun11 que, come è notissimo, e ciò quando le case de’ ii privati andavano d’oro pomposamente vestite. Non u credeste che esagerassi con quest’ultimo detto. Sentile [p. 401 modifica]PRIMO ’ 4o 1 favore. Del primo singolarmente narra Svetonio (in Vesp. c. 18) che soleva comperar egli! stesso, per poi liberarli, color tra gli schiavi 1 u Plinio testimonio di vista. Laquearía quae nunc et in privatis domibus auro teguntar, post C’arthaginem eversala primo inaurata sunl in Capitolio Censura L. Mummii. Inde transiere in cameras quoque, alqua parirles, qui jam el ipsi tanquam vasa inaurantur. u Vuol far vedere Nerone a Tiridate re d’Armenia il « teatro di Pompeo; lo fa coprir d’oro. Pompe)i theatrum (così sempre Plinio) operuit auro in unum diem, quo ri Tiridati regi /Ir menile ostenderet. S’innamora n della statua di bronzo rappresentante Alessandro fatta a da Lisippo; la fa dorare, come se per avere P in<i gresso al suo appartamento non le bastasse I’ essere « produzione di uno de’ primi scultori che vantasse la « Grecia: Perii Lysippus et Alexandrum Magnata, a quam statuam inaurari jussil Nero princeps delc« ctatus admodurn illa. Da ciò , e da molt’altro che « tralascio, argomentate se Nerone potea volere di « bronzo comune L’immagine sua colossale da porsi « nel vestibolo della suddetta aurea sua casa, ove da a Tranquillo sappiam che fu posta. La dovea volere « senza dubbio d un bronzo pregevolissimo. Ma che a sto io cercando ragioni per persuadervi d’una cosa a già indicatavi dallo stesso passo Pliniano? die voci gliono dire se non questo le parole: cu/n et Nero largiri aurum argenlumque paralus esset. Nel bronzo « usuale nè ora nè a’ tempi di Plinio v’entrava oro, « o argento. Quest’autore parlando della decadenza « dell’arte della scultura, dice: Quondam aes con/’usum auro argentoque miscebatur, ei tamen ars pretiosior erat; nunc incertum est pejor haec sit, ari materia. <■ Cosa che non potrebbe dire, se la mia proposizione « non reggesse. Parleremo p ù avanti perchè gli anu tichi mischiavano questi metalli preziosi nel bronzo. « Se il desiderio poi di N’erotte non restò soddisfatto, « benché desse , o fusse pronto a dare tutto l’oro e [p. 402 modifica]ij02 LIBRO che in qualche arte erano eccellenti; che l’artefice che rifece il colosso di Nerone, cioè che alla testa di questo odiato imperadore sostituì

« l’argento che avesse bramato Zcnodoro, bisogna dire « che per tare il bronzo richiesto da questo imperati dorè non erano necessarii solo questi preziosi mgre« dienti, ma vi volea ancora cognizione e sapere non « ordinario per formarlo, e per questa ragione avrà u Plinio dato il titolo di scienza alla composizione di ti farlo: Aeris fundendi scientiam. Parroi adunque diti mostralo che la qualità del bronzo richiesto di (Veti rune pel suo colosso, e di cui non era al fatto « Zenodofo , era in genere di lega intrinsecamente « pregiata e rara, t osse rosi facile a conoscersi la quali lità precisa di esso giacché molti erano i bronzi die « da’ Romani aveansi in estimazione. Seguitemi un altro « poco. che con la scoi la di Plinio vo’ cercarlo. Oue<i st’autore bravissimo al principio del libro 34, dopo « aver parlato dei metalli non composti , passa a diti scorrere dri composti. cioè di quelli che con vari! « metalli si formano , e della estimazione che aveano. « A quattro si riducono i più accreditati. Al deliaco , » all’esinetico, al corintio ed all’ hepatizon. In Deio « fu nobilitalo il bronzo prima di ogni altro, egli ci « dice; ivi stima grande e il nome di deliaco acquiti stossi In seguito si apprezzò l’eginetieo, cosi detto « dall’isola Jìgina che iàuiQsa per questo divenne. Nel u Foro boario si vedea un bue di cgineiico, bronzo. a Ma più delle indicate tùie sorti di bronzo preti lavasi « il corintio, che dal a mischianza accidenta.e (come « ognuno sa) nell’incendio di (orinto ebbe nome e « I’ esser suo totale. Un altro bronzo eravi poi di grande w estimazione dal colore che avea di fegato, chiamato « hepatizon. Non arrivava in pregio al corintio, ma c. superava il deliaco e l’eginetieo I) corintio non n potea comporsi da veruno; non rosi i due snnnon minati eginetieo e deliaco. Dell’hepatizon poi. quanti tunque fosse inventore il caso, come lo è stalo delle « più interessanti scoperte, pure non avea mancato [p. 403 modifica]l’immagin del Sole, come narra Plinio (l. 34, c. 7), fu da lui magnificamente ricompensato; e che ad un valoroso meccanico che si offerse [p. 404 modifica]4o4 LIBRO a sollevare al Campidoglio con piccola spesa ampie colonne, diede per l’ingegnoso suo ritrovato ampia mercede; ma insieme disse che u mezzo di questo colosso si scoperse) interrisse fun. deridi aeris scientiam Giustamente poi si rileva: Quaii* toi/ue major in Zenodoro praestanlia fuit, lauto ma. gis depreliendi aeris obliteratio potest; perchè quanto « più era il talento di Zenodoro, tanto più si conobbe et che non polea sperarsi che alcuno arrivasse a quello « a cui esso non giugneva. A tue pare la cosa tanto tt chiara che niente più. o Resta ora a mostrarvi che non regge il sentimento a di chi dice che Zenodoro non fece il colosso di tt bronzo, ma d’altra materia. Se passo ora a questo, tt non è per vaghezza di dire , ina per togliere un pati rere, che quantunque non sussistente potrebbe ap« presso di a’euni avere lòrza per l’autorità della perii sona che l’ha stampato. « E certo che Nerone volea di bronzo il suo coti losso, perchè parlando della materia ila darsi per « essa, non si menzionano che metalli: Nero aurina ar» gentumque largì ri paraiui esset. È certo che si chiama « Zenodoro di Francia per questo , giacché ha dato « abbastanza pruove per esser dilaniato: Postqnam satis artem ibi (in Francia) appreboverat, Romani ticeitus est a Nerone Dunque in Francia Zenodoro avea « fatto qualche cosa di grande in bronzo, altrimenti « non avrebbe dato prove bastevoli onde esser chia« mato per far un colosso di bronzo chi ha fallo solo « opire grandi di marmo, che sarebbe ridicola cosa. n Se ha tatto qnal« he cosa di grande in bronzo, è il « Mercurio di cui parla Plinio, e che realmente era si un colosso anzi ben grande: Omnem aniplitudinem statnarum bujus generis (colossale) ricit aerate nostra Zenodorus Aleranno facto in rivitate drvernis. Ma se « ha fatto un colosso di bronzo in Francia, perchè a non lo deve saper fare a Roma, obbedendo a Nen rone impetadore? Non so come leggendo allentati mente Plinio, e riflettendovi sopra , si possa dii-« [p. 405 modifica]PRIMO 4<j5 volt’» usare de1 volgari ed ordinarj! artefici, perchè potessero procacciarsi il vitto (5). Ma u diversamente Ma se non sussistente è il parere eli« a finisco Hi confutare. è insussistente pure la spiegali /ione che io diedi anni sono al medesimo Juoro. Ila «ben ragione Puccini di chiamarla tale, e le cose « dette lo debbono dimostrare chiaramente. <i Se sono stato più lungo di quello credi vate, asti smuratevi che io pure non volevo esserlo tanto. Ma « già eh’ è fatto , si lasci, se cosi non vi spiace Sarò « L< n contento, se la mia spiegazione incontrerà ap« presso di voi, anzi sarà solo allora che l’approverò. a Voi conoscete troppo bene gli antichi autori e il « loro linguaggio, ed io non sono che ozioso venerati lore delle finezze de’ loro talenti, ed ammiratore riti verente delle produzioni sublimi che le bi lie arti da a essi trattate ci fanno godere a dispetto della barbarie

  • e della voracità de’ secoli trascorsi. Amate chi v’ama

a e stima, ed amerete me moltissimo. Sono immutati bilmente, ec. Tosi pare ornai illustrato questo di’ ficil passo; e sarebbe a bramare che colla stessa dtligenza si prendessero a esaminare altri passi non meno ose. ri di Plinio. su’ quali i conienlalnri non hanno finora avuto coraggio di trattenerti. II sig. ab. Fea, dopo avpr accennate le diverse opinioni di questi ingegnosi scrittori qui da me riportate, sembra che voglia egli darei in poche parole una nuova e non più udita spiegazione, cioè che ai tempi di Nerone più non si sapea fare quella bella qualità di bronzo con lega ri* oro e d> a’ genm, come sì faceva in altri tempi (TVinrhelmnnn, Smela dell’A-ti, t a, p. 354) questa in somma è la spiegazione medesima dei sig ab Bianconi, come ognuno leggendone la lettera può osservare. (a) Aon doveasi tacere eh» Domiziano fu amante di magnifiche fabbriche. benché in esse talvolta costringesse gli architetti a secondare, più. che le regole del1 architettura , i suoi pazzi capricci. Veggasi ciò che [p. 406 modifica]Jo(j LIBRO trai ano singolarmente ed Adriano sorpassarono in ciò tutti i loro antecessori. Egli è vero che la ridicolosa gelosia di Adriano di non avere alcuno a sè superiore in qualunque arte, o scienza si fosse, gli fece usare di crudeltà co«, tro alcuni de’ più valorosi artefici, e singolarmente contro il celebre architetto Apollodoro come si è detto. Ma ciò non ostante le opere magnifiche da lui (6), e prima di lui da Traiano intraprese, gli archi, le colonne, gli acquedotti, i tempj, i ponti, le ville ed altre di somigliante natura, e gli onori ed i premj accordati agli artefici più illustri, erano certamente valevoli a risvegliare l’ardore nel coltivamento delle belle arti, e il risvegliarono di fatto. Ma ciò non ostante le arti dicaddero, e vennero come le scienze sempre più degenerando dalP antico loro splendore, come fra poco vedremo. VIII. Rimane per ultimo che si annoverino alcuni dei pittori che in questo tempo furono in Roma. Un Doroteo vien nominato da Plinio (l. 35, c. 3) a’ tempi di Nerone, benchè non ci dica di qual valore egli fosse nella sua arte. Egli fa più distinta menzione di Amulio (ib.), di cui abbiam favellato nel primo tomo. A lui dice che succederono nella fama di valenti ne narra il sig. Francesco Milizia parlando dell’architetto Rabirio , di cui singolarmente si valse (Meni, degli Archit. t. I , p. 6r , td. Basa.). (a\ Adriano nelle sue fabbriche si valse molto dell’opera dell’architetto Detriano, e a lui singolarmente si attribuiscono la Mole di Adriano e il l’onle detto oggi S. Angelo (Milizia, I. vii. p. (¡7). [p. 407 modifica]PRIMO 4i>7 pittori Cornelio Pino e Accio Prisco, i quali dipinsero il tempio dell’Onore e della Virtù riedificato per opera di Vespasiano: tra essi però, per testimonio di Plinio, Accio Prisco più dell’altro rassomigliavasi agli antichi. Finalmente nomina Plinio tra’ pittori anche Antistio Labeone (ib.) , morto di fresco, egli dice, in estrema vecchiezza, dopo essere stato pretore e proconsole ancora nella Gallia Nar« hoiiese. Egli dilettavasi di dipingere piccoli quadri; ma anzi che riceverne onore, 111 era disprezzato e deriso. Cosi Plinio. Il P. Arduino pensa (in Ind Auctor. post 1 l. Plin) che questo Antistio Labeone sia il giureconsulto di cui altrove abbiamo parlato; ma & s’egli era morto poco prima che Plinio scrivesse, extinctus nuper, per quanto lunga fosse stata la sua vecchiezza, parmi difficile ch’egli fosse vissuto anche parecchi anni sotto Augusto, a’ cui tempi era certamente vissuto il giureconsulto, e in tale età che, come si è detto, avrebbe potuto essere innalzato al consolato. Comunque sia, a lui poco onorevole fu la pittura, o perchè non vi riuscisse molto felicemente, o perchè non si stimasse cosa conveniente a un uomo autorevole ed esercitato ne’ magistrati l’occuparsi in tal arte. IX. Le lodi che Plinio dà ad alcuni de’ mentovati pittori, potrebbono persuaderci che qne- , st’arte fosse allora nella sua perfezione in Roma. Ma egli medesimo troppo chiaramente ci mostra il contrario. Perciocchè dopo aver parlato dell’onore che alcuni imperadori renderono a certe più egregie pitture, dice - Hactcnns dictutn [p. 408 modifica]4o8 LIBRO sit de dignitate artis morientis (l. 35, c. 5): parole che in altro senso non si possono, a mio parere, intendere se non in questo, che la pittura era decaduta per modo che sembrava omai vicina a perdersene interamente l’arte. Di questo decadimento medesimo doleasi fin da’ suoi tempi anche Vitruvio (l. 7, c. 5) 5 e nel precedente volume abbiamo osservato che in qualche edificio che ci rimane dei tempi d’Augusto, vedesi l’architettura medesima allontanarsi dalla sua bella e maestosa semplicità. Lo stesso osserva il Winckelmann (Hist. de l’Art, t. 2, p. 309) nelle sculture che ci sono rimaste singolarmente de’ tempi di Traianot e di Adriano. Ma non parmi probabile la ragione ch’egli ne adduce. Forse, egli dice, se ne dee indicar la cagione nell’impero della superstizione distrutto, e nella propagazione del cristianesimo. La religione cristiana non era a questi tempi così diffusa, che il maggior numero non fosse di idolatri. E innoltre, se non ostante la religion cristiana vi ebbe, come vi ebbe di fatto, gran copia di scultori, di pittori, di architetti , perchè non furon essi eccellenti? Le ragioni medesime che nella Dissertazion preliminare abbiamo arrecate a spiegare il decadimento delle scienze, debbonsi arrecare qui ancora: mancanza di stimoli e amore di novità. Quella distolse molti dall’applicarsi a coltivar le bell’arti; e quindi, come allor quando moltissimi le coltivavano, solo alcuni pochi furono eccellenti, così scemandosi il numero de’ coltivatori, appena trovossi chi in esse, si acquistasse gran fama. Questo invogliando [p. 409 modifica]PRIMO 4 °9 coloro, che pur coltivavano l’arti, di superare in gloria gli antichi maestri, essi invece di seguirne gli esempi, si aprirono nuove strade, e per divenir più eccellenti, divenner viziosi. Così al medesimo tempo per la ragione medesima le scienze e l’arti cominciarono a decadere in Roma , e vennero poscia a stato sempre peggiore, come or ora vedremo.

Note

  1. Io mi compiaccio che questo passo della mia Storia ha eccitati alcuni ingegni italiani ad esaminare più attentamente che non si fosse fatto questo passo di Plinio sulla decadenza dell’arte di fondere. Il primo a comunicarmi su ciò l’ingegnose sue riflessioni fu il P. Eustachio Michele d’Afflitto dell’Ordine de’ Predicatori, ora custode della real Biblioteca di Napoli, il quale con sua lettera scritta da Napoli agli 8 d’agosto del 1775 mi fece riflettere che lo scolpire in bronzo e il fondere in bronzo sono due cose distinte; e che Plinio loda sempre Zenodoro per la scultura, e rileva sempre la perdita dell’arte del fondere il bronzo, l’umana sagacità di giugnervi, benchè di rado. Se Nerone, come abbiamo veduto, doveva volere il suo colosso d’un bronzo in estimazione, uno di questi quattro dovea bramare. Resta ora a vedere quale potea essere.
         È dimostrabile che non potea volere il corintio, giacchè nè si conoscea il modo di comporlo, come si è detto, e quello ch’esisteva, era tutto impiegato. Non vi porto i passi di tutte queste mie proposizioni per non accrescere lunghezza a lunghezza. Restavano solo le tre altre qualità, deliaco, eginetico ed hepatizon. Mi pare molto giusto il credere che di quest’ultimo Nerone volesse l’immagine sua colossea. Troppi pregi s’univano in questo bronzo per solleticare il genio d’imperadore così trasportato per il più raro, come abbiamo veduto, più stimato del deliaco e dell’eginetico per il suo colore di fegato, e però oscuro, non soggetto alle alterazioni come gli altri bronzi a cagione delle ingiurie e mutazioni delle stagioni, e poi più raro, perchè difficilissimo a comporsi. Quantunque non sia che una conghiettura, non vi so negare che mi fa impressione, e non piccola. Che nella sua composizione vi entrasse oro ed argento, non posso dirlo asseverantemente, ma ho gran ragione di sospettarlo, giacchè se, come abbiamo per altra ragione veduto, Quondam aes confusum auro argentoque miscebatur, è da pensare che ciò succedesse ne’ più stimati, fra’ quali certamente era l’hepatizon, onde la disposizione di Nerone di dare oro e argento si ritrova ragionevole, e giusto il rilevarla di Plinio.
         Dopo tutte queste cose, ditemi, se v’è, o esser può contraddizione in Plinio? Zenodoro di finissimo ingegno con tutti i possibili preziosi metalli non arriva a fare il bronzo che vuole Nerone, e però con ragione si dice: Ea statua indicavit (perchè per