Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VIII/Libro II/Capo IV

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Capo IV – Giurisprudenza civile e canonica

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Libro II - Capo III Prefazione al tomo IX della prima edizione - Prefazione al tomo IX della prima edizione
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Capo IV.

Giurisprudenza civile e canonica.

I. Niun capo ci si è ancora offerto nel decorso di questa Storia digiuno e sterile al par di questo. Nè è già che scarso sia il numero degli scrittori italiani dell1 una e dell1 altra giurisprudenza, e che molti non ve ne abbia <!“•’ quali qualche palli colar trattato sia tuttora fra’ giureconsulti in gran pregio. Ma debbo io riempir più pagine sol per dire che il tale ci diè un trattato su’ debitori, il taa’altro una dissertazione su’ testimonii, o, che sarebbe peggio, schierare innanzi una innumerabile serie di comentatori e di consultori, e$ tesser così un noioso e inutile catalogo di titoli e di nomi? Io fuggo quelle fatiche che altro frutto non recano che quello d’infastidire a un tempo medesimo e me e chi legge. Mi lusingo perciò che i miei lettori mi sapran grado, se dopo aver accennati i nomi d1 alcuni de’ quali la fama non è ancor del tutto perita, mi tratterrò solamente alquanto più a lungo nel ragionare di uno che fu tra’ pochi che nel corso di questo secolo imitaron f esempio del grande Alciati, valendosi dell1 erudizione a rischiarare [p. 492 modifica]493 libro la giurisprudenza, cioè del celebre Gianvincenzo Gravina. II. Jacopo Antonio Marta napoletano, che fin dal 1589 era stato professor di legge nella Sapienza di Roma (Caraffa, de Gj nifi. rom. t. 2, p. 4*7)1 andò poscia aggirandosi per diverse università d’Italia, e fu ancora in Avignone , e se in ogni luogo ottenne fama di valoroso giureconsulto, diessi ancora a conoscere per uom capriccioso, fiero e incostante; e a provarne la strana indole , basterebbe ciò che di lui si racconta, eli1 ei non volle in alcun luogo ricever la laurea, benchè niuno più di lui affettasse il titolo di dottore, che di sua propria autorità erasi imposto. Fissossi finalmente in Padova, ove dal 1611 al 1617 fu professore di diritto canonico, e poscia fino al 1623, che fu l1 ultimo di sua vita, di diritto civile (Papadop. Hist. Gymn. patav. t. 1, p. 268; FaccioL Fasti pars 3. p. 94, i42)* Molte opere diè in luce, e fra esse i giureconsulti fanno gran conto del trattato De Clausulis (a). Grande e magnifico è l’elogio che (a) L’onore che il Marta col suo vasto sapere ottenne a Napoli sua patria, fu a questa città confermato da molti altri dotti giureconsulti che vi nacquero e vi fiorirono , e che la rendettero per questi studi singo1 trinente rinomata in Italia. Fra essi merita distinta menzione Francesco di Andrea nato l’anno i(ji3 in ltavello nella Costa d’Amalfi, uno de’ più illustri e de’ più eloquenti avvocati di Napoli, e sollevato ivi a ragguardevoli cariche, e morto nella Capitanata nel 1698. A lui singolarmente dovettesi il miglior gusto introdotto in quel regno nello studio della giurisprudenza, e l’avere, come già l’Alciati e il Cuiacio, adoperata a [p. 493 modifica]SECONDO 4(j3 l’Eritreo ci ha lasciato di Francesco Acari gi sanese di patria, ma nato in Ancona (Pinacoth. pars 2, n. 25), che per più anni con sommo concorso di scolari e con istraordinario applauso fu professore di legge prima in Siena , poscia in Pisa, indi in Parma, chiamato colà dal duca Ranuccio collo stipendio di 13oo ducati, e finalmente ili nuovo in Pisa collo stipendio di iooo piastre, ove anche morì nel 1622. I)i lui però non si ha alle stampe che un tomo di Allegazioni (Mazzucch. Scritt. ital t. 1, par. 1, p. 32). Con somiglianti lodi ei ragiona di Girolamo Lanpugnani milanese (l. cit. par. 2, n. 38), che dalla sua patria passato a Roma, vi tenne per più anni or pubblica or privata scuola di leggi; ma non ne dissimula insieme i difetti, e quello singolarmente di un soverchio amor del denaro. Finì di vivere in Roma rischiarare le leggi, la storia e la critica. Ed era egli di fatto sollecito promotore non sol degli studi legali, ina degli altri ancora; e perciò adopcrossi ed ottenne che la cattedra di matematica in quella università fosse data a Tommaso Cornelio; che vi si rinnovasse quella della lingua greca, c vi si istituisse quella dell1 eloquenza; c che parecchie accademie fossero ivi o rinnovale o fondate. Di lui e delle molte opere da lui composte hanno recentemente parlato a lungo il Padre a’ Afflitto (Scria, napol. t. 1 , p. 333, ec.) e il Giustiniani (Scritt. legali, napol. t. 1 , p. 5i). Presso questo secondo scrittore si potrà trovar notizia di molti nitri celebri giureconsulti, de1 quali la città di Napoli fu sempre fecondissima madre, e che così in questo di cui parliamo, come nel precedente secolo ebher gran nome, quali furono Cainmillo Porcili, Cnrlantomo bottiglieri , llartolommeo Camerario, Fabio Capccc Galeotta , ec. [p. 494 modifica]494 ^ libro nel i<>44, dopo aver pubblicato soltanto un compendio dell’Introduzione alle Istituzioni insieme con un I fallalo del modo di studiare l’uno e l’altro diritto, oltre alcune opere inedite che si accennano dall’Argelati (Bibl. Script mediol. t. 2 , pars i, />. 7 63, ec.)• Bartolommeo Chesio giureconsulto pisano, e autor di due opere, una intitolata Interpretationes Juris, stampata in Firenze nel 1650 e ristampata più altre volte, l’altra Differenti ac Juris, pubblicata in Pisa nel 1665, è sembrato degno all’Eineccio di essere ricordato tra’ pochi giureconsulti che in questo secolo seppero volgere l’erudizione a rischiarare le leggi, ed ei ne ha perciò fatto l’elogio, in cui però si duole che poco conosciuta ne sia la vita (Op. t. 3 , ed. genev. 1748, p- 332, ec.) (a). Due cardinali si distinse!* fra gli alili per la profonda loro dottrina nel diritto canonico, Francesco Maria Brancacci napoletano morto in età di 83 anni nel iBjS, c Francesco Albizzi da Cesena che giunse a’ 91 anni ili età, e fini di vivere nel if>84- De’ gradi pe* quali essi giunsero alf onor della porpora , delle dignità da lor sostenute e delle opere da lor pubblicate, paria esattamente il co. Mnzzuccbelli (Scrilt. ital. t. a, (a) Gio. Filippo Prati giureconsulto alessandrino fu uomo assai rinomato nella sua patria, e molte opere mss. se ne conservano ivi presso i marchesi Prati da lui discendenti. Ma non se ne ha alle stampe che un Consulto latino ivi pubblicato nel 1620 all’occasione di un progetto fatto dal dottor Francesco Guasco di un nuovo Ordine equestre, i cui socii doveano essere sparsi per tutto il mondo. [p. 495 modifica]SECONDO 49^ par. 4, p. 1983, ec. 5 t 1, par. 1, ». 341)- E quelle singolarmente del Cardinal Albizzi sulla Giurisdizione dei Cardinali nelle Chiese de’ loro Titoli, sull’Incostanza da ammettersi o no nel Diritto , e la Risposta alla Storia dell’Inquisizione di F. Paolo Sarpi, sono opere che fanno conoscere quanto profondamente fosse egli in questa scienza versato. Ma più celebri ancora sono le opere di Prospero Fagnani, cioè i Comenti da lui pubblicati su’ cinque libri delle Decretali, che la prima volta uscirono alle stampe in Roma nel 1661 in tre tomi in folio. E tanto più fu ammirabile il sapere di questo scrittore, quanto era a lui più difficile l’acquistarlo; perciocchè in età di 44 aun‘ avca perduta interamente la vista, e continuò nondimeno a comporre quella grand’opera, a cui anche aggiunse uno de’ migliori indici che in tal genere si abbiano. Egli morì in Roma, ove era sempre vissuto e ove era stato carissimo a più pontefici, e principalmente ad Alessandro VII, nel it>;8, in età di oltre ad 80 anni. Le Controversie forensi di Giambattista Ciarlini carpigiano, arcidiacono nella sua patria, poi vicario della diocesi di Reggio, le molte opere del Cardinal Giambattista di Luca natio di Venosa nel regno di Napoli, e morto nel 1683, le Osservazioni criminali, civili e miste di Giandomenico Rinaldi, le Controversie di Antonio Merenda forlivese, le Opere canoniche dell’abate Ascanio Tamburini, del Passerini e di più altri, son tutte utili agli studiosi di queste scienze, e onorevoli al nome de’ loro autori, ma sulle quali non crediam necessario il trattenerci in quest’opera a dir lungamente. [p. 496 modifica]III. Elogio di Giwiiictnio (jravina. 4i)6 libro JII- Ma lasciamo questi ed altri somiglianti giureconsulti, per venire al famoso Gravina, cioè a uno di quegli uomini di cui malagevole è a elidili) re se più sieno stati innalzati con elogi, o depressi con satire, e se più degni fosser de’ primi, o delle seconde. Io mi varrò nel parlarne, e nel riferirne sì i pregi che i difetti, della Vita che elegantemente ne ha scritta monsig. Fabbroni (Vitæ Italor. doctr. excell. dec. 2, p. 107, ec.), a cui niuno, io() credo, darà a questo luogo la taccia di scrittor sospetto e parziale. Rogiano, castello vicino a Cosenza nella Calabria, fu la patria di Giovanni, o, come ei si disse in latino, Giano Vincenzo Gravina. Gennaro Gravina e Anna Lombarda, famiglie onorate di quel paese, ne furono i genitori, da’ quali nacque a’ 21 di gennaro del 1664 Fu dato prima ad istruire a Gregorio Caroprese, da cui non solo fu introdotto nell’amena letteratura, ma anche negli studi della geometria e della filosofia, non già secondo i principii peripatetici, ma secondo que’ del Telesio, del Mersenno e del Cartesio, la cui filosofia erasi in quelle provincie sparsa per opera principalmente di Tommaso Cornelio, come a suo luogo s’è detto. Passò indi a Napoli, ove, dopo essersi sempre più avanzato nello studio delle lettere greche e latine, si volse alla giurisprudenza civile e canonica; e non pago della maniera digiuna e barbara con cui e.ssa insegnavasi, la adornò collo studio dell1 erudizione, dell’antichità, della storia e anche della teologia. Nel 1688 si trasferì a Roma , ove fu accolto e tenuto per più anni [p. 497 modifica]SECONDO 497 in sua casa da Paolo Coardi torinese. Frequentò ivi la letteraria adunanza di monsignor (Ciampini, e fu uno de’ primi fondatori dell’Arcadia , di cui gli venne dato l’incarico di stender le Leggi secondo l’antico stile delle romane Tavole. Ma da ciò nacquero i primi semi delle discordie che diviser per molti anni l’Arcadia; perciocchè essendosi il Gravina vantato di avere non solo stese, ma ideate ancor quelle Leggi, ciò punse gli altri fondatori, e il Crescimbeni principalmente, che n’era il primo, e fu il Gravina costretto a dichiarare pubblicamente che di quelle Leggi ei non era stato che l’estensore. Questa dichiarazione però, invece di acchetar le discordie, le avvivò maggiormente, innasprendo gli animi dell’una parte e dell’altra; e seguì per più anni quell’adunanza ad esser divisa in fazioni, delle quali il Gravina e il Crescimbeni erano i capi. Su queste contese scrisse il Gravina una lettera al marchese Maffei, nella quale però monsig. Fabbroni ci avverte clic 11011 presti am fede a tutto ciò che da esso si narra. E, a dir vero, come osserva lo stesso illustre scrittore, era il Gravina uom facile all1 eccesso a biasimare ugualmente che a lodare, ma al primo più che al secondo; e nel farlo non solo ei parlava liberamente, ma affettava ancora una cotal arroganza, per cui pareva che sprezzando gli altrui tutti, non giudicasse alcuno degno di venir seco al confronto. Quindi ne venne l’odio di molti contro il Gravina , e quindi le pungentissime e insieme elegantissime Satire di Settano, cioè di monsig. Lodovico Sorgateli, TlRABOSCHl, Voi. XIV. 32 [p. 498 modifica]IV. Sue »jx*rc. 49^ ’ LIBRO contro di esso, il Gravina mostrò dapprima di non curarle; ma poscia non potendo frenar lo sdegno, prese a scrivere alcune invettive e alcuni jambi contro il suo avversario} ma vide egli stesso che le armi non erano uguali, e si astenne dal pubblicarle. Nel 16^)8 fu nominato professore di diritto civile nella Sapienza} e cinque anni dopo passò alla cattedra del diritto canonico, e poco appresso alla spiegazion del Decreto. Il metodo da lui tenuto nell1 insegnar dalla cattedra fu conforme all1 idea che si era formata di questo studio. Fuggiva le inutili dispute sul senso delle parole, e le scolastiche speculazioni, con cui la più parte dei giureconsulti aveano ingombrata questa poco felice scienza. Ma invece penetrando entro lo spirito delle Leggi, ne illustrava la teoria colle osservazioni tratte dagli antichi scrittori e co’ lumi di una esatta critica e di una vastissima erudizione. Pareva che questo metodo dovesse esser sorgente di grandi applausi al Gravina, e condurre a lui gran numero di uditori. Ma o fosse che il faticoso studio che richiedeva un tal metodo, atterrisse gli scolari, o fosse c he l’altera e orgogliosa indole del maestro ne alienasse gli animi, o fosse anche che i raggiri de’ suoi nimici ne allontanassero molti, ei non ebbe uditorio molto frequente, nè vide le sue lezioni accolte con quell1 applauso che loro era dovuto. IV. Più felice successo ebber le opere da lui pubblicate} e io non parlerò qui nè di varii opuscoli, nè di molte orazioni di diverso argomento , che non son quelle a cui il Gravina [p. 499 modifica]SECONDO 499 debba la celebrità del suo nomo. Il loro catalogo si può vedere presso il sopraccitato scrittore, tratto dalla edizione di tutte le opere di esso, fatta in Napoli nel 1756 in tre tomi in 4° Quella delle Origini del Diritto civile, da lui scritta in latino, e stampata la prima volta in Lipsia nel 1708, poscia più correttamente in Napoli nel 1713, è opera classica, e che può sola bastare a renderne l’autore degno d’immortal lode. Egli in essa esamina l’origine e le vicende tutte del Diritto romano; tratta de’ promulgatori, de’ corrompitori, de’ ristoratori delle leggi e delle opere loro; passa ad esaminare i principii del diritto naturale e di quel delle genti, mostra la connessione di esso col diritto civile, spiega gli avanzi del Codice Papiriano e delle dodici Tavole, e discende poscia di mano in mano alle leggi romane che appartengono al privato diritto. E benchè si conoscesse che molte cose egli avea tolte interamente, dal Cuiacio, dal Gottofredo, dal Manuzio e dal Sigonio, fu nondimeno quest1 opera esaltata, come doveasi, da tutti i dotti con somme lodi. All’edizione napoletana egli aggiunse un libro sull1 Impero romano, in cui parve clf ci superasse se stesso. Anzi aveane scritto un altro sull’Impero romano germanico; ma così consigliato da prudenti amici, non volle darlo alla luce. Le Istituzioni dell’uno e dell’altro diritto, che pur se ne hanno alle stampe, furono pubblicate contro il voler dell’autore, il quale;avea disegno di darle in luce assai più accresciute e più ornate. Nè fu la [p. 500 modifica]Soo 1.11(110 sola giurisprudenza che si accingesse ad illustrare il Gravina. L’arte poetica ancora gli dee non poco, e i due libri Della Ragion poetica, e il libro Della Tragedia, il picciol libretto De Insti lutione Poetarum, che dal ch. signor auditor Passeri è stato poi tradotto in lingua italiana e illustrato con alcune note e con una nuova Vita dell’autore (Nuova Race. iC Opuxc. t. 17), si annoverano giustamente tra’ migliori e tra’ più utili libri che su questo argomento si abbiano. Egli però fu un tra coloro che quanto vagliono nel prescriver le leggi per ben poetare, altrettanto sono infelici nel porle in esecuzione. Ei volle esser poeta, e oltre alcune altre rime, scrisse e pubblicò cinque tragediecd egli era persuaso che fosser cose eccellenti, e che fosse stato egli il primo a dare all’Italia l’esempio di tali componimenti. Ma meglio egli avrebbe provveduto alla sua gloria , come riflette monsig. Fabbroni, se pago de’ libri da esso scritti ad istruzione degli altri, non avesse voluto poetare a dispetto della natura. La morte del Caroprese suo antico maestro, e l’istituirlo ch’egli avea fatto suo erede, il ricondusse alla patria nel 1714? ma due anni appresso tornò a Roma, ed essendo stato con onorevoli condizioni invitato dalle più celebri università dell’Allemagna, il Gravina se ne scusò. Ma ben accettò egli l’invito fattogli dal duca di Savoia Vittorio Amedeo II a trasferirsi all’università di Torino, ove sarebbe stato non solo professore di legge, ma anche direttor generale di tutti gli studi; e già apparecchiavasi egli a [p. 501 modifica]SECONDO 501 partire sulla fine del 1717, quando acerbissimi dolori di stomaco il costrinsero a sospendere il viaggio. Pare nondimeno eli’ ei se ne riavesse; ma sul principio dell’anno seguente , assalitone di bel nuovo , a’ 6 di gennaio finì di vivere tra le braccia del suo amatissimo scolaro il sig. abate Pietro Metastasio, da lui nominato erede di tutti i suoi beni che avea fuori della Calabria. Il sig. Pierantonio Grevenna ha pubblicate due lettere (Catal. raisonné, t. 4, p. 128, ec.) scritte in occasione della morte del suo caro maestro da questo sì celebre di lui discepolo, il cui nome solo, e la tenerezza che per lui mostrò il Gravina, basta a formare un magnifico elogio di questo illustre scrittore. [p. 502 modifica]appendice AL CAPO SECONDO DEL LI DIIO SECONDO Che contiene due Memorie storiche, sul Sistema del Galileo t ed una Lettera d i conte Cesare Lacche sini alC Autore. MEMORIA STORICA PRIMA SUI PRIMI PROMOTORI DEL SISTEMA COPERNICANO Ih. itati tuli*Accademia iL* Dissonatiti a’ 15 marzo 1792. Non vi ha forse argomento che sì largo e spazioso campo aperto abbia a’ moderni filosofi e a’ liberi pensatori e a’ Protestanti singolarmente, per riempire i loro libri di amare invettive contro la Chiesa e contro i romani pontefici, quanto la persecuzione mossa all’immortal Galileo pel sistema copernicano da lui perfezionato e promosso. Alcuni di essi ci rappresentano quel venerabil vecchio oggetto dell’ammirazione e degli applausi di tutta la colta Europa, carico*di catene, gittato in un’oscura prigione, e qual malfattore abbandonato da’ giudici alla crudeltà del carnefice, e soggettato a ignominiosa tortura. Al leggere sì patetiche descrizioni si riempion di raccapriccio e d’orrore coloro pei quali il leggere e il credere sono [p. 503 modifica]AL CAPO II DEL LIBRO II 5o3 una cosa medesima; ne ripetono il dolente racconto a’ loro amici, e si va in ogni parte esclamando che il Galileo ci somministra uno de’ più lagrimevoli esempii d’una ingiusta e crudele persecuzione. Io non voglio per ora intraprendere l’apologia de’ tribunali romani; il che però da altri si è fatto felicemente , mostrando che non può negarsi, è vero, che troppo allora si seguissero in Roma i volgari pregiudizii, e che ne fosse effetto la proibizione del sistema copernicano, ma che tutti al Galileo si usarono que’ riguardi che alla sua età, al suo carattere, al suo sapere eran dovuti; e che finalmente non fu la Chiesa, ma un secondario e non infallibile tribunale, da cui il detto sistema fu condennato. Per altra via io voglio oggi difendere la corte romana nella condotta da essa tenuta a riguardo del sistema copernicano, e, lasciando in disparte ciò che al Galileo appartiene, io stabilisco una proposizione clic seiubreravv i dapprima aver l’apparenza di paradosso, ma ch’io spero di dimostrarvi in tal modo, che chiaramente ne riconosciate l’evidente certezza. Io dico dunque che prima de’ tempi di Galileo i difensori del sistema copernicano da niuno e in niun luogo furono più onorati che da’ romani pontefici e in Roma; e nel recare le pruove mostrerrovi al tempo medesimo che benchè i primi sostenitori di quel sistema fossero oltramontani, ali* Italia però dovetter essi il sapere di cui si adornarono, e che noi possiamo in certo modo rimirarli non altrimente che nostri; e che il sistema copernicano, nato nell* Allcrnagna , nell’Italia prima che altrove si divulgò, si sparse [p. 504 modifica]appendice ed ebbe illustratori e seguaci. Eccovi. o signori, I argomento della mia Dissertazione in questo memorabile e lieto giorno, in cui la nostra accademia , dopo avere oltre ad un secolo fatto all Italia tutta conoscere quanto felicemente coltivinsi in Modena i poetici studi, e come spento ancora nei Modenesi non sia quel vivace estro febeo che animò già i Sassi, i Molza, i Castel vetri , i Tassoni, comincia a spiegare più alto il volo e a trattare più gravi argomenti, e a mostrare con ciò che i Modenesi ben si ricordano di aver comune la patria co’ Sadoleti, co’ Cortesi, co’ Sigonii, co’ Montecuccoli, co’ Montanari, co’ Muratori, e che studiano di seguirne le gloriose vestigia. Così mi riesca di ragionare in tal modo, che a sì liete circostanze troppo male non corrisponda. Voi non ignorate, o signori, che il primo a rinnovare il sistema dall’antica pittagorica scuola già adombrato, secondo il quale il Sole si sta fermo nel centro del mondo, e la Terra intorno ad esso si aggira, fu Niccolò da Cusa, così detto dal villaggio ov’egli nacque di bassa stirpe nella diocesi di Treviri l’anno 1401. Ei venne giovinetto in Italia , secondo l’uso allor comune agli Oltramontani che volevano cogli studi aspirare a’ più sublimi onori, e nell’università di Padova ebbe l’onor della laurea. Bologna e Padova erano allora le due più rinomate università d’Europa, nè era lecito, direi quasi, il lusingarsi di esser uomo di lettere, a chi per qualche tempo almeno non avesse o dell una o dell’altra frequentate le scuole. E al principio appunto del secolo xv, poco prima [p. 505 modifica]AL CAPO II DEL LIBRO II 5o5 che il Cusa vi si recasse, era stato in Padova professore d1 astronomia quel Biagio Pelacane, il cui sepolcro vedesi innanzi alla cattedrale di Parma sua patria con un lungo elogio , in cui se ne esalta singolarmente il sommo sapere nell’astronomia. Non è dunque improbabile che da lui avesse il Cusa le prime idee di quel sistema ch’ei poscia abbracciò, e venne, benchè rozzamente, spiegando in quella tra le sue opere che è intitolata De docta ignorantia, nella quale egli afferma che la Terra si muove, e il Sol resta fermo (l. 2, c. 11, 12); e alla difficoltà che dal volgo si oppone, cioè che noi non ci avveggiamo del moto che va essa facendo, risponde, come suol farsi anche oggi, che ciò avviene allo stesso modo con cui a chi naviga e tien gli occhi fissi alla spiaggia, sembra che questa si muova e che ei rimangasi immobile. Or questo libro, in cui egli osò di sostenere un’opinione che allor dovette sembrare sì strana , non tenne già egli nascosto e sepolto nel! suo scrigno, ma il rese pubblico, come allor si poteva, dedicandolo a un de’ più celebri personaggi che avesse allora la Chiesa, cioè al Cardinal Giuliano Cesarmi, che era già stato suo maestro nel diritto canonico in Padova, e con cui il Cusa, fatto già arcidiacono di Liegi, erasi trovato presente al concilio di Basilea l’anno Il libro del Cusa, dedicato a un tal cardinale, dovette dunque aggirarsi tra le mani de’ dotti, e la nuova opinione da lui proposta dovette essere frequente scopo de’ loro ragionamenti; e molto più che allor quando [p. 506 modifica]5o6 APPENDICE il Casa intervenne al sopraddetto concilio, ad esso comunicò un suo trattato a mostrare la necessità di riforma nel Calendario, e il disordine a cui esso già era condotto; ed erasi perciò in quella grande adunanza fatto conoscere il sapere astronomico dell’arcidiacono di Liegi, e la fama doveasene essere sparsa per ogni parte. E nondimeno tanto fu lungi che l’opinione da lui sostenuta intorno al sistema del mondo fosse a lui origine di alcuna molestia che anzi ei si vide da’ romani pontefici a’ più alti gradi d’onor sollevato. Niccolò V, che tutti forse superò quanti mai furono i papi, nel fomentare gli studi e nel premiar gli studiosi, il nominò cardinale nel 1448 e gli conferì ancora il vescovado di Brixen; ed egli poscia , e appresso lui Callisto III e Pio II, che gli succederono, dell’opera e del consiglio del cardinale di Cusa si valsero ne’ più difficili affari e nelle più ardue legazioni, nè mai cessarono di onorarlo, di stimarlo e d’amarlo, finchè egli non venne a morte l’anno 1464 Nè deesi qui ommettere ciò che a pochi è noto, cioè che le opere del Cardinal di Cusa furono la prima volta stampate in Italia l’an 1502 in Corte Maggiore per opera del marchese Rolando Pallavicino signore di quella terra, che con sua lettera dedicatoria le indirizzò al celebre Cardinal Giorgio il1 Amboise. E ciò non ostante, non fuvvi chi accusasse quell’opera di mal sane opinioni, nè chi ne credesse sospetto d’eresia l’autore. Eccovi dunque il primo rinnovator del sistema che fu poi detto copernicano, favorito [p. 507 modifica]AL CAPO II DEL LIBRO II 5oy e premiato da’ papi e dalla corte romana, onorato dell1 amicizia di un cardinale, e la cui opera in un altro cardinale trova un rispettabile mecenate. Ma ciò non basta. Questo sistema rozzamente adombrato dal Cusa, fu poco appresso a maggior perfezione e a maggior evidenza condotto da Niccolò Copernico. E Niccolò Copernico ancora ebbe in ciò il favore e la protezione de’ papi e della corte romana. Piacciavi , o signori, di venir meco seguendo le principali epoche della vita di questo grand’uomo, e voi non potrete non esserne pienamente convinti. Il Copernico nato in Thorn l’anno 1472 venne egli pure, come già il Cusa, ancor giovinetto in Italia, e nell’università di Bologna fece il consueto corso di studi. Eravi allora professore Domenico Maria Novara ferrarese, uno d«;’ più dotti astronomi che di quel tempo fossero in Europa. Se questi avesse egli pure abbracciato il sistema della mobilità della Terra, non possiamo accertarlo. Sappiamo però, per testimonianza di Giorgio Gioachino Retico scolaro e compagno indivisibile del Copernico, che questi insiem col Novara occupavasi spesso in Bologna in fare osservazioni astronomiche, e che fatto conoscere per tal maniera il suo valore in questi studi, fu circa l’anno 1500 chiamato a Roma , e nominato pubblico professore di matematica. Continuò ivi il Copernico le sue astronomiche osservazioni, e non è impossibile ch’egli cominciasse in Roma a formarsi nell1 animo il suo sistema. Ma io non voglio affermar cosa che appoggiata non sia ad autentici monumenti. Abbandonò il Copernico [p. 508 modifica]5o8 APPENDICE dopo qualche tempo Roma e P 11 alia, ove però tal memoria rimase del suo molto sapere nelle cose astronomiche, che essendosi messo pochi anni dopo nuovo trattato della riforma del Calendario nel concilio lateranese tenuto a’ tempi di Leone X, fra gli uomini dotti che in quell occasione furono per lettere consultati, uno fu il Copernico. Questi frattanto, fatto canonico di Warmia, attese ivi tranquillamente a’ suoi studi , e ivi veramente perfezionò e svolse il suo ingegnoso sistema, e compose la sua grand’opera De revolutionibus orbium caelestium. Ma egli ben conosceva che un sistema con cui egli ardiva di opporsi a un’opinione da tanti secoli stabilita nel mondo, e dall’autorità di tanti filosofi approvata , avrebbe trovati nimici e contraddittori in gran numero. Faceagli perciò d’uopo di autorevoli personaggi che lo animassero a non temere i popolari pregiudizi , e contro di essi colla lor protezione rassicurassero. Or chi furono quelli a’ quali dovette il Copernico la pubblicazione della sua opera e la sua sicurezza contro gli invidi detrattori? Un cardinale, un vescovo e un pontefice. Il Cardinal Niccolò Schonberg vescovo di Capova fu quegli a cui si dovette l’edizione dell’opera del Copernico. Questi nato nell1 anno medesimo in cui nacque il Copernico, era poscia in età di 20 anni entrato nell1 Ordine de1 Predicatori, circostanza degna di riflessione, e che dee muoverci ad usare di una pietosa indulgenza verso alcuni dell1 Ordine stesso , che con soverchio zelo declamaron poscia dal [p. 509 modifica]al CAPO II DEL LIBRO II 5f>9 pulpito contro del Galileo illustratore e perfezionatore di quel sistema che da un antico lor confratello era stato sostenuto e promosso. Pare che il cardinale non avesse conosciuto mai di presenza questo celebre astronomo5 perciocchè nella lettera ch’ei da Roma gli scrive il 1 giorno di novembre dell’anno i53(ì, e che va innanzi alla grand’opera del Copernico, dice soltanto di aver udito celebrare da molti il profondo sapere di cui era fornito, ed esporre il sistema astronomico da lui ideato, di cui nella lettera stessa fa un breve compendio. Quindi caldamente il prega.a non voler tenere sepolto più lungamente un sì pregevol lavoro, e a mandargli il suo libro sopra la Sfera, e qualunque altra cosa ad esso appartenga j e aggiugne che perciò avea già ordinato a un certo Teodorico da Redek , che tutta quell’opera facesse interamente copiare a sue spese, e a Roma gliela trasmettesse. Forse il Copernico si disponeva a soddisfare al desiderio del cardinale 3 ma essendo questi venuto a morte nel seguente anno 153^, paro eh1 egli non sapesse ancora determinarsi ad esporre alla pubblica luce le nuove sue opinioni. Certo noi sappiamo dallo stesso Copernico, che più e più volte convenne replicar le preghiere e le istanze che perciò gli venivano fatte. Così egli ci assicura nella lettera dedicatoria, di cui fra poco farò parola, nella quale oltre il cardinale di Schonberg, nomina anche l’altro prelato da cui veniva continuamente stimolato a dare alla luce il suo libro , cioè Tidemanno Gisio vescovo di Culma: Gli amici, ilice egli, mi hanno finalmente dopo lunghi contrasti e [p. 510 modifica]5io appendice dopo molte difficoltà espugnato. Fra’ quali il primo fu il cardinale Niccolò Schonberg vescovo di Capova , uomo in ogni genere di dottrina insigne, e presso a lui il mio amatissimo Tidemanno (Gisio vescovo di Culma, uomo, coni egli èy studiosissimo delle sacre lettere e di ogni letteratura , il quale spesso con lettere e talvolta ancor con rimbrotti mi ha esortato e sospinto a pubblicar questo libro. Determinossi dunque finalmente il Copernico a pubblicarlo. Molto di protezione e di favore potea egli sperare alla sua oper a dal vescovo e da’ tanti altri uomini dotti che a pubblicarla l1 aveano indotto. Un più autorevole mecenate volle ei procacciarle, e scelse quello di cui nell’ecclesiastica gerarchia non poteva avere il più grande, dico il pontefice Paolo III La lettera dedicatoria con cui egli gliela offre, tutta rivolgesi sulla novità e sulla difficoltà dell’argomento, e sulle ragioni che a immaginare questo nuovo sistema l’avean condotto. Nelle lodi di Paolo non si stende sì a lungo, come di far si costuma nelle moderne lettere dedicatorie; ma ne forma in breve un luminoso elogio, dicendo che anche in quel suo rimoto angolo della terra in cui egli vivea, sapevasi che Paolo III non solo per la sublime sua dignità, ma anche per l’amore di tutte le scienze, e della matematica singolarmente, sopra tutti si sollevava. Sappiamo di fatto che Paolo III fu uno de’ più eruditi pontefici che sedessero sulla cattedra di S. Pietro. E a provarcelo, bastar potrebbe l’immagine che di lui, mentre era cardinale, ci ha lasciata f Ariosto, [p. 511 modifica]AL CAPO II DEL LIBRO II 51 I dipingendolo circondato da tutti i più dotti uomini dell’età sua: Ecco Alessandro, il mio Signor, Farnese: O dotta compagnia che seco mena! Fedro , Cape!la , Porzio , il Bolognese Filippo, il Foli errano t il Maddalena, Blosio, Pierio , il Vida Cremonese D’alta facondia inessicabil vena, E Lascari, e Musuro , e Navagero , E Andrea Marone, e ’l Monaco Severo. Ori. c. 46} «t- *3. Celio Calcagnini ancora, di cui dovrò parlare tra poco, loda altamente i gravi e seriosi studi di Paolo III, e il disputar ch’ei sovente faceva or in latino, or in greco sulle più astruse quistioni della filosofia (Epist. l. 16, p. ai 6). Ma f astronomia era quella di cui singolarmente compiacevasi questo pontefice; e oltre la testimonianza del Copernico , poc1 anzi recata , abbiam quella del gran Fracastoro, che un altro sistema astronomico avendo immaginato, ch’egli svolse e spiegò nel suo Trattato degli Omocentrici, egli pure offrillo allo stesso pontefice con sua lettera in cui afferma che dopo gli affari della Religione, niuna cosa più stavagli a cuore che i filosofici studi, e gli astronomici singolarmente. E forse di qua ebbe origine f accusa a lui data allora da alcuni, che anche dell’astrologia giudiciaria ei si occupasse. Io non so a qual fondamento appoggisi tale accusa. Ma ancorchè essa fosse appoggiata ad autorevoli pruove, non sarebbe a stupire se in un secolo in cui più altri uomini grandi, e tra essi il celebre Giambattista Porta , e anche nel secol seguente il dottissimo Buona ventura \ [p. 512 modifica]5 * 2 APPENDICE Cavalieri, non ebber coraggio a sollevarsi contro i volgari pregiudizii, e credon le stelle presaghe dell avvenire, anche il pontefice Paolo III si lasciasse avvolgere in tale errore. Sotto gli auspicii adunque di Paolo III uscì dalle stampe di Norimberga l’anno »543 la grand opera del Copernico. Egli non ebbe tempo a vedere per qual modo venisse essa accolta da’ dotti: perciocchè appena ricevute le prime copie del libro, ei cadde infermo e morì. Nè Paolo III potè con qualche atto di generosa beneficenza mostrargli quanto ei gradisse e pregiasse quell’opera. Ciò che è certo, si è che l’opera del Copernico non fu allora chiamata ad esame, nè fu accresciuta di errore. Nè è già che fin da que’ tempi non si avesse sospetto che da alcuni potesse il sistema copernicano tacciarsi come contrario alla cattolica religione. Prima ancora che l’opera del Copernico uscisse alla luce, cioè fin dal 1540, Giorgio Schonero inviando a un suo amico la lettera con cui Giorgio Gioachimo Retico avealo ragguagliato delle osservazioni astronomiche del Copernico, e del sistema da lui ideato, dice che non essendo esso corrispondente al metodo nelle scuole finallora tenuto, poteva forse cadere in sospetto ancor d’eresia: Lied, dice egli dell’opuscolo del Retico, consuetae hactenus docendi methodo non respondeat, possitque non unico themate usitatis scholarum theoricis contrarius, et, ut Monachi dicerent, haereticus existimari. Ciò non ostante, o niun sollevossi contro il Copernico, o sollevossi inutilmente; e l’opera [p. 513 modifica]AL CAPO 11 DF.L LIBRO II 5ld ili esso per quasi ottani1 anni corse per le mani de’ dotti immune da ogni censura. E solo l’anno 1620, allor quando già erano cominciate le controversie col Galileo, e fin dall’anno 1616 gli era stato ordinato di non sostener quel sistema, allor solamente per decreto dell’Inquisizione romana non fu già proscritta l’opera del Copernico, ma si comandò che a renderne lecita la lettura dovesser troncarsene e correggersene alcuni passi. Non è di questo luogo l1 esaminare per qual ragione sì lungo tempo si differisse a trovar degna di correzione l’opera del Copernico. L’argomento di questa mia Dissertazione è solo il mostrarvi che il sistema copernicano fu nel suo nascere, o, a dir meglio, nel suo rinnovarsi, da’ romani pontefici e dalla lor corte favorito e protetto. Io ve ne ho già recate più pruove, ma altre ancor ne rimangono. L’opera del Copernico, come vi dissi, solo l’anno 1543 fu pubblicata. Ma era frattanto già sparsa la voce delle astronomiche osservazioni da esso fatte, e del nuovo sistema da lui immaginato a spiegare i movimenti celesti. Avvenne frattanto che il Cardinal Ippolito d lisi e 11 vecchio verso il 1518 andossene in Ungheria, e seco condusse il celebre Celio Calcagnini. Era il Cardinal Ippolito, più che della piacevole letteratura, coltivatore studiosissimo delle gravi scienze e dell’astronomia principalmente. E ne abbiamo, oltre più altre pruove, la testimonianza dell’Ariosto, ove cel rappresenta in mezzo a una scelta e numerosa corona TiiiÀUoscin, Voi. XIV. dd [p. 514 modifica]5 1 4 APPEMjICE il’uomini dotti, e iti ulto di udirli disputare tra’ loro: L)< filosofi altre ve e di fx>eti Sì vede in mezzo un’onorata squadra: Quel gli dipinge il corso de’ p ani ti , Questi la terra, quegli il Ciel gli squadra. Orl. c. 3 j , si. 4* E forse a questo amore pe’ gravi e seriosi studi dovette l’Ariosto quel non troppo gentil complimento con cui il cardinale, suo benefattore per altro e amorevole mecenate, lo accolse , allor quando vennegli innanzi col suo Furioso, Io non so se il cardinale nel traversar l’Allemagna vedesse il Copernico, e con lui favellasse. Certo è bensì che ei conobbe Jacopo Zieglero astronomo esso pure rinomatissimo, e che tornato in Italia, con replicati inviti a lui fatti per mezzo del Calcagnini medesimo, ottenne di’ ei venisse a Ferrara, ove, e poscia in Venezia e in Roma visse più anni. Da lui è probabile che il Calcagnini prendesse notizia del copernicano sistema, ch’ei poscia, benchè non troppo felicemente, spiegò in quel suo trattatello: Quod Coelum stet, terra autem moveatur. Ed eccovi, o signori, nel Calcagnini il primo Italiano che ardisse di sostenere, prima ancora della pubblicazione dell’opera del Copernico, il sistema copernicano. Or come fu egli accolto un uomo che riguardo all1 astronomia poteva rimirarsi come un empio novatore pericoloso? Non solo ni un rumore contro lui sollevossi; ma essendosi egli recato a Roma a’ tempi di Paolo III, ne fu con tale benignità ricevuto, [p. 515 modifica]AL CAPO II DEL LIBRO II 5l5» ciic «li ritorno a Ferrara gli indirizzò lettera di ossequioso ringrazia mento j e avendolo il papa onorato di cortese risposta, continuò il Calcagnini ad aver con lui commercio di lettere (Op. p. 21 (5, cc.). INè è già a credere che nota non fosse a Paolo III l’opinione del Calcagnini, perciocchè questi scrivendogli afferma di averne ammirato singolarmente il profondo sapere ne’ filosofici studi. E troppo perciò è probabile che nelle amichevoli conferenze che Paolo ebbe col Calcagnini, questi gli spiegasse le; sue idee, e che il pontefice con quella stessa facilità con cui pochi anni appresso permise al Copernico di dedicargli la sua grand1 opera, mostrando con ciò di approvarne il sistema, approvasse ancor l’opinione del Calcagnini. E veramente avea Paolo 111, mentre era ancor cardinale, avuto sotto gli occhi un esempio per cui non poteva nascergli dubbio che lecito non fosse l’abbracciare quell’opinione. Avea egli veduto il suo predecessore Clemente VII accogliere cortesemente negli orti vaticani un sostenitor del sistema copernicano, udirlo esporre il sistema medesimo innanzi ad amplissimi personaggi, e dargli un onorevole contrassegno del suo gradimento e della sua approvazione. Io dico cosa poco finor conosciuta, ma pur certissima, e appoggiata a troppo autorevole documento. Giovanni Alberto Widman.sladio, che fu poscia celebre pe’ suoi studi nelle lingue orientali, venuto a Roma l’anno 1533, cominciò a tenervi ragionamenti dell’opinion del Copernico, che benchè non ancora fatta pubblica colle stampe, dovea nondimeno esser notissima [p. 516 modifica]APPENDICE neH’AlIemagna. Ébbeive avviso Gemente, e volle ei medesimo udire per qual modo con tal sistema tutti si spiegassero i movimenti celesti. Chiamato perciò il Widmanstadio negli orti vaticani alla presenza di due nobilissimi cardinali Franciotto Orsini e Giovanni Salviati, di Giampietro Grassi vescovo di Viterbo, e del proprio suo medico Matteo Corte , udillo svolgere e a parte a parte dichiarare il sistema copernicano E poichè ebbelo udito, a dare al Widmanstadio una pruova durevole del piacere con cui l’avea ascoltato, fattosi recare un bel codice greco in cui contenevasi l’opera di Alessandro Afrodiseo de sensu et sensibili, gliene fè dono, ed onorollo ancora coi titoli di suo segretario domestico e famigliare. Il detto codice tuttor si conserva nella elettoral biblioteca di Monaco, e vi si leggono le seguenti parole, con cui il Widmanstadio volle lasciar memoria di un fatto a lui tanto glorioso: Clemens VII P. M. hunc Codicem mihi dono dedit anno 1533. Romae, postquam praesentibus Franciotto Ursino, Jo. Salviato cardinalibus, Jo. Petro episcopo Viterbiense, et Mathaeo Curtio medico physico in hortis Vaticanis Copernicanam de motu terrae sententiam explicavi. Johannes Albertus Widmanstadius cognomento Lucretius SS. D. N. secretarius domesticus et familiaris. Or raccogliendo le cose finor dette, o signori, parmi d’avervi dimostrato che il sistema copernicano ebbe ad approvatori e a lodatori tre papi, Niccolò V, Clemente VII e Paolo III, tre cardinali, Cosa, Cesarmi e Sconberg; eh’esso fu pubblicamente sostenuto negli orti vaticani, [p. 517 modifica]AL CAPO II DEL LIBRO II , 517 «pnza che alcuno vi si opponesse5 e che quando venne alla pubblica luce, non ebbe altro mecenate che un papa. Or ditemi per vostra fede se siavi mai stata alcuna opinione filosofica che tanti contrassegni di approvazione abbia riportati da’ papi e dalla corte di Roma, quanti riportonne il sistema copernicano. E nondimeno io debbo aggiungervi cosa che vi recherà ancora maggior meraviglia. Eran cominciate l’anno 1616 le controversie tra l’Inquisizione romana e il Galileo, e a lui era stato ordinato di non difendere il sistema copernicano. L’anno seguente 1617 venne a morte in Bologna Giannantouio Magi ni astronomo a que’ tempi assai rinominato, e conveniva perciò a quella pontificia università provvedere di un nuovo professore d’astronomia. Or a chi credete voi, o signori, che si volgesse il pensiero? Al più dichiarato sostenitore, anzi all’ingegnoso perfezionatore del sistema copernicano, dico al celebre Giovanni Keplero, il quale già da 20 anni (perciocchè la prima opera astronomica da lui pubblicata appartiene al 1596) erasi dichiarato apertamente in favor di Copernico. A lui a nome di quella celebre università fu offerta la cattedra di astronomia - e se molte ragioni che dal Keplero nella sua risposta si adducono, per non accettar quest1 onore , non 1’avesser distolto, sarebbesi veduto il secondo autore, per così dire, del sistema copernicano condotto alla più celebre tra le università pontificie un anno doppoichè al Galileo erasi divietato il sostener quel sistema. La serie di questi fatti eli’ io vi ho esposti [p. 518 modifica]

>ltt appendice

finora, nell allo medesimo in cui \i avrii chianmente convinto di ciò che al principio.lei mio Hagionamunlo mi proposi di dimostrarvi, vi avrà insieme fatto nascere il dubbio , e mossi a investigar tra voi stessi per qual ragione adunque ciò che non sol fu permesso , ma fu anche approvato nel Cusa, nel < opernico, nei Zieglero, nel Calcagnini, nel Widmanstadio, fosse poi biasimato, punito e condennato nel Galileo. Ciò potrebb’essere l’argomento di un altra Dissertazione, in cui potrebbesi forse mostrare che se il Galileo fosse stato alquanto men fervido sostenitore della suo opinione, e se diverse altre circostanze concorse non fossero a renderlo sospetto ed odioso a’" tribunali romani, egli non sarebbe stato soggetto alle molestie che pel sistema copernicano sostenne, e che questo avrebbevi ritrovato quel favor medesimo di cui altre volte era stato onorato, o almeno sarebbesi verso di esso usato di quella facile condiscendenza di cui non molto tempo dopo la condanna del Galileo si cominciò ad usare. Ma troppo lungo tempo richiederebbesi a svolgere ogni cosa j ed io ho abbastanza abusato della sofferenza vostra, o signori, per non dovervi trattener più oltre su un argomento che sarebbevi forse sembrato più curioso e più interessante, se da più erudito e più elegante scrittore fosse stato illustrato. [p. 519 modifica]AL CAPO II DEL LIBRO II 51Q MEMORIA STORICA SECONDA SULLA CONDANNA DF.L GALILEO E DEL SISTEMA COPERNICANO Recitata nella stessa Accademia a’ 7 marzo 1793. Sembra, o signori, costante legge della natura , che come niuna di quelle cose le quali per arte e per ingegno si fanno, non è mai da ogni canto perfetta per modo che nulla vi si possa o correggere , o migliorare, così ancora non v’abbia uomo a cui qualche cosa per qualche lato non manchi a renderlo esente da ogni difetto e superiore alla p.’ù dilììcil censura. Anzi veggiam talvolta quegli uomini che per forza e per acutezza d’ingegno sembrano sollevarsi sopra gli altri tutti, e poggiar sì alto col volo, che si sottraggan quasi allo sguardo degli attoniti osservatori, scender poscia e precipitare con sì rovinosa caduta, che l’ammirazione e f invidia che per essi si avea, per poco non cambisi in derisione e in disprezzo. Come se la natura volesse per tal modo porgere un lusinghiero conforto a coloro che impotenti a tentare grandi intraprese si avvilirebbon forse di troppo, se non vedessero anche i sommi uomini abbassarsi talvolta al loro livello , e con essi umilmente radere il suolo. Chi avrebbe mai sospettato che il filosofo più ingegnoso per avventura che mai vivesse, e a cui il calcolo , f ottica, 1 astronomia , la fisica tutta debbon cotanto, dico f immollai Newton, [p. 520 modifica]•r>2o APPKNnia? si volgesse poscia a computar** \\/1 focalissi’ , e seriamente scrivesse la bestia a sette corna non altro essere che il romano pontefice? Chi avrebbe creduto che l’uomo per acutezza d’ingegno e per ampiezza di erudizione il più capace di illustrare 1 antichità e la storia , qual era il P. Arduino, dovesse ravvisar nell’Eneide il viaggio di S Pietro a Roma descritto da un monaco benedettino, creder le odi di Orazio opera di un Domenicano del secolo XIII , e la Divina Commedia di Dante parto di un Wicleffista vissuto nel secolo xv 7 E quant’altri potrei io ricordarvi, ne’ quali se il raro ingegno di cui eran forniti, fu sempre costante ed uniforme a se stesso, venne però in certo modo eclissato da difetti morali che ad essi non permisero l’ottenere interamente gli onori e le lodi che lor si sarebbon dovuti! E in ciò sembra quasi più infelice la condizione de’ sommi uomini che de’ mediocri; perciocchè in questi la stessa loro mediocrità li toglie allo sguardo degli invidiosi censori, e non lascia ravvisare difetti in coloro in cui 11011 ravvisano grandi virtù. Ne’ primi al contrario l’ammirazione che si ha de’ singolari loro talenti, risveglia l’invidia, e la rende ingegnosa a investigarne i falli; e quanto più chiara luce essi spargono, tanto più curiosamente se ne ricercan le macchie, e pur troppo è raro che alcuna non se ne scuopra. E a me appunto è grave, o signori , il dover questa sera sostenere l’odioso ufficio di rigoroso censore del carattere e della condotta di uno de’ più grand’uomini di cui si vanti l’Italia, c elie jie1 lasti [p. 521 modifica]AL CAPO II DEL LIBRO II 521 della filosofia e della matematica vivrà sempre immortale. Ma io mi ci trovo in certa guisa da voi stessi costretto. Voi non avete dimenticato, o signori, che allor quando questa nostra adunanza cominciò f apno scorso a sollevarsi a’ più nobili oggetti, ed io ebbi l’onore di favellarvi da questo luogo, presi a mostrarvi che il sistema copernicano, dannato poscia nel Galileo , era stato per quasi due secoli prima de’ tempi del Galileo da’ romani pontefici e da illustri cardinali e prelati favorito e promosso j e che nc inferii che se il Galileo fosse stato alquanto men fervido sostenitore della sua opinione , e se diverse altre circostanze concorse non fossero a renderlo sospetto ed odioso a’ tribunali romani, egli non sarebbe stato soggetto alle molestie che per quel sistema sostenne. Questa mia proposizione innanzi a voi proferita, dà a voi diritto, o signori, di esigerne da me le pruove. Nè io posso farlo, senza mostrare il Galileo colpevole di qualche fallo, per cui forse più che pel sistema medesimo ei soggiacque a patimenti e a travagli. Io studierommi nondimeno di farlo con quella moderazione e con quel rispetto che a’ sommi uomini è dovuto. E se mi è lecito l’usare di un’espressione che al secolo passato converrebbe più che al presente, io non dovrò finalmente esser ripreso, se ardirò di trovar qualche macchia in un uomo che tante ardì di trovarne nel Sole. Che il Galileo per aver sostenuto il sistema copernicano fosse citato al tribunale della romana Inquisizione, che fosse ivi rattenuto per qualche tempo, ch’ei fosse perciò coudennato, [p. 522 modifica]5 22 APPENDICE c elio 1 opinione da lui insegnata fosse dallo stesso tribunale proscritta non altrimenti che eretica, son cose a tutti notissime, e delle quali non è lecito il dubitare. Ma non ugualmente son note le circostanze che precederono e accompagnarono questo fatto, e dalle quali sole si può raccogliere se il Galileo fosse in qualche modo colpevole, e quai motivi spingessero quel tribunale a sì rigorosa condanna. Erasi il Galileo recato la prima volta a Roma fin dal i6n7ma in quel primo viaggio del sistema copernicano non si fece alcun motto, o perchè egli non se ne fosse ancora abbastanza occupato, o perchè non avesse ancor fatta pubblica la sua opinione. I satelliti di Giove da lui poc’anzi scoperti, e appellati pianeti Medicei, fecero allora il principale argomento de’ discorsi da lui tenuti co’ filosofi e co’ matematici romani. Scrive egli stesso al segretario Vinta di aver trovati il P. Clavio e due altri Gesuiti assai dotti astronomi occupati nel confermare con nuove osservazioni le sue scoperte , e nel ridersi di un certo Francesco Sizi che aveale combattute (Fabbroni, Lett. cT Uom. ili t 1, p. 32). E veggiamo ancora da’ documenti prodotti dal dottor Giovanni Targioni , che lo stesso Cardinal Bellarmino, che poi ebbe’ parte, come vedremo, nella prima proibizione del sistema copernicano, avea egli stesso voluto osservare i fenomeni dal (Galileo scoperti nel cielo, e aveane chiesto il parere al P. Clavio medesimo, e a tre altri matematici gesuiti, i quali gliene aveano confermata la verità (Atti e Mem. dell’Accad. del Cim. t. 2, par. 1, p. 19, 20). Ma [p. 523 modifica]AL CAPO II DEL LIBRO II 5j3 l’accademia de Lincei singolarmente, allora di fresco istituita dal celebre principe Federigo Cesi, fu quella in cui più di frequente e con maggior plauso fu udito il Galileo tener pubblico ragionamento delle sue scoperte, che erano allora l’oggetto de’ libri e de’ discorsi di tutti i dotti singolarmente dell’Italia e dell’Allemagna. Quel primo viaggio adunque non fu sorgente pel Galileo che di ammirazione e di gloria. Egli frattanto, ritornato in Toscana, cominciò a svolgere e a comunicare agli altri le sue idee sul sistema copernicano j e, come suole accadere di tutto ciò che ha apparenza di novità, se trovò molti ammiratori e seguaci, molti ancora, e forse in maggior numero, ritrovò contraddittori e nimicij o perchè non ben s’intendessero i fondamenti di tal sistema, o perchè gli antichi professori di queste scienze si recassero a vergogna il confessare di essere stati finallora in errore, o perchè paresse a molti che il sistema copernicano non potesse conciliarsi colla sacra Scrittura che sembra supporre il moto del Sole e l’immobilità della Tei’ ra. Quest’ultima ragione era quella che più alto sonar faceasi contro del Galileo , perchè era la sola che addur# si potesse, senza esporsi ad entrare in quistioni astronomiche , nelle quali troppo era a temere 1* ingegno del Galileo. Cominciò dunque a menarsi rumore contro il rinnovatore del sistema copernicano, e si giunse perfino a declamar contra esso da’ sacri pergami, e fuvvi chi si lusingò di aver trovata negli Atti degli Apostoli una predizione e una derisione dell’opinione del Galileo in [p. 524 modifica]5 24 appendice quello parole: Viri Galilaei, quid statis aspicientes in Coelum? Ne giunse lo strepito fino a Roma, e il Galileo fu avvertito che grave scandalo presso alcuni destava la sua dottrina. Quindi, o perchè egli spontaneamente a ciò s’inducesse, come egli scrive in una sua lettera (Fabbr. l. cit. p. 35), o perchè fosse citato a render conto delle sue opinioni, come scrive pure in una sua lettera Antonio Querenghi (Stor, della Letter. ital. t. 8, pag. 125), colà recossi sulla fine del 1615. Cominciò ivi or in una , or in altra casa a spargere il sistema da lui abbracciato, e a rispondere alle difficoltà che da molti gli si opponevano , e da cotali dispute comunemente usciva egli vincitore fra gli applausi e le maraviglie degli uditori. Ma egli non seppe usare di quella moderazione che a’ grand’uomini è tanto più necessaria, quanto più temon gli altri di esser da essi soverchiati ed oppressi. Il Galileo, scrive l’ambasciadore Pietro Guicciardini al gran duca Ferdinando a’ 4 di marzo del 1616 (Fabbr. l. cit. p. 53), ha fatto più. capitale della sua opinione, che di quella*de’ suoi amici, ed il sig. cardinale del Monte ed io in quel poco che ho potuto, e più cardinali del S. Offizio f ave a no persuaso a quietarsi, e non stuzzicare questo negozio; ma se voleva tenere questa opinione, tenerla quietamente , senza far tanto sforzo da disporre e tirar gli altri a tener l’istesso. E poco appresso: Egli s’infuoca nelle sue opinioni, e ha estrema passione dentro, e poca fortezza e prudenza a saperla vincere. Voi vedete dunque, [p. 525 modifica]AL CAPO II DF.L LIBRO li 520 o signori, clic se il Galileo avesse moderate alquanto le sue espressioni, forse non sarebbesi esposto a’ travagli che dovette poi sostenere j e che que’ cardinali che dal Guicciardini si accennano, non gli avrebber recata molestia alcuna, se solo privatamente avesse egli sostenuta la sua opinione. Ma prima di andare innanzi, conviene qui stabilire alcuni principii che son necessarii a rischiarare e a giustificar la condotta che si tenne col Galileo. È certo presso tutti i Cattolici , che il testo originale della sacra Scrittura , anche nelle cose che non appartengono al domma , non contiene falsità alcuna , e che tutto ciò che da essa si afferma, deesi tenere per vero. È certo ancora che dal senso letterale della sacra Scrittura non è lecito l1 allontanarsi , se non ove qualche evidente pruova a ciò ci conduca, la qual ci dimostri che il senso letterale conterrebbe una falsità, o un error manifesto. Or, ciò supposto, non può negarsi che diversi passi della sacra Scrittura sembrino persuaderci che la Terra sia immobile , e che il Sole intorno ad essa si aggiri. Questi erano i passi che al Galileo si opponevano; e s’ei fosse ristretto a rispondere che egli parlava sol da filosofo, e che ove i passi della Scrittura non potessero altrimente spiegarsi , ei non intendeva di opporsi a sì rispettabile autorità, la quistione probabilmente non sarebbe ita più oltre. Ma pare che il Galileo non fosse pago di ciò. Una lettera da lui scritta circa quel tempo al P. don Benedetto Castelli [p. 526 modifica]5^6 APPENDICE suo scolaro, clic ò quella stessa probabilmente che accennasi nel decreto di condanna, di cui ora diremo, e che è stala, ma non interamente, data alla luce dal sopraddetto Targioni (l. cit. p. 22), e un’altra da lui scritta alla gran duchessa di Toscana, ci mostrano che il Galileo avrebbe voluto persuaderci che al senso letterale della Scrittura non dovesse aversi riguardo se non nelle cose che appartengono al domma. Or questa proposizione, benchè in qualche senso si possa ammettere per vera, riputavasi nondimeno, ed era di fatto, pericolosa, singolarmente a que’ tempi ne’ quali era ancora recente la dolorosa memoria delle perdite che la Chiesa romana fatte avea nel Settentrione, e che in gran parte avean tratta la loro origine dalla libertà introdotta da’ Novatori d’interpretare a loro capriccio la sacra Scrittura, di darle quel senso che tornasse loro più acconcio. Non ignoravano certamente i romani teologi che nelle cose che indifferenti sono alla Fede, e in queste ancora, se una evidente ragione a ciò ne determini, è lecito, e talvolta ancor necessario, allontanarsi dal senso letterale. Ma sapevano ancora che i teologi e i filosofi tutti dell’età trapassate aveano finallora creduto che nella sacra Scrittura si stabilisse chiaramente l’immobilità della Terra) che quelli i quali prima del Galileo sostenuto aveano il sistema copernicano, avean parlato soltanto come filosofi, e non avean cercato di conciliare la loro opinione col sacro testo; che il Copernico solo dato ne avea qualche cenno, [p. 527 modifica]AL CAPO II DEL LIBRO li 02^ ala c|)c r opera di esso non era nota che a pochi dotti. Vedevano che il Galileo con ingegnose dimostrazioni sforzavasi di stabilire il sistema copernicano; ma vedevano insieme che la massima parte de’ filosofi di quei tempi non se ne mostrava convinta. Nè pareva perciò l’opinione del Galileo certa ed evidente per modo, che dovesse permettersi, almeno pubblicamente, il dare altro senso alle parole del sacro testo da quel ch’esse sembravano manifestare. Per altra parte il Galileo faceva tanto pubblicamente sonare l’opinion sua , eli’ essa era omai nella bocca di tutti, nè potè vasi dissimulare che molti de’ più dotti filosofi e teologi ne rimanevano scandalizzati, e che rimiravano il Galileo come novatore pericoloso, perchè ardisse egli il primo, e quasi egli solo, di opporsi in sì solenne maniera al senso letterale della sacra Scrittura. E pareva loro perciò, che non si dovesse permettere all’arbitrio di un solo il dare al sacro testo altra spiegazione da quella che data erasi fino allora. Queste furono le ragioni che determinarono i consultori romani alla prima condanna del sistema copernicano, che è riportata nel secondo decreto che fecesi poscia 16 anni più tardi. Niun processo fu allora fatto contro del Galileo , e a niuna pena si venne contro di lui. Furon proibite due delle proposizioni del Galileo , cioè quella che il Sole fosse nel centro del mondo , e non avesse movimento locale , la qual fu condannata come eretica, perchè contraria alla sacra Scrittura; e quella che la Terra non era centro del mondo , e eh’essa [p. 528 modifica]528 appendice moveasi con movimento diurno, come erronea riguardo alla Fede 5 c poscia il Cardinal Bel tarmino amorevolmente esortollo, e il commissario della romana Inquisizione severamente gli divietò il sostenere tali proposizioni, anzi pur di tenerne ragionamento , minacciandolo di prigionia, se osato avesse di contravvenire al divieto. E ordinossi insieme che l’opera del Copernico, e qualche altro libro in cui adottavasi quel sistema, fosse ripurgata e corretta, que’ passi togliendone ne’ quali in essa dicevasi che la sacra Scrittura non era a quel sistema contraria. Non può a questo luogo dissimularsi che il Galileo cominciò allora a non operare con buona fede. In due lettere da lui scritte in quell’occasione al segretario Vinta (l. cit. p. 48, 51) ei non fa menzione alcuna del divieto a lui intimato, ma ragiona solo de’ libri de’ quali erasi ordinata la correzione. Nè mai nelle sue opere ne fece cenno, se non allor quando fu accusato di averlo trasgreditoj e allora egli volle scusarsi dicendo che solo gli era stato fatto divieto di difendere e di sostenere il sistema copernicano, e non già di trattarne sempliceniente, com1 ci pretendeva di aver fatto soltanto nel celebre suo dialogo (l. cit t 2, p. 21) j)Par dunque certo eli’ ei fosse determinato a non ubbidire al comando che dal tribunale romano avea ricevuto, e che si lusingasse che tacendone egli, niun altro dovesse tenerne memoria. Occupossi egli dopo il suo ritorno da Roma nello scrivere il dialogo sul Sistema del mondo, diviso in quattro giornatej cd esso lu [p. 529 modifica]AL CAPO II DEL LIBRO II 52Q condolto a fine nel i(>3o. Ei ben conosceva che pericolosa ne sarebbe stata la stampa dopo il decreto della romana Inquisizione , in cui il sistema copernicano dannavasi come contrario all’autorità della sacra Scrittura. Recossi perciò a Roma, presentò il dialogo al maestro (del sacro palazzo, il quale , forse con sorpresa del Galileo medesimo, avendolo esaminato, non trovò in esso cosa degna di biasimo e di censura, e ne permise la stampa. Il Galileo fè ritorno a Firenze, per dare l’ultima mano al lavoro , e rimandarlo poscia a Roma, affinchè ivi si pubblicasse. La peste che allor cominciò a infuriar nell’Italia, non gliel permise. Ottenne perciò dal maestro del sacro palazzo, che dopo una nuova revisione dell’opera fatta da un consultore dell’Inquisizione in Firenze, in questa città medesima potesse essa stamparsi; e in tal modo essa uscì alla luce in Firenze l’anno 1632. Questa è la sostanza del fatto, e in esso par che nulla si trovi a riprendere nel Galileo. Ma spesse volte un fatto che semplicemente rappresentato sembra innocente, all’esaminarne le circostanze si riconosce colpevole. Veggiamo se ciò avverisi nel Galileo. Il proemio da lui premesso al dialogo è quello che non ci permette di giustificarlo interamente. Ecco coni’ egli comincia in modo che il più acconcio non poteva idearsi a trarre i revisori in inganno: Si promulgò agli anni passati in Roma un salutifero editto, che per ovviare a’ pericolosi scandali dell età presente imponeva opportuno silenzio all’opinione Pittagorica della mobilità della Terra. Non mancò Tiràboschi , Voi. XIT, 34 [p. 530 modifica]53o APPENDICE chi temerariamente asserì, (quel decreto essere stato parto, non di giudizioso esame, ma di passione troppo poco informata , e si udirono querele, che consultori totalmente inesperti delle osservazioni astronomiche non doveano con proibizione repentina tarpar 1 ale agli intelletti speculativi. Non potè tacere il mio zelo in udir la temerità di sì fatti lamenti. Giut li coi, come pienamente instrutto di quella prudentissima determinazione , comparir pubblicamente nel teatro del mondo come testimonio di sincera verità. Un dichiarato apologista dell* antico sistema del mondo, anzi il medesimo inquisitor più zelante, poteva egli parlare diversamente , se avesse preso a confutare il sistema copernicano? Ma più ancora. Non solo il Galileo si finge veneratore di quel decreto, ma per poco non ci vorrebbe far credere che per suo consiglio esso fossesi promulgato: Mi trovai allora, continua egli, presente in Roma, ebbi non solo udienze, ma ancora applausi dai più eminenti prelati di quella corte, nè senza qualche mia antecedente informazione seguì poi la pubblicazione di quel decreto. Ed ecco poi come egli ci dà l’idea dell’opera che mette in luce: Per tanto è mio consiglio nella presente fatica mostrare alle nazioni forestiere, che di questa materia se ne sa tanto in Italia, e particolarmente in Roma, quanto possa mai averne immaginato la diligenza oltramontana , e raccogliendo insieme tutte le speculazioni proprie intorno al sistema copernicano, far sapere, che precedette a notizia di tutte alla Censura romana, e che escono da questo clima [p. 531 modifica]AL CAPO II DEL LIBRO II 531 non solo i dogmi per la salute dell’anima, ma ancora gli ingegnosi trovati per delizie degli ingegni. E poco appresso dice di voler con ciò far conoscere che il rimettersi ad asserir la fermezza della Terra, e prender il contrario solamente per capriccio matematico, non nasce da non aver contezza di quant’altri ci abbia pensato , ma , quando altro non fusse, da quelle, ragioni che la pietà , la religione, il conoscimento della Divina Onnipotenza, e la coscienza della debolezza dell ingegno umano ci somministrano. Dopo questo esordio, chi avrebbe creduto mai che il dialogo del Galileo dovesse essere la più ingegnosa dimostrazione del sistema copernicano , che forni a re allor si potesse? Egli è vero che a quando a quando, e sulla fine singolarmente, egli accenna che questa è una semplice ipotesi. Ma è vero ancora che a quel suo interlocutore Simplicio, a cui egli affida le parti di difender l’antico sistema, fa dire tante semplicità , e sì debolmente il fa sostenere la sua opinione, che cadde il sospetto a taluno che il Galileo sotto il nome di quel Simplicio volesse adombrare e deridere alcuni de’ suoi censori, e non mancò chi sospettasse, benchè a mio credere senza ragione, che lo stesso pontefice Urbano VIII ei disegnasse sotto quel nome. Nè io sarei lungi dal credere che i revisori, a’ quali fu data a esaminar l’opera del Galileo, leggendo quel sì modesto e religioso proemio, e non essendo poi in istato di ben comprendere gl’ingegnosi ragionamenti che si tengono nel dialogo , dalla esterior facciata [p. 532 modifica]53a APPENDICE giudicassero dell’interno di quell’edificio, e lo credessero esattamente formato a norma del loro disegno. Sappiam di fatto che Urbano \ III si dolse di essi più volte, che non fossero stati abbastanza avveduti, e che si fosser lasciati ingannare dal Galileo; e contro monsig. Ciampoli, prelato di grande autorità in Roma, mostrossi singolarmente sdegnato, perchè avendolo egli su ciò interrogato più volte, sempre avealo assicurato della religiosa ubbidienza e della sana dottrina del Galileo (l. cit. p. 276, 286, 295). Or ditemi per vostra fede, o signori. Il più moderato e il più giusto tribunale che mai sia stato al mondo, se vedesse un suo rigoroso divieto oltraggiato pubblicamente, e conoscesse che il violator del comando, di ciò non pago, ha voluto ancora prendersi beffe di esso, e raggirarlo con arte, e carpirne astutamente una permissione che a piena cognizion di causa gli sarebbe stata negata , non moverebbesi a sdegno , e non riputerebbe di grave pena meritevole il trasgressore l li sarebbe egli perciò a stupirsi che l Inquisizione romana proceduto avesse con non ordinario rigore contro del Galileo? E nondimeno tale era il rispetto che col suo profondo sapere e colle tante sue ingegnose scoperte egli avea ottenuto, che ei fu da quel severo tribunale trattato con non usata piacevolezza. Ciò che vi ebbe di più aspro nel processo intentatogli, ne fu il principio. Perciocchè, uomo giunto omai all’età di 70 anni, nel febbraio del 1633 dovette recarsi a Roma, a nulla essendo giovate le istanze fatte in nome ancor [p. 533 modifica]AL CAPO II DEL LIBRO II 533 del gran duca, perchè a stagion migliore si differisse il processo Ma in tutto il rimanente si tenne con lui metodo assai diverso dal consueto. Stette dapprima due mesi in casa delf ambasciador del gran duca, senza espresso divieto di non favellar con alcuno, ma solo con amichevole consiglio di non ammetter frequenti visite, e di tenersi quanto più fosse possibile nascosto e solo (ivi, p. 292). Giunto poscia il tempo in cui secondo le leggi di quel tribunale avrebbe dovuto esser racchiuso in carcere, e quindi sottoposto al processo, fu chiamato al tribunale medesimo; ma le stanze a lui assegnate furon le tre camere del fiscale, dalle quali e poteva uscire a diporto anche nel cortil della casa, e teneva il suo proprio domestico, e poteva ancora ricevere que’ dell’ambasciador del gran duca, da’ quali venivagli recato il pranzo, e scrivere e ricever lettere da chiunque più gli piacesse. E prima ancor che gli esami fusser finiti , dopo quindici giorni fu rimandato alla casa dell* ambasciadore, da cui era partito, e fugli ancora permesso di uscirne a diporto in carrozza ne’ vicini giardini (ivi, p. 308). Finalmente nel giugno dell’anno stesso si venne alla tanto aspettata sentenza. Fu in essa condennato il sistema , e fu proibita V opera del Galileo, ed egli costretto a solenne ritrattazione; e perchè fin dal 1616 eragli stata minacciata la prigionia, se avesse di nuovo ragionato pubblicamente o scritto su un tale argomento , gli fu intimata la carcere. Ma tosto, e prima ch’ei vi fosse condotto, per voler del pontefice essa gli fu cambiata nella relegazione [p. 534 modifica]534 appendice al giardino della Trinità de’ Monti, clic era villa del gran duca, dalla quale gli fu anche talvolta permesso di recarsi a Castel Gandolfo (Targioni, l. cit. t. 2 , par. 1 , p. i af>). E questa relegazione ancora fra pochi giorni ebbe fine, e gli fu permesso di passare a Siena presso l’arcivescovo suo amico; donde poscia sul finire dell’anno potè ancor trasferirsi alla sua villa di Arcetri. Tutta questa serie di fatti ch’io vi ho in breve accennati, non è già tratta dalle opere di qualche seri II or pontificio, o di qualche apologista della romana Inquisizione, ma dalle lettere con cui l’ambasciador Niccolini ragguagliava il gran duca di tutto ciò che al Galileo andava di giorno in giorno accadendo. Voi vedete dunque , o signori, qual fede si debba a certi scrittori di Aneddoti e di Dizionarii, i quali ci rappresentano il Galileo chiuso e sepolto lungamente in un’oscura prigione, e sottoposto a una crudele tortura non altrimente che farebbesi di un malfattore. Quadri son questi delineati dalla fantasia di velenosi scrittori, i quali tutto ciò che a religione appartiene, o mordono, o insultano rabbiosamente. Che direm noi poscia di quelli tra’ Protestanti che nella condanna del Galileo si lusingano di trovare un invincibile argomento contro l’infallibilità della Chiesa? Il sistema copernicano, dicono essi, fu come ereticale condennato e proscritto. E nondimeno esso è ora riconosciuto come il solo che sia conforme all’esperienza e alla ragione, e fra’ Cattolici ste.«fci 11011 v’ha alcuno che si rechi a scrupolo il sostenerlo. [p. 535 modifica]AL CAPO II DF.L LIBRO II 535 Ma essi non si avveggono, o, a dir meglio, infingono di non avvedersi della debolezza del loro argomento. La Chiesa non ha mai dichiarati eretici i sostenitori del sistema copernicano , e questa troppo rigorosa censura non uscì che dal tribunale della romana Inquisizione, a cui niuno tra’ Cattolici ancor più zelanti ha mai attribuito il diritto della infallibilità. Anzi in ciò ancora è d’ammirarsi la provvidenza di Dio a favor della Chiesa; perciocchè in un tempo in cui la maggior parte dei teologi fermamente credevano che il sistema copernicano fosse all’autorità delle sacre carte contrario, pur non permise che dalla Chiesa si proferisse su ciò un solenne giudizio. Nè io perciò voglio dire che la condotta tenuta col Galileo fosse in ogni sua parte lodevole. Troppo si prestò fede in quell’occasione a’ filosofi peripatetici, i quali, non sapendo rispondere agli argomenti del Galileo, facevansi scudo dell* autorità della sacra Scrittura. Non si esaminò abbastanza se gli argomenti del Galileo avesser tal forza, che rendesser lecito l’abbandonare il senso letterale; e si suppose come già dimostrato che il sacro testo non poteva avere altro senso. Tutto ciò io concederò volentieri. Ma voi ancora mi concederete, o signori , che non picciola parte nella sua condanna ebbe il medesimo Galileo; e che se egli fosse stato, se non più esatto osservatore, trasgressore almeno più cauto del divieto già fattogli, e se meno avesse innaspriti i suoi emuli e i suoi censori, e non avesse mostrato [p. 536 modifica]53G APPENDICE AL 1.115. u. DFjL cxp. if. di volersene prendere giuoco, la sua opinione sarebbe stata lasciata in quella tranquillità di cui già da gran tempo essa gode. Possa questo esempio essere di ammaestramento agli uomini dotti, e renderli cauti a non urtare troppo di fronte non solo le opinioni dagli altri dotti ricevute comunemente, ma i pregiudizii stessi del volgo , e persuaderli che tanto più facilmente la verità giunge a farsi conoscere e a trionfar dell’errore, quanto più i suoi difensori si tengon lontani dall’usare a tal fine la violenza o l’inganno. [p. 537 modifica]LETTERA DEL SIG. CONTE SENATORE CESARE LUCCHESINI ALL’AUTORE Intorno alla scoperta de’ Satelliti di Giove e delle Macchie solari fatta dal Galileo, e a un teorema di Meccanica del medesimo. Un nuovo emulo del Galileo esige per mio avviso qualche ricerca) ed io ringrazio quest’emulo che* mi olii e oggi l’occasione di comunicarle qualche mio pensiero, onde sentirne poi la decisione dal suo giusto e fine discernimento. Niuno forse credeva che in questa lontananza di tempo dovesse sorgere alcuno che contrastare potesse a quell insigne nostro filosofo la gloria d’avere il primo osservato i satelliti di Giove e le macchie del Sole. Eppure si vorrebbe adesso ravvisar questo in Tommaso Harriot, ed al signore Zach noi ne dobbiamo l’inaspettata scoperta. Egli nel tomo quinto delle Memorie dell Accademia di Scienze e belle lettere di Bruxelles ha pubblicato una dissertazione intorno al nuovo pianeta Urano, della quale ho letto un estratto nell Esprit (Ics Joumaux pel mese di novembre dello scorso anno 1792- I’ * alla pag. 548 si ha una nota dello stesso signor Zach appartenente a questo oggetto, che è la seguente: On sait que Galilce cui un rivai [p. 538 modifica]538 dans Simon Marius, qui lui disputa la gloire et l’honneur de la première découverte des quatre satellites de Jupiter; mais on ignorait jusquà présent un autre prétendant à cette découverte. C est dans l’été de l’an 1784 que je fis cette découverte curieuse. Ayant passè cette saison sur les terres de , milord Egremont à Petworth dans le comté de Sussex, je trouvai dans la bibliothéque de son chateau des vieux manuscrits du célèbre Thomas Harriot. M. le Comte de Bruhl, envoyé extraordinaire de la cour de Saxe à la cour de Londres, à qui ce trésor étoit connu, m en avoit donnè la connoissance. Parmi ces papiers réellement pré deux je trouvai, que. Harriot avoit observé les taches du soleil et. les quatre satellites de Jupiter avant Galileé. La découverte de ces manuscrits n est pas seulement intéressante et curieuse pour F histoire de F astronomie, mais infiniment utile et précieuse par les différentes observations qu ’ils contiennent, et que je compte de donner un jour au public. Aspetto con ansietà che il signor Zach dia in luce questi manoscritti; ma credo che intanto ci sarà lecito di dubitare un poco che forse quelle osservazioni dell’Harriot non sieno state esaminate abbastanza, nè ben considerati i tempi ne’ quali furono fatte. Nel mese di maggio del 1609, o in quel torno, il Galileo fece il suo primo telescopio, e nel gennaio del 1610 vide i satelliti di Giove. Non erano i telescopii a quella stagione così comuni, che possa facilmente credersi averne avuti sì presto ancor l’Harriot; e certo niuno ve ne aveva che uguagliasse in [p. 539 modifica]. 53i> bontà quelli del Galileo. So che il Pignoria, scrivendo a Paolo Gualdo nel 1609), indicò un cannocchiale che il Cardinal Borghese avea ricevuto da Fiandra simile a quello che il Galileo avea donato alla Repubblica di Venezia (Lett. d’Uom. ill Ven. 1744? p 112). Ma mi ricordo altresì che in una lettera da lei citata (Stor. (della Lett, ital, t. 8, p. 127, ed. prima) si doleva Costantino Ugenio che coi telescopii (d’Olanda male si potevan distinguere quei satelliti. Mi permetta che aggiunga qui le parole della lettera stessa: I telescopii che si fanno in queste parti, non assicurandoci i e/uà tiro satelliti di Giove, de’ quali si tratta, se non con certe scintillazioni, ec. E nell’anno medesimo scriveva Martino Ortensio in una lettera recata dal Vandelli (Vandelli, Consid. sopra la notiz. degli Accad. Lincei, p. 33): Hinc de telescopio agere cœpimus, comperimusque nulla in Batavia hodie, quæ tantam precisioncrn poi licori queant, quanta ad eas observationes requiritur. Solent enim, etiam optimi, discum Jovis hirsutum offerre, et male terminatum, unde Joviales in ejus vicinia non recte conspiciuntur.... non tamen vidimus quomodo in Holandia tam exquisita possumus nancisci, quandoquidem omnes artifices rudes experimus, et dioptrictf quam maxime ignaros. Che se così erano imperfetti i telescopii, quando quelle due lettere furono scritte, cioè nel 1637, e parecchii anni dopo le fatiche e gli studi di Cornelio Drebbelio, quanto più dovevano esserlo al tempo del loro fortuito scoprimento. Ora con tali strumenti difficilmente mi darò a credere [p. 540 modifica]che altri abbia potuto scoprire quei satelliti senza averne prima avviso da chi era fornito di strumenti migliori. A questa considerazione vuolsi aggiugnere ciò che il sig. Bailly ha detto di Simon Mario, il quale, siccome è notissimo, pretendeva anch’egli d’aver fatta questa scoperta: Il faut publier promptement ce qu oti sait, et ce qu’on a vu de nouveau dans les Sciences: les tardifs sont toujours malheureux (Bailly, Ili st. de l’Astr. mod. t. 2, p. 103). E dee certamente far gran maraviglia che f Harriot, avendo fatta prima d’ogni altro questa osservazione, fosse contento di rimanere semplice spettatore della gloria che altri perciò si attribuiva, e della battaglia insorta appunto per questo oggetto medesimo fra il Galileo e Simon Mario; e che anzi le sue osservazioni re.stasser sepolte fra le sue carte, per modo che a niuno della stessa Inghilterra fossero note. Infatti non solo 11011 v’ ha finora chi abbia a lui data questa gloria, ma anzi l’inglese Wallis al Galileo l’attribuì francamente, scrivendo al principe Leopoldo , eli’ egli Medicea sydera optici tubi sui beneficio orbi ostendit primus (Lett. ined. d’Uom. ill Fir. 2, p. 3i j). Ancor per l’altra scoperta delle macchie solari, che si vorrebbe pure attribuire all’Harriot, credo che potremo ripetere le parole del citato sig. Bailly dette riguardo allo stesso Simon Mario: Quand on a vu tant de choses, il est- fache ux de se laisser prévenir, et de ne le dire qu’après les autres (Bailly, l. cit). Ma di ciò pure vuolsi aspettare la promessa edizione delle osservazioni dell’astronomo inglese, e allor porle [p. 541 modifica]a confronto colf epoca incontrastabile delle osservazioni del Galileo. Quest’epoca precede l’agosto del 1610, perchè una lettera di f Fulgenzio (Galil. ()Op. t. 2, p. 226, ed. Fir.) ci assicura eli’ egli uvea mostrato in Venezia le macchie del Sole a F. Paolo Sarpi •, e già si sa che alla fine d’agosto di quell’anno il Galileo fece ritorno in Toscana (Fi vi ani, l’ita del Gal. prem. alle sue Op. ed. cit. t. 1, p. 72). Ma troppo a lungo io mi trattengo intorno a tali cose, scrivendo a lei che di quest’epoca appunto ha fatto uso per attribuire al nostro italiano filosofo il primato di questa scoperta contro alle vane pretensioni del P. Scheiner. Mentre da una parte così si muove guerra al Galileo, da un1 altra parte gli si presentano nuovi omaggi e nuove glorie. Un suo breve teorema di meccanica era fin qui rimasto umile e quasi negletto, ed ora nelle mani del sig. de la Grange improvvisamente si mostra feconda sorgente d’un1 intera scienza vastissima. Questo è il principio delle velocità virtuali, dal quale egli ha dedotta la meccanica tutta quanta de’ corpi solidi e de’ fluidi La Grange, Méchan. analit. Paris, 1788, in 4°). Questo principio egli confessa di averlo attinto dal Galileo che lo spiegò nella Scienza meccanica, e nel terzo de’ suoi Dialoghi intorno a due nuove scienze. Esso consiste in questo, che v’ ha equilibrio fra le potenze, quando esse sono in proporzione inversa delle loro velocità virtuali, avendo riguardo alla direzione delle potenze medesime. Col nome poi di velocità virtuale s’intende quella velocità che un corpo posto in equilibrio [p. 542 modifica]è disposto a ricevere dalle sue forze, e che prenderebbe veramente nel primo istante, ove l’equilibrio venisse a rompersi. Il sig. de la Grange non contento d’aver fondato su questo fecondo teorema tutta la meccanica, ha scoperto ancora che quanti sono i principii generali esposti dai mattematici successori del Galileo a promuovere questa scienza, altro non sono che quel teorema sotto diverse forme travisato e nascosto; il che quanto ridondi in sua lode, 11011 \ è chi nol veda. Anche il bravo P. Riccati aveva tentato cosa molto simile alla bella impresa del sig. de la Grange; e fra i suoi manoscritti si conserva un trattato di Statica che ha per titolo De statica tractata per principium velocitate virtualium tractatus critico-mechanicus (Continuaz del Nuovo Giorn. de’ Lett. d’Ital. t. 9 , p. 187); e in altre opere ancora ha non rare volte fatto uso di qualche principio che ha con questo grande analogia. Ecco quelle poche riflessioni riguardanti il Galileo, che si son presentate alla mia mente, e che volentieri vengono a lei per essere esaminate. Ella dia a queste mie ciance quel valore che crede convenirsi loro; mi basta solo che creda me immutabilmente Di Lei sig. Cav. gentilissimo Lucca, 2 agosto 1793. Di. valiss. obbligatisi, servitore e amico Cesare Lucchesini. Fine della Parte I del Tomo Vili.