Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VII/Libro III/Capo I

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Capo I.

Storia.



Grande copia di storici ha questo secolo. I. Copioso numero e illustre serie di storici ci ha dato il secolo quintodecimo; e ci è convenuto, a sfuggire una eccessiva lunghezza, e ristringerci quanto più era possibile, e fra moltissimi soggetti sceglier que1 soli, il ragionar de1 quali poteva riuscire e più piacevole e più vantaggioso. E nondimeno in confronto a quelli del secolo sestodecimo, di cui scriviamo, essi sembrano quasi un picciol ruscello in paragone di un ampio fiume; tanto è il lor numero e tanto il loro valore. Le Biblioteche storiche,

  • [p. 1162 modifica]e quella singolarmente aggiunta di fresco da M. Drovet all’ultima edizione del Metodo per istudiare la Storia di M. Lenglet, ci offrono a più centinaia gli scrittori italiani che in questo secolo si esercitarono in tale argomento. E i nomi di un Guicciardini, di un Bembo, di un

Sigonio, di un Maffei, di un Bonfadio, di un Giovio, di un Varchi, di un Borghini, di un Paruta e di più altri, sono sì celebri ne’ fasti della letteratura, ch’essi soli fanno conoscere quanto questo studio tra noi fiorisse. Noi dunque ci sforzeremo di dare una tale idea dell’ardore e dell’entusiasmo con cui gl’italiani si accinsero ai’illustrare la storia, che nulla si scemi di quella lode che perciò loro è dovuta, e non si oltrepassino insieme i confini di una ragionevole brevità. Ma prima di parlar degli storici, deesi dire di quelli che colle loro opere servirono ae’essi di guida, per isfuggire gli errori e per giugnere allo scoprimento del vero.


Scrittori di cronologia e di geografia antica. II. La notizia de’ tempi e la notizia de’ luoghi è un doppio ramo di erudizione sì necessario alla storia, che senza esso ella non può riuscire nè esatta, nè veritiera. Poco nell’una e nell’altra erano istruiti gli storici de’ secoli precedenti, e perciò nelle lor narrazioni si vede spesso disordine e confusione. Affinchè dunque la storia camminasse con piè sicuro, conveniva che la cronologia e la geografia fosse più conosciuta che non era stata in addietro. Ma per riguardo alla cronologia, ci convien confessare che solo alla fine di questo secolo cominciò ella ad uscir dalle tenebre, e che il primo a formare in certo modo una scienza, cioè [p. 1163 modifica]TERZO II 63 Giuseppe Scaligero, non fu veramente italiano. Egli è vero che, se volessimo seguire gli esempii altrui, potremmo annoverarlo tra nostri, come figliuolo (di padre italiano, cioè di Giulio Cesare, di cui diremo altrove. Ma paghi delle nostre glorie, non invidiamo le altrui; e poichè Giuseppe nacque in Francia, ove già il padre trasportata avea la famiglia, di buon grado il cediamo a Francesi, imitando in ciò la moderazione del marchese Maffei che per questo motivo non gli ha dato luogo tra gli scrittori veronesi (Ver. illustr. par. 2, p. 307). La cronologia dunque in questo secolo non fu ancora ridotta a sicuri e generali principii, ma ricevette però molto lume dalle fatiche di que’ che scrissero sulla storia de’ tempi antichi, e singolarmente dall’eruditissime opere del Panvinio e del Sigonio, colle quali la storia greca, la romana e l’italiana de’ bassi tempi cominciò ad avere epoche ben fondate e distinte. Ma di esse diremo in appresso. Alquanto miglior fu la sorte della geografia per la cura che da’ nostri si ebbe e d’illustrar gli scrittori che ci danno idea dell’ antica, e di rischiarare coi’ loro trattati lo stato della moderna. Alcune traduzioni di Tolomeo e di Strabone eransi già vedute in addietro; e noi n’abbiamo parlato a suo luogo. Il primo che traducesse in lingua italiana la Geografia di Tolomeo, fu il celebre Pier Andrea Mattioli, di cui abbiamo già altrove trattato, ed egli la pubblicò in Venezia nel 1548, aggiungendovi insieme i Comenti di Sebastiano Munstero, e più altre osservazioni e tavole di Jacopo Gastaldo natio di Villafranca [p. 1164 modifica]I1G4 LIBRO in Piemonte. Questa traduzione non parve al Ruscelli bastante per ben conoscere l’antica geografia; e oltre il farne una nuova, vi aggiunse egli le sposizioni e le dichiarazioni di un discorso sullo stesso argomento di Giuseppe Moletti; e così accresciuto, pubblicò il suo Tolomeo la prima volta nel 1561. Più altre edizioni se ne fecero appresso, e Giovanni Malombra nel i i>74 e Giuseppe Rosaccio da Pordenone nel i5i)8 vi fecero parecchie giunte 5 intorno a che veggansi l’Argelati (lì ibi. de' Volgarizz. t. 4 -, p- ->7, ec.) e il P. Paitoni (Bibl. degli Aut. antichi volgarizz. t. 4, p. 1 a3, ec.). Gianantonio Magini, da noi mentovato già tra gli astrologi, diede a luce una versione latina di Tolomeo, arricchita di molte tavole e di ampii comenti, ne’ quali prese a paragonare l'antica colla moderna geografia. E (quest'opera ancora fu poi recata in lingua italiana da d Leonardo Cernoti veneziano canonico regolare di S. Salvadore, e stampata nel 1597. Molto erasi ancora affaticato ne’ primi anni di questo secolo nel rischiarar la Geografia di Tolouniieo Paolo da Canale (*), giovane dottissimo nelle tre lingue, e nella filosofia ancora, nella matematica e nell’astrologia. Ma lo smoderato studio gli accorciò di troppo la vita, perciocché rottasegli una vena nel petto, ei reggendosi poco lontan dalla morte, rilirossi in un convento degli Agostiniani, e tra pochi (*) Il Valeriano mi ha tratto in errore, facendomi credere ch’egli si ritirasse tra gli Agostiniani, mentre veramente ritirossi tra’ Camaldolesi. f)i lui parla a lungo il P. degli Agostini (Scritt. venez. t. 2, p. 54g)• [p. 1165 modifica]terzo i i65 giorni in età di soli venticinque anni finì di vivere; giovane compianto non solo pel suo molto sapere, ma ancora per l amabilità della sua indole e per l innocenza de’ suoi costumi (Valer, de infelic. Lite rat. p. 31). Anche la Geografia di Strabone ebbe un nuovo interprete in Alfonso Bonacciuoli nobile ferrarese, che la pubblicò in lingua italiana nel 1562 e nel 15(35, e ci diede ancora la Descrizione della Grecia di Pausania, stampata nel 15i)3. Di questo scrittore e di qualche altra opera da lui pubblicata ci dà notizia il conte. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 3, p. 1630). Ed io so bene che dopo tutte cotai traduzioni l’ antica geografia non fu ancora ben conosciuta, sì perchè non eransi ancor ritrovati molti codici de’ detti antichi scrittori, coll’esame de’ quali le loro opere si sono poscia più felicemente emendate, sì perchè molti altri autori greci e latini son poi venute a luce, col cui confronto le descrizione dateci da Tolomeo e da Strabone sono state accresciute, o corrette, ma non dee imputarsi a lor colpa, se que’ primi illustratori della geografia non ebber que’ mezzi che a ben riuscire nel loro disegno erano necessarii; anzi quanto'minor copia n ebbero essi, di tanto maggior lode son degni gli sforzi da essi fatti per condurlo ad effetto. III. I sopraccennati scrittori nell illustrare l antica geografia cercarono insieme comunemente di rischiarar la moderna. Altri, lasciato in disparte l’antico stato del mondo, si fecero solo a descriverne quello in cui era a lor tempi. Due ampii trattati in lingua latina abbiamo su Tiraboscui, Voi XII. i* [p. 1166 modifica]1 l6G LIBRO questo argomento. Il primo è di Domenico Mario Negri veneziano che al principio del secolo scrisse i suoi Comentarii sulla Geografia, i (quali però non furono stampati che nel 1557 in Basilea; opera assai erudita, e che sarebbe ancor più pregevole, se l' autore l avesse alquanto meglio illustrata con notizie storiche, e se lo stampatore svizzero non ne avesse più volte guasti e contraffatti i nomi proprii. L’altro è di Bafaello Malici di Volterra, detto comunemente Raffaello Volterrano, il quale ne primi dodici libri della sua grand opera intitolata Commentariorum Urbanorum Libri XXXVIII, assai a lungo ragiona della geografia, e vi fa ancora menzione delle nuove scoperte de Portoghesi e degli Spagnuoli, il che non avea fatto il Negri. Di questo celebre autore, che nato in Volterra nel 1451, finì di vivere in Roma ne 1522, lasciando gran nome non solo pel suo sapere, ma ancora per la sua rara pietà, io sarò pago di accennare la Vita che ne ha scritta monsignor Benedetto Falconcini vescovo d Arezzo, stampata in Roma nel 1722, e due medaglie in onor di esso coniate, che si veggono nel Museo Mazzucchelliano (t. 1, p. 119). L’opera poc’ anzi accennata, a cui egli dà principio colla geografia, si stende poi alla storia degli uomini illustri antichi e moderni: indi passa alle scienze, e di tutte distintamente ragiona, sicchè ella può essere considerata come un compendio di tutto ciò che allor si sapeva; ed essa ci fa conoscere in fatti quanto laborioso fosse questo scrittore; ma ci fa insieme bramare che alla fatica e all’erudizione in essa raccolta [p. 1167 modifica]TERZO I 1 (Ì7 fosse stala uguale la critica e l accorgimento nel separare e nello sceglier meglio le cose. Di alcune traduzioni dal greco e di altre opere da lui composte si può vedere il catalogo nella suddetta Vita. Oltre queste dotte opere, poco altro abbiamo in questo genere. La traduzion della breve Descrizion del mondo, scritta nel precedente secolo da Zaccaria Lilio vicentino e canonico lateranense, tradotta in italiano da Francesco Baldelli cortonese autore di moltissime altre traduzioni di antichi scrittori (V. Mazzucch. l. c. t. 2, par. 1, p. 100), un breve discorso di Giason de Nores intorno alla Geografia, che va unito col Trattato della Sfera del medesimo autore, un discorso di Cosmografia d'incerto autore stampato da Aldo nel 1590, e finalmente l Universale Fabbrica del Mondo, ovvero Cosmografia divisa in quattro Trattati di Gian Lorenzo Anania nato in Taverna nella Calabria ulteriore, stampata la prima volta in Venezia nel 1579, e poscia più altre volte (ivi. t. 1, par. 2, p. 658), non sono tali opere che possano ora rammentarsi con grandi elogi. Opera assai più ampia e, per quanto sembra, di gran lunga più esatta avea in animo di pubblicare Cassiano Camilli o Camilla genovese, il quale a tal fine avea corsa viaggiando non sol l Europa, ma l’Africa ancora e l’Asia. Di questa grand’opera, e dell’esattezza con cui era scritta, abbiamo una bella testimonianza in una lettera del Cardinal Cortese, scritta mentr era nel monastero di Lerins, cioè prima del 1528. Era il Cortese amicissimo del Camilli, come raccogliesi da alcune lettere ad esso scritte [p. 1168 modifica]I ¡68 ’ LIBRO (Cortes. Op. t. 2, p. 126, 132, ec.). Or poichè ne intese la morte, egli sfogò il suo dolore scrivendo a Vincenzo Borlasca genovese esso pure, e dopo aver detto quanto il Camilli fosse da lui amata e stimato, venendo a parlar dell’ opera accennata, Accedit praeterea, dice (ib. p. 137), damnum incredibile, quod ex laborius ejus deperditis doctos omnes facturos esse non dubito. Animum enim adjecerat ad Cosmographiae parres omne illustrandas, et cum diligentissime locorum omnium situs, et corum quae antiquis cognita fuerunt, et quae nuper inventa sunt, nobis se descripturum speraret praecipue tamen, quo olim nomine, quo nunc unusquisque locus appelletur, Omni studio vesti garat. Qua in re jam tantum profece rat, ut non portus modo, promontori a, sinus, insulas, fluvios,. montes, urbesque celeberrimi nominis, sed infima quaeque oppida ita memori ter, ut proprium nomen, tenere videretur. Quae omnino nobis minus dolenda purarem, si spes aliqua esset, quempiam pari doctrina et diligentia id ipsum praestiturum esse. Sed quisnam, obsecro, erit, qui cimi ex qui sita illius disciplina conjunctam habeat locorum cognitionem, non auditu et lectione tantum, sedpedibus oculisque perceptam? Navigaret enim, ut scis, ad Tanaim, ad Phasidem. Peragrarat ferme regiones omnes Asine, A'igyptum, Africamque lus trarat. Tacco de Ili spania, Britannici, Galli a, Germania, quas sic habebat cognitas, ri/ ¿//¿'Z/oì unguesque suos (a). (a) Di due vastissime opere geografiche che aveva [p. 1169 modifica]TERZO II69 IV. Il genio di navigare, che per la scoperta dell'America si rendette sì grande e sì universale, mosse due scrittori italiani a trattare principalmente delle’isole di tutto il mondo, il primo di essi fu Benedetto Bordone, di cui abbiamo alle stampe l Isolario pubblicato in Venezia, la prima volta nel 1528, e poscia altre volte. Appena mi tratterrei io a parlare di questo scrittore, se una quistione assai dibattuta qui non ci si offerisse, che non vuolsi passare senza esame, cioè s’ei fosse padovano, o vicentino, e, ciò che più importa, s’ei fosse o no il padre del celebre Giulio Cesare Scaligero. E quanto al primo, lasciando in disparte gli scrittori posteriori, la cui autorità in tali cose non è di gran peso, due scrittori del secolo xvi lo dicono padovano, cioè lo Scardeone (De antiquit. urb. Patav. l. 2, cl 11) e Leandro Alberti (Descriz. Aitai.Ital). p)) 479 un altro di quel secol medesimo, cioè lo storico veronese Girolamo Corte, lo dice veronese (S/or. di J 'cr. I. 12). A chi dunque crederem noi? A me sembra che i due primi sien più degni di fede. Il Corte scrisse la sua Storia verso la fine del secolo XVI, e fu perciò assai men vicino al Bordone autore delflsolario che lo Scardene nato nel 1478, e l’Alberti nato l’anno seguente, e inoltre il primo padovano di nascita e di soggiorno conobbe ivi il Bordone, intraprese l1 infaticabile e dottissimo Bernardini/ Baldi, una delle quali in dodici tomi in quarta, l'altra in quattro in lolio, ma non finite, conservasi nella l'ifi'iotevn All),mi in Roma, ci ha data notizia il eli. P. Ali?» (/ Ha del Baldi, /». 236, 227). [p. 1170 modifica]II ho LIBRO c potè ben sapere di qual patria egli fosse. Aggiungasi che più altri scrittori dello stesso cognome, come Benvenuto Bordoni, Giulio Bordoni. Jacopo Bordoni servita furono padovani (V. Mazzucch. Scritt. ital. t. 2, par. 3, p. 1703, 1706); onde è certo che in Padova esisteva questa famiglia. Io confesso perciò, che inclino a pensare che l’autore dellTsolario fosse natio di Padova. Ma fu egli veramente il padre di Giulio Cesare? Niuno de’ tre suddetti scrittori ciò afferma. Per altra parte Giglio Gregorio Girai di (De Poetis nostri temp. dial. 2) conoscente e amico dello Scaligero lo fa veronese. Julius Scaliger, qui prius Burdonis cognomine fuit, Veronensis... versu quaedam cecinit, inter quae Elysius (Poematis haec inscriptio est).... apprime eruditus. Il marchese Maffei (Ver. illustr. par. 2, p. 2<)5) aggiugne a questa la testimonianza di Francesco Pola, che dice lo Scaligero nato alla Ferrara in Montebaldo. Ma il Pola ancora è autore alquanto lontano, poichè nato solo nel 1 £>72, quattro anni dopo la morte dello Scaligero. Io non aggiugnerò l’autorità del medesimo Giulio Cesare e di Giuseppe di lui figliuolo, i quali sempre si disser veronesi, perciocchè non potean essi fare altrimenti, volendo spacciarsi come usciti dalla famiglia della Scala signora di Verona. Nondimeno le due accennate testimonianze son sembrate di tal forza ad Apostolo Zeno, che, parendogli innegabile per una parte che Benedetto Bordone autore dell’Isolario fosse padovano, e per l'altra che Giulio Cesare fosse veronese, ha congetturato che due dello stesso nome e cognome [p. 1171 modifica]TERZO 1171 vivessero al tempo stesso; uno in Padova, autore dell’Isolario, l’altro in Verona, padre di Giulio Cesare (Note al Fontan. t. 2. p. 267, ec.). Nè ciò può rigettarsi come impossibile. Ma se non è improbabile che l autore dell’ Isolario fosse padre di Giulio Cesare, non fa bisogno di moltiplicar le persone. Or benchè l autorità di Giraldi, che facendo Giulio Cesare veronese, sembra negare ch ei fosse figlio del padovano, sia certamente assai forte, deesi riflettere nondimeno ch’ei era ferrarese, e perciò delle famiglie di Verona e di Padova forse non era ben informato; e che inoltre egli scrivea quando Giulio Cesare avea assunto il cognome di Scaligero, e quindi già erasi spacciato per veronese. Alla detta autorità inoltre possiamo apporne un’altra, cioè quella del Tommasini, non già che questi fosse contemporaneo dello Scaligero, ma egli afferma che Gianmario Avanzi poeta e giureconsulto assai celebre aveagli narrato di aver udito da suo padre, stato già condiscepolo dello Scaligero, che questi essendo scolaro in Padova, dicevasi a que’ tempi Giulio Bordone padovano: Julius Caesar Scaliger, qui tamen tane temporis in Principem nondum evase rat, sed vero et proprio nomine Julius Bordonius Patavinus appcllabatur. Qitod non semel ex parente suo, qui cjus condiscipulus /iterat, audivisse, nobis affirmavit spectatae fidei vir Jo. Marius A vantius Poeta et J. C. celeberrimus (Elog. p. 65). La quale testimonianza, se non vogliam dare una solenne mentita al 1 o nini asini, ha forza uguale, e forse ancor [p. 1172 modifica]11^2 LIBRO maggiore di quella del Giraldi. Più ancora: il Zeno accenna un epigramma di Giulio Bordone Medico Padovano j stampato nel 1515,• e la traduzione italiana del secondo tomo delle Vite di Plutarco, fatta da Messer Giulio Bordone da Padova, e stampata la prima volta in Venezia nel 1525, di cui anche più altri scrittori fanno menzione. Or questo Giulio Bordone Medico Padovano sarebb egli per avventura lo stesso Giulio Cesare Scaligero? È certo che Giulio Cesare fu dottore in medicina; e benchè il Zeno rigetti come supposto il diploma della laurea conferitagli in Padova, allegato dal marchese Maffei, lo stesso Scaligero però intitolossi dottore in medicina, come prova il medesimo Zeno. È certo ch’ ei non partì dall’ Italia prima del 1525, come tutti affermano gli scrittori della Vita. È certo ch’ ei fu della famiglia de’ Bordoni. È certo ch’ ei non si usurpò il cognome di Scaligero se non in Francia, e pare, secondo la testimonianza del Tommasini, che tardi ancora egli prendesse l altro pronome di Cesare. Perchè dunque non crederem noi che, poichè lo Scaligero fu certamente Giulio Bordone Medico, ei sia appunto quel Giulio Bordone Medico Padovano, autore dell’ epigramma e della versione poc anzi citata, e quindi figlio dell’ autore dell’ Isolario? Aggiungasi che lo Scioppio afferma di aver veduto stampato in Ferrara in casa di Antonio Montecatino quel poemetto medesimo intitolato Elysius, che il Giraldi attribuisce allo Scaligero; e ci assicura che il titolo era Julii Bordonis [p. 1173 modifica]TERZO ‘l~3 Elysius (Scalig. Hypobolism. p. 112, i/ttì) (a). Il Zeno oppone, che se ciò fosse stato, l’Alberti e lo Scardeone, che fanno elogio del padre, avrebbon lodato non meno il figlio. Ma quanto all’Alberti, se egli nol nomina con Benedetto parlando de Padovani celebri per sapere, nol nomina pure, ove parla de’ celebri Veronesi; e quindi quella ragione stessa che si addurrà da altri a spiegare il silenzio dell Alberti tenuto in questo secondo luogo, addurrolla io pure a spiegare il silenzio tenuto nel primo. Allo Scardeone storico padovano io opporrò il Corte storico veronese che similmente non fa motto di Giulio Cesare j e chiedendo agli altri per qual motivo questi ne abbia taciuto, rivolgerò contro di essi la lor risposta adattandola allo Scardeone. Aggiugne il Zeno che anche Benedetto avrebbe dovuto dar qualche cenno di un figlio che cominciava già ad aver qualche nome. Ma possiam noi sapere che Benedetto non avesse forse qualche motivo di esser mal soddisfatto del figlio, e che perciò invece d’indirizzare a lui l opera, la indirizzasse a quel ]l alila ss are Bordone Cirurgico suo nipote? Finalmente sembra che il Zeno adotti ciò che afferma Giuseppe figlio di Cesare, cioè che questi non mai pose piede in Padova, e crede probabile ch ei ricevesse la laurea o in Ferrara o in Bologna. Ma tra i professori ch egli stesso dice esser stati uditi da ('*) Questo Poemetto di Giulio Cesare Bordone, detto poscin Scaligero, è stato pubblicalo dal ch. sig. abate Doiueuico Ferri (Raccolta ferrar, d Opuse, t. 5, p. ao3). [p. 1174 modifica]11-4 LIBRO Giulio Cesare, e da lui medesimo nominati tra’ suoi maestri, veggiamo il calabrese Zamarra, il quale nè in Ferrara, nè in Bologna, ma solo in Padova tenne scuola. A me par dunque che non molto forti sien le ragioni per cui lo Scaligero provasi di patria veronese; e che i fondamenti di crederlo padovano, e quindi figlio del I’ autore dell Isolario, siano di molto peso; e perciò confesso che a questa seconda opinione io propendo assai più che alla prima. Or dopo questa non breve, ma forse non inutile digressione, tornando a Benedetto, questi, per testimonianza di Leandro Alberti, fu astrologo e geografico e miniatore eccellente. Gli scrittori padovani, e singolarmente il sig. Giovanbattista Rossetti (Descriz. delle Pitture, ec. di Pad. p. j 18, ed. Pad. 1776), affermano che alcuni codici da lui miniati si conservano presso i monaci di Santa Giustina, e fra essi un Evangelario e un Epistolario, e ch egli nel suo dipingere si accosta molto alla maniera di Andrea Mantegna. Fin dal 1 /p)4 avea egli pubblicati in Venezia alcuni Dialoghi di Luciano, già da altri tradotti, ma da lui corretti, e per la prima volta dati alla luce (Zeno, l. c). Egli inoltre, secondo l Alberti, fece un’esatta descrizion dell'Italia, la qual però non trovo che sia stata stampata. Maggior fama gli ottenne il suo Isolario, in cui non solo ci dà i nomi di tutte l isole del mondo, aggiungendone la descrizione in tavole scolpite in legno, ma narra ancora le proprietà di ciascheduna, i costumi degli abitanti, le tradizioni dell’antica mitologia, che ad esse appartengono, e potè perciò [p. 1175 modifica]TERZO 1 I"5 allora essere rimirata come opera assai erudita. L’altro illustratore dell’isole fu Tommaso Porcacchi che nel i5;(5 pubblicò le Isole più famose del Mondo descritte da Tommaso Porcacchi da Castiglione Aretino e intagliate da Girolamo Porro. Ma dell’autore dovrem ragionare di nuovo tra poco. V. A questi illustratori della general geografia debbonsi aggiungere alcuni altri che qualche particolar parte ne rischiararono, e due singolarmente che si occuparono intorno alla comun loro patria l’Italia. La descrizione fattane nel secolo precedente da Biondo Flavio era per riguardo a quei’ tempi molto pregevole. Ma più cose si erano già scoperte che doveansi o aggiugnere, o emendare. A ciò si accinse Fra Leandro Alberti dell Ordine de’ Predicatori. Poco io mi tratterrò a parlare di questo dotto scrittore, perchè già ne hanno a lungo trattato i padri Quetif e Echard Script. Ord. Praed t. 2, p. 137, ec.), ed il conte. Mazzucchelli (Scritt. it. t. 1, par. 1, p. 3o6) (a). L’Alberti nacque in Bologna nel i4;9> benché l’esser questa famiglia oriunda da Firenze abbia dato motivo ad alcuni di registrarlo tra gli scrittori fiorentini. Entrato nel j4‘)5 nell’Ordine de’ Predicatori di Bologna, impiegossi costantemente parte nel coltivare con instancabile applicazione gli studi, parte nell’esercitare gli onorevoli impieghi a cui fu destinato, e quelli singolarmente {n) 11 sig. conte Fantuzzi ci ha poi date più copiose notizie, nelle quali delle opere ¿iugularmente di Fra Leandro c informa assai minutamente ed esattamente (Scritt. bologn. t. i, p. 146, ec.). [p. 1176 modifica]1 1 76 LIBRO • li compagno del suo generale Francesco Silvestri, cui accompagnò-in Francia, e d’inquisitor generale in Bologna, cui sostenne nel 1 f>51 e nel seguente, che fu l'ultimo della sua vita. Godette dell amicizia degli uomini dotti di quell’età, e fra gli altri di Giannantonio Flaminio, che nelle sue Lettere ne parla spesso con molta lode, e il cui decimo libro tutto è indirizzato a Leandro. Si può dir che tre fossero principalmente gli oggetti che si prefisse l Alberti, l’Italia, Bologna sua patria, e l suo Ordine. Riguardo alla prima, ei ci diede la Descrizione di tutta l’Italia, stampata la prima volta in Bologna nel 1550, e poscia ristampata con nuove aggiunte più altre volte. Egli ancora, come il Flavio, va scorrendo l’Italia di provincia in provincia, e di città in città; ne descrive la situazione, ne ricerca l’origine, ne accenna le vicende, ne annovera gli uomini illustri, ma assai più stesamente che Flavio. Molte notizie vi si ritrovano che altrove si cercherebbero invano. Ma l’autore si lasciò incautamente sedurre dal suo Annio da Viterbo, e si valse degli apocrifi libri da lui pubblicati come d’oracoli. Non è maraviglia dunque che quest’opera per altro assai bella sia ingombra di molte favole; e alla difficoltà di scrivere con esattezza, ch era a que tempi, debbonsi attribuire non pochi altri errori che vi son corsi. Di Bologna sua patria egli scrisse in più volumi la Storia, di cui però non si ha alla luce che quella parte che giunge fin verso la fine del secolo XIII; il rimanente conservasi ms. in Bologna, come si può vedere dalle esatte notizie che ce ne dà [p. 1177 modifica]TERZO 1177 il conte Mazzucchelli. Finalmente egli accrebbe non poco lustro al suo Ordine co’ sei libri De Viris illustribus Ordinis Praedicatorum, stampati in Bologna nel 1517, e colle Vite particolari di alcuni di essi. Di altri opuscoli di questo infaticabile religioso io lascio che ognuno veda l'indice presso il sopraccennato conte Mazzucchelli. L’altro illustrator dell’Italia fu Giannantonio Magi ni, di cui già abbiamo parlato a lungo nel ragionar degli astronomi di questo secolo. Nel 1620 venne alla luce in Bologna l Italia descritta in generale di questo autore. Fabio di lui figliuolo fu quegli che dopo la morte del padre la pubblicò, dedicandola al duca di Mantova Ferdinando Gonzaga. Nella dedica ei dice che Giannantonio suo padre avea quell’opera intrapresa per comando del duca Vincenzo, e che perciò era conveniente che al figliuolo e successor del medesimo ella fosse dedicata; che perciò, mortogli il padre, egli era venuto a Mantova ad offrirgliela; e quel principe gli avea data speranza di voler deputare qualche uom dotto a dar l’ultima mano alla seconda parte dell’opera, che conteneva lunghi discorsi sull’Italia e su tutte le provincie di essa, sulla natura dei lor territorii, sul lor commercio, sulle lor leggi, ec., giacchè la prima parte, oltre le tavole geografiche, che son le più esatte finallor pubblicate, non contiene che una breve e compendiosa introduzione. Ma queste speranze andarono a voto, e la seconda parte è rimasta inedita. VI. In diversa maniera prese a descriver l Italia un altro scrittore che appena sarebbe Tiràboschi, Voi XII. 2 [p. 1178 modifica]I 1^8 LIBRO «legno «li esser qui rammentato, se il dovere di favellarne in qualche parte di questa Storia non mi persuadesse a dargli qui luogo, ove la prima volta mi si offre occasione di nominarlo. Egli è Ortensio Landi, uomo di molto ingegno, di poco studio, autore di molti piccioli opuscoli, che non sono di gran vantaggio alle lettere, ma che e per la lor rarità, e per gli strani argomenti, e più di’ogni cosa per le pazzie che fautore vi ha inserite, sono assai ricercati. Niuno ha scritta la Vita di questo capriccioso scrittore, e pochissimo è ciò che ne han detto il Bayle (Di et. art. Lando) e l’Argelati (Bibl. Script, mediol. t, 2, pars 1, p. 781) (a). Io prenderò dunque a scrivere con qualche esattezza, giovandomi sì delle opere stesse del Landi da me per la maggior parte vedute, sì delle diligenti ricerche che su ciò ha fatte il diligentissimo Apostolo Zeno in molti passi delle sue note alla Biblioteca del Fontanini. Domenico Landi e Caterina Castelletta milanese gli furono genitori j ed egli stesso il nomina espressamente .(Cataloghi, l. 4, p. 300). Il padre era di patria piacentino (Varii Componim. p. 102), ma in più luoghi egli afferma d esser nato in Mi* lano, ove pare che il padre trasportata avesse la famiglia: Tu nato indegnamente, dice egli fra le altre cose, ove tìnge che uno impugni i suoi Paradossi (Conjutaz. dei Paradossi, p. 15), iti) Ciò che appartiene alla vita e alle opere di Ortensio Lnndi è stato poscia più accuratamente svolto e illustrato dal eli. sig. proposto Poggiali nelle sue Memorie per la Storia letteraria di Piacenza (f, 1 371, ec\). [p. 1179 modifica]TERZO I 1 ng nell'ampia et poderosa Città di Milano, né solamente nato, ma lungamente nutrito et nelle buone arti ammaestrato, ec. In qual anno nascesse, a me non è avvenuto di poterlo scopi ire. Ma i maestri ch’ei dice di aver avuto in Milano, ce ne scuopronoa un dipresso il tempo. Oltre Bernardino Negri (Catal. p. 450), ei nomina Alessandro Minuziano, dal quale, dice (ivi, p 451), ho udito i Commentarli di Cesari* j scudo fanciullo, e Celio Rodigino mio fi onorato Precettore (Comment delle cose d Ital. p. 36). Or il Minuzziano, come di lui parlando si è detto, morì poco dopo il 1521. Il Rodigino, come altrove vedremo, fu in Milano tra’l 1516 e’l 1521. E perciò la nascita di Ortensio si dee fissare a’ primi anni di questo secolo. Da Milano fu poi inviato a Bologna per continuare i suoi studi (Paradossi, l. 2., parad. 23), ed ivi ebbe a suo maestro Romolo Amaseo (ivi, parad. 20). Trai'suoi maestri egli annovera ancora Bernardino Donato Veronese (Catal. p. 4^9)> che secondo il marchese Maffei tenne scuola in Padova, in Capo di Istria, in Parma, in Ferrara e in Verona (Veron. illustr. par. 2, p. 318). Nè io saprei decidere se ad una di queste città si recasse Ortensio, o se, oltre esse, anche in Milano fosse professore il Donato. Convien dire ch’ ei fosse assai povero di sostanze, perciocchè dal finto oppugnatore dei’ suoi Paradossi si fa rimproverare che le lettere sono state cagione, ch egli ito non sia mendicando il pane iP liscio in uscio (Confitaz. Paradossi, p. 7). Forse questa sua povertà lo indusse ad esercitare la medicina, [p. 1180 modifica]i i8o unno poiché spesso egli prende il nome di medico, e nell’apologia di se stesso, aggiunta a’ Sermoni funebri, dice che fu Medico di professione. Una particolar circostanza nella vita di Or- ] tensio ci è stata serbata da f Sisto sanese, I sconosciuta ad ogn altro, cioè ch’egli entrasse nell’Ordine di S. Agostino, e quindi ne apostatasse: Ex horum (haereticorum) numero I Ilortcnsius quidam Lcoidus Augastinianae fa- 1 miliae descrlor libellum hujus argumenti parti- I cularem emisi t., De persecutio/ie lì arò aro rum, ti- 1 tu lo satis impie jocoso praenotatum, qui oariis \ et impiis scommatibus. convinciis et blasplicmiis I iuscctatur Clericos, et praccipuc Monne hos, qui j religi onem radendi verticis et menti institutum servant, ec. (Bibl. Sanct. l. 5, annot. 244)• ] Quindi Apostolo Zeno aggiugne Note al Fon-1 tari. t. 2, p. 433) che il Landi non solo apo-l statò dall’Ordine di S. Agostino, ma ancora dalla cattolica Religione, e che contro di essa j pubblicò molti libri citati dal Simlero e dal Fri? sio continuatori e abbreviatori della Biblioteca! del Gesnero, cioè: Orationem adversus Cucii' Il batum; Conciones duas, de Baptismo unam, alteram de precibus; Disquisitiones in selectiora loca Scripturae; Explicationem Sj mboli Apo^M stola rum, Orationis Dominicae, et Decalogi. Ei il conferma coll’autorità dell’Indice de’ Libri 1 proibiti, pubblicati da Pio IV', in cui vien registrato tra gli autori proscritti: Hortensius Tranquillus, alias Hieremias, alias Landus Benchè, per quante diligenze io abbia fatte,! non mi sia riuscito di trovare alcuna di tali opere ne’ cataloghi delle più copiose biblioteche, [p. 1181 modifica]TERZO I 181 nondimeno de autorità allegale, e quella singolarmente dell1 Indice romano, non lasciano dubitare che qualche libro eretico sotto il nome dei Landi non sia veramente venuto a luce. Ma è egli certo che ne fosse autore Ortensio? Noi vedremo tr «i poco che dal i53.{ fino al 1555 in circa ei visse per lo più in paesi cattolici, servì a vescovi cattolici, stampò le sue opere in città cattoliche. A questo tempo dunque non potè ei pubblicare i suddetti libri, e conviene perciò (fissare l’apostasia dall Ordine di S. Agostino e dalla Religion cattolica del Landi o prima, o dopo un tal tempo. Or a me sembra che l’una e l’altra’epoca sia ugualmente improbabile. Se noi ammettiamo la prima, cioè che il Landi apostatasse nell’età giovanile, come potrem noi spiegare il soggiorno ch’ei poscia fece in paesi cattolici, e il servire a più vescovi? Forse egli tornò in se stesso, e rientrò nel sen della Chiesa. Ma in tal caso, si sarebbe voluto ch’ei tornasse al suo Ordine, che ritrattasse pubblicamente gli errori insegnati, che a libri eretici da lui pubblicati contrapponesse altri libri di più sana dottrina. Nulla di tutto ciò sappiamo del Landi, e niun vestigio ne apparisce dalle sue opere. Molto meno mi par verisimile la seconda epoca. Crederem noi che il Landi in età di cinquantanni si facesse frate per poi apostatare? Oltre di che, il Simplero stampò la sua Biblioteca, in cui nominati si veggono i libri del Landi, nel 1555, quando questi era ancora in Venezia; ed essi perciò dovean essere usciti alcuni anni prima. Come dunque potrem noi sciogliere questo nodo? Io rifletto [p. 1182 modifica]1182 LIBRO che a’ tempi (li Ortensio visse ancora un Geremia Landi agostiniano. Ne abbiamo una certissima prova nel Dialogo di Ortensio intitolato Cicero relegatus, in cui tra gl interlocutori viene da lui introdotto Hieremias Landus omnibus rebus ornatissimus suique, Eremitani Sodalitii splendor ac decus (p. 2). Or di questo io dubito che apostatasse poscia e dall Ordine e dalla Religione cattolica, e che fosse autore de libri da Sisto sanese e dal Simlero attribuiti al nostro Landi. Il sapersi che questi cambiava sovente nome, e che or dicevasi Filatete, or Anonimo d'Utopia, or Tranquillo, or Ortensio, e il vedere che in altri libri scritti certamente da lui non mostravasi uom molto religioso, potè ♦ far credere facilmente che Geremia e Ortensio Landi fossero un solo scrittore; e potè quindi avvenire che anche nellTndice romano si distinguesse funo dall1 altro. Un'altra pruova che Ortensio non fosse autore degli accennati libri si trae da una lettera di Giannangiolo Odone, scritta da Strasburgo a 29 di ottobre del 1535 a Gilberto Cousin, e riferita dal P. Niceron (Mém, des Homm. ill. t. 22, p. 114 ec)* In esso ei dice di aver ben conosciuto chi fosse Ortensio in Bologna; ch’ egli era un disprezzatore della pietà, della lingua greca e delle scienze; che non avea coraggio di farsi vedere nella patria, nè in Italia; che avealo udito dire in Lione che a lui non piaceva se non Cristo e Cicerone, ma che verso il primo non dava segno alcuno esterno di stima; e se favesse nel cuore, Dio solo il sapeva; e che fuggendo dall Italia, non aveva portato seco nè il Testamento vecchio nè il [p. 1183 modifica]TERZO II83 nuovo, ma solo le Epistole famigliari di Cicerone. Or se il Landi oltre questi segni d’irreligione fosse stato reo d’apostasia e dal suo Ordine e dalla Chiesa, e se avesse pubblicati libri infetti d’eresia, l’Odone non avrebbe al certo lasciato di rimproverargli un tal delitto, di cui perciò, finchè non si adducano più certe pruove,. io credo che non si possa incolpare Ortensio. È certo però, ch ei fu uomo di religione assai dubbiosa, libero nelle sue opinioni più che a scrittor cattolico non convenga, e degno perciò, che le opere ne fossero dalla Chiesa proscritte. Ma rimettiamoci in sentiero. MI. La prima opera che il Landi desse alla luce prima di partir da Milano, furono i due Dialoghi intitolati Cicero relegatus, e Cicero revocatus, ch’egli suppone tenuti in Milano nel 1533. Nel primo finge ch essendo egli insieme con Giulio Quercente, ossia dalla Rovere, tornato da Bellinzona, ov erasi recato per villeggiare, a Milano per assistere a Filopono, cioè a Pomponio Trivulzi, gravemente infermo, nella camera di esso venissero a disputa egli, Girolamo e Antonio Seripandi, Marcantonio Caimo, Geremia Landi agostiniano, Cesare Casati, Gaudenzo Merula, Girolamo Garbagnani, Bassiano Landi, Pierantonio Ciocca, Ottaviano Osasco, Placido Sangri, Mario Galeotti e più altri uomini eruditi, e che dopo aver conteso tra loro, conchiusero concordemente di esiliar Cicerone pe’ gravi delitti da lui commessi, e per l’ ignoranza in cui era di tutte le scienze, e che somigliante pena [p. 1184 modifica]I 1 84 LIBRO incorresser coloro che movesser parola di chiamarlo, o ne leggessero le opere. Nel secondo finge ch essendosi destato rumore grandissimo per tal sentenza in Milano, Ermete Stampa, Giovanni Morone, Gabriello Fiorenza, Gabrio Panigarola, Girolamo Pecchi e Antonfrancesco Crespi perorarono per tal maniera, che si decretò che Cicerone fosse con grande onor richiamato j e che perciò al primo di gennaio del 1534 se celebrò solennemente il ritorno in Milano. I dialoghi sono scritti con eleganza e con ingegno j ma il Landi cominciò con essi a scoprir il suo natural talento pe’ paradossi. Ei chiude il secondo dicendo che pochi giorni appresso dovette partir per Roma per gravi negozii, de’quali non abbiamo precisa contezza. Il ritorno da questo viaggio diede forse occasione a un altro opuscolo ch è il primo di quelli per cui il Landi a questo capo appartiene. Esso è intitolato Forcianae questiones, in quibus varia Italorum ingenia explicantur, multaque alia scitu non indigna; e il pubblicò sotto nome di Filatete cittadino di Polidonia. Finge in esso che passando per Lucca, ed essendo stato condotto in una sua villa, detta Forcio, da Lodovico Buonvisi, essi e Martino fratello di Lodovico, Girolamo Arnolfini, Martino Gigli, Giovanni Guidiccioni, Benardino Cinnami, Vincenzo e Giovanni Buonvisi, Vincenzo Giunigi e Niccolò Turchi tutti lucchesi, con molte dame, e Annibale dalla Croce e Giulio Quercente milanesi, vennero tra lor discorrendo dei diversi costumi delle diverse città d Italia. Piacevole a leggersi è [p. 1185 modifica]tf.uzo i J 85 questo dialogo per lo leggiadre cose che vi si narrano, sulle inclinazioni, sul commercio, sulla milizia, sui cibi, sul linguaggio, sul senno, sugli amori, sull’ospitalità degli uomini di diverse città d’Italia, e delle donne, in lode delle quali è tutto il secondo dialogo. Al fin di esso egli narra che libero da una grave malattia, che ivi il sorprese, tornò a Milano col Croce, che si diede a scrivere ciò che colà erasi tra loro detto j c che frattanto costretto, non sappiamo per qual ragione, a recarsi a Napoli, ivi diede a stampare que" Dialoghi, i quali di fatto in quella città furono pubblicati nel 1536, quando già il Landi da molto tempo n era partito. A questo viaggio di Napoli par che appartenga ciò ch’ egli si fa rimproverare dal confutatore de suoi Paradossi: Deh rispondimi, sciocco contemplatore de humane, cose, se per addietro dato non ti fosti alle Lettere, havrebbonti mai tanto vezzeggiato, mentre nel Regno di Napoli fosti, il sig. Principe di Salerno e il signor D). Francesco d Este? havrebbeti tanto amato teneramente il sig. D. Leonardo Cardine? Credimi pur. Hortensio, che se mostrato non ti fussi di varia dottrina ornato, che il sig. Galeotto Pico Conte della Mirandola, et huomo di sì nobil intelletto, non ti havrebbe a suoi servigi nei più travagliosi tempi della guerra richiesto (ciò non sappiamo quando avvenisse). Credimi pur, Hortensio, che se per il passato ti fusti mostrato sì delle dottrine poco amico, come hora fai, non ti avrebbe il sig. Conte di Pi figliano nel viaggio ». p, w Oc» m trancia per suo trattenitore (Confutaz.de* [p. 1186 modifica]I l8fi LIBRO Parailoss. p. 7). Eccoci adunque l’ epoca e l occasione del primo viaggio che il Landi fece in Francia. Egli dice ch era in Lione nel 1534 (Paradossi, l.1, parad. 11); il che se è vero, convien dire che ben veloci fossero gli altri due viaggi che in quell anno istesso egli fece, come si è detto. E certo o nel detto anno, o al più tardi nel seguente, fu egli in Lione veduto dall'Oldoni, come abbiamo osservato. Questi ci narra che ivi il Landi avea stretta amicizia col famoso Stefano Doleto (che poi fu arso come eretico, o anzi come ateo in Parigi nel i54(>), e che questi voleva che il Landi facesse la prefazione alle sue Orazioni, ma che questi se ne sottrasse. Il soggiorno però in Francia del Landi dovette esser breve. Dalle lettere dedicatorie de' due soli libri dei’ Paradossi, stampati la prima volta il Lione. nel 1543, il primo de’quali è dedicato a Cristoforo Mandrucci vescovo di Trento, il secondo a Cola Maria Caracciolo vescovo di Catania, raccogliesi che il Landi era stato al servigio di amendue, e prima del Caracciolo: Perchè,1 dice egli nella prima dedicatoria, non sarà lecito anche a me dei’ due libri de Paradossi consecrarne il primo all Eccellenzia Vostra, et il secondo a Monsignor di Catania; l uno mi ha molti giorni benignamente nudrito, et ] l'altro mostra in varii modi tenermi caro; e nella seconda dice che il Caracciolo, mentre a stette con lui, gli fu assai liberale della sua borsa. Par dunque che il Landi, tornato in Italia, si ponesse al servigio prima dell’ uno e poi dell altro prelato. Nel 1540. non sappiamo [p. 1187 modifica]TF.RZO I 187 pn qual ragione, passò per Basilea, ed ivi sotto il nome di Filalete d Utopia pubblicò un J)ialogo contro di Erasmo morto quattro anni prima, ingannando gli stampatori col titolo che fece lor credere ch'esso fosse in lode di quel valentuomo, cioè: In Desiderii Erasmi funus Dialogus lepidissimus. La pubblicazione di questo dialogo, da me non veduto, eccitò gran rumore e Basilio Giovanni Eroldo diè alla luce una sanguinosa invettiva contro l autor di esso, ch’ egli credette essere Bassiano Landi da noi nominato altrove, e che leggesi nell'ottavo tomo dell Opere di Erasmo. Un altro viaggio, non so per quale occasione, fece egli poscia in Francia, e fu alla corte del re Francesco I nel 1 £>43. Ne parla egli stesso nelle due sopraccennate dedicatorie scritte in Lione, e si scusa di non aver potuto finire più prontamente que’ libri, per la brevità del tempo, et per la tumultuosa vita j eh' ho menato, seguendo alli giorni passati la Corte del Christianissimo Re Francesco. E nella seconda aggiugne che avendo trovato un po’ di riposo in Lione, si era accinto alla pubblicazione de’ Paradossi, che ivi di fatti uscirono in luce, come si è detto, nel 1543. Essi sono appunto paradossi, e tra essi ve ne ha non sol! degli strani, ma alcuni ancora che san d’ empietà. E forse il rumore che per essi destossi, fece ch’ egli medesimo ne scrivesse la confutazione, fingendo che un anonimo gl impugnasse. Essa fu stampata in Venezia nel 1545, e certo il Landi seppe finger sì bene, che un arrabbiato nimico non avrebbe potuto vilipenderlo e maltrattarlo più fieramente di quello [p. 1188 modifica]Il88 LIBRO eh1 egli fece se stesso. Continuava egli intanto a starsene in Francia; e dice di essere stato in Parigi, mentre ivi era il celebre architetto Serlio (Paradossi, l. 2, parad. 20), e nel 1543 in Picardia dietro la Corte (ivi, l. 1, parad. 13). L’anno seguente 1544 v*agg,‘J Pei’ l’Allemagna; e il viaggio fu misto di liete e di avverse vicende. Egli stesso ne fa menzione nella Confutazione de suoi Paradossi, pubblicata nel 1545, facendo che il suo confutatore così lo rimbrotti: Nè si rammenta, che andando l anno passato per vedere l alta Allemagna, fosse in Thi litiga per amor delle Lettere tanto accarezzato dalT unico et singolar splendore della nazion Tedesca il Cardinale di Augusta, della cui bontà et cortesia ogni lingua dovrebbe cantare. Non si rammenta, come per il medesimo rispetto fusse onorato dal Reverendissimo Astense, et dal gentilissimo sig. Giovan Jacopo Fucchero. Non si rammenta lo smemorato, come, poi dallAlle.Allemagna svaligiato ritornando, per la fama sparsa, che Letterato fusse, lo raccogliesse già tanto amorevolmente nelle proprie case il buon M. Antonio da Mula, rettor della Città di Brescia (Confutaz. 1, p. 8). Vili. Tornato il Landi in Italia, intraprese j quel viaggio per le diverse provincie della me- j desima, ch’egli descrive nel suo Commentario ] delle più notabili et mostruose cose d' Italia et 1 altri luoghi, ch’ ei finge di aver tradotto dalla lingua aramea, e dedica al conte Lodovico Rangone. Il libro fu stampato nel i5 j8; e ben- I chè molle circostanze di questo viaggio sieno 1 [p. 1189 modifica]TERZO 1 I89 favolose, ch ei però il laees.se nel e nel 1545, raccogliesi e dalla battaglia di Serravalle seguita, mentr7egli trovavasi in quelle parti (Comment, p. 22), nel l O-i t; e dal cominciamento del concilio di I lento, «1 cui trovossi presente nel dicembre 1545 (ivi. p. 33). Picciola cosa è questo opuscolo, il qual pure a questo capo appartiene, e in cui parla principalmente delle famiglie e degli uomini illustri di ciascheduna città, ma spesso in modo ridicolo, e che pare anzi di uno scrittore del secolo XVII, come quando, parlando di Mode la, dice: ivi trovai Columbi trasformali in hi lamini, et huomini vidi col capo di bù. Vidi nel contado un Castello di vetro, per lo quale stretti parenti erano in aspra contenzione; pensate quel che avrebbono fatto, s' egli'fosse stato d oro o d argento; a spiegare i quai gerghi egli segna in margine: Casa Colombi: Casa Codebò: Castelvetro dei Rangoni (ivi, p. 19). In somigliante stile è scritto quasi tutto quel Commentario, al fin del quale si aggiugne: Catalogo dell Inventori delle cose, che si mangiano, et delle bevande, ch'oggi si usano, composto da M. Anonymo Cittadino d' Utopia, cioè dal medesimo Landi, opuscolo capriccioso anch esso. in cui finge per lo più a suo talento i nomi degl’ inventori. Da esso potrebbe raccogliersi che Ortensio fosse anche in Africa) perciocchè, parlando delle capre selvatiche, dice: N ho veduto in Africa grandi come Cavalli (ivi, p. 60). Ma forse così egli scrisse per ottener fede presso i lettori. Da' suoi Paradossi però abbiamo ch' egli fu in [p. 1190 modifica]I IQO LIBRO Sicilia (l. a, para/l. j.\), e tra gli Svizzeri e tra' Grigioni (ivi, parad. 23). Compiuti tutti questi suoi viaggi, par ch egli si stabilisse in Venezia. Ivi nel 1548 diè alla luce le Lettere di molte valorose Donne, cioè scritte da lui medesimo sotto il nome di esse, il che pure dee intendersi delle Lettere consolatorie di diversi autori, stampate nel 1550, e de Sermoni funebri di varii autori nella morte di diversi animali, stampati in Genova nel 1559, e delle Lettere di Donna Lucrezia Gonzaga, date in luce in Venezia nel 1552. Opuscolo più culi oso è La Sferza de’ Scrittori antichi et moderni di M. Anonymo d Utopia, stampata in Venezia nel 1550, in cui egli disperatamente malmena e strapazza i più celebri autori e le scienze medesime, sicchè egli stesso quasi ad antidoto vi aggiunse una Esortazione allo studio delle Lettere. I sette libri de Cataloghi a varie cose appartenenti ivi stampati nel 1552, sono anch essi una nuova testimonianza della franchezza e dell’ ardire del Landi pel mal che dice di molti, e sì, che, com egli stesso si duole nel fin dell opera, i Veneziani il costrinsero a toglierne parecchi articoli troppo 1 mordaci. Nell’ anno stesso uscirono i due Pa- ] neghici ili lode della Marchesana della Padulla I c della suddetta donna Lucrezia; ed ei volle 1 ancora provarsi a scriver da ascetico e da teo-| logo, del quale studio dice altrove che fin ila I fanciullo era stato assai vago (Serm, funebr. 1 p. 34), e pubblicò il Dialogo, nel quale si I ragiona della consolazione et utilità, che si I gusta leggendo la Sacra Scrittura, dedicato a I [p. 1191 modifica]TERZO 1 IJM donun Beatrice di Luna. Ma ei fece vedere di non esser molto opportuno a tai cose, e il libro ha non poche proposizioni pericolose ed erronee. Circa il tempo medesimo ei fece stampare in Padova una Breve pratica di Medicina per sanare le passioni dell animo, titolo serio di opera non molto seria, perchè anche ne gravi argomenti non sa il Landi astenersi dalle sue capricciose immagini e dai' suoi piacevoli motti. Nell an 1552 ancor vennero a luce i Quattro Libri de' Dubbi in varie materie, proposti da diversi ad Ortensio, colle soluzioni da lui date, ristampati poi nel 1555 colf aggiunta de Dubbi Amorosi. A queste opere di Ortensio, tutte da me vedute, debbonsi aggiugnere alcune altre che non mi son mai cadute sotl7 occhio, e che si rammentano dal Fontanini e dal Zeno (t 2, p. 117, ec.), cioè Oracoli de Moderni ingegni sì d Huomini, come di Donne. e Ragionamenti famigliari di diversi autori, ma tutti del Landi, ambedue stampati in Venezia nel 1550, e i Varii Componimenti, tra quali sono alcune novelle e favole, ivi parimente stampati nel 1553; intorno a’ quali e alle diverse loro edizioni, e a diversi nomi sotto i quali il Landi li pubblicò, veggansi i suddetti scrittori. Il Fontanini avea anche attribuito ad Ortensio il Discorso contro la Commedia di Dante, pubblicato sotto il nome di Ridolfo Caslrav illa. Ma il Zeno con molte ed evidenti ragioni lo ha convinto di errore (t. 1, p. 341, ec.). Ei pubblicò ancora nel 1544 il trattato della Tranquillità dell anima di Isabella Sforza, e nella prefazione [p. 1192 modifica]IIJp LIBRO alienila che avea già egli scritto su questo ar- J gomenlo; ma venutogli alle mani in Piacenza I il libro d’isabella, diè questo alla luce, e al fuoco il suo. Ei dice ancor di aver fatte al- ] cune traduzioni d autori Greci non più veduta 1 d nostri tempi (Serm, funebr. p. 36)..Ma non | sappiamo quali esse siano. Fin quando vivesse I il Landi, non può accertarsi. Se le Orazioni funebri di diversi animali furono la prima volta | stampate in Genova nel 1559), par che fin al-J lora ei fosse in vita. Ma io dubito che qualche H altra edizione, benchè a me non nota, se ne J facesse dapprima. Ancorchè però in quell anno 1 ei non fosse ancor morto, non credo che molto sopravvivesse, perchè di lui più non trovasi! menzione alcuna. Ei coltivò l amicizia di aUfl cimi degli uomini dotti di quella età. Egli è I lodato come uomo di molto ingegno da Al-1 berto Lollio in un sua lettera citata daApo-i Apostolo Zeno { t. 2, p. 114), dalla quale ancora raccogliesi ch egli era ascritto all accademia' degli Elevati di Ferrara, e che di essa avea parlato con lode in un suo dialogo diretto al medesimo Lollio, che or più non si truova.1 Tra le lettere del Muzio ve n’ha una ad Or-I tensio, in cui il ringrazia delle lodi che date! avea alle sue opere (Muz. Lett. p. ìc>4, cd.ì Fir. i ogo). Ma principalmente ei fu unito in amicizia con Pietro Aretino, di cui parla se m- I pre con molta lode. Una lettera abbiamo a lui scritta da Ortensio, nella quale il prega a lo-1 darlo, singolarmente innanzi alla Vita di S. Ga- j terina, c si sottoscrive: Ortensio Tranquillo Landi Milanese (Lettere alt A ret. t. -i, p. i5a), [p. 1193 modifica]TERZO IIg3 ,]no delFAretino ad Ortensio, ili una delle uua!i gli manda un sonetto da premettersi alla Raccolta delle Lettere d’ illustri Donne, nell altra loda un'opera di Ortensio, cioè, come sembra, la Sferza degli Scrittori, la qual dice che avrebbe dovuto intitolarsi il Fulmine de’ Poeti (Aret Lett l. 5, p. 60, 307). E veramente erano questi due uomini degnissimi di lodarsi l’ un l altro, e di abitare insieme nello spedale de’ pazzi, di cui non v’ era per essi il più conveniente alloggio. Se non clic nelTuguaglianza della pazzia, l’Aretino fu assai più reo, e anche assai men dotto del Landi, il qual finalmente non fu scrittor nè osceno, nè apertamente empio, ed ebbe molte pregevoli cognizioni, e sarebbe forse divenuto un eccellente scrittore, se non fosse stato un pazzo. E ch’ egli il fosse, oltre ciò che ne abbiam detto, si conosce al sol leggere la maniera con cui egli parla di se medesimo: Ho cercato a miei giorni, dic egli di sè (Cataloghi, p. 18), molti paesi sì nel Levante, come anche nel Ponente, ne mi è occorso vedere il più difforme di costui: non vi è parte alcuna del.corpo suo, che imperfettamente formata non sia: egli è sordo, benchè sia più ricco di orecchie che un asino, e mezzo losco; piccolo di statura, ha le labbra d'Etiopo, il naso schiacciato, le mani sorte; et è di colore di cenere; oltre che porta sempre Saturno nella fronte. E altrove alla descrizione del volto aggiugne quella ancor de’ costumi: Egli in prima è di statura piccola anzi che grande, di barba nera, et affumicata, di volto pallido, tisicuccio Tiraboschi, Voi. XII. 3 [p. 1194 modifica]’ 1 11)4 LIBRO et macilento; d. occhio torbido e poco acuto, di favella et accento Lombardo, quantunque molto si affaticasse di parer Toscano; pieno poi iFira e di sdegno, ambizioso, impaziente, orgoglioso, frenetico, ed incostante (Con futaz. de’ Parad, p. 3). Del suo sdegno più distintamente ragiona in altro luogo (Cataloghi p. 99): Per ubbidire chi debbo, et chi meno (Fogni altra persona me lo dove a comandare, registro questo solo (cioè se stesso) frai collerici et i sdegnosi Costui per la sua collera ardente et subitanea è più volte caduto in gravissime infermità. Essendo nella Città di Napoli molto vezzeggiato da chi non era egli degno di trargli le scarpette, per una sola parolina ruppe; et spezzò una nobile amicizia. che. gli recava honore, utile. et diletto, Molt,- ultra amicizie sì di Donne, come anche d huomini hassi gittato dopo le spalle, sol guidato dalla sua dannosa collera. Essendogli stato donato uno buono et utile podere, per isdegno lo rifiutò. Tutte le volte, ch egli s' adira con cu.no suo padrone o padrona, subitamente lor restituisce quanto mai ricevette di cortesia, et sia di qual prezzo si voglia, in lui può più lo sdegno, che l amore, che F obligo, et che I non può la data fede. Credo io fermamente# ch egli non sia come gli altri huomini rofl posti di quattro elementi, ma d’ira, di sdegno, di collera, e di alterezza. Chi crederebbe ch egli vantisi ancora di odiare gli studi? Conoscendo costui, parla di nuovo di se medi si ino (ivi, p. 115)? quanto sieno oggidì presso I i Principi in poca stima le Lettere, halle /iraH [p. 1195 modifica]f TERZO 1 195 in tanto odio, che non può, se non per viva &r-,i tessere alcun libro: et i Letterati schiva ror2t*ft*-oo....,.,. 'come huomini di malo augurio et di pessimo influsso. Con somiglianti elogi parla egli più altre volte di se medesimo. Non è dunque a stupire che un tal uomo fosse tenuto per pazzo ed! egli stesso il confessa, e si gloria de* ZU 1 tu D 1. • T vantaggi che ne ha riportati: Io certamente per esser di me sparsa opinione, che alquanto ne participassi (della pazzia), so bene, quante comodità et quanti vantaggi n ho riportato; altri di me si rideva, et io lor tacitamente uccellava; et godendo de privilegi pazzeschi sedeva, quando altrui, che benJòrbito si teneva, stavasi ritto, coprivami, quando altri stava a capo ignudo, et saporitamente dormiva, quando altrui non senza gran molestia vegliava (Parad. l. 1, parad 5). Ma basti ormai di quest’ uomo, di cui parrà forse ad alcuni che noi ci siam più del dovere occupati. IX. L’Africa ebbe anch’essa un valente scrittore, da cui fu illustrata, cioè Livio Sanuto patrizio veneto. Innanzi all’ opera da lui composta, ma pubblicata solo poichè ei fu morto, si dice ch’egli fu figlio del senator Francesco Sanuto; che mandato dal padre in età giovanile alle più celebri università dell' Allemagna, si applicò singolarmente allo studio della matematica; e che non pago di speculare le scienze più astruse, fabbricò diversi ingegnosi strumenti; e che finì di vivere in età di cinquantnsei anni, quando dopo avere compiuta l Africa, volea accingersi alla descrizione delle altre parti del mondo. E veramente s’ ei ci avesse data una [p. 1196 modifica]IIC>6 LIBRO intera Geografia scritta con diligenza uguale a quella che reggiamo nell*Africa, poche opere potrebbonsi ad essa paragonare. Perciocché mi-,! nula ed esatta, quanto si poteva a quei’ tempi, è la descrizione ch’egli ne fa ed ei si mostra uomo di vastissima ei udizione e profondamente l versato nella lettura di tutti i buoni scrittori; 1 Le tavole ad essa aggiunte, come nella stessa prefazione si avverte, furono opera di Giulio di lui fratello, che di sua mano le incise a c insiem coll’ opera di esso vennero a luce | nel 1588 in Venezia. Tra i lavori fatti per man di Livio, uno dovea essere quel planisferio ce- J leste clic si accenna dal P. degli Agostini (Scritt. m veri. t. 2, p. 610), e di cui ei dice che parla Girolamo Diedo nella sua Anatomia celeste opera da me non veduta. Ei dilettossi ancora della poesia italiana, e oltre alcune rime che se ne hanno nel Tempio di Donna Giovanna di Aragona, e un epitalamio stampato in Ve-* nezia nel 1548, ne abbiamo ancora la tradu-i zione in versi sciolti del Ratto ili Prosei pina di Claudiano, ivi stampata nel 1551 e nel 1553,1 del merito della quale io non posso decidere non avendola avuta sott’occhio. X. Tutti questi scrittori col rischiarare la geografia non poco lume aggiunsero ancora alla storia. Ma a ben conoscerne quella parte che riguarda gli antichi tempi, necessario era inoltre penetrar dentro alla folta caligine in cui per l’ignoranza de’ secoli trapassati erano involti i riti, i costumi, le leggi, i monumenti dell’età! più rimote, senza la scorta de’ quali non era possibile l’intender gli storici e 1’ accertare la [p. 1197 modifica]TERZO i19? verità e le circostanze de più memorabili avvenimenti. E questo ancora fu uno degli oggetti a cui gli ingegni italiani di questo secolo si volsero con grande ardore, e di cui conviene perciò dar qui qualche idea. Innanzi a tutti voglionsi nominare due de’ più gran genii ch avesse in questo secol l’Italia, pe’ quali non v ebbe parte alcuna di antichità, in cui essi non avesser coraggio di aprirsi prima d’ ogni altro la strada, e-fra mille scogli ed inciampi inoltrarsi felicemente allo scoprimento del vero; uomini veramente illustri, che vissuti al tempo medesimo ed esercitatisi ne’ medesimi studi, non solo si tenner lontani dalla pedantesca rivalità tanto frequente ne’ semidotti. ma amichevolmente si aiutarono l’uno l’altro nelle loro scoperte; uomini in somma, dell’uno e dell’altro de quali si può dir con ragione, come osserva il marchese. Maffei (Ver. illustr. par. 2, p. 348), che primus desiit nugari. Parlo di Onofrio Panvinio e di Carlo Sigonio. Del primo ragionano gli scrittori agostiniani, e tra essi più esattamente di tutti il P. Gandolfi (De CC. Script, augustin, p. 2^4 h c oltre essi a lungo ne parla il marchese. Maffei (l. cit.) c l1 Arisi che lo annovera tra Cremonesi (Crem. litter. t.2), perchè la famiglia di Onofrio traeva, secondo lui, l’origine da Cremona. Anche il P. Niceron ne ha fatto l’elogio (Mém, des Homm. ill. t. 16, p. 329, ec.). Ei nacque in Verona nel 1529 di famiglia secondo alcuni scrittori, antica e nobile, nè io ho documenti a negarlo, ma ei doveva certamente essere assai povero, come sarà manifesto da ciò [p. 1198 modifica]iiq8 libro clic diremo nel raccontarne la morte. Fin dall età fanciullesca in lui si scoperse un’ avidità insaziabile di studiare; e il desiderio di avere | a tal fine più agio lo indusse forse a prender l’abito agostiniano, in cui fatta la professione, J fu dal general Seripando, poi cardinale, mandato a Roma a compirvi i suoi studi. Nel 1553 \ ebbe il grado di baccelliere, e benchè in età 4 di soli ventiquattro anni, fu destinato a istruir nelle scienze i giovani dell’Ordì 11 suo nella stessa città. L’ anno seguente fu inviato a Firenze a insegnarvi la scolastica teologia; ma perchè,, questo studio non era conforme al suo genio, ottenne dal suo generale non solo di essere libero da tale impiego, ma di vivere ancora fuor del chiostro; ed egli sì saggiamente si valse della libertà concedutagli, ch’ essa gli fu confermata nel 1556. Trattennesi qualche tempo il Panvinio in Venezia, ov ebbe la sorte di conoscere il Sigonio, che nato prima di lui, già erasi molto inoltrato negli studi dell’antichità e della il storia, i quali erano ugualmente cari al Pan vi« ilio. Bellissimo è l’elogio che di lui fece in quel! tempo Paolo Manuzio: Onuphrius PativiniusA dic egli (l. 2, ep. 9), ille antiquitatis helluo spectatae juvenis industriae, et ingenio ac />' 0hH citate praestans, hic: est (cioè in Venezia), I eritqne, ut video, in aliquota menses. JmpriinitII suos Fastos rum Commentariis, sed saepe ////-fi gat obscuris de rebus cititi Sigonio nostro; seti I utriusque boni/as, muti tris amor excellcns atl I cognoscendam veritatem judicium, facit, ut in- J ter cos facile conveniat. E di questa amicizia I son certa prova le molte lettere dal Sigonio I [p. 1199 modifica]TERZO ll[)9 scitte al Panvinio, dalle quali si scorge l’intima famigliarità che tra loro passava, e l ajutarsi che facean l’un l’altro nelle loro scoperte (Sigon Op. t, 6, p. 994, ec.) (’). Ma il più ordinario soggiorno del Panvinio fu in Roma, ove fu dapprima carissimo al Cardinal Marcello Cervini, da cui, quando fu eletto pontefice, avrebbe potuto sperare ogni cosa, se una troppo immatura morte non l’ avesse privato del suo protettore (a). Passò indi alla corte del Cardinal Alessandro Farnese, con cui nel i568 viaggiò in Sicilia; ma giunto a Palermo cadde gravemente infermo, e in età di soli tre n Uno ve anni

O II sig. ab. Lampillas vuole (Saggio, par. 2,/. 2, p. 314) cl»e il Panvinio abbisognasse di essere aiutato, guidato, illuminato da uno Spaglinolo per trovare la vera strada alle recondite antichità, cioè dal celebre Antonio Agostino, lo non cedo ad alcun altro nello stimar l’Agostino, e s io avessi scritta la Storia della Letteratura spaglinola, e non dell* italiana, ne avrei latti i dovuti elogi. Convien però, clic il sig. abate Lampiilas avverta rlie qu indo si parla rii on noni facoltoso e» liceo c benefattore, gli encomii soglion crescere nlqnnnto sopra il dovere, e che perciò non è maraviglia che il Panvinio povero religioso tisane quelle espressioni riguardo all’Agostino, che forse non avrebbe usato, se questi non fosse stato un illustre prelato. Uiguardo poi .«I confronto eh’ ei fa, »lei sapere dell’ uno e dell5 altro, già io mi son dichiarato che sfuggo comunemente di entrare in paragoni, ove singolarmente essi riescono odiosi. (ri) Il Panvinio con Breve di Pio IV de’ 24 gennaio del 1565 a lui sommamente onorevole, pubblicato dall’ab. Marini (Degli Archiatri ponti f. t. 2, p. 307), fu nominato correttore e revisore de’ libri dell.» biblioteca Vaticana collo stipendio di dieci ducati d’oro al mese. [p. 1200 modifica]1300 LIBRO finì di vivere; e vuoisi che gli fosse affrettata la morte da un’ asprissima riprensione che il suo cardinale gli fece innanzi alla partenza da Roma. Per qual motivo ne incorresse egli lo sdegno, niuno ce ne ha lasciata memoria, e le congetture che alcuni han voluto farne, non hanno alcun fondamento. Intorno alla morte del Panvinio ha prodotti prima di ogni altro alcuni bei monumenti il P. Lagomarsini (Pogian. Epist t. 4 ì p- 93). Egli avverte dapprima che l' Ughelli ha errato nel copiar l efitaffio posto al Panvinio in Roma nella chiesa di S. Agostino, facendolo morto 18 Cal Mart., mentre realmente ivi leggesi 18 Cal. Apr. In fatti ei reca uno lettera dal Panvinio scritta in quel viaggio da Napoli a’ 18 di febbraio. Ei produce inoltre una lettera del celebre medico Mercuriale, che in quell ultima infermità assistito avea al Panvinio, scritta da Monreale ai 21 di aprile di quell anno e un’altra scritta dalla stessa città da Antonio Ellio patriarca di Gerusalemme a’ 20 ( di aprile al Cardinal Sirleto. In essa questi scrive che il Panvinio, attesa la facoltà avutane dal suo generale, avea a lui lasciata ogni cosa, con patto però che desse qualche soccorso a sua madre ch era in poverissimo stato; quindi avendogli scritto il Sirleto che il papa aveagli dato cento scudi d’ oro da far contare al Panvinio, il patriarca lo pregava a trasmettergli alla suddetta donna in Verona (¿1). Pruova per (a) L’eruditissimo sig. D. Francesco Daniele essendosi portato a Palermo, per raccogliervi le notizie alla sua bell’opera su que reali sepolcri opportune, e avendo [p. 1201 modifica],. TERZO * 201 ultimo il P. Lagoni ars ini esser falso ciò che scrivesi comunemente, che il corpo del Panvinio fosse trasportato a Roma, e sepolto nella chiesa di S. Agostino, ov egli dimostra che solo gli fu innalzato un onorevole monumento. XI. il breve corso di vita ch ebbe questo infaticabile e dottissimo scrittore, ci rende sempre più ammirabile il raro ingegno e la singolare penetrazione di cui egli era dotato. Chi legge i cataloghi delle opere da lui pubblicate, e di quelle in maggior numero ancora che son rimaste inedite, chi vede i tanti e i diversi argon enti ne’ quali egli si è esercitato scrivendo, chi riflette alla vastissima erudizione che in essi si scorge, appena può persuadersi che anche la più lunga vita di un uomo solo potesse bastare a tanto. Or che dovrassi dire di un uomo che in pochi anni, e in un tempo in cui sì scarsi erano i mezzi per ben istruirsi, giunse a far sì gran cose? Io non ripeterò i lunghi cataloghi con sua sorpresa veduto che in.quella chiesa degli Agostiniani, ove fu sepolto il Panvinio. non serbavasene memoria alcuna, lino a non sapersi pure indicare in qual luogo precisamente ne fosse stato posto il cadavero, gli fece a sue spese porre un’elegante e onorevole iscrizione in marino. In essa egli lo dice morto unn XVIII C<il. Apr, come nell’iscrizione romana, ma VII Id. Apr. cioè a" 7 d' aprile; e le ragioni per cui egli ha corretto in tal modo 1' epoca della morte di questo grand’ uomo, si posson vedere esposte in una erudita lettera a me diretta dal sig abate Luca Antonio Hisrardi professore di latina eloquenza nel seminano di Caserta, e inserita in questo Giornal modenese . ^91 P-,0?)j nella quale ancora si riporla lriscrizione medesima. [p. 1202 modifica]1202 LIBRO do’ libri da lui composti, che si posson vedere e spesso i sopraccennati scrittori e nell'Apparato del Possevino e nelle imprese del Ruscelli; ma ne darò solo u ni dea, secondo i diversi generi d’ erudizione ch egli abbracciò. Le antichità e la storia romana furono uno de’ primi oggetti dell indefesso suo studio. I Fasti consolari, benchè prima di lui dal Sigonio dati alla luce, da lui ancora furono pubblicati, e con note illustrati j diversi trattati scrisse de’ nomi de’ Romani, de giuochi circensi e de’ secolari, de’ trionfi, de’sacrifici e di tutto ciò che appartiene al culto delle favolose divinità, delle Sibille, e de lor versi, della romana Repubblica, degli imperatori! romani, i quali tutti si hanno alle stampe. Nè cotai trattati furono semplici compilazioni di passi di diversi scrittori, come altri avean fatto in addietro. Le antiche iscrizioni furono il principal fondamento a cui egli appoggiò ogni cosa. Aveane egli raccolto e diligentemente copiato un numero grandissimo, cioè di presso a tre mila, e il codice conservavasi ancora quindici anni dopo la morte del Panvinio presso il cardinal Savelli (Maffei, l. c. p.350, 354). Or molte di queste riferisce egli e rischiara nelle opere sopraccitate; e pensava di pubblicarne l intera raccolta: Magnum inscriptionum totius Orbis opus adorno, dic egli nel secondo libro de Fasti, quod quamprimum Deo auspice evulgabitur; in quo omnia singillatim inscriptionum loca accuratissime descripta sunt. Or, dove le altre opere inedite del Panvinio tultor si conservano in varie biblioteche. di questa raccolta più non si trova vestigio, e [p. 1203 modifica]TERZO I203 perciò a ragione il marchese Maflei sospetta che quella pubblicata già in Anversa nel 1588 da Martino Smezio, la quale servì poscia di fondo a quella del Grutero, sia appunto la stessa che fu fatta già dal Panvinio, poichè lo Smezio era già stato con lui in Roma presso il Cardinal Rodolfo Pio; e che in tal maniera delle tante fatiche di questo immortale scrittore altri siasi usurpata tutta la gloria. Degno da leggersi è l’accennato tratto del marchese Maffei, ov egli valorosamente ribatte il Grutero che con intollerabil franchezza dà al Panvinio la taccia d’impostore e di falsario; e mostra quanto egli fosse e sincero e avveduto nel copiare e nel riferire le iscrizioni, e quanto scioccamente egli si apponga l’accusa di averne finte alcune che già leggevansi in altre più antiche raccolte, e quanto mal fondata parimente sia l’accusa che gli vien data di essersi lasciato sedurre dagli apocrifi storici di Annio da Viterbo, i quali anzi furon da lui con nuove ragioni, da niun altro addotte, mostrati supposti. Oltre le antichità romane, intorno alle quali in un luogo egli dice (praef. ad Tract, de ri tu scpcl.) di avere scritto fino a sessanta libri, volle il Panvinio illustrar quelle della sua patria, delle cui antichità, storia ed uomini illustri scrisse otto libri, stampati, ma assai scorrettamente, molti anni dappoichè egli fu morto; e il marchese Maffei osserva ch’ei fu un de’ primi a esaminare gli archivii, e che nella Cronaca di Verona fa uso di carte non mai finallor pubblicate. Egli scese ancora alle storie meno rimote, e oltre quella degl Impera dori romani e de' diversi Principi [p. 1204 modifica]I204 LIBRO che in Italia ebbero signoria, e un Trattato dell’elezione degl’Imperadori, che si hanno alle stampe, avea egli stesa una Cronaca universale dal principio del mondo fino all’anno 1560 dell’era cristiana, e una spiegazione dello stato attuale di tutte le provincie del mondo, e la Storia di cinque antiche famiglie di Roma, cioè de’ Frangipane, de’Savelli, de’ Massimi „ de’ Cenci e de’ Mattei; le quali opere tutte si giacciono inedite. Dalla erudizione profana ei si volse poscia alla sacra, singolarmente a persuasione di Marcello II. E in questa parte ancora è grandissimo il numero delle opere da lui scritte. Un Compendio delle Vite de’ romani Pontefici, e le note e le aggiunte di quelle già ] scritte dal Platina, una Cronaca ecclesiastica da’ tempi di Giulio Cesare fino a Massimiliano II, alcune Dissertazioni sul Primato di S. Pietro, j sulle Basiliche di Roma, sul Battesimo pasquale | e sulla Consecrazione degli Agnus Dei, sul rito j di seppellire gli antichi Cristiani e su lor Ci- I imleri, sulla Biblioteca Vaticana, sono i frutti 1 di questi studi, che han veduta la luce. Ma I oltre più altre opere che son rimaste inedite, 1 e oltre la Raccolta da lui fatta di venti libri I rituali dal principio dell’era cristiana fino al se- 1 colo xiv, egli avea intrapresa una Storia gene- 1 rale ecclesiastica, e, come narra egli stesso ] nella lettera dedicatoria delle Vite de Papi, 1 avea in diversi viaggi e con molta fatica copiati e fatti copiar da altri, pregevoli monti- I menti, e in tal lavoro erasi già tanto inoltrato, che sei grossi volumi se ne conservano nella 1 Vaticana: nè è a dubitare che di molto lume [p. 1205 modifica]TFHZO i ao5 non fosscr essi al Baronio nella grand’ opera che poi intraprese. Il suo Ordine agostiniano non fu da lui dimenticato, e ne scrisse una Cronaca già da*uoi altrove accennata. Finalmente avea ei compilata una Biblioteca, ovvero una breve \ ita di tutti gli Storici latini e greci, ecclesiastici e profani, col giudizio de’ loro scritti. Una tal serie di tali opere può ben supplire a qualunque più luminoso elogio potessi io qui recare di questo sì valoroso scrittore. E moltissimi potrei io produrne, poichè non vi lia uomo mediocremente erudito che non rimiri il Panvinio come uno de’ primi padri e de’ primi ristoratori dell’antichità e della storia. L’autor della Vita di Ottavio Pantagato, di cui diremo tra poco, ha voluto gittar qualche sospetto sulla sincerità del Panvinio, accennando l’opinione d’alcuni, che si fosse giovato delle Memorie dal Pantagato stesso raccolte. Ma il sopraccitato P. Lagomarsini ha abbastanza mostrata l’insussistenza e binverisimiglianza di questa accusa data al Panvinio (l. dtp. 35«)). Così avesse egli avuta la sorte o di poter dare l’ultima mano alle sue opere, o di trovar alcuno che poscia le raccogliesse, e riunendole insieme ne facesse dono al pubblico. Ma l’insaziabile avidità di apprendere cose nuove, e la troppo immatura morte, da cui fu preso, non permise al Panvinio nè di rendere perfette quelle opere che diè in luce egli stesso, nè di finir le altre moltissime che avea cominciato. L’Argelati avea formato il disegno di riunire tutte in un corpo sì le già pubblicate, come le inedite che gli avvenisse di trovare, e di farne una compita [p. 1206 modifica]I 206 LIBRO edizione. Ma egli pure ne fu dalla morte impedito. s¡_ XLI. Nello stesso campo e quasi al tempo medesimo entrò Carlo Sigonio, amico insieme ed emulo del Panvinio, e, benchè per via alquanto diversa, giunse al termin medesimo, anzi, a mio parere, si. avanzò più oltre di molto. Il Panvinio si mise in quella carriera in età ancor tenera; e il suo vivace talento e l’ ardor giovanile gli fece abbracciare insieme mille oggetti diversi. In ogni sua opera egli sparge raggi di luce, confuta errori, scuopre nuovi paesi, addita gli scogli che si hanno a fuggire; ma l'impazienza d’inoltrarsi non gli permette di penetrar bene addentro in quei’ regni medesimi ch’ egli ha scoperti, e di esaminarne minutamente ogni parte; oltrechè, la morte immatura il privò de’ vantaggi che da un più lungo studio e dall’età più matura avrebbe raccolti. Il Sigonio al contrario, accintosi a scrivere in età più matura, e dotato d’ingegno forse meno vivace, ma più profondo, ovunque mette la mano, non la ritira, se non dopo aver condotto il lavoro alla sua perfezione; e se pone il piede in paese non ancor conosciuto, non vi ha quasi angolo che diligentemente non ne ricerchi. Quindi avviene che le opere di esso son più finite e più esatte che quelle del giovane Panvinio, ci danno una chiara idea degli oggetti che in esse rischiaransi, e si leggono ancor con piacere per l’eleganza e per la chiarezza da cui sono distesi. Di questo grand’ uomo ha scritta diffusamente la Vita chi piò d’ogni altro poteva conoscerne il [p. 1207 modifica]TERZO I 207 inerito, dico il celebre Muratori; ed essa va innanzi al primo tomo della bella edizione delle Opere del Sigonio, dataci dall Argelati in Milano. Io ne sceglierò le cose più degne d’osservazione; e potrò forse aggiugnere qualche cosa alle ricerche di sì valoroso scrittore, valendomi di monumenti da lui non veduti (a). Modena fu la patria di Carlo Sigonio che ivi nacque di onorevol famiglia, che tuttora sussiste, nel 1524 Quest’epoca è stata con buoni argomenti fissata dal Muratori. Io non debbo dissimulare però, che il Falloppio, amicissimo e condiscepolo del Sigonio, in due lettere che or recheremo, scritte nel 1561, dice che il Sigonio contava allora quarantuno in quarantadue anni; il che proverebbe ch’ ei nascesse nel 1519. Francesco Porto candiotto, celebre professore di lingua greca in Modena, gli fu dapprima maestro. Passò poscia in età di diciassette anni a Bologna, e per tre anni vi attese agli studi della filosofia e della medicina. Il Muratori ha rigettato come falso ciò che altri hanno asserito, ch’egli avesse ivi tra’ suoi maestri Romolo Amaseo; ma vedremo tra poco che ciò affermasi chiaramente dal suddetto Falloppio. Un altr’anno stette nell’università di Pavia, e di là passò al servigio del Cardinal Marino Grimani. Ma poco tempo appresso, cioè al principio del i54(>, egli il cedette alle istanze della città di Modena, che al Sigonio, benché (a) Del Sigonio si è parlato anche pivi stesamente nella Biblioteca modenese, e se ne sono recate alcune altre notizie al Muratori sfuggite (l. 5, j>. 76, cc.). [p. 1208 modifica]1 2C>S * LIBRO giovane di soli ventidue anni, assegnò la cattedra di lingua greca, vacante per la partenza del Porto, collo stipendio prima di 150, poscia di 3oo lire. A ciò egli aggiunse l istruire il conte Fulvio Rangone figliolo della contessa Lucrezia, e un figlio di Galeotto Pico signore della Mirandola e nipote della stessa contessa, la quale a tal fine gli diè alloggio e mantenimento nel suo palazzo collo stipendio innoltre di 150 scudi. In questi anni ebbe il Sigonio una calda contesa con Antonio Bendinelli lucchese, che in Modena era professor di gramatica, sì per un orazione di Demostene da sè tradotta e pubblicata in età di circa 20’ anni, sì per la Vita di Scipione Africano il minore, che avendo il Sigonio composta, e tardando a pubblicarla, una ne pubblicò il Bendinelli frattanto, che rapì al Sigonio l onore che dalla sua fatica si prometteva. Io non mi trattengo su queste leggere contese che furono come il preludio di quelle tanto maggiori che il Sigonio dovette poi sostenere, e delle quali diremo nel ragionar delle opere da lui composte. Avvertirò solamente che all’ esatte notizie che del Bendinelli ci dà il conte. Mazzucchelli (Scrit. it. t. 2, par. 2, p. 799), deesi aggiugnere che Camillo Coccapani carpigiano, professore poscia di lingua greca nell’università di Ferrara, essendo stato circa il 1570 a preferenza del Bendinelli, che ambiva la stessa cattedra, chiamato professore a Piacenza, questi sparse alcune lettere ingiuriose contro il Coccapani, il quale ne fece vendetta, stampando in Modena nel 1570 una fiera critica della Vita di Scipione, dal Bendinelli [p. 1209 modifica], TERZO I 209 data alla luce col titolo: Errata Bendinelli in P Cornelii Scipionis Aemiliani vita) il che io ho voluto avvertire, perchè non trovo chi faccia menzione di questo opuscolo scritto con forza e con eleganza (a). Nel novembre del i55a passò il Sigonio a Venezia, ove il Senato chiamollo alla cattedra di belle lettere collo stipendio di 160 ducati, che poco appresso gli fu accresciuto lino a 220. Fin dall'anno i558 cominciò a trattarsi d’inviarlo a Padova: Tutto il studio di Padova, scrive egli al Panviuio a’ 28 di ottobre del detto anno (Sigonii Op. t. G, p. 1000), si è jiìosso per me, prima il Rettore, poi la Nazione Milanese, poi la Eiajnenga, ultimamente la Polacca. Tutti hanno mandati Ambasciatori in nome pubblico i più onorati scolari del studio, et hannó trovato i •Signori, e gli e stato promesso, ne gli e stata osservala la promessa. Trat tossi ancora di Roma, ove nel i5Go gli fu proposta una lettura con trecento annui scudi (ivi, p. 1014)• Neiraiino stesso passò lilialmente alia cattedra di eloquenza uelf università di Padova. Nella qual occasione scrivendogli Paolo Manuzio, Patavii te mine esse, gli dice (l. 5, ep. 18), in celeberrimo theatro, ubi spectatur, et notatur acerrime quid% quid agas, quidquiil dicas... mihi in mcntem (n) Di Camillo Coccapani, che fu uno di que’ celebri professori di belle lettere che nel secolo xvi si andava aggirando per le pubbliche scuole d’Italia, or ad uno or ad altro luogo chiamati, e che morì poscia in Ferrara nel 1591, si son date più distinte notizie nella biblioteca modenese (t. 2, p., ec.). TIRABOSCHl j Fot. XII. 4 [p. 1210 modifica]1210 LIBItO venit, quo te in loco tua virtus, quanta omnium c.cpeclattone constitucrit. Niìùl mediocre praestandum est; nec ut cum aliis, quibas et jam doctrina industriaque tua antecelluisse omnes judicanta, sed ut recum ipse certes. E con somiglianti espressioni piene di ammirazione e di lode parlò più altre volte del Sigonio nelle sue Lettere lo stesso Manuzio (L 2, cp. ep. 12). Poco tempo appresso però cercò il Sigonio di esser chiamato a Bologna; e vi passò nel 1563. Il Muratori non ha potuto scoprire l’origine del disgusto che provò il Sigonio di quel soggiorno, e ha saggiamente congeli orato che nascesse dalle contese avute col Robortello, uom torbido e sedizioso, e dall’incontro che ebbe, non si sa come, con un di Rovigo, da cui riportò una ferita in volto. Alcune lettere del Falloppio, pubblicate di fresco dal ch. sig. conte Giovanni Fantuzzi dopo la Vita dell’Aldrovandi, ci danno qualche più chiara idea di questo fatto; ed essi sono al Sigonio sì onorevoli, che’ io non posso qui omettere di recarne almeno qualche parte. Poi prego quella, scriv egli da Padova a’ 24 di ottobre del 1561 all’Aldrovandini in Bologna (Vita di Ul. Aldr. p. 203), che ajuti un poco caldamente questo negozio, che l’Eccellentissimo Si gotte vanghi a leggere costì, perchè egli vi verrà, quest' anno, et adesso adesso bisognando, et volentieri, et certo che questi Signori non sono per ritrovar un pari suo in Italia, nè vi è poi uomo, che tanto desideri d esser loro se nitore, come il Sig. Si gotte, il quale sempre ha amata questa Illustrissima Città, nella quale fe gli suoi primi anni in istudio. Et quantunque g/i [p. 1211 modifica]TERZO I 2JI sia opposto, che' gli sia giovane, io mi maraviglio di questo, con ciò sia che egli di già sia alli 51 anni, et ne mostri più anchora, et sia chiamato giovine; non so età alcuna, la quale sia più perfetta; et che l ingegno nostro sia più perfetto alle cose delle Lettere, che questa nostra virilità et consistenza et vigore dell! intelletto nostro; et pure degli antichi Filosofi greci erano chiamati cioè vecchi, quei di 41 anni. E di nuovo a’ 4 dicembre dello stesso anno (ivi, p. 216): Credo che il Robortello. per quanto si lascia intendere sino a quest ora, sia pentito d essersi partito da Bologna, perchè qua trova maggior contrasto, che non si stimava, et gli è stata data una sbarbozzata due giorni sono nel Senato di Pregadi a Venezia troppo grande. Costui non voleva j che il Sigonio leggesse a sua concorrenza, et ha messo sotto sopra tutto il mondo, ma non se poteva, perchè ambidue sono condotti dal Pregadi alla medesima hora, di sorte che è stata forza, che. si tratti questa cosa in Pregadi, et si è disputata forte tre hore. Il Po* bortello non voleva la concorrenza, il Sigonio la voleva. In somma il Robortello non ha scosse salvo che 15 ballotte in favore, et il Sigonio 140 in favore, et 15 contro, et da 25 in 3o neutre; et il Robortello 15 in favore, 140 contro, et 25 neutre; di sorte che egli, per quanto intendo, brava, et dice, che se ne tornerà a Bologna, et altre ciance; et all' incontro il Sigonio stà di buona voglia, ma starebbe di migliore, se voi lo faceste condurre costà, perchè vi verrà volentieri, sebbene gli volessero date qua [p. 1212 modifica]1212 Liuno mila scudi. La cosa però non ebbe effetto che nel novembre del 1563. Bologna fu d’indi in poi l’ordinaria stanza del Sigonio, il quale fu ivi carissimo al Cardinal Paleotti, e fu uno di que' che intervenivano alle letterarie adunanze che presso lui si sollevano tenere, delle quali si è detto a suo luogo. E si rendette egli sì caro a quella città, che oltre il privilegio concedutogli della cittadinanza (A li dosi, Dott. forest, p. 18), nel 1577 gli fu accresciuto lo stipendio fino a 600 scudi d’ oro, con patto però, che non accettasse qualunque altro invito gli venisse altronde. Così scrive Giovanni Bissonerio al Mureto in una lettera da Bologna a’ 30 di dicembre del detto anno (Miscell. Coll. rom. t. 2. p. 506, ec)) ed aggiugne che egli crede che il Sigonio sarà fedele al contratto, sì perchè, dic egli, non è avido di altri inviti, sì perchè, per parlare sinceramente, egli è più opportuno a scrivere che ad insegnare. Coile quali parole il Bissonerio vuole indicare per avventura che il Sigonio non fosse dalla cattedra sì eloquente e sì chiaro, come mostrossi nelle sue opere. E fu veramente il Sigonio osservatore fedele della parola data. Perciocchè l’anno seguente 1578, venuto in Italia un cortigiano del re Stefano di Polonia per condurre in quel regno con vantaggiosissime condizioni qualche professore italiano, e richiesto nominatamente il Sigonio, questi se ne scusò. Nell’anno stesso fece il viaggio di Roma, e vi ricevette dal santo pontefice Pio V e da altri ragguardevoli personaggi distinti onori: So che avrete inteso, scrive egli stesso da Bologna a’ 10 di novembre [p. 1213 modifica]terzo i 2 i 3 del dello anno (Op. t. 6, p. 2030. ec.), delli onori fattemi in Roma, et della impresa datami da N. S. Et io ho più caro, che si’intenda da altri che da me. L anno 1583 ebbe la famosa contesa col Riccoboni pel libro De consolatione, che volle far credere come opera di Cicerone, e che dal Riccoboni si sostenne supposta, non senza qualche sospetto che il Sigonio stesso ne fosse l’ autore. Abbiamo già altrove parlato di una tal controversia (t. 1), nè fa d’uopo il tornare su questo argomento. Poco ei sopravvisse a questa contesa; perciocchè l anno seguente 1584, venuto a Modena, ove nella primavera dell'anno stesso aveva dato principio alla fabbrica di una sua villa, in questa villa medesima, che ancor si vede, di là dalla Secchia due miglia lungi dalla città, finì di vivere a’ 12 di agosto, come è segnato ne libri mortuali veduti dal Muratori, e fu sepolto nella chiesa di S. Agostino. Queste cose da me in breve accennate si possono vedere per la maggior parte svolte e spiegate più a lungo dal Muratori, il quale ancora ragiona delle morali virtù di cui il Sigonio fu adorno, e riferisce il bell elogio fattone dal P. Alessandro Caprara della Compagnia di Gesù, amatissimo dal Sigonio medesimo, a cui lasciò per legato tutti i suoi scritti, da cui poi passarono alle mani di Jacopo Buoncompagni duca di Soro, splendido protettore delle lettere, e da molti dotti di quell’età altamente encomiato (a). Ma tempo (fl) L degno d’esser letto l’elogio che del P. Caprara ci ha dato il sig. abate Francesco Alessio Fiori, e eh« [p. 1214 modifica]12 ¡4 LIBRO è ili dare un’idea delle opere da questo grand’uomo composte. XIII. Io non mi tratterrò a parlare distesamente di alcune operette di minor mole, benchè anche’ se molto pregevoli, come di quelle de’ primi anni della sua gioventù da noi già accennate di molte orazioni da lui dette in diverse occasioni, del libro intorno al Dialogo, del Giudizio degli Scrittori della Storia romana, della traduzione latina della Rettorica d’Aristotile, dei frammenti (di Cicerone da lui raccolti e illustrati, della Vita di Andrea Doria, e di altri somiglianti opuscoli. Più distinta menzione vuol farsi di quelle opere nelle quali il Sigonio si fece guida agli altri, e diradò il primo le tenebre fra cui era involta l’ antichità. La Storia e le Antichità romane a niuno forse in quel secolo dovettero più che al Sigonio. I Fasti consolari e l" ampio Comento su d’ essi da lui pubblicati furono la prima opera in cui si vedesse la Storia romana esposta con ordine cronologico e con giusta critica. Gli Scolii e i due Libri di emendazioni alle Deche di Livio recarono un gran lume a questo scrittore poco finallora inteso, e dall’ ignoranza de’ precedenti copisti stranamente malconcio. Nuovo argomento e non più da altri trattato prese egli a illustrare co’ libri De antiquo jure civium Romanorum, De antiquo jure Italiae, De antiquo jure Provinciarum. La prima delle quali opere gli diede occasione a scrivere il è inserito negli Scrittori bolognesi del conte Fantuzzi (t. 3, p. 125 ec.). [p. 1215 modifica]TERZO 12l5 trallato De binis Comitiis et Lege Curiata contro Niccolò Grucchio, che le avea impugnate. La qual contesa però si ristette entro que’ termini di onestà e di convenienza che da letterati mai non dovrebbonsi oltrepassare. Alle antichità romane ancora appartengono il Trattato de nomi de’ Romani, e i tre Libri de’ loro giudizi, in tutte le quali opere ha il Sigonio esaminate per tal modo le cose, e sviscerata, dirò così, la materia, che poco hanno trovato a correggere e ad aggiugnere i moderni scrittori, trattone ove la scoperta di inediti monumenti ha dati su di ciò nuovi lumi. Dopo avere così illustrate le cose romane, il Sigonio scese più a basso, e in venti libri distese la Storia dell’ Impero occidentale da Diocleziano sino alla distruzione del medesimo impero j opera grande essa pure, e la prima a cui veramente convenisse il nome di Storia. Ma a cose ancora più ardue chiamavalo il suo ingegno. In tutte le opere sinora mentovate faceva bisogno, per vero dire, al Sigonio di un fino discernimento per esaminare e confrontare tra loro gli antichi scrittori, e per raccogliere da’ loro libri una giusta ed esatta idea di quelle cose di cui avea preso a scrivere. Ma finalmente in questo argomento non gli mancavano sicure guide, sulle cui vestigia i(inoltrarsi. Non così in un altro che il Sigonio ardì di tentare prima di ogni altro, cioè nella Storia de’ bassi secoli, ossia in quella del Regno d’ Italia dalla venuta de’ Longobardi fino all’anno 1199, continuata poscia da lui medesimo fino all'an 1286. Era questo un orribil [p. 1216 modifica]1 a 1 G LIBRO diserto in cui ninno avea ancor osato di penetrare. E come farlo, a dir vero, con isperanza di felice successo, non avendo altra scorta che quella di pochi barbari e ignoranti cronisti, e le cui opere ancora giacevansi per lo più tra la polvere dimenticate e sepolte? Vide il Sigonio che l unico mezzo a riuscire nell intrapresa, era il visitare gli archivii, e dagli autentici monumenti che vi si conservano, ricavar l epoche certe de’più memorabili avvenimenti, e inoltre dissotterrare le vecchie cronache rozze bensì e ne’ tempi antichi favolosissime, ma sincere comunemente nello scrivere de' loro tempi. Nella prefazione a questa Storia afferma il Sigonio di avere visitato gli archivii tutti dell’ Italia, e della Lombardia singolarmente, di avere esaminati o per se stesso, o per mezzo di amici (tra i quali osserva il Sassi (Script rer. ital. t. 2, p. i j(>) die gran parte ebbe Giambattista Fontana milanese) i monumenti che in essi guardavansi, di aver raccolte quante cronache abbia potuto trovare presso le private famiglie scritte dopo il x secolo 5 e quasi per pegno della sua fedeltà pubblicò in Bologna nel 1576 il Catalogo delle Cronache e degli Archivii, de’ quali avea fatto uso. Ecco dunque il vero ristoratore della diplomatica, il quale, se non ridusse a certe leggi e a generali principii! quell' utilissima scienza, fu il primo però a conoscerne il vantaggio, e a saggiamente usarne; giacchè in confronto a ciò che fece il Sigonio, poco era ciò che alcuni altri scrittori, e il Panvinio medesimo, in ciò avevano fatto. Io so che in [p. 1217 modifica]TF.RZO I 31 7 quest1 opera si sono poscia scoperti errori, perchè la gran copia di altri monumenti venuti a luce ha rischiarate assai meglio le cose. Ma era egli possibile che in un sentiero sì intralciato e spinoso, in cui niuno gli avea ancora segnata la via, egli non inciampasse talvolta? Niuno più del Muratori ha conosciuti i falli in cui è caduto il Sigonio, e nondimeno niuno più del Muratori ha esaltata e celebrata quest opera, dicendola insigne prò fedo opus et mori funeri forum copia, et splendore sermonis, et ordine narrationis, e.v quo incredibilis lux facta est eruditioni barbamrurn temporimi^ in illuni usque diem apud Italos tenebris innumeri s circumfusac (Vita Sigon. p. 9). Prima di quest opera, erasi egli già accinto ad illustrare ancora le antichità della Grecia, e ne quattro libri De Republica A theniensium, e in quello De A theniensium et Lacaedemoniorum t(rnporibns ci avea prima di ogni altro rappresentato esattamente lo stato di quelle repubbliche, e ordinata giustamente la serie delle rivoluzioni e delle vicende alle quali esse erano state soggette. Lo stesso egli fece riguardo alle antichità ebraiche, e negli otto libri De Republica Hebraeorum con bellissimo ordine e con singolare esattezza, cosa non ancora tentata da altri, svolse e spiegò tutto il sistema sacro e politico e militare degli Ebrei. La fama a cui era salito il Sigonio, fece che il gran pontefice Gregorio XIII veggendo che il Panvinio non avea potuto eseguire interamente il comando ingiuntogli di scriver la Storia ecclesiastica, ne desse nell an 1578 l'incarico al [p. 1218 modifica]iai8 libro Sigonio. Ma egli non ebbe tempo ad altro che ad illustrare con eruditi comenti quella di Sulpicio Severo. Finalmente per gratitudine all’ amore e alla stima di cui onoravanlo i Bolognesi, egli scrisse la Storia di quella illustre città, e poscia quella de’ Vescovi della medesima, e le Vite di alcuni Santi ed Uomini illustri da essa usciti. E per riguardo alla Storia di Bologna, egli ebbe il dispiacer di vedere che alcune cose, nelle quali egli avea seguito quel sentimento che a lui parea conforme alla critica ed alla ragione, non piacevano a molti (V. Borghi ìli, Discorsi, t. 2, p. a5 6). E perciò forse avvenne ch' ella non uscisse alla luce, che poichè egli fu morto. Anzi il Muratori sospetta che altri vi ponesse la mano, e v’ inserisse cose dal Sigonio o taciute, o fors anche impugnate. Tutte le opere del Sigonio sono state in un sol corpo riunite, aggiuntevene alcune inedite, e stampate per opera dell'Argelati in Milano, con eruditi comenti e con osservazioni su molte di esse del P. don Giuseppe Maria Stampa somasco, del P. don Gennaro Salinas napoletano, del dott Alessandro Macchiavelli bolognese, dell’ avvocato Giovanni Moderni, dell’abate Lorenzo Maffei, del P. Costanzo Rabbi agostiniano, del Muratori, del Sassi e di un anonimo Gesuita, cioè del Padre Giacomo Ponte morto in Torino sua patria nell aprile del 1766, il cui nome io godo di poter qui pubblicare, per conservar la memoria di un uomo per ampiezza di erudizione non meno che per onestà di costumi degno di quella gloria che egli modestamente fuggì, [p. 1219 modifica]TERZO I a 19 non volendo che si ponesse il suo nome innanzi alle dottissime annotazioni ed aggiunte con cui illustrò i libri del Sigonio sulle antichità greche e spartane. Dopo la suddetta edizione io non so che altra cosa del Sigonio sia stata data alla luce, fuorchè tre Lettere italiane al Mureto (Miscell. Coll. rom. t. 1, p. 437), una allo Speroni (Speroni, Op. t. 5, p. 375), e due al Baronio. XIV. Ho accennato nel parlar del Sigonio le contese che’ egli sostenne col Bendinelli, col Riccoboni, col Grucchio e col Robortello. Ma queste ultime non si debbono solo accennare e pe’ libri a cui diedero occasione, e per le circostanze che accompagnaronle, vogliono essere più attentamente esaminate } e molto più, che non è sì agevole fra il caldo dei contrarj partiti discernere il vero; e veggiamo in fatti che il Muratori ci rappresenta il Sigonio come uomo ingiustamente oppresso e calunniato dal Robortello: al contrario il sig. Giangiuseppe Liruti, che ci ha data una diffusa ed esatta Vita del Robortello (De Letter. del Friuli, t. 2, p. 413, ec.), tutta l’odiosità di questa contesa getta sopra il Sigonio. Io mi sforzerò di scrivere imparzialmente. Ma prima di parlare della contesa, conviene far conoscere il nimico con cui il Sigonio azzuffossi, il quale anche senza ciò ha diritto ad aver luogo in questo medesimo capo. Udine fu la patria del Robortello, che ivi nacque a’ 9 di settembre del i5i(i da Andrea Robortello nobile di quella città e notaio. L’ università di Bologna fu quella che lo ebbe ad allievo sotto la disciplina del [p. 1220 modifica]1230 LIBRO celebre Romolo Amaseo. Circa il 1538 di discepolo si fece maestro, e lo Studio di Lucca prima di ogni altro lo udì spiegar dalla cattedra i precetti dell' eloquenza. Cinque anni appresso da Lucca passò a Pisa, e il Sigonio gli appone che’ egli ne fosse pubblicamente cacciato, per aver procurata col veleno la morte a un certo Pietro Vicentino (Disput. patav. 2). Ma, a dir vero, il sig. Liruti ha in ciò difeso il Robortello assai bravamente, producendo oltre altre ragioni l autentico documento con cui a1 i(i di ottobre del 1543 il Senato di Lucca gli concede onore onorevole congedo, e gli permette di andarsene a Pisa, ov era invitato. Lo stesso scrittore produce gli elogi fatti da molti al Robortello, mentre leggeva in quelle due università, ne’ quali parlano! di lui con molta lode. Ma a non dissimular nulla, fuvvi ancora chi ne parlò con disprezzo. Tra le lettere scritte a Pietro Vettori due ve ne ha di Francesco Spino, amendue scritte da Pisa, la prima a’ 4 la seconda a’ 10 di novembre del 1545. Dalla prima raccogliesi che non era grande il concetto di cui egli ivi godeva: Robortellus autem tuus legit Aristotelem de Poetica, quem ego quidem nondum audivi; in ea vero apud eruditos est opinione, ut adfirment hac in re, sicut in aliis omnibus, ita enim ajunt,, plurimun sibi adrogare (F.pìst. ad P. Victor, t 1, p. 44)• Nella seconda, dopo averlo già udito, così scrive lo Spino: Itaque statim percepi, operam me lusurum potius, si ejus lectionibus interfuissem, quam ullam ex eis utilitatem me elicere posse (ib. p. 4>3)• A questo disprezzo [p. 1221 modifica]TER/O 1221 però possiam contrapporre la stima che per lui ebbe lo stesso Vettori. uom certamente dottissimo, la qual ben si mostra nelle diverse lettere che ne abbiamo a lui scritte (P. /¿~ ctor. Epist p. 14, 37, 87). Nel 1549 fu chiamato a Venezia ad occupare la cattedra del celebre Battista Egnazio omai decrepito; e benchè il duca Cosimo si adoperasse per ritenerlo, il Robortello nondimeno volle colà recarsi. Nel qual tempo ancora, divertendo a Udine, vi prese moglie. Dicesi che in Venezia egli avesse non piccole brighe col suo antecessore Egnazio j e che questi sdegnato assai pel disprezzo che di lui mostrava il Robortello, giugnesse a sguainare un coltello, e ad assalirlo pubblicamente. Ma credesi ancora, che questi racconti sieno stati esagerati oltre al dovere, nè io reputo necessario il trattenermi a disputarne. Confessa però lo stesso sig. Liruti che e Paolo Manuzio e Andrea Alciati ebbero di che lagnarsi del Robortello per la maniera sprezzante con cui combattevano le opinioni; e dell’ odio di molti, che perciò incorse in \ cnezia, fan pruova alcuni pungenti versi composti in occasione d’ una caduta ch’ ei fece innanzi a un macello, pubblicati dal P. degli Agostini (Calogerà, Opusc. t. 33, p. 103). Frattanto nel 1552 il Robortello fu destinato a succedere in Padova alla cattedra di greca e di latina eloquenza al celebre Lazzaro Buonamici allora defunto, e gli fu assegnato l’annuale stipendio di 300 fiorini. Cinque anni trattennesi in Padova il Robortello, finchè nel 1557 fu inviato a Bologna, ove per tre [p. 1222 modifica]1223 I.IBRO anni sostenne il medesimo impiego, onorato ancora da’ Bolognesi, se crediamo a Jacopo Valvasone da Maniaco citato dal Liruti, con ascriverlo alla lor nobiltà. Il Senato veneto richiamollo nel i5(5o con espresso comando alla sua cattedra in Padova collo stipendio di 400 fiorini, e ivi trattennesi il Robortello fino alla morte, da cui fu preso in età ancora fresca, cioè di poco oltre a cinquanta anni, a’ 18 di marzo del 1567. Egli, se ci narrano il vero il Tommasini e il Facciolati (Fasti, pars 1, p. 58), morì sì povero, che non gli si trovaron denari per fargli l’ esequie. Ma l’ università stessa gliele fè celebrare magnifiche, e la nazion tedesca gli eresse nella chiesa di S. Antonio un bel monumento, e una statua di marmo, come afferma il sig. Liruti, o anzi di creta, come dice il sig. Giambattista Rossetti, che l ha veduta (Pitture, ec. di Pad. p. 77), con una assai onorevole iscrizione. Molte sono le opere del Robortello che abbiamo alle stampe e le prime ch' ei pubblicò, furono le Annotazioni su varii autori greci e latini, stampate in Venezia nel 1543, e poi da lui stesso accresciute nel 1548, nelle quali oltre il criticare diversi altri autori, il che non gli si può imputare a delitto, ei sovente rivolgesi contro Erasmo e lo stesso Liruti confessa che nol fa sempre colla dovuta moderazione. Alcune altre operette pubblicò congiuntamente nel 1548, cioè De H istorine facultate: laconici seu sedationis explicatio: De Nominibus Romanorum: De Rhetorices facultate: Explicatio in Catulli Epithalamium: Explicatio in I Aeneidos Vir^ilii [p. 1223 modifica]t TF.RZO 1223 lìbrum’j aggiuntavi un’Ode greca, nella quale il Robortello fa a se stesso non troppo modestamente un magnifico elogio; tutte operette di piccola mole, e che benchè abbiano qualche pregio e vengan da alcuni lodate, non son nondimeno avute in conto, per così dire, di classiche e originali. Più utile e più lodevol lavoro fu quello che nell’ anno stesso ei diede a luce, la Poetica d’Aristotile da lui riveduta e corretta coll’ aiuto di molti codici, e illustrata con ampii comenti, e vi aggiunse la parafrasi dell'Arte poetica d’ Orazio, con alcuni altri trattati alla poesia appartenenti. Le Tragedie d’ Eschilo ancor furon da lui pubblicate nel natio loro linguaggio, accresciute e corrette, e illustrate cogli scolj raccolti da’antichi codici; e lo stesso dee dirsi degli Ordini militari d’ Eliano, ch’ egli ancora tradusse in latino, e illustrò con immagini tratte parimente da’ codici, e coll’ aggiunta di altri opuscoli somiglianti di antichi scrittori. A lui inoltre dobbiamo l’ elegante trattatello del Sublime di Longino, che rischiarò con alcune annotazioni. Le antichità romane non furon da lui trascurate, e oltre le opere scritte contro il Sigonio, delle quali tra poco diremo, e l’edizione ch’ egli pur fece de’Fasti, pubblicò nel 1559) l’opera De vita et vie tu Populi Romani sub Imperatoribus Caesaribus Augustis con dieci altre Dissertazioni su diversi punti delle costumanze e delle leggi romane. Finalmente nel 1560 diede alla luce il libro De Artificio dicendi con alcune altre operette di somigliante argomento, in lode delle quali io vorrei che il sig. Liruti [p. 1224 modifica]1224 LIBRO potesse recare testimonianze migliori di quelle del Morofio, la cui autorità, in ciò che appartiene a buon gusto, è assai mediocre. Io lascio di ragionare di altri opuscoli di minor conto datici dal Robortello, e rimetto i lettori al lungo e diligente articolo del sopraccitato sig. Liruti, che nulla in ciò lascia a bramare, e presso cui si potran parimente vedere gli elogi con cui molti di lui ci hanno parlato. Noi passiamo frattanto a vedere l’ origine e il successo dell’ aspra contesa che col Sigonio egli ebbe. XV. Chi fu il primo aggressore tra questi due combattenti? Ecco la prima questione in cui si oppongono l un l’ altro i due scrittori delle lor Vite, il Muratori e il Liruti. Il primo vuole che il Robortello per sola invidia si rivolgesse contro il Sigonio; il secondo afferma che anzi il Sigonio fu il primo a scagliarsi contro del Robortello. E certo, se per.muover guerra ad alcuno si’intenda Timpugnar qualche libro da lui pubblicato, non può negarsi che il Sigonio non fosse il primo a dar (fiato alla tromba. Avea il Robortello nel 1548 pubblicato il suo opuscolo De Nominibus Romanorum, picciolo di mole, e a giudizio di tutti gl"intendenti dell'antichità, ugualmente picciolo di valore. Il Sigonio cinque anni appresso scrisse sullo stesso argomento, e in più luoghi impugnò il Robortello, non mai nominandolo, ma indicandol col titolo di suo amico e di uom dotto. Sembra al sig. Liruti che in questo libro il Sigonio parlasse del Robortello con molto disprezzo, e ne reca in pruova alcuni tratti che gli paiono assai [p. 1225 modifica]TERZO 1325 ingiuriosi. Io nondimeno avendo letti e così staccati; e anche nel loro contesto, i passi medesimi, non vi so riconoscere quell’ asprezza ch’egli vi trova, e che possa giustificare il furore con cui il Robortello si volse contro il Sigonio. Egli l anno seguente scrisse contro il Sigonio una lettera assai risentita, come la chiama il Robortello medesimo nella prefazione alle tre operette, delle quali tra poco diremo e la premise a una nuova edizione che fece de Fasti consolari, pubblicati già dal Sigonio, ma omettendo le giunte che ad esse avea fatte il Sigonio medesimo, e accennando che questi avea in esse commessi non pochi falli, ch’ ei riserbavasi ad additare a’ suoi scolari a viva voce. Di questa lettera e di questa nuova edizione de’ Fasti, di cui come di cosa venuta a luce ragionano e il Robortello e il Sigonio, confessa il Liruti di non aver mai veduta copia, e a me ancora non è avvenuto di trovarne indicio alcuno. E forse ella fu poscia soppressa in modo che più non ne apparisse esemplare. Quindi non avendo noi soli’ occhio la detta lettera, non possiamo giudicare qual ella fosse. Ma poichè il Robortello stesso confessa di aver con quella non leggermente punto il Sigonio, possiamo a ragione inferirne ch’ella fosse risentita e mordace al sommo. Nondimeno il Sigonio non le fece risposta 5 e il sig. Liruti, che vuol sostenere ch’ egli attaccò di nuovo il Robortello, non può recare altra pruova, se non che nell’an 1556 ei pubblicò di nuovo più corretti ed accresciuti i suoi Comenti su’ Fasti, e vi aggiunse una nuova edizione del suo Tirabcschi, Voi XII. 5 [p. 1226 modifica]I 226 LIBUO libro de’ Nomi. Ma in questa ristampa aggiunse forse il Sigonio altre cose in disprezzo del Robortello? Ribattè forse aspramente ciò che questi avea scritto contro di lui? Lo stesso signor Liruti non può affermarlo. Come dunque potè egli dire che il Sigonio di nuovo attaccasse il Robortello, e che questi perciò non si potesse più contenere entro i limiti di quella moderazione che avea usato la prima volta? Una sola ristampa potè dunque accender lo sdegno del Robortello? Questi nell’an 1557 pubblicò le tre operette: De convenientia supputationis Livi arnie cum marmoribus, quae in Capitolio sunt: De arte sive ratione corrigendi vete res Auctores: Emendationum Libri duo. Nelle quali altro non fa il Robortello che impugnare e mordere il Sigonio e le opere da lui finallor pubblicate. Due cose oppone qui il Liruti al Sigonio j cioè in primo luogo ch’ egli furtivamente si procacciasse i fogli del libro del Robortello, di mano in mano che si andavano stampando, il che è verissimo; e che quindi si vantasse falsamente di avergli risposto in un mese. Ma l arte usata dal Sigonio per aver prontamente quei’ fogli non gli si può imputare a delitto, e dee aversi in quel conto medesimo in cui si hanno i militari stratagemmi. Che poi il Sigonio gli rispondesse in un mese, è cosa di cui niun’ altra e più certa j perciocché le stesse lettere dal sig. Liruti prodotte dimostrano, che a 28 di luglio dell’anno stesso avea di fresco ricevuti quei’ fogli, e che a 7 di settembre si cominciò la stampa della risposta, se pure il sig. Liruti non ci vuol muover guerra [p. 1227 modifica]TERZO 1227 su pochi giorni oltre ad un mese, che in quello spazio di tempo comprendonsi. L’altro rimprovero ch’ ei fa al Sigonio, si è che nella risposta, cioè ne’ due libri dell’Emendazioni, non tenesse,misura alcuna, ma si scagliasse furiosamente contro il Robortello, di cui dice solo che non usò tutta quella moderazione in difendersi, che ad un uomo onesto conveniva. Veggiam di grazia alcune delle leggiadre espressioni del Robortello, per conoscere se sì poco reo egli fosse: Sigonius ut est imperitus, nulloque judicio praeditas... Videsne, o Sigoni, verum esse, quod toties dixi, te nullo judicio in litteris esse praeditum?... Sigonius corrumpit locum hunc... Miror Sigonium tam nullo judicio esse praeditum. Queste ed altre somiglianti espressioni si’incontrano nel breve opuscolo De Convenientia Supputationis Livianae; e ugualmente graziose sono quelle ch’ egli usò nelle altre due opere, e nell’ ultima singolarmente ch è la più voluminosa. Io confesso che nulla più moderato fu nella sua risposta il Sigonio. Ma qui finalmente egli al certo fu il provocato; nè mai usato avea in addietro contro del Robortello di quello stile di cui questi cominciò ad usare contro di lui. Le opere da me accennate son nelle mani di tutti; ognuno può leggerle e giudicare s’io dica il vero. Questa contesa, che sembrava doversi sempre più inasprire, fu sopita nel 1561 per opera del Cardinal Seripando che, trovandosi in Bologna, riunì in amicizia tra loro il Robortello e il Sigonio, e anche il Manuzio che dal primo era stato assai malmenato. Ma la riconciliazione fu [p. 1228 modifica]12 28 LIBRO breve; c quando il Sigonio e il Robortello trovaronsi in Padova nel 1562, la guerra si accese più furiosa che mai. Qui ancora il signor Liruti incolpa il Sigonio, e vuole che egli col deridere ne’ suoi discorsi il Robortello, e col far pubblicare contro di lui epigrammi satirici lo provocasse, mosso da invidia, al vedere il gran numero di scolari che quegli avea, dov egli al contrario rimanevasi quasi abbandonato e solo. Ma i discorsi famigliari del Sigonio contro del Robortello non hanno altro fondamento che l’ autorità del Robortello medesimo. Del numero di scolari che aveano amendue, abbiamo veduto quanto diversamente scrivesse il Falloppio; e se il sig. Liruti non vuole che noi crediamo al Falloppio, poichè concittadino e amicissimo del Sigonio, ei ci permetterà che molto meno crediamo al Robortello ch è il solo che ciò affermi. Riguardo poi agli epigrammi, converrebbe provare ch’essi fossero stati composti e divolgati prima della sfida che il Robortello diede al Sigonio; il che nè è stato, nè sarà mai dal sig. Liruti provato abbastanza. Lasciando dunque in disparte ciò ch è incerto, certo è solo che il Robortello a’ 13 di febbraio e ai 6 di marzo del 1562 pubblicò un cartello di sfida contro il Sigonio, affiggendo alle pubbliche scuole due cedole, in una delle quali vantavasi di voler proporre un metodo del tutto nuovo per insegnare la lingua latina; nell'altra di voler trattare dell’ arte di scrivere dialoghi longe secus ac inepti et indocti quidam, quos refe Ile re non erit alienum a me, ut discant pasthac cautius scribere; parole, colle quali non [p. 1229 modifica]TERZO *239 v’era chi non vedesse ch’ei prendeva-di mira, benchè senza nominarlo, il Sigonio, che l’anno precedente stampato avea il suo libro De Dialogo: Rispose con un'altra cedola il Sigonio, replicò il Robortello; contrarispose il Sigonio (V. Si goti. Op. t. 6, p. 326, 341, ec.), e tacendo il Robortello, il Sigonio che a ciò era stato sfidato. produsse le onorevoli testimonianze con cui diversi uomini dottissimi aveano scritto in sua lode, e quelle poco onorevoli con cui altri aveano parlato del Robortello. Quindi lo assalì direttamente pubblicando in diverse riprese di tre giorni in tre giorni il primo libro della sua opera intitolala Disputatìones patavinne, nella quale combatte gli errori dal Robortello commessi ne’ suoi libri De vita et victu Populi romani. L'opera è certamente scritta con molta asprezza; ma finalmente il Sigonio non parla che del sapere e degli studi del Robortello, e nol taccia d’ignoranza e di presunzione. Questi al contrario volendo rispondere al Sigonio, pubblicò sotto il nome di Costanzo Carisio il libro intitolato Ephemerides patavinae., in cui non pago d’inveire contro al suo avversario in ciò che appartiene a lettere, villanamente e calunniosamente lo morde e riguardo alla nascita e riguardo a difetti del corpo e riguardo a’ costumi, cosa di cui il Sigonio non aveagli mai dato esempio. Ma il Robortello ebbe a pentirsi di avere in tal modo soffocato il suo sdegno; perciocchè il Sigonio col secondo libro delle sue Disputazioni tal gli fece risposta, che la più sanguinosa e la più eloquente filippica, dopo quelle di Cicerone, non si è mai forse veduta. [p. 1230 modifica]I23o * LIBRO Errò, è vero, il Sigonio, lasciandosi così trasportare, e errò ancora più gravemente, se è vero, come sembra, che opponesse al Robortello delitti non mai commessi. Ma finalmente, se può esser degno di scusa un tale errore, essa si dee conceder a quel del Sigonio, che non attaccò personalmente il Robortello, se non quando personalmente fu attaccato. Amendue queste opere furono per pubblico ordine tosto soppresse; e pare che ad amendue venisse imposto silenzio; poichè, dopo questo secondo libro, e l’uno e l’altro si tacquero. Tal fu ’esito di questa fiera ed ostinata contesa: e la sincera relazion che io ne ho fatta, basta a far conoscere chi fosse in essa l’assalitore e il più degno di biasimo. Benchè anche lasciando ciò in disparte, si leggan le opere del Sigonio e del Robortello, che non appartengono a tal contesa, che sono scritte ad animo tranquillo e placato; e si vedrà quanto fosse modesto il primo, cauto e riserbato nello scrivere, e pien di rispetto per gli uomini dotti; quanto altiero il secondo, e quanto facile a disprezzare gli altri. Lo stesso sig. Liruti, che fa ogni sforzo per difendere da questa taccia il Robortello, ce ne dà egli stesso in più occasioni le pruove. Al contrario, a provar che il Sigonio era uom superbo, e che molto presumeva del suo sapere, non può produrre che alcune lettere confidenziali scritte al Panvinio suo amicissimo, nelle quali loda le sue opere: lettere che non erano destinate alla pubblica luce, cui non hanno in fatti veduta che pochi anni addietro, e nelle quali si può perdonare, a chi [p. 1231 modifica]TERZO 1a3I scrive a un amico, qualche espressione che mal converrebbe a un libro che dovesse venire in pubblico. Per ciò che appartien finalmente al merito della causa, io non credo che faccia d’ uopo di gran parole per dimostrare, quanto superiore fosse il Sigonio al suo avversario. Era il Robortello uomo d' erudizione e d ingegno, e in alcune cose ei può aver colto in fallo il suo emulo, ma in confronto al Sigonio è un fanciullo al par di un gigante. Il tempo intorno a ciò ha deciso troppo chiaramente, perchè sia necessario il mostrarlo. Le opere del Robortello raro è che servano ora ad uso de’ dotti. Quelle del Sigonio si annoveran tuttora tra le più vantaggiose agli amatori dell' antichità e della storia. XVI. Or da questi primarii illustratori delle antichità, passando a coloro che qualche parte particolare presero a rischiararne, diamo principio dagli scrittori della mitologia, e di tutto ciò che appartiene al culto delle divinità favolose. L'opera del Boccaccio, da noi mentovata a suo luogo, era la miglior cosa che in questo genere fino a que tempi si fosse veduta. Ma che poteva allora farsi che fosse pregevole, mentre sì poco si conoscevano i monumenti dai’ quali raccoglier doveansi le più accertate notizie?. Il primo a porre la mano a sì difficil lavoro fu Giglio Gregorio Giraldi ferrarese, uno de’ più dotti uomini di questo secolo, di cui di fresco ha scritta la Vita il sig. Giannandrea Berotti (Mem. de Letter. ferrar, t. 1, p. 256), dalla quale trarremo le principali notizie, aggiugnendo ancor qualche cosa da lui forse non osservata. [p. 1232 modifica]1232 Ltuno Ei nacque da onesti genitori a 14 di giugno del 1479 Un certo Marco Vergnanino, Luca Riva da noi mentovato nel precedente volume, e Battista Guarino gli furon maestri; ed egli allo studio delle lingue greca e latina congiunse ancora quel delle leggi, com egli stesso afferma (Dialogism. 28). Era egli in povero stato; il che non ha rossore di confessare (ante Syntag. 4 de Diis). E perciò, compiuti gli studi, abbandonata Ferrara, ove forse non potè allora trovare in che occuparsi, andossene dapprima a Napoli, ove e col Pontano e col Sannazzaro e con altri di quei’ valorosi poeti, che ivi erano allora, contrasse amicizia; indi tornato in Lombardia, dopo un breve soggiorno alla Mirandola, ove fu amorevolmente accolto da Gianfrancesco Pico, passò a Carpi, forse all’ occasione che colà ritirossi il medesimo Gianfrancesco, quando da Ludovico suo fratello fu spogliato del dominio della Mirandola. Il suo talento e la sua erudizione lo rendette carissimo ad Alberto Pio. Ivi cel mostrano i suoi Dialoghi sulla Storia degli antichi Poeti, ne’ quali narra i discorsi da lui in Carpi tenuti insieme con Alberto e con altri; e dal principio del terzo di tai Dialoghi si raccoglie ch essi furono tenuti nel 1503, perciocchè dice che allora giunse la nuova della morte di Gioviano Pontano accaduta in quell’anno. Nel 1507 era in Mi! ano, donde egli inviò al già suo maestro Luca Riva la sua Dissertazion sulle Muse, ch’ei dice di aver composta in età ancor fanciullesca. Per qual occasione, e con chi facesse egli quel viaggio, non mi è avvenuto di rinvenirlo. [p. 1233 modifica]terzo ia33 Ma di quel soggiorno egli si valse per avanzarsi sempre meglio nello studio della lingua greca sotto il magistero, di Demetrio Calcondila. Un anno si trattenne in Milano, e di là passila Modena, ove Bianca Bentivoglio moglie del conte. Niccolò Rangone e madre del conte Guido e de’ molti illustri fratelli ch’ egli ebbe, da noi altrove lodati, il diè per maestro a un di essi, cioè ad Ercole che fu poi cardinale. Essendo questi verso il principio del pontificato di Leon X passato a Roma, vi andò egli pure non molto appresso; ed egli vi era, quando la madre del suo discepolo fu colà invitata da Leon X (De Poet. suor. temp. di al. i), eh’ era stato da lei nelle sue passate sventure assistito e beneficato, come a suo luogo si è detto. E certo fin dall’ottobre del 1514 abitava nel Vaticano, come ci mostran le parole con cui finisce la Vita dell’antico Ercole, indirizzata ad Angiolo Divizio: Romae: Ex Vaticanis Pontificis Max. ac dibus, mense Octobri mnxi ni. Pare che all’educazione del giovane suo allievo congiugnesse il Giraldi quella di altri giovani che a lui ne andavano per udirlo. Perciocchè il Vida nel libro primo della sua Poetica, quale si legge nel codice ms. del sig. Giuseppe Vernazza, da me indicato altre volte, così di lui fa menzione parlando a un giovane bramoso di ben istruirsi: I puer, atque fores Lili pulsare docentis Ne dubita, et vatis sacratum insistere limen. Excipiet facilis, teque admiretur ab annis, Spesque avidas ultro dictis accendat amicis. Il Vida ommise poi questi versi, quando stampò [p. 1234 modifica]1234 LIBRO la sua Poetica, (li clic altamante si offese il Giraldi. Ed ecco con ciò spiegati que' versi di questo poeta, che sono stati finora un enigma non ben inteso da alcuno, ov egli dice: Poscere non ausim Vidam, promittere quamvis Sit montes auri solitus; nam carmine nomen Ipse suo expunxit, nostroque a limite Vates Summovit teneros hunc qui succurrere credas? Carm. de Dirept. Urbis Op. t. l.p. |)ll Ed ecco insieme spiegata Yorigine del mal talento del Giraldi medesimo contro il Vida, di che altrove diremo. Lungo fu il soggiorno che fece in Roma il Giraldi, ove fu così accetto a’ tre pontefici LeonX, Adriano VI e Clemente VII, ch'ei non chiedeva loro cosa che non l'ottenesse, e credevasi, comunemente ch’ ei dovesse essere promosso a qualche cospicua dignità (ante Syntagm, 4 de Diis). Ma egli non ne trasse quel frutto che ne sperava, e non ebbe altra dignità che quella di protonotario apostolico. Non solo egli si duole di avere inutilmente consumati ivi i migliori suoi anni (ante Syntagm. 14 de Diis), ma di averne ancor riportata una ostinata e dolorosa podagra, che gli fu poscia di continuo tormento. Sembra però, che allo sconcerto della sua sanità desse egli stesso qualche colpevole occasione; e io lo raccolgo da una lettera di Celio Calcagnini a Gianfrancesco Pico, in cui scrivendo del Giraldi, Admonui etiam, dice (Op. p. 111), communi nomine, ut mores pestilentissimae Urbis caveret, et coeli insalubritatem declinaret, unde jam podagram et nephritim contraxit: quod nisi eum Deus aliquis benignus respiciat, periculum esse [p. 1235 modifica]TERZO 1235 rie multo gravius atteratur. Atque id feci libentius, quod Lilium ab ineunte aetate semper impense amaverim, et in eum omnia contulerim officia. Sed nescio quo modo, postquam at riunì illud X'irces adiit, alios induit mores, et a se prorsus descivit. Quare periculum est, ne cla~ memus in portu Turonaeo, atque ille obturatis auribus apud suas Sirenas potius, quam apud optimun Principem et cupidissimun amicum velit acquiescere. A’dolori da cui cominciò in Roma ad essere molestato, si aggiunsero le sventure del sacco dato a quella città nel 1527. L’infelice Giraldi fu in quella occasione spogliato d’ogni suo avere, e, ciò che sommamente gli spiacque, de’ suoi libri medesimi. A rendere maggiori le sue sventure si aggiunse la morte del Cardinal Rangone, seguita nell'anno medesimo; ed egli trovandosi senza protettore e senza denari, sen venne fra mille disagi a Bologna, ove sperava di trovar favorevole accoglimento presso al legato. Ma deluse le sue speranze (Carm, de Dirept Urbis Op. t. 2, p. 914)» ritirossi alla Mirandola, ove Gianfrancesco Pico amorevolmente il ricevette, e diede opportuno sollievo alle passate sciagure. Ma altre disgrazie ivi lo attendevano. Barbaramente trucidato il suo protettore nel 1533, il Giraldi ebbe in quell occasione a soffrire più ancora che nel sacco di Roma; e salvata a grande stento la vita, si rifugiò in Ferrara. L’amicizia di Giovanni Manardi e di Celio Calcagnini, e la protezione di cui l’onoravano la duchessa Renata ed altri principi della corte, e il favore di altri nobili ferraresi lo sollevarono [p. 1236 modifica]13 36 * LIBRO dall* estrema povertà a cui era condotto, in modo, che morendo lasciò un capitale di circa diecimila scudi, come vedremo. Gli ultimi anni della sua vita fu costretto dai’ dolori della podagra, fattisi sempre più atroci, a giacersi continuamente in letto. E nondimeno in quello stato medesimo non cessava mai di occuparsi studiando, e allora appunto compose egli quell’opera per cui dee qui aver luogo, cioè delle Divinità degli Antichi. Una lettera di Bartolomeo Ricci sembra accennarci ch’ei fosse annoverato tra suoi segretarii dal duca Ercole II (Riccii Op. t. 2, p. 172). Il Libanori, e dopo lui il Borsetti (Hist. Gymn. Ferr. t. 2, p. 139), lo annoverano tra’ professori dell’ università di Ferrara; del che però non trovasi nè indicio, ne pruova alcuna. Ma dovette finalmente soccombere alla violenza de’ suoi dolori, e finì di vivere, non nel 1550, come alcuni scrivono, ingannati dall' iscrizione ch'egli in quell anno vivendo fece porre al suo sepolcro, ma nel 1552, nel qual anno ne segna la morte anche il Tuano. Il sopraccitato Ricci descrive le disposizioni ch’ei diede morendo: Is in pecunia, quam multo grandi arem omnium expectatione reliquit, erat enim ad H. S. CCCC. Herculem Atestium Principem nostrum haeredem instituit, quam tamen in egenos, ut ei vide retur, postea divideret, cum tamen ispe ex sorore sua sex neptes egentissimas haberet, mox omnes locabiles, quibus singulis tantum legavit, quantum levidensem vestem vix efficeret; libros Jo. Baptistae Gyraldio propinquo suo ex altera parte, Prospero Pasetio ex altera reliquit, Epigrammatum [p. 1237 modifica]TERZO iijq vero libros complures, quos item Herculi Principi moriens commendavit (l. c. p. u'jS). X\ II. Quanto più frequenti e più gravi erano i dolori da’quali veniva travagliato il Giraldi, altrettanto più dobbiamo ammirare l’opera che in tal tempo appunto egli scrisse, cioè le XVII Dissertazioni, o, com egli le intitola, Sintagmi intorno agl Iddii. L’erudizione che in essa si vede, è vastissima, poichè appena vi ha autore greco o latino, de’ cui passi ei non si valga. Cita ancora talvolta i codici a penna, uè lascia di far uso delle antiche iscrizioni. Ei non è semplice compilatore degli altrui detti, ma gli esamina e li confronta tra loro, e or segue, or rigetta la loro opinione. Nè io dirò già, che sia questo un compito trattato di mitologia, e anzi confesserò volentieri che le citazioni troppo affollate lo rendono alquanto oscuro; che non ne è sempre esatta la critica, e che i monumenti poscia scoperti ne hanno additato e molte mancanze e molti errori. Ma chiunque si faccia a leggerlo, non potrà a meno di non confessare ch essendo stato il Giraldi il primo a trattare dottamente un sì vasto e sì intralciato argomento, ei lo ha fatto in maniera, che a ragione vien rimirato come uno de’ più dotti uomini del suo tempo. Allo stesso argomento appartengono il Trattato delle Muse, quel delle Navi degli antichi, quello della diversa maniera di seppellire, e la Vita di Ercole, e possono ancora qui riferirsi la spiegazione degli Enigmi degli antichi e quella de’ Simboli pittagorici, il Trattato degli Anni e de’ Mesi, aggiuntovi il Calendario greco e latino, e i xxx Dialogismi [p. 1238 modifica]I 2.38 libro ili diversi eruditi argomenti. Della Storia de’ Poeti antichi e moderni diremo altrove. Ne abbiamo ancora altre operette, come le due contro gl Ingrati, e il famoso Proginnasma contro le Lettere, in cui per giuoco, com ei medesimo si protesta, mostra quanto sien dannosi gli studi e ne reca ingegnosamente diverse pruove che con più vivace e più robusta eloquenza da un celebre filosofo dei nostri tempi sono state poi ripetute. Ei tradusse ancora di greco in latino l opuscolo di Simone d’Antiochia medico de Cibariorum facultate (V. ejus Op. p. 250). Ei fu finalmente colto ed elegante poeta latino, come ci mostrano le poesie aggiunte al fine delPaltre sue opere della bella edizione di Leyden dell’anno i0j)6. Innanzi ad essa si veggono le onorevoli testimonianze con cui tutti i più dotti scrittori parlano del Giraldi. Io non recherò che quella di Leandro Alberti: Dà nome a Ferrara, dic’egli (Italia, p. 313), Lilio Gregorio Giraldi di continuo scrivendo cose, o vero traducendole di Greco in Latino, per le quali dimostra di quanto ingegno sia. Credo, che pochi huomini (senza adulazione io dico) se ritrovano da uguagliare a lui nella cognizione tanto di Lettere Greche come Latine. Oltre di ciò è di tanta tenacità di memoria, che penso che quello haverà letto una volta sempre gli sia presente. Monsignor Fontanini! ne ha messa in qualche sospetto la religione a cagione delle lodi di cui egli onorò la duchessa Renata. Ma degna da leggersi è la bella difesa che ne ha fatta il suddetto dott Barotti (Difese degli Scritt ferrar, par. 2, c. 1). [p. 1239 modifica]TERZO 123l) XV IH. Opera di non minor mole sullo stesso argomento fu quella di Natal Conti intitolata M pthologiae, si ve Explicationis fabularum Libri X. L’ autore fu veneziano di patria, benchè nato per accidente in Milano, come osserva l’ eruditissimo Foscarini (Letterat venez. p. 284) (**)• Pochissimo è ciò che sappiam della vita da lui condotta. L’Argclati, che incidentemente ne parla, il dice professore di Padova (Bibl. Script, mecliol. t. 1, pars 1, p. io3o). Ma di lui non fanno menzione gli storici di quella università. Gli epigrammi di alcuni Milanesi che si trovano sparsi tra le opere di esso, e i nomi di altri eli’ egli nomina parimenti, c il dedicar eli’egli fa i suoi quattro libri delfAnno a Gabrio Panigarola giureconsulto milanese, mi persuadono che non solo ei nascesse, ma che mollo ancora ei (a) Il Tartarotti nella sua Censura manoscritta all’opera del Foscarini, di cui si è detto altrove, osserva assai bene che il Conti non fu veneziano, ma che solo, essendo, egli fanciullo, colà tiaspor tossi la sua famiglia da Milano, ove anticamente erasi trasferita da Roma. Perciocchè nella sua Storia, dopo aver lodata la cortesia de' Milanesi, soggiugne: Neque illud dico, quod nostri co migrar ini Roma antiqui tus, unde propter bella postea Venetias, cum essem parvulus, profugerunt, sed quia res docet ita esse (Histor. l. 9)). Debbo qui avvertire che, se il manoscritto del Tartarotti da me qui e altrove accennato si è conservato, e s’io ne ho avuta copia, la lode ne è dovuta singolarmente al sig. Francesco Saibante da Roveredo, il quale avendolo trovato tutto scritto in carte disordinate e volanti, e in più luoghi appena abbozzato, lo ha con somma diligenza unito e riordinato, come avrebbe làlto l?uulore, se ne avesse avuto agio. [p. 1240 modifica]I LIBRO vivesse in Milano, e vedremo in fatti a suo luogo, eh’ ei fu maestro del celebre F. Francesco Panigarola figliuolo del detto Gabrio, in casa del quale egli stava. L’ opera di mitologia da lui composta, benchè si stenda più ampiamente, perchè abbraccia ancora tutte le favole de’ poeti, non uguaglia però a mio credere l’ erudizione di quella del Giraldi. L’ autore si mostra molto versato nella lettura degli scrittori latini e greci, ma troppo si perde nel ricercare il senso allegorico e tropologico di ogni cosa. Ciò che mi sembra strano, si è ch’ ei non faccia giammai menzione del Giraldi, la cui opera uscì in luce la prima volta nel 1560. Quella del Conti, come avverte il Foscarini (l. c. p. 3yo >, fu pubblicata dapprima tra l 1561 e’l 1564, e dedicata al re di Francia Carlo IX. E in questa prima edizione non mi maraviglio ch’ ei non avesse veduta l’ opera del Giraldi. Un’ altra assai più ampia ne fece egli poscia nel i58o, c dedi colla a Giambatista Campeggi vescovo di Maiorica, e a questo tempo non so intendere com ei non ne avesse ancora avuta notizia. Certo è però, ch’ egli era uomo assai dotto, e che non aveva bisogno degli altrui lumi per comporre que’ libri. Del suo valore nel greco ei diede pruova colla traduzione in latino de’ Dipnosofisti di Ateneo, de' Libri rettorici di Ermogene, de’ Proginnasmi di Aftonio, dell’ Orazione di Demetrio Falereo intorno al modo di dire, e del libro delle Figure di Alessandro Sofista. Anzi egli coltivò ancora la poesia greca, e oltre qualche altro componimento, scrisse ancora un [p. 1241 modifica]TERZO I24l poemetto stille 24 ore del giorno, dedicato a Cosmo de’ Medici. Egli stesso lo tradusse poi in versi latini; perciocché anche della poesia latina dileltossi multo j e insieme colla traduzion mentovata furono stampati in Venezia nel 1550 quattro libri elegiaci dell'Anno, ossia de Fasti, un poemetto eroico in quattro libri intitolato Myrniiconìjoniachiu, ossia battaglia delle mosche colle formiche, due libri di elegie amorose, con alcune altre elegie. Di lui abbiam parimente un altro poema in quattro libri intorno alla caccia 5 e in tutte queste poesie scorgesi molta facilità, e una non infelice imitazione di Ovidio. Più grande opera fu quella della Storia de’suoi tempi, cioè dal 1546 fino al ch’egli scrisse, divisa in trenta libri, in lingua latina, e che fu stampata la prima volta in Venezia nel 1581 (Foscar. l. c p. 390) (a). Egli la corresse poscia, e la ritoccò più volle, e vi aggiunse tre librij e f esemplare da lui accresciuto venuto essendo (d) Natal Conti stampò dapprima la sola parte prima ilcll.i Stona de’ suoi tempi in latino, divisa in dieci libri, e pubblicata in Venezia da Giovanni Varisco nel 1^72, in*4, colla dedica dell’autore a D. Giovanni d'Austria figlio di Carlo V, segnata da Ravenna a’ 30 di giugno dell’anno stesso; della quale edizione ho veduta copia presso il dottissimo p maestro Vineem.o Passini dell’Ordine de’ Predicatori professore nell’università di Pisa pochi anni addietro defunto. In essa ei comincia dall fanno 1546, e giunge fino al 1557. A cui poscia venne dietro la seconda edizione più ampia del i5tti da me qui rammentata. Tirabosciii, Voi, XII. 6 [p. 1242 modifica]1 24a LIBRO alle mani ili Giancarlo Saraceno, questi ne fece una versione italiana, e la pubblicò, morto già è il Conti, nel 1589. Questa Storia però, benchè abbia essa pure i suoi pregi, nè per l’ eleganza dello stile, nè per l esattezza delle notizie non può stare a confronto di molte altre di questo secolo. Giovanni Fabricio attribuisce al Conti anche cinque libri scritti in latino de' Termini rettorici (Ili st. Bibl. Fabric. t. 6, p. 332), de’ quali io non ho altra notizia. Per ultimo ei recò dall’ italiana lingua nella latina l’ opera di Enea Vico delle Immagini delle Auguste. XIX. In altra maniera scrisse di questo ar■ gomento Alessandro Sardi ferrarese, la cui opera, intitolata Numinum et Heroum origines, è stata di fresco pubblicata in Roma nel 1775 per opera del cardinal Giambattista Riminaldi ferrarese, allora auditor della Ruota e prelato pieno di lodevole zelo per le letterarie glorie dell’ illustre sua patria. Essa è assai più compendiosa, e tessuta a foggia di tavole genealogiche, aggiuntavi una breve spiegazione. Quindi essa è più opportuna a provare la molta erudizione del Sardi, che a dare una compita idea della mitologia. E questo è comunemente il carattere di tutte le molte opere di questo scrittore. Era egli uomo laboriosissimo, e che di continuo occupavasi nel leggere, nell’osservare, nel raccogliere tutto ciò che apparteneva a qualunque sorta di scienza; ma per ciò appunto non rimaneagli tempo di dare alle sue opere quella giusta estensione che a renderle perfette si richiedeva. Quindi è che ne’ mss. di Alessandro, che abbiamo in gran [p. 1243 modifica]TERZO 1243 copia in questa biblioteca Estense, si veggono molte cose abbozzate e cominciate, ma poche lini te; e queste ancora scritte senza alcuna eleganza, alla quale non avea egli tempo di attendere. Ivi si trovano poesie italiane, lettere latine, orazioni, indici, osservazioni gramaticali, geografiche, storiche, scritturali, enciclopediche. Ei coltivò singolarmente la storia, e tra le sue opere mss. abbiamo cinque libri della Storia Estense dal x 47^3 al 1505, sette libri della Storia d’ Italia dal 1534 al *559 t quaranta libri di Storia antica universale, e altri di somigliante argomento, i quali sono però compilazioni anzi che storie. Di opere stampate, oltre la suddetta, abbiam solo quella De ritibus ac moribus Gentium, e due libri De Inventoribus rerum, che vanno aggiunti in alcune edizioni a que di Polidoro Virgilio, alcuni Discorsi italiani di diversi argomenti, stampati in Venezia nel i58(5, e qualche altra operetta. Il sig. abate Girolamo Ferri professor di eloquenza nell università di Ferrara ha premessa alla detta opera mitologica una esatta e diligente Vita del Sardi, ove ci dà un distinto ragguaglio di tutte l’ opere edite e inedite di questo indefesso scrittore. La vita però del Sardi fu quasi sempre privata, e occupata sol negli studi, e come il detto scrittore giustamente riflette, non si può pure pruovare ch ei fosse pubblico professore in Ferrara. Troviamo solo ch ei fu destinato a una visita de’ confini per qualche contesa insorta tra i Ferraresi e i Bolognesi. Egli era figlio di Gasparo Sardi, di cui direm tra gli storici, e lini [p. 1244 modifica]1244 LIBRO di vivere in Ferrara nel i588 (*). Una breve Mitologia abbiamo ancora di Marco Antonio Tritonio da Udine, scritta nel, e elio in alcune edizioni va aggiunta a quella del Conti. E qui debbonsi accennare per ultimo, per tacere di qualche altro, il libro di Giampaolo Lomazzo Della forma delle. Muse, stampato in Milano nel 1591, l’ Iconologia di Cesare Ripa, la cui prima edizione fu fatta in Roma nel 1593, e più altre assai accresciute ne son poscia venute appresso anche a dì nostri; e le Immagini degli Dei di Vincenzo Cartari reggiano, opera che fu dapprima dal suo autore pubblicata in Venezia nel i566(**), poi da lui stesso, e più ancora nel secolo susseguente da Lorenzo Pignoria ampliata e corretta. E alla mitologia giovò ancora la traduzione in versi sciolti fatta non felicemente dal Cartari medesimo de’ Fasti d Ovidio, stampata in Venezia nel 1551, a difesa e a spiegazione della quale ei pubblicò ivi poscia due anni appresso Il Flavio intorno a' Fasti Volgari, ove di molte cose ragiona appartenenti alle Divinità favolose; libro rarissimo, di cui ha copia questa biblioteca Estense. Di lui abbiala (*) Alessandro Sardi, come ci mostrano i monumenti di questo ducale archivio camerale, fu nominato coadiutore dell’archivio il primo di ottobre dell’ nnno 1J70, collo stipendio tli lire 3i, 4 marchesane n| mese; e in quell’impiego c collo stipendio medesimo continuò tiuo alla suu morte accaduta a’ 26 di marzo del i588. (**) La puma edizione delle Immagini degli Dei del Cartari fu (atta in Venezia nel i55fi, non nel i5t>6. Di lui veggasi la Biblioteca modenese (t. 1, p. 411 « f. b, jj. 5tì>. [p. 1245 modifica]TETlfcO 12/j5 finalmente un Compendio della Storia del Giovio, stampato in Venezia nel 1062. XX. Lo studio delle antiche medaglie) poco conosciuto in addietro, cominciò in questo secolo ad avere scrittori che il ridussero al metodo. e ne stabilirono i principii! e le leggi. Già abbiamo altrove parlato de molti musei che in questo secolo si radunarono in diverse città d’ Italia; ed essi furono di grande ajuto a coloro che primi scrissero di tale studio. Io non parlerò delle Immagini de’ XII primi Cesari tratte dalle medaglie, e aggiuntivi quanti rovesci si erano potuti trovare, pubblicate la prima volta in Venezia dal cavaliere Antonio Zantani veneziano nel 1548 (V. Fa scarini Lctter. eencz. p. 384)j poiché questo scrittore altro non ci diede che una raccolta semplice di medaglie, con una breve Vita de' Cesari; e lo stesso dee dirsi delle Immagini di tutti gl’Imperatori di Jacopo Strada mantovano (*), pubblicale (*) Alcune particolari notizie intorno a Jacopo Strada ci ofì're una lettera di Ottavio di lui figliuolo al duca Alfonso II, che si conserva in questo ducale archivio, e ch’ io riporto qui volentieri, anche perchè ci dà nuovi monumenti della munificenza e della premura degli L sten si nel favorire le lettere Havendomi da parte di V. Altezza Serenissima. presentato il Sig. /lo/io So scudi per conto de. un libro che presentai a V. A. S.f per la qual grazia humilmente ringrazio V. Altezza, et per memoria sua la gode rio, et se V. A. S desidererà l'altra parte, che appartiene alla prima, che presentai a V, A. S., in quel libro sono ancora 500 Imprese de' Principi II'tir.tri, V. A. S. comanderà al sig. Florio, ch'io gli consegnerò, acciò che V. A. S. habbia l opera tutte insieme. Non ho anche potuto mancare [p. 1246 modifica]1246 tlBllO la prima volta in Lione nel i553, del qual autore si ha ancora 1111’ opera più voluminosa dello stesso argomento in un codice a penna della biblioteca di Gota (Cypriani, Catal. Codd. mss. Bibl. goth. p. 83); e di quelle degli nomini illustri tratte dalle antiche medaglie, e pubblicate da Andrea Fulvio nel i 5i7 (a). 11 di avvisare V A. S. come mio Padre, che era Antiquario di S. M. C. et Servidor di V. A. è morto fra 20 giorni. Iddio già dia pace all anima sua, et ha fatto delle Opere, fra le quali è una Serie de li Imperadori Romani, insino al nostro Imperadore Rudolfo, descritta la loro Vita, con li loro Figliuoli, et designate le medaglie dentro de quelli che habbiamo potuto trovare, et in essa opera si troverà più di 200 Imperadori et Imperadrice, che mai gli altri Autori che sono stati posti, computando gli Tyranni che si hanno fatto chiamare Imperadori. Ha fatto fra le altre Opere sue un Arbore della Genealogia dell’ Origine della Casa de Austria, et ridotto in un libro della medesima grandezza, come quello che mandai a V. A. S. et ha poste le arme l'oro in tempo in tempo, come solevano portare con li ritratti loro et in chi sono stati maritati, cusì anche delle Donne, opera finita da lui due mesi avanti che morse, et da niun anchora vista. Se V. A. S. desiderar à di vederla, comandi qui al Sig. Florio, ch’ io gli consegnarò, et Vostra Altezza me userà piacendogli l’Opera della grazia che gli parerà, desiderando di servire a Vostra Altezza mentre ch’io viverò, et con questo humilmente gli bacio le mani. Di Praga li 26 Settembre 1588. Di V. A. S. Humilissimo. Servidore Ottavio di Strada Gentiluomo, della Casa Ces. (a) Andrea Fulvio fu di patria prenestino, e scolaro di Pomponio Leto, e stimato perciò e lodato da molti [p. 1247 modifica]TFIÌZO,247 primo a illustrare questo argomento fu Enea Vico parmigiano di nascita (*)* ma che parte della sua vita passò in Venezia, e parte al servigio di altri principi; perciocché hrancesco Edovari dn Erba nel suo Compendio storico mss. di Parma dice eh’ ei fu intagliatore di stampe di rame e di bronzo, e che fu con ottimo stipendio trattenuto da Carlo V, da Cosimo de’ Medici e da Ercole li duca di Ferrara (il che si conferma ancora da una lettera inedita, di cui ho copia, da lui scritta a don scrittori di que’ tempi. Ei fu ancora felice coltivatore della latina poesia, e molti componimenti se ne hanno alle stampe, pubblicati separatamente in diversi anni dal 1510 fino al 1527, nel qual ultimo anno ancora ei pubblicò la sua opera in cinque libri sulle Antichità di Roma. (*) Il sig. abate Lampillas (Saggio, par. 2, t. 2, p.) mi avverte che Enea Vico non fu il primo ad illustrare le antiche medaglie, perciocché Gio. Andrea Strany valenzano fin dal 1527 le avea illustrate. Egli mi perdonerà, io spero, se non ho avuto notizia di un’opera che è citata nella Biblioteca valenzana, libro certamente da me non veduto. Converrebbe però vedere di qual pregio sia quel libro. Certo se l autore ha scritto, come si legge presso l'abate Lampillas, Veterarum Inscriptionum, non possiam formare un’idea molto vantaggiosa. Ma questo sarà probabilmente un errore di stampa. In questo ducale archivio conservansi molti abbozzi di opere intorno alle antichità romane cominciata dal Vico, ma non finite; e gli abbozzi medesimi sono sì intralciati e confusi, che troppo difficil cosa sarebbe il raccoglierne qualche parte compita; che vi ha ancora una lettera del medesimo Vico al duca Alfonso II, scritta da Ferrara a’ 23 di settembre del 1565, intorno alla compra di certe antichità ch’egli stava contrattando in nome del duca. [p. 1248 modifica]12^8 LtBRO Cesare Gonzaga signor di Guastalla da Ferrara a’ 12 di gennaio del 1564); ch’ ei fu desiderato ancora da Massimiliano II, e che morendo in Ferrara, fra le sue cose, lasciò disegnate in rame tutte le monete d’ Europa col loro peso, lega e valore. Fra i principi che si valser dell’ opera e del sapere del Vico, deesi anche annoverare Alberto V duca di Baviera, perciocchè, come ha osservato l’ eruditissimo e coltissimo sig. Gianluigi Bianconi, nella corte di Monaco si conserva tuttora un elegante descrizione da esso fatta delle medaglie da quel duca raccolte in due tomi (Lettere al M. Fil. Ercolani p. 46). Nel 1555 pubblicò il Vico in Venezia i Discorsi sopra le Medaglie degli Antichi, da lui dedicati al duca Cosimo I, ed ei si vanta a ragione di essere stato il primo a scrivere in lingua italiana su tal argomento anzi poteva aggiugnere che niuno aveane scritto finora in qualunque lingua. L’ erudizione d' Enea in questo genere è anche più ammirabile, perciocchè, com egli stesso confessa, l’ arte propria di lui era il disegno, e l intagliare in rame. Ei pubblicò poscia ancora le Immagini delle Donne Auguste in lingua italiana, e nella latina quelle de’ Cesari, aggiugnendo a ciascheduna la loro Vita, e la spiegazion dei’ rovesci delle loro medaglie (a). In questa parte però, cioè (rt) Circa il tempo medesimo in cui il Vico andava illustrando le antiche medaglie, Alessandro Bassano il giovane, ad istanza del Bembo, prese in Padova a rischiarare quelle de XII Cesari, spiegandone con molta erudizione i rovesci in lingua latina; della qual opera conservasi manoscritta la prima parte presso il chiarissimo [p. 1249 modifica]TERZO,249 nella spiegazion de rovesci, fu egli superato da Bastiano Erizzo patrizio veneziano. Quattro anni dopo'il Vico, cioè nel 1559), l Erizzo ivi diede in luce il Discorso sopra le medaglie degli Antichi con la particolar dichiarazione di molti riversi, opera più ampia e più metodica ancora di.quella del Vico, con cui la scienza delle medaglie fu veramente ridotta a certi e determinati principii, e che è pregiata singolarmente per la molta erudizione con cui egli prese a spiegarne i rovesci. In amendue queste opere si trovano, è vero, errori; ma quale scienza è mai divenuta ne suoi primi tentativi perfetta? Ciò che reca meraviglia, si è ch essendo e il Vico e l Erizzo allo stesso tempo in Venezia, esercitandosi nei medesimi studi, e avendo amendue una ricca collezione di medaglie, l uno non si vegga mai citato dall altro. Ma ciò fu effetto probabilmente di una cotal gelosia che tra’ professori della medesima scienza si suol talvolta destare; e molto più ch essi erano in alcune opinioni tra loro discordi; perciocchè il Vico pensava che le antiche medaglie fosser le stesse che le antiche monete; l Erizzo al contrario credeva che l une dall'altre si distinguessero; nel sig. abate Giuseppe Gennari. Questi avverte (Saggio stor. sopra le stccad. di Pad. § i) che A lessnndro uvea appreso ad amare l’antichità da Annibale suo avolo, da Alessandro il vecchio suo prozio, c da Livio suo padre, che nella lor casa detta volgarmente degli Specchi molte antiche iscrizioni greche e romane avtnno raccolte. Di Alessandro il giovane parla anche d conte Maizucchelli (Sciiti, iteti. I. a, par. i, p. 522). [p. 1250 modifica]ia5o LtBRO che gli eruditi antiquarii hanno comunemente accordata al Vico la vittoria. L’ Ei izzo "è anche autore di alcuni Avvertimenti morali pubblicati in Venezia nel 1567 sotto il titolo di Sette Giornate, di un Trattato volgare di logica intitolato Dello strumento e della via inventrice degli Antichi, da lui indirizzato a Bassiano Landi stato già suo maestro in Padova, di una traduzione italiana de’Dialoghi di Platone, di una Sposizione sulle tre Canzoni del Petrarca, dette le tre sorelle, e di un discorso De Governi civili, oltre alcune lettere italiane inserite in qualche raccolta (Lettere di 13 uom, ill. Ven. 1565, p. 620, ec.). XXI. L'anno medesimo in cui uscì alla luce l’opera dell’Erizzo, cioè nel 1559), un’altra dello stesso argomento ne uscì in Lione, cioè quella di Costanzo Landi piacentino conte di Compiano, intitolata Selectiorum Numismatum praecipue Romanorum expositiones, la quale, benchè non sia scevra d’errori, è nondimeno pregevole assai, ed è stata creduta degna di una nuova e bellissima edizione che ne è stata fatta in Leyden nel 169.5. Invano io ho cercato scrittore che di questo dotto antiquario ci desse qualche notizia. Tutti o il passan sotto silenzio, o appena ne accennano il nome. A questo difetto supplirà, come speriamo, felicemente il ch. signor proposto Poggiali, che dopo.averci data una compita ed esatta Storia di Piacenza sua patria, ne sta ora formando la Biblioteca degli Scrittori (a). Noi frattanto ne andremo (a) Egli ha di fatto secondati i miei voti, che nel tomo [p. 1251 modifica]TERZO I 251 sponendo in breve quelle poche notizie che ci è avvenuto a rinvenirne. Egli ebbe a suo maestro in Piacenza Benedetto Labadino, che fu professore di molta fama, e a cui perciò molte egli indirizza delle giovanili sue poesie. E in quei primi studi fece sì felice progresso, che in età di dodici anni compose una non inelegante elegia, la qual leggesi tra le accennate poesie (Lul. Pueril. p. 22) (*). Da Piacenza passò a Bologna, ove si diede a scolaro al celebre Romolo Amnseo, come raccogliamo da un’ altra elegia eli’ egli inviò a questo suo amato maestro (ih. p. 5). Da Bologna si trasferì a Ferrara a continuarvi i suoi studi j e ciò dovette accadere tra il ¡53^ e '1 1 f>4 < > ne’ serondo delle sue Memorie per la Storia letteraria di Piacenza (p.?.3o) ha ron somma esattezza ragionato di questo valoroso scrittore; e oltre alcune più minute circostanze spettanti alla vita e alle opere di esso, lui anche prima d’ogni altro osservalo ch’ei morì u’2? di luglio del i564 in età di soli quarantatre anni compiti. (*) Oltre le Poesie del conte. Costanzo I.andi, stampate in Firenze nel 1549), deesi accennare un codice manoscritto che se ne conserva nella real biblioteca di Parma, di cui mi ha data notizia il ch. P. Ireneo A 07* bibliotecario della medesima. Esso ci mostra che nel i 54> era il Landi in Bologna, prima di andare a Roma col co. Paolo Scotti, perciocchè la lettera, con cui le offre a un certo Agostino, il cui cognome è cancellato nel codice, è segnala Bono ni ac Sexfo idus Febrtiarii 15^5. Tra queste poesie alcune sono inedite, e due singolarmente son (degne di'osservazione, perciocchè sono scritte, una a Girolamo Visconti, Poltra ad Ippolita Malaspina marchesana di Scaldasole, all’occasione che per non so quale ordine del marchese del Vasto ei dovette lasciare l università di Pavia: cum edicto Marchionis ì aiti a Ti cinemi A endemia dùcessurus esse/. [p. 1252 modifica]1253 LIBRO quali anni lesse l’Alciati in Bologna; perciocchè egli racconta (Exercitat. sparsim content. p. 26) che il desiderio di’ udire quell' uom sì famoso, gli fece intraprendere a bella posta un viaggio da Ferrara a Bologna; e forse egli andossene poscia coll Alciati a Pavia nel e tornò con lui a Ferrara nel i5.j3, e con lui di nuovo a Pavia nel 1547- frattempo, cioè nel 1545, viaggiò a Roma col conte. Paolo Scotti, del qual viaggio fa menzione più volte, rammentando gli antichi monumenti ivi osservati (Select. Numism. p. 93. 113, edit. Lugd. Bat. 1695). Nel 1546 era di nuovo in Ferrara, e ivi in quell’anno in età ancora tenera stampò le sue giovanili poesie latine col titolo Lucii Cornelii Contantii Landi Comitis Piacenti ni Lusuum puerili uni Libelli is. Ejusdem rei Rusticae laudes ad Octavium Puteum. Ejusdem lacrymae ad Hieronymum Mentuatum. Tornato indi a Pavia, in questa città compose i suoi Opuscoli legali, i quali ei dice di avere scritti, mentre abitava nella torre, in cui dicesi che fosse prigione Boezio (Enarrat. l. p. 27), ed essi furono poi stampati in Piacenza nel 1549 col! titolo: Ad Tit. Pandectarum de. justitia et Jure Enarrationum liber, ec. con alcuni altri opuscoli da lui intitolati Esercitazioni e Enarrazioni. Il desiderio di studiare la filosofia, condusselo a Padova, ov ei doveva essere nel 1551; perciocchè egli dice (Select. Numism. p. 122) di avere in quella città udita la morte di Alfonso Maianti ferrarese, giovane di raro ingegno, di cui era stato condiscepolo in Ferrara; e soggiugne che molte lettere e molti versi [p. 1253 modifica]TERZO 12.53 eleganti aveagli il Maianti inviati, ch’ei pensava di pubblicarne un orazione da Alfonso detta in Ferrara, e produce frattanto un Epigramma da sè composto nella morte di questo suo caro amico, e un altro di Giglio Gregorio Giraldi. Or il Maianti, secondo il Borsetti (Hist. Gymn. Ferr. t. 2, p. 372), morì in Ferrara nel i5:>i nella giovanile età di soli vent1 anni. Narra egli ancora di avere veduta in Padova la celebre Tavola Isiaca del Cardinal Bembo, mostratagli da Torquato di lui figliuolo insieme con altre pregevoli antichità. Sceptri autem... adhuc ex tot sibilimi in vencrandae vetusta lis aenea tabula Petri Bembi cardinalis quam superioribus annis, cum Patavii agerem studiorum philosophicorum caussa, ostendit mihi simul et Federico Granvellae adolescenti literato ac nobilissimo Torquatus Bembus Petri filius, cum alia multa antiquitatis signa ac opera, praecipue libros Virgilium, et Petrarcham, manuscriptos nobis adiiTtrarilibus idem benignissime videnda permisisset (Select Numism. p. 11). Ebbe a suo maestro nella filosofia il celebre Marcantonio Genova (ib. p. i5o)} e soleva ivi ancora frequentar molto la casa di Guido Panciroli, dalla cui ei udizione traeva molto vantaggio (ib.p.i4ì))j e quella di Tiberio Deciano professore di legge, presso cui era un copioso museo di antiche medaglie (ib. p. 88). Tornossene poscia di nuovo a Pavia, ove dice di avere abitalo fanno i556 nella casa medesima con Niccolò Visconti nobile giovane milanese (p. 101). Per gratitudine al suo maestro Andrea Alciati, ivi morto nel 1550, egli scrisse una lunga ed [p. 1254 modifica]I 254 LIBRO erudita dichiarazione del sepolcro ornato di geroglifici ad esso innalzato in Pavia 5 e pensava di pubblicarla (p. 30). Ma ella è rimasta inedita, e l'Argelati ne indica un testo a penna nella biblioteca de’ fratelli marchesi Visconti (lì ibi. Script mediol, t. 1, pars 2, p. Lo studio della filosofia fu però quello in cui più occupossi, ancora (quando già compiuto avea l'ordinario corso degli studi ed egli in esso si esercitava ancor quando pubblicò il suo libro sulle antiche medaglie: Nos enim, dic egli (p 74)> z/i Pìiilosophiae studi is, et pene in mediis lectionibus hujus anni, (quae ad Physica, pertinent, occupati ac de tenti, hoc qualecumque, lector opti me, munusculum donamus. In fatti la lettera dedicatoria, con cui egli offre la sua opera a Bernardo Bergonzi governator di Piacenza, è segnata in Pavia a’ 26 di maggio del i559, e essa ei loda il Bergonzi pel ricco museo che avea di ogni genere d’ antichità, per la copiosa biblioteca di libri d’ ogni maniera, pel coltivare ch’ egli facea anche in mezzo a’ gravissimi affari lo studio dell’ amena letteratura, scrivendo orazioni ed epigrammi, e per le virtù rarissime di cui era adorno. Molte città d’Italia visitò egli affin di osservarvi le antichità, e nomina singolarmente Milano e Como (p. 157). Queste sono le circostanze della vita del Landi, ch’io ho potute raccogliere. L'opera da lui pubblicata, come da principio ho detto, è pregevole assai, e più pregevole ancor la rende la singolare modestia con cui egli propone le sue congetture e le sue spiegazioni, la quale più facilmente gli dee ottenere il perdono [p. 1255 modifica]terzo ia55 de’ falli ne’ quali è caduto. Due lettere abbiamo di Annibal Caro a lui scritte nel 1557 e nel i5:>8, nella seconda delle quali parla dell’ opera che il conte Costanzo dovea pubblicare (Lettere, t 3, lett. 65, 66). Del valore del Landi nel poetare fa menzione Giglio Giraldi, che di lui e del conte Federico Scotti fa questo bell’elogio: Fri de rie us Scotùis et Contantius Landus Comites Placentini omnem suam pueritiam et adolescentiam in humanitatis studiis ac maxime in Poetica exercuere, quod eoruni testati tur cannimi edita, itemque orationes, sed mox ambo, cum discipuli magni A le iati cssent, se ad studia legum et juris peritiam converterunt, non ut forenses causas ut Leguleii actitarent, vel jus dicerent; sed ut elegantiam et doctrinam veterum in primis Juresconsultorum adnotarent et admirarentum, id quod eorum quaedam adnota menta, quae mihi ali quando estendere, facile declarant Vivunt, et quotidie in bonis literis versantur, praeceptorem Alciatum aemulantes (De Poet. suor. temp. dial. 2). Se ne ha ancora alle stampe una lettera sopra un’impresa di un pino con un’ altra al conte. Teodoro Sangiorgio pubblicate in Milano nel 1560, e alcune Rime (Quadrio, t 2, p. 364)- 11 Quadrio sospetta ancora che sia opera del conte. Costanzo il Libro primo dell’Arte poetica, stampato in Piacenza nel 1 f>4f) senza nome d’autore, ma da lui medesimo dedicato a Lodovico Domcnichi. XXII. A questi scrittori di antichità numismatiche dovrebbesi aggiugnere Fulvio Orsini, dal cui Museo si ebbero nel *5']'/ le famiglie [p. 1256 modifica]\ 1256 libro romane mentovate nelle antiche medaglie. Ma di lui già abbiamo altrove parlato. Un’altra opera assai pregevole avrebbe veduta l'Italia circa la metà di quel secolo, se l’autore da troppa immatura morte non fosse stato rapito. Parlo del Cardinal Bernardino Maffei, nato il Roma nel 1514 * ma oriondo da Verona (a) t a cui perciò scrivendo Francesco della Torre, Voi, gli dice (Lett volg. Ven. 1548, p. 34), come quello che trahendo origine di qui, si può dire che siate mezzo Veronese. In Roma e poi in Padova attese agli studi, come afferma Pierio Valeriano, a lui dedicando il libro xiv de’ suoi Geroglifici, de’ quali i due libri seguenti dedicò ad Achille e a Mario di lui fratello. Fin da quando egli andossene a Padova, Girolamo Negri scrivendo a Benedetto Lampridio, e raccomandandogli il Maffei, lo dice giovane di grande speranza e di egregi costumi (Negri Orat et Epist. p. 14 ed. Rom. 1767)} e maggiori lodi ancora ne fa in un' altra lettera scritta allo stesso Maffei, poichè fu giunto in Padova (ib. p. 18). E fu canonico in Verona (Maffei, Ver. illustr. par. 2, p. 277), e poscia della Vaticana in Roma, segretario del Cardinal Alessandro Farnese, e vescovo prima di Massa in Toscana, poi di Chieti, e onorato per ultimo della porpora da Paolo III nel 1549, benchè in età di (n) Non mancano peri» parecchi scrittori indicati dativali. Sciassi nella sua Yrita del tJ. Giampietro Malfei gesuita, i quali l'anno il Cardinal Maflei oriondo da Bergamo. Ma la testimonianza di Francesco dalla Torre ini sembra di maggior peso che quella degli acceuuati scrittori. [p. 1257 modifica]TERZO 1257 soli trentacinque anni. Pochi furono a quei’ tempi, che nella eleganza dello scriver latino e nella erudizione a lui si potessero paragonare. Alcune poche lettere, che qua e là se ne leggono sparse (iVigri Ornt. Epist p. 17; Pale ani Epist. L 1, ep. 18 l. 4 ep 24 Cl Viror. Epist. Ven. 1568, p. 76; Cl. Viror. Epist. ad Victor, l. 1, p. 81), sono scritte in uno stile coltissimo, che ci fanno soffrire con dispiacere la perdita di più altre opere ch’egli stava scrivendo. Tra esse dobbiamo dolerci principalmente che siasi smarrita una Storia ch’ egli avea composta, tratta tutta dalle antiche medaglie, delle quali avea egli in sua casa gran copia. Ne dobbiam la notizia ad Aonio Paleario, che scrivendo a Fausto Bellanti, di quest'opera e dell'autore di essa fa questo magnifico elogio (l. 3, ep. 7): Maffaeus noster ita a molestiis conatur (me) abducere, ut ace.rbitutem, quam ex signifìcatione rerum indignissimarum accepi, melius feram.... Homo omnium officiosissimus nihil eorum prae ferii, qua e vel consolationem adferre, vel adjumento esse possent. Et quoniam ab initio aetatis me iis s Utdiis fuisse se deditum memoria tenet, quibus ipse magnam gloriam est consecutus, historiam quamdam et illustrem explicationem rerum, quam ex notis nurnismatìim antiqui ss imorum collegi t, mi hi recitai; et quia puris et electis verbis composita est, numerosa et multiplex, ira me de leda t, ut saepe ad multam noctem lectionem producamus. Fructus vero, quem ex liberalitate hujus viri capio, is est am pii ssìrnus, quod nihil omnino se habere putat, quod non sii menni. Numismata mi/li donavit; Tirauoscui, Voi XIf. 7 [p. 1258 modifica]ia58 libro pccuniam, libros, liberalissime omnia pollice tur. Avea egli ancora scritta la Vita di Paolo III, di cui fa menzione in una sua lettera Bartolommeo Ricci (Op. t. 2, p. 316) che a lui scrive alcune lettere (ib. p. 298, 303), e altrove ancora ne parla con lode (De Imitat. l. 2). Abbiamo ancora una lettera a lui scritta da Pier Vettori (P. Victor. Epist p. 42), da cui ben si raccoglie in quanta stima lo avesse. Ma questo ottimo cardinale, degno di lunghissima vita, finì di vivere in età di soli quarant anni a’ 17 di luglio del 1553. La morte ne fu compianta da tutti i dotti, e da Paolo Manuzio singolarmente, che in due lettere spiega il gran danno che ne avevan ricevuto gli studi (Lett volg. p. 56, 57), e innanzi al suo Comento dell orazione in favore di Sestio così di esso ragiona: Bernardinus Maffaeus Cardinalis, meus ille in omni niihi vira deflendus Maffaeus, Urbis deliciae, lepor, humanitas, exemplum antiqui officii, flos omnium virturum; is amabat haec studia mirifice, eaque qui bus poterai rebus (poterat autem pluribus) tuehatur et fovebat... et scribebat ipse, ut scis, luculenter et egregie. Le quali ultime parole han forse data occasione ad alcuni di credere che il cardinale avesse scritti Comenti sulle Orazioni di Cicerone. XXIII. Mentre questi dotti scrittori illustravano per tal maniera le antiche medaglie, altri ad altre parti delle antichità romane e greche volgevano i loro studi. I Fasti consolari scoperti in Roma diedero occasione alle fatiche di molti dotti scrittori. Bartolommeo Marliani milanese fu il primo a farne parte al pubblico in Roma [p. 1259 modifica]TERZO 1259 nel 1549j gli illustrò poscia con ampii Comenti, e descrisse ancora l’antica topografia di Roma con altre dissertazioni su diversi puuti il * antichità (V. Argel. Script, mediol, t. 2, pars 1, p. 863). Sui Fasti medesimi scrissero indi il Sigonio, il Robortello, il Pan vili io, de1 quali si è già parlato. Abbiam parimente già detto altrove delle molte e dotte opere con cui rischiararono molti punti delle romane antichità i due Manuzii, Paolo e Aldo il giovane, e Fulvio Orsini. Lodovico Contarini dell’Ordine de Crociferi, che fu poi soppresso, diè alla luce in Roma nel 1569 una Descrizione dell Antichità, Sito, Chiese, ec. di Roma. Guido Panciroli scrisse egli ancora del Sito di Roma antica, e di altre cose di somigliante argomento 5 e altri Libri di tali materie, cui non giova il rammentare distintamente, si pubblicarono in quell universale entusiasmo che allora ardeva per lo scoprimento de’ monumenti antichi. Qui ancora appartengono le opere di Francesco degli Albertini sacerdote fiorentino, che sin dal 1510 divolgò i suoi tre libri De Mirabilibus novae et veteris urbis Romae, oltre altre opere, di cui fu autore (V. Mazzucch. Scritt. ital. t 1, p. 321)5 c quella di Andrea Fulvio, che due libri in versi latini diede alle stampe nel 1513 De urbis Romae Antiquitatibus, ed ei medesimo poscia li ridusse in prosa; i quattro libri delle Antichità di Roma di Bernardo Gumucci da S. Geminiano, e i discorsi su gli antichi edificii della stessa città del Serlio, e di altri illustri architetti da noi mentovati al suo luogo; i cinque libri De Antiquitatibus urbis Romae [p. 1260 modifica]1 u6t> LIBRO di Lucio Fauno stampati in Venezia nel 1549, col Compendio di Roma antica del medesimo ivi parimente stampato nel 1552; e il libro delle Antichità di Roma di Lucio Mauro, aggiuntavi la descrizion delle statue l'alta da Ulisse Aldrovandi. A questo luogo possiamo ancora rammentare l’ opera di Francesco Mario Grapaldi De parti bus Aediumf in cui alla occasion di spiegare i nomi con cui gli antichi indicavano le diverse parti della casa, parla ancora di tutte le cose che in essa poteano custodirsi, sicchè vi entrano ancora gli uccelli, i pesci, le fiere e qualunque altra cosa che esista: opera per altro assai erudita, le cui molte edizioni che ne furon fatte in quel secolo, dopo la prima del 151*7 (*), pruovan l’applauso con cui fu accolta. Parla del Grapaldi con lode, come di uomo erudito, Giglio Gregorio Giraldi; e i (*) La prima edizione dell'opera del Grapaldi De partibtis Aedi uni non fu nel 1517, com’ io ho affermato, ma nel 1493, fatta da Angiolo Ugoletto, perciocchè lo stesso Grapaldi nella prefazione alla seconda più ampia edizione, fatta nel 1501, ricorda quella pubblicata sette anni innanzi. La terza fu fatta in Parma nel 1506, indi in Argentina nel 1508, e morto poscia il Grapaldi nel 1515 fu pubblicata per la quinta volta in Parma nel 1516, aggiuntovi un altro libro del Grapaldi, che ha per titolo De verborum explanatione, quae in libro de partibus aedium continentur, e la Vita dell’autore scritta da Giannandrea Albio; che fu riprodotta poscia di nuovo in Venezia nel 1517, e indi anche in Parigi e in Torino. Di queste notizie io son debitore alla gentilezza e all erudizione del ch. P. Ireneo Affò tante volte da me lodato, il quale di quest’ opera e del suo autore ci ha poi date assai più copiose notizie (Mem. d'ill. Parmig. t. 3, p. 125, ec.). [p. 1261 modifica]terzo 1261 diro di'pi fu ancora coronato poeta ai tempi di Giulio II, ma che ciò non ostante le poesie non n erano molto pregevoli (De Poet. suor, temp.). La coronazion del Grapaldi confermasi da Angelo Maria Edovari. da Erba, che nel suo Compendio storico ms. di Parma ci ha lasciato di lui questo elogio: Francesco Maria de Grapaldi Cittadino Patrizio Grammatico ed Umanista dottissimo, e di Lettere Greche c Latine eruditissimo, quale scrisse Latino in prosa due libri delle parti della casa, opera da altri non più innanzi scritta, et un libro dell esplicazione e dichiarazione de verbi Latini oscuri, certi scolii sopra la Commedia di Plauto, e sette salmi di Penitenza ad imitazione di Davide, e cantò in versi alcune selve della dedizione della patria a Santa Chiesa, et un libro di rime diverse vulgari molto elegante, e finalmente essendo in Roma Ambasciadore per la patria recitò in versi volgari tanta leggiadria e dolcezza improvviso un Sonetto innanzi a Papa Giulio II, che da lui meritò non solamente la corona laureola, ma di essere ancora insignito di cavaglieresca dignità. Nè solo gli antichi edificii di Roma, ma furono anche ricercate studiosamente le leggi e i costumi della Repubblica. Oltre quelli de’ quali si è già favellato, Francesco Patrizii trattò della milizia romana ne’ suoi Paralleli militari, opera assai erudita ed ingegnosa, se qui ancora, come in quasi tutte le altre, non si lasciasse l'autore travolgere dal genio di cose nuove. Libro più breve, ma all’ intelligenza della milizia romana più vantaggioso, è quello del P. Giannantonio [p. 1262 modifica]■ 1262 libro Valtrini romano della Compagnia di Gesù, stampato la prima volta in Colonia nel 1597 in cui con ottimo ordine e con eleganza di stile espone tutto ciò che a questo argomento appartiene. Giulio Barbarano nobile vicentino, oltre l' avere illustrati gli antichi monumenti della sua patria, pubblicò ancora in Venezia nel 1567 un libro, in cui molti punti di Antichità va esaminando, intitolato Promptuarium rerum quamplurimarum praesertim in re romana. Un altro \ icenlino, cioè Leonardo Porzio, ossia da Porto, verso il tempo medesimo in cui il Budeo scriveva il suo trattato de Asse, scrisse e di volgo il suo libro de re pecuniaria Antiquorum, de ponderibus ac mensuris, il qual fu trovato sì conforme a quel del Budeo, che nacque sospetto che un de due si fosse usurpate le fatiche dell altro. Di questa notizia siam debitori ad Erasmo, che scrivendo nel 1527 al Budeo, così gli dice: Orta est nova quaestio, cui locum dedit Libellus Leonardi Partii, opinar, cujusdam Vicentini de Ponderibus ac mensuris, adeo consentiens cum asse tuo, ut nemo dubitet, quim alteruter altcrum compilarit (Epist. t. 1, ep. 875). Il Marzari racconta (Stor, di Vic. l. 2, p. 164) che Leonardo da Carlo V e dal doge di Venezia fu creato cavaliere, e che in Roma, in Venezia, in Allemagna ed altrove ebbe occasione di far conoscere il suo valore e il suo sapere. Del Trattato degli Obelischi di Michele Mercati si è già fatta menzione altrove, quando di lui abbiam ragionato tra gli scrittori di storia naturale. [p. 1263 modifica]TERZO 1263 XXIV. Io ho accennati tutti questi scrittori d’antichità, a’ quali molti altri potrebbonsi aggiugnere, per dare idea del fervore con cui gl I laliani di questo secolo erano a tale studio rivolti. Ma di alcuni altri vuolsi parlare con maggior distinzione, a cagione della fama di cui gode tuttora il lor nome. E sia il primo Celio Calcagnini, nelle cui opere l'antichità ha gran parte. Egli ebbe a suo avolo quel Francesco Calcagnini mantovano, primo segretario di Gianfrancesco Gonzaga marchese di Mantova, che, trasportata poscia la sua famiglia a Ferrara, fu ivi accettissimo al duca Borso, e di cui fa un grande elogio Francesco Prendilacqua scrittor di quel tempo (Vita Victorini Feltr. p. 28). Di Francesco nacquero Teofilo, da cui fu la famiglia continuata, e Calcagnino (V. Borsetti, Defens. advers. Jac. Guarin. p. 61), e di questo secondo fu figlio Celio, nato a’ 17 di settembre del 1479. Il Giovio dice ch’ ei nacque honestissimo patre, sed incerta matre (in E log), e ciò confermasi da Ortensio Landi, il quale parlando nei suoi Paradossi degli’illeciti congiungimenti, dice: Non ci dettero anche un Celio Calcagnino huomo et per civiltà di costumi, et per profonda intelligenza di tutte le gravi discipline singolare ornamento et splendore della Città di Ferrara (l. 2, parad. 18)? In fatti il padre di Celio era protonotario apostolico, e Celio in onor di esso ancora vivente scrisse un’orazione in cui, benchè nol dica suo padre, confessa però di dovere a lui ogni cosa (Op.p. 652, ec.). Ei fu nondimeno riconosciuto dalla famiglia, e ne fan fede le molte lettere da lui scritte a Tommaso [p. 1264 modifica]1264 libro fìgliuol del conte Teolilo, e perciò suo nipote, che ebbe in moglie una sorella del conte Guido Rangone. L’eruditissimo dott Barotti che di fresco ci ha dato un lungo ed esatto elogio del Caleagnini (Meni, dili. Ferrar, t. 1, p. 231), benchè rigetti alcune cose intorno ad esso narrate dal Giovio, dell’illegittimità della nascita non fa parola; e sembra con ciò confermarla. Ma ei vuole che il padre di Celio non fosse quel Calcagnino protonotario da me nominato, ma un altro da lui diverso. A me non sembra ch’ei abbia provata abbastanza questa sua opinione; ma essendosi di ciò parlato in questo Giornale di Modena (t. i3 y p. 187), non giova il rientrare in disputa. Ebbe a suo collega nei’primi studi Giglio Gregorio Giraldi, il quale a lui scrivendo (Op. t. 2, p. 582) rammenta il costume di declamare che amendue allor rinnovarono, e ricorda una declamazione da Celio scritta contro i giureconsulti, i quali credendo ch’egli avesse parlato da senno, non poco se ne sdegnarono. Seguì la milizia per qualche tempo nell’esercito delfimperador Massimiliano e in quello di Giulio II, e fu onorato di diverse ambasciate e di onorevoli commissioni (Op. p. 32.4). Col Cardinal Ippolito d’Este viaggiò in Ungheria, ove molte sue lettere cel mostrano nel 1518 e nel 1519 (Op. p. 51, ec.). E in quell’occasione afferma di aver avuta non piccola parte nel far eleggere all imperial dignità Carlo V (Op. p. 325). Tornato indi in Italia, ebbe nell’università di Ferrara sua patria la cattedra di belle lettere, che tenne sino alla morte, se non che ne interruppe il [p. 1265 modifica]TERZO *26i> soggiorno con diversi piccoli viaggi, dei’ quali ei fa menzione nelle sue Lettere ib. p. i.ìc), »42, i52, 168, ec.); e fu ancora a Roma a’ tempi di Paolo III, ove da quel pontefice fu onorevolmente accolto, e poichè fu di ritorno a Ferrara, ne ricevette onorevolissime lettere (ib. p. 216, 217). Abbiamo altrove accennato (l. 1, c. 5, n. 18), ch’egli finì di vivere non nel 1546, come molti hanno scritto, ma nel 154 * a1 17 di’aprile. Delle opere da lui lasciate, e che dopo la morte di esso furono unitamente stampate in Basilea nel 1544? e a^re slmnpale a parte, si può vedere il catalogo presso il P. Niceron Mém, des Homm. illust. t. 26.p. 233). Molte di esse appartengono alle antichità, perciocchè oltre i tre libri intitolati Quaestionum epistolicarum, ne’ quali egli tratta spesso di tale argomento, di lui abbiamo il trattato De Ilebus aegj'ptiacis, in cui ragiona principalmente dell’uso e della significazione de’ geroglifici, il trattato De re nautica, e quello De Talorum, \T'csserarum et Calculorum ludis. Altre appartengono alla filosofia, alla morale, alla politica; e abbiam già osservato ch’ei fu un de’ primi a sostenere il movimento della terra intorno al sole. Nella poesia latina ancora egli si esercitò; e pare ch’egli avesse più felice disposizione a scrivere in verso che in prosa. Ardì di parlare con qualche disprezzo di Cicerone, facendo una critica de’ libri degli Ufficii. Nè fu questa l’opera del Calcagnini, che avesse maggior applauso, e fu confutata da Marcantonio Maioragio, il cui libro però non uscì in pubblico che più anni dopo la morte del Calcagnini. In questa [p. 1266 modifica]1266 LIBRO biblioteca Estense, olire il Catalogo delle Medaglie del duca Ercole II, da noi già accennato, abbiamo ancora alcuni Comenti mss. del Calcagnini sopra i due primi libri delle Questioni tusculane di Cicerone, e sopra l’orazione a favore di Quinzio. Erasmo parla con molta lode di questo scrittore (Epist. t. 1, ep. 742, 744)} e altri ancora ne han fatti elogi, benchè non sien mancati parecchi, e fra gli altri il Giovio, che ne ha ripreso il duro e stentato stile, e le troppo frequenti e affollate citazioni che lo ingombrano. Più giustamente di tutti, a mio parere, ne ragiona il Giraldi che nel suo primo dialogo de’ Poeti de’ suoi tempi così ne dice (Op. p. 539): Coelius vero Calcagninus Ferrariensis tanta est et tam varia eruditione atque doctrina, ut omnibus mi /ti, quos noverim, hac parte sit anteponendus. Illi nescio quid tantum Romanae censurae ac consuetudinis deesse vide tur ad ejus plene judicium perficieridum. Nam cum ubique e rudi fior, ut est, videri velit, eo nomine, taxatur. Cum enim omnium disciplinarum flosculis suis inserti locis quasi quaedam nitentes gemmae poemata illustrent, sic passim inculcati ea quodammodo sorde scere faciunt— Is est certe Coelius, qui quorsum ingenium tenditi il lud quasi ¡acuirmi di ri gii ac collimat. Non in poetica tantum facultate, sed aliis quoque ingenuarum artium disciplinis, sese ille assidue continet in perennibus suis studiis, in quibus tantos processus facit, ut evolare, non excurrere quodammodo videri possit; quo fit, ut nihil sit in re Litteraria quantumvis difficile, quantumvis re conditimi, quoti intactum ipse reliquerit atque non aliqua luce illustrarli. [p. 1267 modifica]TERZO 1267 XXV. Circa il tempo medesimo in cui il Calcagnini prese ad illustrare le antichità egiziane, entrò nello stesso argomento Giovanni Piero Valeriano di Belluno della famiglia Bolzani, e nato nel 1477 La povertà della sua famiglia non gli permise l'applicarsi che tardi agli studi; ed egli avea quindici anni, quando cominciò ad apprenderne i primi elementi. Urbano Bolzani suo zio, di cui diremo altrove, chiamollo poscia a Venezia; ma egli era sì povero, che dopo essersi ivi mantenuto per alcuni mesi, dovette darsi, per vivere, al servigio d’alcuni patrizii. Così afferma chiaramente egli stesso: A patruo demum Venetas accitus ad undas, \ ix menses nostro viximus aere decem. Patriciis igitur servire coegit egestas JE rumnosa, bonis invida priucipiis. Eleg. de culamit. siine vltae. E io non so perciò intendere come il P. Niceron abbia affermato ciò esser falso (Mém, des Homm. ill t. 26, p. 350). Ripigliò poscia gli studi, ed ebbe a maestri Benedetto Brognolo, Marcantonio Sabellico, Giorgio Valla e Giovanni Lascari, com egli stesso afferma (Nuncupat. l. 46 Hierogl.), aggiugnendo altrove che dal Sabellico, secondo il costume di quell’età, gli fu cambiato il nome di Giampietro in quel di Pierio (Nuncupat. l. 18 Hierogl.). In questi studi egli occupossi sino all anno ventitré di sua età, cioè fino al 1500, quando ei volle passare a più seri studi della filosofia, come raccogliesi da un epigramma da lui seri Ito a Josippo Faustino allor suo maestro (Carmin. [p. 1268 modifica]I a(ì8 LIBRO ed. yen. i55o, p 90). Andossene perciò a Padova, ove trovavasi nel 1505 (Amor. l. 1,p. 10, ed. Ven. i549)> e a questo tempo medesimo dee appartenere il soggiorno di tre anni ch’ei dice di aver fatto nel ritiro di Monte Oliveto sul Veronese, ove però si duole di non aver potuto vedere che tre volte il gran Fracastoro, il quale anche da Padova era partito appunto poco prima ch’ei vi giugnesse per istudiarvi la filosofia (nuncup. l. 1 Hierogl.). Compiuti gli studi, si restituì alla patria, ov era nel 1509, quando essa dall’esercito imperiale fu occupata. Descrive egli stesso i danni a cui allor fu soggetto, e come costretto fu a fuggirsene tra mille pericoli per venire a ricoverarsi in Roma (Amor. l. 3, p. 39). Par che dapprima egli sperasse molto dal ministro Cesareo, che grandi cose gli prometteva per parte dell’ imperador Massimiliano 3 perciocché egli dice che già pensava a partir da Roma, vedendosi nelle sue speranze deluso, se il cardinal Egidio da Viterbo non l’avesse ivi fermato (Nuncup. l. 17 Hierogl.). Fu poi per qualche tempo presso il vescovo di Torino Gianfrancesco della Rovere, che avendo il governo di Castel S. Angelo, seco ivi tenne il Valeriano, come questi scrive nel 1512 a f Urbano suo zio in una lettera che si legge al fine della Gramatica greca di questo religioso, stampata fanno stesso in Venezia. Fu indi conosciuto dal cardinal Giovanni de’ Medici, che fu poi Leon X, in cui trovò uno splendido protettore perciocchè egli fatto pontefice, lo ammise alla sua corte, e gli diè di che vivere onorevolmente. Ei parla [p. 1269 modifica]TERZO 1269 più volte di un viaggio che circa questo tempo dovette fare in Piemonte e in Savoia fino a Chambery e a Ginevra, e dice di averlo fatto cum Principe (Amor, l 4, p. 60, 62, 64 79), colla qual parola indica probabilmente alcuno della famiglia de Medici cui accompagnò, non so in qual occasione, in quel viaggio. Dopo esso ei si trattenne per qualche tempo in Napoli (ib. p.60), nel qual tempo scrisse a Niccolò Astemio, perchè seco si rallegrasse che lasciata la procellosa Roma, passasse a quell'ameno e tranquillo soggiorno (Carm, p. 105); ma fece poi ritorno a Roma, ove da Clemente VII per opera del datario Giberti ebbe la cattedra d’eloquenza e il titolo di protonotario e di cameriere segreto con.un canonicato, e qualche altro beneficio in Belluno (Amor. p. 79) (a), Frasi egli esercitato fino a quel tempo nel coltivare la poesia latina, e molte elegie ed altri componimenti amorosi a vea composti e pubblicati. In fatti il Valeriano è annoverato tra que poeti che fiorivano in Roma a’ tempi di Leon X e di Clemente VII. Francesco Arsilli tra gli altri ne fa menzione nel suo libro De Poetis urbanis di cui altrove diremo: Tu quoque seu Flacci, seu per nemora alta Properti Incedis, tibi habes Valeriane locum. Ed egli stesso accenna le celebri Cene coriziane, alle quali era solito d intervenire (Nun(a) Re beneficii e degl'impieghi ecclesiastici conceduti a Giampieño Valeriano, distinta notizia ci Ini data il

  • ig. abate Marini (Uegli Archiatri pontif, l. 1, p. taji). [p. 1270 modifica]ia-o LIBRO

cup. I. 17 li ¡erogl). Ma dappoiché entrò nello .stato ecclesiastico, ed ebbe presi gli ordini sacri, dimenticò quelle profane poesie, nè più in esse occupossi j come afferma il Giolito nella dedica premessa alle stesse poesie amorose. Aveagli frattanto il pontefice Leon X dati ad istruir nelle lettere Ippolito e Alessandro de Medici suoi nipoti. Alcuni vi aggiungono ancor Caterina, che fu poi reina di Francia. Ma il Pierio a lei dedicando le sue poesie latine, fa bensì menzione d’ Ippolito e di Alessandro, di essa non dice motto. Con essi, dopo averli per qualche tempo istruiti in Roma, passò a Firenze, ed ivi per sua sventura ^ trovossi, quando nel 1527 amendue ne furon cacciati 5 ed egli ancora dovette fuggirsene e cercare altrove ricovero. Trovollo dapprima in Bologna, ove fu da Achille Bocchi amorevolmente accolto, e sollevato in diverse maniere dalle sue gravi sciagure (nuncup. l. 7. Hierogl). Celio Calcagnini ancora invitollo allora a Ferrara, e per due settimane seco il trattenne, chiamando ogni giorno i più dotti uomini di quella città a tenergli piacevole compagnia (nuncup. l. 16). Ritirossi allora Pierio j per qualche tempo alla sua patria, finchè richiamati nel 1530 i Medici in Firenze, egli ancora vi fece ritorno (nuncup. l. 7). Alcuni: scrittori, e tra essi il P. Niceron, dicono ch’ei trovossi presente al sacco di Roma, e che a gran pena camponne, conducendo salvi a Piacenza i due suoi discepoli, Ippolito ed Alessandro. Ma ne' passi da me citati, ci dice bensì di essere stato coi Medici cacciato da Firenze, [p. 1271 modifica]TERZO 1 37I ma di aver dovuto fuggir da Roma, non dice motto. In fatti i Medici erano in Firenze, quando seguì il sacco di Roma, nè potea perciò Pierio fuggir con essi da questa città. Morto poscia nel 1535 il cardinal Ippolito, e ucciso due anni appresso il duca Alessandro, egli ritirossi di nuovo a Belluno (In Nuncup. suor. Carm, ed. 1550), benchè un altra volta l abbandonasse, per recarsi a Padova, ove visse tranquillamente fra gli amati suoi studi gli ultimi anni della sua vita, cioè fino al 1558. L’ opera de’ Geroglifici divisa in 58 libri ci fa conoscere quanto versato egli fosse nella lettura degli autori greci e latini. A dir vero però, non ben si apporrebbe chi volesse in essa cercar le notizie delle antichità egiziane. Egli ragiona de’ simboli che o erano o potevan essere disegnati ne’geroglifici, e di que’simboli dice tutto ciò che può rinvenire presso gli antichi scrittori, abbracciando la storia naturale, la fisica, le significazioni allegoriche, e qualunque cosa ad esse appartenga. Ma questa, non fu la sola opera ch’ ei divolgasse. Oltre le molte poesie latine, che sono scritte coll eleganza ordinaria di quel coltissimo secolo, ne abbiamo i due libri De Infelicitate Litteratorum, de’ quali io mi sono più volte giovato, e gioverommi ancora nel decorso di quest’ opera, per le belle notizie che somministrano, benchè il desiderio di narrar cose maravigliose gli abbia fatto adottar più volte racconti improbabili o favolosi. Egli illustrò ancora le antichità della sua patria, raccogliendo e spiegando i monumenti antichi che in essa si [p. 1272 modifica]12^2 LIBRO conservavano, nel libro intitolato Antiquitates bellunenses. Pregevole ancora è la fatica ch’ ei fece sopra Virgilio, paragonando insieme più codici mss., e osservando le diverse lezioni che in essi s’ incontrano. Lasciò alcuni opuscoli di minor conto, come quello in difesa delle barbe de’ sacerdoti, e altri di diverso argomento; per tutte le quali opere ei fu avuto in conto di un de’ più dotti uomini del suo tempo, e fu ancora lodato per la probità e l innocenza de’ suoi costumi, come si può vedere.da molti elogi che il Popeblount ne ha raccolti (Cens. celebr. Auct. p. 55-j). XXVI. Unirò a questo luogo due altri scrittori i quali, benchè non prendessero diretla’ mente a trattare delle antichità, molto nondimeno ne scrissero. Il primo si è Alessandro Alessandri, o, com egli vuole appellarsi, d'Alessandro nobile napoletano, nato circa il 1461 e istruito in Roma alla scuola di Francesco Filelfo, di Niccolò Perotti (a) e di Domizio .Caldenino; e che dopo avere esercitata qualche tempo la profession d’ avvocato in Roma e in Napoli, abbandonolla interamente, per darsi tutto agli studi ch egli continuò a coltivare in Roma, ove anche finì di vivere a’ 2 di ottobre del 1523. Di lui han parlato colla consueta loro esattezza Apostolo Zeno (Diss. voss. t. 2, p. 180) e il conte Mazzucehelli (a) Alessandro <T Alessandro, nato circa il i46f, non potè essere scolaro di Aiccolò Perntti che fin dal i.^S tu nominato vescovo, come ha avvertito il eh. P. d’Afflitto, che di questo scrittore ci ha date assai più esatte notizie (Man. degli Scritt. napol. t. 1, p. 302, ec.). [p. 1273 modifica]TEItZO 1273 (Scria, ¡tal. t. 1, par. 2 p. J36, ec.)j nò 2j]i fa perciò d’ uopo il dirne più a lungo. Oltre quattro latine Dissertazioni sui sogni, sugli spettri e sulle case infestate da’ maligni spiriti, che pruovano la fanciullesca credulità e la riscaldata fantasia più che l’ erudizion di Alessandro, ei pubblicò una voluminosa opera intitolata Dies Geniales, stampata la prima volta in Roma nel 1522. In essa, a somiglianza delle Notti artiche di Aulo Gellio, tratta di diverse quistioni principalmente di gramatica e di antichità, e unisce insieme intorno ad esse ciò che ha trovato disperso presso molti scrittori. Alcuni di quest' opera han parlato con molto disprezzo) altri l’hanno esaltata con somme lodi, e le contrarie loro testimonianze si posson vedere riferite dai’ due mentovati autori. Io credo che ugualmente mal le convengano e il soverchio biasimo e la soverchia lode. E a me sembra che l’ opera di Alessandro si possa paragonare a un ampio universal magazzino, in cui si trovan merci d' ogni maniera, ove fra la confusione e il disordine che ingombra ogni cosa, e fra molte merci o adulterate o supposte, molte ancor se ne trovano pregevoli assai 5 ma fa d’ uopo di diligente ed esperta mano a sceglierle, a ripulirle e a farne buon uso. Lo stesso vuol dirsi dell’ opera intitolata Antiquarum lectionum di.Celio Rodigino, ch è il secondo scrittore che qui vuol rammentarsi. Una esatta Vita, e ben corredata di autentici monumenti, ne ha scritta il conte Carlo Silvestri (Calogerà, Racc. d Opusc. L A. p. i5q). Tmi.oacBi, Voi. XII. 8 [p. 1274 modifica]12^4 LIBRO ili cui io farò qui un breve compendio. Lodovico Celio Richieri (che di tal famiglia egli era, benchè da Rovigo sua patria prendesse comunemente il soprannome di Rodigino) fu figlio di Antonio Richieri, e nacque, secondo la comune opinione, verso il 1460. Attese alla filosofia in Ferrara sotto Niccolò Leoniceno, e poscia alle leggi civili e canoniche in Padova. Compiuti i suoi studi, passò in Francia, ove trattennesi non breve tempo, ma non sappiamo, nè quanto, nè in qual occasione, nè in qual impiego. Tornato in Italia, dal fino al 1497 fermossi in patria scelto a pubblico maestro, nel qual impiego fu confermato di nuovo nel 1503. Ma l anno seguente per le interne fazioni costretto dal pubblico Consiglio a lasciar quella cattedra, fu ancora nel 1505 cacciato da Rovigo con legge che non potesse più esservi richiamato. Trattennesi allora per qualche anno in Vicenza a farvi scuola di belle lettere, finchè al medesimo fine nel 1508 fu chiamato a Ferrara dal duca Alfonso I. Ma le guerre il costrinsero a partirne presto e a trasferirsi a Padova, ove in tempo di esse tenne privata scuola. Perciocchè a questi tempi io credo, che riferir si debba ciò che Beato Renano in una sua lettera del 1517 scrive ad Erasmo, in cui, dopo aver parlato con molto disprezzo dell’ opera del Rodigino, dice: Vi(listi tu hominem Patavii; nan illic din privati ni docuit; sed obscuri tunc nominis (Emani. Epist t. 2, Append. ep. 119). Nel i5i5 dal re Francesco 1 con assai ouorevol diploma fu destinato alla cattedra di greca e di Ialina [p. 1275 modifica]TERZO. 1375 eloquenza in Milano in luogo di Basilio Calcondila poc’ anzi defunto. Fu ancora per qualche tempo professore di belle lettere in Reggio (*), come si raccoglie da un orazione di Pietro Morino, citata dal sig. Liruti (Notiz. de Lett, del Friuli t 2, p. 136), ma non sappiamo precisamente in qual anno. Nel 1521 tornossene a Padova, ed ebbe il piacere due anni appresso non solo di vedersi riammesso al Consiglio della sua patria, ma di venir destinato da essa ad andarsene a Venezia a conerai darsi col nuovo doge Andrea Grilli.* 11 conte Silvestri ha giustamente rigettata l’opinione di molti che il dicon morto in Padova nel 1520; ma egli ancora nonne ha fissata ben l epoca, inclinando a crederlo morto nel 1523. Una lettera di Celio Calcagnini ad Erasmo, che leggesi tra le Lettere di questo secondo scrittore (l. c. l. 1, ep. 750), ci mostra ch’ egli morì nel 1525 tra i di febbraio, in cui seguì la celebre battaglia di Pavia, e i 5 di luglio, in cui la lettera è scritta; e che il buon vecchio morì per dispiacere delle sventure del re Francesco. Ecco questo tratto di lettera, che ci fa il vero carattere del Rodigino: Jpse eli am Rhodiginus longum valere dix.it rebus humanis. Quum enim audisset ad Ticinum caesum pene ad internecionem Gallorum exercitum, et potenti ss imum Rcgem in (*) Celio Rodigino era professore di belle lettere io Reggio nel i5oa, e tu da lui disteso in quell'anno uno strumento di riconciliazione tra alcune delle principali iamiglie «ti quella città, come si legge in una Cronaca manoscritta di Reggio. [p. 1276 modifica]127G • LIDR0 Tnanus hostium venisse, ex quo spes ejus omnes pendebant, ita animum despondit, ut aegritudini impar fuerit. Utinam ad ea, quae scripsit, tantundem laboris et judicii attulisset nam et minus offendisset, et doctis impensius satisfecisset Sane fuit vir ille bonus, et vere Christianus, et multa mihi amicitia conjunctus, utpote cui unum etiam ex libris antiquarum lectionum nuncupatini dicave rat, sed qui se unum haberet in consilio, et amicorum admonitionibus aegre manus daret; cete rum in studia et lucubrationes ad poenitentiam usque assiduus. Degna inoltre di osservazione è una lettera del medesimo Rodigino ad Erasmo, scritta da Milano nell’an 1519) (ib. t. 2, ep. 1046), stampata ancora dopo quelle del Gudio (p. 117), in cui, dopo aver detto che avea udito con dispiacere ch’ esso dolevasi di vedersi sovente da lui combattuto nella sua opera, soggiugne che quando egli la pubblicò, altro di Erasmo non avea veduto che i Proverbi j che quando ei gli ebbe in mano, conobbe che Erasmo avealo prevenuto in molte cose, e che perciò avea dovuto abbandonare un’ opera che stava scrivendo col titolo di Paraemiae, e che in vece un’ altra aveane fatta di nuovo, ch’ era appunto l’ intitolata Antiquarum lectionum: che dopo la prima edizione moltissime giunte vi avea egli fatte, per darne una nuova, un libro della quale volea dedicare al medesimo Erasmo, per far conoscere al pubblico quanto ei gli dovesse. Dell’ opera del Rodigino diversi sono i giudizii de’ diversi scrittori, come di quella dell’Alessandri, e io [p. 1277 modifica]TERZO * 2JJ crrrlo, come ho accennato, che di amendue si debba giudicare ugualmente, cioè ch’ esse sono utilissime a chi ben fornito di critica e di buon senso sa sceglier le cose ottime che vi sono nascoste. XXVII. Più Utili allo studio delle antichità sarebbono state le opere di Pirro Ligorio nobile napoletano, se esse non fossero rimaste inedite. Di lui ci parlano gli scrittori napoletani, e singolarmente il Tafuri (Scritt del Regno di Nap. t. 3, par. 1, p. 423) che ne ragiona assai a lungo, Ei fu di professione pittore ed architetto, e in amendue le arti lasciò alcuni monumenti del suo valore e in Napoli e in Roma; e per la fama che di lui si era sparsa, fu dal duca Alfonso II chiamato a Ferrara, ove Visse assai lungamente, e ove ancora morì, secondo il Borsetti, nel i5t)3 (Ilist. Gynin. Fcrn t. 2, p. iq3) (*)■ Ma lo studio prediletto di Pirro fu quello delle antichità. Il desiderio d’innoltrarsi nella lor cognizione, quanto più gli fosse possibile, gli fece ricercare con molta attenzione ogni luogo del regno di Napoli e di molte altre parti d'Italia; ove osservando qualunque cosa gli paresse degna di riflessione, e valendosi della sua intelligenza nell'arte del disegno, di tutto traeva copia, trascrivendo ancora (*) I monumenti di questo ducale archivio camerale ri mostrano che il Lieorio fu nominato suo antiquario dal duca Alfonso 11 il primo di dicembre del i5oo, e che ebbe il ricco annuale stipendio di i1} scudi d: oro in oro ogni mese fino alla sua morte, che avvenne non nel l'iql, come ha scritto il Borselli, ma nell'ottobre del i5»3. [p. 1278 modifica]1278 LIBRO qualunque antica iscrizione gli cadesse sott’ occhio. Così raccolto tuttociò che gli parve opportuno al disegno da lui formato, prese a compilar la grand’opera di Antichità, divisa in trenta volumi, molti de’ quali son da lui dedicati al duca Alfonso II, al cui servigio allor ritrovavasi col titolo di antiquario, di cui fu egli il primo a godere. Essi ora si veggono negli archivii della corte in Torino, comperati pel prezzo di diciottomila ducati dal duca Carlo Emanuele I (Zeno, Note al Fontan. t. 2, p. 3t)8); e se ne può leggere un’esatta descrizione nel Catalogo dei' MSS. della Biblioteca di quella università (t. 2, p. 34o) (a). I primi diciotto volumi appartengono tutti all’antica geografia, e ci danno la descrizione de’ regni, delle provincie, delle città, de' mari, de’ fiumi, de’ monti, ec. antichi. Negli altri si tratta di molte e diverse materie, come degli antichi eroi ed uomini illustri, de’ magistrati romani, delle famiglie romane, delle abbreviature nelle iscrizioni, delle antiche medaglie, delle arti liberali, e d’ altri somiglianti argomenti. Non può negarsi che in questa immensa raccolta non sieno corsi molti errori, sì per la fretta con cui tali compilazioni si soglion formare, sì perche il (u) Nei Viaggi del signor Giacomo Giona Bjocrnstnchl, stampati in Poschiavo nel 1784 (t. 2, p. 191) si »Derma che l’opera del Ligorio c in quaranta volumi, e che pii nitri dieci, die mancano in Torino, trovatisi nella reai biblioteca di Napoli, ove egli gli ha veduti ed esaminali, e che inoltre dodici volumi se ne hanno nella Vaticana, ma essi non son che copie latte lare Sugli originali dalla regina Cristina di Svezia. [p. 1279 modifica]TERZO 1279 Ligorio non era uom dotto, anzi non intendeva pure il latino, come afferma Antonio Agostini, che pur gli era amicissimo (De /.iutiqmt. di al. 4), onde è avvenuto che più volte ei non ha ben intese le parole de’ monumenti, e ha credute sincere molte iscrizioni che son certamente supposte. Ma ciò non ostante l’ opera del Ligorio da tutti i più valorosi antiquarii è stata sempre lodata come utilissima pel gran numero d iscrizioni ch’egli solo ci ha conservate, e pe’ molti monumenti d antichità, ch'egli solo ha esattamente descritti. Io non mi stendo a parlarne più a lungo; e mi basta accennare gli elogi che di quest’opera han fatto tre de' più illustri antiquarii, rilevandone i pregi senza dissimularne i difetti, cioè lo Spanhemio (De praestant. et usu Numism.), il marchese Ma (Tei (Giom. d' Ital. t. 6) e il Muratori (ante t. 1 Thes. vet. Jn script), le testimonianze de’quali si posson vedere unitamente raccolte presso il Tafuri. Qualche tratto separato di questa grand’opera ha veduta la luce, come il libro delle Antichità di Roma stampato in Roma nel 1553, un opuscolo de Vehiculis, tradotto in latino e pubblicato da Giovanni Scbeil’ero nel 1111 frammento della Storia di Ferrara stampato nel 1676, attribuito da molti ad Alfonso Cagnaccini, ma che fu veramente opera del Ligorio, il cui originale conservasi tuttora in Ferrara. Delle opere di esso si posson vedere più distinte notizie presso il suddetto Tafuri. XXVIII. Chiudiam la serie degli antiquarii col parlare di un uom dottissimo, capace di ogni più illustre opera in ogni genere di anlicbità, [p. 1280 modifica]1260 LIBRO ma che per soverchia modestia nulla mai diede alla luce. Parlo di Ottavio Pantagato bresciano di patria. Io non ho veduta la Vita che ne pubblicò in Roma nel 1657 Giambattista Rufi; ma spero nondimeno di poterne parlare accertatamente, valendomi in particolar de1 monumenti che ne ha prodotti il dottissimo P. Lagomarsini (Pogian. Epist. t. 4 > p- 358). Era egli nato in Brescia a 16 di agosto del i4(j4> come raccogliesi dalla iscrizion sepolcrale riferita dal P. Giani (Ann. Serv. t. 2, p. 207), benchè ivi per errore leggasi fanno i5GG, invece del 1567. Questo scrittore afferma ch ei fu in Roma scolaro di Pomponio Leto. Ma questi morì, come a suo luogo si è detto, nel 1497, e non potè perciò avere a suo scolaro Ottavio fanciullo allora di tre anni. Il cambiamento però del cognome da esso fatto di Pacato, che tale era quello della famiglia, come narra il.Cardinal Federigo Borromeo (DeJttg. ostentai l. 1, c. 1), o Bogato, come si dice dal Rufi, in quel di Pantagato, ci persuade ch'egli o fosse scolaro di alcun de seguaci di Pomponio, o che si unisse in amicizia con quegli accademici. Entrato nell’Ordine dei' Servi di Maria, fu inviato agli studi in Parigi, come narra il medesimo P. Giani in ciò più degno di fede, e ivi ricevette la laurea teologica. Tornato in Italia, secondo il medesimo Giani, dal Cardinal Antonio del Monte fu chiamato a Roma, ove dal pontefice Leon X ebbe una cattedra nella Sapienza, e sull autorità di esso gli ha dato luogo tra’ professori di quello Studio il P. Caraffa (De Profess. Gymn. rom. t. 2, p. 449)- U Rufo, citato dal Padre [p. 1281 modifica]TERZO *281 Lagomarsini, non parla di cattedra, nè del Cardinal del Monte; ma dice ch ei fu ricevuto tra’ suoi famigliari dal Cardinal Giovanni Salviati nipote di Leon X, e che per opera di esso ebbe una pingue badia in Sicilia, ricevuta la quale, ei'non solo più non visse nel chiostro. ma cambiò ancora l’abito religioso in quel di ecclesiastico secolare, secondo il costume a que tempi introdotto. Pietro Vettori, nella sua prefazione alle lettere di Cicerone ad Attico, dice che il Pantagato, cui egli chiama virum probum et satin aeutum in scrìptU ve te rum anctorum esaminandis, fu ancor qualche tempo presso il Cardinal Benedetto Accolti. In Roma tra gli amici egli ebbe Giglio Gregorio Giraldi che in que versi in cui piange le sue sventure dopo il sacco di Roma, tra gli amici de’ quali più non potea godere, nomina Ottavio: Ni’C Paler Odavi, qui re cognomine dictus Panthagatus, nil corde minus quam caudidus ore. Op. p. 916. Dopo la morte del Cardinal Sai viali, accaduta nel 1553, ei continuò a vivere per qualche tempo in Roma su’ frutti della sua badia. Ma fanno seguente gli fu affidato un impiego che a un uomo tutto dedito a’ gravi studi dovette riuscir non poco noioso, cioè quello d istruir nelle lettere il giovinetto cardin Roberto de Nobili: Pater Octavius scrive il Latini in una lettera de 2(1 di marzo del 1555, citata dal P. Lagomarsini, impuberi Cardinali custos moderatorque additus, quod minime umquam speravit!’, ternas quotidie aut quaternas horas iti [p. 1282 modifica]1282 turno actatis illi operam dare cogitar (a). Continuava egli frattanto a starsene fuori del chiostro, quando una legge dal severo pontefice Paolo l\r promulgata comandò a tulli i religiosi che in tal modo viveano, di ritornare allo lor case, c di ripigliare fallito delfOrdirte loro. Il Pantagato affidato alla decisione del Cardinal del Pozzo credette dapprima di non esser compreso in tal legge, come scrive il Latini a’ 22 d'agosto del i558. Ma lo stesso Latini in altra de' 7 di gennaio dell' anno seguente mostra che il Pantagato avea finalmente ubbidito, e forse costrettoci a forza dal pontefice: Pater Octavins antera ita euro casino tnlit7 ut pmete r molestimi illmn tot scalarurn ascetismo, in libero, sed angusto stiblimique cubiculo, nihil illi prorsus adempiuto esse videatur Quare ni hit est, quod illius causa laliores, quin potius eflis te fortitudo non modo delectare, sed etiam provocare ad imitandum debet. A’ 17 di settembre del i5G2 un colpo apopletico gli rendette immobile tutta la parte destra del corpo; ma ciò non ostante non cessò egli dall1 occuparsi (a) Prima del Cardinal de* Nobili un altro assai diverso alunno era stato affidato da Giulio III al Pantagato, cioè il Cardinal Innocenzo del Monte suo nipote adottivo, sollevato senza alcun merito alla porpora l anno 1550. Così raccoglie dalle Riflessioni del P. Possevino sulla Storia del Thuano, pubblicate dall’ab. Zaccaria (Iter, litter, per Ital. p. "28(1), ove nominando gli uomini dotti che a’ tempi di Giulio III erano in Roma, dice: Octavius Pantagathus, quem apud se Pont. Max. esse voluit, ut Cardinalem Montium ((jualis quali s hic fuerit) liberis et moribus vir religiosus et vere doctus informaret. [p. 1283 modifica]TERZO * 283 studiando e conversando eruditamente co’dotti che venivanlo a ritrovare, finchè a 16 di dicembre del 1567 un nuovo colpo il tolse di vita: tutte le quali circostanze si leggono in altre lettere dello stesso Latini, citate dal P. Lagom arsi ni, il quale da un codice della \ aticana ha ancor pubblicata una lettera scritta in tal occasione da Cristoforo Rossi al Cardinal Sirleto, in cui piangendo la morte del p. Ottavio, ne loda altamente non solo la vastissima erudizione, ma anche le rare virtù delle quali era adorno. E veramente fu il Pantagato uno de’ più infaticabili ricercatori dell antica erudizione. Marcantonio Flaminio invitandolo in un suo leggiadro endecasillabo a venire a Viterbo, così scherza sulla gran copia de libri, fra' quali sempre egli stava sepolto: Cnr ergo. Pater, huc venire cessas? Num) te dia innumerab lis librormn Tenet copia curiosum? habebis Et hic Graeca volumina et Latina, Quae lassare valent decem otiosos Plmios j licet usque, et usque, et usque Noctes atque dies legas, ut hercle Facis, ne dubita, tamen novorum Haud te deficiet librorum acervus. L. 5, Carm. 3i. Della stima in cui fu egli perciò avuto da tutti gli uomini dotti, fanno testimonianza due lettere italiane a lui scritte da Paolo Manuzio (P. Manuz. Lett. p. 26, 27), e due altre latine (ep. l. 2, 5), in una delle quali a Ottaviano Maggi lo dice uomo cujus est humanitas doctrinae par, doctrina vero, quae potest esse [p. 1284 modifica]1284 LTBno maxima. Is est Oc lavi us meus, qui Urbem, a qua ceteri honestantum, sua ipso, virtù fé nobilitat;' tre ode a lui scritte da Levino Torrenzio (Carm. l. 1), una lettera del Cardinal Sadoleto, in cui lo dice uomo ottimo ed eruditissimo (t. 2, p. 334)5 e più altre testimonianze di Q. Mario Corrado e di Latino Latini recate dal P. Lagomarsini, e quelle ilei M11 reto, di Achille Stazio, di Giambattista Pigna e di altri scrittori di quell età prodotte dal Cardinal Querini (Specimen Brix. litterat. pars 2, p. 322). Ma bello singolarmente è l'elogio che ne fa il sopraccitato Cardinal Federico Borromeo. il qual dice ch era uom peritissimo in tutta l'antichità, e degno a cui tutti accorressero ad essere istruiti 5 ma che nulla mai diede alla luce, permettendo solo che certe sue cose corressero manoscritte; perciocchè, dice, ei temeva troppo i giudizii degli uomini, mentre anzi era giusto che il giudizio di lui fosse dagli altri temuto. Egli aggiugne di averne veduto nella Vaticana un Trattato di Gramatica, e che nell’Ambrosiana conservasi un codice di conti da lui scritti, Codex rationum Octavii Pacati, il qual ben dà a vedere quanto egli fosse versato nella cognizione de pesi e delle monete antiche. Ei dice ancora di averne veduta una Cronaca delle cose di Roma. che debb’ essere quell' opera cronografica che il P. Possevino afferma che già esisteva nella celebre libreria di Gianvincenzo Pinelli; e la stessa opera che quegli Annali che il Latini, scrivendo della istruzione del Cardinal de Nobili affidata al Pantagato, dice ch’ egli era stato costretto ad interrompere, [p. 1285 modifica]TF.RZO 12^5 benché fossero ornai liniti. Anche il Giraldi ci rappresenta il Pantagato come uom che fuggiva la pubblica luce: Inter eruditos quidem magnus ubique O atavi ti a, tu si quoti stilo abstinet, nec suas opes publica taberna venditat In fatti, trattene due lettere latine (Epist. cl Viror. Ven. 1568, p 122, 123), null altro se ne ha alle stampe. Il P. Lagomarsini dice ch’egli sapeva ove stavan nascoste alcune opere del Pantagato, e che volentieri pubblicate le avrebbe, se la troppo gelosa custodia de’ possessori non gliel avesse vietato (a). XXIX. Questo sì ardente studio degl’italiani nel disottcrrarc e nell’illustrare le antichità giovò (ii) Fu questo anche il secolo in cui cominciossi lo studio delle antichità etrusche, che a’ nostri tempi si è poi propagato cotanto. La scoperta l’atta nel 1444 del le famose Tavole eugubine, comperate poi nel 1456 dalla città di Gubbio, fu il primo stimolo a coltivarlo; e i primi a parlare di quella lingua furono, come osserva il (marchese. Maffei (Osserv. letter. t. 5, p. 343), Anino <la A iterbo e il Volterrano. Teseo Ambrogio ne stampò due alfabeti nella sua opera, di cui si dirà a suo luogo; e una Raccolta d Iscrizioni e d’Alfabeti etruschi avea pur fatta verso il i 58o il conte Gabriel Gabrieli da Gubbio (ivi). Ma niuno erasi ancora accinto a spiegar quelle Tavole, bernardino baldi fu il primo a tentarlo; e nel 1613 fu pubblicata in Augusta la sua, come ei 1‘intitola, Divinazione sopra una di quelle Tavole, e scrisse ancora un Trattato sull'asse o peso etrusco, che fu poi stampato solo nel 1708. Se il baldi non fu molto felice nei’ suoi tentativi, merita almeno la lode di averli fatti prima di ogni altro, e di avere insieme confessato modestamente che non lusingavasi già di aver colto nel vero, Intorno a queste due opere veggansi le riflessioni del ch. P. Affò (Vita del Baldi, p. 182, 192). t [p. 1286 modifica]IIì86 LIBRO mirabilmente all intelligenza degli storici antichi greci e latini, e degli altri scrittori di que secoli. E frutto ne furono le tante nuove edizioni assai più esatte e corrette che di essi si fecero, le tante versioni italiane de latini scrittori, e le tante italiane e latine de greci, e i tanti eruditi comenti co quali esse furono rischiarate. Niuno, io credo, da me si aspetta ch’io prenda a darne un esatto catalogo. Chiunque ha una lieve tintura di erudizione letteraria, sa quanto in ciò si affaticassero gli uomini eruditi di questo secolo; e nel parlare in diverse occasioni di molti tra essi, si è già fatta e si farà più altre volte menzione delle loro versioni e de’ j loro comenti su gli antichi scrittori. Qui diremo < in breve di un solo che formò il disegno di darci un ampia raccolta di storici latini*e greci' recati in lingua italiana, dandole il nome di Collana greca e di Collana latina. Ei fu Tommaso Porcacchi natio di Castiglione aretino, ma trasferitosi a Venezia nel 1559), e ivi morto in casa de conti di Savorgnano nel 1585. Unitosi ivi il Porcacchi con Gabriello Giolito cele- « bre stampatore, prese a raccogliere tutti gli storici greci, e gli altri antichi scrittori di quella nazione che in qualche modo appartenessero « alla storia, e valendosi delle traduzioni italiane, già da altri fattene, e correggendole, ove fosse bisogno, o dando ad altri uomini dotti fincarico di tradurli, o traducendoli egli stesso, formò la Collana storica greca, divisa in dodici Anelli, aggiuntevi ancora le Gioie, cioè altri autori minori che servono d illustrazione a maggiori. In tal maniera furono pubblicati in lingua italiana [p. 1287 modifica]TERZO * 287 dal Giolito i due supposti scrittori Dite e Darete, Erodoto, Tucidide, Senofonte, Polibio, Diodoro Siciliano, Dionigi alicarnasseo, Giuseppe Ebreo, Plutarco, Appiano Alessandrino, Arriano da Nicomedia, e Dione Cassio, che formano i dodici Anelli della Collana, oltre gli scrittori che sotto il titolo di Gioie furono pubblicati. Pensava egli di far similmente una Collana latina, ma non ebbe tempo ad eseguire il suo disegno. Tutta la serie della Collana greca, e l’idea del modo con cui potrebbesi eseguir la latina, si può vedere nella nuova edizione della Biblioteca dell’Haym (t 1, p. 1, ec.). Il Porcacchi non pago delle molte versioni ch'egli medesimo fece, e delle note, delle giunte, delle correzioni, colle quali illustrò molti altri antichi e moderni scrittori, fu autore egli stesso, e se ne hanno opere poetiche, antiquarie, geografiche, e di molte altre materie, delle quali ci ha dato il catalogo il P. Niceron (t. 34, p. 263), a cui però molte cose si potrebbono aggi ugnerò, se a me fosse permesso l'entrare in più minute ricerche. XXX. Così posti in miglior luce e renduti più comuni e più facili gli antichi scrittori, divenne più agevole l’innoltrarsi entro le folte tenebre della più antica storia, e ricercarne gli avvenimenti e l’epoche più rimote. E una delle questioni che più si agitarono in questo secolo tra gli eruditi, fu quella che anche a’nostri giorni è stata dibattuta, cioè quella de primi abitatori d'Italia. Oltre ciò che ne dissero quegli scrittori che presero a illustrare la geografia e la storia di queste provincie, alcuni si [p. 1288 modifica]1 288 LIBRO fecero a trattare direttamente di questo argomento.. E il primo, ch’io sappia, a pubblicare su ciò un libro fu Giangrisostomo Zanchi canonico Lateranese e di patria bergamasco, che nel 1531 pubblicò tre libri in Venezia De Orobiorum sive Cenomanorum origine, dedicati a Pietro Bembo da lui conosciuto giovinetto in Bergamo, quando nel 1498 vi era con Bernardo suo padre podestà in quell’ anno della stessa città De Orob. orig. p. 28). Ei fu figliuolo di Paolo Zanchi non men celebre per la nobiltà delle sua antica famiglia, che per l’eloquenza e pel senno di cui era fornito, e per cui merito di essere lodato con orazion funebre, che si ha alle stampe, da Giovita Rapicio, al quale avea egli dato ad ammaestrare i suoi figli. Al battesimo ebbe il nome di Panfilo, e fanno i524 entrò in Bergamo nell’ Ordine de’ Canonici regolari insiem con due suoi fratelli, Basilio, celebre tra’ poeti, di cui diremo a suo luogo, e Dionigi, uomo esso pure nelle sacre e nelle umane lettere assai erudito Vita Basil.'Zanch, per Petr. Ant Serass. p. 3, 8). Nel 1529 fu inviato a Padova insiem con Basilio, ov ebbe il piacere di rinnovar l amicizia con Pietro Bem~ bo. Ma quattro anni appresso passarono amendue i fratelli a Ravenna, ov era Giangrisostomo ancora nel 1540, come ci mostra una lettera da lui scritta a Pietro Aretino {Lettere deli A* rct. t. 2 p. 150), con cui gli manda i suoi componimenti italiani e latini, e la risposta che gli fa l’Aretino rendendogli grazi e della canz me e ilei libro, e lodandolo assai Aret. Lett. t. 2, p. l'j'ò). Fu indi fatto priore della sua cauomca [p. 1289 modifica]TERZO * 28t) di S. Spirito in Bergamo, della quale fu anche poscia il primo abate. A maggior dignità fu chiamato nel 1559; quando gli fu conferito il supremo governo di tutto l’Ordine j cui dopo aver retto con molta lode, tornossene abate a Bergamo, e ivi morì nel i5(Kx 1 tre libri sopraccennati sono scritti con molta eleganza, e ci fan pruova della non ordinaria erudizione di Giangrisostomo nell’antica storia, e nelle lingue greca ed ebraica. Ma i pregiudizii comuni a que’ tempi gli fecero ciecamente adottare l’autorità di Annio da Viterbo, e sostenere i favolosi racconti de’ finti scrittori da lui pubblicati, e perciò fare primo fondator de’ Cenomani quel Cidno figliuolo di Ligure, e nipote di Faetonte, di cui essi ragionano, e affermar che gli Orobj altri non fossero che i Cenomani abitatori de’ monti. Lo spirito etimologico, che anche in quel secolo dominava, gli fece trarre l’origine del nome di Bergamo da tre parole ebraiche Beradim, Gon, Mon, che significano, dice egli (De Orob. orig', p. (66), inundatorum clypeata Civitas, ovvero Gallorum Regia Urbs. Più utile fu la fatica da lui intrapresa di raccogliere molte delle antiche lapide della città e del territorio di Bergamo, com’egli fece, dottamente illustrandole nel terzo libro della stessa opera. Di lui abbiamo ancora alle stampe un panegirico latino all imperador Carlo V. Avea egli innoltre intrapreso un Lessico biblico, in cui spiegava nelle tre lingue ebraica, greca e latina tutte le voci e le frasi della sacra Scrittura. Ma o egli non ebbe tempo a finirlo, o l’opera è rimasta inedita. Ch’ ei si dilettasse ancora della poesia Tuuboschi, Voi. XII,. ij [p. 1290 modifica]1LIBRO italiana, cc ne fa tesliuifmio la sopraccitata lettera dell’Aretino, in cui nomina la Canzone da lui mandatagli. Ma in questo genere nulla, ch’io sappia, si è veduto alla luce. Altre opere par che avesse egli scritte, che parimente non sono state mai pubblicate; perciocchè Pietro Galesini, scrivendo da Milano nel 1567 al Cardinal Sirleto, dice: Ricordomi, che V. S. Illustrissima più volte ragionando con esso mi ha detto, che aveva notizia, che Don Chrisostomo Zanchi fratello di D. Basilio, scrivea, et cose di momento, onde dopo che sono qui sempre ho cercato di venire in cognizione, et finalmente mi sono capitate alle mani. Supplicola per tanto, che sia servita di dirmene il parer suo, ec. (Pogian. Epist. t. 4, p. 335). E forse erano queste alcune di quelle che a lui si attribuiscono dal Calvi (Scena lett di Scritt. bergam par. 1, p. 249). XXXI. Con miglior critica e con più saggio discernimento scrissero sull’ argomento medesimo, pochi anni dopo il Zanchi, Gaudenzo Merula e Bonaventura Castiglione; e amendue impugnarono le opinioni da lui sostenute, e si fecer beffe delle autorità da lui.addotte; il primo più apertamente e con qualche insulto; più modestamente il secondo, non nominando, ma indicando abbastanza il Zanchi. Il primo era natio di Borgo Lavezzaro nel territorio di Novara, come pruova l’Argelati (BibL Script, mediol. t. 2, pars 2, p. 2132), e fu maestro di belle lettere in Abbiategrasso nel territorio di Milano, in Vigevano e in Milano; del che, oltre le pruove addotte dal dello [p. 1291 modifica]TF.r.ZO Ì291 scrittore, abbiamo la testimonianza di Ortensio Landi: Gaudenzo Merula nato nel Borgo Lavezzaro ha insegnato in Milano, a Vigevano, et in Abbiategrasso) ha scritto molte cose appartenenti alla sua professione; vive a'uhora (cioè nel 1552) et è buona persona (Cataloghi, p. 450). L’opera da lui pubblicata, che ha per titolo De Gallorum Cisalpinarum antiquitate ac origine, e stampata la prima volta in Lione, secondo l’Argelati, nel 1536, contiene la descrizione di tutta quella parte d’Italia che giace tra l’Apennino e le Alpi e il mare Adriatico. Sulle tracce di Polibio, di Livio, di Strabone e di altri antichi scrittori, se non infallibili, certo più degni di fede che i supposti scrittori di Annio, ricerca la prima origine degli abitanti, descrive le città, i fiumi, i monti, ricerca gli antichi - lor nomi e li confronta co’moderni, produce alcune lapide antiche, e tocca ancora alcuni punti di storia recente. Al fin dell opera si aggiugne un apologia della medesima, da lui scritta nel 1537 contro alcuni che la riprendevano, e par ch’ egli prenda di mira singolarmente il Maioragio. Di alcune altre opere di Gaudenzo o pubblicate, o inedite, veggasi il catalogo che ne dà l’Argelati. A più angusti si ristrinse l’ opera di Bonaventura Castiglione milanese, nato nel 1487, nel 1521 onorato di un canonicato in S. Maria della Scala, nel 1546 eletto proposto della imperial basilica di S. Ambrogio, e morto nel. 1555 (Jrgel. I. cit t. 1, pars 1, p. 348). Egli la intitolò de Gallorum Insubri uni anliquis sedibus, c la pubblicò [p. 1292 modifica]I2C)a Lmno nel 1541 • In essa non prende a trattare che degl Insubri, de’quali', seguendo i più accreditati antichi scrittori, descrive le vicende e annovera le città da essi fondate, paragonando 1’antica colla moderna geografia. Dei’monumenti fa uso più frequente che l Merula, a cui per altro confessa di dover molto, come pure ad Andrea Alciati, di cui dice che fu il primo a disotterrare e pubblicare le antiche Iscrizion milanesi, come pure abbiamo altrove avvertito. A quest’ opera si congiunge una lettera da lui scritta al senatore Giambattista Speziano sopra l’antico castello detto da Cesare OceU lum y eh’ei vuole situato nell’Alpi Cozzie. L’Argelati accenna ancora qualche altra opera di questo dottissimo uomo, che non ha veduta la luce. Qui ancora appartiene l opuscolo di Antonio Massa da Gallese giureconsulto De origini et rebus Faliscorum, in cui all1 occa- j sione di trattar delle guerre da que’ popoli sostenute contro i Romani, tratta ancora, sulla scorta degli antichi più accreditati scrittori, de primi abitatori di quelle contrade. XXXII. Opera di somigliante argomento fu quella di Ottaviano Ferrari milanese, intitolata De Origine Romanorum pubblicata in Pavia nel 1588. Egli era nato in.Milano nel 1508, e per diciotto anni fu professore di filosofia morale e di politica nelle Scuole canobiane a quel tempo fondate (ib. p. 610) (a). L’Argelati (a) Un’orazione in lode di Ottaviano Ferrari, scritta da Francesco Ciceri, ha pubblicata e con annotazioni illustrata il ch. p. abate Casati (Cicereii Epist. ec. t. 2, p. 220, ec.), da cui molte altre notizie intorno alla vita e agli studi di esso si posson raccogliere. [p. 1293 modifica]TERZO 1293 dice cl»1 ci fu indi chiamato a Padova, e che per quattro anni vi fu lettore di logica. Gli storici di quell' università di lui non fanno menzione, e io dubito che l'Argelati abbia confusa Padova con Pavia, ove il Ferrari fu certamente, come ci mostra una lettera di Jacopo Bonfadio, che scrivendo a Ottaviano, gli dice (Bonfad. Lett. p. 117): Intesi ai dì passati per lettere di Messer Stefano Penello, come V. S. era in Pavia alla Lettura della Logica. In fatti nell Indice de’ Professori di quella Università, aggiunto al più volte mentovato Elenco, vedesi nominato il Ferrari all’ an 1548. Tornossene poi alla patria, ove coltivando tranquillamente i suoi studi, visse fino al 1586, in cui morì in età, dice l’Argelati, di sessantasei anni; epoche che non combinano coll’an 1508 in cui egli lo dice nato, nè io so in qual numero sia corso errore. Ei fu amicissimo di due de’ più colti scrittori di quel secolo, cioè di Paolo Manuzio e di Giulio Poggiano. Il Manuzio, in più lettere che scrive al Ferrari, parla del libro da questo composto, intitolato De. disciplina Encyclio, che è in somma una introduzione alla Filosofia d’Aristotele, stampata dal Manuzio nel 1560; e di questo libro ragiona sempre con grandissime lodi (Epist l. 5, ep. 3, 11, 12, 15; /. 1 o, ep. 11), e scrivendo a Francesco Ciceri nel 1570,;!Mihi, gli dice (l. 10, ep. 10), cum Ferrario triginta jam annos eoque amplius arctissima intercedit necessitudo; quo primum die mihi cognitus est, ingenium et futurae doctrinae principia prospexi; postea mores in consuetudine provavi: [p. 1294 modifica]i294 unno inde ortus est utrinque amor, qui ne umquam deficeret, alereturque potius, et ad summum produceretur, ille suae virtutis, ego rneae meri tis in illuni observantiae praestitimus. Anche tra le Lettere italiane del Manuzio ne abbiamo una al Ferrari nel 1555, in cui il consola per la perdita della moglie poc’ anzi mortagli (Lettere, p. 11). Il Poggiano ancora molte lettere scrive al Ferrari, dalle quali si scuopre in quanta stima ei lo tenesse (Pogian. Epist. t. 4, p 109), 153, 270, 328, 356). Il P. Lagomarsini nelle sue note a queste Lettere, quattro ne ha pubblicate dal Ferrari scritte in risposta al Poggiano, tratte da un codice della biblioteca Barberina (ib. p. 116, 163 276, 335)) nella terza delle quali, scritta da Milano nel 1567, parla dello studio che fatto avea della medicina: Non ego Philosophiam tantum excolui: etiam Medie ina e seicntiam amavi; in qua quid profecerim, tacilus pmete ri ho: dicam iliud, me nondum poenitere vigilarum. Medici tamen opus, quod unum ut faecundius nemo non consectatur, quia male oderam, longe refugi: itaque nec me ipsum, nec ex domesticis alium quemquam, si quando iis morbus incidit, domi curo: foris vero ne accersitus quidem et invitatus mercede viso aegrotos. Il Padre Lagomarsini a questa occasione (ib. p. 109) confuta l'errore dell’Argelati che afferma che (Girolamo Ferrari autore delle Emendazionii delle Filippiche di Cicerone, fu figliuol di Ottaviano. E a vero dire, se questi era nato nel 1508 (anzi più probabilmente nel 1518, come crede lo stesso [p. 1295 modifica]TERZO' *39^ p I.agoninrsini), come poteva egli avere un figliuolo che nel 1543 fosse già capace d intraj)rendere lai fatica ì Al che aggiungasi che Ottaviano, in una sua lettera al Poggiano del 1567 (ib. p.117), dice che suo figliuolo (e nominando così in generale fa conoscere che aveane un solo) avea cinque anni: Filius meus annos quinque natus. Ei crede perciò, che il detto Girolamo fosse anzi il padre di Ottaviano, cui in fatti lo stesso Argelati dice figliuol di un Girolamo. Ma, a dir vero, il comentatore delle Filippiche non fu nè il padre, nè il figliuol di Ottaviano, anzi non fu pur milanese, ma natio di Correggio (a). Due testimoni contemporanei non ce ne lasciano dubitare. Il primo è Ortensio Laudi che così ne dice: Girolamo Ferrari da Correggio e stato eloquentissimo et di Cicerone osservantissimo; benché la maggior yurte delle sue fatiche sia rimasta nascosta. l\lorì in Roma presso il Cardinal Farnese (Cataloghi, p. 460). L1 altro ancor più autorevole è Pt.T,r* Manuzio, il quale dedicando al cardinale Alessandro Cesarmi la terza parte delle Orazioni di Cicerone, Quamobrent, dice, <a) Che Girolamo Ferrari il commentatore delle Filippiche fosse natio di Correggio, si è anche con maggior evidenza provato nella Biblioteca modenese ((. 2. p. 273), ove si è recata 1'iscrizion sepolcrale postagli in Roma. È certo però, che Ottaviano Ferrari ebbe un figlio per nome Girolamo, il quale nel 1575, cioè trentatrè anni dopo la pubblicazione del Comento sulle Filippiche, era giovinetto di ottime speranze, come ci mostra una lettera in quell'anno a lui scritta da Francesco Ciceri (Cicer. Epist. t. 2, p. i4ffi [p. 1296 modifica]I2C)6 LIBRO Uieronymus Ferrarius Corrigiensis qui se ¡am- i prìdern tibi addi se it, homo et ingenii et judicii laude prae stari ti ss ini us, cu/n «//a, a /<» fuibet, praedicare solitus est, tum illud vel maxime, quod domi tuae vivens, te permittente, atque adeo libente, totum diem in literis ponit, et otio fruitur tanto, quantum deserta in regione vix esset, cujus ex ingenio, qui fnictus pereipiun tur, qui certe maximi sunt, /V j/i/ic liberalitati referuntur accepti. A te habemus, Ferrarius in veterum scriptis vel correctione restituit, vel explicatione illustrat; a te Emcndationcs in Philip piras Ciceronis, quas ille plurimas atque optimas ad me misit, quae jam jamque edentur, a te, inquam, omnes sunt. Itaque eli am ras ipsas Orai ione s, «i n Ferrano, ìV/cìì n /e, restii utas. et quac prae te re a in hoc tertio co- 1 lumine contincntur ¿/òz inscriptas atquc I dicatas emittimus. In fatti nel 1543 uscirono l dalle stampe di Paolo le Emendationes in Philippicas Ciceronis del Ferrari, il quale poscia in quell’ anno medesimo, nella ancor fresca età di quarantini anni, finì di vivere, come raccogliesi dalla iscrizion sepolcrale prodotta, dopo J altri, dal ch. sig. Girolamo Colleoni (Scrittori ' di Corregg. p. 32). Or tornando ad Ottavia- 1 no, alcune altre opere e stampate e inedite ne annovera l’Argelati. Ma fra esse noi dob- I biam considerare quella De Origine Romano- 1 • rum. Niuno con più forza di lui ha impugnati i supposti scrittori pubblicati da Annio, nel che fare egli impiega gran parte del suo libro. I E questo, benchè non sia esente d’errori, 1 [p. 1297 modifica]TERZO ' 1 ^97 mostra nondimeno e la molta erudizion del Ferrari, e il buon senso di cui era dotato, col seguire ch’ ei fa la traccia de migliori tra gli scrittori greci e latini, le cui autorità egli vien fedelmente recando. XXXIII. L ultimo di questo secolo a scrivere su questo argomento fu Pier Leone Casella natio dell’Aquila in Abbruzzo. Di lui, mentre era ancor giovane, parla con molti elogi Luca Contile in alcune lettere. Scrivendo da Milano nel i5(io a monsignor Francesco Castiglione, quel desso, io credo, ch era allora commendatario del monastero di S. Abondio in Como, e che fu poi vescovo di Bobbio, Il portator di questa, gli dice (Contile, Lett. t. 2, p. 272), è M. Pierleone Casella, gentil giovane et nobile, nato nella Città dell Aquila', et tanto più mi piace il lodarlo, quanto più mi sono per pruova certificato delle molte sue buone qualità e di Lettere e di costumi, di maniera che sono di gran lunga rimaso di lui non che soddisfatto, ma veramente stupito, perchè la molta cognizione, ch egli ha della poesia e del buon stile Latino, avanza molto l età sua, et mi rallegro con lei, ch egli venga a' suoi servigi. In un’ altra dell an 1562 rallegrasi col Casella che studi le leggi (ivi, p. 383), e in un' altra dello stesso anno lo esorta a soffrir con coraggio non so quai colpi di avversa fortuna, e gli dà avviso di aver ricevuti i suoi Epigrammi, cui egli spera di trovare, leggendoli, assai eleganti (ivi, p. 39.^). Questo è ciò solo ch io trovo intorno al Casella. L' opera De primis Italiae Colonis da [p. 1298 modifica]1298 Litro lui composta uscì in Lione nel 1606, e fu poi inserita nella Raccolta degli Storici dell’ Italia, fatta dal Grevio e dal Burmanno (t.. 1). Essa però non parmi che corrisponda, nè quanto allo stile, nè quanto alla critica, all’ aspettazione che ne avea il Contile. Egli ancora dà per supposti gli autori Anniani; ma ciò non ostante ei ci mette innanzi certe serie genealogiche dei primi re italiani che hanno troppo del favoloso; poco uso fa delle lapide; asserisce più cose senza recarne pruova;#e le citazioni medesime, quando egli non le dimentica, sono indeterminate e vaghe; e dopo le opere degli altri scrittori precedenti, pareva che qualche cosa migliore si potesse da lui attendere. Alla detta opera nell edizion di Lione un’ altra ne va aggiunta di somigliante argomento, cioè Dell origine de Toscani e della Repubblica fiorentina, cogli Elogi di alcuni illustri artefici, e con una Raccolta di Epigrammi e d’iscrizioni; opere, delle quali, non avendole io vedute, non so decidere in qual pregio debbansi avere. XXXIV7. Benché la storia romana dalla maggior parte degli scrittori finor mentovati ricevesse non poco lume per le tante antichità scoperte ed illustrate, pe’ tanti antichi scrittori rischiarati con ampii comenti, per tanti eruditi trattati sulle leggi e sulle costumanze romane, niuno nondimeno fu in questo secolo tra gl Italiani, che prendesse a scrivere una seguita e.ben ordinata storia della romana Repubblica. Si attese allora soltanto a raccogliere, per così dire, i gran materiali che a tal vasto edificio [p. 1299 modifica]tekzo i ngi) erano necessari, c si lasciò a posteri la gloria di sollevarlo da’ fondamenti. E lo stesso dee dirsi della storia degl'imperadori romani, perciocchè appena merita di essere qui rammentata quella che di essi ci diede Antonio Cecca rei li ila Foligno nel 1590. Lasciando dunque questa materia, che non ci dà argomento di molta gloria all Italia, passiamo a quelli che non paghi della storia de’ tempi antichi, scesero, quai più, quai meno, fin a’ moderni, dandoci storie generali. Anche in questo genere nondimeno non abbiam cose di molto valore. Uno de’ primi in questo secolo a intraprendere tal lavoro fu Marco Guazzo, nato in Padova di padre mantovano e di donna veneziana (V. Zeno, Note al Fontan t. 2, p. 229), di cui si stampò in Venezia nel 1553 La Chronica dal principio del mondo fino a questi tempi) oltre la Storia partì colar delle cose avvenute dal 1524 al 1540 continuata poi fino al i544> c l;* Storia della venuta e partita d Italia di Carlo VIII, e quella delle guerre fatte co’ Turchi. Giovanni Tarcagnota natio di Gaeta, ma oriondo della Morea, e di famiglia g'à imparentata co’ Paleologi, ma costretta poi per le sinistre avventure a ricoverarsi in Italia, ci diede egli pure una Storia del Mondo dal principio sino al 1513, continuata poi da lui stesso, e da Mambrino Roseo e da Bartolommeo Dionigi da Fano fino al 1606 (ivi p. 225). La Cronologia universale dalla Creazione di Adamo fino al 1581 di Girolamo Bardi nobile fiorentino, prima monaco camaldolese, poi prete secolare, e autore di più altre opere storiche (V. Mazzucch. t. 2, [p. 1300 modifica]l30O LIBRO par. i, p. 335), Tu opera che al suo autore dovette costare non leggera fatica. Ma appena vi ha ora chi ne faccia uso alcuno. Lo stesso dee dirsi della Storia universale dal principio del Mondo fino al di Gasparo Bugatti milanese dell’ Ordine de’ Predicatori, di cui parimente si hanno più altre opere storiche (ivi, par. 4) p 2278)j e di quella di Cipriano Manente da Orvieto dall’an 970 fino al 1553. Scarse ancor son le notizie che ci dà Agostino Ferentilli nel suo Discorso delle Monarchie del Mondo. L’ Epitome latina del P. Orazio Torsellini romano della Compagnia di Gesù è scritta' con molta eleganza, come tutte le altre opere di questo scrittore, fra le quali alla storia appartengono la Vita di S. Francesco Saverio e la Storia della santa Casa di Loreto. Ma l’amore di brevità rende troppo ristretto questo compendio, che per altro tra’ pubblicati in quel secolo è per avventura il migliore. Per ultimo, lasciando in disparte altre opere di minor conto, deesi qui rammentare Francesco Sansovino autore di una Cronologia del Mondo, stampata nel 1586, non perchè questo libro sia di gran valore, ma perchè fautor di esso per le molte fatiche fatte a pro delle lettere merita di essere ricordato con qualche elogio. Ei fu figliuolo del celebre architetto Jacopo Sansovino. Francesco ci ha date egli stesso le principali notizie della sua vita in una lettera a Gianfilippo Magnanini al fine del suo libro intitolato il Segretario, e ne parla anche il P. Niceron (Mém, des Homm. ill. t. 22, p. 76, ec.). Ei nacque in Roma nel 1521, e vi stette fino [p. 1301 modifica]TERZO l3oi al 152*7, nel qual anno, dopo il funesto sacco di quella città, ne parti con suo padre, il qual pensava di andar col figlio a Parigi, ove invitavalo il re Francesco I. Ma giunto a \ enezia, così si compiacque di quel soggiorno, che vi fissò la sua dimora. Fece ivi ammaestrare il giovinetto Francesco nelle lingue greca e latina sotto alcuni illustri maestri, tra quali fu Giovita Rapicio: e risoluto di farne un solenne dottore, mandollo a Padova. Ma più che le troppo severe leggi, piacevano a Francesco gli ameni studi della letteratura, e ottenne perciò di essere ammesso nell1 accademia degl*Infiammali di fresco eretta. Di che Jacopo sdegnossi per modo, che venuto a Padova, e trattenutosi per due giorni, non si lasciò mai vedere al figliuolo, come questi racconta in una sua lettera a Pietro Aretino, scritta da Padova a 5 di ottobre del 1540 (Letter. alfsirvt. p. 330). Per placare il padre, convenne ch’ei tornasse alle leggi, e che passasse perciò a Bologna e ne prendesse la laurea; ma poscia diè lor di nuovo congedo, e tutto sì volse alla letteratura. L'an 1550, udita l’elezione di Giulio III, da cui era stato tenuto a battesimo, volò a Roma pieno di grandi speranze; ma vedendo che altro frutto non ne traeva che il voto titolo di camerier pontificio, con cui si sottoscrive in lettera all'Aretino de 27 di giugno del detto anno (ivi, p. 335), da Roma tornossene a Venezia, e deposto il disegno di entrare nello stato clericale, menò moglie, e continuò a coltivar tranquillamente i suoi studi, or tenendo egli medesimo la sua stamperia, or correggendo [p. 1302 modifica]i3o3- unno in quella ili Gabriello Giolito {Zeno, Note al Fontan. t i, p. 21; t. 2, p. 462), fino al 1586 che fu ultimo della sua vita {a). Grandissimo è il numero delle opere da lui composte; e il lor numero stesso è cagione che l'esattezza non sia il principale lor pregio. Molte son traduzioni di autori latini e greci; molte ci offrono osservazioni e note su diversi scrittori antichi e # moderni; molte sono Raccolte di lettere, di orazioni e di poesie altrui, alle quali suol frammischiare le sue; altre appartengono a gramatica, altre ad eloquenza, altre a politica e ad altri argomenti. Riguardo alla storia, oltre la detta Cronologia, abbiamo il libro Del Governo de Regni e delle Repubbliche antiche e moderne, l’Istituzione dell' Ordine del Toson d oro, e l Origine de’ Cavalieri, l’opera intitolata Venezia descritta, e quella Delle cose notabi li di Vme zi a, la Storia dell' Impero de' Turchi, e gli Annali Turcheschi, la Storia della Casa Orsina, i Principi della Casa d Austria, il libro dell’ Origine e Fasti delle Famiglie illustri dItalia, e il Ritratto delle più nobili Città d Italia, ec.; opere nelle quali si trovano molte buone e rare notizie, ma miste a molte altre dubbiose, o false, per cui non possiamo fidarci a ciò che in esse si afferma. Il catalogo delle opere del Sansovino si può leggere presso il P. Niceron, a cui però si posson fare non 0) L’epoca della morte di Francesco Sansovino è sfata meglio fissata dall’ eruditissimo sig. Annibale tlegli Aliati Olivieri a’ ad di settembre del i583 in Venezia (Archiatr. ponti/, t. t, p. 33o). [p. 1303 modifica]TERZO 13o3 poche giunte, tratte dall’ultima edizione della Biblioteca dell Haym, XXXV. Più esatta e più utile sarebbe stata la Storia di Pier Francesco Giambullari fiorentino, se avesse potuto condurla a fine. Avea egli intrapreso a scrivere una Storia generale d'Europa, cominciando dal principio del IX secolo; e veggendo che le altre Storie finallora pubblicate erano o superficiali, o favolose, avea raccolta gran copia di scrittori antichi e moderni di qualunque nazione per confrontargli tra loro, e discutere i lor racconti. Ma egli giunto al libro settimo, cioè all’an 913, finì di vivere in età di circa sessantanovc anni nel 1563, e la sua Storia non fu stampata che due anni appresso. Era egli canonico della collegiata di S. Lorenzo, e nel 1547 fu consolo dell’Accademia fiorentina, della quale era già stato uno de’ fondatori. Copiose notizie di lui si posson vedere e nell’orazione nella morte di esso recitata da Cosimo Bartoli, che va aggiunta alla Storia, e nelle Notizie dell’Accademia fiorentina (p. 18), e nei’ Fasti consolari della medesima (p. 67). Ei fu ancora assai benemerito della lingua toscana«e pel Dialogo intitolato il Gello, ove tratta dell’origine della medesima, e per le Lezioni da lui recitate nell’Accademia, altre a sposizione di Dante, altre su diversi argomenti, e per diverse altre opere, il cui catalogo ci vien dato dagli autori de’ libri poc’anzi accennati. A questi scrittori di storia generale altri ne aggiugnerò a questo luogo, che, benchè prendessero ad argomento de’ loro racconti o le sole vicende italiane, o qualche parte di esse, perché [p. 1304 modifica]i3r>4 Linno nondimeno trattennersi ne tempi da noi più rimoti, possono andar del pari co’ mentovati finora. L'Italia travagliata di F. Umberto Locato piacentino dell’Ordine de’ Predicatori, e vescovo di Bagnarea, in cui comprende le guerre tutte d’Italia dalla venuta di Enea sino a’ suoi tempi, appena or trova lettori, ne è molto meritevole di ritrovarne. Tre scrittori quasi al tempo medesimo presero a scriver la Storia della celebre contessa Matilda, d Silvano Razzi camaldolese, Guido Mellini fiorentino e d Benedetto Lucchini mantovano monaco casinese; e questi due ultimi, i quali anche vennero insieme a contesa su alcuni punti, sforzaronsi di richiamare i monumenti e la critica a lor soccorso; e in alcune cose dissiparono felicemente le tenebre, ma in molte ancora caddero in non piccioli falli, come han poscia provato forniti di migliori lumi i posteriori scrittori. Ma queste opere e questi scrittori svaniscono innanzi all’ immortale Sigonio. Egli è il solo che fra la folta caligine de barbari secoli passeggia con piè sicuro e sparge luce per ogni parte. Di lui però si è già detto poc anzi, e non dobbiam qui trattenerci in inutili ripetizioni. XXXVI. Più agevol cosa era lo scrivere la storia delle cose avvenute a suoi tempi, delle quali gli scrittori medesimi o erano stati testimonii di veduta, o potevano esserne di leggieri informati da chi in esse avea avuta non picciola parte. E molti in fatti tra gl Italiani entrarono in questo campo, scrivendo le cose a tempi loro accadute o in tutta l’Europa o [p. 1305 modifica]TERZO i3o5 nell’Italia; ed essendo questa allora il teatro di guerra delle più potenti nazioni e de’ più grandi monarchi, la storia di essa perciò può considerarsi come storia di una gran parte dell Europa. Questi dovrebbon godere della fama di scrittori sicuri e degni di fede; perciocchè qual cosa potea loro mancare ad accertarsi con esattezza de’ fatti che doveano esporre? E nondimeno anche nel leggere le loro Storie ci conviene avanzarci con piede assai cauto, se non vogliamo ch’ esse ci traggan seco in errore. Oltre quell’ incertezza che spesso s incontra anche in quelle cose che quasi si hanno sott’ occhio, oltre quei’ falli ne’ quali sovente si cade per negligenza di ricerche, o per infelicità di memoria, lo spirito di partito regge talmente le penne di molti scrittori, e di que’ principalmente che non sono insensibili alle lusinghe dell’ oro, che o acciecati traveggono, o chiudon gli occhi per non vedere, o scrivono ciò che la passione, qualunque ella sia, lor persuade e consiglia. E il primo appunto tra gli storici di questo secolo, di cui ora entriamo a parlare, fu forse più di ogni altro accusato di aver la penna venale, e di lodare, o di biasimare a proporzione del premio che gli veniva promesso. Ognun vede ch io parlo del celebre Paolo Giovio, uomo certamente e colto e dotto al par d’ ogni altro, ma di non troppo onorevol fama tra gli scrittori di storia. Molti ragionan di lui, e sulle lor tracce ne ha scritta la Vita il P. Niceron (t. 25,p. 358), ma ella in molte cose è mancante, e io perciò procurerò di raccoglierne TinA.DOSCUi, Voi. XII. io [p. 1306 modifica]|3o6 LIBRO le più esatte notizie, esaminando ancor poscia qual fede e qual lode si debba alle opere da lui lasciateci. XXXVII. Como fu la patria di Paolo Giovio, ov’ egli nacque a’ 19 di aprile del 1483, e rimasto privo del padre in assai tenera età, fu affidato alla cura di Benedetto suo fratello maggiore, da cui fu diligentemente istruito ne’ buoni studi, come Paolo stesso con senso di animo grato racconta (in Elog.). Il Ghilini dice (Teatro, t. 3, p. 358) che Paolo superò poscia di gran lunga il fratello, ma ciò che diremo di Benedetto nel trattare degli scrittori della Storia di Como, ci renderà forse alquanto dubbiosa questa asserzione. Questi nella sua Storia di Como fa menzione di Paolo suo fratello, e dice clic nel fior degli anni recossi a Roma, ove avendo cominciato a scrivere la sua Storia, e avendone già composto un volume, il pontefice Leon X chiamollo a sè, e innanzi a cardinali e agli ambasciatori ivi presenti, ne lesse egli stesso un gran tratto; e confessò che dopo Livio non avea trovato il più elegante e il più eloquente scrittore; aggiugne che morto poco appresso Leone, Adriano \ 1 di lui successore gli diede un canonicato nella cattedrale di Como, a condizione però, che facesse di lui onorevol menzione nella sua Storia; e che Clemente VII, dichiaratolo suo cortigiano e commensale, gli diè alloggio nel Vaticano, gli assegnò il cotidiano mantenimento per lui e pe’ domestici che avea, gli conferì la precettoria di S. Antonio presso Como, e finalmente il fece vescovo di Nocera, > [p. 1307 modifica]TERZO l3o7 olire più ni tri doni, di cui in varie occasioni gli fu liberale. Tutto ciò Benedetto Giovio (ad calc. l 2 Ilisi. Novo coi a.). Ma di alcune cose ci convien ricercare più attentamente. Quando ei passasse a Roma, niuno ne ha lasciata memoria. Ma benchè Benedetto affermi ch’ei fece (quel viaggio nel fior degli anni, non deesi però ciò intender per modo che Paolo non passasse una parte della sua gioventù in Como, in Padova, in Pavia e in Milano. Nella università di Padova fu scolaro del Pomponazzi, com egli stesso racconta (Elog. Viror. liter. ill. p. 44) edit. ven. 1546), e ivi ancor dice di aver udito, ed anche in Milano, Lodovico Celio Rodigino (ib. p. 70). In Pavia racconta di essere stato presente (ib. p. 4°) » quando Luigi XII onorò di sua presenza Giasone Maino, il che accadde, come altrove si è detto (t. 6, par. 1), nel 1507. In questa città, per soddisfare alle brame di suo fratello, prese la laurea in medicina, e cominciò ad esercitare quell’ arte in Como e in Milano j e poiché abbiamo udito da lui affermarsi che in questa seconda città udì il Rodigino, il quale, come si è poc’ anzi avvertito, fu colà chiamato nel 1516, convien dire che solo dopo quell anno passasse il Giovio a Roma. Ivi continuò dapprima per qualche tempo ad esercitare la stessa.arte perciocchè innanzi al libro de’ Pesci, stampato nel 1524, s intitola medico e il Calcagnini, in una lettera a Jacopo Zieft'ero, lo dice magni nominis Medicus (Op. p 101). In Roma egli si strinse in amicizia con tutti i leggiadri spiriti che la magnificenza [p. 1308 modifica]13c8 LIBRO ili Leon X avea colà condotti, e meritò perciò di aver luogo nell’ elegia di Francesco Arsilli De Poetis urbanis, di cui diremo altrove. In fatti benchè Adriano VI nel dargli un beneficio si dichiarasse che volentier gliel dava, perchè era 110111 dotto e scrittor elegante, ma non poeta (Jov. in Vita Hadrian. VI), alcuni versi però se ne hanno nella Raccolta Coriciana. Lo studio principale del Giovio fu allora quel della storia; e abbiam già udito con quanto applauso e onore ne fosse accolto il principio da Leon X. Questi gli diè per metà un di quei posti da cavaliere che seco portavano annessa una pensione, e ne avrebbe probabilmente avute più ampie ricompense, se quel magnanimo pontefice non fosse stato da immatura morte rapito. Adriano VI gli tolse il dono di Leone, ma invece gli conferì un canonicato in patria, con patto, come si è detto, che di lui parlasse onorevolmente nelle sue Storie. E innoltre volendo il papa mandare a Federico duca di Mantova il bastone e lo stendardo di capitano di Santa Chiesa, destinò il Giovio a portarglielo, come questi racconta in una sua lettera inedita a D. Ferrante Gonzaga, di cui ho copia. E il Giovio non mancò di parola, perciocchè nella Vita di quel pontefice il loda quanto più può, e come meglio può ne copre i difetti. Ma come se a nulla più ei fosse tenuto verso il suo benefattore, ne parla altrove con gran disprezzo, e singolarmente nel libro De Piscibus romanis, nel cui principio lo dice uomo stupido e affatto inabile agli affari. Abbiamo altrove parlato del [p. 1309 modifica]TERZO 1309 detto libro, e abbiam mostrato che le speranze che per esso egli avea riposte nel Cardinal di Bourbon, rimaser deluse. Clemente VII fu più liberale con lui, come abbiamo udito narrarsi da Benedetto, e n ebbe fra le altre cose nel 1528 il vescovado di Nocera de’ Pagani (rt)- L1 anno precedente però era stato al Giovio fatale; perciocchè, se crediamo al racconto che ce ne fa egli stesso (ante Epit. l. 5 llist.)j avea egli prima del sacco occultata nel tempio di S. Maria sopra Minerva una cassa ferrata, in cui erano cento pesi di argento lavorato, e i libri mss. della sua Storia. Due capitani spagnuoli, di cognome Errera il primo, Gamboa il secondo, aprirono quella cassa, e il secondo pago del ritrovato argento, lasciò all altro i libri e l Errera, presi que’ soli ch’ erano scritti in pergamena, e nobilmente coperti, gittò gli altri scritti incarta, die andarono dispersi e servirono, com egli dice, ad usi ignobili. L Errera conoscendo ch' eran del Giovio, portò a lui stesso que primi, chiedendogli se volea riscattarli; ed egli che avea perduta ogni cosa, espone l infelice suo stato al pontefice, il quale mossone a pietà, concedette all Errera un beneficio ecclesiastico, ch’egli desiderava in Cordova sua patria, e ricuperati (a) L'abnte Marini non avea trovato alcun fondamento a provare ciò che altri aveano scritto, che il (ìiovio fosse stalo medico di (demente VII (Archiatri pontif. t. i,p 33o). Ma egli ha poi avuto sottocchio un Consulto da lui stampato del i523 per certo olio antipestilenziale, a cui si sottoscrive col titolo Phr-ucut D. P. P. [p. 1310 modifica]l3lO LIBRO così i libri, li rende al loro autore. A questo fatto sembra che alluda il Giraldi 7 ove par. laudo degli amici che avea lasciati in Roma, quando ne partì dopo il sacco, dice: Nec Jovius Medicus, vitam qui pmropnt unni * Histonis auro et multa mercede redemptis. Op. t. 2, p. 9i5. IlGiovio non fu ugualmente contento di Paolo III; perciocchè, bramando egli di esser trasferito al vescovado di Como, nol potè mai ottenére. L)i clic sdegnalo, quando stampò le sue Storie, premise ad esse una lettera di Andrea Alciati, in cui gli scrive dolendosi del grave torto che il pontefice gli avea fatto, e del pontefice stesso parla con gran disprezzo, lettera però, che si crede da alcuni finta dal Giovio stesso, anzi finallora ne corse il sospetto, come raccogliam da una lettera del medesimo Giovio (Let. p. 4$)• ih questo suo risentimento ci lasciò egli una troppo evidente ripruova in una sua lettera a M. Galeazzo Florimonte, scritta da Firenze a’ 3 di ottobre del 1551: Alla barba di Papa Paolo, dic egli (ivi, p. 58), mi fiorisce in capo la memoria viva,, laudato Dio, sebbene sono stroppiate le gambe, talmente ch' io spero vivere un pezzo dopo morte con lode et honesto piacere di coloro, che leggeranno le vigilie mie. Et se Papa Paolo non mi stimò degno della mitra della patria mia, posponendomi ad altri, et mi burlò per giunta della pensione promessa, non però resto d' esser vivo, et di contentarmi di quel tanto, che ho, accrescendolo con la frugalità mia, [p. 1311 modifica]TERZO 131 1 mas sìinamente non havendo io più il rabbioso capriccio di edificare, havendomene cavata la foja assai compitamente. È probabile che al pontefice Paolo III, zelantissimo per la riforma del clero, spiacesse alquanto la condotta del Giovio, che, secondo alcuni scrittori di que’ tempi, non era molto austera, come anche si raccoglie da alcune sue lettere che non sono troppo conformi alla decenza e alla gravità ecclesiastica e vescovile. Ma il Giovio, che per le predizioni già fattegli da Luca Gaurico e da qualche altro astrologo, era entrato in isperanza di divenir cardinale (ivi, p. 66), sdegnato al vedersi non curato da Paolo, lasciata Roma, andossene a Como nel lò'q), c indi verso il settembre del 1550 a Firenze, ove poscia due anni appresso, cioè agli 11 di dicembre del 1552 finì di vivere, e il corp » ne fu onorevolmente sepolto nella basilica di S. Lorenzo con una iscrizione che si riporta dal P. Ni cero il e da più altri scrittori. XXXVIIL Tra le molte opere del Giovio, quella che gli ha conciliata fama insieme e biasimo maggiore, è quella delle sue Storie. Quando egli cominciò a lasciarle andar manoscritte per le mani de’dotti, ebber dapprima gran plauso, (.Celio Calcagnini, scrivendone a Jacopo Zieglero, Ne historia etiam, gli dice (Op. p. 101), nostrorum temporum desideraretur, Paullus Jovius ut magis mireris, magni nominis Medicus, tam luculenter, tam docte, tam eleganter scribit nostri, temporis historiam, cujus decem jam libros edidit, ut pudeat me de homine tam diserto tam indiserte scribere; ove però la voce edidit non si [p. 1312 modifica]l3l2 LIBRO dee intender di stampa, che non srguì se non dopo la morte del Caleagnini, ma solo di copie a penna che ne correvan per Roma. Con molta lode ancora parlò di lui e della Storia che stava scrivendo, in alcune sue lettere il Sadoleto, il qual ne loda non solo l’erudizione, ma la cortesia ancora, e il favorir che faceva senza alcun sentimento d’invidia gli studi altrui (Epist, famil. t. 1, p. 212, 351; t 2, p. ic)4, ec.). Io nulla dirò delle lodi che gli dà Pietro Aretino Lettere, t. 1,p. 272; t. 2, p. 53, 117), perchè ogni cosa in bocca di questo impostore è sospetta. Più sincere son quelle con cui Pierio Valeriano a lui dedica il trentesimo libro de’ suoi Geroglifici, ove n esalta la moltiplice erudizione, accennando singolarmente il libro De Pesci, che allora scriveva. Presto però cominciarono alcuni a veder nel Giovio uno scrittore il cui primario fine non era altro che quello di arricchir co’suoi studi, e di ottener premii e ricompense da quelli cui egli lodava, e di anteporre perciò, ove gli tornasse in acconcio, l’adulazione alla verità. Il Jovio, scrive Girolamo Negri a Marcantonio Micheli a’ 6 di dicembre del 1525 Lett, de Principi, t. 3, p. 550, ed. ven. 1577), è andato a Napoli ad affrontare il suo Marchese del Vasto, et ilmpcradore con le sue historie. E Benedetto Teocreno, scrivendo al medesimo Giovio che pregato lo avea a lodar le sue Storie presso il re Francesco I, dice di averlo fatto, ma francamente lo avverte a dire il vero, e a sfuggire ogni sospetto di falsità e di menzogna post Gudii Epist. p. 142). Il Bayle fa un lungo novero di scrittori [p. 1313 modifica]tf.hzo. 1313 che danno al Giovio la faccia di scrittor prezzolato (Dict. art. Jovius), e molti altri, che tutti afferman lo stesso, produce il Pope Blount (Cens. celebr. Auctor. p. Ci)3). Più apertamente di tutti si scagliò contro del Giovio Girolamo Muzio che ne fa questo giudizio: Il Jovio nelle scritture sue fu negligentissimo, e tutta la diligenza sua fu di proccacciar che altri gli donasse; et chi gli donava era il suo soggetto, Nel rimanente scriveva ciò, ch'egli udiva da costui et da colui senza chiarirsi del vero (Del Gentiluomo, l. 2, p. 166); e aggiugne che alcuni prendeansi beffe di lui,. raccontandogli solenni favole, ch’egli inseriva tosto nelle sue Storie; e che avvertito da alcuni ad esser più cauto, solea rispondere che ciò poco importava, perciocchè morti i viventi, ogni cosa sarebbesi avuta per vera. Il quale giudizio però parve troppo severo a Traiano Boccalini. Questi, dopo aver fatto accusare il Giovio innanzi ad Apolline (Centur. 2, ragg. 94) per le lacune lasciate nelle sue Storie, le quali egli avrebbe facilmente potuto riempire, se avesse in ciò occupato quelle preziose hore del verno innanzi la cena, ch egli gettò nel dar col suo giovial genio trattenimento a Cardinali Farnesi e Carpi, e per le troppe lodi da esso date a Cosimo de Medici e a’ marchesi di Pescara e del \ aslo pe’doni da essi ricevuti, fa dire al Muzio che le Storie del Giovio son piene di bugie) ma sfidato a provarlo, risponde che l ha udito dire, e perciò egli è dichiarato un di quegli ignoranti che accusavano il Giovio mai da essi non letto. Io credo, a dir vero, [p. 1314 modifica]1314 Linno che questo scrittore venga forse tacciato e ripreso più che non merita. Ma conviene ancor confessare che nelle confidenziali sue lettere troppo egli scuopre il suo talento di lodare e di biasimare secondo i riguardi che per lui aveano le persone di cui scrivea: Sapete bene scriv egli Lett. p. 12), che l' hi storia dee esser sincera, nè punto bisogna in essa scherzare se non in una certa et poca latitudine donata allo Scrittore per antico privilegio di potere aggravare et alleggerire le persone dei' vizii, ne quali peccano, come per lo contrario con florida et digiuna eloquenza alzare et abbassare le virtù secondo i contrapesi et meri li, loro. Altrimenti io starei fresco, se gli amici miei e padroni non mi dovessero essere obbligati, quando gli faccio valere la sua lira un terzo più che a poco buoni et malcostumati Lieti s afe te, che con questo santo privilegio ne ho vestito alcuni di broccato ricco, et al rovescio alcuni per loro meriti di brutto canovaccio, et zara a chi tocca, e se essi haranno saette da berzagliare, noi giocheremo di artiglieria grossa, et poi a rifare del resto a chi si harà il peggio. So ben io, ch' essi morranno, et noi camperemo dopo la morte, ultima linea delle controversie. E altrove ancora più chiaramente scuopre che l interesse era il primo scopo di tutti i suoi studi: Voi sapete, che adesso sto in ocio e non lavoro, quia nemo nos conduxit, idest imperavit quicquam Minervae nostrae. Cominciai già a descrivere delli Imperi del Mondo cognito, per mostrare di sapere! /ustorie moderne, et per mandarle [p. 1315 modifica]TERZO I 315 in greppo, la Corografia, nella quale tanto ho stentato, et per uscire in Filosofia di politica e canonica et medicinale et celestiale; et mai non trovai palo d appoggiare la vite mia; perchè sapete bene, ch io non voglio studiare se non in pelle di martire o di lupo cervero, perchè le volpe et castroni danno troppo gran tanfo; et che io non cavalco mule strette in torculi da berrette, et pasciute a segature di tavola, et ch io non voglio servitori con calcagni di calze rotte senza scarpini; et ch io voglio mangiare due volte il dì et con minestra. et ch io voglio foco da S. Francesco a S Giorgio, et ch io non voglio debito per essere inzaffranato in Cancelleria. A fare questo non si può l uomo alambiccare il cervello impensis propriis (ivi, p. 100, ec.). Narrano molti ch ei fosse solito a dire che avea due penne, l una d’oro e l’altra di ferro, celie valeasi or dell una, or dell’ altra secondo il bisogno. Certo di quella d’ oro ei fa menzione nelle sue lettere, come scrivendo al re di Francia Arrigo: Io ho già temperata la penna d oro col finissimo inchiostro per scrivere in carte di lunga vita, ec. (ivi, p. i\\) *, e al sig. Giambatista Guastaldo: Già ho temperata la penna, d oro per celebrare il valor vostro (ivi, p. 55). All rove però ei si protesta di scrivere per puro amore del vero; anzi dà ad altri la faccia di storici mercenarj: Nè pensi V. S., scrive a Lelio Torelli (ivi, p. i\ i), che in questo caso io vada uccellando in forma di Marco Guazzo, o d altri simili imbrattatori di carte, premio alcuno per far miglior vita di quel ch'io [p. 1316 modifica]I 316 LIBRO faccio; parole che avrebbono qualche forza, se non fossero in troppo aperta contraddizione colle altre soprarrecate. Un’ altra taccia vien data al Giovio, cioè di una poco lodevole gelosia di esser solo a’ suo tempi lo scrittore di storia. Harei salutato il Giovio da vostra parte, scrive Girolamo Negri a Marcantonio Micheli Lett, de Principi, t. 1, p. 99), ma è andato a Mantova, già sei dì, coi Brevi del Capitano della Chiesa et dei Fiorentini al Marchese, dal quale spera buona mancia. È in rotta coll'Alcionio, perchè gli è stato detto, che l'Alcionio scrive historia, la quale impresa egli non vuol Cedere ad alcuno. Finalmente anche lo stile del Giovio non andò esente da critica J e non può negarsi ch’ esso non sia più sonoro che elegante e sul che scherzando Aonio Paleario in una lettera, Quod de Jovio rogas, scrive (Palear. l. 1, ep. 17)) senex satis belle historiam condit, in qua non modo res gestas, sed mores et insti tutti non modo regum sed prope omnium gentium prosequitur suo quodam dicendi genere grandi ac fuso et bene sonanti, a quo tamen saepe. abest castitas, tu vitac f orlasse dicis, ego etiam orationis. Benchè però le Storie del Giovio abbian tutti questi difetti, e b'cnchè convenga perciò leggerle non senza cautela, è cerio eli" esse sono una delle più pregevoli opere di questo secolo per le copiose notizie che in esse si racchiudono, e pel modo con cui sono esposte. Dividonsi in xlv libri, ne quali dal principio della guerra napoletana di Carlo \ III scende fino al 1547 > c comprende le cose più [p. 1317 modifica]TERZO I3I7 memorabili avvenute in tutto il mondo. Ma mancan sei libri dal v al xi, ne quali era compresa la Storia dalla morte di Carlo VIII fino all’elezione di LeonX, che gli furon rapiti nel sacco di Roma, e sei altri dal xix al xxiv, cioè dalla morte di Leon X fino al sacco medesimo, ch’ei protestasi di non avere scritti per non narrar cose troppo spiacevoli e dolorose e alla mancanza de’ quali però egli supplì in qualche modo colle Vite, che separatamente diè alla luce, di Alfonso I duca di Ferrara, del gran capitano Consalvo da Cordova, di Adriano VI e di Leon X, del marchese di Pescara e del cardinal Pompeo Colonna. Della prima edizione di queste Storie, fatta in Firenze pel Torrentino nel 1550, di cui il Giovio non fu molto pago, benchè ella pur sia magnifica, e della versione fattane dal Domenichini, veggasi Apostolo Zeno (Note al Fontan. t. 2, p. 301, ec.). De’ sei libri perduti nel sacco di Roma, che forse da alcuno furon raccolti, tre sono stati di fresco scoperti tra le domestiche carte dal ch. sig. conte Giambattista Giovio, giovane cavaliere di raro ingegno, e di cui ha già dato saggio in più libri mandati in luce, dal quale speriamo di avere i tre libri suddetti, ed altre opere inedite di Benedetto fratel di Paolo il giovane, e di altri illustri suoi antenati. Del nostro Paolo abbiamo ancora le Vite de’ XII Visconti signori e duchi di Milano, le Descrizioni dell’ Isole della Gran Brettagna, della Moscovia e del Lago di Como, i Comentarii delle cose de’ 1 urdù, e gli Elogi degli Uomini celebri sì in [p. 1318 modifica]l3l8 LIBRO armi che in lettere. Perciocchè avendo egli in una sua amenissima villa sul Lago di Como, che da lui stesso descrivesi innanzi alla detta opera, raccolti i ritratti de’ personaggi più illustri, ne volle perpetuar la memoria con tesser loro questi Elogi, alcuni de’ quali però, a dir vero, sono anzi satire che elogi. Tutte queste opere sono scritte in latino. In italiano, oltre le Lettere da noi già citate, e alcune altre che si leggono sparse in diverse raccolte j ne abbiamo il Ragionamento sopra i motti e disegni tPArme e iCAmore. Delle quali opere e di qualche altra cosa di minor conto, si posson vedere più minute notizie presso il P. Niceron, Apostolo Zeno ed altri scrittori bibliografi. Nelle sue Lettere (p. 58) accenna un libro che avea in animo di pubblicare, col titolo De esculentis etpotalentis, quae veniunt in mensam Romani Pontificis; ma dice che la difficoltà della materia gliene fece deporre il pensiero (*). (*) In questo ducale archivio conservansi alcune lettere di Gasparo Sardi al Giovio, dalle quali raccogliesi che questi ricorreva al Sardi per avere le opportune notizie da inserir nello sue Storie riguardo a’ duchi di Ferrara, e che il Sardi scriveagli liberamente ciò che credeva degno di correzione nelle opere da esso poi pubblicate, e una ancora del Giovio al duca Alfonso I, scritta da Roma a’ 28 di giugno del 1524, in cui lo ringrazia di non so qual dono mandatogli, e si sottoscrive Paulo Jovio Physico. Quattro ancor ne ho ivi vedute da lui scritte al duca Ercole II. Nella prima, scritta da Novara agli 11 di gennaio del i 4 * gl* chiede un ritratto dell’ Alciati pel suo Museo, come già avea avuto da Alfonso I quello del Leoniceno; nella seconda, [p. 1319 modifica]TERZO l3lQ \XXIX. Quasi allo stesso spazio di tempo, rioò dal i494 fi*10 al 1534 > condusse in lingua italiana la sua Storia Francesco Guicciardini; ma dove il Giovio abbracciò le vicende che è 26 d'aprile del 1549 da Roma, gli rende grazie di un rubino che aveagli mandato in dono; nella lei za, scritta da Reggio ai’ 9 di ottobre dell’anno stesso. gli dà avviso che nella primavera ventura tornerà a Ferrara, e che nel viaggio è sempre stato alloggiato e trattato assai onorevolmente da’ governatori delle città ad esso sogg< lte; nell* ultima finalmente, scritta da Firenze a' 25 di settembre del 1550, gli manda la prima parte della sua Storia allora stampata. Il museo del Giovio qui accennato fu una delle più memorabili imprese che l’amore delle belle arti e delle belle lettere producesse nel secolo xvi. La descrizione ch’egli stesso, e poscia altri ne han fatta, fa concepir maraviglia come un uom privato potesse giugnere a tanto; ed ei dovette in gran parte il felice successo di questa sua grande idea alle sue Storie medesime. Perciocchè sapendosi ch’ egli scriveva le cose dei’ tempi suoi, molti solleciti del loro buon nome gl inviavano pregevoli doni, sperando che ciò dovesse render loro favorevole lo storico. Fra le altre cose nel suo testamento, che conservasi presso i discendenti ed eredi, ci fa menzione di uno smeraldo in forma di cuore mandatogli in dono dal celebre Fernando Cortez conquistatore del Messico. Ma il museo del Giovio soggiacque esso pure alle vicende a cui tanti altri bei monumenti han dovuto cedere. Benchè Paolo nel suo testamento sottomettesse il museo alla legge di strettissimo i’edecommcsso, prescrivendo che non si potesse togliere pure un chiodo, nondimeno fin dal principio del secolo XVII Sigismondo Boldoni nella sua opera intitolata Larius, stampata nel 1617, ne piangea le rovine. Di fatto le pitture sul muro, le medaglie, le statue, gli addobbi, le cose indiane e americane in gran copia ivi raunate sono ite disperse. Ciò che solo vi è in gran parte rimasto, sono i ritratti degli uomini illustri in tela, che sono ora [p. 1320 modifica]i3ao libro più memorabili (lei mondo tutto, egli si ristrinse alle cose sole d’Italia. Era il Guicciardini uscito da antica e nobil famiglia in Firenze, e dopo aver fatti i primi suoi studi in patria, in Ferrara divisi fra le due famiglie de’ conti Giovio, che tuttor sussistono in Como. Questi ancora erano stati dal Giovio raccolti con somma cura, e molti aveane avuti in dono da celebri personaggi, Il Cardinal Ercole Gonzaga mandogli i ritratti di Battista mantovano e del Pompo, ii a zzi, e D. Ferrante Ganzaga governator di Milano mandogli il suo. L'Aretino, che credevasi degno di andare unito a più famosi uomini della sua età, mindo. gli pure il suo fatto per man di Tiziano. Egli ebbe ancora quelle di Maometto fatto da Gentile Bellini veneziano, e dal Vasari la tavola degli antichi poeti; e inoltre tenne per qualche tempo in sua casa a tal fine un pittore del duca di Firenze Cosimo I. Quindi la fama del museo del Giovio sì sparse per ogni dove, e molti vollero aver copia de’ quadri in esso serbati; e fra gli altri l'arciduca figlio dell imperador Ferdinando I, e il Cardinal Federico Borromeo, come raccogliesi dalle lettere da essi scritte a’discendenti di Paolo, che tuttor si conservano presso il ch. sig. conte Giambattista Giovio, a cui debbo le notizie qui riportate. Presso di lui ancora si hanno molte altre opere non mai pubblicate di Paolo, come un frammento sui Re d'Africa, alcune sue lettere, e molte altre ad esso scritte da’ gran personaggi, due tomi, nei’quali egli scrivea gli Elogi degli uomini illustri, e ne quali veggonsi molte cose inedite, e molte poesie e opuscoli di altri dotti uomini di quell'età, e singolarmente tre Dialoghi da lui scritti allor quando fuggì da Roma dopo il famoso sacco del 1527, uno de’ quali, ch è imperfetto, su’ Letterati del suo tempo, trasmessomi per gentilezza dal suddetto ornatissimo cavaliere, ho pubblicato al fine di questa Storia, un altro è sulle Donne più celebri per bellezza, per merito e per avventure, il terzo più voluminoso degli altri è su’ celebri Condottieri d’armata. Ei conserva ancora cento erudite lettere latine di Renedetto fratei di Paolo [p. 1321 modifica]TERZO l3si e jn Padova, fa nel i5o5 in eia di soli ventitré anni condotto a leggere l’Istituta in Firenze. Ma egli inclinato più naturalmente al maneggio degli affari, cbe al dolce ozio delle scienze, lasciò dopo pochi anni la cattedra, e fu inviato dalla Repubblica fiorentina nel i5ia ambasciadore a Ferdinando re d’Aragona. Tornalo in patria, fu destinato a ricevere nel i5i8 il pontefice Leon X in Cortona j e questi conoscitore e rimuneratore degli uomini di raro talento, fattolo avvocato concistoriale, mandollo a governare in suo nome Modena (*) c n’ re e a’ letterati della sua età, le spiegazioni di alcuni marmi antichi, tre libri sull’umana società, e più cose tradotte dal greco, e finalmente alcune poesie e molte lettere di Paolo il giovane nipote dello storico. Ed è a bramare che il suddetto coltissimo cavaliere si determini a pubblicar quella parte di tali opere che può interessar maggiormente la curiosità degli eruditi. » 11 suddetto sig. conte Giovio, dopo la pubblicazione di questa Storia, ha dato in luce l’Elogio di Paolo, che si può leggere nella Raccolta di Elogi italiani, e ne’ tomi XXVI, xxvii di questo Giornale di Modena. In esso si troveranno più minute notizie intorno alla vita di questo illustre scrittore, e degno d’esser letto è singolarmente ciò che appartiene al museo da lui formato, e l'ingegnosa Apologia ch’egli ha fatto di Paolo riguardo all’accusa appostagli di avere una penna prezzolata e venale. Ei ne ragiona ancora nella sua operetta sugl Illustri Comaschi ». t*) Del governo di Modena per due volte tenuto dal Guicciardini si parla diversamente nelle diverse Cronache ch’io ho avuto sott’ occhio. In quella di un certo M. Tedesco a’ 16 di marzo del 1524 si dice: Dopo parecchi anni di lodevoli mimo governo se ne partì M Franciesco Guicciardini con universale dispiacimento. Tiraboschi, Voi XII. [p. 1322 modifica]l3aj LIBRO Reggio, città allora a lui soggette, e qui in Modena vedesi ancora nella piazza della cattedrale un’ onorevole iscrizione a lui posta pel dilatare ed abbellire ch ei fece le vie della città.’ Nel 1521 ebbe ancora il governo di Parmaquindi nel 1523, dichiarato da Clemente VII governatore della Romagna, e poscia ancor luogotenente generale dell’ esercito pontificio, non fu molto felice nel difendere il suo sovrano contro farmi imperiali. Dal 1531 fino al 1534 fu governator di Bologna, nel qual tempo ancora adoperossi non poco per rimettere in Firenze il partito de’ Medici. Morto Clemente VII, benchè Paolo III gli facesse generose proferte, il Guicciardini nondimeno, o perchè fosse mal soddisfatto della corte di Roma, o per qualunque altra ragione, lasciò il servigio del Al contrario Totnmasino Lancellotti, sotto i 28 ili maggio del 1L40, dice che venne la nuova della morte del Guicciardini, seguita a’22 (nel che discorda dagli scrittori della Vita di esso che il dicou morto a’ 27), e che mentre era governatore di Modena, era stato rigorosissimo; e che avea fatti decapitare e impiccare molti ribaldi; e che si diceva che aveva qui messi insieme 14000 ducali, perche avea ritrovato morbido il terreno nelli Modenesi. K a 7 di dicembre del 14^4 racconta che i bolognesi mal soddisfatti di lui aveano ottenuto che gli fosse l'alto il sindicato, e ch’egli era partito da Bologna dundo una sicurtà di 80000 ducati; e riferisce un sanguinoso sonetto contro di lui divolgalo in Bologne, in cui non vi è delitto che non gli venga rimproverato. Molle sono le lettere del Guicciardini scritte ai «luca Alfonso I nel tempo singolarmente ch'egli era in Bologna, le quali conservami in questo ducale archivio, e che aggirami per lo più intorno alle nuove di quegli anni. [p. 1323 modifica]TERZO l3j3 papa, e tornossene alla patria, ove fu molto caro al duca Alessandro. Poichè questi fu ucciso, adoperossi il Guicciardini perchè a Cosimo fosse conferito il dominio. Ma parendogli poscia di non esser dal nuovo sovrano considerato abbastanza, ritirossi alla sua villa d’Arcetri, e diessi ivi a scrivere la sua Storia, cui però non potè ultimare, nè veder pubblicata, rapito dalla morte a' 17 di maggio del 1540 in età di cinquantotto anni. Io ho accennato in breve queste circostanze della vita del Guicciardini, perchè, oltre più altri scrittori, una diligente ed esatta Vita di esso ci ha data il sig. Domenico Maria Manni premessa all’edizion veneta del 1738, e se ne parla ancora negli Elogi degl’illustri Toscani (t. 1). Molto tempo passò prima che quest' opera venisse alla luce, e la ragione se ne arreca dal Giovio in una sua lettera scritta a 2 di luglio del 1550: Il rispetto, che tarda gli Eredi del Guicciardini dall’ edizion dell' Istoria, è solamente temporale, perchè, come io ho visto, morde troppo liberamente chi lo merita per la mera verità, odiosa appresso quelli, che vogliono essere adulati o celebrati a torto, lasciando da parte ancora, che si offenderebbono molto alcune casate di gran Cittadini (Lett.p. 43.). Quindi solo nel 1561 ne uscirono i primi sedici libri, e tre anni appresso separatamente in Venezia gli ultimi quattro, dietro alla quale poi vennero moltissime altre edizioni, e quella fra le altre più di tutte magnifica fatta in Venezia nel 1 -33 3 in due gran tomi in folio. In tutte queste edizioni [p. 1324 modifica]1324 LIBRO si troncarono alcuni passi, i quali allora sembrarono ingiuriosi a’ romani pontefici, e uno singolarmente del libro quarto in cui parla dell’origine del temporale loro dominio. Questi passi furono poscia stampati alcuni anni dopo, tradotti in latino, in Basilea, e il secondo fu ancor pubblicato dal Conringio e • dal Goldasto. Finalmente in una recentissima edizione italiana, colla data di Friburgo, si sono stampate le Storie del Guicciardini, secondo il manoscritto che si conserva nella Magliabecchiana in Firenze, riveduto e corretto per man dell autore, in cui e que’ pàssi e alcuni altri si veggono aggiunti. Lo stile del Guicciardini è alquanto diffuso; e perciò il Boccalini finge che il Senato Laconico a un cotale che potendo dire una cosa in due parole aveane usate tre, dia per gastigo di leggere una volta la Guerra di Pisa del Guicciardini, e che questi si offra pronto volentieri più alla prigionia e alla galea, che a tal lettura (Centur. 1, ragg. 6 Se ne riprendono ancora le frequenti orazioni che per pompa di eloquenza ei vi introduce, e spesso fuor d’ogni verosimiglianza, anzi contro le leggi di buona critica; intorno a che son degnissime d essere lette le riflessioni del ch. Foscarini (Letterat. venez. p. 263, ec.). Benchè questa Storia l’uccia testo di lingua, il Varchi stesso però la considera come scritta non troppo correttamente (Stor. fiorent. l. 10, p. 286). Ma ciò non ostante i sentimenti, le riflessioni, i caratteri, le descrizioni che in essa incontransi, la rendono una delle più pregevoli e belle clic [p. 1325 modifica]terzo i3a5 abbia V Italia (a). Egli ancora però non seppe guardarsi abbastanza dalla prevenzione, e non sol contro de romani pontefici, da’ quali per tanti anni era stato sì distintamente onorato, parla con un certo livore troppo contrario alla storica sincerità, che sempre va congiunta colla moderazione, ma anche nelle cose della sua patria è tacciato di avere scritto secondo le sue private passioni (V. Gaddi, Elog. p. 209). Anche del duca d’Urbino Francesco Maria della Rovere scrisse il Guicciardini non troppo favorevolmente, e perciò Giovanni Simonetta distese un Apologia di quel principe contro lo storico, che conservasi manoscritta nella libreria Nani in Venezia (Codici mss. della Libr. Nani, p. 12-1"*), in cui ancora discuopre i motivi per cui il Guicciardini era contro di esso sdegnato. I Bolognesi parimente si dolgon di lui, e si ha un libro alle stampe di Giacinto Cerrani bolognese, intitolato: La verità vendicata, cioè Bologna difesa dalla calunnia di Francesco Guicciardino. De’ precetti e delle considerazioni estratte dalla medesima Storia, di alcuni scrittori di compendii, di annotazioni e di discorsi sopra la stessa, della Relazione 1 * (-7) Qual applauso avesse allora, e di quanta stima r.blna poscia continuato a godere la Storia del Guieci.iidini, il mostrano non sol P edizioni fattene in Italia, ma la versione ancora fattane in diverse lingue, fra le quali abbi a m la latina di Celio Secondo Curione, stampata in (lasilen nel i566, e due in francese. E il eclebie Niccolò Antonio, in una sua lettera ciré presso il eli. sig. abate Andres, ne annovera ancora tre versioni e una Epitome in lingua spagnuola. [p. 1326 modifica]I l3 26 libro del sacco di Roma, stampata a parte (a)} e di alcune lettere che ne vanno inserite in diverse Raccolte, io lascio che ognun consulti la Biblioteca di monsig. Fontani ni colle note di Apostolo Zeno (t. 2, p. 210, ec.), il Catalogo della libreria Cappoui (p. 209), ed altri somiglianti libri. XL. Alcuni altri storici a più breve tempo ristrinsero le loro opere, e noi in breve tratto di penna ce ne spediremo. Giorgio Florio milanese e professor d'eloquenza nella sua patria al principio del secolo di cui scriviamo (Arsel. Zìi 1)1. Script, mctliol. t. 1, pars 1, p. 634) distese in sei libri, ma non molto elegantemente, la Storia delle guerre Fatte in Italia da Carlo Vili e da Luigi XII. Essa fu stampata in Parigi nel 1613, e poscia altre volle; e da’ Francesi ò pregiala assai, perciocché l1 autore, die vivea in Milano a1 tempi di Luigi XII, si mostra lor favorevole. U11 Diario italiano de’ successi d’Italia dal i4l)8 fino al i5i2 di Biagio Buonaccorsi fiorentino fu pubblicato da’ Giunti in Firenze nel 1608 (V. Mazzucch. Scrilt. ital. t. 2, par. 4, (a) Vi ha dubbio se la Relazione del sacco di Roma, che fu stampata solo nel 1664 in Parigi, col titolo: Il Sacco di Roma del Guicciardini, sia veramente opera dello storico. Certo lo stile e diverso; e innoltre fa maraviglia che nelle sue Storie, in cui pur pai la del sacco medesimo,, ei non faccia motto alcune di questa sua Relazione, nè in questa accenni di aver ragionato di questo fatto nelle sue Storie. E quando fu pubblicato questo opuscolo, gli autori del Journal des Savans, che cominciò allora a stamparsi nella città di Parigi, dissero apertamente che fautor di esso era diverso dallo storico. [p. 1327 modifica]TERZO l327 p. 2295). Francesco Carpesano sacerdote e di p.itria parmigiano scrisse in latino più sinceramente che elegantemente la Storia delle cose avvenute dal 1477 f“10 ncl cIua^ anno l'autore ne contava seltantacinque di età (Martene, Collect. ampliss. t 5, p. 1176, ec.). Galeazzo Capra, detto comunemente Cappella, di patria milanese, scrisse latinamente, e non senza eleganza, la Storia delle guerre fatte in Italia dal i5:ìi lino al 1530 per la restituzione dello Stato di Milano al duca Francesco II Sforza, e separatamente la Storia della guerra fatta presso a Musso sul Lago di Como dal celebre capitano Gian Jacopo Medici. Di lui si ha ancora un libro intitolato l’Antropologia (V. Argei. l. c. p. 289), e un altro dell’eccellenza e nobiltà della Donna, il quale è parte della stessa Antropologia, ed era già stampato prima di essa, com egli avverte nella prefazione all Antropologia stessa, e fu poi ristampato in Venezia nel 1539 (Libr: Capponi, p. 99). Egli fu assai caro al detto duca Francesco, e servì di segretario al celebre cancelliere Girolamo Morone, e poi al duca medesimo, e fu anche oratore all’impera dorè Massimiliano, come egli afferma nella dedica allo stesso duca della prima sua Storia. Egli era nato nel 14^7 » e giunto all'età di quarantotto anni, come narra il Cardano (De exemplis Genitur. n. 21), cavalcando un giorno per la città, e avvenutosi in un altro che pur correva furiosamente a cavallo, fu da questo urtato per modo, che cadde quasi morto a terra; e riportato a casa, non potè mai ben riaviersi, e dopo due anni finì di vivere. Cristoforo Visconti, egli ancora milanese, ci di è [p. 1328 modifica]i328 libro la Storia in lingua italiana delle guerre d’Italia, alle quali erasi trovato presente egli stesso dal 1548$ fino al 1598, stampata in Lucca nel 1600. Un Corso, detto per nome Antonfrancesco Cirni, pubblicò nel 1567 alcuni Comentarj parimente in lingua italiana, ne’ quali descrive Cultima guerra di Francia, la celebrazione del Concilio Fri dentino, il soccorso d Orano, ec. Di quelle di Natal Conti già si è detto poc’anzi. Più assai di tutte queste è pregiata la Storia de’ suoi tempi di Giamba!ista Adriani Gentiluom Fiorentino, stampata la prima volta in Firenze nel 1583, in cui descrive gli avvenimenti più illustri dal 1536 fino al 1574 Di questo dotto scrittore, che fu figliuolo di quel Marcello Adriani altrove da noi mentovato, ci ha date le più esatte contezze il conte Mazzucchelli (Scritt. it. t 1, par. 1, p. 151, ec.), e io non farò perciò che accennarle. Il valore nell’ armi lo rendette illustre ne primi anni della sua gioventù; i gravi e i piacevoli studi formarono l’occupazione dell’eta più matura. Per trent’anni fu professore d’eloquenza in Firenze, e in tal occasione recitò le molte orazioni latine che se ne hanno in 'istampa. Fu amico de’ più dotti uomini di quell’età, e principalmente del Caro, del Varchi, del Flaminio e de’ cardinali Bembo e Contarini. Mori in età di settantasei anni nel 1570, e lasciò manoscritta la Storia per ordin del duca Cosimo da esso composta, che da Marcello di lui figliuolo fu poi pubblicata. Lo storico de Thou ne fa grandi elogi, e confessa di aver da essa tratto non poco (Hist l. 18); e certo ella è scritta [p. 1329 modifica]TERZO *^29 con gravità e con senno degno di ottimo storico. Ma in lui ancor si riprende che contro il pontefice Paolo III abbia scritto troppo aspramente; perciocchè in uno storico e bensì lodevole una libera sincerità, ma ella non dee mai discostarsi nè da quella moderazione ch è propria d' ogni uom saggio, nè da quel rispetto che a chiunque sia ornato di ragguardevole dignità è dovuto. Intorno a qualche altra opera dell’Adriani io rimetto chi legge al suddetto scrittore. Il P. Faustino Tasso nato in Venezia verso il ed ivi morto verso la fine del secolo, ed esercitatosi lungamente ncirapostolico ministero e in Italia e in altre provincie, diè alla luce nel 1583 le Historie de successi de' nostri tempi, cioè dal i5(i(> al 1580, in cui però tratta singolarmente delle guerre nate per l'eresia, e di molti Cattolici che in tal occasione per la lor fede dieder la vita. Di questo scrittore ragiona a lungo il P. degli Agostini (Scritt. venez. t. 2, p. 509, ec.), il quale dimostra che probabilmente ei fu prima religioso conventuale per nove anni, e passò poscia tra i Minori osservanti; annovera le molte opere da lui pubblicate, e prova che le Rime toscane di esso, oltre che non son molto felici, son tolte in non picciola parte da quelle di altri poeti; e che le Rime di Cino da Pistoia e di altri antichi da lui pubblicate son tutte supposte, o opere di altri poeti contemporanei al Tasso, e alcune ancora di lui medesimo. Leonardo di Maniaco di nobilissima famiglia di Cividal del Friuli, e canonico in quella città, fu parimente autore di una Storia del suo tempo, [p. 1330 modifica]l33o LIBRO cioè dal cominciamento del Concilio di Trento fin verso la fin del secolo; e la prima parte ne fu pubblicata in Venezia nel 1597, e poi di nuovo in Bergamo nel 1600 coll'aggiunta de’ primi due libri della seconda parte: ma l’autore non si avanzò più oltre (VLiruti, Notiz. de Letter. del Friuli, t. 2, p. 212). Cesare Campana aquilano, morto nel 1606 (V. Catal. Libr. Capponi, p. 96), abbracciò in due volumi l1/storia del Mondo dal 1570 al 1596, e molte altre opere storiche donò al pubblico, come gli Alberi delle famiglie che hanno signoreggiato in Mantova, e quelli delle famiglie di Baviera, e delle Reali di Spagna, la Vita del re Filippo II, la Storia delle guerre di Fiandra, e quella dell’ assedio di Anversa. XLI. Io ho riservato l’ ultimo luogo tra gli scrittori di Storia de’ tempi loro a Luca Contile, perchè ei fu uomo assai dotto, e delle buone lettere assai benemerito, degno perciò di più special ricordanza. Il Ghilini ne ha fatto l’ elogio (Teatro di Lettere, t. 1, p. 296), ma mancante di molte notizie, a cui cercherem di supplire valendoci delle Lettere del Contile medesimo. Ei nacque non già in Siena, come afferma il Ghilini, ma in Cetona luogo del territorio di quella città, come lo stesso Luca ci narra (Lett. p. 172): Io nacqui in Cetona del più nobil sangue di quel paese. Ma questa nobiltà era stata macchiata dal padre coll’ applicarsi a non so quale esercizio ad 110111 nobile non conveniente; benchè non sembri che gli mancasser sostanze per vivere agiatamente. Attendi tu, scrivea egli nel 154 ■ a Guidotlo [p. 1331 modifica]TERZO I 33I suo fratello (/pi, p.), con Camillo a goderti sì belle possessioni, e se non avete industria di moltiplicarle, non le discapitate almeno. Ricordovi che nostro padre si diede a quello esercizio, con il (qual macchiò la nostra antica nobiltà; nè però ha fatto murar pur un mattone in una di tante case, che abbiamo, nè piantare un arbore in tanti poderi. (Gli raccomanda inoltre di onorare la madre, la quale dice ch essendogli morto il marito, mentr egli Luca non contava che undici anni, ed era il maggiore di tutti, gli ha allevati con sommo*amore. L'anno della sua nascita, secondo l’ iscrizion sepolcrale postagli in Pavia, e riferita dal Ghilini, dovett’essere il 1505. Ei nondimeno in una sua lettera del l560 dice di avere allora cinqnantatrè anni (p. 241); il che ci condurrebbe al 1507. Dopo avere fatti in Siena i primi suoi studi, passò in Bologna; e del favore ch' ivi incontrò presso molti ragguardevoli personaggi, fa menzione in una sua lettera scritta nel 1541 al conte Uguccione Rangone: I primi, parla egli de’ signori cortesi da lui conosciuti (ivi, p. 52), ch' io habbi sperimentato, furono al tempo, ch io studiava in Bologna, il Conte Filippo dei Pepoli, il Conte Guido suo figliuolo, poco dopo il Conte Giulio Bojardo Conte di Scandiano, dove praticai seco molti giorni, il sig. Girolamo Marchese Pallavicino da Cortemaggiore, il signor Sigismondo da Este, il Marchese di Soragna, e il Conte Uguccione Rangone. Dopo avere per sette anni soggiornato in Bologna, passò a Roma alla corte del cardinal Agostino Trivulzi. [p. 1332 modifica]i33a libro Ivi egli si unì tosto in sincera amicizia con tanti uomini eruditi che vi si ritrovavano, e fu uno de’ principali accademici del/Accademia della Virtù, da noi ricordata a suo luogo, e a quella occasione dovette ei cominciare quella lezione ch egli medesimo accenna, dicendo che avea in essa preso a provare che le colonne erano state usate prima in Toscana, che in Grecia (ivi, p. 53). Ne primi mesi del 1542, lasciato il servigio del cardinal Trivulzi, da cui si duole di essere stato privato della dovuta mercede (ivi, p. 58, 70), passò in Milano a quello del marchese del Vasto, con cui l an 1545 andò alla Dieta in Vormazia (ivi, p. 116, ec.). Dopo la morte di quel gran mercante de’dotti, avvenuta nel febbraio del 1546, rimase al servigio della marchesa vedova e del marchese di Pescara di lei primogenito (p. 126) fino al marzo del 1548, in cui, congedatosi dalla marchesa, entrò al servigio di D. Ferrante Gonzaga governator di Mi lano. Nel 1549 accompagnò la moglie di D. F errante in un viaggio che fece nel regno di Napoli, ed io tengo copia di molte lettere inedite da lui scritte in tal occasione a D. Ferrante, i cui originali si conservano nel segreto archivio di Guastalla. Le Lettere stampate cel mostrano per ordine di D. Ferrante in Polonia nel i55o (alfine dell. 1), ma non sappiamo per qual commissione. Dopo tre anni e quattro mesi di servigio, per non so quale accusa che gli venne data, dalla quale sembra però ch’ ei si purgasse felicemente, lasciato il servigio di D. Ferrante, entrò nel 1552 nella corte [p. 1333 modifica]TERZO 1333 del Cardinal di Trento, e vi stette fin verso il principio del 1558, in cui ne fu congedato, perchè al cardinale fu fatto credere che il Contile avesse contro di lui composte alcune satiriche poesie; del che però ei si protesta innocentissimo (ivi, p. 153). Sforza Pallavicino da Fiorenzuola, generale de’Veneziani, lo prese allora al suo servigio, assegnandogli casa in Venezia, 200 annui scudi e qualche altra provvisione (ivi, p. 157), e al tempo medesimo veggiamo che altri 200 annui scudi avea, non so a qual titolo, dal duca Ottavio Farnese (ivi, p. 214, 248). Il soggiornare in quel tempo in Venezia gli diè occasione di avere non picciola parte ne’ grandiosi principii dell'Accademia veneziana, di cui vide insieme in breve tempo il cominciamento e il fine; ed egli si duole di avere perduta nello scioglimento di essa un’ opera Intitolata Faetonzia scritta in versi esametri, ch erano più di 1500 (ivi, p. 200). Breve al pari della durata dell’ accademia fu il servigio di Luca col Pallavicino. Egli se ne ritirò nel marzo del 1560, lagnandosi di essere mal ricompensato (ivi, p. 208); e in una lunga lettera, che poscia gli scrisse (p. 246), gli pose innanzi quanto in ogni tempo avesse fatto per lui, giustificando la sua condotta, e insieme accennando che il Pallavicino avealo congedato, perchè sostener non potea la spesa annua de’ 200 scudi. Tornossenc allora a Milano, ove il marchese di Pescara il volle seco, e scrisse alla corte di Spagna per fargli avere la dovuta mercede per tanti anni in cui avea servilo il marchese [p. 1334 modifica]133.j LIBRO del Vasto suo padre e D. Ferrante (ivi,p. 259) e a questo fine scrisse egli pure nell’ an 1561 due lettere al re Cattolico (p. 300, ec.). Forse fu effetto di queste lettere l impiego ch’ egli ebbe di commissario in Pavia, ov ei recossi a tal fine nel luglio del 1562 (p. 390). Pareva destinato il Contile ad esser presente al nascimento di tutte le più illustri accademie; e come in Roma avea avuta parte in quella della Virtù, e nell’Accademia veneziana in Venezia, così l’ebbe in Pavia nella formazione di quella degli Affidati, di che altrove abbiam detto; ed egli rammenta un discorso ch' ei fece in essa improvvisamente sul Simposio di Platone (p. 418). In quella città, e probabilmente nell’ impiego medesimo, continuò egli a vivere fino a’ 28 di ottobre del 1574? (;ì,e fu l’ ultimo della sua vita. La Storia da lui composta, e pubblicata in Pavia nell’ anno 1564, fu intitolata: Istoria de’ fatti di Cesare Maggi da Napoli, dove si contengono tutte le guerre succedute nel suo tempo in Lombardia et in altre parti d Italia, la quale non è per altro nè per pienezza di notizie, nè per eleganza di stile, molto pregevole. Alcuni ancora gli attribuiscono, e fra gli altri il Ghilini, l’ Istoria delle cose occorse nel Regno d’Inghilterra dopo la morte d’ Odoardo VI, stampata nell’Accademia veneziana nel 1558. Ma non fu sola la storia in cui il Contile occupossi. Coltivò ancora la poesia, e ne abbiamo alcune canzoni intitolate Le sei Sorelle di Marte, e le Rime, alcune delle quali leggonsi ancora in diverse Raccolte. Il celebre Francesco Patrizi ebbe in [p. 1335 modifica]TERZO I335 lai pregio le poesie del Contile, che oltre il volervi egli prefiggere gli argomenti, giunse a porlo in confronto al Petrarca, e a dargli la preferenza sopra tutti i poeti amorosi latini e greci; della qual sua opinione però non ha egli trovati seguaci. Se ne ha ancora in istampa un poemetto intitolato La Nice, ed egli accenna inoltre due egloghe, una intitolata L*Agiay che fu già recitata da D. Ippolita Gonzaga, l altra detta La Filli, da lui composta in gran fretta per la venuta a Milano nel 1562 del duca di Savoia Emanuel Filiberto, ma che non potè recitarsi per l’ affrettata partenza di quel sovrano (p. 350). Ma queste non trovo che sieno state stampate. Avea egli oltre ciò tradotto in versi italiani il libro XII della Eneide di Virgilio, aggiuntovi un discorso sopra esso (ivi, p 6); ma questo ancora non ha veduta la luce, come pure i Dialoghi cristiani ch’ egli inviò con sua lettera del al conte Giulio Boiardo (ivi, p. 62), che forse sono gli stessi che que’ Conviti spirituali, de quali ringrazialo con una sua lettera Claudio Tolomei (Lett, volg. Ven. 1564, p 18), lodando l’opera, ma biasimandone alquanto lo stile; e un dialogo dell’ Imitazione, ch’ egli stava scrivendo nel 1561 (Lett. p. 29 G). Tre commedie in prosa da lui composte furono pubblicate in Milano nel 1550, intitolate la Pescara, alla quale prima avea dato il titolo cCAmicizia, la Cesarea Gonzaga e la Trinozia (V. Zeno, Note al Fontan. t. 2, p. 374 375). L'onore ch egli ebbe, di essere un de’ primi accademici Affidati, lo indusse a comporre il [p. 1336 modifica]1336 LIBRO Ragionamento sulle Imprese di essi, che fu ma. giudeamente stampato in Pavia nell’ an 1574. Finalmente ei tradusse in lingua italiana la Bolla d’ oro di Carlo IV, che fu stampata ne torchi della poc anzi accennata Accademia veneziana nel 1558. Apostolo Zeno afferma di aver vedute nel museo imperiale di Vienna una bella medaglia di bronzo coniata in onor del Contile, nel cui diritto all’ effigie di esso si legge Lucas Contilis Citonius, nel rovescio vedesi un monte, e in cima al medesimo una figura donnesca col motto Ardens ad aethera virtus (Note al Fontan. t. 1, p. 180). XL1I. Benclic non fosse propriamente scrittor di storia, deesi nondimeno qui rammentare Giovanni Botero natio di Benna in Piemonte ne’ confini della Liguria. Il conte Mazzucchelli ne ha diligentemente raccolte le più accertate notizie (Scritt. it. t. 2, par. 3, p. 1869), ed egli è stato il primo a parlarne con qualche esattezza (a). Il Botero fu dapprima gesuita; ma le circostanze della sua famiglia il costrinsero ad uscirne con consenso de' suoi superiori nel 1581. Servì poscia per tre anni in carattere di segretario al santo cardinale Carlo Borromeo, dopo la cui morte, avvenuta nel 1584* Pass^ Per or" dine del duca di Savoia in Francia. Tornalo (") Più ampie e più esatte notizie della vila e delle opere del Bolero ci lia date il eh. sig. conte Gianfranre>.co Galeoni Napione di Cocconnto Pasàcrano, il quale assai bene ancora ba esaminati i pregi delle Kelazioui •la lui pubblicate, e ha osservato, come in molte cose egli lia prevenuti i più accreditati scrittori di politica e ili commercio (I}n rnontcsi ili. t. 1, p. i5i, ec.). [p. 1337 modifica]TERZO l337 indi a Milano, entrò nel 1586 al servigio di monsig. Federigo Borromeo cugino e poi successore nell’onor della porpora, nella dignità d’arcivescovo, e nella imitazione delle singolari virtù di S. Carlo. Ma pare che poco tempo ivi si trattenesse. Il desiderio di conoscer per se medesimo quanti più poteva regni e provincie del mondo, lo determinò a viaggiare per molti anni, com egli dice nella dedicatoria delle sue Relazioni, l uno e l altro emisfero. Egli compiè i suoi viaggi nel 1596, secondo il conte Mazzucchelli. Ma poichè la prima edizione delle Relazioni uscì nel 1592, mi sembra probabile che avesse fin d’allora terminati i suoi viaggi. Fu chiamato dal duca Carlo Emanuelle a istruir nelle lettere i principi suoi figliuoli; al qual impiego soddisfece con tanto applauso, che l’an 1610 il principe Filiberto di Savoia a lui fece rinuncia della sua badia di S. Michele della Chiusa. Come l’epoca della nascita, così ne e stata finora incerta quella della morte. Ma il sig. baron Giuseppe Vernazza mi ha di fresco avvertito che nei libri parrocchiali di S. Tommaso di Torino si nota ch’egli ivi morì a’ 27 di giugno del 1617, e che fu sepolto nella chiesa de’ Gesuiti, nominati da lui suoi eredi nel testamento da esso fatto sin da’ 15 di giugno del i(ii3. Io non farò il catalogo di tulle fopere del Boterò, che son non poche e varie d'argomento e di lingua; perciocchè ne abbiamo e Lettere e Prediche, e libri ascetici, morali, politici, e Vite, e Poesie latine e italiane, delle quali tutte con somma esattezza ragiona il suddetto scrittore, Io dirò solo in breve liiUBoscm, Voi XII. 12 [p. 1338 modifica]1338 LIBRO delle Relazioni universali da lui pubblicate. Sono esse divise in quattro parti, oltre la quinta ch è rimasta inedita; nella prima delle quali ci offre la descrizione del mondo tutto allor conosciuto; nella seconda ragiona delle forze e della potenza de principi di quel tempo; nella terza delle diverse religioni che in diversi paesi si veggono; nell’ultima delle superstizioni de’ popoli dell'America. Un uomo che avea veduta co’suoi proprj occhi gran parte del mondo, era in istato di darcene un esattissima descrizione. E tale in fatti fu allora quella che pubblicò il Botero, e venne perciò encomiata con somme lodi. I gran cambiamenti poscia seguiti la rendono ora meno utile, e mal si apporrebbe chi volesse al presente da essa raccogliere lo stato dei’ regni e de’ regnanti. Ma anche al presente ella ci scuopre la diligenza e il senno dello scrittore, e ci dà molto lume a ben intendere la storia de’ tempi ne’ quali egli scrivea. XL11I. Ma è tempo omai che dagli scrittori generali di storia passiamo agli storici particolari delle città italiane. Fra esse Firenze è quella per avventura che ce ne offre una serie per numero e per valore più d’ogni altra pregevole. Di quella del Macchiavelli, che fu il primo in questo secolo a scriverla, già si è detto altrove. Dopo lui venne Jacopo Nardi che ci diede la Storia di Firenze sua patria dal 1494 fino al 1531. Ne abbiam la Vita scritta da Carlo Nardi (Calogerà, Racc. t. 14, p. 203), in cui si veggono raccolte le più importanti notizie riguardo a questo celebre storico, alle quali però potremo aggiugnerne qualche altra all’ autore sfuggita. [p. 1339 modifica]/ TERZO l33^ Jacopo nato in Firenze di antica e nobil famiglia da Silvestro Nardi e da Lucrezia di Bardo a’ 21 di luglio del 1476, dopo molte onorevoli cariche in patria sostenute, fu ambasciadore per essa alla Repubblica veneta nel 1527. Tornato a Firenze, si dichiarò pel partito contrario a’ Medici, e nel 1530 fece conoscere il suo senno non meno che il suo valore nell’armi (Varchi, Stor. fior. p. 35). Quindi prevalendo il partito de’Medici, il Nardi fu confinato ed esiliato, e spogliato di tutti i beni. Nel 1535 fu uno dei’ fuorusciti che in Napoli esposero le lor doglianze all’irnperador Carlo V. Ma essendo riuscito inutile un tal tentativo, ei ritirossi a Venezia, ove tranquillamente impiegò gli ultimi anni della sua vita in coltivare gli studi, e nel comporre più opere. La Storia di Firenze sopraccennata dovett’esser quella nella quale più volentieri occupossi; perciocchè un esule dalla patria per forza di contrario partito lusingasi di trovar sollievo alle sue sventure col tramandare a’ posteri la memoria delle vicende che ne furon cagione. Ma un tale scrittore troppo è difficile che si contenga entro que’ termini di moderazione che in uno storico è richiesta 5 e nou è perciò a stupirsi che la Storia del Nardi, benchè assai pregiata, porti seco il carattere di tutte l opere di partito. Egli non ebbe o il potere, o il coraggio di stamparla vivendo 5 ed essa non venne a luce che nel 1582 in Lione j dopo la qual prima edizione più altre poi se ne fecero. Alcuni Discorsi del Nardi, che appartengono a questa Storia, e qualche passo di essa, che nella stampa ne fu troncalo,

conservatisi a penna in alcune biblioteche di Firenze e di Venezia (V. Codici mss. della Libr. Nani j p. 3, ec.). Egli scrisse ancora la Vita di Antonio Giacomini Tebalducci Malespini, che fu stampata in Firenze nel 1597. Forse però più che queste sue Storie, ottenne gran nome il Nardi per la bella sua traduzione di Livio, pubblicata la prima volta in Venezia nel 1540, e poscia più altre volte, ed anche nel nostro secolo di nuovo stampata. Essa è sempre stata considerata come una delle migliori che abbia la nostra lingua e Apostolo Zeno si duole (Note al Fontan. t. 2,p. 287) che il nome del Nardi, citato già nelle antiche edizioni del Vocabolario della Crusca, ne sia stato escluso nell’ultima, come se rinnovar si volesse contro di lui la pena d’esilio. Ei dedicolla al marchese del Vasto } e 1111 curioso aneddoto intorno a questa dedica abbiam nelle Lettere di Pietro Aretino. Scrivendo egli nel 1540 al detto marchese, e parlando della stima che di lui aveano tutti gli uomini dotti, Testimonio, dice (Lett. t. 2, p. 189), il Nardi, il quale nello intitolarvi il suo Tito Livio antivide il levarsegli dei 50 scudi, e dei 50 altri, che gli danno l anno due gran personaggi, et antivedendo ha piuttosto voluto rimanere senza, che non dedicarvelo. Chi fossero questi due personaggi che tanto si sdegnaron col Nardi, perche non dedicò loro la sua versione, non saprei congetturarlo. Lo stesso Aretino, in un’altra sua lettera allo stesso Nardi del 1545, parlando di una nuova edizione ch’ei pensava di fare di questa versione, si stupisce ch essendo esule, e dovendo ornai [p. 1341 modifica]TERZO I34I coniare quindici lustri, possa applicarsi tanto "agli studi; e aggiungne, che tutti il bramano in Firenze, e tra essi anche il duca Cosimo, risguardando i meriti, che ve gli fanno amico, e non alla causa, che ve gli fè contrario (t. 3, p. 2(58)', e altrove lo dice vecchio ottimo, vecchio santo (t. 4, p 210). Ei tradusse ancora l’orazion di Cicerone a favor di Marcello, stampata in Venezia nel 1536. Anche la poesia toscana fu da lui coltivata, e oltre alcuni Canti carnascialeschi, che si leggon nella Raccolta di tai poesie, ei compose in versi italiani la commedia detta L Amicizia, intorno alla quale parla lungamente Apostolo Zeno (Note al Fontan. t. 1, p. 384, ec)> provando contro del Fontanini, che nè essa fu stampata nel 1494)nè fu la prima che in versi italiani si componesse, nè il Nardi fu il primo scrittore di versi sciolti. Fin quando vivesse il Nardi, non è ben certo. Lo scrittor’ della Vita riferisce una lettera da lui scritta al Varchi a’ 13 di luglio del 1555, in cui dice: Io sono ancora sano, benchè debole, avendo a cominciare col mio bastoncello a dì 21 del presente mese a salir la faticosa erta dell' ottogesimo anno di questa mia mala spesa vita. Ed è probabile che non molto più oltre sopravvivesse. XLIV. Circa il tempo medesimo Filippo Nerli senator fiorentino, nato nel 1485, e morto in patria nel 1556, prendendo da più alta origine; il suo racconto, scrisse i Comentarii de Fatti civili occorsi nella Città di Firenze dal 1215 fino al 1537, che dopo esser giaciuti inediti per quasi due secoli, furon poscia pubblicali [p. 1342 modifica]13^2 turno in Firenze colla data d’Augusta nel 1728. Il Giannotti in una lettera al Varchi Prose fior, par. 3, t. 1) si duole che il Nei li abbia nelle sue Storie inserite alcune cose contrarie al vero doglianza, la quale è raro che non si faccia da chiunque prende a scrivere la storia de’ tempi suoi. Innanzi ad essa si legge la Vita dell’autore, di cui pur si ha l’elogio tra quelli degl’illustri Toscani (t. 2) (*). Lo stesso dee dirsi della Storia di Bernardo Segni, che parimente non ha veduta la luce che nel iti 3 sotto la stessa data d’Augusta, insiem colla Vita di Niccolò Capponi gonfaloniere della Repubblica fiorentina, di cui il Segni era nipote. Di questo scrittore si tratta a lungo e nelle Notizie dell’Accademia fiorentina (p. 31, ec.) e ne’Fasti consolari della medesima (p. 15, ec.). L'università di Padova lo ebbe tra’ suoi allievi, ed ivi Bernardo attese con gran fervore allo studio delle lingue latina e greca. Si volse poscia alle leggi, ma ne dovette interromper lo studio per comando del padre, da cui fu inviato all’Aquila ad occuparsi nella negoziazione. Tornato a Firenze nel 1520, fu adoperato ne’ • (*) lo non so se questo Filippo Ncrli sia lo stesso di cui nella Cronaca manoscritta di Modena di Tnmmasino Lnncellotlo si narra che nel 15^6 e nel i5/r fu governatore di questa città per la Chiesa; e sotto i 20 di giugno del detto anno 1.527 s> dice che essendosi egli accostato a Firenze per farvi ritorno, ne fu escluso col Guicciardini; e sotto i 3o di marzo del i558, che fu affissa qui contro di lui la scomunica, perchè, mentre era governatore, avea usate, come diceva», arti uon lecite per adunare denaro. [p. 1343 modifica]TERZO l343 maneggi della Repubblica, e onorato di ragguardevoli impieghi anche dal duca Cosimo, da cui nel 154 * fa inviato a Ferdinando re de’ Romani. Nel 1542 fu consolo dell’Accademia fiorentina, la quale in quel tempo salì a fama non ordinaria. La Storia da lui composta, che, finchè egli visse, non fu da lui mostrata ad alcuno, sì per eleganza di stile, che per arte di narrazione e per gravià di sentimenti, è una delle migliori di quell età. Ei si era prefisso di stenderla solo dal 1527 al 1530, anni memorabili per le rivoluzioni di quella Repubblica, ma avanzossi poi fino al 1555, cioè fino a quattr’anni innanzi alla sua morte. Nè questa fu l’unica occupazione del Segni. Dotto com’egli era nel greco, tradusse in lingua italiana assai elegantemente la Retorica, la Poetica, l’Etica, il Trattato de’ Governi e i libri dell’Anima di Aristotele, le quali traduzioni furono stampate in Firenze nel 1549 e nel 1550 trattane l’ultima che da Giambatista di lui figliuolo fu data in luce nel 1583; ed altre opere ancora dello stesso filosofo si dicon da lui tradotte, ma non mai pubblicate, il che pure è avvenuto della traduzione della tragedia di Sofocle detta Edipo il Principe, da lui fatta in versi italiani, di cui conservansi copie in alcune biblioteche di Firenze (V. Argelali, fi ibi. de Folgori zz. L 3, p. 4°4)* Molli elogi di lui fatti dagli scrittori di que’ tempi si producono delle sopraccennate due opere: e io mi compiaccio che coll’additare a chi legge i fonti onde può averne più copiose notizie, mi si offra il mezzo di uscire più facilmente dal vastissimo campo che sto ora scorrendo. [p. 1344 modifica]1344 LIBRO XLV. Gli stessi motivi che impedirono per lungo tempo la pubblicazione delle Storie de] Nei li e dei Segni, cioè il timore di offendere i ragguardevoli personaggi, de’ quali in esse trattavasi, e quelli che ad essi erano stretta, mente congiunti, furon cagione che fino all’età nostra rimanesse inedita quella di Benedetto Varchi. La moltitudine e la varietà delle opere da lui pubblicate lo rendon degno d onorevole luogo ne’ fasti della letteratura. Ma la Vita che già ne ha scritta ampiamente d). Silvano Razzi camaldolese, la quale va innanzi e alla Storia e alle Lezioni di esso, e quella ancora più esatta che ne ha poi pubblicata il celebre monsignor Giovanni Bottari, e che ha premessa alla nuova edizione dell'Ercolano, da lui dataci nel 1730, mi dispensano da un diffuso ragguaglio. Firenze fu la patria di Benedetto, che ivi nacque nel 1502. Al padre, ch era causidico, parve ch’ei fosse fanciullo di tardo e stupido ingegno, e applicollo perciò al traffico; ma avendo udito che il figlio più che i libri de’ conti maneggiava volentieri e svolgeva i libri di lettere, ad esse il fece rivolgere, e mandollo dapprima a Padova, ove negli studi dell’ amena letteratura si avanzò felicemente, ed indi a Pisa, perchè vi studiasse in legge, avendo egli determinato di farne un valoroso dottore. Benedetto, finchè visse il padre, docilmente, benchè di mal animo, gli ubbidì. Ma appena fu padron di se stesso, che, gittati i giureconsulti, tutto si diede a’più piacevoli studi; e fra le altre cose si diè ad apprendere il greco sotto la disciplina del dottissimo Pier Vettori. [p. 1345 modifica]TERZO 1340 Mentre però egli era più immerso in tali studi, le guerre civili, nelle quali egli fu del partito contrario a’Medici, gli furon cagione d esilio, e recatosi perciò a Venezia, poi a Bologna e indi a Padova, e poi di nuovo a Bologna, più anni in queste due città si trattenne coltivando gli studi e godendo dell’amicizia de’ dottissimi uomini che ivi erano allora in gran numero, e singolarmente del Bembo e di Lodovico Boccadiferro. Il duca Cosimo I mosso dalla fama a cui il Varchi era frattanto salito, richiaraollo a Firenze, e gli diede l’incarico di scriver la Storia delle ultime rivoluzioni di quella città, assegnandogli perciò un determinato stipendio. Ed egli si accinse a scriverla; ma mentre in ciò si sta egli occupando, alcuni istruiti che nella sua Storia non era il Varchi troppo lor favorevole, assalitolo di notte tempo il trafisser di molte ferite. Ei ne guarì nondimeno, e con rara moderazione non volle palesare gli autori di tal delitto, benché gli fosser ben noti. Il pontefice Paolo III cercò di averlo in Roma. Ma egli sapendo che ciò sarebbe spiaciuto al duca suo sovrano, ne ricusò le offerte. Cosimo in premio delle continue erudite fatiche di Benedetto, gli fè’ conferire la prepositura di Montevarchi, ed egli allora prese gli ordini sacri. Ma mentre indugia ancor qualche tempo a colà trasferirsi, sorpreso da apoplessia, finì di vivere nel 1565 in età di sessantalrè anni.» L omo infaticabile fino all’estremo, non vi fu classe alcuna della piacevole letteratura, ch’egli non coltivasse, e con molte sue opere non illustrasse. La Storia fiorentina da lui composta, e [p. 1346 modifica]l346 LIBRO che non comprende che lo spazio tra ’l 1527 e’l 1538, è nondimeno molto voluminosa, ed egli è tacciato non senza qualche ragione di una eccessiva lunghezza e di uno stile diffuso languido e spesso anche intralciato, difetti ai quali per avventura avrebbe posto rimedio, se avesse potuto darle l’ultima mano. Più grave e difficile a discolparnelo è l’accusa di una troppo aperta adulazione pe’ Medici suoi signori; ed ei fa conoscere ben chiaramente ch’egli riceveva da essi stipendio, e che avea venduta lor la sua penna. Ei si mostra ancor troppo facile nell adottare certi popolari racconti, tra’ quali è quello* dell’orribile e mostruoso eccesso di Pier Luigi Farnese verso il vescovo di Fano Cosimo Ghcri (*), da lui non solo troppo francamente affermato, ma anche troppo liberamente descritto nel fine della sua Storia, e la cui falsità, dopo più altri scrittori, è stata con evidenti pruove mostrata dal ch. signor proposto Poggiali (Stor. di Piac. t. 9, p. 228). Nel che però non fu solo il Varchi a narrar tal menzogna, che anche il Segni, e poi il de Thou inserironla nelle loro Storie. Quella del (*) 11 eh. P. Aliò mi ha avvertito che, pe’ documenti da lui veduti, l’eccesso commesso da Pier Luigi Farnese sulla persona del vescovo di Fano sembra a lui che debba ammettersi come certo. E lo stesso si è nllermato nelle Novelle letterarie «li Firenze (1778, col, 806), ove ancora alcuni di lai monumenti si sono accennati, lo avrei bramato che il fatto non fosse vero; ma la verità dee ad ogni cosa antiporsi, e io volentieri la ammetto, e cambio opinione, quando ella mi viene scoperta. [p. 1347 modifica]TERZO. 1347 Varchi non è venuta in luce che nel 1721 colla data di Colonia. Ma il Varchi non fu storico solamente. Ei fu oratore, e molte orazioni ne abbiamo da lui recitate o nella morte di ragguardevoli personaggi, o in occasione delle adunanze accademiche; nelle quali però è più a lodare la purezza della lingua, che la forza dell'eloquenza. Ei fu poeta, e se ne hanno alle stampe Rime, Capitoli, Egloghe e una commedia, e alcune poesie latine. Ei fu grammatico, e ne è celebre singolarmente l’Ercolano, di cui dovremo altrove parlare. Ei fu interprete, e tradusse elegantemente in lingua toscana il trattato di Seneca de’ Beneficii e la Consolazion di Boezio. Finalmente nelle molte lezioni da lui dette nell’Accademia fiorentina, di cui fu consolo nel 1545, fa conoscere la sua moltiplice erudizione, trattando in esse di quistioni fisiche e naturali e morali, e della poesia, e delle arti del disegno, e in più altri argomenti. In tutte queste opere si mostra il Varchi uomo erudito ed elegante nello scrivere, benchè troppo diffuso e verboso; nè le sue opinioni son sempre le più sicure, e una pruova fra le altre ne abbiamo nell’anteporre ch’ei fa Lezioni p. 585, 645, ec.) il Girone dell'Alamanni all'Orlando furioso dell’Ariosto, nel che forse l'amor patriottico accecò il Varchi, e lo espose alle beffe che perciò alcuni si fecer di lui, e singolarmente il Lasca (Rime, par. 1, p. 93). Ciò non ostante dovrà sempre considerarsi il Varchi come uno degli scrittori benemeriti della lingua e della letteratura italiana, e degno perciò di que' moltissimi elogi di cui l'hanno onoralo [p. 1348 modifica]l3/|8 LIBRO gli uomini dotti di quell’età, i quali si veggono ampiamente raccolti nelle due opere già citate ove ancora intorno alla vita e alle opere del Varchi, e intorno a’ costumi di esso, di cui diversamente ragionan diversi scrittori, più altre circostanze si leggon, ch’io tralascio per brevità. XLVI. Mentre questi scrittori fiorentini colle loro Storie illustravano la lor patria, non meno che la lor lingua, uno scrittore’ veneziano intraprese a trattare in lingua latina lo stesso argomento, e il fece in modo che può andare del pari cogli storici per eleganza e per arte più rinomati. Ei fu Giammichele Bruto, intorno al quale un esattissimo articolo abbiam nell opera del conte Mazzucchelli (Scritt. it. t. 2, par. 4 p 2248), ove fra.le altre cose si recano convincenti pruove a mostrare ch ei fu veramente di patria veneziano, e ch' ivi nacque circa il 1515. Per qualche suo fallo, o per altra sinistra avventura, di che non si hanno più distinte notizie, dovette in età giovanile uscir dalla patria, a cui non tornò che dopo più anni, anzi mai non) vi ebbe stabil soggiorno. La vita del Bruto fu quasi un continuo viaggio ora per varie città d’Italia, or per diverse provincie d’Europa. Fu in Padova, ove molto giovossi della conversazione di Lazzaro Buonamici. Fu in Firenze per qualche tempo, e vi godette dell’ amicizia di Pier Vettori e di Pietro Angelio da Barga. Fu in Lucca .ancora e in altre città. Due volte viaggiò in Francia, e si trattenne lungamente in Lione; scorse la Spagna, e a quella corte si conciliò [p. 1349 modifica]TERZO *34c) r amicizia di Paolo Ticpolo ambasciadore della Repubblica; passò nel 1574 in Transilvania invitatovi da quel principe Stefano Bartori, che gli diè l’ incarico di scriver la Storia di que’ paesi, e con lui, quando fu eletto re di Polonia, si trasferì ad abitare in Cracovia. Dopo la morte di questo sovrano, passò alla corte di Vienna, ove dall’ iinpcradore Rodolfo II ebbe l onorevole titolo di suo storiografo. Finalmente circa il i5i)4 chiuse i suoi giorni in Transilvania, ove, non so per qual occasione, si era di nuovo recato. Il servigio però da lui prestato a sì gran principi nol sottrasse agl’incomodi della povertà e al bisogno in cui ritrovossi di vivere negli ultimi anni della sua vita assai frugalmente. E nondimeno le sue opere il rendevano degno di provare gli effetti della più splendida loro munificenza. Fra esse la Storia fiorentina è un de più bei monumenti di questo secolo, e pochi sono gli scrittori latini di storia, di cui pure vi ebbe allor sì gran copia, che a lui si possano paragonare. Egli si dolse però di non averla potuta limare, come avrebbe voluto; e questa fu la ragione per avventura per cui egli o non iscrisse, o non pubblicò la seconda parte che avea promessa. La parte che ne abbiamo, è intitolata Florentinae Historiae Libri VIII priores, e in essi ei non giugne che alla morte di Lorenzo de’ Medici, avvenuta nel i4i)a« Fu stampata in Lione nel 1562; e il trovarsene ora assai poche copie, si attribuisce, all arte che usarono tosto i Medici per sopprimere un opera che al loro nome non era molto [p. 1350 modifica]i35o libro gloriosa. In fatti il Bruto troppo apertamente dichiarossi loro nemico, e un continuo studio di oscurarne la fama e d interpretarne in reo senso le azioni, è l unica, ma non leggera taccia di questa storia. Fin dalla prefazione egli scuopre liberamente il suo animo coll inveire con gran forza contro il Giovio, il quale per adulare i Medici avea depressi e oltraggiati i nobili fiorentini loro nemici. Quest' odio del Bruto contro de Medici, che non poteva essere in lui, uomo straniero, effetto di amore per la libertà della patria, si dovette probabilmente, come osserva l’ eruditissimo Foscarini (Letterat venez, p. 297), al conversare ch’ egli fece in Lione con molti esuli fiorentini, che ivi erano rifugiati, e in lui trasfusero l odio che contro gli autori del loro esilio si nudrivano in seno. Oltre la Storia di Firenze, più altre opere storiche egli scrisse, cioè un trattatello elegante De origine Venetiarum, un’opera De Instauratione Italiae, che non si è mai veduta, e una Storia d Ungheria in otto libri divisa, che si conserva nell imperial biblioteca di Vienna. Ne abbiamo ancora alcune orazioni, e cinque libri di Lettere latine, a cui vanno aggiunti due trattati, l uno della maniera di studiare la storia, l altro de’ precetti coniugali. Le opere di più altri scrittori ancora o furon dal Bruto pubblicate la prima volta, o con osservazioni e con comenti illustrate 5 delle quali cose avendo minutamente parlato il conte Mazzucchelli, a lui io rimando chi ne voglia distinta contezza. Aggiugnerò solamente che intorno alla raccolta di Lettere latine d’uomini [p. 1351 modifica]TERZO I 35I illustri, pubblicale dal Bruto in Lione, abbiamo Uu’ altra lettera a lui scritta da Aouio Falcarlo (Misceli Coli rom.t. 2, p. 169), in cui amichevolmente si duole che non l’ abbia avvertito del disegno che avea d’ inserirvi alcune sue lettere, e gli ricorda alcune cose che in un’ altra edizione desidera che sien mutate. XLVIL La Storia moderna della città di Firenze fu l argomento in cui principalmente occuparonsi gli scrittori da noi finor mentovati. J)on V incenzo Borghini dottissimo monaco benedettino, lasciando in disparte le recenti rivoluzioni, nelle quali appena era possibil lo scrivere, senza rendersi sospetto ad alcun de due contrarii partiti, tutto si volse a ricercare e ad esaminare l’ origine e le antiche vicende della stessa città, nella quale egli pure era nato di nobil famiglia a’ 29 di Ottobre del 1515, ed avea vestito l’abito di S. Benedetto a’ 20 di giugno del 1531. Ei visse nel chiostro unendo insieme l’ esercizio delle religiose virtù a una continua applicazione agli studi. Agli onorevoli impieghi a cui la sua prudenza lo sollevò tra’ suoi monaci, si aggiunse quello di spedalingo ossia priore dello spedale di S. Maria degl' Innocenti in Firenze, che il duca Cosimo gli conferì nel 1552, e ch ei sostenne con singolar vantaggio di quella casa fino alla morte, da cui fu rapito a 15 d’agosto del 1580, dopo avere sei anni prima con religiosa umiltà rifiutato l offertogli arcivescovado di Pisa. Queste notizie da me in breve accennate, si troveranno più a lungo distese presso il sig. Domenico Maria Manni (Sigilli, [p. 1352 modifica]i35a libro t. 3, p. 80, ec.), e presso il conte Mazzucchelli (Scritt. ¡¿id- t. 2, par. 3, p. 1740, ec> j 1 due tomi de’ suoi Discorsi, pubblicati in Firenze negli anni 1584 e!1585, comprendono dodici Dissertazioni intorno all antica storia di questa città, e ad altri punti di erudizione, cioè dell’ origine delle città di Firenze e di Fiesole, delle città della Toscana, de municipii e delle.colonie romane, e delle latine e delle militari, de’ fasti romani, della moneta fiorentina, se Firenze fosse rovinata da Attila e rifabbricata da Carlo Magno, se i Fiorentini ricomperassero la libertà dall’ imperador Rodolfo, e della chiesa e de’ vescovi fiorentini. L’ argomento stesso di alcune di queste Dissertazioni, in cui il Borghini fu il primo a metter la mano, ci scuopre il genio e il talento del loro autore. Pier Vettori parlando di esse fin dal 1560, cioè ventiquattro anni prima che uscissero a luce, si duole che le altre occupazioni del Borghini gli vietino il pubblicarle, e dice che, ove ciò accada, grande sarà il vantaggio che ne trarran gli eruditi (Epist. l. 4, p. 90). E veramente, benchè egli non sia esente da ogni errore, in esse ei si mostra uom versatissimo nella storia, nelle antichità, nella critica, nella diplomatica ancora, e dotato di buon criterio nel discerner le vere dalle false opinioni, e nel rigettar francamente i popolari pregiudizii, degno perciò degli encomii con cui ne hanno parlato infiniti scrittori, le testimonianze de’ quali si posson vedere raccolte dal conte Mazzucchelli, e basti fra esse accennare quella de deputati alla correzione del Decamerone, i quali [p. 1353 modifica]TERZO 1353 affermano elio Firenze ha più da lui che da qualsivoglia altro Cittadino da gran tempo in qua ricevuto lume de più antichi fatti suoi. La lingua toscana pure dovette a lui molto, perciocchè egli fu uno de deputati alla correzione poc’anzi accennata, e l’annotazioni e i discorsi co’ quali fu accompagnata quella edizione, fatta nel 1573, credonsi comunemente opere del solo Borghini. Egli fu ancora e nell’ architettura e nella pittura assai intendente, e di molti edifizii diede egli stesso il disegno; e invenzion del medesimo furono le pitture della cattedral di Firenze, e quelle della sala maggiore del palazzo de’ Medici. Quindi il gran duca Cosimo gli diede l’incarico de’ disegni e degli apparati per le nozze del principe Francesco suo figlio, e. il nominò primo suo luogotenente nell’Accademia del Disegno, a cui egli fè’ dono di una bella raccolta de’ migliori disegni de’ più illustri pittori e scultori. Di qualche altra opera del Borghini, di più lettere che in diverse Raccolte si trovano impresse (oltre le quali io ne ho una inedita e originale al nuncio Alberto Bolognetti), e di più altre cose che son rimaste inedite, parla distintamente il suddetto conte Mazzucchelli, nè giova perciò, ch io mi trattenga a copiarlo. XLVJll. L’ultimo in questo secolo a scrivere la Storia fiorentina fu Scipione Ammiraro, nato in Lecce nel regno di Napoli verso il 1531. Di lui ancora ha trattato con molta esattezza il conte Mazzucchelli (Scritt. it. t. 1, par. 2, p. c a me non resta perciò, che stringere in breve ciò ch egli più ampiamente racconta 1 uiAiìosuu, FxoL XII. i3 [p. 1354 modifica]i35.f unno c pruova (a). L’Annnirato, dopo aver fatti m diverse città del regno i primi suoi studi, fu dal padre mandato a Napoli, perchè vi studiasse le leggi. Ma lo‘studio della giurisprudenza ebbe anche dall'Ammirato quello sfavorevole accoglimento che da tanti altri uomini di raro ingegno abbiam veduto ad esso fatto nel decorso di questa Storia. Le riprensioni del padre non ebber forza bastevole a fare ch’ ei non anteponesse al frequentare le scuole de severi giureconsulti il trattenersi in erudite e piacevoli conversazioni con Bernardino Rota e con Angelo di Costanzo, che ivi ancora eran celebri per valore nel poetare. Costretto indi a partir dalla patria, perchè accusato di qualche satirico componimento, passò a Venezia, e quindi a Padova per proseguire ad esercitarsi negli studi suoi prediletti. Ma privo d’ogni sussidio dallo sdegnato suo padre, dovette tornarsene a Lecce, dileguato già il sospetto di lui formato. Servì per qualche tempo il vescovo di Lecce Braccio Martelli, da cui ebbe un canonicato. Fu poscia in Venezia presso Alessandro Contarini; ma la gelosia che questi contro di lui concepì riguardo a sua moglie, lo costrinse a fuggirsene, e a grande stento campò la vita. Dopo l'elezione di Paolo IV, si diè al servigio di Briana Carrafa di lui nipote, e con essa andossene a Roma. Ma ivi ancora i dispareri insorti tra essa e Caterina Carrafa sorella del • (//) Intorno oli’ Ammirato vengasi anche la più volte citata opera del P. d'AUlitU* {Meni, degli Seri il. napol. t. i, p. 002, ec.). [p. 1355 modifica]TERZO l355 papa costrinsero l’Ammirato ad andarsene, e a far ritorno a Lecce, ove frattanto fondò l Accademia de’ Trasformati. Volle di nuovo tentar la via della corte e si diè a servire Gianlorenzo Pappacoda che fu poi marchese di Capurio, confidentissimo della reina di Polonia Buona Sforza, che allor soggiornava in Bari e di nuovo si vide deluso nelle sue speranze, perciocchè, cambiatasi la fortuna, dovette far ritorno alla patria. Parea che l'avversa sorte avesse preso a perseguitar l’Ammirato. Per soddisfare al sempre querulo padre andossene a Napoli affin di ripigliare lo studio delle leggi, quando pochi giorni appresso, oltraggiato da uno, e venuto con lui a rissa, ne riportò una ferita. Dopo alcune altre vicende di minor conto, chiamato a Napoli nel 1567, fu destinato dal pubblico a scriver la Storia di quel Regno; ma veggendo che a’ comandi non corrispondevano i mezzi a intraprender l’ opera necessarii, sdegnato andossene a Roma, ove trovò bensì protettori ed amici, ma non ciò ch’ egli avrebbe bramato, cioè un mecenate, colla cui munificenza potesse sostentarsi con agio in mezzo a’suoi studi. Partito perciò da Roma, e corsa gran parte Helfltalia, arrestossi in Firenze, ove nel 15"o Cosimo de Medici gl’impose il carico di scriver la Storia di Firenze, e il Cardinal Ferdinando gli assegnò per abitazione il palazzo e la sua villa della Petraia, ed ebbe anche un canonicato nella cattedrale. Ciò non ostante, se udiamo lui stesso, egli si duole dell’infelice sua condizione, e per poco non ci si rappresenta come un mendico in varie sue lettere citate [p. 1356 modifica]l356 LIBRO dal conte Mazzucchelli. Ma, a dir vero, benchè l Ammirato sembri uno di quegli uomini a’ quali non arrise mai la fortuna, par nondi, meno ancora ch ei fosse d’indole alquanto incostante e facile ai’ lamenti. E convien dire che non si trovasse in Firenze sì mal provveduto, perchè ivi continuò a vivere por oltre a trent'anni; e venuto a morte con sentimenti di molta pietà a’ 30 di gennaio del 1601, lasciò suo erede Cristoforo del Bianco suo aiutante di studio, il quale per volere del testatore si disse poi Scipione Ammirato il giovane, e affaticossi a pubblicare e a migliorare ancora alcune opere del suo benefattore, che non erano ancor pubblicate. Fra esse dobbiam qui rammentare singolarmente le Storie Fiorentine, che in due parti abbracciano la storia di quella città dalla fondazione di essa fino al ìS-j f- Le Storie precedenti che PAmmirato potè consultare, le ricerche sulle antichità di Firenze, fatte già dal Borghini e da altri, e l accesso ch egli ebbe a’ pubblici ed a’ privati archivii, gli agevolarono la fatica, e fecero insieme che questa fosse la più compiuta Storia che ancor si avesse di quella città, e che ella sia ancora considerata come opera sommamente pregevole, e la più accurata ed esatta che abbiamo in questo genere. La seconda parte non fu pubblicata che nel 1 G/[ 1 dall'Ammirato il giovane, il quale sei anni appresso fece di nuovo stampare, divisa in due volumi, la parte prima, accresciuta di non poche notizie tratte parimenti da diversi archivii. Per mostrarsi grato agli onori che riceveva in Firenze, scrisse ancora la Genealogia [p. 1357 modifica]/ TERZO i35^ delle Famiglie nobili fiorentine; ed egli dice che nel solo anno 1592 avea a tal fine svolte ed esaminate più di seimila scritture. In due parti l’avea egli divisa; ma la prima sola fu pubblicata più anni dopo la morte dell’Ammirato. Una somigliante fatica intraprese egli pure coll’illustrare le famiglie napoletane, per cui afferma di aver vedute più di cinquantamila scritture. La prima parte fu data in luce nel 1580, e solo nel 1661 videsi la seconda, inferior di valore alla prima, forse perchè ei non ebbe agio a finirlo. Queste opere genealogiche dell’Ammirato sono in grande stima presto gli eruditi, e ci mostrano uno scrittore che cerca, quanto più può, di appoggiarsi all’autorità di autentici monumenti; cosa tanto più pregevole allora, quanto più scarsa era la cognizione che aveasi della diplomatica. Le famiglie Paladina e Antoglietta, e quella de’ conti Guidi da lui ebbero anch esse separatamente la loro Storia. Grande è poi il numero delle altre opere dell' Ammirato, sì di quelle che sono stampate a parte, fra le quali assai stimati sono i Discorsi su Tacito; sì di quelle che sono unite nei" tre tomi de’ suoi Opuscoli, e sono altre storiche, altre poetiche, altre morali, oltre molte orazioni e diversi trattati di varie materie, de quali si può vedere l’esatto catalogo presso il conte. Mazzucchelli, che parla ancor delle inedite, e accenna gli elogi di cui sono state onorate esse non meno che il loro autore, il quale deesi a buon diritto riporre tra’ più dotti e’ più saggi scrittori che avesse in questo secol l’Italia. [p. 1358 modifica]

1358 n®RO XLIX. Questi sono i più illustri scrittori della Storia fiorentina, vissuti al tempo di cui parliamo. E dopo essi ci basterà far un cenno di alcuni altri men celebri. Una Cronaca dell antica regione di Toscana di Cristofaro Cieco da Forlì fu stampata di Firenze nel 1572, il quale autore medesimo tre anni innanzi avea pubblicata in Venezia una Cronaca della Marca Trivigiana, e fu anc’or F editore del primo e del secondo libro dell’Eneide tradotta da Alessandro Guarnello. Io non so se questi sia quel Cristofaro Sordi da Forlì cieco e improvvisatore da me altre volte accennato (t 6, par. 3), nè molto giova il cercarlo. Cosimo de Medici ebbe diversi scrittori della sua Vita, i quali a gara n esaltaron le lodi, quali furono Alessandro Ceccherelli, Baccio Baldini, Aldo Manuzio il giovane, Giambattista Cini e Mario Matesillani bolognese. Francesco Bocchi fiorentino, autore di più altre operette (V. Mazzucch. Scritt. it t. 2, par. 3, p. 1393), nel suo libro intitolato Bellezze di Firenze, stampato nel 1591, prese a descriver le cose tutte antiche e moderne degne d’osservazione ch ivi vedeansi, e due libri ancor pubblicò in lingua latina nel, che contengon gli elogi de’ più celebri Fiorentini. Paolo Mini, benchè medico di professione, non trascurò lo studio della storia patria,0 e ne diè saggio colla Difensione della Città di Firenze e de Fiorentini, e col Discorso della Nobiltà di Firenze, a cui aggiunse alcuni avvertimenti ed altre riflessioni (Notizie dell'Accad. fiorent. p. 212). Deesi qui ancora accennare il libro della Repubblica [p. 1359 modifica]TERZO *359 fiorentina di Donato Giannotti, stampato solo nel 1721, del qual autore, che fu di patria fiorentino, ma esule dalla patria visse per lo più-in Venezia, si posson vedere esatte notizie presso Apostolo Zeno (Note al Fontan, t. 2, p. 222) e nel Catalogo della Capponiana (p. 188). Io passo sotto si) Ai zio molte altre Storie, o opere in qualche modo a storia appartenenti, che si conservano inedite nelle biblioteche fiorentine e altrove, e delle quali è inutile il ragionare, poichè tante e di sì gran pregio ne abbiamo alle stampe (a). Accennerò ancora di volo alcune Storie delle altre città di Toscana, nelle quali non abbiam cosa che meriti lungo ragionamento, trattine alcuni storici sanesi. Fin dal principio del secolo, cioè nel i5o(ij uscì alla luce in Siena un trattato di Bartolommeo Benvoglienti De Antiquitate Senarum Urbis. L’autor di esso però era morto (fin dal 1486 (V. Mazzucch. l. c. t. 2, par. 2, p. 8j)3). (tesare Orlandi entrò poscia a trattare dello stesso argomento nel suo opuscolo De Urbis Sena ejasque Episcopatus miti qui tate (Thesaur. Antiquit. et Hist. Ital. t. 8). Ma di esso non troppo favorevol giudizio recò in una sua lettera Adriano Politi. Il nostro Cesare Orlandini, scrive a Giugurta Tommasi (Lettere, p. i43> ed. Ven. 1624), che visse lungamente in Roma (a) Molto ancor giova a illustrare la storia fiorentina la Vita di Pietro Soderiui confalonier perpetuo di qucila Repubblica, scritta da lì. Silvano Razzi altrove nominato, e fatta poscia magnificamente stampare in Padova 1 anno 1737 con uua copiosa serie d’interessanti autentici documenti. [p. 1360 modifica]l3Go LIBRO Procctiratore, e lassate in ultimo le fatiche, e. gli studi di Legge, che. gli davano da vivere honoratamente e con molto credito, volse con mal consiglio diventare Antiquario, e darsi, alle Lettere d'humanità, che lo fecer poi morir povero.... fece ogni possibil diligenza, ajutato in ciò da Fabio Benvoglienti... per trovar luoghi ed autorità (da fondare il titolo e l’ attributo del Sena vetus coll antichità della nostra patria; e se bene fu in ciò assai più felice.... nel dare a terra l opinione degli altri, che nel fondare la sua, fece però assai; finchè dopo lui il Malvolta con miglior ordine e con maggior chiarezza e più accuratamente mise in sicuro la nostra causa dell ormine e dclC antichità di O Siena. Quel Fabio Benvoglienti qui nominato fu uomo assai dotto, e autore di alcune Opere di cui si posson vedere distinte notizie presso il conte Mazzucchelli (l. c p. 89 j). II Malvolli, del quale pure fa menzione il Politi, fu Orlando Mal volti clic scrisse l'Istoria de' fatti e guerre dei’ Sanesi così esterne come civili, seguite dall'origine della lor città fino all' anno 1555, stampata in Venezia nel 1599 (V. Zeno, Note al Fontan. t. 2, p. 243). Finalmente quello stesso Giugurta Tommasi, a cui scrive il Politi, fu autore di una Storia di Siena, di cui però non uscì che la sola prima parte nel 1625, la quale giunge all’anno i355 (*). Ottimi suggerimenti {*) Di Giugurta Tommasi si conservano nella libreria di S. Salvadore in Bologna alcuni Discorsi manoscritti da lui detti nell’Accademia de Travagliati di Siena, di cui era membro; e il codice che appartiene al 1571, è [p. 1361 modifica]TERZO I 3GI gli diede lo stesso Politi, scrivendogli che non si fidasse di certi autori che gli erano stati esibiti, come ottimi monumenti per la Storia antica di Siena che stava scrivendo: lo assicura di averli inutilmente cercati in tutte le librerie di Roma *, e perciò crede che questa sia una di quelle invenzioni di quel Medico (cioè di Alfonso Ceccherelli, di cui diremo più sotto), che seppe, guadagnarsi la forca con questi ritrovamenti di scritture e d autorità a proposito de suoi disegni. E siegue recandogli più argomenti a provare che gli autori offertigli, e singolarmente un certo Gabinio Leto, son cose apocrife (l. c. p. 140). Lo stesso Politi in un’altra lettera al cavalier Scipione Bargagli piange la morte'del Tommasi, dicendo che la patria ha perduto un uomo di valore pieno di Lettere e di qualità non ordinarie, e noi un amico honorevole, e, s io non m inganno, minor di età di pochi anni; e aggiugne spiacergli ancor più ch’ei sia morto, mentr era per venire a Roma, affin di consultarlo intorno alla sua Storia (ivi, p. 257). La lettera non ha data, ma non può essere posteriore al 1624, in cui fu fatta l’edizione delle Lettere del Politi. Riguardo alle altre città e castella della Toscana, La Narrazione e il Disegno della Terra di Prato di Giovanni Miniati, la Cronichetta del Monte S. Savino di Agostino Fortunio monaco C&malintitolato La Ventura delV Accademia de’ Travagliati, e vi si leggono poesie italiane «li Alessandro Borghesi, di Ottavio Saracino, di Cammillo Gliigi, di Léonard«) Gluni, e di altri. [p. 1362 modifica]1362 LIBRO do le se, l’Origine di Montale ino di Domenico Coralli, son troppo piccole cose, perchè debban qui esser rammentate distintamente. Più pregevole è la Storia di Borgo S. Sepolcro scritta da Antonmaria Graziani; ma di lui ci riserbiamo a dir tra non molto. L. Dopo Firenze, niuna città ci offre un numero e una scelta sì illustre di storici, quanto \ enezia. Abbiam veduto nella storia del secolo precedente (t 6, par. 2, p. 651, ec.), ch erasi ivi trattato di destinare con pubblico ordine qualche illustre scrittore, da cui la Storia di quella Repubblica fosse diligentemente ed eruditamente trattata, ma che niuno era ancora stato a tal (fine trascelto, e che la sola Storia di Marcantonio Sabellico, se non fu per comando della Repubblica scritta, fu almeno per ordin della medesima solennemente approvata. Il primo, a cui tal commissione fosse affidata, fu Andrea Navagero, ed egli aveane già scritti ben dieci libri; ma seco recatili nell’ambasceria di Francia, e sorpreso ivi da mortal malattia, per cui in età giovanile finì di vivere, gettolli al fuoco, o per impeto del male stesso, o perchè, come altri credettero, ei non li credesse ancora abbastanza limati (Foscarin, Letterat. venez. p. 251, ec.). Quindi ei lasciò l’onore di essere il primo a pubblicare per ordin pubblico la Storia veneta a Pietro Bembo, nome troppo celebre tra gli eruditi, perchè abbia bisogno di essere nuovamente illustrato. Dopo le Vite che ne scrissero Giovanni della Casa, Lodovico Beccadelli, e più altri scrittori di que’ tempi, il conte Mazzucchelli ne ha ragionato di nuovo [p. 1363 modifica]TERZO i3C>3 con tale esattezza, che inutil sarebbe il cercar cose nuove (Scritt. ital. t. 2, par. 2, p. 733, ec.). Io potrò dunque esser breve nel ragionarne 5 ma mi sforzerò nondimeno di farlo in modo che nulla si taccia del! molto che a lui dee la letteratura italiana. Da Bernardo Bembo patrizio veneto suo padre, onorato di ragguardevoli cariche nella Repubblica, gran protettore de’ dotti, di che diede pruova fra le altre cose nel ristorare in Ravenna il sepolcro di Dante, e uomo assai dotto esso pure (Mazzucch, l. c. p. 726) ec.), ebbe Pietro l'esempio insieme e lo stimolo ad abbandonarsi tutto agli studi. Da lui e da Elena Marcella di lui moglie nato in Venezia a’ 20 di maggio del 1470 fu in età di otto anni a Firenze col padre inviatovi ambasciadore della Repubblica • c tornato dopo due anni a Venezia, sotto la direzione di Giovanni Alessandro Urticio studiò la lingua latina, e si avanzò nel corso dell’amena letteratura. Seguì poscia il padre che andò podestà in Bergamo nel 1489; e restituitosi due anni appresso a Venezia, per desiderio di apprendere la lingua greca, ottenne di andare nell’auno i4(J2 a Messina, ove da Costantino Lascari ivi allor professore fu in essa istruito. Sulla fine del 1495 passò a Padova, e alla scuola di Niccolò Leonico Tomeo coltivò la filosofia. Quindi l’anno seguente, tornato per voler del padre a Venezia, cominciò a disporsi ad aver parte nelle pubbliche cariche. Ma annoiato presto di quel tenore di vita nulla confacente alle sue inclinazioni, nel 1498 andò a riunirsi col padre inviato fin dal precedente anno dalla Repubblica [p. 1364 modifica]1364 ■ L.1Bno col titolo di vicedomino a Ferrara. L’amicizia che ivi contrasse con Niccolò Leoniceno, con Antonio Tebaldeo, con Jacopo Sadoleto e con Ercole Strozzi, gli rendette caro e piacevole quel soggiorno, talchè tornato due anni appresso col padre a Venezia, spesso solea colà ritornare, standosi ora in città, or nella villa dello Strozzi, caro anche al principe Alfonso, poi duca, e a Lucrezia Borgia di lui moglie, di cui fu assai confidente. In Venezia frattanto era egli uno dei’ principali ornamenti della celebre Accademia ivi aperta da Aldo Manuzio il vecchio 5 ma pochi anni continuò ivi il suo soggiorno, e nel 1506 passò alla corte d Urbino, di cui forse non v’avea allora la più magnifica e la più splendida nell’accogliere e nel favorire gli uomini dotti. Sei anni trattennesi ivi il Bembo, coltivando piacevolmente i suoi studi, e godendo del favor di que' principi, a quali si mostrò egli grato scrivendo in lor morte relegante dialogo De Guido Ubaldo Fere trio, deque Elisabetha Gonzaga Urbini Ducibus. Nel 1512 passò insieme, con Giuliano dei Medici a Roma. Lo spiegar ch'egli fece felicemente un antico libro latino inviato dalla Dacia a Giulio II, gli conciliò la grazia di questo pontefice; morto il quale fra poco, e succedutogli Leon X, questi, prima ancora di uscir dal conclave, scelse a suo segretario il Bembo, assegnandogli lo stipendio annuale di tremila scudi. Lo stato felice ed agiato in cui allora trovossi il Bembo, e il lusso che regnava nella corte di Leon X, gli furon d inciampo; poichè perdutosi dietro ad una cotal Morosina, da cui non seppe staccarsi, [p. 1365 modifica]TF.RZO l365 finch’ella non morì in Padova nel 1525, n ebbe due maschi ed una femmina, Lucilio morto in assai giovine età, Torquato che fu canonico in Padova, e coltivatore egli ancora de’ buoni studi (V. Mazzucch. l. c p. 769), ed Elena maritata poi con Pietro Gradenigo gentiluom veneziano. Questi amori però noi eli— stolsero dal fedel servigio del suo sovrano) e ne son pruova le molte lettere da lui scritte in nome di esso, per le quali sempre più gli divenne caro ed accetto, e ne fu ancora adoperato in varie importanti ed onorevoli commissioni. Una grave infermità, che il pose a pericolo della vita, lo indusse, per consiglio ancora dello stesso pontefice, a trasferirsi nel 1520 a Padova, ove felicemente riebbesi. Ma morto frattanto il pontefice Leon X, egli, già provveduto a dovizia de’ beni ecclesiastici, antepose una vita tranquilla ed agiata al rumor della corte, e fissò il soggiorno in Padova, ove visse più anni in un dolce riposo, coltivando piacevolmente i suoi studi, e godendo di raccogliere in casa il fiore de’ dotti, ch era allora in quella città raccolto. Pareva la casa del Bembo il più amico ricovero che avesser le scienze e le lettere. Ivi gran parte di libri d’ogni più scelto genere d'erudizione ivi una magnifica collezione di antiche medaglie e di altri rarissimi monumenti j ivi un bell'orto botanico fornito dell’erbe e de’ semplici di maggior pregio ivi in somma tutto ciò che in qualche modo giovar potesse a promuover e a fomentare gli studi. In questo tempo, cioè nel 1529), gli venne imposto di scriverla [p. 1366 modifica]l3G6 LIBRO Storia veneta; nel che egli occupossi. finchè trattennesii in Padova, e anche dappoichè onorato della porpora passò a Roma. Ciò accadde nel 1539; nel qual anno Paolo III desideroso di sollevare a quella cospicua dignità uomini tali che colla loro dottrina onorasser la Chiesa, ad istanza principalmente del Contarini e del Saldoleto, i quali si adoperarono con grande impegno a toglier dall’ animo del pontefice le ree prevenzioni che le calunnie di alcuni e le passate debolezze del Bembo gli avean destato, a’ 24 di marzo il dichiarò cardinale. Nell’ottobre dell anno stesso si trasferì a Roma; e non si dee tacere ad onor del Bembo, che, se per l innanzi egli era stato di costumi più liberi che ad uom cristiano, e molto più ad uomo di Chiesa, com egli era, non si convenisse, poichè fu cardinale e si ordinò sacerdote, intraprese una vita del tutto diversa, e si diè interamente agli studi sacri, e alfeserci/.esercizio de’ doveri della sua carica. Nominato da Paolo III nel 1541 al vescovado di Gubbio, colà recossi nel 1543; e vi avrebbe fissata la sua dimora, se il pontefice con espresso comando non lo avesse richiamato a Roma. Per la stessa ragione non potè egli onorare di sua presenza la chiesa di Bergamo. a cui fu dal pontefice trasferito nel 1544 Continuò dunque a vivere in Roma, caro al pontefice, e amato e rispettato da tutti i più dotti e i più ragguardevoli personaggi della corte, finchè a 18 di gennaio del 1547 *n settantaselte anni con contrassegni di singolare pietà diè fine a’ suoi giorni, e fu onorevolmente sepolto nella [p. 1367 modifica]TERZO 1367 chiesa di Santa Maria alla Minerva, pianto non men che encomiato e in prosa e in versi da tutti i più eruditi uomini che allora vivessero. LI. Ed era in fatti il Bembo uomo 'degnissimo della loro stima e degli onori che gli ren- « derono. Oltre il vantaggio da lui recato colle belle raccolte da noi già qui e altrove accennate di antichità e di libri, e col favore da lui continuamente prestato agli uomini dotti, si può dir con ragione ch’ei fosse il primo a far risorgere a nuova luce la poesia italiana, che nel secolo precedente era divenuta assai rozza, in ciò che appartiene allo stile, come a suo luogo si è osservato. Il Bembo, benchè nato ed allevato appunto in que’ tempi ne’ quali il gusto era più corrotto, invece di attenersi agli esempii che avea innanzi agli occhi, prese per sua guida il Petrarca, e su quel perfetto modello studiò di formarsi. Egli è vero che nelle rime del Bembo non vedesi una certa facilità e morbidezza che rende più amabile la poesia; ma se si pongono a confronto con quelle de’ rimatori vissuti al fine del secolo xv e al principio del xvi, si scorgerà agevolmente qual differenza passi fra fune e l’altre, e quanta lode perciò debbasi al Bembo che seppe sì ben sollevarsi sopra il volgo degli altri poeti. Lo stesso difetto di asprezza e di stento si trova nelle opere da lui scritte in prosa italiana, come nelle Lettere, negli Asolani e nelle Prose; difetto però, ch è ben compensato dalla eleganza dello stile e dalla sceltezza delle parole. E in ciò ei non fu solo esemplare, ma ancor maestro colle suddette Prose, nelle quali egli fu o il primo, o [p. 1368 modifica]1368 LIBRO ini de1 primi, a dar precetti per iscrivere nella volgar nostra lingua; di che altrove diremo. Più nondimeno che per le opere scritte in lingua Italiana, è celebre il Bembo per quelle in cui usò la latina. Cicerone fu l esemplare ch’ei si prefisse a seguire; sopra esso fece il suo studio, imbevendosi, per così dire, dello stile e delle espressioni di quel gran maestro e cercando di farne la più fedel copia che gli fosse possibile. In ciò ancora egli oltrepassò i confini che un uom saggio si dee prescrivere, e vien detto imitatore troppo servile. In fatti videsi nello stile del Bembo un’affettazion ricercata di dire ogni cosa coirti* direbbela Cicerone, e una troppo raffinata-eleganza che talvolta arresta spiacevolmente i lettori. Ma così dovea naturalmente avvenire. L'eccesso di negligenza avea sparso per tutto il mondo una luttuosa barbarie. L’eccesso di diligenza dovea ricondurlo alla finezza e al buon gusto. Il Bembo fu troppo studioso ricercator d’eleganza; ma egli insegnò agli altri la via che dovea seguirsi, e lasciò ch essi la battessero poscia più felicemente ancora che non avea egli fatto. È certo però, che le Lettere, e più ancora le Poesie latine del Bembo saranno sempre in gran pregio presso i più saggi estimatori dell’eleganza e della grazia nello scrivere, e ch essi 'leggendole sapranno insieme fuggirne i difetti e imitarne i non pochi e non ordinarii pregi che le adornano. Lo stesso vuol dirsi della Storia veneta, di cui (qui dobbiamo principalmente parlare. Erasi egli prefisso di abbracciare in essa lo spazio di quarantaquattro anni, cominciando [p. 1369 modifica]TERZO 1 36^ dall 487, ove l’avea terminata il Sabellico. Ma non potè compirne che dodici libri, co’ quali giunse soltanto alla morte di Giulio II e questi ancora non furono pubblicati che quattro anni dacchè egli fu morto, cioè nel 1551. Lo stile è elegante e colto, ma col difetto usato del Bembo, cioè di un soverchio raffinamento, e di una quasi servile imitazione di Cicerone, per cui anche alle cose sacre adatta l espressioni della superstizion gentilesca. Riprendesi innoltre nel Bembo la omission delle date, sicchè appena mai si rileva quando un tal fatto accadesse; difetto però, ch era allor comune a quasi tutti gli storici. Ma più ancora viene in lui biasimata la scarsezza delle notizie, per cui la sola superficie, per così dir, delle cose vedesi ivi delineata, senza ch’ egli entri a ricercarne più internamente l’origini e le cagioni. Di ciò nondimeno non può incolparsi il Bembo, la cui Storia sarebbe stata più ricca d’interessanti notizie, se a lui fossero stati aperti i pubblici archivii. Ma essendo egli uomo di Chiesa, ciò non si volle permettere, come avverte il chiarissimo Foscarini (Letterat venez. p. 253). Nel che, a dir vero, io non so intendere come si destinasse a scriver la Storia un uomo a cui non voleansi aprire i fonti a’ quali soli poteva attingerla. Delle varie edizioni di questa Storia, del volgarizzamento che l autore stesso ne fece (a), (o) Erasi mosso dubbio da alcuni scrittori, se il volgarizzamento della Storia del Bembo fosse veramente opera del medesimo autore. L’ originale pochi anni sono 1 IMBOSCHI, Voi XII. i4 [p. 1370 modifica]] 370 LIBRO delle altre opere da lui composte, delle diverse loro edizioni, di quelle che son perdute o ri giacciono inedite, de’ grandi elogi co’ quali egli è stalo onorato, delle medaglie in onor di esso coniate, -delle accuse colle quali hanno alcuni tentato di oscurarne la fama, e di più altre cose intorno alla vita e alle letterarie fatiche dei Bembo, io lascio che ognuno vegga le più esatte notizie presso il conte Mazzucchelli e presso gli altri scrittori da lui citati. Lll. Dopo la morte del Beinbo, fu destinato a succedergli nell’ impiego di storiografo della Repubblica Daniello Barbaro da noi mentovato altrove; ma poco egli scrisse, e due soli frammenti da lui stesi in lingua italiana ne ha trovati il sopraddetto Foscarini (ivi, p. a54), sulla cui scorta singolarmente io verrò ragionando in breve degli altri storici veneti. Luigi Contarmi nipote del celebre cardinale, e giovane di non ordinarie speranze, sottentrò al scopertosi nell"1 archivio del Consiglio de’ Dieci, e trasportato poi alla pubblica biblioteca di S. Marco, ha tolto ogni sospetto. Esso è scritto di man del Bembo, trattene poche pagine al principio, e ciò che più importa, in molte cose non sol quanto allo stile, ma anche quanto alla sostanza de’fatti, è diverso dall'edizioni che ne avevamo avute finora. Quindi lodevolissimo è stato il consiglio di Sua Eccellenza il sig. cavaliere e procuratore di S. Marco Francesco Pesaro di darlo alla pubblica luce; e l’ edizione per ogni riguardo magnifica e degna dell’autore, non meno che dell'editore, ne è stata fatta in Venezia dal Zatta in quest’anno 1791- H eh. D. Jacopo Morelli vi ha premessa un’ erudita non meno che elegante prefazione, in cui ci dà un’ esattissima storia di tutto ciò che a questa grand’ opera del Bembo, e al volgarizzamento di essa appai tiene. [p. 1371 modifica]TERZO l3ji Barbaro. Ed egli undici libri in lingua latina ne stese dal 1513 fino al 1570. Ma morto esso pure nel 1579 nella fresca età di quarantatrè anni, questo lavoro si giacque inedito, e se ne ha una copia a penna nella libreria della Salute in Venezia (ivi, p. 255). Più felice successo ebbero le fatiche di Paolo Paruta successore del Contarini, e a questo impiego trascelto della Repubblica nel Apostolo Zeno ne ha scritta la Vita che va innanzi alla nuova edizione ch’egli ci ha date della Storia da esso composta nè io mi tratterrò o a ripeterla, o a compendiarla. Ciò che non dee qui tacersi, si è il raro merito di questa Storia, la quale, o si riguardi la fedeltà e l’ esattezza con cui è scritta, o la gravità dello stile non elegante, ma pieno di maestà e di forza, o le profonde giustissime riflessioni con cui l autor l accompagna, deesi annoverare tra le migliori che abbia l'Italia, e tale a cui poche possono stare al confronto. E un pregio rarissimo ella ha tra gli altri, cioè che lo storico alle cose particolari della Repubblica sa unire secondo il bisogno le cose generali d Italia, ma in modo che non perde giammai di veduta il suo scopo, e a quello sa indirizzare con bell’ arte il suo racconto, ancor quando sembra ch'egli se ne allontani. Il Paruta, onorato in premio del suo sapere e del suo senno dalla Repubblica delle dignità di cavaliere e procurator di s Marco, non ebbe il piacere di veder la sua Storia uscita alla pubblica luce, e di udire gli applausi con cui da tutti fu ricevuta. Egli morì nel 1598 in età di soli cinquantotto annij ei [p. 1372 modifica]\Zl2 LIBRO figliuoli di lui la pubblicarono nel 1605. Ella si stende dal 1513 al 1551 con tre altri libri ag. giuntivi della Guerra di Cipri dal 1570 al 1572. Anch’ egli cominciò a scriverla in lingua latina, prefiggendosi d’imitare singolarmente Sallustio; e dicesi che quattro libri n’avesse già scritti. Certo il primo fu esibito dal Paruta al Consiglio de’ Dieci, ed esso conservasi manoscritto in S. Giorgio Maggiore; ma cambiò poscia disegno, e si diè a scrivere in lingua italiana (ivi) p. 256). In questa, prima di scriver la Storia, avea già egli dati in luce i tre libri della perfezione della Vita politica, e scrisse poi anche i due libri de’ Discorsi politici, ne quali l’ autore con somma modestia esamina il corso delle sua vita; che furon poi pubblicati nel 1599 da’figliuoli di esso, opere amendue stimatissime pei’ lumi e per le riflessioni di vera e saggia politica, non mai disgiunta da’ principii di Religione, di cui son piene, e in cui degli antichi e de’ recenti governi discorre con finissimo intendimento. Ne abbiamo ancora una bella orazion funebre da lui detta in lode dei’ morti nella famose battaglia delle Curzolari nel 1571, e stampata in Venezia l’ anno seguente. LIII. Oltre queste Storie dalla pubblica autorità approvate, altre n ebbe Venezia, e alcune di esse degne di aversi in gran pregio. Accenniam prima alcune Cronache, nelle quali veggonsi i fatti semplicemente e successivamente narrati. Di quella di Marino Sanudo il giovane si è già detto altrove (t. 2, par. 2, p. 651). Un’ altra ne abbiamo dal Muratori data alla [p. 1373 modifica]terzo i3^3 luce (Script. rer. ital. vol. 22, p. 924), dall origine di Venezia fino al 14i)^? scritta da Andrea Navagero, il qual per altro, com’ egli pruova con assai forti ragioni (l. c p. 159), fu diverso dallo storico mentovato poc’ anzi, e di cui di nuovo diremo tra’ poeti. Anzi egli al vedere le favole di cui questa Cronaca è piena ne’ tempi antichi, e il miglior senno con cui è scritta ne’ più moderni, e la disuguaglianza dello stile, crede che sia opera di diversi autori. Donato Contarini, Barbaro Ariano, Agostino degli Agostini, Lionardo Savina e più altri furono parimente scrittori di Cronache; ma giacendosi esse inedite, non giova il dirne più oltre, e io rimando i lettori che ne braman distinte notizie, al più volte lodato diligentissimo storico della veneziana Letteratura (p. 160), il quale ancora avverte che la voluminosa Cronaca attribuita da molti a Daniello Barbaro, eletto d’Aquileia, non può esser opera di questo dotto scrittore. Più degne son di menzione alcune più ampie Storie che si videro uscire in pubblico a’ tempi di cui scriviamo. Oltre alcune opere di questo argomento, che ad altre occasioni abbiam rammentate, Andrea Mocenigo patrizio veneto scrisse in lingua latina la Storia della famosa guerra che per la lega di Cambray sostenne quella Repubblica. Benchè lo stile non ne sia molto elegante, la sincerità nondimeno e l’ esattezza con cui narra le cose, la fecer ricevere con molto applauso. Egli avea scritto ancora un poema in versi latini sulla guerra avuta con Baiazzette II nel 1500, che ora è perito, e [p. 1374 modifica]1374 libro qualche altra opera che rammentasi dal Foscarini (ivi, p. 269). Pregevole è ancor la Storia general di Venezia, che in latino scrisse Pietro Giustiniani che fu poi senatore, la quale fu stampata la prima volta nel 1560. Nelle cose antiche però ei seguì incautamente i favolosi racconti de’ vecchi cronisti (ivi, p. 274)• Niccolò Zeno, detto il giovane a distinzione di un altro antico del medesimo nome, prese a combattere cotali favole; ed esaminando le più sicure memorie, diè alla luce nel 1557 undici libri Dell Origine di Venezia, ec., i quali contraffatti e malconci in quella prima edizione, furon di nuovo più correttamente stampati nel 1558. In essi, benchè veggasi pur qualche errore, si scorge però il buon senso e l erudizione e la critica dell’ autore, che fu perciò assai lodato da molti, e dal Sigonio singolarmente (ivi p. 276). Io lascio in disparte la Storia veneziana, e alcune altre opere di somigliante argomento di Gianniccolò Doglioni, ed alcuni scrittori delle Vite de Dogi, che non son molto pregiate (ivi, p. 271), l opera di Pancrazio Giustiniani intitolata I Fasti illustri delCAristocrazia veneziana, e altre tali opere di minor conto. Altri presero a trattare particolari punti di storia, come Paolo Rannusio il giovane, di cui abbiamo altrove lodata la Storia della guerra di Costantinopoli. La guerra di Cipri singolarmente, che fu in questo secolo sì famosa, esercitò la penna di molti scrittori, fra' quali oltre il Paruta or or mentovato, e Natal Conti, di cui pur si è già detto, si occuparono in ciò con lode Giampietro [p. 1375 modifica]TERZO i375 Contarmi, Emilio Maria Manolesso, e più felicemente di essi al principio del secolo susseguente Girolamo Diedo, e in lingua latina Giannantonio Guarnieri bergamasco, per tacer d'altri le cui opere sono inedite (ivi, p 284, ec.). Ai quali scrittori di storia debbonsi aggiugnere ancora il trattato De Magistrati e della Repubblica veneta del gran cardinal Contarini, libro di. merito assai maggior che di mole, e quello di somigliante argomento di Donato Giannoni fiorentino, operetta essa ancora molto accreditata, e alcune opere del famoso F. Paolo, di cui altrove si è detto, ed altre che cosa lunga non meno che inutile sarebbe il rammentare distintamente. LIV. Nè soli furono i Veneziani a scriver le cose loro; ma anche alcuni stranieri con essi si unirono a celebrarle. Oltre gli Annali veneti di Giulio Faroldi, stampati in Venezia nel 1577, ch è probabilmente lo stesso che l’autore della Vita di Vespasiano Gonzaga, da noi già nominato, e oltre il poema latino in dodici libri diviso di Francesco Modesto riminese, intitolato Venetiados, e stampato nel 1501, una bella ed elegante Storia della Guerra di Cipri ci diede Antonmaria Graziani vescovo d'Amelia, uno dei più colti scrittori di questo secolo. Egli stesso ha scritta stesamente la Vita sua nell opera intitolata De Scriptis invita Minerva; e da essa, e insieme dall elogio che l Eritreo ha fatto di questo scrittore (Pinacoth. pars 2, P 186), e che dal P. Girolamo Lagomarsini è stato illustrato con ampie note e premesso all’ edizion da lui fatta dell opera stessa, noi [p. 1376 modifica]13^6 LIBRO trarremo quelle più importanti notizie che a (darne una giusta idea son necessarie. Borgo S. Sepolcro piccola città in Toscana fu la patria del Graziani, figlio di Giulio Graziani e di Lodovica Sernada, amendue d illustre famiglia, e ivi nacque a 23 di ottobre del 1537. Stette per più anni ozioso nella paterna sua casa; finchè Luigi di lui fratello maggiore inviollo nel Friuli allo studio della lingua latina alla scuola di Giampierio Astemio maestro ivi assai celebre. Passò indi a Padova allo studio delle leggi, e poscia nel 1560 a Roma, ove da Gianfrancesco Commendone, che fu poi cardinale, ricevuto tra suoi famigliari, provò in lui un tenero padre, un dotto maestro, un provido consigliero; e il Graziani talmente si strinse al suo benefico protettore, che non mai volle staccarsene, e ne scrisse poscia la Vita che abbiamo alle stampe. Nell opera poc anzi citata narra egli stesso con quale affetto venisse da quel grand’ uomo istruito e allevato, e nel narrarlo si mostra si penetrato di amore per lui, ch'io credo di far piacere a chi legge coi riferirne quel passo: Vixi quinque et viginti cum eo annos usque ad illius obitum eo jure, ea auctoritate, eo totius familiae erga me obsequio, honore, studio, ut si. ego unicus filius, ac si illa mihi paterna domus esset.... At quanta illa cura morum incortini, ut ad Beli ginn rm, ad probitatem, ad humanitatem informarentur, excolerenturque! Quanto studio mea studia non juvit modo, sed etiam rexit! Ipse mihi selectos Platonis libros, ipse Aristotelis Rhetoricam, Ethicam, Politicam, est [p. 1377 modifica]TERZO,J77 interpreiatiis; ipse ingcnium meum fervore, juventae diffluens, et dulcedjne Latinorum carm in uni, quibus factitandis plus aequo indulgebam, per inania aberrans, ad graviora atque solidiora studia revocavit, direxitque. Suis inde testimoniis, quibus plurimum fidei tribuebatur, sua commendatione assidue provexit magnam nostri, etiam apud summos viros, opinionem fecit. Rerum suarum omnium, omnium cogitali onum, omnium consiliorum participem semper habuit. Nihil tam grande, nihil tam arcanum fuit, sive publicum, sive privatum, quod me celarum voluerit Intimum pectus cjus, inti rnus animus notus mihi apertusque, perinde ac meus erat. His ego captus, atque talem virum nactus, quid mirum, frater, si in eo omnia mihi esse statui, si me illa ita addixi, oblitus patriae, oblitus meorum, oblitus mei ipsius viderer, et nihil nisi illum unum cogitarem, unum ferrem, unius commodis, unius amplitudini servirem (De Scriptis invita Minerva, t 2, p. 4 * ec.). Fu dunque il Graziani seguace e compagno del Commendone in tutt i viaggi nelPAllemagna e nella Polonia; e in questo regno fattosi conoscere al re Arrigo, nel breve tempo che lo governò, questi replicatamente invitollo con grandi promesse a fissarsi alla sua corte; ma il Graziani, fedele al suo amorevol padrone, ricusò ogni offerta. Morto il Cardinal Commendone nel 1584 fu poco appresso scelto a suo segretario dal pontefice Sisto V. Dopo la morte di questo pontefice servì nel medesimo impiego al cardinal Alessandro Montalto, e con lui intervenne a quattro conclavi, [p. 1378 modifica]13^8 LIBRO che in breve tempo si celebrarono, nell’ultimo de' quali a lui dovettesi principalmente l'elezione di Clemente VIII. E questi, ben conoscendone il merito, il dichiarò nel 1592 vescovo d’Amelia, e inviollo dapprima suo nuncio a principi italiani per riunirli in lega contro il Turco; quindi nel 1596, alla Repubblica veneta (n); e il eh. monsignor Filippo Buonamici afferma di aver vedute nella biblioteca del cardinal Portocarrero le lettere italiane da lui scritte in quel tempo al papa, le quali ben fanno conoscere la prudenza e l’eloquenza di cui era fornito (De cl. Pontif. Epist. Script, p. 253). Compita la sua nunciatura nel 1598, ottenne dal pontefice di ritirarsi alla sua chiesa, ove dando i più illustri esempii di ogni cristiana virtù, e attendendo con sommo zelo alla cura delle sua propria greggia, visse fino a’ 16 di marzo del 1611. L’Eritreo afferma che Clemente VIII ebbe in animo di farlo cardinale; ma che il cardinal Pietro Aldobrandini di lui nipote nel dissuase, perchè essendo egli in dissensione col gran duca, mal volentieri soffriva che il Graziani, toscano di nascita, fosse a quella dignità innalzato. Checchè sia di ciò, le molte ed eleganti opere scritte dal Graziani ne renderono abbastanza celebre il nome. Quella della Guerra di Cipri da lui composta, come le altre, assai elegantemente in (ti) Alcune Lettere italiane scritte dal Oraziani, mentre era nuncio alla Repubblica di Venezia, souo state pubblicate nc\\'Epistolografi/i del sig. Francesco Parisi, stampata iu Roma nel 17R7. [p. 1379 modifica]TERZO *3/9 Ialino, fu stampata la prima volta da Carlo di lui nipote nel 1624, e il P. Lagomarsini ha pubblicato un Endecasillabo del celebre cardinal Agostino Valiero in lode di questa Storia, ch egli veduta avea manoscritta. Pregevolissima ancora è l’ opera assai più voluminosa da lui intitolata De Scriptis invita Minerva, titolo però, che non corrisponde abbastanza all’argomento di essa, perciocchè crederebbesi ch’ ei volesse parlar delle opere scritte, come suol dirsi, a dispetto delle Muse e di Minerva; ed ei vuol dir solamente che di mal animo erasi accinto a quel lavoro. Luigi di lui fratello importunavalo continuamente, perchè scrivesse egli stesso la Vita sua. Egli dopo aver resistito per lungo tempo, finalmente cedette. Ma per non ragionar di sè solo, prese nella detta opera un più ampio argomento. Perciocchè cominciò a scriver la Storia di Borgo S. Sepolcro sua patria, unendovi le vicende della sua propria famiglia, nel che egli impiegò i primi quattro libri. Quindi negli otto seguenti prese a descrivere i lunghi viaggi dal detto suo fratello intrapresi per tutta l’Europa, per la Palestina e per l’Egitto, e con questa occasione si andò stendendo in narrare le antiche e le moderne vicende de’ paesi da esso veduti, e singolarmente del Portogallo, della Palestina, dell'Egitto e dell’ Impero de’ Turchi. Finalmente negli ultimi otto parla di se medesimo, dei suoi viaggi, degli affari ne’ quali fu occupato, e viene con ciò a formare una delle più belle e più interessanti Storie che di quel tempo si abbiano principalmente intorno alle cose della [p. 1380 modifica]l38o LIBRO Polonia. Quest’ opera, che per lunghissimo tempo si giacque inedita, ha finalmente veduta la luce per opera del soprallodato P. Lagomarsini nel 1740 in Firenze. Scrisse ancora un libro De Casibus illustrium Virorum, stampato la prima volta in Parigi nel 1680. Alle quali opere deesi aggiugnere la Vita già accennata del Cardinal Commendone, un Sinodo per ordin di esso tenuto in Amelia, e pubblicato nel 1577, e P'1'1 ah,c opere mss. che dallo stesso P. Lagomarsini distintamente si annoverano, il quale innanzi alle Lettere del Poggiano un’ altra ne ha pubblicata del Graziani, in cui fa l’ elogio di quell’ elegante scrittore. LV. Non furono prive di storici le altre città dello Stato veneto. Bernardino Scardeone canonico padovano prese a ricercar l origine e l’antichità della sua patria, e a tesser gli elogi degli uomini illustri che n’ erano usciti, e pubblicò tre libri De Antiqui tate Urbis Patavi nae et claris ejus civilibus, opera che, benchè non vada esente da favole e da errori, contien nondimeno molte utili e dotte ricerche, e ci offre una bella serie di monumenti. Il Salomoni riferisce l’ elogio che gli fu posto al sepolcro nella chiesa di S..Stefano ■(Uro. Patnv. Inscript. p. 320). quando egli morì nel 1574 in età, secondo il Papadopoli (Hist Gymn. patav. t. 2, p. 226), di ben novantasei anni, nel qual se ne loda il sapere non meno che la singolare pietà. La Storia di quella celebre università ebbe anch’ essa il suo scrittore in Antonio Riccoboni natio di Rovigo, professore di [p. 1381 modifica]TERZO 1381 eloquenza in quella uni versi Ih dal lino al 1599 in cui finì di vivere. I sei libri però da lui scritti De Gymnasio Patavino non adeguano il merito di quelle si illustri scuole, e pare, come riflette il Papadopoli, il quale di lui ci dà più altre notizie (ib. t. 1, p. 337), ch egli prendesse a scriver quell’opera più per lodare se stesso, che per esaltare il merito degli altri dottissimi professori. Egli era per altro 110111 dotto, e ne son pruova più altre opere da lui scritte, come la traduzione e il comento della Poetica d’Aristotile, le Note sopra varie opere di Cicerone, il trattato dell'Arte storica, a cui aggiunse i frammenti di alcuni storici antichi da lui illustrati, diverse orazioni, ed altre cose per lo più appartenenti all' eloquenza. Ei fu perciò giustamente lodato da molti, e singolarmente da Paolo Sacrati in alcune lettere a lui scritte (Epist. p. 134 161, 183, ec.), e dal celebre Cardinal Guido Bentivoglio, che passato in età giovanile all’ università di Padova nel vi fu accolto in sua casa dal Riccoboni insieme con altri giovani convittori ch’ ei soleva allevare, e fu perciò encomiato con molte lodi dal cardinale (Bentiv. Mem. l. 1, c. 1). Ma queste lodi furono alquanto oscurate da una non leggiera presunzione che in lui si scorgeva, per cui venne a contesa con altri eruditi uomini di quell’età, e singolarmente col Sigonio stato già suo maestro, verso il quale non si contenne con quel rispetto che si conveniva. Due Storie abbiamo ancor di Rovigo, cioè un poema latino De Origine Urbis Rhodiginae di Francesco Brusoui [p. 1382 modifica]i38a libro da Legnago sul Veronese, a cui vedesi dato il titolo di poeta laureato (V. Mazzucchelli, Scritt ital t. 2, par. 4, p. 22^0), e una storia italiana assai ricercata di Andrea Niccolio JJclC Origine et Antichità di Rovigo. La città di Trivigi, oltre la Cronaca di Cristoforo Cieco già accennata, ebbe due storici valorosi in Giovanni Bonifacio e in Bartolommeo Burellelati (*)• Ma perchè amendue vissero fino a moli’anni del secolo susseguente, mi riserbo allora a parlarne. Di Vicenza io non ritrovo Storia alcuna in questo secolo pubblicata, perciocché quella del Marzari non venne alla luce che nel 1604. Non così di Verona, cbe oltre le opere del Panvinio da noi accennate, e oltre la Continuazione di Jacopo Rizzoni alla Cronaca di Pietro Zagata, scritta nel secolo precedente (in cui doveasi da noi mentovare) e pubblicata nel 1747 dal signor Giambatista Biancolini, c alcune altre opere di minor conto, ci mostra Torello Saraina, clic quattro Dialoghi pubblicò sulle Antichità di Verona in (*) Agli storici trivigiani qui mentovati si posson aggiugnerc Bartolommeo Zucrato e Niccolò Mauro, «Ielle cui opere storiche ine.lite si posson vedere le Memorie del Beato Enrico (par, 1, p. 101) dell’eruditissimo sig. co. canonico Uamhaldo degli A7.7.0111 Avogaro. Questo dotto scrittore mi ha ancora avvertito che il poema de Origine Urbis Ri iodi girine di Francesco Unisone da me qui indicato è veramente opera di Giampietro Ferretti da me ricordato altrove (l. 7, par.,£), dal cui poemetto inedito De ìiadria Ciri tate trasse il lirusoni il suo, come si conosce al leggere quel del Ferretti, ima copia del quale conservasi fra i libri del Capitolo di Trevigi. [p. 1383 modifica]TERZO i383 lingua latina, e nell1 italiana ci diede la Storia degli Scaligeri, « Bai tolomineo Corte che una stesa Storia della medesima città diè in luce dall’ origin di essa fino al 1560, opera che, benchè abbia non pochi difetti (Maffei, Ver. illustr. par. 2, p. 377), ha ancora non pochi pregi, ed è stata in questo secolo nuovamente stampata. Elia Cavriolo al principio di questo secolo illustrò la storia di Brescia sua patria dalla fondazione della città fino a’ suoi tempi con una Cronaca divisa in quattordici libri, ch è poi stata ancor tradotta 111 lingua italiana, e pubblicata più volle j c un libro sulle antichità di Brescia, intitolato Brescia antica, fu dato in luce da Giambattista Nazzari nel 1562. Francesco Bellafini bergamasco segretario e cancelliere nella sua patria, onorato più volte di ragguardevoli commissioni, e morto nel 1543, pubblicò un libro De Origine et temporibus Urbis Bergomi, che fu poscia recato in lingua italiana, e che è scritto con erudizione e con critica, trattone ov egli pure si lascia sedurre dagli apocrifi scrittori Anniani; e a lui pure si dee la pubblicazione dell’ opera di Marcantonio Micheli patrizio veneto intitolata Agri et Urbis Bergomi Descriptio (V.Mazzucch. Scritt. ital. t. 2, p. (635). Tra gli storici sacri abbiam fatta menzione del libro di Bartolommeo Peregrino sulla Storia di questa chiesa, e in questo capo abbiam trattato del libro di Grisostomo Zanchi, in cui ragiona delle antichità di questa città medesima. Achille Mozzi nobil bergamasco distese in versi latini gli elogi degli uomini illustri della sua patria col titolo [p. 1384 modifica]di Teatro; nel qual libro però desiderano gli eruditi e critica ee’eleganza maggiore. A questo luogo possiamo ancor rammentare la Vita del celebre capitano Bartolommeo Colleone, scritta elegantemente in lingua italiana da Pietro Spino, e stampata nei’1569, e poscia di nuovo nel 1732; del quale autore ha scritta esattamente la Vita il ch. sig. abate Serassi, che ne ha ancor pubblicate alcune Lettere italiane (Calogerà, Racc. t. 30, p. 201, ec.). Un ottimo storico ebbe Crema in Alemanio Fino, che ne compilò la Storia sugli Annali inediti di Pietro Terni, la pubblicò nel 1556, e la difese poscia contro le censure d’alcuni colle sue Seriane in due parti divise1. La città di Belluno può con più ragione vantarsi dell’operetta delle Antichità di essa, scritta da Valeriano, e da noi già accennata, che del libro intorno all’origine della medesima dato in luce da Niccolò Doglioni. Da alcuni eccellenti storici furon per ultimo illustrate le cose del Friuli. Oltre la descrizione del Friuli antico, scritta verso il 1550 da Giuseppe Sporeni udinese, e pubblicata di fresco (Miscell. del Lazzeroni, t. 3, p. 1, ec.), il primo a darci una compiuta Storia di quella provincia, scritta elegantemente in latino, fu Giovanni Candido nobile udinese, la cui opera fu stampata in Venezia nel 1521 col titolo: Commentarii Aquilejenses Joannis Candidi. Di questa Storia e dell’autore [p. 1385 modifica]TERZO i385 (li essa ragiona a lungo ed esattamente il signor Liruti più volte da me lodato (De' Letter. del Friuli, t. 2, p. 218), ed è inutile perciò, ch' io ne dica più oltre. Essa però non parve abbastanza corredata di buona critica a Jacopo Valvasone di Maniaco soprannomato il vecchio, e quindi una nuova Storia ei ne scrisse in lingua italiana, e con altre opere, niuna delle quali è uscita al pubblico, rischiarò le vicende di quella provincia (*). Di ciò ancora veggasi il suddetto scrittore (p. 204), presso il quale innoltre si troveranno le più minute notizie di altri libri di somigliante argomento, che dagli eruditi Friulani furono scritti a que’ tempi. Nell immensa copia di storici da cui io veggomi quasi oppresso, mi conviene necessariamente accennarne molti di volo, molti ancora passarne sotto silenzio, e ristringermi a dire distesamente solo di quelli de quali non potrei, senza incorrer la taccia di negligenza, spedirmi sì in breve. LVI. Ferrara e gli Estensi che n’ erano allora signori, e che cogli uomini dotti furon sì liberali del lor favore e della loro munificeza, ebbero parimente non ispregevol copia di storici. E il primo che in questo secolo prendesse (*) Un’operetta del co. Jacopo Valvnsone da Maniaco è stata pubblicata di fresco nel trtmo v del Nuovo Magazzino Toscano, e illustrata con erudite annotazioni, cioè la Descrizione della Corgna nel Friuli, da lui scritta nel i565, e diretta al Cardinal Borromeo che era allora abate commendatario della Badia di MoggicZ in quella provincia medesima. Tiraboschi, Voi XII. i5 [p. 1386 modifica]i386 li imo a illustrare questo argomento, fu Pellegrino Prisciani ferrarese, uomo diligentissimo nel radunare le notizie appartenenti alla storia di Ferrara, nella cui università fu professore di astrologia, secondo il Borsetti (Hist. Gymn. Ferr. t. 2, p 124) che il dice morto nel 1518. Leandro Alberti, che ne parla con molta lode, e dice ch ei fu ancora assai perito nel greco, afferma di aver veduti nove gran volumi delle Storie e delle Antichità di quella città, e di averne estratte alcune notizie (Italia, p. 313). Questa grand opera però non solo non ha mai veduta la luce, ma è per la maggior parte perita, e io non ne ho pur trovati in questa biblioteca Estense quegli avanzi che il Muratori sembra accennare che in essa conservinsi (Script. rer. ital. t. 1, pars 2, p. 7), ma solo alcuni opuscoli poco importanti (a). Gasparo Sardi, padre (a) Pellegrino fu figlio di Prisciano Prisciani che nel 1450 era fattor generale del marchese Borso, il quale nel 1462 gli fece dono di una vasta tenuta, che perciò fa poi detta le Prisciane. Di lui parla Marcantonio Guari ni (Chiese ferrar, p. (yc))y c si lusinga di lodarlo altamente dicendo ch’ei fu Astrologo perfettissimo. Pellegrino di lui figlio ebbe il titolo di conservator de’diritti ducali, e prende i titoli di Nobilis Ferrariensis D. Et pie s et Sacri Imperialis Palatii et Consistorii Comes. Sostenne anche alcune Podestarie, ed essendosi accinto a scriver gli Annali di Ferrara, a' 25 d agosto del 1501 ebbe da quel Pubblico in dono cento ducati, perchè si animasse alla continuazione del lavoro. Di queste notizie son debitore all’erudizione e alla gentilezza del sig. dottor Antonio Frizzi segretario della Comunità di Ferrara. Delle opere del Prisciauo alcune parli soltanto conservatisi nel segreto archivio, e mai nella biblioteca Estense, ebe contengono documenti [p. 1387 modifica]TF.RZO i387 di quell’ Alessandro di cui in questo capo medesimo si è ragionato, prima di ogni altro diè in luce una Storia di questa città. Ei visse sempre a se solo, e non ebbe alcun pubblico impiego, e occupossi di continuo in raccogliere, in notare, in copiare, in abbozzare tutto ciò che gli veniva alle mani, utile alla storia, all' antichità, alle belle arti. E frutto di questi studi sono i codici che ne abbiamo in questa biblioteca Estense, che dir si possono appunto zibaldoni e memorie, tra le quali poco vi ha di finito. Ei non era uomo nè elegante nello scrivere, nè molto critico nello scegliere; ma era laborioso raccoglitore di cose d’ ogni genere d'erudizione. Dodici libri egli scrisse in lingua italiana delle Storie ferraresi, de’ quali però nella prima edizione fatta in Ferrara nel 1556 si stamparono dieci soli, coi’ quali giugne al 1497 gli altri due furono aggiunti alla nuova edizione che ne fece nel 1646 Agostino Faustini, il quale pure la continuò fino alla fine del secolo xvi. I principi di questa Storia son favolosi, perciocchè ne è il principal fondamento la supposta Cronaca di Tommaso d’Aquileia, di cui abbiamo altre volte parlato. Il restante poi, benchè più veritiero, è nondimeno poco esatto e molto superficiale. Ne abbiamo ancora alle stampe alcune lettere latine, alle quali va aggiunto un trattatello intitolato De triplicipliilosopliia. Tra l’opere manoscritte la più pregevole c ricerche sulle Antichità Estensi e Ferraresi. Esse sono il primo, il quarto, il settimo, l’ottavo e il nono libro, ’lutto il rimanente si è perduto, o giace dimenticato. [p. 1388 modifica]i388 libro v quella intitolala Topononuisiet, divisa in diciotto libri, che e in somma un lessico dell antica geografia. Egli ebbe una grave contesa con Bartolommeo Ricci, perchè questi volea che si scrivesse latinamente Atestius il Sardi al contrario sosteneva che scriver doveasi Estensis, o Atestinus. Alcuni opuscoli furono su ciò scritti dall’un contra l’altro, che sono insieme raccolti nel primo tomo delle Opere del Ricci, e ancor fra le Lettere del Sardi. Ma il Ricci che, se era meno erudito del suo avversario, lo superava di molto nell’ eleganza e nel buon gusto, prese di qua occasione di farsi beffe del Sardi, descrivendolo come un importuno ciarlone che assaltava e opprimeva co’ suoi zibaldoni e colle sue ciance chiunque per sua sventura in lui si avvenisse: Scitote eri ini, dice egli, (Op. t. 1, p. 165), Harpyam istam omnibus in viis, omnibus in templis, in omnibus porticibus, in toto foro, mane, meridie, ve spere, doctos viros aucupari, quos continuo deprehensos suis stiliti tiae suae plenis voluminibus, quorum fasciculum semper habet sub alis, eas ipsas bene redolentem, jugulat, conficit, enecat. E altrove descrive leggiadramente il Sardi che incontratosi in Girolamo Faletti, di cui ora diremo, ad ogni patto gli vuol leggere una lettera della contessa Matilda e quantunque il pover uomo si dimeni in ogni lato, e fugga e si nasconda per liberarsene, tanto il Sardi lo insegue e lo preme, che finalmente gli è forza l arrendersi (ib. p. 208). Egli finì di vivere nel 1564 Fcrrius Vita Alex. Sard. [p. 1389 modifica]TERZO 138() LVII. Nell’ anno medesimo in cui il Sardi pubblicò la sua Storia italiana, un’altra latina, ma assai breve, ne divolgò Cinzio Giambattista Giraldi ferrarese egli pure, e parente di Giglio Gregorio, ch ei però semplicemente appella col titolo di gentilis. Il ch. sig. dott. Giannadrea Barotti ha scritto di lui ampiamente ed esattamente (Mem, de Lett. ferrar, t. 1, p. 315); e a noi perciò sarà agevole il darne le più accertate notizie. Narra lo stesso Giraldi di aver avuto a suo maestro nella dialettica, essendo ancor giovinetto, e poscia alcuni anni dopo nella fisica, Soccino Benzi (De, Ferrar, et Atest. Princip. p. 40) nipote di quell'Ugo di cui si è parlato nel tomo precedente, indi nella medicina Giovanni Manardi, nella quale scienza ancora ebbe la laurea, e fu ricevuto nel collegio de' medici e de’ filosofi da Lodovico Bonaccioli (ib. p. 65); ed è falso certamente ciò che affermasi dal Papadopoli (Hist Gymn. patav. t. 2, p. 225), cioè ch ei fosse laureato in Padova. Nelle lettere umane fu istruito principalmente da Celio Calcagnini, benchè Marcantonio Antimaco pretendesse di essergli egli stato maestro; il che diede occasione a una lunga e acerba contesa tra essi, che dal sig. Barotti stesamente si narra. Fino da’ primi anni ei diede saggio di raro ingegno, e destò grandi speranze. E Giglio Gregorio Giraldi, nel più volte citato componimento da lui composto poco dopo il sacco di Roma, nominandolo, così ne dice: Nec mihi gentilis Cyntlii cognomini* d'ictus tu quo olim, quantum instar erit, nisi Pythia fallit. Op. t. 2, p. 914. [p. 1390 modifica]l3yO LIBRO E scrivendo a lui stesso dalla Mirandola circa il 1530, dice di aver udite gran lodi di esso dal Manardi e dall’ Antimaco; e che maggiore stima aveane ancor conceputa al leggere una lettera ch’ egli aveagli scritta (ib. p. 929). Fu dapprima in Ferrara per oltre a dodici anni professore di filosofia e di medicina; il che, benchè tacciasi dal Borsetti (Hist. Gymn. Ferr. t. 2, p. 142), è certo però per testimonianza del medesimo Cinzio, il quale tra varie lettere a Bernardo Tasso, una ne ha scritta nel 1558, in cui gli dice (B. Tasso, Lett. t. 2, lett. 128): Ho desiderata io molte volte V. S. in questa Corte, come già gliele vidi, che io, che consumai i miei migliori anni tralle spine della Logica, e nell ampiezza dei campi della Filosofia e delle Medicina, non solo in imparare, ma in insegnare pubblicamente per lo spazio di dodici anni e più... agli altri, avendo a fare così strana metamorfosi (cioè di passare alla cattedra di belle lettere) non le mi sarei partito da lato, sapendo ch ella fin da fanciullo si era data a questi gentili e piacevoli studi. Il passaggio sopraccennato avvenne nel 15 J *? quando morì il Calcagnini che avea occupata finallor quella cattedra; il che confermasi da Giglio Girai li, clic dedicando a Cinzio la sua settima Dissertazione sulle antiche Divinità, ne Fa questo magnifico elogio: Nam primum quantus sis in omni Poetica, poemata tua jam edita facile declarant; tum vero in philosophia et Medicinae facultate in primis tuae adolescentiae annis et florenti aetate tale praebueras specimen, ut inter nostrae urbis, [p. 1391 modifica]TERZO l3()l atque adco iota Italia, ejtis scientiae professores esses non postremum locum habiturus. Memini senes doctissimos ac sapientissimos Joannem Manardum et Ludovicum Bonactiolum de te ita praedicare solitos, unum scilicet te Medicam facultatem maxime illustraturum, si in ea colenda perstitisses. Sed Caelii nostri Calcagnini viri eruditissimi interitus, minime hoc tempore patriae opportunus, te ab hac excellentis expectationis specula deduxit, nec ea permisit te per fiacre, quae in ea fucras navi ter aggressus. Nam cum in Caelii locum un us aliquis esset subrogandus in pubblice praelegendis et interpretandis Latinae linguae alidori bus doctor, te nullum ap fiore ni idoneumque magis Civium suorum totiusque ditionis amantissimus prudentissimusque Princeps noster Hercules secundus ceti suit, id quod gratissimum fuisse nonnullis Medicae artis Professoribus intellexi, qui tuae surgenti, et jam prope volitanti ubique gloriae invidebant. (l. c. t, 1, p. 217). Somiglianti cose ei ripete nel secondo Dialogo de Poeti de’suoi tempi (t. 2, p. 566), ove aggiugne che il duca Ercole, poco tempo dappoichè il Giraldi sottentrò al Calcagnini, dichiarollo suo segretario (*), e accenna ancora (*) 11 tempo in cui il Giraldi fu eletto segretario del duca Ercole II, è segnato negli Annali manoscritti di Modena di Tommasino Lancellotto, ove a’ di marzo del 1 j\-j si legge: Il Magnifico Sig. M. Gio. Batista Giraldi nobile Ferrarese è stato eletto Segretario Ducale a’ mesi passati in luogo del Magn. M. Obice dalli Remi Segretario defonto l'anno passato. Continuò nondimeno gli usati suoi studi, e fu singolarmente adoperato [p. 1392 modifica]l3c)3 libro Lucio Olimpio e Marco Celio di lui figliuoli, e Flavio Antonio di lui fratello, tutti assai eleganti coltivatori dell’ umana letteratura. Morto dal duca nelle rappresentazioni teatrali. In questo ducale archivio si conservano alcune lettere del Giraldi al duca su tale argomento. In una de’ 24 Ottobre del 1549 gli scrive che ha udito, che il duca vorrebbe che si rappresentasse una sua favola teatrale, e che non ostante la strettezza del tempo si sforzerà di ubbidirgli. Quindi a’ 29 dello stesso mese gli scrive: già la favola è a tal temine, che fra otto o dieci giorni al più si potrebbe acconciamente rappresentare; et tr i le altre ho scelta gli Antivaio me ni, che è quella che si rappresentò nelle Nozze di Madama la Principessa Vanno passalo, per parermi varia, et grave, et dilettevole; et perché vi desiderò in alcune parti V. E. qualche cosa, mi sono anche sforzato di ridurla a quel miglior termine, che ho potuto, perché più le soddisfaccia che sia possibile. In un’altra finalmente de’2 di novembre gli scrive che ogni cosa già è in pronto. Sulla fine del iS'Iq fu inviato a Venezia per affari del suo sovrano, come ci mostra una lettera di colà da lui scritta a’ 9 di dicembre. Un'altra lettera ivi pur si conserva da lui diretta al duca Alfonso II a’ 18 di giugno del 1561, in cui caldamente chiede soccorso a sè, a quattro suoi figli e a una figlia rovinati dalla gragnola caduta allo spedal del Bondeno. Seguiron poscia le sinistre vicende, per cui il Giraldi, come si è detto, passò all’università di Mondo vi; ma non perciò pose in dimenticanza il natural suo sovrano; e ne è pruova una lettera che egli di colà gli scrive agli 8 di dicembre del 1565, in cui gli manda la seconda parte de’ suoi Ecatommiti. Alcune altre lettere originali del Giraldi tengo io pure scritte da Mondovì a Francesco Bolognetti autor del Costante, che ci offron alcune particolari circostanze della vita di esso. In una, che gli scrive a’2 di settembre ilei i5(3à, dice di voler continuare a finire il suo Ercole, poema, di cui già avea pubblicati ventisei canti; se non per altro, almeno in [p. 1393 modifica]TERZO 13j)3 il duca Ercole nel i.'kh), continuò per qualche tempo nel medesimo impiego sotto Alfonso II7 quando una lite da qualche tempo memoria dell Eccellentissimo Signor mio di fel. mem. (il duca Ercole II), et a confusione di chi tanto mi doveva, et mi ha fatto il palese oltraggio, che ha manifestato, a che rischio si pone, chi si dà ad allogar gran lene fido in vile et ingrato animo, se tanto mi potrò schernire dai’ dolori delle gotte, che mi affliggono il corpo, et dagli acuti stimoli delle cure che mi traggono l’animo, che ritorni a porvi mano. Da un’altra, scritta a 10 di dicembre dello stesso anno, raccogliesi che fin d'allora gli autori non eran comunemente molto felici ne’ contratti per la stampa delle loro opere; perciocchè egli, dopo aver detto in altra lettera che non avea voluto stampare a sue spese gli Ecatommiti, ma che sperava di averne almen dieci copie, ora gli scrive: A me è stato bisogno comperarne XX, i quali mi sono costati mezzo scudo l uno, se ne ho voluto offrire a questi S gnnri. Sono hora intorno alle historie mie, le quali saranno latine et volgari. In un'altra de’2 di marzo del 15(>(3 accenna un viaggio che pensava di fare in Lombardia, e descrive il poco felice suo stato: Qui siamo con pochi scolari, perché voi ce ne havete levata una. buona parte et la migliore, Io mi vo comportando quanto meglio posso sotto questo Cielo non molto amico alla natura et alla età mia, et sto carico di molte cure, fra le quali mi è acerbissima questa della figliuola mia per haverla impiegata in M. Matteo (di cognome Castelli, come raccogliesi! da altra lettera) scoglio, nel quale han fatto naufragio tutte le m e contentezze, per non curare costui nè sè, nè la moglie, nè utile, nè honore, ec. Io ho ancor più lettere originali di l'Invio fratello di Gì ani bali sta al medesimo Bolognetti, e dà una di esse, scritta da Ferrara a 14 di giugno del 1568, ricaviamo che quando Giambattista in quell'anno partì da Torino, pensò di potersi fissare in Genova. Egli, dice Flavio Antonio di suo 1 rate Ho, per quanto mi scrive, a, quest’ora dev essere [p. 1394 modifica]1394 LIBRO accesa tra lui e Giambattista Pigna lo indusse a cambiare soggiorno. Aveano amendue nello stesso anno 1554 pubblicato in Venezia, il Gir,iIdi i suoi Discorsi intorno al comporre de Romanzi, delle Commedie, cc. * il Pigna la sua opera intitolata I Romanzi; e avendo il Giraldi saputo, mentre si facea la stampa, che il Pigna trattava lo stesso argomento, gli scrisse dolendosi ch'egli, stato già suo scolaro, avesse da lui tolta ogni cosa per far quel suo libro e spacciarlo qual cosa sua. Il Pigna al contrario nel principio del suo libro non nega già di essergli stato scolaro, come è sembrato ad alcuni, anzi chiaramente afferma che avea da lui imparato a scrivere in prosa latina e in volgar rima, da Giglio Gregorio Giraldi il verseggiare latinamente, dal Guarino fintelligenza degli autori, da Francesco Porto la lingua greca j andato a Genova per parlare col Si". Gio. Andrea Dorùt. Pensiamo, che si potrebbe fermare là. Ma ci fu poscia condotlo a Pavia, come abbiniti dello, c come scrive Flavio Antonio in un'altra lettera al medesimo Ilolognelti de’ iCi di ottobre dello stesso anno. Flavio Antonio viveva ancora nel 1GH0, come ci mostra una lettera da lui scritta a1 3 di luglio del detto anno ad Alberto Itolognetti figliuol di Francesco, che parimenti conservo. In questo duca'e archivio se ne ha un componimento manoscritto in versi esametri col titolo: P>ecatnr Auctor, ut Calendae Januarii smt famtae Illustrissimo Alfonso Atestio Ferrariae Duci P. illiusque laudes pernringit. Comincia: Optatae algente* Jani salvrle Kalcndae, Janua quei» mumlo redeuntis panditur anni. E al fin si legge: Humillimus Scrvus FI. Antonius Gyraldus. [p. 1395 modifica]TERZO i3c)5 ilici si protesta eli avere fin dall’ an 1546, contando diciassette anni di età, scritto il suo Giudizio intorno a Romanzi. e che avendolo mostrato a Cinzio, questi sel tenne, e con varie arti poi finse che il Pigna stesso (a cui infatti il Giraldi indrizza il suo libro) lo avesse pregato a trattare di quell’argomento. Il sig. Barotti osserva a ragione che fra due sì contrarie proteste è difficile il diffinire a chi debbasi fede j e converrà quindi annoverar questo fatto tra que’ problemi di storia de’ quali forse non mai troverassi la soluzione. Certo è che il Giraldi talmente si corrucciò per questo e per altri torti che gli parve aver ricevuti dal Pigna, che sembrandogli ancora di non goder più della grazia del suo sovrano, adoperossi per partir di Ferrara, e finalmente l’ottenne, in una lettera scritta a Pietro Vettori da Mondovì nel 1564 (benchè per errore sia nella stampa segnato il 1554) egli racconta (Epist. cl. J iror. ad P. Victor, t. 1, p. 101, ec.) l’origine delle sue vicende, e i tentativi da lui fatti per partir da Ferrara. Narra egli adunque che avea cessato dallo scrivere, perchè va rii rerum casus', variaeque fortunae vicissitudines, inhumanaque ingratissimi discipuli αχαριστια. me vehementer vexarunt. E siegue narrando che dopo la morte del duca Ercole II, quel suo scolaro avea tentato ogni cosa per molestarlo e perderlo, corrispondendo con sì enorme ingratitudine alle tante fatiche ch’ ei sostenute avea nell’ istruirlo, e che egli avea perciò risoluto di venirsene a Firenze (poichè gli era impedito di andare al servigio della Repubblica [p. 1396 modifica]i3q6 nono veneta, ov era stato invitato), dalla qual città dice che venuti erano i suoi maggiori, per vivere ivi presso il duca Cosimo de Medici ma che frattanto essendo stato invitato dal duca di Savoia alla cattedra di eloquenza coll’ annuo stipendio di 400 scudi nell’ università di Mondo vi, onde era oriunda sua madre, chiesta ed ottenuta licenza dal duca Alfonso, erasi colà trasferito. Della cattedra del Giraldi in quella università, trasportata poi a Torino, e della cagione e del modo con cui egli ne fu poi onorevolmente congedato nel i56q, abbi a ni già detto altrove (l. 1, c. 3, n. 8, 16). Egli allora pensava, come scrive allo stesso Vettori (l. c. t. 2, p. 36), di tornare a Ferrara, o di andarsene a Venezia. Ma posto già il piè in barca, ebbe onorevolissime lettere dal Senato di Milano, con un diploma del re Filippo II, in cui gli era offerta con condizioni assai vantaggiose la cattedra di eloquenza nell università di Pavia, ove perciò ei recossi sul fine del detto anno. Ma egli aggiugne ch era entrato in timore che quel clima ancora, come quel di Torino, gli fosse nocivo. Ed egli ne parti in fatti tre anni dopo, e tornato a Ferrara, ivi diè fine a’ suoi giorni, e fu sepolto nella chiesa di S. Domenico a’ 30 di dicembre del 15—3 (lia rotti, /. cit.). Di lui noi dovremo parlare più volte, e singolarmente ove diremo degli scrittori di tragedie. Qui dopo aver accennato, oltre il Discorso poc’ anzi indicato, un altro Del servire a gran Principi, e alcune orazioni latine da lui (dette in diverse occasioni, c molte poesie latine, dobbiamo [p. 1397 modifica]TERZO l3f)7 esaminare principalmente qual sia l’opera storica al principio accennata. Egli la intitolò De Ferraria et Atestinis Principibus Commentariolum ex Lilii Gregorii Gyraldi Epitome deductum. E nella prefazione racconta che il suddetto Giraldi morendo aveagli confidato un Compendio storico della Casa d'Este da lui disteso in cinque o sei pagine, pregandolo a volerlo stendere ed ornare più ampiamente; il che dopo un lungo indugio avea egli preso a far finalmente per istanza del giureconsulto Prospero Pasetti. Il libro è scritto elegantemente; ma la critica riguardo a’ tempi più antichi non è punto migliore di quella del Sardi. Ma da essi saggiamente si spedisce in breve, e più a lungo poi si trattiene sulla Storia de’ Principi Estensi del xv e del xvi secolo, in cui giugne fino al tempo in cui scriveva;' e questa parte d’istoria è assai interessante per le distinte notizie che vi s’incontrano. In essa egli accenna ancora e reca un saggio di un’opera d’anatomia (p. 65) ch egli avea cominciata in versi latini, ma che non dovette da esso condursi a fine. Al fin del libro si aggiungono alcune Poesie latine in lode di Ferrara e de’ Principi Estensi dello stesso Giraldi, di Flavio Antonio di lui fratello e di Galeazzo Gonzaga. Di lui, oltre più altri scrittori, fa onorevol menzione Girolamo Maggi, il quale rammenta la gran copia di antichi codici che aveagli veduti in casa (Miscell. l. 1, c. i4). LV1II. Le due Storie or ora indicate parevano non senza ragione troppo ristrette, e non abbastanza proporzionate allo splendore e al nome de" principi, de quali in esso tratta vasi. [p. 1398 modifica]1398 libro Quindi un’altra assai più ampia e diffusa si accinse a scriverne uno straniero, ma pel favor degli Estensi divenuto egli pure in certa maniera ferrarese, cioè Girolamo Falletti. Di lui ha parlato a lungo l’eruditissimo proposto Giannandrea Irico, annoverandolo tra gli uomini illustri di Trino (Hist. Tridin. p. 3oo)*, perciocché, comunque per lo più credasi ch ei fosse di patria savonese, questo scrittor' nondimeno, sulla fede di autentici documenti, dimostra che questa famiglia avea tratta l’origine da un luogo detto Villafalletto.in Piemonte, e che Niccolò avolo di Girolamo era venuto a fissare la sua dimora in Trino. Egli stesso però confessa che Girolamo fu sin dai’ più teneri anni allevato in Savona da Camillo suo zio arciprete di quella cattedrale, da cui non meno che dagli esempii che aveane e nella madre donna assai colta, e nel padre di essa Domenico Nani cittadino di Alba (autore di alcune poesie e di una Poliantea stampata la prima volta in Savona nel 1503, e ch entrato poscia nell’ ordine chericale fu arciprete della stessa città di Savona), apprese ad amare e a coltivare le lettere (a). Par ch’ egli si, trasferisse assai presto a Ferrara, perciocchè abbiamo le orazioni da lui dette in morte del cardinal Ippolito il vecchio avvenuta nel 1520, e in quella del duca Alfonso I accaduta nel 1534, se pure amendue non furon da lui composte per solo (rt) Di Domenico ¡Xani si posson vedere più esatte notizie presso il di. signor Vincenzo Malacarne (Delle Ojjere de’ Mcd. e Ccrus. ec., t. 1, p. 261, cc.). [p. 1399 modifica]TERZO » 3^9 esercizio di stile più anni appresso. Passò indi, non sappiamo con qual occasione, all università di Lovanio, ove trovossi presente, ed ebbe ancor qualche parte, com egli stesso racconta (De bello Sicambr. p. 7), nel principio della guerra che i Francesi mossero contro Carlo V ne’ Paesi Bassi nel 1542, e che fu descritta da lui medesimo nel suo poema De bello Sicambrico. Di questo soggiorno da lui fatto in quella università abbiamo ancor pruova nell’orazion da lui detta in lode della Dialettica a quegli accademici. Egli era già tornato in Italia al principio del 1543, ed era in Ferrara, perciocchè allor quando il pontefice Paolo III nell'aprile di quell'anno entrò solennemente in Ferrara, recitò il Falletti quell'orazione che abbiamo tra le altre da lui composte. Attese in Ferrara allo studio delle leggi, e vi ebbe la laurea perniano del celebre Alciati, come raccogliesi da un' altra orazione da lui in quella occasione recitata. E ciò dovette accadere al più tardi nel 1546, perciocchè al fin di quell'anno, come si è veduto, l Alciati già ne era partito. I rari talenti che il duca Ercole II ravvisò nel Falletti, fecero che egli il volesse al suo servigio, e che il mandasse in ambasciata prima all'imperador Carlo V, indi al re di Polonia. Trovossi in Allemagna al tempo della guerra che Cesare mosse contro de’ Protestanti, e di cui il Falletti scrisse in lingua italiana la Storia che si ha alle stampe. L'orazion da lui detta in morte del re di Polonia Sigismondo, e nella coronazione di Sigismondo Augusto di lui figliuolo, avvenuta nel 1548, ci [p. 1400 modifica]lqOO LIBRO mostra clic ivi allora si ritrovava il Falletti. Tornato in Italia, fu nel 1550 mandato dal duca Ercole a Roma per Pelezion del pontefice Giulio III, e abbiamo pur l’orazione da lui allor recitatagli. Finalmente fu inviato ambasciador ordinario del duca a Venezia, ov egli certamente era fin dal 1554, nel qual anno fu eletto doge Francesco Veniero, innanzi al quale recitò il Falletti un’altra orazione. Ivi egli si strinse in grande amicizia con Paolo Manuzio, il quale in una lettera ad esso scritta, Tu ipse, gli dice l. 2. ep. 2), tu inquam, Falete et maximi Ducis Orator, et maximus ipse vir, quem gravissima detinent negotia, qui scribis hi sto ri ani y qui legniti scienti ani veterani et recentium scriptis luculentissimis explicas venire tamen ad me, quae tua est fiumani tas, saepe solitus es, horasque multa suavissimo sermone consumere. E in tanta stima lo ebbe il Manuzio, che volle egli stesso nel 1557. fare una bella edizione dei’ quattro libri De bello sicambrico e di altri otto libri di poesie latine da lui composti, e ch’ ei dedicò allo stesso Falletti; e nell’ anno seguente anche più magnificamente diè in luce dodici orazioni latine da lui dette in diverse occasioni, che dal Falletti furono dedicate al re di Polonia Sigismondo Augusto. Il duca Ercole per riconoscere i servigi dal Falletti rendutigli, il fece conte di Frignano (*)* col qual titolo egli è nominato (*) Il decreto dell'investitura di Frignano data al Falletu si conserva in questo ducale archivio colla data de" *o d‘agosto del i56i. Oltre la collazione del feudo, [p. 1401 modifica]TERZO *401 innanzi alla Storia di cui ora diremo. Ebbe in sua moglie Paola Caleagnini, e i'u encomiato da’ più dotti uomini di quel tempo, molti de’ quali nel decreto medesimo egli è nominato cavaliere e conte, e gli concede ancora il passo di Navicello sul Panaro nel Modenese. Ecco con quali onorevoli espressioni si ragiona ivi del Falletti: Quoti e s Illustrissimi et Excellentissimus Princeps et Dux Dominus Alphonsus II Est unsi s Ferrariae et Mutinae, ec. Dux quintus.... mente sua revolvit, quantum m agni file us et p rat'eia ri ssimus Jurisconsultus Dominus Hieronymus Falettus Orator pro ejus Excellentia penes Serenissimum Dominum Venetorum de Illustrissima Domo Estensi, et ejus Excellentia optime meritus sit, ob ejus singulares virtutes, fidem praecipuam, et labores immenso s f quibus in benefici uni ipsius Illustrissimae Domus et ejus Celsitudinis insudavit, potissimum in his Legationibus, quas apud Pontificem Maximum, et Caesaream Majestatem, aliosque Reges et Principes in ardui s sane rebus feliciter admodum, et magna sui cum laude obivit, totis ipsum ejusque filios, et qui nascentur ab illis, jure suo quodammodo id exigente, continuis favoribus et amplexu suo ac liberalitate J'ovendos esse decernit. Et cupiens erga eum se beneficum exhibere, et omnibus testatissimum facere, qua benes’olentia, quae quidem non vulgaris est, e uni prò mentis tuis prosequa tur, statuii rum injrascripto gratioso feudali munere ad ejus exaltationem et utilitatem decorare, ec. Ciò che in questo decreto è più degno d’osservazione, e che fa meglio conoscere l’amor per le lettere del duca Alfonso II, si è il canone di nuovo genere che ogni anno gl’impone, cioè la donazione di due libri: Pro recognitione vero dictarum rerum sic ut supra infeudataram praedictus Feudatarius.... prom:sit prae• dicto Illustrissimo Duci praesenti et stipulanti ei.lcrn annis singulis una vel iterata vice dare, praesentare, et tradere duos libros, qui sint jucundae et delectabilis lectionis pro captu animi ejus Excellentiae, in hoc Tirabcschi, Voi XII. 16 [p. 1402 modifica]l/f03 LIBRO si nominano dal soprallodato proposto Irico. Ma più di tutti si stese in farne l’elogio Gregorio Giraldi nel secondo de’ suoi Dialoghi de Poeti moderni (Op. p. 5G(5), il quale, dopo aver detto clic il l'alletti avea corse molte parti del mondo per meglio istruirsi, ne loda il profondo saper nelle leggi, le poesie latine e italiane, le orazioni, e anche i costumi e accenna ancora gli altri eruditi ch’egli avea avuti nella sua famiglia, da noi nominati poc’anzi. Ei confessa però, che il Falletti non era ancora sì colto scrittore, come potea bramarsi, ma dice che il sarebbe divenuto tra poco: Scio ego, (quantum ille absit ab eo, quod quidem illi ejus sucessu invidi objiciunt, sed rumpantur, licebit; Me in dies magis proficiet E veramente così le poesie, come le orazioni del Falletti, benchè prive non sieno di eleganza e di grazia, non son però uguali a quelle di molti altri scrittori di questo secolo. Alcune Rime se ne hanno tra quelle de’ Poeti ferraresi raccolte dal Baruffaldi, il quale afferma ch’ei morì essendo tuttora ambasciadore a Venezia nel i56o (*). sciti s noti ipsi Feudatario sul» paena dupli solemni siipulalione protnissa. Quindi con mio chirografo del primo di gennaio del 15 62 il duca medesimo lo investì ancora di un censo che alla ducal camera pagava ogni anno la Comunità di Massa 1 ¿scaglia, e di alcuni altri censi che si pagavano dalle ville del Frignano. (*) Alcune lettere di Girolamo Falletti, come altrove abbiamo accennato, si conservano in questo ducale archivio. In una di esse, scritta al tempo del duca Ercole II da Venezia a Gasparo Sardi a’ 20 d'agosto del 1561, confessa di essere a lui debitor del favore di cui godeva alla corte di Ferrara: Non mi scordo punto [p. 1403 modifica]TERZO l4°3 Ne abbiamo ancora la traduzione italiana del libro di Atenagora sulla Risurrezione, e quella dell:» sua orazione latina sulla nascita del Redentore. I! Manuzio nella dedica sopraccennata lo esorta a finire una grande opera intorno al Fisco di’ egli stava scrivendo. Ma couvieu dire eli1 ci la lasciasse imperfetta. Finalmente alla essere ella stata cagione ch’io mi fermassi in Ferrara al servizio di questa Regia Casa d'Este, et che insieme per le buone relazioni sue sia ito sempre avvantaggiando, sicché posso dire essere fattura sua; e gli promette poscia di mandargli la genealogia di Foresto iTEste. Questa lettera, e uiPaltra del Failetti (la noi altrove prodotta, basta a mostrarci che si è ingannato il Baruffaldi nel fissarne nella detta sua opera la morte al 1560; errore poi da lui stesso corretto nella Critica alla Storia del Borsetti. Di fatto il Falletti visse fino al 1564 Perciocchè il Pigna in una sua lettera, da me veduta in questo medesimo archivio, da lui scritta al duca a’ 23 di luglio del detto anno: L’ambasciador Faletto, dice, si trova in Padova tuttavia, et per quanto scrive Maddalò, piuttosto va peggiorando, che altrimenti; et si scusa se non può mettere all’ ordine la serie delle famiglie et principesse, che dee porsi al fondo dell’Arbore. E forse fu questa la malattia di cui egli morì a’ 3 ottobre dell’ anno stesso ((Guarin. Supplem. ad Hist. Gymn. Ferr. p. 52). Già abbiamo osservato che di lui principalmente si valse il duca Alfonso II nel formare la sua magnifica biblioteca. La famiglia però del Falletti non durò molto tempo nel lieto e onorevole stato in cui aveala collocato, come io raccolgo da un'altra lettera di questo ducale archivio, scritta ai’ 20 (di settembre del 1598 da Pietro Antonio Abbioso al segretario Laderchi, in cui gli raccomanda i cinque figliuoli del conte. Guido Alfonso Falletti figliuoli del conte. Girolamo, che insieme colla lor madre (nipote dell'Abbioso dopo l uccisione del loro padre esano rimasti in estrema miseria. » [p. 1404 modifica]l4o4 LIBRO Cronaca degli Slavi di Elmoldo, stampata in Francfort nel 1581, si vede aggiunta una Genealogia degli Estensi da lui compilata. Questa però non è che un tenue principio della grande opera ch’ egli stava scrivendo sullo stesso argomento, ma che non è mai uscita in pubblico. l)ue copie ne ha questa biblioteca Estense, una ch è quasi un abbozzo dell’opera, e piena perciò di cancellature e di aggiunte l altra corretta e compiuta colla dedica al duca Alfonso II, in cui ancora però veggonsi alcune altre correzioni per man dell’ autore. Contiene sei libri, coi’ quali giugne fino all’an 1300, e al fine di essi dice che avrebbe ancora continuata la Storia, scrivendone una seconda parte, la qual però è probabile ch’ ei non avesse tempo a distendere. Ivi pure ei fa un lunghissimo novero degli autori de’ quali si era giovato nel tessere la sua Storia, e degli uomini dotti da’ cui lumi era stato in essa aiutato: Atque ìù qui (lem sunt, dec egli de’ secondi, omnes mihii studiorum communione carissimi, Venetiis Nobiles Patritii Joannes Michelius, Nicolaus Zenus, Joannes Donatus Bernardus Georgius, et Dominicus Venerius; praetera Ludovicus Dulcius, Hieronymus Ruscellius, Eudimius Calandra, Joannes Baptista Rasarius, Raphael Cyllenius: Palavi i Carolus Si goni us, Franciscus Robortellus, Bernardinus Scardeonius: Romae Paulus Manutius, Honuphrius Panvinus: Ferrariae Jo. Baptista Pigna, Alexander Sardus. Marcus Antonius Paganucciu.s: Vietume IVolphatigus f.azius: Pragae Georgius Sigismundus Seldius f icecancellarius Impcrii, Zacharìa Belphinus Lcgatus PontiJiciSj [p. 1405 modifica]TERZO l4<>5 Franciscus Cramb Orator Augusti Saxonum Ducis, etP. Andreas Matthiolius: Misniae Georgius Fabritius: Lipsiae Joachim Camerarius. Lo stile non è molto elegante, ed è ancor men colto di quello delle orazioni, forse perchè pensava di ritoccarlo e ripulirlo di nuovo. Egli ancora si attiene a favolosi racconti del supposto Tommaso d’Aqui lei a, e de’seguaci di esso; ma fa anche uso delle lapide antiche, e di altri monumenti ch ei vien talvolta citando, e v’inserisce digressioni e discussioni geografiche e storiche, le quali provano la vasta erudizione di cui era dotato l autore. LIX. Vogliono alcuni che plagiario del Falletti fosse Giambatista Pigna, spacciando qual sua la Storia da esso composta. Prima però di esaminar i fondamenti di così grave accusa, veggiam chi fosse il reo a cui s’imputa un tal delitto. Nel Museo Mazzucchelliano, ove si producono due medaglie in onor di esso coniate (t. 1, p. 273), si afferma ch’ei morì nel 1575 in età di setlantadue anni, con che se ne verrebbe a fissare la nascita nel 1503. Ma troppo chiara è in contrario la testimonianza del Pigna da noi poc’anzi accennata, ov egli dice: Del mille cinquecento quarantasette, forse perchè io volea maggior fatica sopportare, che non si conveniva alla'età mia, che era di dici sette anni (Romanzi p. 3). Era dunque egli nato nel i53o (*). (*) Io non ho qui esaminata la quistione della patria del l’igna, che da alcuni dicesi ferrarese, da altri «la I* anano nel ducato di Modena. Ne ho parlato nella Biblioteca modenese, ove ancora si son prodotte (t. 4, p. 131, ec. ^ t. 6, p. 164, ec.) alti e circostanze della vita di questo celebre storico. [p. 1406 modifica]l4o6 tuno Niccolucei era il cognome vero di Giambatista, e perciò Bartolommeo Ricci in più lettere scritte a lui ancor giovinetto scrisse Joan. Baptista Nicolutio Pigna B. Riccii Op. t 2, p. 36(>, ec.). E il soprannome di Pigna fu dato al padre di Giambatista, perchè, essendo speziale, avea per insegna della sua bottega una Pigna, come scrive Cinzio Giraldi e Bernardo Tasso (B. Tasso, Lett. t. 2, p. 196). E che il padre fosse speziale, ma uom ricchissimo, singolarmente perchè era egli il solo che sapesse comporre perfettamente il colore azzurro che dicesi oltramarino, ne abbiamo la testimonianza in una delle accennate lettere del Ricci, il quale scrivendo al Pigna ancor giovane, ed esortandolo a non affaticarsi eccessivamente come facea nello studio, gli ricorda dapprima ch è quasi solo figliuol di suo padre, poichè un fratello che avea, era in continuo pericol di morte; ed egli morì in fatti in età giovanile nel 1551, come lo stesso Giambattista (Romanzi, p. 6) racconta. Indi soggiugne: Solus igitur es in re bene ampla. Praedia enim tibi non desunt, villae atque aedes in urbe; suppellex nobilissima: pater praeterea est, qui tibi pro centum praediis esse potest, qui vel uno caeruleo colore, quod nostri ultramarinum appellant conficiendo ut in pharmacis componendis ejus scentiam atque uberrimum fructum ommittam) solus esti, qui perfectam scientiam habeat, ingentes copias comparare potest, atque adeo quoti die non parvas comparat (l. c. p. 371). Fino da’ primi anni ei fece conoscere e un raro talento e un’insaziabile avidità di studiare. Già abbiamo veduto che egli ebbe a maestri Guzio e [p. 1407 modifica]TERZO I407 Gregorio Giraldi, Alessandro Guarino e Francesco Porto. Altrove ei dice di avere avuto ne serii studi a maestro per dieci anni Vincenzo Maggi, da cui confessa di essere stato e con somma diligenza istruito, e assistito con sommo amore (Romanzi, p. 86). Sotto la lor direzione fece sì felici progressi, che in età di 20’anni fu onorato della filosofica laurea. La continua applicazione con cui egli si affaticava studiando, oratale, che il Ricci gli scrisse più volte, esortandolo caldamente ad esser più moderato. E bellissima fra le altre è una lettera che su ciò gli scrive, piena di sì teneri sentimenti, e di tale stima pel giovane Pigna, ch’ella meriterebbe di esser qui riportata distesamente: De vita tua agitur, Pigna, gli dice egli fra le altre cose (l. c. p. 369)), quam ut rum perdas an serves, in tua manu est, cujus tu solus optimus Medicus, tu parum pius hostis esse potes, atrum malis non dubito. Essi contra, quod minime debes, facere te video, qui propere, quantum in te est, jam si perditum. Soggiugne che il soverchio studio è quello con cui egli nuoce alla sua sanità: Certe qua valetudine sis, quo stornar ho utarìs, ut pessime concoquas, ut creberrimis doloribus capitis labores, ut intestinorum torminibus torquearis, ipse tibi opti me conscius es. E siegue descrivendo il continuo ricadere ch’ei fa nelle sue malattie, e il non mai riaversi perfettamente, e ciò essendo in età di non ancora ventitrè anni: et nondum vigesimum tertium annum attingis. Lo esorta poscia a non abusar più cotanto delle sue troppo deboli forze, e descrive insieme gli eccessi a [p. 1408 modifica]I/jo8 LIBRO cui il Pigna giungeva: A tuis istit vehementissimis studiis ut te temperes, ut naturae tua e, quae non firmior quain v'ules tibi data, est, libi mi tius consulas, ne de media nocte per hyemem lecto ad libros exurgas; ne per summos aestus totum diem in libris inhaereas, ne propterea a cibo abstineas, aut a cibo ipso ad ea acer accurras, atque ita stomachum ad concoquendum adjuves, ne eam horam, qua J'acis publice y ne postea tres domi doceas, quae menses vel in singulos tibi auferunt de vita. E continua pregandolo caldamente ad aver cura della sua sanità; rammenta la laurea da lui avuta, come si è detto, in età di 20’anni, e la cattedra che tosto gli fu affidata di greca e di latina eloquenza, la quale già da due anni egli occupava: l ìgesimo aetatis tuae anno ab amplissimo Philosophorum Collegio dignus es judicatus, quem in suum numerum referrent, publicoque virtù tis insigni, quem Doctoratum appellant, cohonestarent. Duos annos jam publice profiteris optimos Auctores Graecos et Latinos, atque ita ut ni hi l aiulitori relinqnatur, quod a te in tuis interpretationibus desideretur. Se dunque il Pigna prima di giungnere a’ ventitré anni, già da due anni era professore, ei cominciò ad esserlo nelfetà di venti, e perciò nel 1550, non nel 1552, come a (Terni a il Borsetti (Hist. Gymn. Ferr. t. 2, p. 176). Passa indi il Ricci a lodare e i versi e le prose del Pigna; e conchiude ripetendo le più calde preghiere perchè interrompa lo studio col villeggiare, col pescare, coll andare a caccia, e con altri somiglianti sollievi. Dopo la morte del fratello, [p. 1409 modifica]TERZO l4°9 esortollo il Ricci a menar moglie (l. c p.) 374 dal che il Pigna, che non volea all ri pensieri che de suoi studi, si mostrava lontano, e rallegrossi poscia con lui che avesse presa una figlia del celebre medico Brasavola (ib. p 383). Frattanto il Pigna entrò in tale stima presso Alfonso allor principe ereditario di Ferrara, che questi al principio di gennaio del 1552 il volle in corte tra’ suoi famigliari. Così raccogliam dalla lettera con cui il Pigna l’anno seguente gli dedicò i quattro libri delle sue Poesie e quelle di Celio Calcagnini e di Lodovico Ariosto stampate nel detto anno dal Valgrisi in Venezia. Queste Poesie, se si abbia singolarmente riguardo alla fresca età di ventitré anni, in cui allora era il Pigna, sono assai pregevoli per la loro molta eleganza, benchè non in tutte uguale. Quindi non è maraviglia ch’ei divenisse sempre più caro al principe Alfonso, sicchè questi non sapesse quasi stare da lui lontano. Il Ricci di lui parlando in una sua lettera ad Alberto Lollio, Is jam mihi crede, gli dice scherzando (ib. p. 3j)4), tìos fastidii ac prò udì Ho Jiabet Princeps eum iterum secum ad caput aure uni ducit, deinde ad lì e ri guardimi, postea Comaclium, alio alias, ut etiam uxori novae nuptae grati mi non faciat. Sed quid plura? Is in tanta ejus gratia est, ut pauci in pari, nullus in majori sit, ut jam spem eam dcponcre possi s 1 si quam unquam imbuisti y ut ter uni vel dieculam unam in tuo Museo ponere possit. Spargeasi frattanto la fama del molto sapere del Pigna, e ne è pruova una lettera scritta [p. 1410 modifica]14 I O LIBRO nel 1555 da Annibal Caro a Silvio Antonia no, in cui si rallegra che il Pigna abbia preso a proteggerlo, e dice che si fa conoscere a tutti uomo dotto al pari che gentile (Lettere, t. a, letL 4<))i e un’altra lettera piena di lodi, cli c-» gii scrive al Pigna medesimo (ivi, lett 57). Nel ii)5f) viaggiò in Francia, ove era allora il principe Alfonso y e giunta colà in quel frattempo la nuova della morte del duca Ercole II, insieme col nuovo duca Alfonso II tornò in Italia, e nel viaggio stesso gli fu da esso imposto di comporre l’orazion funebre pel defunto suo padre, che poscia recitò in Ferrara, e diede alle stampe. Pare che allora il Ricci non avesse più quella sì alta stima del Pigna, che aveane in addietro perciocchè avendogli questi mandata la sua orazione, poichè fu stampata, insieme colla lettera dedicatoria ad Alessio Paganucci che vi avea premessa, egli assai laconicamente così gli rispose: Remi ito tibi, Pigna, orationem tuam, atque epistolam, ut vides, correr tam, ut, si cani iteri ini sis editurs, tuo optimo nomini melius consulas. Vale, et Riccium tuum ama (l. c. p. f><)-). Anzi il Ricci interamente riferisce la lettera dedicatoria, la qual leggesi tra le altre lettere di questo scrittore (ib. p.608). E veramente le orazioni del Pigna non son molto felici nè per l’eloquenza, nè per lo stile j e par che questo non fosse il genere di letteratura in cui egli fosse più eccellente. Presso il nuovo duca il Pigna crebbe sempre più in confidenza ed in grazia; e Paolo Manuzio perciò con lui rallegrossi che [p. 1411 modifica]TERZO 1/1*1 fosse in sì alto stato presso un sì gran principe (/- CP- 4^) («). Così continuò il Pigna a vivere in quella corte, occupandosi singolarmente nella sua Storia, fino.a’ \ di novembre del 1075, in cui nella fresca età di quarantacinque anni chiuse i suoi giorni (lì arotti, Difesa degli ScritL ferrar, par. 3, cens. 3). LX. La Storia de1 Principi d liste è l’opera che ha renduto piò celebre il Pigna, sì per le lodi di cui per essa 1’ hanno molti onorato, sì per la taccia che taluno gli ha dato di plagiario del Fallelti. Il primo, anzi l’unico nello spazio di circa due secoli, ad accusarlo fu Giangirolamo Bronzicro clic nella sua opera della Origine c condizione del Polesine, di Rovigo, stampata poi in Venezia nel 1746, dice cbe veramente 1’autor della Storia fu a suo parere il Fallelti, non già il Pigna, e ne reca due pruove. La prima clic Gasparo Sardi nel line della sua Storia accenna che il Fallelti scriveva egli puro la Storia degli Estensi, e ne cita alcune cose clic veggonsi in fatti in quella del Pi gna; l’altra, cbe Niccolò Crasso affermò ad un amico del Bronziero, di aver udito il testamento del Fallelti, con cui raccomandava la sua Storia (a) Nel 1562 il duca Alfonso II donò con suo decreto de’ 17 di febbraio Excellentis doctrins viro insignique. artium et Me di ciane Dodo ri almi que Gymnasii Verravi msis Re format ori Joanni Baplistae Nicolutio cognominato Pigna Civi Per rariae et a Secreti.1 D. Ducis il diritto di esigere dalla provincia dei Frignano, e di rivolgere a suo uso scudi dalla somma di 277 scudi e due terzi, che essa pagava a titolo di fromentaria. Il qual decreto conservasi uel secreto archivio Estense. [p. 1412 modifica]I 4 I 2 LIBRO al Pigna, pregandolo a rivederla e a darla in luce. Apostolo Zeno riferisce questo passo del Bronziero (Note al Fontan. t. 2, p. 245), e si protesta di non far che il copista, e di lasciar libero il giudizio ad ognuno. Io ho voluto esaminar questo punto; e l’esame fattone mi ha convinto che niuno scrittore fu mai più ingiustamente del Pigna accusato di plagio. Ho confrontate insieme amendue le Storie, poichè, come ho detto, abbiam nell’Estense due codici di quella del Falletti; e tra l’una e l’altra ho scorta non picciola diversità. Lasciamo stare che il Falletti non giugne che alla fine del secolo xiii, e il Pigna s’innoltra fin verso la fine del xv. Lasciamo anche stare che il Falletti scrisse in latino, in italiano il Pigna. La Storia però del Pigna non può dirsi semplice traduzione di quella del Falletti; anzi ella è cosa talmente diversa, che, trattane la sostanza dei’ fatti, appena vi ha somiglianza tra l’ una e l'altra. Il Falletti fa spesso dissertazioni e ricerche; il Pigna continua seguitamente e senza interrompimento la sua Storia. Il Falletti reca sovente lapide antiche, iscrizioni del basso secolo, testimonianze di autori antichi e moderni; il Pigna appena mai ne fa uso: il Falletti introduce spesso i principi e i capitani a far lunghi discorsi; cosa che assai di raro si vede nel Pigna, il quale, se ne ha alcuna, essa è tutta sua, e non tratta mai dal Falletti. La sposizione stessa è comunemente diversa; e raro è che il Pigna possa dirsi semplice traduttore. Or se questo è plagio, pochi saranno gli storici che scrivendo cose da altri già scritte, [p. 1413 modifica]TERZO l.| 1 3 non debban dirsi rei di tal delitto. Sarebbe nondimeno degno di biasimo il Pigna, se non avese confessato sinceramente di dover molto al Falletti; ma egli l’ha fatto con tale sincerità. ch’ io bramerei che in ciò egli fosse imitato da molti moderni scrittori: Quando V E.t cosi dice egli nella dedica al duca Alfonso II, già sono dodici anni si trovava la terza volta, in Francia appresso il Re Enrico di memoria gloriosissima, io scrissi di sua commissione al Conte Girolamo Falletti, che mettesse all' ordine tutto ciò che havea raccolto da varii luoghi della Germania, che spettasse alla Casa dEstc, perche f animo di lei era, che vi aggiungesse il resto di quanto si era già ritratto da altre parti, et se ne formasse una historia, la quale ancora che f r. E. dopo la sua assunzione havesse destinata a lui, col donarli anche giurisdizioni et altri beni, affinchè con l animo tanto più riposato potesse affaticarvisi d intorno, fu nondimeno solamente abbozzata da esso infino ad Azzo Nono, et chiamata anche, per essere concisa, sotto nome di Annali, senza che potesse per la morte, che li sopraggiunse, nè spiegarla, come conveniva, nè passare più oltre, come era stato suo desiderio. li avendo poi l E. V. comandato a me, che prendessi quelli scritti, et altri d altri Annali, et cavatone quel tanto che mi paresse, abbracciassi, se possibile mi fosse, questa impresa, et la portassi a fine quanto prima potessi, io, senza perdonare alla mia complessione, ho voluto prontamente obbedirla. E aggiugne poscia, ch egli avea esaminato grandissimo numero di [p. 1414 modifica]1414 LIBRO diplomi e di carte nel ducale archivio, per compilare più esattamente questa sua.Storia. Poteva dunque egli il Pigna più chiaramente spiegare quanto ei dovesse al l'alletti? Per ultimo abbiamo nella biblioteca Estense il ms. del Pigna; e le cancellature, le correzioni, le giunte che vi si veggon sovente, pruovano sempre più ad evidenza ch’ ei non fu nè copiatore, nè traduttore e che perciò in niun modo gli è dovuta la taccia di plagiario. Egli ancora non condusse la sua opera a fine. Quella che ne abbiamo, è la parte prima; ed ei pensava di aggiugnervi la seconda. Ma la morte non gliel permise, e nulla io trovo di tale continuazione nè in questa biblioteca, nè in quest’ archivio secreto. La detta prima parte fu magnificamente stampata in Ferrara nel 1570, e tra le molte lettere inedite tratte dall’ archivio di Guastalla, delle quali io tengo copia per gentilezza del più volte lodato P. Ireneo Affò, una ve ne ha de’ 6 di novembre del detto anno, con cui una copia di questa opera in nome del duca Alfonso II vien mandata a D. Cesare Gonzaga signor di Guastalla. Fu ella poi per ordine del duca stesso tradotta in latino da Giovanni Barone, e stampata in Ferrara nel 1585, e circa il tempo medesimo se ne pubblicò ancora una versione tedesca. In fatti la Storia del Pigna era la più ampia e la più esatta che si fosse finallora veduta de’ Principi Estensi. Ma egli ancora non seppe riconoscere e rigettare le favole de’ tempi più antichi, di cui gli scrittori precedenti l’aveano ingombrata; gloria riserbata all’immortal Muratori, che sgombrando [p. 1415 modifica]TERZO l4>5 le tenebre, c penetrando fra l’ oscurità de secoli più rimoti colla scorta di autentici monumenti, ha poste nella vera sua luce le glorie della più antica fra le sovrane famiglie d Italia. Un altra accusa vien da altri data al Pigna, cioè ch’ egli abbia finta l’ opera da noi più volte mentovata, spacciata sotto il nome di Tommaso d Aquileia (V. Mazzucch. Scritt ital. t. 1, par 2, p. 907). Ma oltre che tutti gli scrittori più antichi del Pigna fanno di essa menzione, noi abbiamo altre volte accennato (t. 5) il bel codice che della traduzione in versi francesi di quella supposta Cronaca fatta nel 1358 si conserva in questa biblioteca Estense. Abbiamo detto poc’ anzi del libro intorno al modo di scrivere i Romanzi da lui composto, e della contesa che per esso ebbe con Cinzio Giraldi. In esso ei tratta ancora della vita dell Ariosto, e fa il confronto de passi che dopo la prima edizione ei cambiò nel suo Orlando. All' arte poetica appartengono ancora gli Eroici, e la Spiegazione latina della Poetica di Orazio, e i dodici libri delle Questioni poetiche parimente in latino. Ei fu inoltre scrittore di politica nel suo Principe, di scienza cavalleresca nel suo libro Del Duello, di morale nei suo opuscolo De Otio, e nei’ suoi tre libri De Consolatione. Delle Poesie latine da lui pubblicate in età giovanile si è già detto poc’ ant zi, e ad esse debbonsi aggiugnere alcune Lettere e alcune Rime italiane che se ne trovano sparse in diverse raccolte. LXI. Io non mi tratterrò a dire più lungamente di altri libri di minor conto, ne’quali [p. 1416 modifica]l4l6 LIBRO trattasi o della città di Ferrara, o degli Estensi che n’ eran signori, e lascerò ancor di far distinta menzione di altre Storie ferraresi che in questa biblioteca Estense conservansi scritte a penna, quali sono i molti tomi di Filippo Rodi, ed altre che non han veduta la luce. Molte ve ne ha ancora che appartengono a Modena, e fra l altre i minutissimi Annali che abbracciano gran parte di questo secolo, di Tommasino Lancellotto, la Cronaca di Francesco Panini (a), c più altre; e riguardo a Reggio abbiamo le Storie del Panciroli altrove da noi accennate. Ma poco abbiamo alla stampa intorno alla Storia di queste due città; e appena io credo che debba essere ricordata la Storia della celebre guerra de’ Modenesi co’ Bolognesi a’ tempi del re Enzo, scritta in latino da Jacopo Maria Campanacci bolognese, autore ancora di una Storia della congiura del Fieschi. Fulvio Azzari reggiano verso la fine del secolo raccolse molte notizie intorno alla sua patria, e ne scrisse una Storia (b), di cui non si ha alle stampe che un compendio pubblicato più anni dopo, cioè nel i6;ì3, da Ottavio di lui (a) Di questi due cronisti modenesi, cioè del Lancellotlo e del Panini, si son «late più copiose notizie nella Biblioteca modenese (t. 3, p. -, t. 4i P- a-2)(/>) L’originale della Storia di Fulvio Azzari in due tomi i:i foglio conservasi in questa ducal biblioteca. Essa non oltrepassa i primi anni del secolo xvi, e non è esente da errori; ma è pregevole nondimeno assai così per le antiche iscrizioni reggiane da lui studiosamente raccolte, come pe’ molti autentici documenti da lui tratti dagli archivii e nella sua Storia inseriti. [p. 1417 modifica]TERZO 1 4 1 7 fratello. Veggo citarsi in alcuni cataloghi un’ opera di Giambattista Guarnopio De nobili Picorum Familia, stampata in Venezia nel 1574$Ma non avendola io avuta sott occhio, non posso darne nè relazion. nè giudizio. Due storici di maggior nome ebbe la città di l’arnia, benché amendue ad essa stranieri. Il primo fu Bonaventura Angeli ferrarese, che per sospetto d’eresia costretto ad abbandonate la patria, ricoverossi in Parma, ed ivi ravveduto de’ suoi errori fissò il suo soggiorno. La Storia di Parma da lui pubblicata nel, benché non vada esente da molti falli, è però molto pregevole e pe’ monumenti che in essa ci ha conservati, e per le notizie tratte spesso da buoni fonti che in essa ha raccolte Di lui e di più altre opere da lui composte si posson vedere più distinte notizie presso il conte. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 1, par. 2; p. 734). Ma questi non ha avvertito che nelle copie che comunemente si trovano di questa Storia, si veggon non pochi fogli stampati in diverso carattere. E la ragione ne è, ch essendo stata questa Storia stampata fin dal 1589, l’autore prima di pubblicarla vi fece più cambiamenti, e quello fra gli altri della dedica che prima era diretta al duca di Ferrara Alfonso II, e fu poi indirizzata al duca Ranuccio Farnese. Credono alcuni che per ordine della corte di Roma dovesse l Angeli far nella sua Storia molti cambiamenti; ma tutti i fogli ch’ ei ne troncò, e che trovati fortunatamente in questi ultimi anni, sono stati insieme uniti nella real biblioteca di Parma. ci mostrano che i cambiamenti per lo più sono Tira boschi, Voi XI/. 17 [p. 1418 modifica]J 4 * 8 LIBRO di lai natura, che l’autore dovette farli spontaneamente, avvedutosi degli errori in cui era caduto. Così corretta in più luoghi la sua Storia, ei la rendette pubblica nel 1591. il che ci mostra quanto sia falso ch’ ei morisse, come da tutti si è finora creduto, nel 1576. L'altro fu Vincenzo Carrari cittadino nobile di Ravenna, uomo assai dotto, e singolarmente ne documenti storici e genealogici versatissimo, che l’an 1583 diè alla luce l’Istoria de Rossi Parmegiani, che abbraccia tutto quel tempo in cui la detta illustre famiglia ebbe il dominio di Parma. Il ch. P. abate Ginanni nulla ci lascia a bramare intorno alla vita e alle molte altre opere di questo erudito ed indefesso scrittore, fra le quali è «'issai pregiata una Storia ms. di tutta la Romagna (Scritt ravenn, t. 1, p. 122, ec.). Molte altre Cronache e Storie di questa città in questo secol medesimo furono scritte che o sono smarrite, o si giacciono inedite fra le quali è da annoverarsi Il Compendio copiosissimo dell' origine, antichità, successi e nobiltà della città di Parma, suo popolo, e territorio, estratto dal raccolto di Angelo Maria di Edovari da Erba Parmegiano nel 1572, opera da me talvolta citata per l agio che mi ha dato di leggerla il ch. Padre Affò poc’anzi lodato, e in cui più altri scrittori parmigiani di Storie e di Cronache vengono annoverati. La Cronaca dell’ Origine di Piacenza scritta in latino da Umberto Locati domenicano, che fu poi vescovo di Bagnarea, e morì nel i58"j y Ju scritta in un secolo, dice l’eruditissimo proposto Poggiali, da cui la Storia di quella città è stala [p. 1419 modifica]TERZO 1 4 11) a’nosn i giorni sì bene illustrata (Stor. di Piac, t 1, pref. p. 7; V. anche Mem. per la Stor. lett. di Piac. t. 2, p. 235, ec.), nel quale non badavasi più che tanto a certe minutezze di Cronologia e di Storia, sicché a parlare schiettamente.è piena di favole sul principio, e in appresso poi talmente scarsa di buone notizie, di racconti interessanti, che non tanto una Storia di Piacenza, quanto un piccolo indice di essa nominar giustamente potrebbesi. Ei parla inoltre di una Cronaca di Piacenza pubblicata nel 1540 da Bartolommeo Bagarotti più superficiale ancora e più sterile di quella del Locati. LX11. Anche la città di Milano, e le altre che formano quello Stato, non ebbero tali Storie che possan mettersi a confronto di quelle che vantano Firenze e Venezia. Pregevoli sono i quattro libri di Andrea Alciati della Storia di Milano, de’ quali si è da noi altrove parlato; ma esse non giungono che a tempi di Valentiniano. Abbiam parimente già fatta menzione delle Vite de Visconti scritte dal Giovio, delle opere di Gaudenzo Merula, e di Buonaventura Castiglione, e di Galeazzo Capei la, e di monsignor Carlo Bascapè vescovo di Novara. La Storia di Milano ed altre somiglianti opere del buon Gesuato F. Paolo Morigia sono ugualmente conosciute e per le favole di cui sono piene, ove trattano de tempi antichi, e per la sincera semplicità che in esse si vede, ove parlano de’ più recenti. Andrea Assaraco Saracco, natio di Vespolate nel territorio di Novara, si avvisò di scrivere in versi latini una Storia di Al iano da' tempi di Francesco Sforza sino a [p. 1420 modifica]1^20 LIBRO qne1 di Francesco I, e di aggiugnervi una Storia particolar dell imprese del celebre generale Gianjacopo Trivulzi. L'opera fu stampata in Milano nel 1516, ma i versi ne son si poco felici, che pochi vorran da essi raccogliere le notizie che vi stanno entro racchiuse. Assai più ampia Storia avea apparecchiata Bernardino Arluno milanese, che cominciava dalla fondazione della città e giugneva fino a suoi tempi, ed era divisa in tre tomi. Essa era stata già inviata a Basilea a Giovanni Oporino, perchè ne facesse la stampa: anzi questa erane già cominciata; ma poi, qualunque ragion se ne fosse, non andò innanzi. Così narrano TArgelali (Argelati Bibl. Script, mediol. t. 1, pars 2, p. 98) e il conte Mazzucchelli (Scrit. ital. t. 2, par. 2, p. 1099). assa* distinte notizie su questo affare si traggono da molte lettere che vanno aggiunte a quelle di Marquardo Gudio (p. 163, ec.). Da esse raccogliesi che questa Storia era stata in parte mandata fin dal 1546 da Gianfrancesco Arluno, fratello di Bernardino allor già defunto, a Sebastiano Griffi, perchè la stampasse in Lione che non essendosi ivi conchiuso l’ affare, fu nel 1549 mandata a Basilea all Oporino; che i censori svizzeri aveano per motivi politici comandato che qualche passo di essa si correggesse; che nel i55:i già n era stampato il primo quaderno, che fu mandato a Milano a Francesco Ciceri; che morto frattanto Gianfrancesco fratello dell autore, l Oporino cominciò e chieder denari per continuare la stampa, minacciando d interromperla, se non gli si [p. 1421 modifica]TERZO *4UI mandava soccorso; e che nel luglio del 15:>d, reggendo clic non veniva denaro, scrisse sdegnosamente che avea risoluto di non più continuare la stampe, ma die essendosi in essa troppo avanzato, per poterla interrompere senza grave suo danno, avrebbela in qualche modo proseguita. Dopo ciò non ne troviamo altra menzion) e convien dire che l Oporino cessasse poi veramente dalla stampa intrapresa, poiche è certo che questa Storia non ha mai veduta la luce, e nella biblioteca Ambrosiana si conserva solo quel primo quinterno che già fu inviato a Milano, e un codice a penna che contiene tutta la Storia. Di qualche altra opera di Bernardino veggansi i due suddetti scrittori, che parlano ancor di quelle di un altro di lui fratello, detto Giampietro, medico di professione (a). Alcune opere di Bartolommeo Zucchi da Monza, colle quali illustra la Storia della sua patria,.quella di Bernardo Sacco pavese, intitolata De Italicarum Rerum varietate et elegantia libri x, ne’quali si trattiene singolarmente sulla storia di Pavia, ed altre sullo stesso argomento di Stefano Breventano, di Antonio Mi iria Spelta e di Jacopo Gualla, e finalmente gli Annali cremonesi scritti in latino da Lodovico Cavitelli, non sono opere che nè per eleganza di stile, nè per esattezza di ricerche (fi) Di questa Storia e »li altre opere di Bernardino Alluno e di Giampietro di lui fratello sou degne d1 esser lette le esatte notizie rhe ne ha date il I*. aliate Casali nelle piti volle lodale sue Note alle Lettere del Ciceri (,. p.,97). [p. 1422 modifica]1^22 LIBRO sian molto pregiate dagli eruditi. La Descrizione e la Storia di Cremona di Antonio Campi, pubblicata la prima volta nella stessa città nel 1585, è più ricercata pe’ rami disegnati dal celebre Agostino Caracci, che per notizie storiche in essa racchiuse. Con più applauso furono accolti i libri di Benedetto Giovio sulla Storia di Como sua patria. Era egli fratello maggiore di Paolo, il quale grato all’ amore con cui Benedetto, morto il comune lor padre, avea preso ad allevarlo e ad istruirlo nelle lettere, ne scrisse l’ elogio, e lo inserì tra quelli degli uomini illustri del suo Museo (Elog. p. 66). Ei visse sempre a se stesso, a’ suoi studi e alla nobil famiglia di cui era capo, e solo viaggiò a Milano per udirvi Demetrio Calcondila professore di lingua greca, la quale per altro avea già egli appresa felicemente. Visse sino all’ età di settanlatrè anni, e premorì di qualche anno a Paolo; e morto, fu. sulle spalle di giovani nobili recato al sepolcro nella chiesa cattedrale della sua patria; onore, dice Paolo, non mai conceduto in addietro in Como ad uom non ecclesiastico. Le opere ch egli accenna, scritte da suo fratello, sono le Storia della sua patria, le imprese e i costumi degli Svizzeri, cento lettere e alcune traduzioni dal greco e parecchie poesie. Fra esse la Storia di Como, a cui va aggiunta la descrizione del Lago che da quella città prende il nome, ci mostra nel suo autore un uomo erudito nelle antichità, di cui produce molti bei monumenti, dotato, quanto il permettevano i tempi, di buona critica, e scrittore elegante e senza que1 [p. 1423 modifica]TEH7-0 l4*3 difetti che »11 Paolo di lui fralello non senza ragion si riprendono. Essa però giacquesi inedita fino al 16:19, nel qual anno fu pubblicata in Venezia. Delle altre opere mentovate da Paolo io non so che alcun altra abbia veduta la luce, trattone un poemetto intitolato De Venetis Gallicum Trophaeum, stampato senza indicio d’ anno e di luogo. Da due lettere dello stampator Giovanni Oporino, scritte da Basilea a Francesco Ciceri nel 1547 e nel 1548$ (post Epist Marqu. Gudii, p. 165), si raccoglie che questi aveagli inviato non so qual breve poema di Benedetto, perchè il desse alle stampe, e che questi era pronto a farlo, e solo spiaceagli che fosse troppo breve, e aspettava perciò che gli venisse mandato ancor quello intitolato Fontes, per unirli insieme amendue. Ma la stampa ideata non ebbe effetto *, e di questo secondo poemetto accenna sol fArgelati un codice ms. (Bibl. Script, mediol. t. 2, pars 2. p. 1402). Le lettere ancora di Benedetto non son mai state pubblicate; e ciò che per incidenza ne dice il suddetto Argelati in più luoghi, ci mostra ch’ esse pruovano quanto egli fosse versato in tutte le scienze. Sembra ch ei fosse dotto nelle lingue orientali, perchè tra esse è una lettera a lui scritta da Jacopo Filippo Carpani giureconsulto milanese, in cui l interroga sulla significazione di certe voci arabiche, e vi si aggiugne la risposta del Giovio (ib. pars 2, p. 1859). Alcune altre lettere dal Giovio scritte allWIciati ci provano l erudizione ch egli avea nello studio delle antichità, e in quello della giuri sprudenza [p. 1424 modifica]14a4 libro (ih. p. 1935); in due altre ei tratta molte quistioni astronomiche, e parla della traduzion di Vitruvio, nella quale abbiamo altrove osservato ch’ egli ebbe gran parte (ib. p. 1965). Da un’ altra par che raccolgasi ch egli avesse scritto un libro su^Tmmortaiità dell’ anima (ib. p. 1975). Il ch. sig. conte Antongiuseppe della Torre di Rezzonico avea in animo, come in più luoghi accenna lo stesso Argelati, di fare una compita edizione di tutte le opere di questo valoroso suo concittadino. Ma forse tutto intento al suo Plinio non ha potuto eseguire il conceputo disegno. Noi speriamo ch’ esso sarà condotto felicemente ad effetto dal signor conte Giambattista Giovio da noi più sopra lodato, presso il quale sappiamo che parimente conservansi le opere inedite di questo suo illustre antenato (a). LXI1I. 11 favore di cui i Gonzaghi furon liberali alle scienze, meritava che molti scrittori essi trovassero encomiatori delle loro gloriose imprese. Pochi nondimeno essi sono, e di non molto valore. I Comentari della Storia di Mantova di Mario Equicola, stampati nel 15a 1, sono la prima e la miglior opera che in questo genere si abbia, benchè scritta assai rozzamente; e l’ autore dee singolarmente lodarsi pel confutare che fa sovente le favole (a) Anche di Benedetto Giovio,-che fini di vivere nel i544, ci ha dato l’elogio insieme con quel di Paolo il soprallodato co. Giambalista, che di lui pure ragiona ne’ suoi illustri Comaschi. Alcune opere mss. ne ha indicate il P. abate Casati (Cicervii Epìst. t. i, p. 107). [p. 1425 modifica]TERZO * 4J5 dcll’Àliprando incautamente sedurre dal l’Ialina. Eia Alario natio di Alvito negli Equicoli, da cui prese il nome. Il 1 afuri allei ma che nella università di Napoli ei prese la laurea legale, e che indi passò al servigio di più principi, e tra essi del duca di Ferrara Alfonso I, di cui per più anni fu segretario, e a lui accettisimo (Scritt. del Regno di. Nap. t. 3, par. i, p• i4> ec-)• Non parmi però, che il Borsetti abbia avuto bastevole fondamento ad annoverarlo tra gli alunni dell' università di Ferrara (ili st. Gymn. Ferr. t. 2, p. 290). Io crederei più probabile che l’ Equicola fosse ivi a tempi e al servigio di Ercole I, e che quando Isabella nel 1490 fu data in moglie al marchese di Mantova Francesco Gonzaga, l’Equicola con essa si trasferisse a questa città. In fatti il Bandello gli dà il titolo di Precettore di Madama di Mantova, e insieme ne fa questo elogio: Egli è uno di quegli uomini, dei quali tutte le Corti vorrebbono esser piene • perciocché oltrecchè è un Archivio di Lettere, e fin da fanciullo in molte Corti nodrito, è poi soavissimo compagno, arguto, faceto, pronto, buon parlatore, e di quelli che mai a le brigate non lascia con i sui piacevoli motti rincrescere (t. 1, nov. 30). Con somiglianti lodi di lui ragiona il Calcagnini in due lettere ad esso scritte (Op. p. 89, 94), e altrove lo dice virum et manu strenuum, et lingua disertum, et ingenio clarissimum (ib. p. 558). Il ch. sig. abate Bettinelli ci dà ragguaglio di un altro opuscolo da me non veduto dell Equicola, cioè della descrizione del viaggio ch' ei [p. 1426 modifica]l42G LIBRO fece in Francia nel 1532, seguendo Isabella, e annovera distintamente alcune altre memorie che di lui rimangono in Mantova (Delle Lett. ed Arti mantov. p. 128). Altre opere in assai maggior numero ne riferisce il Tafuri; ma nè egli ce ne dà una troppo esatta contezza, nè esse mi sono mai venute alle mani, onde io non posso parlarne con sicurezza. Le più celebri, oltre la Storia di Mantova, che fu poi nel 1608 corretta e pubblicata di nuovo da Benedetto Osanna, sono le Istruzioni al comporre in ogni sorta di rima stampate nel 154 f, quand’ egli era già morto, e il libro della Natura dAmore da lui dato in luce nel 1525. Due medaglie in onor di esso coniate si hanno nel Museo del conte Mazzucchelli (t. 1, p. 1 jG), e le onorevoli testimonianze con cui molti han di lui ragionato, si accennano dal suddetto Tafuri (*). Il Fioretto delle Cronache di Man(*) Di un'altra operetta dell' Equicola, stampata in Roma da Jacopo Mazzocchi, mi ha data cortesemente notizia il ch. sig", abate Pierantonio Serassi. Essa è intitolata Ad invidi ssimum Principerà D. jMa.vniiliannm Sforciam Ducem Mediolani M. Equi cola e viri doctissimi de libcratione 1 Ialine Epistola. La lettera è in data di Mantova quarto Idus Junias MDXIII, e non è che di otto pagine in 4-°» nell’ ultima delle quali sono alcuni bellissimi esametri dell’ Equicola in lode del duca medesimo e degli Svizzeri, che cominciano: O fortunati, si quid mea carmina possunt, Helvetii proceres, genus insuperabile bello, ec. Di lui finalmente conservasi in questa ducal biblioteca un'opera ms. sulla Genealogia degli Estensi, che è in somma un compendio della storia di questa illustre fa-* [p. 1427 modifica]TERZO * Ì a7 tova di Stefano Gionta, le Vite di D. Ferrante Gonzaga scritte da Alfonso l lloa e da Giuliano Gosellini, del quale diremo altrove, appai tengono a questo luogo; ma basti l averle accennate. Nel Catalogo degli Storici aggiunto alla nuova edizione del Metodo per la Storia di M. Lenglet, fatta in Parigi nel 1772, si nomina ancora una Vita di Guglielmo Gonzaga, scritta da Lodovico Arrivabene, e stampata nel 1588 (t. 11, p. 564). Il conte Mazzucchelli che ne annovera altre opere (Scritt ital. t. 1, par. 2, p. 1138), di questa non fa parola. Qui possiamo aggiugnere ancora uno scrittore che tra que' delle cose di Mantova. e ancora tra quei' delle cose di Milano, di Venezia e di Ferrara, può aver luogo, cioè Gabriello Simeoni, uomo per alterigia più che per sapere famoso, e che nondimeno non dee essere dimenticato nella Storia della Letteratura, che ugualmente propone gli esempii che debbonsi o imitare o fuggire. Gli scrittori della Storia letteraria di Firenze ce ne danno assai superficiali notizie; e Gianburcardo Menckenio, che ne ha scritta stesamente la Vita (Diss. li (ter. Lipsiac 1734, diss. 23), ha ignorate moltissime cose, e in molte si è di gran lunga ingannato. Migliori e più esatte son le notizie che ce ne ha date il sig. Domenico Maria Manni (Veglie piacev. t. 1, p. 80, ec.); e noi da tutti verremo scegliendo le cose più degne di riflessione, altre ancora aggiugnendone, ove ci venga fatto, da essi ommesse. LXIV. In quasi tutte le sue opere ei si dice fiorentino di patria, e nel pomposo elogio [p. 1428 modifica]1428 unno eh1 egli scrisse a se stesso (Dialogo pio, ec. Lione 15(jo, p. 203, ec.), nomina suoi genitori Ottavio, cui dice ingenuo, e Maria, di cui non dice il cognome. Ma come abbiamo una lettera da lui scritta a M. Giovani Naldi suo zio (Campo de primi studi, Ven. i5 {6, p.i2'j1ec.)y così si raccoglie che della stessa famiglia fosse la madre, la quale in fatti dal Manni vien detta Maria o Mariette Naldini. In certi versi da lui composti circa il 1540 (p.91) ei dice che allor passava i trent’ anni, e sembra perciò, che nascesse nel 1509; e altrove afferma di esser nato a’ 25 di luglio il mercoledì (Dialogo pio ec. p. 207). Ne’versi sopraccitati rendendo conto della vita finallora menata, così scrive: Passo trent’ anni, e sempre havuto ho voglia Di studiar per piacere al mio Signore, Sì ben che del servir mio non si doglia. Et sono stato i miei dieci anni fuore Sempre da Gentilhuom, come vedete, Seguitando le Lettere et l amore. I dieci anni ch ei dice di aver passati in età giovanile fuor della patria, furono in gran parte da lui impiegati studiando in Parigi, ove, secondo alcuni scrittori citati dal Manni, ei fu inviato nel 1525 insiem con Donato Giannotti. Egli stesso accenna di essere ivi stato condiscepolo di Francesco Aleandro, che fanno an 1542 fu fatto arcivescovo di Brindisi (Campo de primi studi, p. 127). E piò chiaramente scrivendo ad Angelo Lascari, Quell* antica amicizia, dice (p. ioti), et fratellanza, con la quale già in cotesto studio di Parigi noi [p. 1429 modifica]TERZO *4^9 tcncmo a comune tanto tempo una casa, una tavola, et un letto, ec. Ivi egli tentò la sua sorte presso il re Francesco I, e come fosse da lui favorito dapprima liberalmente, e poscia si vedesse spogliato del dono fattogli, lo espone egli stesso in un' ardita lettera a quel sovrano (ivi, p. 105): Sì come la reale et giudiziosa cortesia vostra, Christianissimo Re, dopo tanti anni da me spesi seguitando le vesti gie sue, s’haveva pensato finalmente, col farmi della Signoria delle Gebenne così largo dono, di terminare a un tratto con la lunga speranza ogni mia noja, così havendomi la fortuna in un tempo medesimo dimostro per la restituzione fatta al Reverendo Vescovo di Marsiglia (era questi Giambattista Cibo, a cui il re avea confiscate le rendite di quella badia e del vescovado, e a cui poscia rendettele, scopertane l innocenza) che io non debbia nè appoggiarmi in questo Regno, nè sperare più in lei, mi sono risoluto anch io, che il mio meglio fia, mutando luogo, di provare, se altrove io la provassi o di me più amica o liberale Et se bene il magnanimo Loreno col persuadermi, che havendomi fatto una volta ella degno della grazia sua, et di un entrata di mille ducati, per una altra occasione non mancherà di consolarmi, ma avrebbe voluto riconfermare in un altra speranza, ec.; e siegue chiedendo il suo congedo. In fatti la citata lettera al Lascari è scritta da Londra, ove pare che il Simeoni da Parigi facesse passaggio. Ed è ad avvertire che queste lettere si leggono in un’ opera da lui stampata i [p. 1430 modifica]1^30 L1BHO nel i54G, e non può perciò credersi ch’egli ragioni del suo secondo soggiorno in quel regno, che cominciò solo nel 1547, come ora vedremo. In questo frattempo dovette anche il Simeoni servire a diversi altri principi poichè udremo tra poco ch’ ei si vanta di essere stato impiegato in dieci corti. Tornò poscia alla sua patria Firenze, e cercò di entrare in grazia al duca Cosimo. N ebbe infatti un impiego in corte col titolo di fattore, per cui dovea copiare i rapporti spettanti all' economia (ivi, p. 18, 30)j impiego di cui egli parla più volte, e in un capitolo singolarmente, in cui se ne mostra assai poco contento (ivi, p. 87): S io fossi certo al fin, che l mio Signore, Messer Giovanni mio, mutasse stile, Nel cavarmi una volta di Fattore, Dico faltor di costi cos'i vile, Coni' il copiar questo rapporto et quello, Quasi ingegno mi manchi più sottile, Ch’ ho pure anch io studiato il Donatello, Et mangiato il mio pane in dieci Corti, Da far ciò, ch io vorrò del mio cervello, ec. Circa questo tempo medesimo ei fu ascritto all’Accademia fiorentina, e abbiamo un Discorso dell'Amicizia da lui detto in quella adunanza. Ebbe ancora in Firenze (ivi, p. 98) qualche civico impiego. Nel citato suo Elogio dice di sè stesso. In patria Magistratum bis adeptus — contai unum adolescens, mutato reip. statu, alterum ex invidia juvenis.... amisit. Di questi magistrati del Simeoni non abbiamo più precisa contezza; e non sappiamo pure in qual maniera ne fosse per altrui invidia privo, come [p. 1431 modifica]TERZO *43» (.gli accenna. Solo dal sopraccitato capitolo si raccoglie ch’egli avea molti nimici; che già da un anno non avea mai potuto parlare col duca; e che perciò, se non cambiavan!! le cose, era risoluto di andarsene, e così lo conchiude: Però sarò costretto a mutar loro, () chf 7 Dura m adopri ad altre imprese, Ond’ io mostt i s* io vaglio molto o poco, Nè sempre sia l Uccel del mio paese. In fatti i disgusti del Simeoni crebbero a segno, che finalmente o andossene, o fors’anche fu esiliato, come sembra persuaderci il sonetto da lui fatto all’ immagine di Dante Alighieri in Ravenna, ove paragona le sue vicende a quelle di esso, e finisce dicendo: Ft faccioni ft de al secolo futuro, Tu qui con l ossa, io con la vita altrove, Ch huom di virtù poco alla patria è grato. Ivi, p. 86. Avea egli sei mesi prima menata moglie, e nel partire la rendette a parenti insiem colla dote intera che aveane ricevuta: Uxori maritus, così nel suo accennato Elogio, duntaxat semester fuit, quam parentibus exulabundus dote non comminuta commendavit, amplius non revisurus. La partenza del Simeoni dovette accadere verso il 1542; perciocchè in quest’anno egli era in Roma (Dialogo pio, ec. p. 127), e tra alcune lettere inedite di esso, che si conservano nel segreto archivio di Guastalla, e delle (quali io ho copia, due ve ne ha a lui scritte in quell’ anno da Roma. Da esse raccogliesi [p. 1432 modifica]143a liv.ro ch’egli stava allora scrivendo la sua Tetrarchia, di cui egli, spargendo qua e là copie a penna a principi in essa lodati, sperava di raccogliere copiosa mercede, unico scopo degli studi del Simeoni, benchè spesso ei si protesti di esser nimicissimo del guadagno, e indifferente alle ricchezze. Nella prima di esse lettere, scritta a' 24 di aprile, manda a d Ferrante Gonzaga, allora vicerè di Sicilia, quella parte della Tetrarchia che concerne l’origine di Mantova; nella seconda, scritta a’ 30, si raccomanda a Giovanni Mahona segretario di d Ferrante, perchè questi faccia in modo che l’ opera da lui trasmessagli gli partorisca utile o honore. Lo stesso egli fece con Guidubaldo II duca d’ Urbino, cui avendo egli nominato con qualche lode nel fine della Storia di Venezia, e avendogli mandata copia del libro non ancora pubblicato, n ebbe in dono una collana del valore di 50 scudi (Campo de'primi studi, p. 127). Ma con d Ferrante non par che il colpo gli riuscisse. In un’altra lettera inedita, che il Simeoni gli scrive da Venezia a’ 26 di giugno del 1546, gli ricorda il libro mandatogli già quattro anni addietro in Sicilia; dice che non ne ha mai avuto riscontro alcuno; ma che ciò non ostante ha parlato di lui con lode nel capitolo/le//« Pace, ch è stampato (ivi, p. 8); si rallegra con lui che ora sia governatore in Milano; e il prega a concedergli il privilegio per la stampa della sua Tetrarchia. Poco appresso, cioè agli 11 d'agosto, tornò a picchiare con maggior forza alla porta medesima: Veramente, gli scrive egli in una lettera inedita [p. 1433 modifica]TERZO l4^3 che hi gloria di V. E. e hoggi grande. Ma io so anche ch' Ella conosce, che quelle dAugusto et d Achille non furono minori; et nondimeno se la liberalità dell uno non avesse spronato Virgilio, et non so chi Homero, non veggo certo, che memoria ci fosse et di quello et di questo restata infino a hora con tutte le ricchezze et valor loro. Questo non dico io già, perchè io dubiti in parte alcuna, che la sua liberalità si voglia lasciare vincere dalla mia corù'sia, ec. E siegue ricordandogli di nuovo gli elogi che di lui ha fatto nelle sue opere, e modestamente chiedendogliene la ricompensa. Finalmente le stesse istanze replica egli in un’ altra de’ 28 di settembre dell’anno stesso, che comincia così: Se la Natura et la Fortuna (l una con l animo et l altra con la necessità, della quale non arrossisco essendo naturale) m hanno in modo fatto, ch io habbia a essere registratore de meriti della virtù di tutti i Principi da bene, et ricetto (vivendo) dell amore, che portar debbe loro ogni migliore ingegno ec. Al qual principio ognun vede qual seguito debba rispondere. Il! Simeoni però supplica d Ferrante che quando voglia aver contezza di lui, si degni piuttosto pigliarla da concetti, costumi et vita scritta in due opere mie, che dalla malignità di qualcuno, ec. Le due opere ch’ei qui accenna, e che in quest’ anno medesimo da lui furono pubblicate, sono Le tre parti del Campo de primi studi, che è una raccolta di rime, di lettere, di trattatelli!, di dialoghi, e di altre operette di vario argomento, scritte da lui finallora; e i Comentarii sopra Tiraboschi, Voi. XII. 18 [p. 1434 modifica]'i43/f libro alla Fé trarci il a di Vincaia, di Milano, di Mantova, et di Ferrara, operetta di picciola mole, in cui assai superficialmente compendia la storia di quelle provincie. Ma non trovo riscontro che le importune richieste del Simeoni gli ottenessero da d Ferrante mercede alcuna. Nell'anno stesso ei riseppe che Pierluigi Farnese duca di Piacenza avea fatto a Pietro Aretino un regalo di 150 scudi; del che io ho documento nella copia della lettera che questi in ringraziamento gli scrisse a 6 di agosto. Più non vi volle, perchè il Simeoni scrivesse tosto al Farnese, a lui pure caldamente raccomandandosi: L atto Ducale, scrive egli nella sua lettera inedita de 17 di novembre dell’ anno stesso j et la liberalità usata verso un Pietro Aretino da V. E. è stata tale, che ella porge et porgerà materia a mille belli ingegni di celebrar diversamente il nome suo.... Che ciò ch io ho detto sia vero, ecco ch io ne mando un saggio all E. V. sperando, che mediante la sua liberalità et favore (senza l’uno et l’ altra de' quali difficilmente far posso) io habbia a condurre così lunga, rara, honorevole, e faticosa impresa, quale è il mettere tutta l Astrologia Giudiciaria in versi sciolti a felice fine, et consegnarla al nome suo. Se il compimento e la pubblica/.ion di quest’opera dipendeva dalla liberalità del Farnese, convien dire che il Simeoni non avesse la sorte di provarne gli effetti, poichè ella non ha mai veduta la luce. Egli di fatto, parendogli di essere non curato da’ principi italiani, dopo aver cambiato più volte soggiorno, si risolvette l’an 1547 di lasciar di nuovo l'Italia, e di [p. 1435 modifica]TERZO l435 andarsene in Francia. A’ 9 di aprile era di passaggio in Milano, ove tuttor trovavasi don Per• 1■ 1 i* * rinite, e volle pure assaltar di nuovo una piazza che avea finallora trovata inespugnabile, e gli scrisse il seguente viglietto che è tra le altre lettere inedite da me citate: Rispetto ai giorni Santi, dove siamo, dubitando io con la presenza visitare importuno l’ E. V. non ho voluto nondimeno con silenzio passare per casa sua, acciò che ella possa volendo presenzialmente, comandar a quello affezionatissimo servitore del valor suo, che le mie stampe le hanno dimostrato in varj tempi et luoghi. Ultimamente essendo in Trento per le mani di M. Francesco Buoninsegni nostro Fiorentino scrissi a V. E., nè ! avendo altrimenti più rivisto, mi è parso mio debito, che ella sappia, come io mi parto per la volta di Francia, accennato da Madana la Delfina, che non mi mancherà recapito in quel Regno o con lei, o con altri. Et così partendo questa sera a mezza postabaderò in questo mezzo la mano all E. V. pregando del continovo Dio, che la contenti. Nel suo Milano, et all’insegna del Cappello el di IX di Aprile del XLVII. È assai probabile che d Ferrante nulla avesse che comandargli, e il lasciasse andare con Dio. LXV. Quale accoglimento trovasse in Francia, non ho monumenti che il mostrino. LTumor incostante e capriccioso del Simeoni, ch’ei copriva sotto il nome di filosofica indifferenza e di amore di libertà, è probabile che non gli permettesse il fissarsi per lungo tempo al servigio d’alcuno. Certo egli nel suo ampolloso [p. 1436 modifica]143G LIBRO elogio si dà questa lode: Pi uri mas' birrari im orbis circumiens regiones, Oceanum, Alo di te mine urti, Adruiticunique mare pertransivit, collapsa ubi(pie temporis vitio hominumve incuria insigniurn viro non monumenta, Lugdunensium pruesertirn: i JJeorumque dolabra membranis rostituens, Phi- ì losophiaeque ac suae tantum libertatis amator, ut illam ceteris cupidinibus, Itane cune ti s Regimi divitiis ante ferrei. Non fu egli nondimeno sì schivo del servigio de’ grandi, che ove ne sperasse favorevol fortuna, volentieri non vi si soggettasse. E il primo a cui servì, fu Giovanni Caraccioli principe di Melfi, che comandava in Piemonte pel re di Francia, sotto il quale guerreggiò tre anni in quella provincia, cioè, come sembra, ne’ primi anni, dacchè egli partito fu dall’Italia fino alla morte del suo padrone. Veggiamo di fatto che nel 1549) stampò in Torino le Satire alla Berniesca con una \ Elegia in morte del Re Francesco I, et altre, rime a diverse persone. Di questo suo militare servigio fa menzione egli stesso nel più volte citato elogio: In militia triennium a pud Augii- 1 stani Taurinorum Jani Caraecioli Alelp/d-M tani Principis Subalpinorumque proregis orba- I tione vir factus amisit. Quindi dedicando nel 1555 la traduzion da sè fatta in lingua italiana de’ Discorsi sulla Castrametazione e sulla Religione antica de’ Romani di Guglielmo Choul al Sig. Gian giordano Orsino Vicerè in Corsica per il Christianissimo et invitiss. Henrico II Re di Francia, così comincia: Io mera risoluto... dopo la dannosa morte del mio primo et ultimo Signore, il Sig. Giovanni Caracciolo già Principe [p. 1437 modifica]TERZO >437 t/i Melfi, di fare non solamente pruova, ma ogni mio sforzo di viver liberamente, dubitando di non havere a conoscere mai più, non che servire, come fino a qui mi è intervenuto, un altro così discreto, amorevole, prudente, christiano, virtuoso, et giusto Signore, quale era egli. Ei tentò nondimeno, ma inutilmente, di entrare al servigio del maresciallo di Brissac successor del Caraccioli. Quindi postosi a’ fianchi di Antonio Caraccioli, figlio del suddetto principe di Melfi, mentre il vuol difendere da certe accuse appostegli, cadde egli stesso in sospetto di eresia, e per un intero inverno si stette prigione. Liberatone, si diè poco appresso a seguire il duca di Guisa, e lo accompagnò nella spedizione d’Italia nel 1557, dal qual viaggio tornato in Francia, pubblicò l’anno seguente in Lione due libri, l’uno in francese intitolato Les Illustres Observations antiques en son dernicr vojagc dItalie cn i55y, l’altro in italiano col titolo d Illustrazioni di Epitafii e medaglie antiche. Io non ho veduto nè l’un nè l’altro di questi libri, ma il Menckenio, che gli ha insiem confrontati, afferma che per lo più contengono le stesse cose. E soleva il Simeoni di fatto ripetere e rifrigger sovente ciò che avea già scritto. Perciocchè io osservo che anche in un’ altra opera da lui pubblicata in Lione nel 1560, col titolo: Dialogo pio et speculativo con diverse sentenze latine et volgari, ei descrive parecchi antichi monumenti ch’io credo certo che sieno in gran parte i medesimi, de’ quali nelle altre due opere già avea trattato. Innoltre il Menckenio riferisce un altro [p. 1438 modifica]1438 libro libro dal Simeoni prodotto in lingua francese nell an 1561 col titolo: Description de la Limagne d y1 uve igne en forme de Diologue, ec. traduit du Livre Italien de G. Simeoni. Or le cose ch’ ei dice contenersi in tal libro da lui veduto, son le stessissime che si leggon nel Dialogo pio poc'anzi accennato, e quella fra le altre clfei narra di se medesimo, cioè di essere intervenuto al Concilio di Trento con Guglielmo du Prat vescovo di Clermont, e che questi un giorno, abbracciandolo strettamente, gli disse: Ego numquam tale sum espertus ingenium (p. 107). Così ancora egli stampò a parte in Parigi nel 1559 l Epitalamio della Pace in occasion delle nozze del re di Spagna e del duca di Savoia, e lo inserì poi ancora nel suddetto dialogo (ivi, p. 32). E in Francia, come afferma il Quadrio (Stor. della Poes. t. 2, p. 237"), tradusse e pubblicò in lingua francese nel 1553 la breve sua Storia di Ferrara col titolo: Epitome de Vorò origine et succession de la Duché de Ferrare. Per ciò che appartiene all’esattezza e al sapere del Simeoni nell’illustrare le antichità, poco favorevolmente ne giudica Apostolo Zeno (Note al Fontan. t 2, p. 203), che accenna alcuni gravissimi errori da lui commessi nel copiarle. E io aggiugnerò che le favole e le sciocchezze astrologiche che il Simeoni vi ha sparse per entro, guastano ancora quel poco di buona erudizione che vi s'incontra. Fin dall’an 1559 avea egli date alla luce la Vita et Metamorfoseo d Ovidio figurato et abbreviato in forma dEpigrammi (italiani), con alcuni altri opuscoli, e fra essi un 'Apologia generale contro le [p. 1439 modifica]TERZO!43<| accuse che ad alcune delle sue opere venivano apposte. La qual apologia però è cosa assai debole, e poco può appagare chi ben conosce i difetti dell’ opere da lui composte. Le Metamorfosi son dedicate a Madama Diana di poitiers Duchessa di Valentinoy; e il Simeoni accenna la sua servitù havuta tanto tempo alla Corte di Francia, dolendosi però insieme di non avere fin a hora ricolto alcun frutto delle mie fatiche, come hanno fatto molti altri forse di me. o più prosuntuosi o più ignoranti. Cercò egli dunque nuovo padrone e l'an 1560 dedicò al duca di Savoia Emanuel Filiberto le Sentenziose Imprese insieme col Dialogo Pio, stampate in Lione. Le imprese sono parte del Simeoni medesimo, parte tratte da quelle del Giovio, e a ciascheduna il Simeoni soggiugne quattro versi italiani che ne spiegano il senso e il motto. Nella dedica ei ripete le consuete sue doglianze sulla mancanza de’ mecenati, e si lusinga di averlo finalmente trovato in quel duca, come più chiaramente dice ne’ versi posti sotto alla sua impresa al principio del libro: Sin qui cercando huom pio, prudente et giusto, Giacciuto sono in torbida proce Ibi; Itor lieto sorgo, che, cangiata stella, Ho ritrovato Emanuello Augusto. Gli scrittori fiorentini narrano che veramente il Simeoni entrò allora al servigio del duca Emanuel Filiberto, e che in esso mantennesi fino alla morte, la qual però non ci sanno essi dire quando accadesse, nè io trovo monumenti o indicii che ce lo additino. Certo par ch’ ei [p. 1440 modifica]144° LIBRO vivesse almeno fino al 1565, in cui pubblicò in Lione Le figure della Biblia illustrate da Stanze Toscane. Il Quadrio afferma (Stor. della Poes. t p. 185) che nella biblioteca dell università di Torino si ha un codice di Enimmi esposti in versi italiani dal Simeoni, e quasi tutti in lode del duca Carlo Emanuele 1 j ¡| che ci proverebbe che il Simeoni vivesse almeno fino al 1580, nel qual anno salì quel principe al trono. Ma nel Catalogo de mss. di quella Biblioteca trovasi bensì registrato (t. 2, p. 43i)» cod. 96) il detto libro d’Enimmi, ma non si dice che ne sia autore il Simeoni. Oltre le opere che ne abbiamo annoverate, di alcune altre ci dà notizia egli stesso, le quali non han mai, ch io sappia, veduta la luce. Così egli accenna di aver pronto un libro sulle Antichità di Lione (Dialogo pio, p. 16), di aver composte alcune Elegie, o Satire, non ancora stampate nel 1560, delle quali ancor reca un saggio (ivip. 119), di aver fatta un'altra opera in cui avea compresa dal Diluvio fino a Ferdinando Imperatore annualmente tutta l historia Romana, et le cose più singolari della Città di Roma (ivi p. 65), ch è probabilmente la stessa di cui egli nella sua apologia dice: Ma che direte voi, vedendo uscire presto fuora abbreviate in due lingue fra 500 figure tutte le cose più notabili di Roma, et dell’ Imperio Romano da Noè sino alla morte di Carlo V Imperadore? Un'altra afferma egli essersi da lui stampata in lingua francese: Sì come io ho più ampiamente discorso nel libro Francese, anchora non tradotto in Toscano, dal mio Cesare [p. 1441 modifica]TERZO *44* rinnovato, stampato in Parigi (ivij pche è probabilmente quella che altri citan col titolo di Osservazioni Militari. Nè io debbo tacere ch’egli narra (ivi p. 107) di avere fatto rinnovare in Modena, non so in qual occasione, il sepolcro di Tommaso du Prat vescovo di Clermont, morto mentre accompagnava pel viaggio la duchessa Renata, che veniva nell’ an 1528 sposa di Ercole II. Le cose finor narrate ci scuoprono assai chiaramente il carattere del Simeoni troppo gonfio del suo sapere, che pur non era moltissimo. Tutte le sue opere ne fanno pruova; e da esse ancora raccogliesi, come osserva Apostolo Zeno (l. cit.)7 che solea costui talvolta ne’monumenti antichi, in cui s incontrava, scolpire il suo proprio nome, come se da esso si aggiugnesse loro nuovo ornamento. Ma la più chiara pruova della pazza superbia, in cui egli era montato, è l'elogio ch’ ei fece a se stesso, e di cui abbiam recati alcuni passi. Ecco come in esso ei descrive i suoi costumi ed i suoi studi: Regios omnes mores prae se tulit. Arma, equos, venatum, aucupium, lantani rcilolentemqnc supcllectilem, musiceli, numi sm afa, statnas, signa, tabulas, nemora, prata, rivulos, locaque recondita eousque dilexit, ut ne dum cereras artes et plebiculae coetum, sed omnino urbes fastidiret. In consilio perspicax, in judicio acer, inventionis acumine clarus, risus et sermonis parcus, invi dit umqnani ne mini 7 amavit pertinaci ter, breviter odit, neque odium, neque amorem simulavit. Amicorum paucos novit; horarios multos [p. 1442 modifica]¡443 LIBRO inverni, non omnes recepit. In utroque dicendi genere libros conscripsit, leges a se inventas miliribus dedit, murorum propugnacula direxit, locorum metirus intervalla rcgioncs pin.vit, sente ri tias pronunciavit, diligentiam coluit, libcrali totem exercuil, fidetn scrvavit. E conchiude con questo verso: Ipse animo saltem vixi nec Regibus impar. E noi conchiuderemo dicendo che questo elogio ci mostra ugualmente e il poco buon gusto e il poco sapere del Simeoni; perciocchè mai uom dotto non iscrisse di sè in tal modo. Ma da un pazzo torniamo ormai a saggi ed eruditi storici. LXVI. Scarso numero di scrittori di storia ebbero il Piemonte e le altre provincie e città che formano in Italia il dominio della real casa di Savoia. Anzi non senza qualche timore di essere accusato come usurpatore delle altrui glorie, io posso qui far menzione di Emanuel Filiberto Pingone baron di Cusago, che in questo secolo fu quasi l’ unico a trattare di tale argomento; perciocchè egli era di Chambery in Savoia. Ma visse molto tempo in Torino; e innoltre all’ università di Padova dovette in gran parte i felici progressi ch’ ei fece negli studi. Molte memorie intorno a questo celebre storico ha diligentemente raccolte l’eruditissimo sig. baron Vernazza, il quale ha avuta la sorte di ritrovare la Vita che di se stesso scrisse il Pingone fino al 1576. Egli coll’usata sua gentilezza le ha meco comunicate, e io ne farò [p. 1443 modifica]TERSO I443 qui uso in ristretto (u). Da Lodovico Pingone di antica e nobil famiglia, e da Francesca Chabeu nacque Emanuel Filiberto in Chambery a’ 18 di gennaio del 1525, e fu pronipote di quel Giammichele Pingone poeta laureato, che altrove è stato da noi rammentato. Passò gli anni della prima sua gioventù studiando ora in patria, ora in Lione, ora in Annecy, finchè nel 1538 ottenne di esser mandato a Parigi. Ne’ 6 anni che in quella città si trattenne, ei corse velocemente ogni parte della piacevole e della seria letteratura, attendendo alla gramatica, all’eloquenza, alla filosofia, alla matematica, alle lingue greca ed ebraica, alla teologia e alle belle arti; e fra’ maestri che ivi ebbe, furono il poeta Quintino, Adriano Turnebo, Oronzio Fineo, Paolo Paradisi, lo Stratellio, il Goveano e più altri celebri professori. Tornato nel 1544 a Pingone, castello della sua famiglia, ne partì di bel nuovo nell’ ottobre del 1545 per trasferirsi all’università di Padova, ove per cinque anni fece soggiorno; e dopo avervi continuato nel primo anno lo studio di eloquenza, e della lingua greca sotto il celebre Lazzaro Buonamici, si applicò alla civile e al- * f ecclesiastica giurisprudenza; e nel 1549) tenne (a) Questa Vita del Pingone da lui medesimo scritta in latino è stata poi pubblicata e con erudite note illustrala dal sig Giuseppe Saverio Nasi in Torino l’anno 1^79. Egli scrisse ancora un opuscolo in dilisa della preminenza della reai casa di Savoia sopra quella de’ gran ducili di I oscana, che non è mai stata pubblicala, e ‘li cu* Lo copia per gentil dono del soprullodatn editore. [p. 1444 modifica]1444 LIBRO ancora ne* ili di vacanza pubbliche lezioni sopra le Autentiche. In mezzo agli studi però abbandonossi alquanto agli amori, e due figli naturali ivi ebbe da una cotal Lucia Sensia padovana. Ricevuta la laurea a’ 10 d'aprile del 1550, viaggiò per l'Italia, e nel viaggio osservò studiosamente e descrisse i più illustri avanzi delle romane antichità; e frutto di questo e di altri viaggi poi fatti, fu il bel codice delle Antichità da lui vedute e copiate, che tuttor conservansi negli archivii della real casa di Savoia. Tornato in patria, dopo altre cariche sostenute, fu nel 1554 onorato di quella di consigliere, e nell’ anno seguente di quella di senatore nel senato di Chambery. Le pruove ch' ei diede di non ordinaria prudenza, gli ottennero nel i5(5o T onore di essere nominato dal duca Emanuel Filiberto consigliere di Stato e referendario; e d’ allora in poi ei seguì sempre la corte, e fu da esso adoperato in più importanti affari, finchè in età di cinquantasette anni morì in Torino nel i58j, e fu sepolto nella chiesa di S. Domenico coll iscrizione che vien riferita dal Rossotti (Syllab. Script. Pedem. p. 494) c altri scrittori. Con molte opere illustrò egli la storia sì della città di Torino, in cui egli vivea, che della real famiglia a cui avea l’ onor di servire. Alla prima appartengono l’opera intitolata Augusta Taurinorum, nella quale ei descrive le cose più memorabili di quella città, e ne stende di anno in anno la storia fino a’ suoi tempi, citando continuamente i monumenti dei pubblici e dei privati archivii che gli furono aperti, e pubblicando al fin dell’ opera [p. 1445 modifica]TERZO .445 molle aliticele iscrizioni elio ivi conservatisi, e il libro De Syrulone evanjjelic'ii, in cui? olire la storia (li quella sacra reliquia, comprende ancora più cose intorno alla storia ecclesiastica di quella città. Alla seconda appartiene l Albero gentilizio de principi di Sassonia e di Savoia, opera essa ancora scritta in latino, nella quale ei mostra l’unione in un sol ceppo di quelle due sì antiche ed illustri famiglie sovrane. Per essa egli ebbe contesa con Alfonso del Bene di origine fiorentino, ma nato e vissuto sempre in Francia, e autore di molte opere storiche e genealogiche che si annoverano dal conte Ma/.zucchelli (Se riti. ital. t 2 t par. 2, p. Soa) (a). Questi però non fa espressa menzione di quella che nel 1581 ei pubblicò contro il Pingone, intitolata De Principatu Sabaudiae, et vera Ducum Origine a Saxoniae Principibus. Il! Pingone gli fece risposta con una’ Apologia latina, stampata nell anno stesso. Avea egli ancora scritta una Storia generale della casa real di Savoia; ma essa non ha veduta la luce, e conservasi ms. negli archivii della real casa di Savoia. Se ne hanno ancora sparse in diversi libri e in diverse Raccolte alcune poesie latine, oltre più altre cose delle quali ei fa menzione nella sua Vita. e che or più non si trovano. Il duca Emanuel Filiberto trovò un elegante scrittore delle sue celebri imprese in uno straniero, (a) Una copia ins. «Iella Storia della rcal casa «li Savoia, scritta «la Allon*o «lei Itene, conscr\asi nella biblioteca pubblica di (ime via (Senelticr Calai, des AJSS. de la Bib.. de Geneveì p. 17S). [p. 1446 modifica]1446 LIBRO' cui egli arca onorato della sua protezione, cioè in Giovanni Tosi di patria milanese. Di questo storico ho già parlato in un’ altra mia opera (P elerà Huniil. Mommi, t. 1, p. 3o.{, ee. • l. 2, p. 4°9? °c-)? e perciò accennerò solo qui in breve ciò che ivi ho più stesamente provato. Giovanni Tosi nato di nobil famiglia in Milano nel 1528, entrò in età giovanile nell'Ordine degli Umiliati, e pel suo sapere tanto più ammirabile, quanto più scarso era allora in quell Ordine il numero degli uomini dotti, vi ebbe onorevoli distinzioni, e fra esse le prepositure di Brera in Milano e di Sant' Abondio in Cremona. Quando alcuni tra gli Umiliati ordirono la congiura per toglier di vita S. Carlo Borromeo, il Tosi fu richiesto ad entrarvi, ma egli ne mostrò orrore, e minacciò di svelare i loro disegni. Egli però nol fece, e perciò fu egli ancora involto nella procella, chiuso per qualche tempo in prigione, e poscia rilegato per qualch’altro tempo nella Certosa di Garignano presso Milano. Rimesso per ultimo in libertà, il gran duca Francesco de Medici il nominò gran priore dell Ordine di S. Stefano, e presidente dell università di Pisa. In questa città ei trattennesi fin circa il 1585, e tornossene poi a passare gli ultimi anni della sua vita in Milano, ove anche morì a’ 3 di novembre del 1601. Mentre era ancora Umiliato, era stato inviato in suo nome dal marchese del Vasto Francesco Ferdinando Davalos governator di Milano al duca di Savoia Emanuel Filiberto; ed egli grato al favore di cui quel gran principe avealo onorato, e al [p. 1447 modifica]TERZO 1447 titolo ili suo consigliere concedutogli poscia da Carlo Emanuele di lui figliuolo, scrisse in latino e con eleganza la Vita del suddetto Emanuel Filiberto, che fu stampata la prima volta, in Torino nel 1596, e per cui egli ebbe dal detto duca l annua pensione di 500 scudi da tre lire per decreto segnato in Torino i 20 d’ottobre del 15c)5, di cui mi ha trasmessa copia il più volte lodato sig. baron Vernazza, e la tradusse poi anche in lingua italiana, in cui fu stampata in Milano nel 1602. Delle poesie latine e italiane che di lui si hanno alla stampa, e di altre opere da lui composte, e fra esse della Vita inedita di Alfonso Davalos marchese del Vasto, io ho parlato nel luogo accennato, e ne ragiona ancor l Argelati Bibl. Script, mediol. t. 2, p. i499> ec-)* Molle altre opere storiche concernenti il Piemonte si conservano mss. in diverse biblioteche di quelle provincie, e fra esse io indicherò solamente la Cronaca del Monferrato e dei Marchesi del Carretto scritta da uno di questa stessa nobilissima famiglia, cioè da Galeotto del Carretto (Rossott. Syllab. Script. Pedem. p. 237), di cui dovremo ragionar tra poeti, della qual Cronaca trovasi una versione in ottava rima nella libreria degli Agostiniani in Casale di Monferrato (a). Qui deesi accennar finalmente la (a) Della Cronaca scritta da Galeotto del Carretto fa menzione anche Bernardino Dardano in due ottave da lui aggiunte alla traduzione in versi italiani della Tavola di (Cebete, fatta dal medesimo (Galeotto, di cui dirctuu [p. 1448 modifica]l44$ LIBRO Novaria Sacra di monsig. Carlo Bascapè, autore da noi nominato altre volte, opera scritta con molta erudizione, e corredata di bei monumenti, da’ quali molta luce riceve la storia ecclesiastica e civile di quella città. LXVIL Più felice nel numero e nel valor de’ suoi storici fu in questo secolo Genova, benchè i due tra loro più illustri non avessero de’ loro studi e delle loro fatiche il frutto ch’ essi speravano. Prima di tutti ci viene innanzi Agostino Giustiniani nato nel 1470 e entrato nell Ordine dei’ Predicatori in Pavia nel 1488, nella qual occasione cambiò il nome di Pantaleone in quel di Agostino. Dopo le esatte notizie che ce ne han date molti scrittori, e singolarmente i PP. Quetifed Ecliard (Script. Ord. Praed. t. 2, p. 96), è inutile il trattenersi a dirne qui lungamente. Accennerò solamente che nel 1514 per opera del cardinal Bandinello Sauli suo cugino ebbe il vescovado di Nebbio in Corsica; che nel 1518 fu chiamato dal re Francesco I a Parigi, ove fu il primo ad introdurre lo studio delle lingue orientali, di che e delle opere da lui in questo genere pubblicate diremo altrove; che avea raccolta una sceltissima biblioteca per codici ebraici, arabici, caldaici, greci e latini la più rara nel tomo seguente, perciocché nella seconda di esse così dice: Molte altre poesie de mnral piene Composte ha Gaììolo in sta favella: Come la bella Cronirha, che tiene Custodita Sangtorgio in la soa cella, ec. 1 [p. 1449 modifica]TERZO 144g * Ibrsr clic ancor si fosse veduta, e di cui poscia ei fece dono alla Repubblica, e che per ultimo miseramente perì in mare nel i53(>, mentre tragittavalo per passare al suo vescovado. Gli Annali della Repubblica di Genova da lui scritti, e che furono pubblicati un anno dappoichè egli morì, ne’ quali conduce la storia dalla fondazione della città fino all’an 1528, benchè scritti sieno assai rozzamente in lingua italiana. e non manchin di favole ove trattan de’ tempi antichi, son pregiatissimi nondimeno per le copiose notizie che ci danno de tempi meno lontani, e per la sincerità che in essi si scorge. Per le altre opere da lui pubblicate io rimetto chi legge a’ due suddetti scrittori domenicani. Più colti furono nel loro stile i due scrittori in lingua latina della medesima Storia, Uberto Foglietta e Jacopo Bonfadio, que’ dessi de’ quali ho poc’ anzi accennato che poco frutto raccolsero dalle loro fatiche. Del primo scarse notizie ci danno gli scrittori della Storia letteraria di Genova, e le Vite che ne hanno scritte Gianlorenzo Mosheim ante Foliett. Lib. de Ling. Lat. Hamburg. 1723), e dopo lui il Padre Niceron (Mém, des Homm. ill. t 21, p. 209), ci lasciano a desiderar molte cose, Io mi studierò dunque di ragionarne con brevità insieme e con esattezza, come ben deesi al merito di questo elegante scrittore. L’ anno della nascita di Uberto non può raccogliersi che da quello in cui ne assegna la morte il de Thou (Hist ad an. 1581), che il dice defunto nel 1581 in età di sessantatré anni. Dovea egli dunque esser nato nel 1518. Era di antica TlRÀBOàcHI, Voi. XII. 19 [p. 1450 modifica]- l45o LIBRO c nobil famiglia genovese; ed egli fa menzione di Lorenzo Foglietta suo bisavolo, di Agostino Foglietta suo zio, e di Paolo suo fratello (in Elog. cl. Li gì ir. p. 807, 862, 874, t. 1, pars 2, Antiq. et Hist. Ital.) Tutti que che ragionano del Foglietta, ci dicono ch ei visse in Genova, finchè avendo pubblicati due libri sullo stato di quella Repubblica, fu per essi sbandito. Ma io sono costretto ad allontanarmi dalla loro opinione, perchè troppo evidenti sono in contrario le pruove ed i fatti. Lo stesso Fo- 1 ghetta ci narra ch essendosi egli in età giovanile applicato allo studio della giurisprudenza, dovette poi in terroni perlo per le sinistre vicende a cui allor fu soggetto, e per cui gli convenne andar viaggiando ed errando in diversi luoghi: Equidem existimabam, dic egli (De Philosoph. et Juris civil. comparat, p. 12, ed. Rom. 1555), me saepe tibi narrasse, quemadmodum a prima adolescentia juri civili, ad quod studium me a natura ferri sentiebam plurimum tribuerim et operae et temporis a quo non voluntatis aut consilii mutatio.... m sed varii casus tibi non ignoti, quibus adolescentia mea exercita est, multasque peregm nationis coarta suscipere, invitimi abstra.rcrunt. Quai fossero i motivi per cui il Foglietta do- 1 vette andarsene così errando, nè egli il dice, nè io ho potuto raccoglierlo altronde. Solo mi sembra che ciò avvenisse per qualche disordine dei’ beni della sua famiglia, il che mi si persuade da ciò ch’ ei soggiugne, cioè che avendo dovuto interrompere quello studio, rassettati poi i suoi domestici affari, era ad esso [p. 1451 modifica]TERZO *45l tornalo: Itaque re mea familiari aliqua ex parte constituta, quid potius mihi faciendum fuit quam ut ad studi uni tneimi redire m? Cerio è che non lasciò allora Genova per sentenza di esilio, a cui non fu condennato che più anni appresso, cioè dopo il 1559, come ora vedremo. Or il libro da cui son tratti i passi qui riferiti, venne alla luce in Roma nel 1555, la qual prima edizione, sconosciuta al P. Niceron, conservasi in questa biblioteca Estense. Anzi, a mio parere, fu composto poco dopo il 1550. Perciocchè parlando ei del conclave in cui molto trattossi d’ elegger pontefice il cardinal Polo, dice: proximis Pontificiis Comitiis (ib. p, 127), indicandolo come cosa seguita di fresco, e ciò accadde appunto nel conclave del 1550, in cui fu eletto Giulio III. In fatti ei nomina nel libro medesimo i cardinali Marcello Cervini e Giampietro Caraffa (ib. p. 274), i quali ambedue furono poi eletti a pontefici nell555. Era dunque allora in Roma il Foglietta, anzi eravi stato anche più anni addietro; n era poscia partito per recarsi a Perugia, ove per alcuni anni avea ripigliato lo studio della giurisprudenza, ed erasi poi renduto a Roma: Cum igitur Perusia, dic egli nel libro stesso (ib, p. 6), in qua urbe nonnullos annos juris civilis perdiscendi causa fueram commoratus, Romam rediissem. Cel mostra parimente in Roma al tempo di Giulio III l’orazione latina da lui detta innanzi a quel pontefice nella solennità d Ognissanti, stampata insieme con una lunga e bellissima lettera al Cardinal Roberto de Nobili, sul metodo [p. 1452 modifica]145a ubro eli’ei dee tener ne’ suoi studi, scritta nel 1553 e pubblicata in Roma nell' anno stesso. La r isposta a lui fatta dal cardinale si ha tra le Lettere del Poggiano, date in luce dal P. L,gomarsini (t. 1, p. 11), il quale rammenta ancora due orazioni dal Foglietta tenute ne’ due conclavi fattisi in Roma nel 1555 per l'elezione di Marcello II e di Paolo IV; la seconda sola delle quali però ei dice di aver veduta stampata. Da queste orazioni, l’ incarico delle quali si suol sempre dare a’ sacerdoti, congettura il P. Lagomarsini che sacerdote fosse il Foglietta; del che però non si hanno più certe pruove (a). Un’ altra orazione ancora da lui innanzi al pontefice Paolo IV recitala in laeti» tia oh reconciliationem Britanniae, si dice dal Cinelli (Bibl. volante, t. 2, p. 326) stampata in Roma. La suddetta opera De Philosophiae et juris civilis inter se comparatione fu la prima ch ei pubblicasse, e la bella latinità e la molta forza ed eloquenza con cui è scritta, la rendono assai pregevole. È divisa in tre libri, e fatta a modo di dialogo, in cui egli narra la disputa su ciò tenuta nella villa de Medici presso Roma innanzi al Cardinal Morone tra Giambattista Sighicelli, Antonio Gallesi e lui stesso. Egli però cresciuto poscia negli anni, biasimò il troppo calore con cui in que’ libri erasi scagliato contro la filosofia: Philosophiae hoc studium, dic egli (Lib. de causis magnitud. % fi (a) 11 Foglietta era referendario pontificio, come vedremo tra poco, c ciò potea bastare, perchè egli avesse «pielP incarico. [p. 1453 modifica]TERZO 14-33 Turriti', hnpcr.) utile ne an damnosum mortalibus sit neque hujus loci ac magnae et. longae disputationis est, nosque in eo insecrando in tribus illis libris, quos adolescentes edidimus, nimium fortasse acres et ve!irniente s fiàmus ardore aetatis incitati, ingenioque ac se offerenti copiae indulgentes, qui libri multis in locis corrigendi sunt, resque alio scribcru li genere tractanda fuit, neque acri illo et vehe menti agitando, sed aequabili et sedato quaerenda: ove il P. Lagomarsini ha errato credendo che il Foglietta parli de suoi tre libri della lingua latina, i quali son di tutt' altro argomento, e furono da lui scritti in età avanzata, come fra poco diremo. LX.VIII. Pi certo adunque che il Foglietta in età giovanile passò a Roma; che di là trasferissi a Perugia a ripigliarvi lo studio della giurisprudenza, e che poi tornossene a Roma, ov era ancora nel 1555. E solo sembra ch’ei facesse a Genova qualche viaggio prima del 1550; perciocchè il Flaminio, morto in quell’ anno, in un suo epigramma al Foglietta, in cui ne esalta l eleganza ciceroniana e l ingegno, così comincia: Ibis ad patriae lares beatos, ec. L. 5, carm. 18. Io aggiungo di più, e, benchè contro il comun sentimento, affermo cbe il P’oglietta 11011 era in Genova, ma in Roma, quando scrisse e pubblicò i due libri Della Repubblica di Genova. che il fecero incorrer nella disgrazia della Repubblica; e che perciò non fu già egli costretto [p. 1454 modifica]1454 LIBRO ad abbandonare la patria, ma egli assente fu condennato come ribelle, dichiarato esule, e. forse ancora privato dei beni che in Genova gli eran rimasti. Due edizioni si fecero di questi libri, come osserva Apostolo Zeno (Note al Fontan. t. 2, p. 233), amendue nell an 1559), e amendue in Roma dal Blado, delle quali abbiam qui la seconda j e questo è già un argomento non debole a provare che ivi allora era il Foglietta. Innoltre nella prefazione a que’ libri così egli ragiona: Io dunque, il quale di sì misero et pericoloso stato della nostra Città prendo dolore inestimabile, vedendo gli altri Cittadini in gran parte dormire, non posso fare, che, poichè con l opra propria non posso alla patria giovare, non m ingegni almeno con le parole svegliare gli animi addormentati dal vituperoso sonno, nel quale li vedo sommersi, ec. Or se il Foglietta fosse allora stato in Genova, come poteva egli scrivere che non potendo recarle coll’ opera aiuto alcuno, voleva almen recarlo scrivendo? Finalmente nelle opere ch egli scrisse negli anni seguenti, si duole bensì di essere stato condennato come ribelle, e di esser costretto a star lontan dalla patria, ma non mai dice di averne dovuto allora partire lasciando la propria casa, e abbandonando i parenti e gli amici. Così dedicando a Giannandrea Doria gli Elogi dell illustri Liguri, dopo aver lodato coloro che, benchè provassero ingrata la patria, non cessaron di amarla, Illorum ego vesti giis insistens, dice, is semper fui, cujus intensa in patriam studia exilii poena, qua me Cives mei affecerunt, numquam aut [p. 1455 modifica]TERZO ¡4^5 cxtìnxcrit, aut labefacUirit... quamquam face ni non possati, qui 11 vicem meam interea dolerem quod me ita omnia fefellissent, ut quam rem mihi laudi et praemio putaram fore, in ea crimen vel gravissimum perduellionis constitutum esset. Io credo dunque per certo che assente fosse condennato il f oglietta per quei’ due libri, i quali, a dir vero, per la libertà con cui biasima in essi la prepotenza e gli abusi de nobili, non è a stupire che gli concitassero contro l odio dei più potenti. Nè si può dire ch’ egli per avventura gli scrivesse in età giovanile, che spargendone copie fosse perciò sbandito, e che solo più anni dopo li pubblicasse; perciocchè, oltre più altre ragioni, egli parla ivi a lungo del principe Doria, e dice ch’egli ha novantanni (p. 105). Or questi giunse a’ novantanni nel 1556, e morì poscia quattro anni appresso; onde appunto in quel frattempo dovettero essere scritti que libri. Il Foglietta, spogliato, com è probabile, de beni paterni, trovò in Roma nel Cardinal Ippolito d’Este il giovane un amantissimo protettore che il ricevette in sua casa, e l ammise al numero de’ suoi famigliari, come abbiam veduto parlando delle munificenze di quel gran principe verso de’ dotti. Fu ancora ivi assai caro al Cardinal Simone Pasqua genovese, con cui sembra che intervenisse al Concilio di Trento a tempi di Pio IV (in nuncup. Lib. de scribenda Hist) (a), (/O 11 cardina! Si mone Pasqua era stato medico di Pio IV, e di lui si posson vedere esatte notizie negli Archiatri pontiflcii del sig. abate Marini (t. 1, p. 433). [p. 1456 modifica]l456 ’ LIBRO a Jacopo Buon compagni c ad altri ragguardevoli personaggi (a). Egli frattanto, per sollevare (a) Nell’ anno stesso in cui ebbe fine il Concilio di Trento, cioè nel il Foglietta ebbe l’onore di essere scelto a suo storiografo dal duca di Savoia Fina, miei Filiberto. All’ eruditissimo sig. baron Verna zza tante altre volte da me lodato, son debitore di questa notizia, avendomi egli trasmesso il seguente documento tratto da que’ rr. archivj: Emanuel Filiberto, ec. Essendo informati da persone fedeli della prudenza dottrina de le buone lettere isperienza de le cose del mondo et altre rare et honorate qualità che concorreno nella persona del reverendo molto diletto nostro messer uberto foglietta referendario de la Santità di nostro Signore, desiderando noi servirsi di lui per riscrivere alcune historie massimamente di casa nostra nella quale professione lo conosciamo molto consumato e perfetto per le prove che ce ne ha fatto vedere, come in altri occorrenti secondo che si presentara V ocraggionc, c} c. parso ellegerlo et ritenerlo sì come per queste nostre di certa scienza et con matura deliberazione per tal effetto lo ellegiamo et ritegniamo collocandolo nel numero delli genti Ihuo mi ni ordinarti familiari e domestici di casa nostra con tutti quei honori dignità preminenze prerogative commodita et immunita che sogliono havere et godere gValtri nostri gentilhuomini et domestici ordinarii con li stipendii a parte stabiliti a nostro beneplacito con che egli prestara il solito giuramento nelle mani del nostro gran cancelliere al quale et a tutti nostri ministri officiali Vassalli sudditi et altri a quali spettava mandiamo et commandiamo che le presenti osservino et faccino interamente osservar senza alcuna difficoltà per quanto stimano cara la gratia nostra. Che tal e nostra mente. Dat. in Turino alli dieci di. giugno mille cinquecento sessanta quattro. Non sappiamo se il Foglietta scrivesse su questo argomento cosa alcuna; e forse non n ebbe tempo, perchè da alcune congetture raccogliesi ch’ egli uscisse dal servigio del duca l’anno i566. ! [p. 1457 modifica]TERZO 14^7 |;, noia del suo esilio, si volse a scriver più libri, e principalmente una Storia generale de suoi tempi, ch'egli avea cominciata dalla guerra di Carlo V contro de Protestanti (in nuncup. Conjurat Jo. Lud. Flisci). Egli erasi già in quel lavoro assai avanzato, quando udito avendo che una parte di esso, in cui egli avea compresa la congiura del Fieschi, la’uccisione di Pier Luigi Farnese e la sedizione di Napoli, cose tutte accadute nel 1547, stava per uscire alla luce per opera di uno che aveane avuta copia, si affrettò e pubblicò egli stesso i detti frammenti, e li diè in luce nel 1571. Essi, dopo altre edizioni, sono stati di nuovo pubblicati dal Grevio (Thes. Antiq. et Hist Ital.) con più altri opuscoli del Foglietta, alcuni de' quali dovean essere parte della medesima Storia, come i quattro libri De sacro /àrdere in Se li ut un, che furono dati alla luce da Paolo di lui fratello, gli opuscoli De Expeditione in Tripolim, De Expeditione pro Orano et in Pignonium, De Expeditione Tunetana, De. Obsidione Melitensi; altri son di diverso argomento, come quello De Ratione scribendae Historiae, a cui appartiene ancora quello De Norma Polybiana, nel quale tratta della similitudine della squadra da Polibio recata per ispiegare la veracità dello storico, quello De Caussis magnitudinis Turcarum Imperii', la descrizione della villa di Tivoli del Cardinal d’Este, il libro delle lodi di Napoli intitolato Bri iman us j e il libro De nonnullis, in quibus Plato ab Aristotele reprehenditur, oltre l'epistola al Cardinal de’ Nobili, e l’orazione per la solennità di Ognissanti da noi già [p. 1458 modifica]¡458 LIBRO accennata. Questa generale Storia di Europa non è stata mai stampata, benchè pur sembri ch ella fosse dall’ autore condotta a fine. Paolo di lui fratello, nella prefazione alla Storia di Genova da lui pubblicata dopo la morte di Uberto, lusingavasi che taluno che aveane copia, fosse per comunicarla al pubblico insieme con una Storia ecclesiastica da lui composta: Venio in spem, dic egli, fora ali quando, ut altera pars Historiae Universalis, ac ai nini Ecclesiastica integra maximis Uberti vigiliis conscripta, e tenebris in luce ni emergat. Qui enim labores, et voluntatem Folietae gentis summis Principibus gratam esse intelliget, privata sua si ve utilitale sive jucunditate postposita, illas, credo, diutius non supprimet. Ma le speranze di Paolo andaron deluse. Avea Uberto pensato più volte di scrivere la Storia di Genova; ma tutto occupato nella vasta opera della Storia universale, non avea trovato tempo a farlo. Non volle nondimeno mostrarsi dimentico della sua patria, benchè da essa sì rigorosamente punito, e scrisse in latino gli Elogi degl’illustri Liguri, che furono stampati nel 1574 e da dedicati a Giannandrea Doria pronipote del principe Andrea. Nella dedica si leggono i sentimenti da me ora accennati, che avea il Foglietta riguardo alla patria, e dopo la dedica siegue una lettera di Paolo Manuzio scritta a’ 30 di novembre del 1572, in cui loda altamente gli elogi e l autor dei medesimi. Circa il tempo medesimo scrisse il Foglietta i tre libri De linguae latinae usu et praestantia, ne quali in un dialogo, che suppone tenuto in Roma in casa [p. 1459 modifica]TERZO * 459 di Jacopo Buoncompagni tra Curzio Gonzaga, Antonio Sauli e il Buoncompagni medesimo, tratta, se convenga, o no, lo scrivere in lingua latina. In questa bellissima operetta si veggon raccolte tutte quelle ragioni che alcuni moderni scrittori han recato a combattere l’uso di adoperare scrivendo la detta lingua, e di cui essi si sono vantati, come d’ingegnose loro scoperte sconosciute a nostri semplici e ignoranti maggiori, e si veggon insieme ribattute con molta forza, e mostrate deboli e insussistenti. L’ultima opera a cui il Foglietta s' accinse, fu la Storia della sua patria. Abbiam veduto poc’ anzi che nella prefazione premessa a’ suoi Elogi, stampati nel 15^4 > e* Sl protesta che a questa Storia non avea ancor posta mano. Nondimeno con tal fervore vi si applicò, che morendo nel 1581, ne lasciò dodici libri, co’ quali conduce la Storia dalla fondazione della città fino al 1527; opera scritta, come tutte le altre di questo valente scrittore, con forza, con eleganza, con critica; ma a cui par nondimeno ch’ei non desse l’ultima mano, per l’uniforrnità che in essa si scorge, singolarmente ne' passaggi da un anno all’altro. Paolo di lui fratello la pubblicò nel 1585, e vi aggiunse per supplemento i fatti del 1528, frammento di Storia datogli, dice, da un suo amico, e scritto non sapeasi da chi. Ma, come si conosce al confronto, esso è tratto dalla Storia del Bonfadio, di cui ora diremo, e che non era ancor pubblicata. Io rifletto che il Foglietta nel cominciamento di questa Storia non fa motto nè doglianza alcuna del suo esilio, come avea fallo [p. 1460 modifica]14ÖO LIBRO ili altro opere precedenti. E mi nasce perciò sospetto che la sentenza contro di lui proferita fosse finalmente rivocata, e ch’egli anche per gratitudine intraprendesse questa nuova fatica. Ma di ciò non ho alcun monumento sicuro (a). (a) 11 sig. abate Luigi Oderico, ben noto per le eruditissime sue opere ad illustrazione delle antichità pub. Murate, mi ha trasmesso un bel monumento riguardo al Foglietta, da cui si raccoglie ch'io non mi sono ingannato nel congetturare ch’ei rientrasse poscia in grazia della Repubblica, e che fosse rivocata la pena dell*csiglio contro di lui promulgata; e che anzi per ordine della Repubblica stessa ei si accingesse a compilarne la Storia. Esso è il decreto di quel senato, con cui a’ 6 di gennaio del ei n ebbe l’incarico, il qual conservasi in un codice ms. di Leggi e Decreti della Repubblica, ed è il seguente: Illustrissimus D. Dux et Ill. DD. Gubernatores Excell. Reip. Genuensis scientes salarium librarum.... alias assignatum D. Mattheo Gentili tunc. Cancellario et Segretario cum onere scribendi si umilia, prout in decreto, deber t officio Cancellariae et Segre tarine, et e tiam Seriptori A tinnitimi, et quod licet Cancellarii et Segretatii Officium Se gre tarine et Cancellariae exercent, non tamen est aliquis huc usque electus ad scribenda Annali,i, e/egenint R. Obcrtum Folietam in Scriptorem Historiarum et Annalium Reiptiblicac medietate die ti salarii, et retìqwim medie talem declaraverunt deberi Cancellariis et Segretaris, ut late in extens. ad calculos, ec. MDLXXVI die VI Januarii. Fu egli dunque il primo in cui l’impiego di storiografo fosse diviso da quello di segretario e di cancelliere. L’epoca ancor della morte vedesi confermata, anzi più precisamente fissata al settembre del 1581, da un altro decreto de' a ottobre di quest'anno, in cui si elegge storiografo dell i Repubblica Antonio Roccatagliata, attesa la morte del Foglietta, accaduta superioribus diebus. In un altro libro delle Famiglie nobili genovesi trovasi indicato clic F'berto lu sepolto nella chiesa di Santa Maria di Castello dell'Ordine de’ Predicatori. [p. 1461 modifica]TERZO Olire tutte le opere da me accennate, tutte scritte in latino, trattine i due libri Della Repubblica di Genova, e tutte degne di stare al confronto in ogni lor parte con quelle de migliori scrittori di questo secolo, il P. Lagomarsini ne avea presso di sè un opuscolo intitolato De caussis bellorum religionis gratin e x citatori un, dedicato al cardinal Marcantonio Amulio, cui il detto Padre' pensava di dare al pubblico (l. c. p. 12); ma ei non ha posto in esecuzione il suo pensiero. Alcune Rime se ne hanno nella Raccolta dell’Atanagi. LXIX. Io ho parlato del Foglietta prima che del Bonfadio, perchè una Storia generale debbe antiporsi a una Storia di pochi anni, qual fu quella di questo secondo scrittore. Ma è falso ciò che per altro da tutti si suole affermare. cioè che il Bonfadio continuasse la Storia del Foglietta, perciocchè egli morì più di vent’anni prima che il Foglietta pensasse a scriverla. Quanto abbiam dovuto occuparci nel ricercar le notizie poco finora osservate del primo scrittore, altrettanto facile ci riuscirà di parlar del secondo, di cui il conte. Mazzucchelli ha scritta con tale esattezza la Vita, premessa all Opere del Bonfadio stampate in Brescia, e inserita anche a suo luogo ne suoi Scrittori italiani, che appena ci rimarrà luogo a qualche picciola osservazione. Il Bonfadio, nato in Gorzano nella Riviera di Salò nel Bresciano verso il principio del secolo xvi, dopo fatti i primi suoi studi nell’università di Padova, passato a Roma, servì per tre anni, cioè dal 1532 al 1535, il Cardinal Merino arcivescovo di Bari, quindi [p. 1462 modifica]1462 LIBRO per uguale spazio di tempo il Cardinal Girolamo Ghinucci. La morte il privò del primo padrone, l’altrui invidia del secondo. Andò allora il Bonfadio errando per qualche tempo ed or trattenendosi in patria, or in Venezia, or in Roma, ora in Napoli; e di varie occasioni (di onorevol servigio, che gli furon offerte, o non potè godere, o godette solo per breve tempo, parendo che cospirasse ogni cosa a fargli condurre una vita disagiata e penosa. Finalmente ritirossi a Padova, ove in un tranquillo ozio attese agli studi, e istruì ancor nelle lettere Torquato figlio del celebre Pietro Bembo, di che, oltre le pruove accennate dal conte Mazzucchelli, abbia 111 la testimonianza di Ortensio Landi: Jacopo Bonfadio fu Precettore di Mons. Torquato Bembo (Cataloghi, p. 562). Il conte. Mazzucchelli crede probabile che ei tenesse ancor pubblica scuola; ma se ciò fosse, pare che qualche indicio ce ne darebbero gli storici di quella università, che non ce ne dicono motto. Era però allora il Bonfadio mal soddisfatto del presente suo stato; perciocchè toltagli una provvisione che sul vescovado di Vicenza aveagli assegnata il Cardinal Rodolfo Pio, ei trovavasi assai ristretto di beni di fortuna, e incerto del modo con cui sostenere la vita, e cercava perciò coll opera de’ suoi amici qualche onesto ed utile impiego. Esso gli fu finalmente offerto circa il 1545 dalla Repubblica di Genova, che lo invitò alla cattedra di filosofia, a cui poco appresso fu aggiunto l’incarico di scriver per pubblico ordine la Storia di quella Repubblica. Egli fu assai lieto del modo [p. 1463 modifica]terzo 1463 con cui fu ivi ricevuto: Genova mi piace, scriv egli (Lett. p. 89), e per il sito, e per tutte quelle qualità, le quali V. S.^ già ha visto. Hovvi degli amici,fra i quali è Mazzolino Bauli giovane dotto e gentile. Questo verno ho letto il primo della Politica d Aristotile in una chiesa ad auditori attempati, e più mercanti che scolari. Son dunque in parte allegro, pur non senza qualche umore. Si accinse egli tosto alla fatica di scriver la Storia; e andava felicemente continuandola, quando avvenne cosa che gravemente infamatolo, condusse ancora ad infelice e troppo immaturo fine un uomo degno di miglior sorte. L'epoca e il genere della morte del Bonfadio non è più soggetto a quistione, come è stato in addietro, dopo l autentico monumento inviato da Genova al conte. Mazzucchelli, tratto dal libro de’Giustiziati, in cui si legge: 1550 die 19 Julii Jacobus BonJ'adius de Contatu Brixiae decapitatus fuit in carceribus, et postea combustus. È certo dunque che in carcere fu decapitato il Bonfadio, e poscia ne fu dato alle fiamme il cadavero. Quest ultima circostanza ci fa conoscere che il Bonfadio fu accusato di tal delitto che dalle leggi civili si punisce col fuoco, cioè o di eresia, o di sortilegio, o d’infame disonestà. Non v ha pur uno che dica il Bonfadio reo de due primi delitti, e il Gerdesio, che gli ha dato luogo tra gl’ Italiani Protestanti Specim. Ital. re forni, p. 177, ec.), non sa addurne altra pruova che le lodi con cui egli parla del Valdes, le cui opere non erano state ancora dalla Chiesa dannate. Molti [p. 1464 modifica]14G4 LIBRO l'accusaii ilei terzone perciò possiam creder per certo che tal delitto fu imputato al Bonfadio poichè fu condennato alla pena ad esso prescritta. Ma non è ugualmente certo s’ei ne fosse di fatto reo, ovver se questo fosse un pretesto per punir nel Bonfadio la libertà con cui scritta avea la sua Storia. Questa è l opinione di molti scrittori citati dal co. Mazzucchelli, i quali narrano che alcuni nobili genovesi irritati dal biasimo e dalla infamia che le Storie del Bonfadio aveano sparsa su alcuni loro parenti rei di ribellione o di tradimento contro la Repubblica, e non potendo sperare che perciò fosse punito il Bonfadio, gli opposero sì nero delitto, e con false testimonianze nel convinsero reo. Altri, al contrario, credono che il Bonfadio fosse veramente tinto di quella pece, e che solo per tal motivo fosse dannato a morte. Io vorrei liberare da sì vergognosa taccia uno scrittore a cui confesso che assai pochi mi sembrano uguali. Ma se uno storico debb esser sincero, e dire con libertà ciò che sente, a me pare che le ragioni di creder reo il Bonfadio sieno assai più forti che quelle per crederlo innocente. Paolo Manuzio amicissimo del Bonfadio, il de Thou scrittor egli ancora assai autorevole, sono gli autori più degni di fede, e più vicini a quei’ tempi, che confessan il Bonfadio reo di quel delitto, e le cui testimonianze si arrecano dal conte. Mazzucchelli j e ad essi deesi aggiugnere Girolamo Cardano, che pur vivea a que tempi, il quale chiaramente dice: Jacobus Bonfadius nonne oh piteriles concubi lus, reni adeo vilem et sordiaam, «r [p. 1465 modifica]TERZO * 46 3 alioquin in ter erodi tos non postremo loco, securi percussus in carcere, inde e tinnì publice crematus est (Theonost l. 1, Op. ti, p. 354)? Quelli, al contrario, che il vogliono calunniosamente accusato, sono Giammatteo Toscano, il Ghilini, Carlo Caporali, il Boccalini, Scipione Ammirato, il Zilioli e Ottavio Cossi, tutti però assai più lontani di tempo, che il Manuzio ed il Cardano, e di non grande autorità in tal genere di racconti 3 e f Ammirato, che è il più autorevol tra essi, non lascia di destare qualche sospetto che l accusa mossa per invidia si trovasse poi troppo fondata < Opusc. t. 2, p. 259). Ortensio Landi è il solo scrittore veramente contemporaneo al Bonfadio, che, dopo aver detto in un luogo ch’ ei fu accusato d infame disonestà, senza aggiugnere se a ragione, o a torto (Catalog. p. 402), altrove dice: fu arso per opera de’falsi accusatori (ivi, p. 444)Ma questi ancora non è il più veridico scrittore che ci abbia dato quel secolo. Ciò non ostante, benchè le testimonianze sien tali che ci faccian credere piuttosto reo che innocente il Bonfadio, esse non sono tali che bastano a decidere la quistione. Alcune altre riflessioni mi sembrano aver più forza contro il Bonfadio. E primieramente, se per avere irritati alcuni dei primarj cittadini, questi il volevano dannato a morte, era egli necessario l apporgli sì grave delitto? Non poteano forse o trovarsi altri mezzi per farne più segreta vendetta, o apporglisi altri delitti, degni ugualmente di morte, ma di minor infamia all' infeliceBonfadio? Inoltre, se que’ che il Bonfadio TinABoscm, Voi. XII. 20 [p. 1466 modifica]»466 LIBRO avea colle sue Storie irritati giunsero ad accusarlo calunniosamente di sì grave reato, è egli possibile che gli altri si lasciassero ciecamente condurre da loro raggiri ì Se alcuni avean motivo di lagnarsi di lui, più altri doveano essergli grati per le lodi di cui gli avea onorati, e dovean perciò adoperarsi a scoprir le calunnie con cui i primi cercavano d’infamare il Bonfadio. L'indole stessa de’ partiti e delle fazioni in cui c ’a divisa allor la Repubblica, dovea fare che quanto gli uni erano accesi a danno dello storico, altrettanto gli altri fossero ardenti a sostenerlo e a difenderlo. Aggiungo di più, ch’ io ho esaminata la Storia del Bonfadio, e non veggo com’ essa potesse destar in alcuno sì grande sdegno contro l autore. Que’ ch’ ebbero parte nella famosa congiura di Gianluigi Fieschi, son que’ che il Bonfadio dipinge con que’ colori che a ribelli e agli scelerati convengono. Ma il lor partito giacevasi abbattuto ed oppresso; e se alcuno avesse osato dolersi che lo storico gli avesse col suo racconto infamati, avrebbe anzi eccitato il pub-, blico odio contro di se medesimo; e qualunque accusa di altro genere fosse stata promossa da alcuno che avesse qualche relazione con quel partito, essa non avrebbe trovato chi ne facesse alcun conto. Finalmente ciò che mio malgrado mi sforza ancor più a credere veramente reo il Bonfadio, è la lettera ch’egli scrive pochi momenti innanzi alla funesta sua morte a Giambattista Grimaldi: Mi pesa il morire, perche non mi pare di meritar tanto; e pur m acquieto al voler d Iddio; e mi pesa ancora, perete [p. 1467 modifica]TERZO *4^7 moro ingrato, non potendo render segno a tanti onorati gentilhuomini, che per me hanno sudato et angustiato, e massimamente a V. S. del grato animo mio, ec. (Lett p. 118). Or se il Bonfadio fosse stato innocente del fallo appostogli, e consapevole a se stesso della sua innocenza, avrebb’ egli scritto solo che gli parea di non meritar tanto? Non avrebb’ egli protestato, e non era anche tenuto a ciò fare per difesa del suo buon nome, di non essersi mai macchiato di tal delitto? Tutte queste ragioni ben ponderate, mi sembra che non ci lascino luogo a dubitare che il Bonfadio non fosse veramente da una rea passione condotto al tragico fine ch ei fece. Oggetto, a dir vero, tanto più compassionevole, quanto più degno egli era di miglior sorte. O si riguardino le Lettere famigliari italiane, o le Poesie italiane e latine che ne abbiamo, ei può esser proposto come uno de’ migliori modelli di cui prefiggersi l imitazione. La traduzione dell’ orazione di Tullio a favor di Milone è la miglior cosa di questo genere che ci abbia dato il secolo XVI tanto più degna di lode, quanto più raro era allora lo scrivere in lingua italiana con precisione, e senza quel noioso ritondar de periodi che nella maggior parte di quegli scrittori si vede con dispiacere. Ma l’opera più pregevole del Bonfadio sono gli Annali della Repubblica, stampati la prima volta solo nel 1586, nei’ quali abbraccia la storia dal 1528, per cominciare ove a ve a terminato non già il Foglietta, ma il Giustiniani, fino al febbraio dello stesso anno 1550, nel cui luglio miseramente finì i suoi giorni. Egli [p. 1468 modifica]1408 LIBRO si duole più volte nel corso di quella Storia del troppo affrettarlo che i Genovesi faceano in quel lavoro; e si protesta di non darci perciò che uno scheletro di Storia, a cui mancava ogni ornamento; nel che ei parmi simile a Cesare, che volendo semplicemente stender giornali e memorie, ha atterrito ogni più elegante scrittore dal formarne una Storia. Così gli Annali ancor del Bonfadio, benchè egli non gli abbia creduti degni del nome di Storia, da tutti nondimeno i più saggi giudici e intenditori son rimirati come una delle più perfette e più ben tessute Storie che ci abbia date quel secolo, in cui l’eleganza dello stile colto, ma non affettato, nulla pregiudica alla vivacità del racconto, e la nobiltà de sentimenti dà un maggior risalto ai fatti che vi si narrano. Del Bonfadio vuolsi parimente che sieno le belle iscrizioni poste sulla Darsena e sulla porta del .Molo di Genova, la prima delle quali vien riferita dal! conte. Mazzucchelli, a cui e al ch. abate Antonio Sambuca dobbiamo la nuova edizione di tutte l opere del Bonfadio fatta in Brescia nell anno f-58. LXX. Un breve tratto di tempo della storia di Genova, cioè dal 1573 al 1579, anni per interne rivoluzioni famosi in quella Repubblica, fu illustrato da Pietro Bizzarri natio di Sassoferrato nell’Umbria, scrittor latino elegante, di cui abbiamo ancora una Storia della guerra di Cipro, un’altra delle cose di Persia, e più altre opere, delle quali ci dà il catalogo il conte Mazzucchelli (Senti ital. t. 2, par. 2, p. 1292). Bellissima e degna di andar elei pari colle più [p. 1469 modifica]TERZO *4*>9 celebri Storie è la Descrizione del Sacco di Genova nel 1522. scritta dal Cardinal Gregorio Cortese, allora monaco di S. Benedetto; ma di lui già si è parlato a luogo migliore, Io lascio in disparte le diverse Vite che in questo secolo uscirono del famoso Andrea Doria, fra le quali la più pregevole è quella di Carlo Sigonio, la Storia della Congiura de’ Fieschi scritta in latino da Jacopo Maria Campanacci bolognese, il Ristretto delle Storie Genovesi di Paolo Interiano, la traduzione della Storia del Foglietta, fatta da Francesco Serdonati, e di quella del Bonfadio, fatta da Bartolommeo Paschetti, di cui anche abbiamo un libro intitolato le Bellezze di Genova; la Storia dell’Isola di Corsica d’Anton pictro Filippini, poco sicura riguardo a' tempi più antichi, ma esatta, ove comincia a ragionar de’ moderni; ed altre somiglianti opere di minor conto, e delle quali è difficile il ragionare dopo esserci con piacer trattenuti intorno a due sì illustri scrittori, quali furono il Foglietta e il Bonfadio. Passiamo dunque invece alle ultime due parti d’Italia, i cui storici rimangono a esaminarsi, cioè allo Stato ecclesiastico, e a’ regni di Napoli e di Sicilia. LXX.I. Le vicende di Roma debbonsi ricercare o nelle Storie de Papi, o nelle Storie generali d’Italia; poichè quanto è grande il numero degli scrittori che presero a farci la descrizione de monumenti e delle cose più memorabili che ivi si conservano, altrettanto è scarso il numero degli storici; anzi io non so di alcuno che abbia preso a formare una Storia moderna particolare di quell’alma città. Io [p. 1470 modifica]1^0 LIDHO accennerò solo i tre ragionamenti della guerra della Campagna di Roma e del regno di Napoli nel pontificato di Paolo IV, scritti da Alessandro Andrea, e stampati nel 1560, la qual guerra fu parimente descritta da Pietro deNores, figliuol di Giasone, autore ancora di una Vita dello stesso Paolo IV, in tre tomi in folio, opere amendue scritte con molta eleganza ma non mai venute alla luce, e delle quali si può vedere il Zeno nelle sue Lettere al Fontanini Lettere al Fontan. p. 162, 164, 169, 172, 191). Le altre città che compongono quel dominio, non ci offrono per lo più Storie di molto valore. Una Storia latina di Fermo sua patria del canonico Francesco Adami, la Relazione di Cesena di Cesare Brissio, stampata nel 1598, l'Elogio di Urbino del celebre Bernardino Baldi, non si posson produrre come modelli di storia degni d’imitazione (a). Di Alfonso Ciccarelli autore di una Storia d1 Orvieto diremo più sotto. Due ne ebbe Ravenna; uno che scrisse in lingua italiana, cioè Tommaso Tomtnai medico illustre, e morto nel 1593, la cui Storia fu pubblicala la prima volta in Pesaro nel 1^74 * « {a) Il Br.ldi scrisse ancora la Storia di Gunslalla, del’» qual chiesa fu per più anni abate, ma non la condusse che fino al 1536, il cui ms. originale è nella libreria Albani. Di essa parla con lode il ch. P. Affò nella Vita di questo illustre scrittore (p. 201, ec.), e la cita ancora sovente nell!erudita Storia ch’egli ha pubblicata di quella stessa città. Egli scrisse ancora le Vite di Federigo e di (’Guidobaldo I da Montefeltro duchi d" Urbino, che mss conservansi nella libreria medesima (ivi,. p. 217, aa4). [p. 1471 modifica]TERSO t 47 * poscia dall’autore medesimo, che fu assai mal soddisfatto della prima edizione, corretta e data in luce di nuovo nel 1580, di cui e di altre opere dell’autore medesimo si può vedere la Storia degli Scrittori ravennati del P. abate Ginanni (t 2, p. 439, ec.)j l’altro assai più celebre che la scrisse elegantemente in lingua latina, cioè Girolamo Rossi. Di lui pure ha parlato a lungo il suddetto scrittore (ivi, p. 313, ec.), e io perciò farò scelta solo delle più importanti notizie. Era il Rossi uscito da illustre e antica famiglia, e nato in Ravenna a’ 15 di luglio del 1539; mostrò fin da’ più teneri anni felicissima disposizione alle lettere; e perciò, mentre ancora non ne contava che quindici, fu destinato a complimentare con una orazione latina, ch è stampata, il Cardinal Ranuccio Farnese arcivescovo di Ravenna; e il plauso che in essa ottenne, fece che poscia appena mai s'offrisse occasione di ragionare pubblicamente in Ravenna, che non ne fosse dato l’incarico al Rossi, di cui perciò abbiamo un sì gran numero d’orazioni. A un suo zio, che fu poi generale dell’Ordine dei’ Carmelitani, dovette l’educazione ch’ebbe in Roma e altrove, e i primi incitamenti a quella sorte di studi che il renderon sì celebre. In età d’anni ventotlo prese a sua moglie Laura Bifolci gentildonna ravennate, da cui ebbe più figli. Ma i pensieri della famiglia nol distolsero dagli studi, e da quelli singolarmente che gli furon più cari, della medicina e della storia. Nella prima ottenne tal nome, che fu a molte città invitato colle ampie offerte di 800 e di 1000 annui scudi; ma il [p. 1472 modifica]LIBRO Rossi, amante della sua patria, non accettò alcuna di tali offerte e solo non potè sottrarsi alle istanze che gli fece il pontefice Clemente VIII, a cui era stato spedito ambasciador dalla patria nel 1604, perchè ivi si trattenesse colfonorevol carattere di suo medico; benchè poscia pochi mesi appresso, provando nocivo quel clima, tornasse a Ravenna. Più assai però, che per lo studio dell'arte medica, fu celebre il Rossi per quel della storia, e pel frutto ch’ei ne diede al pubblico co’ dieci libri della Storia di Ravenna, stampata la prima volta a spese del Senato della sua patria nel 1572, e poi da lui accresciuti di un altro libro e di altre aggiunte nel 1589. Lo stil colto e grave con cui essa è distesa, le ricerche che vi si fanno su molti punti di antichità, i bei monumenti che in essa sono inseriti, e la luce che in essa si sparge su tutta la storia d'Italia, come la renderono allora degna degli onori e de’ premii che l'autore n ebbe, cosi Tbau fatta rimirar sempre come una delle migliori che abbiamo. Ed infatti il Rossi era uomo diligentissimo nel ricercare tutto ciò che giovar potesse al suo intento, e ne abbiamo in pruova fra le altre cose una lettera a lui scritta da Paolo Manuzio, in cui risponde ad alcuni quesiti storici che il Rossi gli avea proposti (l. 9, ep. 18). Egli finì di vivere con segni di singolare pietà, della quale avea date in ogni tempo costanti pruove, a’ 22 di’aprile del 1607. Gli elogi co’ quali molti celebri personaggi e molti uomini dotti di quell’età hanno esaltato non solo il sapere, ma la modestia, lo probità e tutte le altre belle virtù [p. 1473 modifica]TERZO 1473 di cui il Rossi era adorno, si posson vedere accennati dal suddetto scrittore, il quale ancora ci dà un distinto catalogo di tutte le opere storiche, mediche, poetiche, fisiche, morali, e di tutte le orazioni di questo dotto scrittore, sì di quelle che han veduta la luce, come di quelle che sono inedite. Solo alle prime dee aggiungersi una lettera italiana da lui scritta nel 1587, su alcuni punti della storia ecclesiastica di Ravenna, al Cardinal Baronio, di cui pure abbiamo una lettera al Rossi, nella quale lo avverte di qualche fallo in cui era in quella Storia caduto nello scriver dell’ eresie di Nestorio e di Eutiche (Baron. Epist. et Opusc. t. 1, p. 176; t 3, p. 338). LXXII. Bologna fra tutte le città dello Stato ecclesiastico fu la più copiosa di storici. Già abbiam parlato di quelle che scritte furono dal Sigonio e dall’Alberti. Achille Bocchi, nobile bolognese, celebre per greca e per latina Jet* ter a tura (a), per la famosa accademia da lui aperta in Bologna, da noi mentovata a suo luogo, per l’amicizia degli uomini eruditi di quell’ età studiosamente da lui coltivala, e di cui ci somministra copiose ed esatte notizie 11 conte Mazzucclielli (Scritt. ¡tal. t. 2, par. 3, p. 1389), fu dal Sonato di Bologna destinalo a scriver latinamente la Storia della sua patria; ed egli già aveala condotta a fine nel i532. (<7) Di Achille Bocchi, della Storia di Bologna, e di altre opere da lui composte, belle ed esatte notizie si posson vedere presso il co. Fantuzzi (Scritt. bologn. t. 2, P- ai7, ec.). [p. 1474 modifica]« 474 libro Essa conservasi manoscritta nella biblioteca dell’ Istituto della detta città, divisa in XVII libri; e il sig. dott Francesco Zanotti,poc’anzi rapitoci dalla morte, di cui in genere di eie ganza c di leggiadria nello scrivere non vi avea giudice più sicuro, afferma ch’ essa è distesa in istile assai colto (Comment. de Bonon. Instit t. 1, p. 10); nè io so per qual ragione non abbia essa veduta la pubblica luce. Più altre opere e in prosa e in versi latini furon dal Bocchi composte, delle quali si ha il catalogo presso il poc’anzi lodato conte Mazzucchelli. Più felice sorte ebbe la Storia di Cherubino Ghirardacci bolognese, religioso dell’Ordine di S. Agostino, che oltre alcune altre opere morali ed ascetiche (V. Orlandi, Scritt, bologn. p. 87), ne scrisse tre grossi volumi in lingua italiana. Il primo fu stampato in Bologna nel 1565, il secondo, con cui giugne fino al 1425, non venne a luce che molti anni dopo la morte dell’autore, cioè nel 1 (557; il terzo si giace ancora inedito. Chi brama eleganza di stile, invano la cerca in questa Storia; e la critica e l esattezza non è il vanto a cui essa abbia maggior diritto. Nondimeno molta lode si dee all autore, il quale faticosamente ricercò i pubblici e i privati archivii, e ne trasse moltissimi documenti, altri da lui recati distesamente, altri solo accennati. E se alla fatica in raccogliere avesse congiunta una uguale attenzione in farne buon uso, poche Storie le potrebbono stare a confronto. Pompeo Vizzani nobile bolognese nel 1596 pubblicò dodici libri di Storia della sua patria, [p. 1475 modifica]TEMO «47^ aneli'egli in lingua italiana. Nel Catalogo generale degli Storici aggiunto da M. Drouet alla nuova edizione del metodo per la Storia di M. Lenglet, si fa un’ osservazione, che si attribuisce all abate de Rothelin, cioè che nella ristampa fatta di questa Storia nel 1602, si osserva un notabile cambiamento al principio del libro vi, ove si parla de’ Bentivogli, e che vi è poi stata sovrapposta una carta diversa ancora dall’una e dall altra edizione. Alcune altre opere del Vizzani si annoverano dal P. Orlandi (ivi, p. 238). Finalmente, per tacere di qualche altro libro di minor conto, Bartolommeo Galeotti bolognese ci diede nel 1590 un Trattato degli Uomi illustri di Bologna, ove ragiona di tutti gli uomini per dignità, per imprese e per dottrina famosi da essa usciti. LXX11I. Ed eccoci giunti all’ ultima parte d Italia, i cui storici dobbiamo schierare innanzi, cioè a’regni di Napoli e di Sicilia, ove ne incontriamo non pochi in numero, ma non molti che degni sieno di special ricordanza. Ci basti dunque accennar sol di passaggio diverse opere di Tommaso Costo e di Scipione Mazzella, che concernon la storia e la descrizione del regno di Napoli, e F oppi a intitolata Neapolis illustrata di Marcantonio Sorgente napoletano, stampata in Napoli nel 1597, e poco stimata dal Soria (Stor. napol. t. 2, p. 560), e le Storie e le Cronache del Regno stesso di Giambattista Carrafa, di Cornelio Vitignano e di altri somiglianti scrittori. Michele Ricci gentiluomo e giureconsulto napoletano, onorato pel suo sapere alla fine del secolo precedente [p. 1476 modifica]1^76 LIBIIO e al principio di questo da’ re francesi, quando furono signori di parte del regno, ma costretto poi ad uscirne con essi nelle rivoluzioni da noi altrove accennate, ritiratosi perciò in Francia e adoperato in varie onorevoli ambasciate fino all’ an 1515, in cui morì in Parigi, oltre alcune altre opere storiche intorno ai re di Francia, di Spagna e di Gerusalemme, quattro libri scrisse ancora de’ re di Napoli, che furono stampati in Basilea nel 15 i 7. Egli è scrittor latino elegante, ma che spesso inciampa nel difetto ripreso da Orazio, cioè di rendersi oscuro per amore di brevità (Taf uri, Scritt. napolet. t 3, par. 1, p. 64, ec.). La migliore Storia che nel secolo di cui scriviamo, avesse quel regno, fu quella di Angiolo di Costanzo, benchè il nome di lui sia più celebre per le leggiadre sue Rime italiane, che per la sua Storia. La Vita di questo illustre poeta è stata scritta distesamente dal sig. Giambernardino Tafuri (Calogerà, Racc. d'Opusc. t. 10), il quale ne ha ancor parlato più in breve ne’ suoi Scrittori del Regno di Napoli,(t. 3, par. 3, p. 371 e oltre ciò più altre notizie se ne hanno innanzi alla bella edizion cominiana delle Rime di Angiolo del 1750. È adunque inutile lo scriverne di nuovo a lungo. Egli era d illustre famiglia napoletana, e nato verso il 1507. L'amicizia del Sannazzaro e di Francesco Poderico, di cui egli godette, lo stimolò insieme a coltivare con fervore gli studi, e gli agevolò la via a divenire in essi eccellente. Da essi animato, prese a scrivere in lingua italiana la Storia di quel regno, che se ne potea ancor dire [p. 1477 modifica]TERZO »477 mancante, appena meritando tal nome quelle ch erano state finallor pubblicate. Dopo lo studio e la fatica di oltre a quaranta anni da lui impiegati nel leggere ed esaminare gli antichi storici, e nel raccogliere monumenti da’ pubblici e da’ privati archivii, ne lasciò uscir come un saggio nella parte I che fu stampata in Napoli nel 1572. Ma egli non fu pago di questo suo primo lavoro, e correttolo e accresciutol! di molto, diè in luce finalmente nel 1581 Le Istorie (del Regno di Napoli divise in venti libri, ne’ quali dalla morte dell’ imperadore Federigo II scende sino alla guerra accaduta a tempi del re Ferdinando I. Benchè l’autore sia spesso caduto in non piccioli abbagli, difetto appena evitabile a chi il primo intraprende a scrivere una compita Storia, egli ciò non ostante è sempre stato considerato come il migliore storico di quel regno, e una nuova edizione se n è fatta ancora nel 1735. Delle Rime di Angelo diremo altrove. Tra le storie di alcuni fatti particolari concernenti questo regno medesimo io indicherò solamente La congiura de Baroni del Regno di Napoli contra il re Ferdinando I, stampata in Roma nell'an 1565, e scritta da Cammillo Porzio napoletano, figliuolo, secondo Apostolo Zeno (Note al Fontan. t. 2, p. 231), di quel Simeone di cui parlato abbiamo tra’ filosofi. Egli in età giovanile andò viaggiando per diverse città d’Italia, trattenendosi a studiare nell’ università più famose 5 e abbiamo una lettera di Bartolommeo Ricci ad Agostino Abiosi, in cui gli raccomanda Cammillo, giovane, dice, ben istruito nella greca c nella [p. 1478 modifica]147^ UDRÒ latina letteratura, che dopo essere stato quattro anni nell università di Ferrara, passava a quella di Padova (Ricci Op. t. 2, p. 241). Altre notizie di lui si posson vedere presso il Tafuri (Scritt Napol. t. 3, par. 2, p. 2 23). Egli non dee esser confuso con un altro Cammillo Porzio romano alquanto più antico professore di eloquenza, e orator celebre a' tempi di Leon X, la cui morte immatura piange Pierio Valeriano (De infelicit Litterat. p. 11). Le provincie e le città particolari del regno non ci offron cosa che meriti special ricordanza. La più pregevol fra esse per avventura è quella di Gabriello Barri De Antiquitate et situ Calabriae, la quale, benchè abbia non leggier' copia di favole, contiene ancor nondimeno assai esatte ricerche, e una diligente descrizione dell antico e moderno stato di quella provincia. L autore era natio di Francia, terra della Calabria; e perciò dicendosi egli nel titolo delle sue opere Francicanus, ha data occasione a parecchi scrittori di crederlo francescano. Di lui, di quest’ opera e di altre dal medesimo Barri composte, più distinte notizie si troveranno presso il conte Mazzucchelli (Scritt it. t 2,par. 1,p. 423, ec.), a cui deesi aggiugnere che abbiam del Barri una lettera a Pier Vettori, scritta da Roma nel 1559(), nella quale il prega a fare che il Torrentino stampi in Firenze il suo libro, che fu poi stampato in Roma solo nel 1571. e dice che vuole egli stesso esser presente in Firenze alla stampa, e vorrebbe perciò ivi qualche impiego scolastico, ma amerebbe meglio averlo tra' religiosi, che tra’secolari (Cl. Vir. Fpist. [p. 1479 modifica]TERZO 1479 aà P. Vici t. i, p. 126). Abbiamo altrove accennata un’ altra lettera del Barri, in cui accusa di plagio Paolo ed Aldo Manuzio il giovane, e abbiamo esaminato qual conto si debba farne (a). LXXJV. Anclie fra1 molti storici cb’ ebbe il regno di Sicilia, tra’ quali debbonsi rammentare con lode alcune opere di Francesco Maurolico, di cui abbiam ragionato tra i matematici, e il libro De Rebus Nelinis di Vincenzo Littara, di cui e di altre opere dello stesso copiose notizie si trovano presso il Mongitore {Bìbliot. sicul. t 2, p. 287, ec.), io 11011 dirò che di Tommaso Fazello natio di Sciacca, religioso dell’ Ordine de’ Predicatori, di cui abbiamo una assai accreditata Storia di Sicilia, scritta in lutino, divisa in due decadi, e stampata la prima volta in Palermo nell558. Ei fu uomo per le sue virtù e pel suo sapere tra i suoi assai celebre, onorato di ragguardevoli cariche, e destinato ancora da molti ad (a) Agli storici del regno di Napoli vuolsi aggiugnere Antonio Sanfelice, Minor Osservante, morto nel 1570 in età di cinquuntncinque anni. Oltre alcune poesie latine, abbiamo da lui un opuscolo intitolato Campania, stampato nel 1562 in Napoli, il quale, e per l'eleganza e per l esattezza e per la giudiziosa erudizione con cui è scritto, viene altamente lodato anche dai' moderni p ii avveduti scrittori. Di lui ha ragionato il sig. d Pietro Napoli Signorelli (Vicende della Coltura nelle due Sicilie, t. 4, p 189), ec.), presso il quale ancora si posson veder le notizie di Giovanni Giovane autore di un' erudita ed elegante Storia latina di Taranto stampata nel 1589 (p. 202, ec.). Veggansi ancora le notizie di questi ed altri storici napoletani nell’opera altre volte citata del Soria. [p. 1480 modifica]«480 LIBRO occupar la suprema dell Ordine suo; s egli modestamente non se ne fosse schermito. Il Bosio, scrittor della Storia di Malta (par. 3, l. 9 p. 171, 317), ha voluto render sospetto insieme e ridicolo questo storico, raccontando ch essendo egli stato malconcio a colpi di bastone da un cavalier di quell’ Ordine, sdegnato perciò contro l’ Ordine stesso, scrisse più cose ad esso poco onorevoli; ma che pagonne il fio; perciocchè poco dopo aver pubblicata la sua Storia, mentre da un alta torre stava traendo colla fune la secchia, caduto all ingiù, perdette miseramente la vita. Il Mongitore rigetta questo favoloso racconto (l. c. p. 260), mostrando che la Storia fu pubblicata nel 1558, e che lo storico non morì che nel 1570; e che di ciò che dal Bosio si narra, non vi è nè congettura, nè pruova di sorta alcuna, trattane l asserzione di quello storico, che non fu forse esente da quella passione ch ei rimprovera al Fazello. LXXV. Ma è tempo ormai che insieme co* nost ri storici, i quali non paghi d illustrar le cose italiane rivolsero le lor fatiche anche alle straniere, usciamo noi pur dall’ Italia, e andiamo velocemente scorrendo gli altri regni e le altre provincie, delle quali appena fu alcuna che non avesse talun de nostri a scrittore della sua Storia. E uno ne diede Verona al regno di Francia ne primi anni di questo secolo, che fu allora tenuto in conto del primo illustrator delle cose di quella nazione. Ei fu Paolo Emili, di cui ha scritta in breve la Vita il P. Niceron (Mém, des Homm. ill. t. 40, p. 61, ec.), [p. 1481 modifica]TERZO 148 « traendola singolarmente dall’ esatto articolo che ne ha inserito il Bayle nel suo Dizionario, e ne parla ancora il marchese Maffei (Ver. illustr. par. 2, p. 308, ec.). Luigi XII re di Francia, a persuasione di Stefano Poncher vescovo di Parigi, il fece venir da Roma, ove allora, non so per qual motivo, si ritrovava r Binili; e poiché l’eube in Parigi, il che accadde verso il 1499 come raccogliamo da una lettera di Erasmo (Erasm. Epist. t. 1, ep. 72), gli comandò di scriver la Storia de’ Re suoi predecessori. L’ Emili, che ivi ebbe ancora un canonicato nella chiesa di Nostra Signora, attese indefessamente al lavoro ingiuntogli. Quattro libri ne pubblicò egli dapprima; e questa prima edizione fatta in Parigi non ha data; ma ch’ ella seguisse verso il 1516, cel mostra un' altra lettera di Erasmo al Budeo, scritta da Anversa a'21 di febbraio del detto anno: Ex Oratore vestro cognovi Paulum aemilium tandem evulgare rerum Gallicarum historiam: non enim poterit non esse absolutissimum opus, quod a viro non minus docto quam diligenti plus annis viginti sit elaboratum (ib. ep. 203); e in altra lettera de’ 21 di novembre del 1517: Audio prostare Paulum /.Emiliuin Veronensem de rebus Gallicis, quo viro nihil ncque doe ti us ncque sandius. Superest adhuc Parisiis (ib. t. 2, App. ep. 209). In un’ altra edizione, a’ primi quattro ne aggiunse altri due; e questa pur non ha data; ma ne parla Pietro Egidio in una lettera ad Erasmo de’ 19 di giugno del 1519: Paulus AEmilius reliquos historiarum suarum libros formulis excudendos Badio Tiraboschi, Voi. XII. 21 [p. 1482 modifica]l48a LIBRO tradidit (ìb. Li, ep. 436). Continuò egli poscia la medesima opera, e quattro altri libri ne scrisse l ultimo de’ quali fu trovato imperfetto, e fu,,’ condotto a fine da Daniello Zavarisi veronese e così l intera Storia di Francia dall’ origine della monarchia fino al quinto anno di Carlo VIII fu pubblicato in Parigi nel 153g, e |)0. scia piò altre volte, e anche in altre lingue tradotta. Era frattanto l’ Emili uscito di vita a’ 5 di maggio del 1529, ed era stato sepolto nella chiesa suddetta coll iscrizione riportata dal P. Niceron, in cui se ne loda non solo il sapere, ma anche la rara pietà. Il marchese Ma ilei accenna gli elogi con cui ne parla l’ editor francese, che diè questa Storia in luce nel 1539, affermando che l Emili era stato il primo vero scrittor di storia che avesse avuto la Francia, e recando le lodi di cui Giusto Lipsio l’ ha onorata; e avverte che Claudio Verdier lo tacciò di malignità per motivo, onde dovea lodarlo di prudenza, cioè per aver trapassato in silenzio l olio venuto dal Cielo per ungere il Re. Altri l’ accusa di soverchia parzialità per gl Italiani; ma converrebbe esaminare se gli accusatori sieno esenti da quel difetto che appongon all’ Emili. Certo è che lo stile ne è grave e colto comunemente, e che s’ egli è caduto più volte in errore, se ne debbono incolpare più le infelici guide che ha avute a scorta nel disastroso suo viaggio, che il poco suo discernimento in seguirle. Alcune altre Storie particolari, come quella di Marco Guazzo della guerra di Carlo VIII, quella dell'assedio di Parigi del i5c)o scritta da Filippo [p. 1483 modifica]TERZO l4$3 pigafetta (a), e il Compendio delle Vite de’ Ke di Francia scritto da Vittorio Sabino, e stampato in Roma nel 1525, e alcune altre lor somiglianti, non sono tali che possano rammentarsi con lode fra le opere di tanti illustri scrittori di cui questo secolo ci offre così gran copia. Miglior diritto di esser qui accennati hanno i tre libri del cardinal Prospero Santacroce De civili bus Galline dissensionibus, ne’ quali elegantemente e giustamente racconta l origine e le vicende di quelle guerre civili fino al 1562, opera che solo in questo secolo ha veduto la luce (Martene, Collect ampliss. t. 5, p. 1427); e l’autore era ben istruito de’ fatti ch’ egli narrava, perciocchè per più anni fu nuncio del pontefice in Francia, e sostenne ancora altre onorevoli legazioni. e pe’ suoi meriti fu da Pio IV onorato della sacra porpora nel 1565. Morì vent’ anni appresso, e delle cose da lui operate parlano a luogo gli scrittori delle Vite de’ Cardinali. LXXVI. I regni di Spagna e di Portogallo ebbero essi pure qualche Italiano che si accinse a illustrare la loro Storia, e già abbiamo accennate le opere di Michele Ricci, di Cesare Campana e di alcuni altri. Più volentieri io parlerei della Storia dell’ unione del Regno di Portogallo alla Corona di Casti glia, scritta da Girolamo Franchi Conestaggio genovese, e stampata (a) 11 Pigafetta fu autore di molte altre opere, delle quali e di lui si posson vedere copiose notizie presso il P. Angiolgabriello da Santa Maria (ScritL piceni, t. 5, p 54 ec.). [p. 1484 modifica]»484 LIBRO la prima volta in Genova nel i585. e poi ristampata più volte, e tradotta in diverse lingue, se altri non la credessero opera veramente di Giovanni de Sylva, conte di Portallegre ambasciadore del re di Spagna presso l’ infelice re D. Sebastiano (V. Méthode pour étudier l Hist. t. 13, p. 416, ec. éd. Paris. 17-2)y nè io trovo bastevoli monumenti a sciogliere la quistione. Assai più celebre di tutti questi debb’ essere nella storia il nome di Lucio Marineo siciliano, perchè oltre le opere che intorno al regno di Spagna egli scrisse, questo regno medesimo dovette a lui in gran parte i primi raggi di quella luce che ivi cominciò a risplendere al principio di questo secolo. Esattissime notizie di questo storico ci ha date Niccolò Antonio (Bibl. hisp. nova, t. 2, p. 359(), ec.), delle quali si è poi giovato, correggendo però qualche cosa, il Mongitore (Bibl. sic.' t. 2, p.16, ec.), e per ultimo ne è stato di nuovo dato alla luce l’ elogio che ne fece Alfonso Seguritano spagnuolo, statogli scolaro, stampato già tra le Lettere del Marineo (Mem, della Stor. letter. di Sicil. t. 2, p. 306, ec.). Bidino, picciol luogo della Sicilia, fu la patria del Marineo ch'ebbe il nome di Luca; ma passato poi, dopo aver coltivate in Sicilia le lettere sotto diversi illustri maestri, a Roma, e postosi ivi sotto la direzione di Pomponio Leto e di Sulpizio Derulano, ad insinuazione del primo cambiollo in quello di Lucio. Tornato in Sicilia, tenne per cinque anni scuola in Palermo; finchè essendo approdato in quel regno nel 1486 Federigo Henriquez grande almirante [p. 1485 modifica]TERZO I485 di Cdstiglià, questi persuase al Marineo (li ve,iir seco in Ispagna. Colà giunto, e stabilitosi in Salamanca, si unì col celebre Elio Antonio nebrissense, il quale tornato poco prima dall’Italia, nelle cui più illustri università avea studiato molti anni, teneva ivi pubblica scuola, e insieme con lui si diede a far risorgere l amena letteratura dalle tenebre e dallo squallore in cui era finallora giaciuta j per la qual cosa la Spagna fu debitrice di tale risorgimento a uno Spagnuolo venuto a tal fine in Italia, e qui fornitosi di quel sapere che sparse poscia fra’ suoi, e a un Italiano che a lui si congiunse in sì lodevole impresa. Rechiamo il passo del suddetto Alfonso Seguritano, perchè non si creda che ci vogliamo usurpare una gloria che dagli scrittori di quella nazione non vengaci conceduta: Quo adventante, dic egli del Marineo (ib. p. 3 io, ec.), quod possum vere dicere, tota Hispania jam tandem incipit splendescere. Nam per id temporis in Hispania, quae olim Latina lingua appellabatur, eo, et multis ante saeculis depravatis, in barbaram reciderai Jfanc resti tue re cupiens Lucius, simul et Hispaniam demereri, Salamanticae, quo se primum contulerat nostrum Nebrissensem, qui pcrpaucis ante annis ex Italia docte doctus lingua m Latin am reportarat, manu, ut ita dixerim, utraque effodiente, abstrusam, et pene perditarn, noe tu dieque et effodere, et eruere, et expurgare coadjuvans, cum Nebrissensis linguam Latinam reduxit Nam statim Institutiones Grammaticas composuit, breviores illas quidem, sed ad informandos pueros certe [p. 1486 modifica]1486 LIBRO perutiles. Ad hoc ibi in maximo precio habitus per duodecim annos, aut certe amplius, publice professus, non modo barbariem prostravit et delevit, sedei extirpavit, et cum radice evulsit, vel minimum quippiam non amplius propagaturam; idque fecit diligenter, et adeo ut non minus Salamanticae et per totam Hispaniam linguae Latinae triumphus Lucio tribuatur. quam Romae et per totam Italiam Laurentio Vallae, qui suo seculo meram sinceramque Patriae linguam restituens, barbariem, quae altius increverat Gothicamque linguam pepulit, et in exilium p rosaripsit, eo vivente numquam amplius redituram. Dopo avere tenuta scuola in Salamanca per dodici anni, giuntone il nome a’ monarchi Ferdinando ed Isabella, questi il vollero alla corte, ove oltre al titolo di regio cappellano, fu il Marineo premiato con più beneficii ecclesiastici, come più distintamente si narra dai suddetti scrittori. Egli grato alla loro munificenza, scrisse più opere intorno alla storia di que’regni, cioè sette libri De Laudibus Hispaniae cinque, De Aragoniae Regibus, ventidue De Rebus Hi spanine mcmorabilibus, oltre le molte notizie che per la storia stessa si traggono da’ XVII libri dell Epistole famigliari!, dalle Orazioni e dalle Poesie del medesimo autore, delle cui opere ci dà un distinto catalogo il Mongitore. Non si sa quando, nè dove ei finisse di vivere, ma certo ei vivea ancora nel 1533, come pruova il Mongitore suddetto. Lo stile del Marineo non è molto elegante, se si confronti con quello di alcuni altri scrittori. Nondimeno, avuto riguardo a’ tempi e a’ luoghi in [p. 1487 modifica]TERZO 1487 cui visse, non è maraviglia ch’ei fosse creduto scrittor coltissimo, e rimirato come un benemerito ristoratore della letteratura. E in fatti come questa lode vien data per riguardo all Italia al Valla, al Perotti, al Calderino e ad altri lor somiglianti, lo stil dei quali non è felicissimo, così può darsi a ragione lo stesso vanto al Marineo riguardo alla Spagna, alla quale s’ ei non propose in se stesso un perfetto modello, fu nondimeno di stimolo e di guida a coltivar quegli studi che prima vi erano dimenticati (*). (¥) Il testimonio di uno scrittore spagnuolo che attribuisce a un Italiano, cioè a Lucio.Marineo, il risorgimento in Ispagna dell amena letteratura, non poteva piacere al sig. abate Lampillas. Egli per provare che l’amena letteratura fioriva già in quei regni al principio del xvi secolo, ci rammenta la famosa Biblia poliglotta del Cardinal Ximenes, stampata nel t5i4; il r*,‘' certo ci mostra evidentemente che il.Marineo colà recatosi nel 14.dC*, ci trovò già risorta l amena letteratura. Ma checchè sia di ciò, ei non si sdegni perciò contro di me, ma contro il suo Alfonso Seguritano, le cui parole ho fedelmente copiate, u Piò felicemente ha difesa la sua nazione il ch. abate Andres, che una copiosa serie ci schiera innanzi d illustri Spagnuoli anche nell’ amena letteratura assai colta prima che il Marineo e il Nebrissense prendessero a istruire quella nazione (Dell' Orig. e progr. d’ogni Letter. t. 1, p. 3(>c>). lo non voglio ostinarmi a sostenere una opinione ch’ io non ho seguita, se non appoggiato all'autorità di uno scrittore spagnuolo che di que' tempi viveva, e che poteva ben sapere in quale stato ivi fosse l’amena letteratura. Ma forse egl imitò quei’ panegiristi che non sanno far l’encomio di un santo, se non deprimendo gli altri, e per meglio illustrare il nome di que’ due professori, oscurò quello degli altri che allor vivevano?». [p. 1488 modifica]1488 LIBRO LXXVII. Le scoperte e le conquiste degli Spagnuoli e de’ Portoghesi nellTndie orientali nelle occidentali eccitarono molti tra gl'italiani a trattare di un argomento che ampia e copiosa materia somministrava alla loro eloquenza. Ma io ne sceglierò solo i due più celebri cioè Pietro Martire d’Anghiera riguardo alle seconde, e il P. Giampietro Maffei riguardo alle prime. Il primo fu così detto, perchè natio di Anghiera terra alle sponde del Lago Maggiore, benchè propriamente ei fosse nato nel 1455 in Arona, che le sta dirimpetto sull’opposta sponda del Lago. Dopo essere stato più anni in Roma, ove fra gli altri ebbe ad amico Pomponio Leto, passò nel 1487 in Ispagna, seguendo l’ambasciatore spagnuolo che colà ritornava, da cui presentato a Ferdinando e ad Isabella, seguì per qualche tempo la corte in alcune spedizioni militari, finchè dopo la caduta di Granata, deposte le armi, prese gli ordini sacri. Il re e la reina l’onorarono a gara della loro protezione e del lor favore, lo arricchirono di beneficii, e il destinarono ad onorevoli impieghi; perciocchè la reina volle ch’egli istruisse nelle belle lettere i giovani cortigiani; il re, oltre più altre pruove che gli diede della sua stima, mandollo suo ambasciadore al soldano d’Egitto nel 1510 per ottenere ch ei si mostrasse più favorevole a’ Cristiani, ambasceria fedelmente e felicemente eseguita da Pietro Martire, ed esposta poi da lui stesso ne’ suoi tre libri De Legatione babylonica, ove anche descrive i paesi tutti e le cose più memorabili di quel viaggio da lui vedute. Anche il pontefice [p. 1489 modifica]TERZO * 4%) Adriano VI gli fu liberale del suo favore, e l’avrebbe seco condotto a Roma, se per la sua età avanzata non se ne fosse scusato. Visse fin circa il 1526, e fu sepolto nel duomo di Granata, ov era canonico e priore. Le quali cose da me in breve toccate, si potran leggere stese più a lungo e con buoni documenti provate dal conte Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 1, par. 2, p. 773, ec.). Questi ci dà ancora un esatto catalogo delle opere di Pietro Martire 5 fra le quali io accennerò solo le otto decadi De Rebus Oceanicis et Orbe novo, nelle quali distintamente racconta la scoperta dell’America fatta dal Colombo, e le diverse vicende che la accompagnarono e la seguirono; e le Lettere latine da lui pubblicate, nelle quali egli comprende la storia delle cose più memorabili avvenute a’ suoi tempi dal 1488 fino al 1525. Anche questo scrittore non è da proporsi per modello di colto ed elegante storico, ma egli è fedele ed esatto; e infatti la considerazione di cui godeva alla corte, gli rendeva facile l’avere le più sicure memorie che a stender la sua Storia erano necessarie. LXXVIII. Del P. Giampietro Ma (Tei, oltre più altri scrittori, ha scritta sì esattamente la Vita il chiarissimo sig. abate Pierantonio Serassi, premettendola alla bella edizione di tutte fOpere latine di questo colto scrittore, fatta in Bergamo nel 1747 che io invano cercherei di nuovamente illustrarla, e mi basterà il darne un breve compendio. Nato in Bergamo nel 1535 da Lattanzio Maffei e da una sorella di Basilio e di Crisostomo Zanchi, famiglie amendue [p. 1490 modifica]1^90 LIBRO nobili di quella città, fu da’ due sopraddetti.suoi dottissimi zii diligentemente istruito nella greca, nella latina e nella toscana letteratura, e quindi da Crisostomo nella filosofia e nella teologia. Frattanto Basilio passato a Roma, colà trasse anche il nipote, il quale, come passando da Firenze si strinse in amicizia con Pier Vettori, con Benedetto Varchi, con Lelio Torelli e con Gianfrancesco Lottini, così giunto a Roma si unì tosto col Caro, co’ due Manuzii, con Silvio Antoniano e con altri dottissimi uomini che ivi erano. La morte del Zanchi, avvenuta nel 1560, tolse al Maffei le speranze che in lui avea riposte; ed egli perciò, dopo aver servito in corte a qualche prelato, di che non si hanno più certe notizie, accettò volentieri l’onorevole invito che ricevette dalla Repubblica di Genova ad essere in questa città professor di eloquenza con ampio stipendio. Colà egli recossi al principio del 1563, e con qual plauso vi fosse accolto, e con quale ammirazione udito, raccogliesi da alcune lettere da lui medesimo scritte al Manuzio, e citate dall’ab. Serassi. La Repubblica ben conoscendo il raro merito del Maf.fei, l’onorò ancora della carica del suo segretario. Ma due anni appresso, rinunziando, alle speranze di sempre maggiori vantaggi che lo attendevano, e chiesto congedo dalla Repubblica, passò a Roma, e a’ 25 di agosto del 1565 entrò nella Compagnia di Gesù, e poco appresso fu destinato a succedere al Perpiniano nella cattedra d’eloquenza nel Collegio romano, nel qual impiego si esercitò egli con molta sua lode lo spazio di circa sei anni, c [p. 1491 modifica]TERZO I 491 al tempo stesso recò in latino la Storia del P. Emanuel Acosta, con molte lettere de’ missionarj! Gesuiti dell Indie orientali; la qual traduzione fu pubblicata nel 1570. Questo saggio di Storie fece che il Cardinal Arrigo chiamollo a Lisbona, perchè sulle più certe notizie che ivi gli sarebbono state somministrate, stendesse una piena Storia della conquista dell’Indie fatta da’ Portoghesi, e de successi della Religione cristiana in quelle provincie. Colà recossi il Maffei verso il 1572, e vi stette più anni raccogliendo la materia per la sua Storia, e sommamente onorato da quella corte, così fin che visse il cardinale e poi re Arrigo, come poichè quel regno passò in potere del re Filippo II. Tornato in Italia nel 1581, continuò ad occuparsi più anni, or in Roma, or in Siena, scrivendo molte opere, finchè dal pontefice Clemente \ III chiamalo di nuovo a Roma, e alloggiato nel Vaticano, prese a continuare in latino gli Annali già da lui scritti in lingua italiana di Gregorio XIII, per condurre la storia fino ai’ tempi del detto pontefice. Ma appena aveane ei composti tre libri, preso da mortal malattia, a cui non fu bastevol rimedio faria di Tivoli ove fu trasferito, finì di vivere a 20 di ottobre del 1603. La Storia dell’Indie orientali, nella quale egli in sedici libri comprende lo scoprimento del passaggio per mare a quelle provincie, e le cose in essa avvenute fino alla morte del re di Portogallo Giovanni III, è la più ampia e la più celebre opera di questo elegante scrittore. Ma nulla meno a pregiarsi è la Vita di S. Ignazio da lui parimenti scritta, c [p. 1492 modifica]14cp LIBRO j tre accennati libri pubblicati la prima volta in Bergamo nel 1747 > e tutto ciò che’egli ha scritto in latino, e che nell’accennata edizione è stato diligentemente raccolto, mancandovi sole tre lettere da lui scritte a Pietro Vettori (Epist. cl. Vir. ad P. Vict. t. 1, p. 133, 134, 136), che allora non erano ancor pubblicate, fra le quali una ve ne ha in cui loda altamente la traduzion di Sallustio fatta da Paolo Spinola figliuol di Jacopo nobile genovese, allora non ancor venuta alla luce, e che uscì poi alle stampe in Venezia nel 1564 Quale sia la purezza di lingua e l’eleganza di stile di cui egli usa, troppo è noto al mondo, perchè io mi trattenga a mostrarlo. Solo fra le molte onorevoli testimonianze che l’ab. Serassi ne ha diligentemente raccolte, accennerò quella del celebre Cardinal Guido Bentivoglio che visse qualche tempo nel Vaticano insieme con lui, e ne parla più volte con somma lode nelle sue Memorie paragonandone l’eleganza a quella de’ più famosi scrittori del secolo d’Augusto. Egli fu ancora felice scrittore nella lingua italiana, in cui abbiamo gli Annali di Gregorio XIII e le Vite de’ diciassette SS. Confessori, opere scritte con quella nitida semplicità che piace assai più di una ricercata eleganza. Gli Annali di Gregorio XIII, che dall'autore non aveano avuta l’ultima mano, furono consegnati a Paolo Teggia natio di Sassolo nel ducato di Modena, perchè gli ultimasse e li pubblicasse. Vivea questi in Roma, ove, dopo aver servito a diversi signori, dopo esser stato da Gregorio XIII inviato in suo nome al re di Portogallo, e dopo aver modestamente [p. 1493 modifica]TERZO 1 rifiutata più volte la dignità vescovile, coltivava tranquillamente gli studi. Ma benchè egli vivesse fino al 1620, e benchè fosse stimolato a pubblicare una volta i detti Annali (V. Lett. d'Uom. ili Vcn. 1744» P 92i >54» 47^)j egli li lasciò ancora inediti, e non furono pubblicati che nel 1742. Del Teggia ci ha lasciato un onorevole elogio l’Eritreo (Pinacoth. pars 1, p. 156). Paolo Gualdo nella Vita di Gianvincenzo Pinelli dice che questi ebbe in grande stima animi candorem et multiplicem rerum usum liberalemque doctrinam del Teggia. Il Comune di Sassolo, poichè egli fu morto, gli fè’ incidere un’iscrizione in cui se ne rammentano i pregi e gli onori (a). Delle dette opere e di più altre concernenti il P. Maffei, veggasi la Vita già mentovata, ove l’autore descrive ancora le religiose virtù di cui egli fu adorno, e la somma attenzione con cui egli esaminava scrupolosamente ogni parola ed ogni sillaba; benchè egli creda una favola ciò che alcuni raccontano, cioè ch’ egli per isfuggire il pericolo d’imbeversi del poco elegante stile del Breviario romano, avesse dal pontefice ottenuta la facoltà di recitarlo in greco. (a) Le piti diligenti ricerche che alf occasione di compilare la Biblioteca modenese (t. 2, p. 224, cc*) ho fatte sulla vita del Teggia, mi han latto conoscere eh’ egli più probabilmente occupossi nel compilare una nuova Vita di Gregorio XIII, che nel compir gli Annali scritti dal P. MalYei. Ivi ho ancora osservato che è falso ciò che da alcuni fu detto, che il Teggia fosse segretario di quel pontefice, e che non vi ha documento a provare che da lui fosse mandato alla corte di Portogallo. [p. 1494 modifica]1494 libro LXXIX. Anche l Inghilterra dovette la prima compita.Storia che di quell'isola venisse a luce, a un Italiano, cioè a Polidoro Vergilio da Urbino. di cui copiose notizie si hanno nel Dizionario del Bayle (art. Virgile Polydore). Ei fu inviato dal pontefice Alessandro VI col titolo di collettore apostolico in Inghilterra verso il principio del secolo; e una delle lettere del Sadoleto, scritta in nome di Leon X al re Arrigo VIII nel 1515 (Sadol. Epist. pontif'. p. 116, ec.), ci mostra che Polidoro avea in qualche cosa incorso lo sdegno di quel sovrano, cui perciò il pontefice cercò di placare. Avea egli frattanto già pubblicato il suo libro de Proverbii, per cui ebbe lunga disputa con Erasmo, e si difese assai bene, e mostrò grande onestà e rispetto del suo avversario (V. Erasm. Epist. t. 1, ep. 200, 577, 602, 665; t. 2, ep. 1176; App. ep. 326). Quest’opera, che ora non è molto cercata, il fece credere uom dotto; e il re Arrigo VII, poco dopo che Polidoro fu giunto in Inghilterra, gli comandò di scriver la Storia di quel regno, intorno alla quale ei si affaticò lungamente, e la diè finalmente in luce nel 1534 in Basilea. Io concederò di buon grado agli scrittori inglesi ch ella sia opera superficiale e piena di errori, e che lo stile ancora non sia molto elegante. Ma ciò che alcuni raccontano, ch’ei gittasse al fuoco le antiche Cronache, delle quali si era giovato, perchè, perdendosene la memoria, la sola sua Storia corresse per le mani de’ dotti, non vi sarà uom di buon senso che nol creda una favola. Oltre queste due opere, è nota quella ch' ei pubblicò De [p. 1495 modifica]TERZO i4y5 Invento ribus Rerum, libro che mostra la molta erudizione e insieme la poca critica e la credulità del Vergilio, il che pur dee dirsi di quello De Prodigiis, nel qual per altro combatte le divinazioni degli antichi. Benchè avesse già soddisfatto al suo impiego di collettore apostolico, trattennesi nondimeno in quell’isola, ov ebbe anche l’ archidiaconato di Wells, e una prebenda in Nottinton: e il vederlo starsi ivi tranquillo e sicuro in mezzo alle rivoluzioni che la Religion cattolica vi sostenne, e qualche proposizione da lui inserita nelle sue opere, fa sospettare ch'ei non fosse troppo zelante cattolico. Non par nondimeno ch’ ei desse motivo a ragionevole accusa, perciocchè circa il 1550 tornossene in Italia, e alla sua patria, ove credesi che morisse nel 1555. Già abbiamo altrove accennate le Storie che dello scisma d Inghilterra ci diedero il Pollini e Bernardo Davanzati, il secondo de’ quali scrittori, più ancor che per esse, è celebre per la sua versione italiana di Tacito, della quale ho palesato altrove il mio sentimento (t. 2, p. 154). Di lui e di altre opere da lui pubblicate, copiose notizie si hanno nelle Notizie dell’Accademia fiorentina (p. 190, ec.), e nei’ Fasti consolari della medesima (p. 222, ec.). LXXX. Benchè l’Impero germanico desse in questo secolo grande argomento di storia, scarso però fu il numero degli scrittori italiani che in esso si occuparono. Galeazzo Capella e Girolamo Falletti scrissero, come già si è detto, la Storia di alcune guerre particolari di Carlo V. Orazio Nucula da Terni scrisse in latino in cinque libri la Storia della Guerra africana di Carlo, [p. 1496 modifica]1496 LIBRO stampata in Roma nel i55a (‘). Ma questo sì gran monarca non ebbe nè allora, nè per molto tempo dappoi storico degno di lui. Il solo tra gl Italiani che ne scrivesse la Vita (perciocchè tra gl’ Italiani io non conto Alfonso Ulloa spagnuolo di nascita, benchè sia vissuto lungamente in Italia), fu Lodovico Dolce veneziano, di cui dovremo spesso parlare, perciocchè egli fu uomo di rara fecondità nel produrre opere nuove ogni giorno. Egli fu storico, oratore, gramatico, retore, filosofo, fisico ed etico, poeta tragico, comico, epico, lirico, editore, traduttore, raccoglitore, comentatore: scrisse insomma di ogni cosa, ma di niuna cosa scrisse con eccellenza; difetto solito di chi vuol (fissarsi su qualunque oggetto gli venga innanzi. Egli scrisse ancora la Vita di Ferdinando I, e più altre opere storiche di diversi argomenti. Visse sempre in Venezia, ed ivi morì, secondo il Zeno, circa il 1569 (Note al Fon fan. t. 2, p. 286). Io dubito però, che se ne debba anticipare di tre anni la morte; perciocchè tra le Lettere di Luigi Groto una ne abbiamo de 29 di aprile del 1566, in cui scrive al cavalier Bonardo l’infelice.stato del Dolce, che fin dallo scorso settembre giaceva infermo d’idropisia, e a cui i medici non promettevan!! vita fino al giugno (Groto, Lett. p. 39). Nella nuova edizione della Biblioteca (*) La Slorin della Guerra africana di Carlo V, scritta da Orazio Nucula, è assai pregevole per l'eleganza dello stile e per la bellezza delle descrizioni, e quello storico può a ragione esser annoverato tra i migliori del secolo xvi. [p. 1497 modifica]TERZO »497 dell’ Haym si annoverano fin circa a sellali tré opere e traduzioni e comenti del Dolce, e forse non vi è notata ogni cosa. Riguardo alla Storia più antica dell’Impero germanico, l’unica opera degna d’essere rammentata è quella De Regno Italiae del Sigonio, nella quale per connessione dell’argomento illustra egregiamente la Storia degl’imperadori de’bassi tempi. All Allemagna possiam congiungere l’Ungheria e la Transilvania, per la storia delle quali però basterà fare un cenno dei Comentarii di Ascanio Centorio delle Guerre di Transilvania, delle Azioni de Re d Ungheria del cavalier Ciro Spontone, e dell' Ungheria spiegata di Giauniccolò Dogiioni. 11-Centorio dall’Argelati (Bibl. Script, mediol, t. 1, pars 2, p. 410) e da altri scrittori da lui citati è detto milanese di patria. Ma Apostolo Zeno con assai valide pruove dimostra ch’ei fu romano (l. c t 1, p. 458). Alcune opere nondimeno citate dal detto Argelati sembrano persuaderci che in Milano almeno ei soggiornasse non breve tempo, forse per l’esilio che, come osserva il medesimo Zeno, egli ebbe, non si sa per qual cagione, da Roma. Dello Spontone, le cui Storie contengon notizie pregevoli, e di cui si hanno ancora più altre opere, ho presso di me copia di due lettere da lui scritte a d Ferrante II Gonzaga duca di Guastalla, la prima agli 8 di marzo del 1595 da Rodigo, ov era governatore pel duca di Mantova, e nella cui sottoscrizione prende il titolo di cavaliere l'altra a’ 21 di marzo dell’anno stesso, in cui gli manda copia Tiraboschi, Voi. XII. 22 [p. 1498 modifica]1J93 LIBRO del suo Ercole difensore d Omero, in quell anno stampato (a). In un opera di storia letteraria della Polonia, annunciata nelle Efemeridi romane (1776 p. 88), si accenna un saggio di Storia ungarica pubblicata nel 1543 da Valentiniano Polidamo, che vivea in Polonia, del quale io non ho più distinta contezza. Degli scrittori delle cose de’ Turchi abbiam già accennati parecchi, e non giova qui il ripeterli. Della Moscovia del P. Antonio Possevino diremo alla fine di questo capo medesimo. LXXXI. « Ne mancò alla Polonia uno sei il! lorc italiano, cioè Alessandro Guagnino veronese, di cui si ha alle stampe Sarmantiae Europaeae Descriptio, stampata la prima volta, dice il marchese. Maffei (Ver. illustr. par. 3, p. 216. ed. in fol.), ma senza indicare ove, nel 1574. con dedica dell’autore al re Arrigo Valesio, allora re di Polonia, e ristampata poscia in Cracovia l’an 1578, colla dedica dello stesso al re Stefano Battori, e di nuovo in Spira l an 1581, e indi riprodotta più volte. Era il Guagnino in Polonia già da più anni onorato di cariche militari, e poteva perciò facilmente aver le notizie al suo disegno opportune. Ma egli è tacciato da molti come plagiario. Per(a) Oltre le opere stampate del cav. Ciro Spontone se ne conserva in Bergamo presso il sig. Giuseppe Beltramelli, altre volte da ine lodalo, un codice nis. cartaceo, die contiene i latti di Bartolomtneo Colleoui e di Francesco Marti nengo, con alcune osservazioni politiche e militari. Di lui ha parlato più a lungo cd esattamente il co. Giovanni Fantuzzi (Scritt. bologn. t. 8, p. 555, ec.). • [p. 1499 modifica]TERZO M99 ciocché Maltia Strykowski pubblicò nel 1582 la sua Storia della Lituania in lingua polacca, da lui dedicata allo stesso re Stefano, e si dolse che il Guagnino gli avesse involate le sue fatiche, e con leggier cambiamento traducendo dal polacco in latino ciò ch’ egli avea scritto, avesse quella Storia spacciata qual suo lavoro. E l’asserzione dello Strykowski è stata seguita da alcuni altri più recenti scrittori polacchi, e la Storia sotto nome del Guagnino già pubblicata si è veduta inserita da Lorenzo Mizlero tra gli scrittori delle cose polacche da lui pubblicati nel l'jGi sotto il nome dello Strykowski. Sembra nondimeno che l’ accusa non sia abbastanza fondata; perciocchè l’ autor polacco avrebbe dovuto lagnarsi dell’italiano appena ne vide l’opera pubblicata nel 1574 e non aspettar, come fece, ben otto anni, cioè fino al 1582. Innoltre presso molti de’ suoi Polacchi medesimi ei non ha ottenuta fede 5 e più volte l’ opera del Guagnino è stata riprodotta, e mentre egli vivea, e dopo ch’egli finì di vivere nel 1614 sotto il nome di esso, e fra gli altri da Simone Starovolscio, che pubblicando nel 1625 una Centuria di scrittori polacchi, distinse le opere del Guagnino da quelle dello Strykowski, e di amendue fece l elogio. Forse il Guagnino, che possedeva la lingua polacca, ebbe fra le mani le memorie che lo Strykowski andava raccogliendo, e se ne valse per compilar la sua Storia. Ma ciò non basta a trarlo in giudizio come reo di plagio. Io parlo di queste opere senza averle potute aver sotto l’occhio, e non avrei potuto darne queste [p. 1500 modifica]i5oo unno notizie, se non me le avesse cortesemente comunicate il sig. Cardinal Giuseppe Garampi, alla cui erudizione io debbo non pochi lumi per questa nuova edizione della mia Storia ». LXXXII. Rimane a dir finalmente de Paesi Bassi, che furono dopo la metà del secolo grande teatro di memorabili avvenimenti) ma perchè le guerre ivi insorte non ebber fine che dopo più anni del secol seguente, allora solo entrarono in questo campo valorosi scrittori, de’ quali sarà d altro tempo il parlare. Cesare Campana e Girolamo Conestaggio ne scrissero qualche cosa sugli ultimi anni del secolo di cui trattiamo. Ma le loro Storie furono dimenticate, quando uscirono in luce quelle del cardinal. Bentivoglio e del P. Strada. Lo storico di quelle provincie, che si può ancor nominar con onore, è Lodovico Guicciardini, di cui abbiamo una Descrizione de’ Paesi Bassi, stampata in Anversa la prima volta nel 1567, e poi più correttamente e più magnificamente nel 1588, e i Comentarj delle cose di Europa, specialmente ne’ Paesi Bassi dal 1529 fino al 1560, stampati in Anversa nel 1565; delle quali opere la prima singolarmente è in grandissimo pregio per la singolare esattezza con cui l’autore descrive ogni cosa, e fu anche da’ nazionali accolta con molto plauso. Lodovico era nipote del celebre storico Francesco, ed era nato in Firenze a 19 d’agosto del 1521, com è stato di fresco provato con autentici documenti (Elogi degl illustr. Tosc. t. 2). Non si sa per qual ragione ei passasse ad abitare nei Paesi Bassi; ma certo egli vi era fin dal 1550, come ricavasi [p. 1501 modifica]TERZO l5oi da’ monumenti di quella nobil famiglia (ivi),

  1. ed ivi ci visse, e comunemente in Anversa,

fino al 158c) *, nel qual anno morì a’ 22 di marzo, e fu sepolto nella cattedrale di quella città con onorevole iscrizione, che fu poi rinnovata, come si può vedere nell’opera accennata poc’anzi. Il de Thou ci racconta Hist, ad an. i58(j) che il duca d Alba fece imprigionare il Guicciardini, perchè scritto avea un libro per dimostrare che util consiglio sarebbe stato l’abolire il digiuno quaresimale, non già perchè il duca disapprovasse quell’ opinione, che anzi egli avea approvata che il Guicciardini su ciò scrivesse, ma solo perchè tal libro non gli era stato presentato dal Guicciardini medesimo, ma da un altro che all’ autore avea involato l' originale, Io lascio a’ lettori il giudicare della verità di un tal fatto, che a me non sembra per molte ragioni probabile, e l autorità di chi il racconta, benchè sia assai grande, non è però in tutte le materie ugualmente sicura. Di Lodovico abbiamo innoltre i Detti e Fatti Notabili de diversi Principi, ec. e le Ore di Ricreazione, opere nelle quali sarebbe stato desiderabile che l’autore avesse avuto qualche riguardo maggiore alla modestia e alla decenza (‘). Egli scelse ancora i Precetti e (*) Il ch. P. abate Trombelli mi ha avvertito ch'egli avea un codice ms. dell Ore di Ricreazione di Lodovico Guicciardini, in cui nulla si legge di ciò che nelle edizioni vi ha d'immodesto e indecente, onde sembra probabile, come altre volte è avvenuto, che lo .stampatore si prendesse il piacere di aggiugnere più cose che ei credette opportuno a render più gradito [p. 1502 modifica]l5o2 libro Sentenze più notabili delle opere di Francesco suo avolo. LXXXIII. La storia genealogica solo in questo secolo cominciò ad essere coltivata, perciocchè solo in questo secolo si cominciarono a ricercare gli archivii e ad estrarne gli autentici monumenti, a quali l'ignoranza e la trascuratezza de’ secoli precedenti avea perdonato. Giuseppe Betussi avea già apparecchiata su ciò un’ opera assai stesa, ma che non ha mai veduta la luce. Il Sansovino, come s’ è già accennato, ci diede l’ origine delle case più illustri d’Italia, e quella di qualche altra particolare famiglia; ma poco egli si valse de’ documenti, e per lo più raccolse soltanto alla rinfusa e senza discernimento ciò che gli avvenne di ritrovare. Lo stesso dee dirsi delle opere che in questo genere pubblicò Cesare Campana, da noi pur mentovate. Migliori assai son quelle colle quali Scipione Ammirato illustrò le famiglie napoletane e le fiorentine, e alcune altre particolari, delle quali parimente si è detto a suo luogo. Più ampia opera intraprese Antonio Albizzi nobile fiorentino, ma nato in Venezia nel 1547 > uno dei’ fondatori dell’ accademia degli Alterati in Firenze, e nell an 1574 consolo dell’Accademia fiorentina; ma che poi lasciossi sedurre dalle opinioni de’ Protestanti, e verso la fine del secolo ne abbracciò la pretesa riforma, ritirandosi a Kempten nella Svevia, ove morì il libro. Benché forse potrebbe anche essere avvenuto che ulcuno facesse una scelta cJ«-* trattali più onesti del libro, perché potesse leggersi sicuramente. [p. 1503 modifica]TERZO l5o3 nel 162G. Ivi egli pubblicò nel 1600 l’opera intitolata Principimi diri a ti ano rum Stemmata, in cui ci dà gli alberi genealogici di molti Principi, singolarmente dell Allemagna, formati per lo più non senza esattezza; e in fatti le molte ristampe che ne furono fatte, ci fan vedere ch ella fu applaudita. Più minute circostanze intorno alla vita di questo scrittore, e ad altre opere da lui scritte, si posson leggere presso il conte. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 1, par. 1, p. 337", ec.), a cui forse si potrebbon aggiugner più cose tratte dalla Vita, da me non veduta, che ne pubblicò M. Haeberlin in Gottingen nel 1740 Alcune particolari famiglie ebbero ancora storici della loro origine e della lor successione, come la famiglia Beccadelli in Bologna, di cui ragiona Pomponio Beccadelli nella sua epistola De Gente et Nobilitate Bec~ catella, premessa all edizion da lui fatta delle Lettere di Antonio Panormita nel 1553, la famiglia de Castiglioni in Milano, intorno alla quale abbiamo l opera di Matteo Castiglioni De origine, rebus gestis ac privilegiis Gentis Castilioneae, stampata in Milano nel 1595, il quale autore scrisse poi anche un libro della famiglia Biumi, stampato ivi nell an 1612, per tacere dell' opera del Morigia Della. Nobiltà (di Milano, in cui si trova raccolto quanto di favoloso in tal genere ha saputo trovare la semplicità popolare, ma misto a varie ottime notizie de tempi suoi. Batista Perei ti, nato in Soave nel territorio di Verona, pubblicò nel i58 J in Verona l Albero della famiglia Bevilacqua, della qual opera non fa menzione il marchese [p. 1504 modifica]t5o4 LIBRO Malici clic allrc ne accenna di questo scrittore (l’er. illustr. par. 2, p. 42^), e a Verona pure appai tiene \' Albero della Famiglia de’ Monti, dato in luce nel 1587 da Francesco Curioni. Giambattista Ubaldini scrisse la Storia della sua illustre famiglia, a cui va aggiunta l’origine di quella degli Acciaiuoli. Quella dei’ Malaspina fu illustrata da Tommaso Porcacchi e più altre potrebbon qui aver luogo, s’io volessi gi tiare i! tempo in annoverare ogni cosa distintamente. Ma non deesi passare sotto silenzio che col nascer che fece in Italia il genio di esaminare gli archivii, e di dissotterrarne gli autentici monumenti che vi stavan nascosti, nacque ancora l’ ardito e temerario fanatismo di finger diplomi che non esistevano, e d’ingannare il pubblico colla menzogna e coll impostura. Il primo a darne il pericoloso esempio fu Alfonso Ciccarelli da Bevagna, medico di professione, che oltre una Storia di Orvieto, diè alla luce in Ascoli nel 1580 L'Istoria di Casa Monaldesca, in cui egli ebbe il coraggio d’inserir monumenti da lui medesimo finti, spacciandoli come tratti dagli archivii, e di citare autori che mai non erano stati al mondo. Lo stesso egli fece in un" altra operetta De Clitumno flumine, che insieme con un trattato De Tuberibus pubblicò in Padova nell’an 1564 E dello stesso merito sarà probabilmente la Storia della Casa Conti, che veggo citata tra’ mss. del barone di Stosch (Bibl. stosch. Ind. Codd. mss. p. (6). Ma egli colse dalle sue frodi quel frutto che lor si dovrà 5 perciocché, scopertesi l’imposture del Ciccarelli, e provatolo reo di carte [p. 1505 modifica]TERZO 15ó5 e di contralti adulterati e supposti, fu per ordine del pontefice Gregorio XIII, tagliatagli prima la destra, pubblicamente decapitato, come narra l’Allacci (ad calc. Observat. in Antiquit. etrusr. Irighi rami). Mi sia qui lecito di fare una breve e non inutile digressione su uno degli scrittori citati dal Ciccarelli, il quale innanzi all' Istoria di Casa Monaldesca ce ne dà un lungo catalogo, composto parte di autori che veramente esistono, parte di finti e supposti. Tra essi ei nomina Fanusio Campano, la cui opera De familiis illustribus Itali ac ei dice ch era nella biblioteca del sig. Jacopo Buoncompagno; e aggiugne che l autore fiorì nell’an 1443 Quest'opera esiste veramente, e se ne conservano parecchi codici. Ecco ciò che ne scrive Lorenzo Pignoria in una lettera de’ 9 di novembre del 1609 a Paolo Gualdo (Leti,. if Uomini ili F en. 1744» P- 113, ec.): Fanusio Campano a che tempo vivesse, io non lo so. Uno assai antico, ch io vidi in Roma, era del Sig Alessandro l'assoni gentiluomo Modenese, e fu prima di F. Alfonso Giaccone, che lo ebbe da un tale Ciccarelli da Beva gnu Medico, che fu impiccato; era scritto in 4 ° in carta comune e carattere di qualche antichità. Il Duca di Sora ne ha un esemplare, che fu copiato da un altro del Si gonio, che non lo stimava poco. Il Principe di Massa ne ha una copia, della quale però io non so altro. Divide la sua opera in cinque libri; il primo de familiis Romanorum Illustrissimis; i tre seguenti sono de populis Illustrissimis Italiae, et de caeteris ejusdem familiis nobilissimi:»; [p. 1506 modifica]l5o6 LIBRO V ultimo de viris illustrìbus li a rum familianim; e questo basti per ora quanto al Fanusio. Anzi da una lettera di Marco Velsero allo stesso Pignoria, scritta tre anni innanzi, raccogliesi che si era trattato di fare stampare quell’opera in Augusta (ivi, p. 335). Una copia di essa era ancora nella libreria del marchese Capponi, che ora è nella Vaticana (Catal. della Lib. Capponi, p. 437). E altre copie se ne troveranno probabilmente in altre biblioteche. Or sarebbe ella questa per avventura un’ opera scritta dal Ciccarelli, e da lui spacciata sotto nome di Fanusio Campano? Ecco il mio sospetto, ed ecco le ragioni che me lo hanno destato. Un uomo che nel secolo xv scrisse un'opera delle più illustri famiglie italiane, dovea essere un uomo che avesse amicizie e corrispondenze in ogni parte d’ Italia, e noto perciò a tutti gli uomini dotti che a quel tempo viveano. Nel formare la Storia della Letteratura del detto secolo io ho letta non picciola parte degli autori che allora fiorirono, e non mi è avvenuto di ritrovarne pur uno che faccia menzione di Fanusio Campano. Aggiungasi che il nome di Campano ci persuade ch’ei fosse del regno di Napoli, e l’età a cui il Ciccarelli lo dice vissuto, è il regno di quel gran mecenate de’ letterati il re Alfonso d’ Aragona, quando cioè ivi erano il Facio, il Valla, il Panormita, e poco appresso il Pontano, e tanti altri dottissimi uomini. È egli possibile che niuno di essi abbia conosciuto il Fanusio, e che in tante opere che ci hanno lasciato, non l'abbian pur nominato una volta? Anche nel secolo [p. 1507 modifica]TERZO iSoj susseguente io non trovo chi abbia fatta di lui menzione, finchè il Ciccarelli prima di ogni altro non cominciò a nominarlo. Da lui, come si è udito poc’ anzi, l' ebbe il Ciaconio; da lui, come afferma il Velsero nella lettera sopraccitata, l’ebbe il Sansovino, che lo cita talvolta nella sua Origine delle Famiglie illustri (d Italia, e forse da lui ancora l ebbe il Sigonio, e si lasciò ingannare, come talvolta accade anche a’ grand uomini, da questo impostore. Il carattere antico, in cui il Pignoria dice ch era scritto il codice del Tassoni, non dee recar maraviglia, perchè è noto qual sia stata l abilità de’ falsarii nel contraffarlo. Aggiungasi che altronde sappiamo che il Ciccarelli godeva di fingere e di supporre non solo antichi monumenti, ma anche antichi scrittori, e ne abbiamo la pruova nel passo della lettera di Adriano Politi a Giugurta Tommasi da noi recato nel parlare degli storici di Siena. E non è perciò improbabile che questa Storia genealogica di Fanusio Campano fosse ella pure ideata, e a suo modo composta da quell’ ardito impostore, e chi sa che forse ancora più altre somiglianti Storie che dal Ciccarelli si citano, e alcune delle quali trovansi in alcune biblioteche, come quelle di Giovanni Selino, di Jacopo Corello, e d’altri di cotal pasta, non sieno esse pure lavoro del Ciccarelli, o di altri di lui discepoli e imitatori? Un diligente esame che se ne facesse da un dotto critico, potrebbe darci su ciò molti lumi (*). (*) Io avea citato l Allacci tra gli scrittori che ra[p. 1508 modifica]l5o8 LIBRO LXXXIV. Lii stona letteraria e i ultimo ramo di questa classe, di cui dobbiamo ricercar gli scrittori ch'ebbe l’Italia. Questo, a dir vero, fu ancor lungi dal giugnere a quella perfezione e a quella esattezza a cui poi è stato condotto Parecchie opere nondimeno uscirono in luce, che alla storia letteraria sono assai utili, quali son ginnano delle imposture e della morte del Ciccarelli, e ne avea ragionato sull’ altrui tede, credendo che altro non avesse fatto quel dotto scrittore che darne qualche cenno. Avendo poi saputo che un non breve Trattato avea su ciò scritto P Allacci, cercai di averlo, ma per P estrema sua rarità non ini essendo riuscito di trovarne copia stampata, per mezzo del mio amico sig. abate Francesco Cancellieri ne ebbi da Roma una copia a penna poco prima che questi fogli si stampassero. In e*sn PAllacci ragiona a lungo delle imposture del Ciccarelli, espone le arti di cui valpasi ad accreditarle, o ricorda fra le altre cose, che Alberico Cibo marchese di Massa, da noi lodato nella prima parte di questo tomo, fu un de’ primi a sospettar della fede del Ciccarelli, e a ridersi de’ monumenti che colui pioduceva. Dallo stesso Trattato io ho appreso a sempre più confermarmi nella mia idea, che Fanusio Campano sia un autore supposto dal Ciccarelli. Perciocché questi in un suo Memoriale, riferito in parte dall’ Allacci, confessa di avere di sua propria autorità posto in fronte a un libro ms. che non avea alcun nome, quello di Giovanni Seiino da lui inventato, e fatto autor di più opere. Or nell' opera del Campano si vede spesso citato il nome dello stesso Sclino, e ci si scuopre perciò, che amendue questi autori sou parti di questo impostore; o che almeno, se il Campano scrisse pur qualche cosa, il Ciccarelli ne alterò e ne forman le memorie, aggiugnendovi moltissime cose a suo capriccio, e facendogli citare autori che mai non erano stati al mondo. ** Ma delle imposture del Ciccarelli ho ragionato a lungo nelle mie Riflessioni siigli Scrittori genealogici, stampate in Padova nel 1781) »». [p. 1509 modifica]TERZO l5o9 quelle De Infelicitate Litteratorum di Pierio Valeriano, De Casibus Vironim il lustri uni di Autouniaria Oraziani, la Biblioteca Santa di Sisto da Siena, il Catalogo degli Scrittori ecclesiastici del Cardinal Bellarmino, l’opera di Antonio Riccoboni intorno l’università di Padova, il libro di Onofrio Panvinio sugli uomini illustri della città di Verona, e quello su’ Bolognesi di Bartolommeo Galeotti, la Storia degli uomini illustri di Serafino Razzi, le Vite del Cardinal Contarini, di monsignor della Casa e del Cardinal Bembo.scritte dal Beccadelli, e l’altra del Bembo scritta dal medesimo monsignor della Casa, gli Elogi del Giovio e del Foglietta, i Cataloghi e la Sferza di Ortensio Landi, ed altre opere somiglianti da noi già mentovate, nel parlare ad altra occasione de’ loro autori. Giammatteo Toscano milanese, che visse un gran tempo in Francia, ove ancora è probabile che morisse verso la fine del secolo, si accinse a scriver gli Elogi de’ dotti Italiani ch eran vissuti ne’ tre ultimi secoli, celebrando ciascun di essi prima con un epigramma, poscia con un elogio in prosa; e l’opera uscì la prima volta in Parigi nel 1578 col titolo di Peplus Italiae e fu poi di nuovo pubblicata da Giannalberto Fabricio nel 1730 nel suo Conspectus Thesauri Litterarii Italiae. Il Toscano ne inviò una copia con sua lettera a Pier Vettori (Cl Viror. Epist. ad P. Victor, t. 2, p. 129), il quale rispondendogli la onorò di molte lodi (Victor. Epist. p. 195). A lui dobbiamo ancora un raccolta di Poeti italiani che aveano scritto in latino, da lui data in luce nel 1577; ed era poeta egli stesso, benchè non [p. 1510 modifica]15 I O LIBRO de’ ]>iù colti j e ne abbiamo la traduzione de* Salmi, ed altre opere, delle quali si ha il catalogo preso rArgelali {liibi Script, mediol, t. 2, pars 1, p 1507, ec.). Delle biblioteche degli Ordini religiosi alcuni saggi si ebbero in questo secolo nelle opere del Panvinio e del Panfili agostiniani, da noi già accennate. Il P. Michele Poccianti fiorentino dell'Ordine de' Servi di Maria, e morto nel 1575, oltre una Storia del suo Ordine, e più altre opere, fu il primo a darci un Catalogo degli Scrittori fiorentini (a). Fra questi coltivatori della storia letteraria mi spiace di dover porre sotto l occhio de’ miei lettori un troppo spiacevole oggetto, cioè un di essi condennato alla galea. Ei fu Scipione Tetti napoletano, scrittore forse per questa sventura non molto noto, ma pel suo sapere degno di star co più dotti a confronto. Egli viaggiò lungamente, ed esaminando con diligenza le migliori biblioteche, formò il catalogo di molti libri non ancor pubblicati, che veduti avea ne’ suoi viaggi. Il qual catalogo non diede già egli in dono al P. Labbe, come afferma il Tafuri (Scritt. napol. t. 3, par. 2, p. 55), ma venuto (a) Agli scrittori «li Storia letteraria deesi aggiugnere il celebre Bernartlino Baldi, il quale oltre la Cronaca de’ Matematici, stampata in Urbino nel 1707, nella quale ci dà un Indice cronologico di 36(3 matematici, cominciando da Euforhio fino a Guidubaldo del Monte, avea ancora stese ampiamente in due libri le loro Vite; e da questa pregevolissima opera sono state estratte le Vite del Cominaudino, di Erone e di Vitruvio, che si hanno alle stampe. 11 ms. originale conservasi nella biblioteca Albani in lloma (V. djjfò, Vita di B. Baldi, p. 70, 200). [p. 1511 modifica]TERZO I5 I I non so come alle mani del celebre Claudio du Puy, fu poscia da Pietro e da Jacopo di lui figliuoli donato al suddetto P. Labbe, acciocchè l inserisse nella sua opera intitolata Specimen Antiquarum Lectionum, come egli fece. Nel 1555 essendo il Tetti in Roma, ove comunemente vivea, e stampandosi ivi la traduzione della Biblioteca di Apollodoro, tradotta da Benedetto Egio da Spoleti, egli vi aggiunse una erudita dissertazione De Apollodoris. Lo stesso P. Labbe attribuisce al Tetti un’opera intitolata Bibliotheca Scolastica instructissima Ialine, Gal li ce, 1 (alice, Il ispanico, A agli ce et Graece, cui dice stampata in Londra nel 1618 (Bibl. Bibliothec. p. 151), di cui io non ho altra notizia. Egli era tuttora in Roma nel i5(>o, nel qual anno scrivendo il Poggiano, così ne dice: De Tectio, minime tecto, quid quaeris? Valet, et illam suam securitatem ac libertatem reti net (Pogian. Epist. t. 2, p. 187). Queste parole c’ indicano nel Tetti una libertà di parlare che poteva essergli pericolosa, ma finallora passavagli impunemente. Ma non fu sempre così. Il de Thou, nella Vita che ha scritta di se medesimo, narra (ad anno. 1574) di aver udito da Marcantonio Mureto, che il Tetti, uom per altro dottissimo, accusato di empietà nel parlare di Dio, era stato dannato al remo, e che non sapeasi se fosse ancor vivo. Nulla più sappiamo di questo infelice erudito, il (quale probabilmente sulla galea medesima finì la vita. LXXXV. Tra gli scrittori di Storia letteraria può annoverarsi ancor un altro umor fantastico e capriccioso, cioè il Doni, a cagione delle due [p. 1512 modifica]1 5 I 2 LIBRO Librerie ch' egli ci ha date; e io prendo a parlarne ancora più volentieri, perchè assai scarse son le notizie che ne abbiamo avute finora sì dal Poccianti e dal Negri, e da altri scrittori della Storia letteraria di Firenze, che dal Bay lo e dal Marchand ne’ lor Dizionarii, dal P. Niceron (Mém, des Hom. ill. t. 33), e da più altri che n’ hanno scritto. Antonfrancesco Doni fu di patria fiorentino; ed egli in una sua lettera a M. Benedetto Volpe vanta a lungo la nobiltà della sua famiglia, di cui dice fra le altre cose con esattissima critica, che uscirono i due romani pontefici Dono I e Dono II Zucca, Ven. 1565, p. 314)- L’anno in cui nacque, non è ben noto; ma ciò dovette accadere poco dopo il principio del secolo, poichè tra le cose ch’ ei dice di ricordarsi, come avvenute a’ suoi tempi, nomina la caduta di Rodi (ivi, p. 184), che fu nel i52 2. E io credo che più precisamente si possa egli dir nato verso il 1513; perciocchè in una lettera scritta nel 1543, parlando di certe sue rime, di grazia, dice, non le date fuori, che i miei trent anni non fossero battezzati per quindici dalle genti, ec. (Lettere, p. 16, edit. yen. 1544) j e quando ei ritirossi in Arquà, cioè, come vedremo, circa il 1564, scrive che in età di cinquant’ anni avea trovato un padrone, alludendo al Petrarca, cui in quel soggiorno immaginavasi di servire (Zucca, p.259)). Il Poccianti afferma (Catal. Script. fiorent.) che il Doni in età giovanile entrò nell Ordine de’ Servi di Maria, e che poscia ne uscì. E certo l’autorità del Poccianti, religioso dello stesso Ordine, contemporaneo e concittadino [p. 1513 modifica]TERZO l5l3 del Doni, è di tal peso, che non sembra potersi atterrare da qualunque altra ragione. Ella è però cosa degna d’ osservazione che il Doni non fa mai cenno di ciò, e niuno dei suoi nimici mai non gli oppose tal cosa; anzi in una sua lettera, scritta nel 1543 a Frate Buonaventura Torrigiani, scherzando sulla vita piacevole che questi menava, dice: M è venuto alcuna volta fantasia di farmi frate, et far la vita vostra (Lettere, p. 7). Se però egli fu frate, ciò fu certamente prima dell’ anno accennato, e forse è,corso errore di stampa, ove il Zeno dice ch’egli ne uscì circa il 1547" (Note al Fontan. t. 2, p. 413); perciocchè lo stesso Doni, in un’altra sua lettera al duca Cosimo, scritta nel detto an 1543, Io sono un Prete, dice (Lettere, p. 23), che familiarmente favello con V. S. Illustrissima, et mi chiamo il Doni; sono presso a tre anni, ch io uscii di Fiorenza; et son Musico, Scrittore, dotto in volgare, et di nove per Greco; son Poeta, ch io dovea dire innanzi; et perchè mi conosciate ch io sono, oltre Cessere vassallo, affezionato, et vi vo bene, mando a V. E. un mottetto di Giacchetto Berthè ni, degno certo di venire alle mani di tal Signore; et mando a’ vostri Cantori una mia Canzone; mandovi due Sonetti composti dalla mia sprofondata memoria, scritti di mia mano et disegnati i canti, i Sonetti, et le carte. Et non pensate ch io uccelli con questi uncini d aprirvi la scarsella. Ringraziato sia Iddio: io ho tanti denari che non li posso spendei'e. Vivo di Chirieleison, et di Fidelium animae, ec. Allora dunque non era più frate il Doni, e giù Tiraboschi, Voi. XII. a3 [p. 1514 modifica]1514 ui&o ila quasi tre anni avea abbandonata Firenze, senza però che ne sappiamo il motivo. Ma egli che, scrivendo a Cosimo, si mostra sì generoso e sì nimico dell’interesse, spesse altre volte si duole della sua povertà; e in una lettera singolarmente assai poco religiosa a m. Silvestro Macchia, scritta nello stesso anno, dice (p. 27): Prima non ho un beneficio traditore al mondo, nè entrata ehm ladro: non scampàno pro defunctis; et non canto gaudeamus; et in vita mia non beccai mai un soldo nè di S. Gregorio, nè di S. Lazzaro: non scuffiai mai pagnotta, che non fosse sudata dal mio cervello; e oltre più altre cose, con le quali ci fa vedere quanto gli è grave il carattere di prete, aggiugne dicendo pur troppo vero: Se voi mi fiutaste, non so nulla di Prete; ma puzzo piuttosto di pazzo. Infatti l avidità e l’interesse erano il solo stimolo che lo moveva ad onorare or l uno, or l’altro, e a dedicare i suoi libri a coloro da’ quali potea sperar ricompensa. Egli annovera infatti i doni che avea ricevuti: un anello di venticinque scudi; una collana d’oro di venti scudi, e sette braccia di velluto dalla contessa di Bagno; venti scudi d’oro da Gianvincenzo Belprato conte d’Anversa; ventiquattro scudi d’oro dal Mendozza ambasciadore di Cesare; venti da Monsignor di Francia, e più altri da diversi nobili personaggi (Zucca, p. 28). Nè ei vergognavasi, se alcun di coloro a cui dedicava un suo libro, non gli si mostrava riconoscente, di ristamparlo scegliendo miglior mecenate. Così egli stampando nel 1552 i suoi Pistolotti amorosi, li dedica al generosissimo et [p. 1515 modifica]TERZO 1515 liberalissimo Signore Signor Marsilio Andreasio Gentilhuomo Mantovano; ma perchè egli nol provò tale riguardo a se stesso, gli diè in altra sua opera una solenne sferzata, dicendo (ivi, p. 69); M’ è bene stato spesse volte messo per le mani da certe persone mezzane alcune prospettive da fare scene da Commedie, i quali pajono quello, che non sono, come è stato l Andreasio. In fatti nel 1558 fece una nuova edizione di quei suoi Pistolotti, e li dedicò al Magnifico M. Salomone da Fano Hebreo, et uomo alla nostra età degno d’honore. E questi corrispose infatti assai meglio alle speranze del Doni (Mondi, Ven. 1567, p. 314) ed egli perciò in una lettera che poi gli scrisse (ivi p. 285), gli dice di volere a lui confidare morendo tre suoi libri, i quali s’egli avesse scritti davvero, e fossero fino a noi pervenuti, sarebbon pure la piacevol cosa a leggersi. Il primo era quello de' Debitori e dei’Creditori, in cui notava il bene e il male che avea ricevuto dagli altri, e la pariglia che ne avea loro renduta per uguagliar la partita; il secondo era il libro delle Ritrattazioni, in cui diceva di aver parlato con lode di alcuni de’ quali anzi avrebbe dovuto dire ogni male, di aver biasimato altri ch eran degni di lode, ec. Il terzo era la sua Vita, scritta, dic’egli, da un valentuomo, ma ch era probabilmente lo stesso Doni. Questi tratti ci fanno abbastanza conoscere il carattere di quest’ uomo, degno veramente dell’ amicizia dell’Aretino, di cui abbiamo due lettere ad esso scritte (Aret. Lett. l. 5, p. 312, 315) nel 1550, nella seconda delle quali il prega a [p. 1516 modifica]l5l6 LIBRO malmenare ne' suoi opuscoli un cotale, e a lodarsi poi l’un l altro a vicenda. Questa amicizia però si convertì poscia in un implacabile odio, come tra poco vedremo; dopo che avremo vedute le principali vicende della vita del Doni, e accennate le opere da lui scritte. LXXXVT. Dopo aver lasciata, come si è detto, circa il 1540 Firenze sua patria, il Doni andò errando per diverse città. Una lettera da lui scritta nel giugno del 1544 (lettere, p. 36), ci scuopre ch’ egli era stato ne’ venti mesi addietro in Genova, in Alessandria, in Pavia, in Milano, ove per qualche tempo servito avea il conte Massimiliano Stampa marchese di Soncino; e che indi era venuto a Piacenza, ove stava presso il conte Girolamo Angosciuola; e ove, come narra egli stesso, benchè già avanzato in età, per soddisfare nondimeno a’ desiderii di suo padre, studiava la legge (ivi,p. 32). Nell’anno stesso viaggiò a Como, donde scrivendo al Domenichi, Como, dic egli (ivi, p. 45), m è paruto bellissimo, il Lago divino, buoni i pesci, ottimi vini, et m ha confortato l acre frese hìssimo, et havendoci trovati tanti buoni compagni Musici, Scrittori, Letterati, et d'ogni sorte, et sovra tutto fuori di cerimonie, io vi sto molto volentieri. O belle colline piene di tutti i frutti, che sia possibile, ec. Descrive indi burlescamente il museo del Giovio, cui poscia più seriamente descrive in altra sua lettera al conte Agostino Landi (ivi, p. 47)Sul principio del 1544 andò a Venezia, singolarmente per vedervi il Domenichi, che colà si era poc’anzi recato (ivi, p. $93). Nel j545» [p. 1517 modifica]TERZO I51 7 ripatriò, e in Firenze cel mostrano e in quell'anno e nel 1547 più lettere da lui scritte (Zucca, p. 305, ec.), e ivi troviamo ch’egli aprì una stamperia (Zeno, Note al Fontan. t. 1, p. 123). Nello stesso anno 1547 ei fu per qualche tempo in Roma (Zucca, p. 311), donde è probabile che tornasse a Firenze. V enne poi di nuovo a Venezia, ove soggiornò per più anni; ed è piacevole a leggersi la descrizione ch’ei fa della miserabile stanza che ivi occupava (Libreria, Ven. 1550,p. 61, ec.). Questo soggiorno fu interrotto per qualche tempo da quel ch’egli fece dal 1554 fin circa al 1558 in Urbino, ove dal duca Guidubaldo II fu amorevolmente accolto e intei tenuto (Zeno, l. c. p. 2oy)j il qual onore però gli fu amareggiato dalla gravissima inimicizia che in quell’occasione eccitossi tra lui e l’Aretino, di cui diremo tra poco. InVenezia egli fu ascritto all'accademia Peregrina, di cui fa menzione fin dal 1550 (Libreria, p. 3, 1 1, ec.), e di cui annovera i più illustri membri, cioè Ercole Bentivoglio, Jacopo Nardi, Filippo Terzi, Francesco Sansovino, Lodovico Dolce, Giovanni Antonio Cibeschino detto ancora Domizio Gavardi, Enea Vico, Bernardino Daniello, Bernardino Feliciano, Francesco Coccio e più altri (Zucca, p. 134, ec.). Circa il i5G4 ri Lirossi in Arquà nel territorio di Padova, come ci mostra il libro, delle Pitture in Padova da lui pubblicato nel detto anno, ed or ivi, or in Monselice, luogo poco discosto, passò gli ultimi anni della sua vita, cioè fino al 1574, in cui in questo secondo luogo diè fine a’ suoi giorni. Insieme col Doni perirono quasi tulle [p. 1518 modifica]/ 15 1 8 LIBRO Fopere da lui pubblicate, delle quali assai poche n’ebbe, che dopo la morte di esso venissero ristampate; e poco danno n’ avrebbero avute le lettere, se esse non fossero mai venute alla luce. Le due Librerie, delle cui varie edizioni da lui medesimo fatte si veggano le diligenti osservazioni di Apostolo Zeno (l. c t. 2, p. 111, 112), sarebbero le più utili tra esse, se il Doni ci avesse data una esatta contezza de libri stampati e degl’inediti e dei’ loro autori. Ma egli o non fa che accennare le cose, o si stende in inutili-ciance; ed or loda, or biasima, senza che possa intendersi se ei parla da senno, ovvero per giuoco (*). La Zucca, i Marmi, i Mondi, le Pitture, i due Cancellieri, uno dell’Eloquenza, l’altro della Memoria, la Filosofia morale, la Fortuna di Cesare, i Pistolotti amorosi, ed altre somiglianti operette non son per lo più che capricci e pazzie, le quali, oltre il non recare utile alcuno, recano ancor poco diletto per le stucchevoli ciance di cui son piene, fra le quali di raro s’incontra qualche piacevol racconto. Ei volle ancora comentare il Burchiello, e mai non vi ebbe comentatore sì degno dell’autor comentato; poichè sembrano gareggiare l’uno coll’altro, chi (*) Peesi qui aggiugnere a spiegare più chiaramente ciò che appartiene olle due Librerie del l)oni, che nella prima ei ricorda quelle opere che avea vedute stampate; nella seconda solo le manoscritte. Questa distinzione ci viene additata dal medesimo Doni che nella prefazione alla seconda dice: Io feci già uruz ricolta (T Autori stampati^ et ne feci Libreria. Hora ho messo insieme, tutù i Cicalatori, che io ho veduto a penna.

[p. 1519 modifica]TERZO l^>*9

si renda più oscuro. Più utile fu il pensiero ch'egli eseguì di pubblicare le prose antiche di Dante, di Petrarca, del Boccaccio e di altri. Chi crederebbe che il Doni, le cui Lettere, per l'irreligione con cui sono distese, furon proscritte, avesse impugnata la penna a scriver contro gli eretici? e nondimeno io veggo citarsi nella Biblioteca dell’Haym (t, 2, p. 627) la Dichiarazione sopra il terzo dell'apocalissi coni in gli Eretici, da lui data in luce nel 1562. Io non l’ho veduta. Ma da un tal pazzo che potevasi aspettare in tal argomento? Io non vo trattenermi ad annoverare tutti i libri da lui pubblicati. Nella citata Biblioteca se ne ha un lungo catalogo, a cui però ne mancano alcuni rammentati da Apostolo Zeno nelle sue Note al Fontanini. E forse ciò non ostante alcuni ne sono stati da amendue tralasciati, come un libro di medaglie d’uomini illustri, ch’ei chiaramente dice di aver fatto stampare, dedicato al conte d’A versa (Zucca, p. u)4, 3ot)). Moltissime altre son poi le opere ch’ei promette di scrivere, o accenna di avere già scritte, benchè non sappiasi che sieno state stampate. Ma io non debbo qui trattenermi in cotali troppo minute ricerche. Osserverò solamente che il Doni stesso confessa la sua soverchia facilità nello scrivere, facendo dire al Bettusi in uno de’ suoi Dialoghi; I miei libri per dirvi il vero son parenti di quegli del Doni, che prima si leggono che sieno scritti, et si stampano innanzi che sien composti (Marmi, par. 1, p. 1 {o). Inoltre soleva egli ripeter più volte e rifrigger le cose stesse per far nuovi libri senza fatica. [p. 1520 modifica]i520 libro Così egli nel 1564 pubblicò le Pitture, ossia il Petrarca; c Fanno seguente ristampando la sua Zucca, formò coll opera stessa il quinto libro, ossia il Seme della Zucca. Così ancora e la Libreria, e la Zucca, e i Mondi furon più e più volte da lui ristampati, or aggiungendo, or togliendo, or trasfondendo in un’opera ciò che prima era in un’altra; anzi il Doni ebbe talvolta coraggio di far sue le opere altrui, per-, ciocché egli pubblicò sotto suo nome una traduzione italiana delle Lettere di Seneca, la quale, trattine alcuni leggieri cambiamenti, è la stessa che quella che fin dal 1494 avea pubblicata in Venezia Sebastiano Manilio, come afferma Apostolo Zeno di aver conosciuto con esatto confronto (l. c. p. 224). E forse più altre di cotali magagne troveremmo nell’opere di questo bizzarro cervello, se potessimo farne un più diligente esame, il qual non è proprio di questa Storia. LXXXVn. Due fieri ed arrabbiati ni mici ebbe il Doni, de’ quali prima era stato amicissimo, Lodovico Domenichi e Pietro Aretino. Il primo può appartenere a questo capo pe’ molti storici da lui tradotti in lingua italiana. Il secondo ha più diritto ad aver luogo nella storia degl’ impostori, che in quella de’ dotti; ma nondimeno in un’ opera che dee comprender le vicende della letteratura, ei non può esser dimenticato. E qui perciò direm di amendue. Il Domenichi, secondo il Ghilini (Teatro de Letter. t. 2, p. 285, ec.), fu figliuolo di Giampietro Domenichi notaio e procuratore assai riputato in Piacenza; e perciò per volere del [p. 1521 modifica]TERZO l5ai padre dovette applicarsi alle leggi; ma egli se ne annoiò, benchè in esse avesse avuta la laurea dottorale, e tutto si diede alla’ amena letteratura, come raccogliam da una lettera a lui scritta dal Doni (Doni, Lett. p. 32) nel 1543. Verso la fine dell’ anno stesso da Piacenza passò a Venezia, e il Doni, che avealo conosciuto in Piacenza e qui si era rimasto, scrivendogli il primo dì del 1544 gli dice: Tutto dì la brigata... strabilia a vedermi solo armeggiare per queste vie.... Eccene qualch uno che dice: il Domenichi, che ne? si studio, risponde la mia riverenzia, a Vinegia; et tornerà quando Dio vorrà, ec. (Dialoghi, p. 342, ed. Ven. 1562). Di questa sua partenza, e de’ viaggi diversi che fece, parla lo stesso Domenichi in un suo Dialogo colla Fortuna, nella quale scuopre egli pure il suo animo nulla meno interessato di quel del Doni, e il poco frutto che pareagli d’ aver finallora da’ suoi studi raccolto: Prima io ho dato opera agli studi delle buone Lettere con grandissima difficultà, quanto alcun altro del nostro tempo, et non altrimenti, che s’ io fossi stato sbandito, et scacciato fuor della patria mia, sono ito per lo mondo in grandissima povertà con pericoli et travaglii, et talhora con gravissime malattie (p. 345). Poco appresso soggiugne ch’ era stato cinque anni interi alla corte, cioè, come poscia spiega (p. 352), a quella del duca Cosimo, ov era tuttora. Questi Dialoghi furono stampati nel 1562, e perciò sembra che il Domenichi entrasse al servigio di Cosimo circa cinque anni innanzi. [p. 1522 modifica]I D22 LIBRO Assai prima però il troviamo in Firenze; perciocchè la dedica con cui egli offre ad Antonio Altoviti la sua traduzione di Paolo Diacono, è segnata in questa città agli 11 dicembre dell!an 1547 1547- fu infatti "in Firenze il soggiorno ordinario di questo scrittore, benchè talvolta ei viaggiasse ad altre città. Così egli narra di essere stato in Urbino nel 1555, e di avervi avuta gratissima accoglienza dal duca Guidubaldo II (ivi p. 221); il che fu probabilmente per offerire a quel principe la traduzione delle Vite di Plutarco, stampata in quell’ anno, e a lui dedicata. Così ancora la dedica de’ suddetti Dialoghi a M. Vincenzo Arnolfini è scritta da Roma a 20 di marzo del 1562. Il Zilioli, citato da Apostolo Zeno (Note al Fontan. t. 2. p. 300, ec.), racconta che il Domenichi fu dalla Inquisizione arrestato in Firenze; e convinto di non so quali delitti, benchè da lui non mai confessati, fu condennato a perpetuo carcere nelle Stinche, donde poi il duca Cosimo, ad istanza del Giovio, il fè’ liberare. Ma questo scrittore non è di tale autorità che basti a persuaderci una cosa da tutti gli altri ignorala (a). Se il Domenichi ebbe qualche 1110(a) Cih che accenna il Zilioli della condanna del Domenichi fatta dalla Inquisizione in Firenze, è certo, e il sig. Galluzzi ne ha pubblicata la sentenza preceduta dalla Relazione che i commissarii ne diedero al duca Cosimo: Lodovico Dqme nielli persona Letterata di trentotto anni in circa ha tradotto di Latino in volgare la Nicomediana del Calvino, è stato assistente sempre alla stampa e a correggerla. L’opera è disonestissima, [p. 1523 modifica]terzo • i5a3 lestia, io crederei anzi ch' ella movesse dal duca stesso, come aderente all iuiperador Carlo V, e che la trama fosse ordita dal Doni che, dopo essere stato amicissimo del Domenichi, contro di lui scatenossi furiosamente. Fra le molte lettere scritte dagli eruditi Italiani a D. Ferrante Gonzaga, che si conservano nell archivio di Guastalla, e che dal P. Ireneo Affò, da me più volte lodato, mi sono state comunicate, ne ha una a lui scritta dal Doni a 3 di marzo nel 1548& da Firenze, e piacemi qui riportarla, perchè si scuopre l epoca della rottura tra questi due scrittori, che il Zeno crede avvenuta nel 1550 (l. c. t. 1, p. 195). Sempre dovrebbono essere uniti tutti i membri con il buon capo; però se ne fu mai alcuno bonissimo, la maestà di Carlo V è uno di quelli, al quale io sono devotissimo servitore, et per esaltazion sua vo giorno e notte investigando, come io possi mostrarmi grato et a Sua Maestà et a chi fa per l honor di quella honorate imprese. V. Eccellenza debbe adunque e stampala in Firenze sotto il titolo e. nome di Basilea falsamente, e per questo egli e sospetto di eresìa, benchi' lui m'eghi aver mai tenuta opinione cattiva. Primo abjiirarc debet tarnquam vehementer suspeetus, drfcirns ad collum unum ex libris ab co tradire lis, inox condcinnari debet ad eareeres per deccm annos, itisi major vel minor paena videatur i/iiponenda, quia ficit contrct ieges V. K re. super impressione. I curiosi raccoglitori «li rari opuscoli potranno cercare di scoprir qualche copia di questo a me sconosciuto libro. Convien però dire che il duca sottraesse il Domenichi al gastigo, o che almeno esso fosse di assai più breve, durata (Stor. del Oran Ducalo di Tose. I. i, r. M). [p. 1524 modifica]l5a4 • LIBRO sapere, come un Lodovico Domenichi Piacentino è uno de grandissimi traditori, che va di per il mondo, et per quel ch io posso comprendere, teneva già mano con un fuori uscito o rebelle del Duca di Piacenza trattato contro sua Maestà; come per questa inclusa V. S. potrà immaginarsi, il qual rubelle doveva havere ottenuto grazia, se faceva qualche tradimento, come si può congetturare per questa lettera, la quale è scritta di mano del Secretario detto Anton Francesco Rinieri. Che questo Lodovico Domenichi sia nemico di Sua Maestà Cesarea, n apparisce un Sonetto (perche è Poeta) stampato, del quale io ne mando la copia, et che sia nemico di V. S. Illustrissima è chiarissimo (ancor ch una candela non può fare ombra al Sole) perchè ha fatto un altro Sonetto contro a Mantova, dove già dovette esserne cacciato per qualche sua bontà; ma più tosto credo, ch egli tenga odio particolare a V. S. perchè i suoi Ministri di Giustizia appiccarono a i merli di Pavia, dico del Castello, un fratello di questo Lodovico; però il mal huomo, cattiva lingua, et peggi or Jalti, tratta di tornare a Piacenza, dove io penso, che non ci sia bontà nessuna in lui, perchè la vigilia del Carnovale andò a Roma, et subito tornò. V. S. Illustrissima veggia queste cose, et le tacci seguendo l orme e i vestigii di questo tristo, acciò che non venisse in danno qualche cosa o in vitupero di Sua Maestà, o del suo stato. La prego bene a non li far dispiacere, et perdonarli, piuttosto scusandolo appassionato che maligno. V. S. Illustrissima l [p. 1525 modifica]terzo i5a5 mi perdoni, s io havessi favellato con poca riverenza, et incolpatone l' amore ch io porto alla Cesarea Maestà, et alla servitù ch io tengo con tutti i personaggi pari a V. S. Illustrissima, alla quale humilmente m inchino, et le bacio la mano. Di Fiorenza alli 3 di marzo 1548. Humil. Serv. Anton Francesco Doni. Siegue poi la lettera accennata; ma in essa molte parole sono rare per modo, che non si può rilevarne il senso; e alla lettera si aggiungono i due sonetti, un contro Mantova, l’altro contro Carlo V, che tra le Rime del Domenichi si hanno alle stampe (Ed. Giolit. p. 36, 43). Qual effetto facesse nell’ animo di D. Ferrante questa lettera del Doni, non ne abbiamo notizia. Forse questi veggendo che invano avea scagliato quel colpo, si rivolse a Cosimo, e a lui accusò per somigliante modo il Domenichi; e forse questi perciò trovossi in qualche pericolo. Ma ei dovette o purgarsi felicemente, o ottenere il perdono, poichè veggiamo che continuò a vivere in quella corte. Sembra però, che il Doni seguisse a mostrarsi amico al Domenichi, e che solo nel 1550 cambiasse pubblicamente maniera e stile. Perciocchè, come osserva il Zeno (l. c. p. 195), avendo il Doni in quell’ anno fatte due edizioni della prima sua Libreria, nella prima fece menzion del Domenichi, e delle opere di lui finallor pubblicate; nella seconda ne cancellò del tutto il nome. E oltre di ciò l’ anno seguente, stampando la sua seconda Libreria, lo indicò per via d’ anagramma, e lo sferzò crudelmente [p. 1526 modifica]15a6 libro come ignorante, plagiario e correttore superbo dell’ altrui opere. Io rifletto però, che anche nella prima edizione della prima Libreria ei non fece che nominare il Domenichi. e accennarne alcune opere, senza alcuno di quegli elogi de' quali con altri ei soleva essere liberale. D’ allora in poi non lasciò il Doni passare occasione alcuna in cui non pungesse e non maltrattasse il Domenichi; e varii passi se ne posson vedere raccolti e citati dal suddetto Zeno (ivi ep. 224), a’ quali io dubito che debba aggiugnersi un passo de Marmi, stampati nel 1552, in cui il Doni descrive e deride un corale (Par. 3, p. 85) che non è altri, a mio parere, che il Domenichi stesso. Il Zeno crede ch’ essi poscia si riunissero in amicizia, e il congettura al vedere che nella ristampa delle Librerie del Doni, fatta nel 1557, vi è non solo il nome, ma il ritratto ancor del Domenichi. Ma se essi allora si riconciliarono, divennero presto nuovamente nimici, e nel 1562, quando il Domenichi stampò i suoi Dialoghi, in quel della Stampa si rivolse con furor contro il Doni. E qui ci si offre uno de’ più strani aneddoti che nella storia letteraria s incontrino, e che non è stato, ch’ io sappia, avvertito da alcuno. Questo Dialogo del Domenichi è tolto interamente dai' Marmi del Doni (par. 2, p. 5), stampati fin dal 1552, ove s’introducono i personaggi medesimi clic $ introducono dal Domenichi, e dicono le stesse cose e colle stesse parole dal principio fin alla fine, trattone qualche leggerissimo cambiamento, come io ho conosciuto confrontandogli attentamente tra loro. Il solo ardire di usurparsi [p. 1527 modifica]TERZO una cosa di autor vivente e nemico, già data alla luce, sembra incredibile. Ma ciò è nulla. Il Domenichi in questo Dialogo, rubato interamente al Doni, ha il coraggio d’inserire tre fiere invettive contro il Doni medesimo (p. 381, 384 » 390), nelle quali fra le altre cose gli rinfaccia i plagi da lui commessi, e quello principalmente della traduzione delle Lettere di Seneca da noi già accennata. Or chi mai crederebbe, se il fatto stesso non ce ne convincesse, che esservi potesse sì ardito insieme e sì pazzo scrittore, che nell’ atto stesso ch ei fa un solennissimo furto, chiamasse ladro colui a cui egli ruba? Ma più ancora. Il Doni, che tanto avea pria malmenato il Domenichi, non si risente contro di lui, e non mostra al pubblico la sfacciata impudenza del suo avversario. Certo io non veggo che il Doni, il quale continuò a vivere e a stampare per più anni, facesse mai cenno di tale furto. Io confesso che non so intendere una condotta da amendue le parti sì strana e sì misteriosa. Il suddetto plagio però non fu il solo di cui fosse reo il Domenichi. La Progne, tragedia sotto suo nome da lui pubblicata, non è altro che la traduzione della tragedia latina del medesimo nome di Gregorio Corraro, come dopo altri ha provato il P. degli Agostini (t 1, p. 1 28). Della Storia de’ detti e de fatti di varii Principi, detta ancora Storia 'varia, i primi due libri non sono che una traduzione dell’ opera di Antonio Panormita de’ detti e dei’ fatti del re Alfonso. Moltissime sono le traduzioni da lui fatte di antichi scrittori greci e latini in [p. 1528 modifica]i5a8 Liimo lingua italiana, come di Senofonte, di Polibio, di Paolo Diacono, di Luciano, di Boezio, di S. Agostino e di più altri, e di varii latini moderni, cioè del Giovio, dell’Alberti, del Gii aldi, del Giustiniani, ec. Di quelle ch’ io ho potuto confrontare con altre versioni, niuna ne ho veduta che possa dirsi dal Domenichi tolta ad altri ed usurpata. Ma a me sembra ciò non ostante, paragonandole insieme, che molto di esse si valesse il Domenichi, il quale quasi niuna cosa tradusse, parlando di libri antichi, che da altri non fosse già stata tradotta; e io dubito assai ch ei non sapesse punto di greco \ almeno ei non dà mai indicio di cognizione che avesse in quella lingua. Le traduzioni però del Domenichi sono pregevoli per lo stil facile e chiaro, e non senza eleganza, con cui sono distese. Delle altre opere di questo scrittore, e di quelle di altri da lui o raccolte, o migliorate, o corrette, si può vedere il catalogo nella nuova edizione della Biblioteca dell Haym. Egli morì nel 1564, come dimostra il Zeno (Note al Fontan. t 1, p. 99), e ciò avvenne in Pisa, se crediamo al sig. Domenico Maria Manni (Stor. del Decam. p. 2i5) (a). (a) Della vita e delle opere del Domenichi più copiose e più accertate notizie si posson ora vedere nelle Me mone per la Storia di Piacenza del ch. sig. Proposto Poggiali (t. 1,p. 221), le quali però comunemente combinano con ciò che qui se n è detto. Solo non avendo egli forse veduta in tempo la Storia del sig. Galluzzi, e l’ autentico monumento da lui prodotto della prigionia del Domenichi, ha mostrato di dubitare alquanto del libro che dicesi da lui tradotto. Ei vorrebbe inoltre [p. 1529 modifica]terzo 1529 LXXXVm. Dell’altro implacabile nemico del Doni, cioè di Pietro Aretino, ci ha data una Vita sì esatta e sì piena di belle ricerche il conte Mazzucchelli, che non giova l intraprender nuova fatica a tal fine. Il primo pregio di questo pazzo impostore fu l’ esser bastardo, perciocchè ei nacque in Arezzo da Luigi Bacci e da una cotal Tita. donna non sua, la notte tra’ 19 e 20 d’ aprile del 1492. Checchè si dicano alcuni de’ primi studi dell’ Aretino nel tempo ch’ ei trattennesi in patria, e poscia in Perugia, è certo ch’ ei nulla seppe nè di latin nè di greco, com egli stesso confessa in più passi delle sue opere, citati dal conte Mazzucchelli. Per parecchi anni andò spesso scambiando soggiorno, ora in Mantova, ora in Arezzo, ora in Roma, donde fu due volte cacciato, la prima per ordin del papa Clemente VII, in gastigo degli osceni sonetti da lui composti su certe più oscene figure di Giulio Romano, la seconda per cinque ferite ch’ egli ebbe nel petto da Achille della Volta gentiluom bolognese suo scusarlo del delitto di plagio riguardo alla Progne, e si lusinga che in fronte o in line del libro egli avesse posta qualche dichiarazione che ne indicasse il vero untore, e eli’essa fosse poi senza sua colpa ominessa. Ma la lettela dedicatoria che il Domenichi vi premette al Cardinal Giannotto Castiglione, toghe ogni luogo a questa scusa; perciocché ei ne parla come di cosa sua; e la dire la mia Progne, senza dare alcun cenno del vero autore Lgli si sforza ancor di difendere il Domenielli dall* altra accusa di plagio riguardo ul Dialogo della Stampa; e io desidero che le ragioni eh' egli ne adduce sembrino convincenti. Tir aboschi, frol. XII. 2.4 [p. 1530 modifica]l53o LIBRO rivai nell1 amore verso la cuoca ilei datario (liberti, nella qual occasione il Berni scrisse contro di lui quel famoso sonetto: Tu ne dirai e farai tante et tante, ec. Finalmente nel 1527; fissò la sua dimora in Venezia, che fu poi l ordinario soggiorno dell'Aretino, trattone qualche viaggio ch ei fece, e fra essi quello di Roma, quando fu eletto pontefice Giulio III; nella qual occasione costui lusingossi di avere il cappello di cardinale su quella testa, a cui il solo ornamento che convenisse era una mitera infame. E veramente non vi ebbe mai uomo che a tanta ignoranza di lettere, a tanta viltà di animo, a tanta prostituzione di costumi unisse tanta prosunzione e tanta alterigia. Lo stile dell’Aretino non ha nè eleganza, nè grazia alcuna anzi a me pare ch ei sia stato uno de' primi a usare di quelle ridicole iperboli e di quelle strane metafore che tanto poi furono in uso nel secol seguente. E siane in pruova un sol tratto nel quale egli, parlando dei’ suoi Capitoli in terza rima, dice: In essi, che hanno il moto del Sole, si tondeggiano le linee delle viscere, si rilevano i muscoli delle intenzioni, e si distendono i profili degli affetti intrinsechi (Lett. t 6, p. 4). E ciò dee intendersi ancor delle rime, nelle quali egli è ugualmente poco felice) perciocchè, comunque scriva talvolta con forza e con estro, raro è ch ei si sostenga colla gravità e coll eleganza nel verso; e una certa facilità che si vede ne suoi Capitoli, è effetto più della natural sua inclinazione a dir male, che di studio da lui fatto in quell arte. Qual sia poi la dottrina e l erudizione che in tali [p. 1531 modifica]TERZO 1531 opere «'incontra j ognun può immaginarlo al riflettere che chiusi erano all’Aretino que’ fonti ai’ quali poteva attingerla. Io certo non ho mai veduti libri sì voti ed inutili, come quelli di questo impostore. Alla profonda ignoranza fu uguale la viltà dell’animo nell’Aretino, il cui unico scopo in tutto ciò ch’ egli scrive, si vede essere l’ interesse e il guadagno. Quindi il rammentare scrivendo ad alcuno i doni che da altri avea ricevuti: quindi l adular bastantemente tutti coloro da’quali potea sperar ricompensa, e volgersi con dispetto contro di quelli che o non gli facean provare la loro riconoscenza, o gli erano men liberali di quello ch’ egli sperasse. Quali poi fossero i costumi dell’Aretino, abbastanza cel mostrano le sue opere stesse, ove oltre le oscenità che vi sono a larga mano per entro sparse, si veggon ancor nominate e le donne con cui vivea, e le figlie che n’ ebbe; ed egli innoltre vi si scuopre uomo senza principio alcuno di probità e di religione; e se talvolta ei si mostra compunto e ravveduto de’ suoi errori, tra poco torna all’ usate sue empietà. Or un uomo tale, che appena avrebbe dovuto osare di mostrarsi al pubblico, non ebbe mai forse chi lo uguagliasse in prosunzione e in arroganza. Veggasi com' egli parla di se medesimo, come si usurpa i titoli di divino, di scopritore delle virtù e de’ vizii, d’uomo per divina grazia libero, ec. Ei giunse fino a far coniare medaglie in sua lode, e a mandarle a diversi principi, e tra essi al re di Francia. Io confesso che nello scorrer che ho fatto le Lettere di questo sfacciato impostore, [p. 1532 modifica]l53u LIBRO appena io poteva contenere in me stesso lo sdegno al vedere sì strana impudenza. Ma ciò che più mi sorprende, si è il vedere che una gran parte de principi d Europa, e una non piccola schiera di dotti Italiani non si arrossì di umiliarsi innanzi a costui, e di rendergli obbrobrioso tributo o di doni, o di lodi. Collane d’ oro, somme notabili di denaro, pensioni annue, presenti notabili di varie sorti, continuamente gli venivano da varie parti, sicchè egli confessa che nel corso di diciott’ anni avea da diversi principi avuti fino a 25 mila scudi (Lett. t. 3, p. 70). Il più leggiadro si è che cotali sì ricchi doni faceansi all’Aretino, perchè egli superbamente intitolandosi Flagello de Principi, pareva che volesse lor minacciare il suo sdegno, e il biasimo delle loro azioni ne suoi libri; e nondimeno non vi ebbe mai il più sordido adulatore de’grandi; nè trovasi in tutte le opere di esso una sola parola contro qualche sovrano. Le lodi poi a lui date dagli uomini dotti, l onore a lui fatto da alcune accademie coll’ ascriverlo tra’ loro socii, le opere a lui dedicate da molti, di tutte le quali cose ampiamente ragiona il conte Mazzucchelli, ci mostrano fin dove possa giugnere una fanatica adulazione; nata in alcuni dal desiderio d’ essere somigliantemente da lui lodati, in altri da un vil timore di essere da lui punti co suoi satirici libri. Vero è nondimeno che le pensioni, i donativi e le lodi furono in parte amareggiate dalle ferite e dalle bastonate in buon numero, delle quali fu più volte onorato da chi volle far conoscere all Aretino che [p. 1533 modifica]TEMO l 533 punto non temea la sua maldicenza. Quindi Traiano Bocca lini il chiamò calamita de' pugnali e de bastoni, dicendo che con questi gli ingegni così pronti di mano, com egli di lingua, di modo gli aveano segnata la faccia, il petto, e le mani, che sembrava una lineata carta da navigare (Ragguagli, cent. 11, n. 98). Altri invece de’pugnali usaron la penna, e ne fecero ne’loro libri tali pitture, ch’egli ebbe ad impazzirne per rabbia. Niccolò Franco, degno per altro più dell" amicizia che dell’ odio dell’Aretino per la somiglianza de’ lor costumi, Girolamo Cassio, il Berni, Gabriello Faerno, Girolamo Muzio, il famoso poeta Albicate nulla meno superbo dell’Aretino, chi in prosa, chi in versi, chi satiricamente, chi seriamente scrissero contro di lui. Ma più fieramente di tutti contro di lui si rivolse il Doni. L’ origine della nimicizia fra questi due pazzi fu il consiglio che a dispetto dell’Aretino prese il Doni di stabilirsi nell 1555 alla corte del duca d’ Urbino. L'Aretino gli scrisse perciò una insolentissima lettera, e il Doni, che non era uomo a cedere in nulla al suo avversario, pubblicò nel 1556 un libro col titolo: Terremoto del Doni Fiorentino colla rovina di un gran colosso bestiale Anticristo della nostra età, opera scritta ad onor di Dio e della Santa Chiesa per difesa non meno de' buoni Chris ti ani, divisa in sette libri: Libro primo. La prefazione è diretta al vituperoso, scellerato et d'ogni tristizia fonte et origine Pietro Aretino membro puzzolente della pubblica falsità, et vero Anticristo del secol nostro. Questo saggio ci fa [p. 1534 modifica]1534 LIBRO abbastanza conoscere lo stile e il modo con cui quest’opera è scritta. Al Terremoto, che forma il primo libro, sei altri dovean succedere, che sono indicati dietro al frontespizio, cioè, la Rovina, il Baleno, il Tuono, la Saetta, la Vita, la Morte, e le Esequie e la Sepoltura. Ma forse la morte dell'Aretino. poco appresso avvenuta, ne fece deporre al Doni il pensiero. Il conte Mazzucchelli osserva che il Doni fin dal 1552 avea nella sua Zucca mentovate fra le sue opere non ancor pubblicate le tre invettive, cioè Baleno, Tuono, et Saetta, ma senza indicare contro chi fossero scritte. e perciò congettura che o esse fosser prima contro qualche altro rivolte, o che la nimicizia del Doni coll’Aretino avesse principio sin dal 1552. Io aggiungo di più, ciò che il conte Mazzucchelli non ha avvertito, che il Doni ne’ suoi Marmi, stampati nello stesso an 1552, parla di queste stesse invettive; perciocchè finge Marmi, par. 2, p. 93) che Baccio dal Savaiuolo chieda a Giuseppe Betussi qual libro è quello che vedegli tra le mani, scritto in Hebreo, Greco, Latino, Tedesco, Spagnuolo, Francese et Toscano; e facendo il Betussi qualche difficoltà di mostrarglielo, lasciatemi leggere, dice Baccio, il titolo almanco: Il Baleno, il Tuono, et la Saetta del Mondo nuovo; questa de,hi)' essere una bizzarra materia; e preso per le mani il libro, ne legge alcune stanze, nelle quali descrivesi l’anima di Rodomonte che scendendo all' Inferno fa alle pugna col barcaiuolo Caronte, e seco lo trascina nel fiume; e interrompendo una volta la lettura di [p. 1535 modifica]TERZO 1535 tali stanze, le non possono essere, dice Baccio, se non dell'Aretino. Oh che spirito hanno elleno! Ed esse sono infatti dell’Aretino, e tratte dal primo canto della Marfisa, ma con alcuni cambiamenti, che le rendon migliori, benchè esse pur sieno una delle migliori cose ch’ egli abbia scritte. Finalmente il Betussi, vedendo alcuno accostarsi, toglie il libro di mano a Baccio, avvertendolo a non parlarne, sinchè nol vegga stampato. Or questo ancora è un nuovo e per me inesplicabil mistero. Il Doni nella Zucca, stampata nel 1552, nomina, tra le sue opere non ancor pubblicate, // IìalenOj 7 'nono } et Saetta. Ne’ Marmi nell’anno stesso stampati parla di queste stesse invettive, e ne dà un saggio. E questo saggio, come accenna lo stesso Doni, è tolto da un' opera dell’Aretino, la qual però ha tutt’ altro titolo che quello che le dà il Doni. Innoltre il Doni ci rappresenta quest’ opera come non ancor pubblicata, e della Marfisa dell’ Aretino erano già seguite parecchie edizioni che dal conte Mazzucchelli si annoverano. Così qui ancora tutto è oscuro; e trattandosi di due solennissimi pazzi, quali furono l’Aretino e il Doni, non possiamo sperare di vedere sì facilmente sciolto l' enimma e spiegati i motivi della strana loro condotta. Il catalogo di tutte l’opere dell’ Aretino si può vedere esattissimo presso il conte Mazzucchelli. Le Commedie in prosa e molte delle Poesie da lui composte sarebbono men ricercate da alcuni, se fossero meno oscene. I sei tomi di Lettere da lui scritte, e i due di quelle d’uomini illustri scritte a lui stesso. e da lui [p. 1536 modifica]l536 LIBRO medesimo divolgate, appena trovan lettori trattine que’ che vi cercano qualche notizia di que’ tempi (a). Quanto però alle seconde, il conte Mazzucchelli assai fondatamente sospetta che almeno in gran parte sieno esse state o finte, o alterate dall’Aretino. Una penna ravvoltasi fra tante sozzure ebbe ancora l’ ardire di volgersi a cose sacre, e di scriver Vite, Leggende, parafrasi di Salmi, ec., o perchè ei cercasse, con queste di ottener grazia ancora presso gli uomini pii, o perchè talvolta un passeggiero rimorso gli rimproverasse l’ abuso che fatto avea del suo ingegno. Ma checchè altri ne dicano, esse sono e sì infelicemente scritte, e alcune ancorasi piene d’errori, per cui sono state giustamente dannate, che ben si conosce che non era questo il campo che dovesse essere da lui coltivato. Alcuni hanno a lui attribuito il troppo famoso libro De tribus impostoribus, di cui tanto controvertono (a) 11 sig. abate Denina lia osservato che l’Aretino vantossi di essere stato il primo a pubblicar lettere scritte nella volgar nostra lingua; e eh’ei veramente fu il primo (Discono sopra le 1 icende della Letter. Berlino, 1*84, t. 1, p. t.5o). Se ciò è vero, convien confessare che noi cominciammo in ciò assai male. Nè credo che possa negarsi eh’ ei fosse il primo a dare alla luce le sue proprie Lettere italiane. Erasi nondimeno avuto un Formulario di Lettere.stampato in Bologna nel i485, e in Milano nel 15oo, e un altro Formulario di Lettere volgari di Cristoforo Landino stampato in Firenze nel 1 5i6, e quelVFpi.itolarc di Mario l' ilelfo, che sulla non troppo sicura testimonianza del Beughem accenna il Sassi (Ilio. Typogr. meclìol. p. 586,), stampato in Milano nel lABq e nel 1.io5, se pure esso è in Inigua italiana. [p. 1537 modifica]TERZO 153*7 gli eruditi, se abbia mai avuta esistenza. È certo che ora esiste un libro così intitolato, e ne ha copia fra gli altri il eli. sig. Pici’ Antonio Crevenna, il qual ne parla nel primo Catalogo della sua sceltissima libreria (t. 1, p. 1). Nell estratto che di esso si è dato in questo Giornale di Modena (t. 11, p. 199), se n è indicata qualche altra copia, e si è mostrano che, benchè porti la data dell an 1598, esso fu probabilmente stampato un secolo, o forse anche un secolo e mezzo più tardi. Io inclinava a credere che allor solamente fosse stato stampato un tal libro, benchè se ne parlasse fin da tempi di Federico II. Ma un passo dell’ Opere del famoso Campanella mi par troppo forte per dimostrare che questa infame operetta era stampata prima della metà del secolo xvi. Egli racconta (in Praef. Atheism. trium-y Ph.) che tra1 delitti che a sè furono apposti, uno fu quello di avere scritto il libro De tribus Impostoribus. Or come risponde egli all accusa? Risponde dicendo che il libro era stampato trent anni prima ch' egli nascesse: Al cusarunt me. quod composuerim librum de tribus Impostoribus, qui tamen invenitur typis excusus annos tri gin ta ante ortum meum ex utero matris. Questa sì franca maniera di favellare mi pare una evidente pruova dell esistenza del libro. Se il Campanella avesse saputo che tal libro non era stampato, avrebbe sfidato i suoi accusatori a produrne copia. Ma egli non solo nol nega, ma espressamente afferma ch è stato stampato, e ne fissa l'epoca, cioè trent' anni prima ch'egli nascesse, cioè [p. 1538 modifica]|538 LIBllO niranno i538, poiché egli era nato nel 1568. Quest’ epoca cade appunto a’ tempi dell’Aretino 5 e fra molti a cui quel libro si attribuisce, parmi che ei sia quegli per cui le probabilità sian maggiori. È vero ch' ei non sapea di latino. Ma chi ci assicura ch’ esso fosse scritto in tal lingua,? Il Campanella scrivendo in questa lingua, potè latinizzare il titolo di un’ opera italiana. Se poi il libro che allor fu stampato, fosse il medesimo con quello di cui ora si hanno copie, io non ho argomenti a deciderlo. A me sembra però, che il moderno non sia steso secondo il pensar dell’Aretino. LXXXIX. Dalla storia letteraria non dee disgiugnersi la storia delle Belle Arti, la qual pure ebbe nel corso di questo secolo non pochi illustri scrittori. La Vita di Michelagnolo Buo11 arruoli scritta da Antonio Condivi, quella di Benvenuto Cellini scritta da lui medesimo, varie opere di Giampaolo Lomazzo, di cui altrove si è fatta menzione, la lettera di Giambattista Adriani sopra gli antichi Pittori, e il Riposo di Rafaello Borghini, in cui molte cose contengonsi dell’arte e degli artefici più rinomati, appartengono a questo luogo. Ma io che mi affretto a por fine a questo si lungo capo, sarò pago di ragionar solamente della celebre opera di Giorgio Vasari, il quale fu il primo che una intera e diffusa Storia ci desse di tutti i moderni Professori delle Belle Arti. Ei ci ha parlato sì a lungo e si minutamente di se medesimo, che non ci fa d’uopo l’affaticarci per averne altronde notizia (f Ite de’Pitt. t. 7, p. 182, ed.Fir. 1772). Nato in Arezzo nel 1512, ebbe [p. 1539 modifica]TERZO *53« J Ira gli altri a maestri Luca Signorelli, Michelagnolo Buonarroti e Andrea del Sarto. Il Cardinal Ippolito de Medici, il pontefice (Clemente VII e il duca Alessandro l ebbero successivamente a loro servigi. La morte del duca gli fece prender risoluzione di più non legarsi ad alcun servigio di corte, benchè pure venisse non poche volte adoperato e da' gran duchi successori di Alessandro, e da'romani pontefici, e da altri cospicui personaggi in opere d’architettura e di pittura; poichè in amendue, e nella prima singolarmente, ebbe gran nome. Egli ci ha data la relazione di tutto ciò ch'egli fece in Firenze e in Arezzo e in Pisa e in Venezia e in Bologna e in Roma e in più altre città; ma ciò non appartiene all argomento di questo capo, in cui io debbo esaminare solamente l opera storica che da lui abbiam ricevuta, cioè le Vite de’ più eccellenti Pittori, Scultori ed Architetti, la prima edizione delle (quali si fece in Firenze nel 1550 in due tomi, e poscia la seconda in tre tomi nel 1568, oltre le più altre che vennero appresso, e quelle singolarmente più recenti e più copiose di Roma e di Firenze. L’opera del Vasari è sempre stata ed è tuttora in gran credito presso i dotti e per le molte notizie che vi si trovan raccolte, e per le utili riflessioni sull' arti di cui ragiona, e pei progressi delle medesime, che viene seguitamente sponendo. Due tacce si danno al Vasari. La prima è di aver commessi non pochi errori di fatto nel tesser le Vite de Pittori e degli Scultori de secoli addietro. Ma da questo difetto era troppo difficile ch’ ei potesse guardarsi; perciocché [p. 1540 modifica]iS.fo LIBRO poco essendosi finallora scritto su questo argomento, egli era costretto a seguire le tradizioni popolari, che appena mai vanno disgiunte da errori. L’altra accusa più grave, e da cui più difficil cosa è il purgarlo, si è quella di aver esaltati con ampii elogi i pittori ed altri artisti toscani, e di avere o passati sotto silenzio, o lodati più parcamente gli stranieri. Quindi è avvenuto che parecchi scrittori napoletani, bolognesi, veneziani e di altre città han pubblicate le Vite degli Artisti della lor patria per supplire all’ommission del Vasari. Nella prefazione dell’edizion romana dell’opera di cui parliamo, si dice che fu effetto dell'amor della patria, da cui era compreso il Vasari, l’occuparsi singolarmente nell’ illustrar la memoria degli artisti toscani, e che l'amor della patria non fu mai creduto vizioso. E veramente se il Vasari avesse preso soltanto a scriver le Vite dei’ suoi nazionali, niuno gliene potrebbe fare un rimprovero. Ma poichè egli volle scriver generalmente di tutti i professori dell'arte, pareva ch’egli dovesse, senza sminuir punto le glorie de suoi, rammentare ugualmente quelle degli stranieri. Oltre quest’opera, abbiam del Vasari un Trattato della Pittura, e i Ragionamenti sopra le invenzioni da lui dipinte in Firenze nel palazzo de’ Medici, e l’Apparato per le Nozze del principe D. Francesco. Egli morì nel 1574 e il corpo da Firenze ne fu trasportato ad Arezzo sua patria. XG. Dopo aver finor parlato degli scrittori di storia, ci rimane a dir di coloro che trattarono dell’arte di scrivere, e del metodo di [p. 1541 modifica]TERZO 1 54 * studiare la storia. Molti ne abbiam già accennati nel corso di questo capo, come i trattati di questo argomento di Francesco Robortelli, di Antonio Riccoboni, di Alessandro Sardi, di Uberto Foglietta, di Giammichele Bruto. Picciol di mole, ma utilissimo ed elegantissimo, è il libro De Distorta se riha uhi di Giannantonio Viperano messinese, che fu poi vescovo di Giovenazzo, e morì nel 1610. Nè io saprei qual altra opera più brevemente insieme e più giustamente ci dia le avvertenze e i precetti a quest’ arte opportuni. Molte altre opere e storiche e morali e didascaliche, tutte scritte in latino con molta eleganza, ne abbiamo alle stampe, delle quali si può vedere il catalogo presso il Mongitore Bibl. Sic. t. 1, p. 34)J'ra esse però io non veggo indicarsi la Storia dell’assedio di Malta, che nella prefazione all'opuscolo or mentovato egli afferma che avea scritta, e che da altri conh o sua voglia era stata data alla luce (*). I dieci Dialoghi della Storia di Francesco Patrizio trattano assai più ampiamente di questo argomento, e fautore, come in tutte le altre opere, vi si mostra uomo di acuto ingegno e di vasta erudizione. Ma le digressioni frequenti e le opinioni particolari alle quali egli sempre si mostra inclinato, rendon quest opera meno utile e ancora meno dilettevole. Io non posso giudicare di un opuscolo latino di un certo Ventura Cieco su (*) La Storia dell'assedio di Malta, scritta dal Viperano, fu di fatto stampata in Perugia nel 1 *“>67 col titolo De Bello Melitcnsi [p. 1542 modifica]I r>4 2 LIBRO questo stesso argomento, che veggo citarsi come stampato in Bologna nel i563, nè de1 due libri De //istoria di Tommaso Buoni lucchese, autore di più altre opere (Mazzucch. ScritL ital. t. 2, par. 4, p- 2^91), perciocché non gli ho mai avuti sotto occhio. Lo stesso io debbo dire de’ tre libri De Historia che insieme con una Vita di Cicerone e con altri trattati furono dati alla luce nel da Cristoforo Mileo savoiardo, di cui pure veggo accennarsi diverse opere, e una fra le altre ch è come il progetto di un’Enciclopedia, ed ha per titolo: De scribenda unioers itatis rerum historia (V. Rossotti Syllab. Script. Pedem. p. 15 7} Deniruiy Bibliopea, p. 18). I quattro libri De Historia scribenda di Paolo Beni contengono riflessioni e precetti assai opportuni, ma frammischiati a opinioni che non si possono sostenere che da chi sia del tutto privo di buon senso e di saggio discernimento, qual è quella fra le altre, che Livio sia inferiore di molto a Quinto Curzio. Il Beni era nato in Candia circa il 1552, ma giovinetto fu trasferito a Gubbio. Entrò poscia tra Gesuiti, ma ne uscì dopo alcuni anni, perchè non gli venne da’ superiori permesso di pubblicar qualche opera di non troppo onesto argomento. Fu professore di teologia nella sapienza di Roma, di filosofia in Perugia, e più lungamente di belle lettere in Padova, ove anche morì nel 1625, dopo aver pubblicate non poche opere, e caldamente sostenute molte contese, nelle quali ei si fece conoscere più fornito d’ingegno che di buon gusto. Di alcune dovrem parlare altrove, e frattanto rimetteremo [p. 1543 modifica]TERZO l543 chi brami distinte notizie di questo scrittore al conte Mazzucchelli che esattamente ne ha ragionato (l. c. t. 2, par. 2, p. 843j ec-)* A questi possiam aggiugnere il libro di Lorenzo Ducci intitolato Ars 1 listorica, il Ragionamento dell'eccellenza e prefezion della Storia di Dionigi Atanagi, e il Giudizio degli Storici scritto in latino da Sebastiano Maccio, opere che non son degne di più distinta menzione. Con maggior lode parla il Cardinal Bembo (Epist. famil. l. 6 ep. 118) di un libro De Laudibus Historiae, scritto da D. Lorenzo Massolo monaco casinese, e lo esorta a darlo alle stampe. Ma ciò non è avvenuto. Del Massolo, che al secolo fu detto Pietro, e che avendo per giovanile trasporto uccisa di sua mano la propria moglie, figlia del senatore Stefano Tiepolo, sbandito dalla Repubblica, per espiare il suo fallo si rendette monaco, parla distesamente il P. degli Agostini, che annovera alcune cose che di lui si hanno alle stampe (Scritt. venez. t. 2, p. 5-;4? ec.). E a ciò ch’egli ne dice, io aggiungerò solo, che di lui ragionasi in molte delle Lettere italiane pubblicate di fresco dal Cardinal Gregorio Cortese, il quale trovossi allora nel monastero di s Benedetto di Mantova, ove il Massolo ricoverossi (Cortesii Op. t. 1, p. 121, ec.), e nella prima, ch è de’ 6 di luglio del 1537, ci dà alcune notizie su questo fatto sconosciute al P. degli Agostini: Essendo, dice, venuto qua a S. Benedetto per pigliar l acque de’ bagni per consiglio de Medici e di Venezia e di Padova, vi ritrovai un giovine di anni x vi 1 /, Gentiluomo Veneziano da [p. 1544 modifica]1544 LIBRO Ca Massolo, unico del suo padre, e forse anco della successione di quella Casa, quale havendo fatta instanza grande a questi venerabili Padri di esser admesso nel consorzio loro a servir Dio, era stato accettato, parendo in lui esser ottima volontà, ornati costumi, e sufficiente litteratura. Ora da lui stesso si è inteso, che essendo stato usorato circa mesi XVII, all ultimo per sdegno ed anche per qualche sospetto ha amazzata la moglie. Demum ductus poenitentia, intendendo, che questo proprio è ordinato da Canoni, deliberò farsi Monaco; e siegue poscia pregando il Cardinal Contarini, a cui scrive, a ottenergli la dispensa dalle censure e dalla irregolarità, perchè possa a suo tempo esser promosso agli ordini sacri. XCI. Ma è tempo omai di chiudere questo , lunghissimo capo; nè possiam chiuderlo meglio che col ragionare di uno scrittore che alla storia civile, alla letteraria, alla sacra, anzi alle scienze tutte, recò colle sue opere vantaggio e lume non ordinario, cioè del P. Antonio Possevino gesuita. La V'ita di questo grand uomo è stata accuratamente descritta in lingua francese dal P. Giovanni Dorigny della medesima Religione, e tradotta poscia in italiano dal P. Niccolò Ghezzi pur gesuita, e colla giunta di notizie e di documenti molto pregevoli stampata in Venezia nel 1750. Ivi tutto ciò che appartiene agli apostolici ministeri del Possevino è trattato esattamente e diffusamente; non così ciò che appartiene a primi studi degli anni suoi giovanili, dei’ quali perciò farò io qualche minuta ricerca. Antonio Possevino, nato in Mantova [p. 1545 modifica]TERZO l545 nel i534, di nobile, ma non ricca famiglia, fu fratello minore di quel Giambattista Possevino altrove da noi mentovato. In età fanciullesca passò a Roma, ove il Cardinal Ercole Gonzaga il prese al suo servigio, a cui pure trovavasi Giambattista di lui fratello (a). Quindi il Cardinal destinollo all’ educazione di Francesco suo nipote. Nella citata Vita si dice che questo incarico egli ebbe riguardo a Scipione e a Francesco nipoti amendue del dotto cardinale, e amendue poi cardinali. Ma di Scipione non ebbe il Possevino cura di sorte alcuna, che non era egli allora in Roma, ma passò da Mantova a Padova assai più tardi, ed egli ne’ Comentarii della sua Vita, da noi mentovati, non fa alcuna menzione del Possevino, come di suo aio, o maestro. Solo a Francesco Gonzaga ei fu dato per aio, e questi non fu già il fratello di Scipione, che fu religioso dell’Ordine de’Minori, e poi vescovo di Mantova, ma figlio di D. Ferrante, fatto cardinale nell’ anno i5(ìo. Nella stessa Vita si (a) Non c totalmente esatto ciò che qui dicesi della prima dimora del Possevino in Roma. Giambatista di lui fratello non era allora presso il Cardinal Ippolito d’liste il giovine. Così racconta lo.«lesso P. Possevino nelle sue Riflessioni sulla Storia del Thuano, pubblicale dall abate Zaccaria (Iter. liner, per hai. p. aH6), ove egli così dice: Anno superioris sacculi nono supra quadragesùnum ad JJrbem a fra tre, qui libri» et scriptioni affìxus apud Atestinum Card, vivebat, vocattis, integra' ferme Pontificatili Julii Tcrtii interfui, ec. / Tira.boschi, Voi. XII. a5 [p. 1546 modifica]¡546 LIBRO a (Veriini clic Francesco fu col Possevino mandato a Padova, perchè ivi attendesse agli studi. Ma prima che a Padova, furono insieme a Ferrara, come chiaramente raccogliesi e dalla lettera al Possevino scritta da Paolo Manuzio, il quale avealo conosciuto in Roma, e aveane conceputa stima ed espettazione non ordinaria (Epist. famil. l.ijCp.ep), 15 e dalle lettere a lui scritte da Bartolommeo Ricci, quando da Ferrara passò col Gonzaga o Padova, nelle quali il Ricci si duole della perdita che quella università avea fatta nella partenza del Possevino, e con lui si rallegra che abbia scelto il tranquillo soggiorno di Padova, e che goda dell amicizia e della stima del gran Sigonio (Riccii Epist. p. 572, ec.). Queste lettere non hanno data; ma come in esse si dice che il Possevino e il Gonzaga erano da Ferrara partiti per timor della guerra, dovette ciò avvenire nel 1557, nel qual anno abbiamo veduto (l. 1, c. 3, n. 7) che per la guerra di Paolo IV quell' università fu diserta. Da esse pure raccogliesi che il Possevino avea già scritto il suo Metodo per la Storia, e un Trattato della lingua latina, perciocchè il Ricci lo esorta a dare amendue quelle opere alla luce. Morto sulla fine dello stesso anno d). Ferrante Gonzaga, la vedova principessa chiamò a Napoli il figliuolo Francesco, e con lui il Possevino, il quale ivi cominciò a formare il disegno di rendersi religioso della Compagnia di‘Gesù, che poscia dopo varii interni ed esterni contrasti, che si posson veder esposti nella suddetta Vita, eseguì. Dopo [p. 1547 modifica]TERZO *^47 essere slato ricevuto nella Compagnia in Padova ov era tornato, fu inviato a Roma (*), e (*) Nel segreto archivio di Guastalla si conservano gli originali di due lettere scritte in questa occasione da Francesco Gonzaga el Cardinal Ei cole suo zio: delle quali io riporterò qui la prima che singolarmente è degna d’ esser letta, Io ringrazio Dio, che m abbia fatto veder cosa, che non solo mi sarebbe stata incredibile, ancorché mi fosse stata affermata, ma appena hora, ch io ne son certo, et con miei occhi propri ho veduto, posso appena capirla con la mente. Il Possevin nostro è stato con tanto spirito chiamato da Dio ai suoi servigi, che è un miracolo a vederlo, un stupore a sentirlo, di sorte che questi benedetti Padri, ne’ quali ha fatto l voto, confessano di non aver mai veduto così chiaramente lo Spirito Santo operar in persona, come in lui; et io, che in queste cose non corro niente, a credere, et che me ne son informato diligentissimamente, prometto a V. S. Illustrissima di non haver mai veduto in vita mia una cosa simile, et se a lei piacerà di chiarirsene, son sicuro, che comprenderà molto maggior cose di quelle io so vedere, et potrei scriverle. Basta, egli havendo continuato ben un anno et mezzo la comunione ogni otto giorni, s'è andato accendendo in modo, ch' ora é tutto fuoco nel servir a Dio, et la sua vita è stata, per quel ch' io ho potuto vedere, et sapere, inreprensibile, onde con questo mezzo ha meritato d’aver quello ch' ora si gode. Egli è partito di qui, et ora si trova a Roma dove è stato mandato (da' suoi Superiori per imparare et studiare Theologia, ancorché lui mal volentieri vi sia andato, per sapere, che molti suoi conoscenti et amici intendendo questa sua risoluzione, potriano interpretarla variamente, et forse malamente. Ma certo s ingannavano; perciocchè io prometto a V. S. Illustrissima, che da molti ragionamenti, che habbiamo havuti insieme, mentre era qui, ho conosciuto così ben l animo suo, che posso giurare, et testificare al mondo della bontà e sinceri tà d'animo, con che egli ha lasciato ogni cosa, et è entrato nella Religione, della quale io non oso a dirne altro a V. S. [p. 1548 modifica]1 543 LIBRO ammesso in quel noviziato; e perchè egli era già in età di veutisei anni e nelle sacre non meno Illustrissima, sapendo, che ella stando in Roma la conoscerà et vedrà chiaramente, ch ella è una delle più perfette e caritatevole osservanze, che sia forse nel Cristianesimo, onde tanto più si fa laudevole il Possevino, il quale non potrà havere consolazione nmggiore in quest. i sua risoluzione, che saper d’haverla fatta in buona grazia di V '. S. Illustrissima, onde mi pregò) ch io volessi supplicarla di ciò umilissima mente per parte sua et mia, siccome fo con tutto il cuore, ancorchè io sia sicuro, che non occorre, essendo lei sempre stata contenta in tutte le cose del voler di Dio. Io quanto a me ne sento dispiacere, poiché oltre l haver perduta la Commenda, sono anco privo della persona, in quale a me era d infinito giovamento. Pure havendolo veduto così ben disposto et tanto infocato nel servizio di Dio, ne son restato contentissimo, sperando di potermene valere, hora più che mai in molte cose. Quello elicgli sia per fare, et la causa, che l abbia mosso a far questo, di lasciar la commenda et il mondo stesso, V. S. Illustriss, potrà da questa lettera vederlo, se le piacerà; la qual lettera egli mi scrisse, pensando volersi partire senza dirmi altro, dubitandosi che non mi dispiacesse questa sua andata. Pure essendomene io accorto da molti andamenti, egli me ne fece parlare da un di questi Preti della Compagnia, et finalmente ancor lui mi ragionò con tanto mio piai ere, che oltra questo ho voluto veder la lettera et tenerla appresso me. Hora la mando a V. S. Illustrissima supplicandola insieme, che essendo cosa sua si può dire in ultima rovina per non so che cosa occorse ad un fratello di M. Antonio, ella si degni scriver a Mantova in raccomandazione di suo padre, et in credenza mia, poiché con l autorità di V. S. Illustrissima spero di qui poter operar qualche cosa in sollevamento di questa misera casa, et con questa fine le bacio umilissimamente le mani, pregando Nostro Signore Dio che le doni ciò che desidera. Di Padova il XXII di Settembre del MDLP'II. I.n Lettera del Possevino, che qui accenna il Gonzaga, non si è trovala. [p. 1549 modifica]TEHZO * *549 che nelle profane scienze ben istruito, e dotato innoltre di rara prudenza e di fino discernimento, fu tosto inviato per affari di religione alla corte del duca di Savoia Emanuel Filiberto, rientrato allor ne’suoi Stati. D’ allora in poi la vita del Possevino fu un continuo esercizio di apostolici ministeri, e una occupazione continua in gravissimi affari da’ romani pontefici a lui confidati. Le missioni da lui fatte nelle città e nelle valli di Piemonte e della Savoia e in molte città della Francia, i pericoli della vita, a cui più volte fu esposto, le numerose conversioni degli eretici da lui operate, le accuse stesse e le calunnie colle quali si cercò di opprimerlo, ma dalle quali uscì sempre con solenne trionfo della sua innocenza. il fecero rimirare come uno de’ più dotti ed intrepidi difensori della cattolica Religione; e il Manuzio scrivendo nel 1565 al P. Perpiniano, che allora era in Lione, Pessevino, gli dice (l. 7, ep. 9), cum salutem a me scipseris, hoc addes, memoriam illius nostrae ve te ri s amie itine mihi esse perjucundam, sed longo charíus, Ion ge que jucundius, quod omnes ingenii sui vires ad prqfligandos /tpò stalle ac Seáis hoste.s felicissime profundat. Gratulor sane optimo juveni de i sta facúltate, ncc dubito, quia cani scraper, quorum que eat, quamcumque rem aggrediatur, ope sua Deus et prosequatur et juvet. Non è di quest'opera lo stendersi su ciò più ampiamente, nè il riferire i successi delle apostoliche nunziature da lui sostenute nel regno di Svezia, nella Moscovia, nella Polonia, nell Ungheria e in più parti dell Allemagna, [p. 1550 modifica]i55o libro e tutti i negozi in cui fu impiegato fin agli ultimi anni della sua vita, nei’ quali egli ritirossi a Ferrara, ove ancora morì nel 1(112 a’ 26 di febbraio. Molto meno debbo io trattenermi a farne l’apologia contro le accuse con le quali alcuni hanno cercato di oscurarne la gloria. Io dirò solo che se a giudicare del Possevino non si consulteranno già alcuni scrittori vissuti molti anni dopo, e ne’ quali agevolmente si scuopre lo spirito di partito che regge le loro penne, ma i monumenti di quell’età, e le autentiche testimonianze così de papi da’ quali fu adoperato, come de’ principi a’ quali fu da essi spedito, non si potrà a meno di non rimirare il Possevino come uno de’ più rari uomini di questo secolo, in cui la destrezza ed il senno si vide congiunto a una sincera pietà e a un fervente zelo per la Religione. Noi dobbiam qui solo considerare il Possevino come uom dotto, e accennare le opere da lui pubblicate. Esatto è il catalogo che ne è stato pubblicato appiè della Vita già mentovata, nè altro io trovo che aggiugnervi, che una lettera stampata di fresco (Anecd. rom. t 3, p. 421), e un’altra inserita tra quelle del cardinal Baronio (Card, Baronii Epist. et Opusc, t 3, p. 161) e alcune altre inedite a D. Ferrante II Gonzaga duca di Guastalla, che si conservano nel segreto archivio di Guastalla!, e delle quali io ho copia; e da una di esse raccogliesi ch’egli nel 1603 pensava a scrivere la Storia de Gonzaghi, ed è probabile che i materiali da lui raccolti, passando poi alle mani di Antonio il giovane [p. 1551 modifica]TERZO l.r»5l di ini nipote, gli fosser d’aiuto a scriver l’opera di cui diremo al secolo seguente. Appena sembra possibile che un uomo, quasi sempre occupato in viaggi e in affari di sì grave momento, potesse scriver sì gran numero di opere e di sì diversi argomenti, quante ne abbiamo. Molte sono dirette a combattere le opinioni dei Protestanti, altre a istruzione e ad edifica/.ion de’Cattolici, altre appartengono agli affari de’ quali fu incaricato. Il soggiorno da lui fatto in Moscovia gli diè campo di scrivere la descrizione e la storia di quel vastissimo impero, che fu una delle prime opere che su tale argomento venisse in luce (a). Ma due singolarmente fra le opere del Possevino voglion qui essere rammentate. La prima è la Bibliotheca selecta, opera da lui ideata fin dal 1574 e che fra il tumulto di tanti affari condusse a fine in vent’anni, e pubblicò in Roma nel i5j)3. Ella è questa una introduzione, ma assai ampia e distesa, a tutte le scienze. Tratta prima generalmente del metodo di studiare e di coltivare gl’ingegni; quindi scendendo agli studi particolari, così sacri, come profani, compresavi ancora la matematica, la giurisprudenza, la medicina, la musica, la pittura, ec., spiega l'indole e l’estensione di ciascheduno, facendo quasi un sommario di tutto ciò che in ogni scienza contiensi; mostra con qual modo si debbono apprendere; addita gli errori (a) Alcune Lettere italiane del P. Possevino sono state poi pubblicale nel torno primo dell1 Epistolografìa del '^i¿. Francesco Parisi, stampata in Roma nel 1787. [p. 1552 modifica]l55a LIBRO che si dcbbon fuggire; annovera i migliori scrittori che in ciascheduna scienza si possono consultare; e ogni cosa indirizza principalmente a quello ch’era il primario suo scopo, la conversione degli eretici e degl’ infedeli. L'altra grand’opera del Possevino è l Apparatus sacer in tre tomi, da lui pubblicato negli ultimi anni della sua vita. Alcuni altri cataloghi di scrittori ecclesiastici eransi già avuti, e pregevole era fra gli altri quello del Bellarmino. Ma essi eran troppo ristretti e quanto al numero degli autori in quelli indicati, e quanto alle notizie che di essi si davano. Assai più ampia fu l idea del Possevino, nella cui opera più di seimila scrittori si veggono annoverati colla storia delle lor vite, col catalogo delle loro opere, e col giudizio intorno ad esse, ov egli insegna di qual autorità esse siano, quali si possan legger con frutto, quali errori si debbano in esse emendare, ec., e al fine aggiunge un catalogo di codici mss. greci inediti da lui veduti in diverse biblioteche d’Europa. Io so che alcuni criticano severamente l’opera del Possevino, che da essi è spacciato qual plagiario. Ma a provar quest' accusa, conviene indicare quali sieno gli autori ch’ egli ha espilati, senza far di essi menzione, e quali i passi nei quali delle altrui fatiche si è fatto bello; e io non veggo che ciò siasi ancor fatto da alcuno. Dicesi innoltre ch’egli è caduto in gravissimi errori. Nè può negarsi che molti non ne abbia egli commessi nell’ una e nell’ altra delle opere ora accennate; nè era possibile lo schivarli a que tempi, nei’ quali la critica non era ancora [p. 1553 modifica]sì raffinata come al presente, ed ad un uomo avvolto sempre in ardue negoziazioni. Ma ciò non ostante, se amendue quelle opere si considerino, e quali esse sono, e in confronto alle altre di somigliante argomento finallora venute in luce, io mi lusingo che ogni giudice spassionato e sincero confesserà di buon animo che vastissima è l erudizione che in esse si scorge, che niun'opera si era ancora veduta che potesse loro paragonarsi, ch è cosa ammirabile che un uomo sì occupato potesse leggere e scriver tanto, e che la Biblioteca singolarmente è opera tale, che se ella venisse corredata, per così dire, alla moderna, e accresciuta colle scoperte e co’ lumi di questi due ultimi secoli, potrebb’ esser proposta come una delle più utili a chiunque voglia avanzarsi nella cognizion generale di tutte le scienze.

Capo II.


Lingue straniere.


I. Lo studio delle lingue orientali, oltre la difficoltà che nasce dalla lor propria indole, un' altra forse ancor maggiore ne avea in addietro, cioè la mancanza de’ libri di cui valersi, e per impararne le leggi, e per esercitarsi nella lettura degli scrittori che avean di esse fatto uso. Ma poichè l invenzion della stampa, e la perfezione a cui essa venne condotta al principio di questo secolo, cominciò a render più agevoli a ritrovarsi cotali mezzi,

  1. Nelle posteriori edizioni della Stona del Fino si sono aggiunti altri libri che alla prima mancavano, e l’ultima fatta in Crema nel 1711 ne comprende dieci.