Sciotel/Parte Seconda/Capitolo Quarto

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Parte Seconda - Capitolo Quarto

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Capitolo Quarto


Sommario. — 1. Ritorno in Italia e vado a Roma per presentare al Ministro degli Esteri una mia memoria stampata. — 2. Fo omaggio a S. M. il Re della memoria e ne ricevo una lettera molto lusinghiera. — 3. Protesto energicamente contro l’indolenza del nostro Governo. — 4. Parto nuovamente per l’Egitto, e sul vapore incontro Emma Zucchi. — 5. In Napoli lascio aperto il mio ufficio, ma gli impiegati non fanno nulla. — 6. Il combattimento di Dogali commuove tutti; e, tra l’altre cose, si rinfaccia al Ministero degli Esteri la fredda accoglienza fatta a me. — 7. Le cattive notizie, che riceveva circa i miei impiegati, mi fanno ritornare in Napoli; dove mi do a novelle ed attivissime pratiche. — 8. Lettere indirizzatemi da illustri viaggiatori, ed articoli di giornali.

1. Compiti molti lavori per conto del Governo Egiziano, ed anche di privati cittadini, era sul punto di ritornare in Italia, quando alcune cause civili che mi arrecarono non lievi noie, e dispendio grandissimo (benchè vinte), mi costrinsero a trattenermi al Cairo ancora un altro anno. Così che soltanto il 25 Settembre dell’anno decorso, senza curarmi delle numerose e convenienti profferte di lavori fattemi dal Governo e dai privati, potetti finalmente imbarcarmi per venire in Napoli.

Qui giunto mi detti subito all’opera per la compilazione e la stampa di una lunghissima lettera, in forma di opuscolo, diretta [p. 108 modifica]a S. E. il Ministro Robilant, nella quale si contiene, per sommi capi, il mio progetto di colonizzazione, che più volte ho innanzi nominato, apportandogli però tutte quelle modifiche che il tempo e la politica han richiesto.

Prima però di stamparla credetti mio dovere inviare il manoscritto al Ministro; come pure gli inviai due numeri del Piccolo (uno del 24 e l’altro del 2 Dicembre) nei quali v’erano un articolo del Capitano Bove, che in succinto conteneva le idee da me ampiamente svolte nell’opuscolo, e la risposta che io gli feci.

Passati alquanti giorni me ne andai a Roma, munito di un biglietto di presentazione e di raccomandazione dell’onor. de Zerbi, deputato del mio Collegio.

Non mi dilungo qui a narrare le peripezie di quella mia gita a Roma; perchè esse in succinto sono state da me rese di ragion pubblica, per mezzo di una lettera di protesta, che più innanzi riporterò. Dirò soltanto che tutte le persone eminenti cui mi rivolsi, prendendo forse l’imbeccata dal Conte Cappelli, mi ricevettero con la massima freddezza.

Mi confortava soltanto la conversazione di S. E. il Cardinale Massaia, e la compagnia dei coniugi Naretti, che, almeno per allora, erano le sole persone che potessero comprendere e apprezzare le mie idee. [p. 109 modifica]

2. Prima di lasciare Roma mi recai da S. E. il Conte Visone, e gli consegnai una copia del sopradetto opuscolo, insieme ad una mia lettera, pregandolo caldamente di presentarli a Sua Maestà.

Il giorno 19 Gennaio, qui in Napoli, ebbi in risposta la seguente lettera: che venne pubblicata dal Corriere del Mattino del 24 gennaio:

Per la colonia in Abissinia — Al chiaro ingegnere Francesco De Lorenzo, di cui fu fatto cenno nel nostro giornale per un suo ardito ed utile proposito, è pervenuta dalla Real Casa la lettera seguente:

«Sua Maestà il Re accoglieva benevolmente l’omaggio offertogli dalla S. V. di una memoria diretta a S. E. il Ministro degli affari esteri, relativamente all’impianto di una Colonia italiana in Abissinia.

L’Augusto Sovrano si riserva prendere conoscenza del lavoro di V. S. ma intanto la ringrazia per mio mezzo dell’atto di devozione ch’Ella ha compiuto verso la Sua Real persona.

Gradisca in pari tempo, pregiatissimo Signor Architetto, gli atti di mia distinta considerazione».

Il Ministro

Visone

3. Disgustato per il modo come era stato [p. 110 modifica]accolto alla Consulta ed irritato perchè gli impiegati dell’ufficio, che aveva quì costituito, non aveano pubblicato alcune lettere e dispacci importantissimi da me scritti da Roma, nel bollore dello sdegno scrissi una lettera di protesta violentissima.

In essa mi scagliava poderosamente contro la inerzia, la dappocaggine e la insipienza di coloro che dirigevano la nostra politica estera; prevedendo all’Italia conseguenze funestissime.

Cercai di far pubblicare questa mia lettera, ma naturalmente nessun giornale la volle accogliere nelle sue colonne tanto era amara e violenta. Però, dopo averla mal mio grado mutilata, ottenni che la pubblicasse la Gazzetta di Napoli del 26 Gennaio; eccola:

Per un territorio italiano in Abissinia

A suo tempo parlammo di una relazione dello architetto Francesco de Lorenzo, per la rivendicazione di un territorio italiano in Abissinia, relazione piena di buon senso e di concrete proposte, indirizzata al Ministro Robilant.

Ora pare che a questa relazione il Ministro non avesse accordata la considerazione che pur merita. Ed a questo proposito ci perviene una lettera del signor de Lorenzo alla quale diamo pubblicità perchè l’argo[p. 111 modifica]mento non è comune e per meglio chiarire la posizione dei fatti:

Egregio sig. Direttore della Gazzetta.

In questi momenti, in cui discutesi con tanto interesse di emigrazione e di colonizzazione all’estero, non parravvi inopportuna, lo spero, la pubblicazione, per parte mia, di recenti fatti relativi appunto a tale quistione.

Il giorno 4 dicembre 1886 io pubblicava in Napoli una Memoria indirizzata a S. E. il Conte di Robilant, nella quale, dopo aver provato la inoppugnabilità dei nostri diritti sul territorio di Sciotel, sito in Abissinia, appo Keren, alle falde del monte Tsada-Amba, sollecitava la revindicazione di esso, trovandosi presentemente in potere degli abissinesi.

Recatomi quindi a Roma, e presentatomi al signor marchese Cappelli, segretario generale del Ministero degli affari esteri, gli consegnai la commendatizia di un egregio deputato, e, in poche parole, gli esposi il contenuto della mia Memoria, corroborandolo di altre idee relativamente alla possibilità di una proficua colonizzazione in Abissinia.

Il signor marchese Cappelli si compiacque di discutere meco sul proposito, oppugnando alcune mie idee, ed altre ono[p. 112 modifica]rando della sua approvazione. Alla mia preghiera però, di ottenermi un’udienza dal conte di Robilant, il signor Cappelli, con mia somma meraviglia, rispose reputar egli affatto inutile che io parlassi col Ministro non avendo questi ricevuto la mia memoria, ed ignorando, conseguentemente, le mie idee, nonchè le mie proposte. Io replicai, dichiarando formalmente di aver spedito, da Napoli, al Ministro degli affari esteri, non una, ma due lettere raccomandate, manoscritta la prima, l’altra stampata. Non potendo allora contestare un fatto evidente l’onorevole Cappelli si limitò a dirmi, in risposta alle mie reiterate sollecitazioni per ottenere l’udienza dal Ministro, che, del mio affare, era stato incaricato il signor Malvano, direttore generale degli affari politici.

La sera dello stesso giorno, il mio rappresentante in Napoli scrivevami di essergli pervenuta dalla prefettura una lettera al mio indirizzo, con la quale il consigliere Abett m’invitava a recarmi al suo ufficio, avendo egli da farmi alcune comunicazioni.

Recatosi, il dimani, alla Prefettura, il mio rappresentante seppe dal signor Abett aver il Prefetto, conte Sanseverino, ricevuto una lettera dal Ministro Robilant, con la quale gli si commetteva l’incarico di notificarmi che le mie informazioni intorno al territorio di Sciotel erano ritenute inattendibili, che la sollecitata revindicazione era im[p. 113 modifica]possibile, e che, in ogni caso, l’incesso dei nostri nello interno di quelle contrade avrebbe indubbiamente suscitato gravi complicazioni.

Contemporaneamente a tale comunicazione riferitami, a mezzo di telegramma, dal mio rappresentante, io ricevetti dal signor Malvano una lettera, nella quale, dopo avermi detto di essere stato edotto dal marchese Cappelli del mio desiderio di conferire circa il progetto relativo alla Colonia di Sciotel egli conclude in questi termini: «Non vedrei però l’utilità del disturbo ch’ella si prenderebbe, dal momento che io non potrei, a tale riguardo, che ripeterle ciò che il Ministro commise alla Prefettura di Napoli di comunicarle, in risposta alla sua Memoria».

È chiaro, come da tutto ciò emerga la più strana contraddizione.

Non dissemi, difatti, il marchese Cappelli che il Ministro era completamente ignaro delle mie idee e dei miei progetti, non solo, ma benanco, e sopratutto, che non avea ricevuto alcuno dei miei scritti?

La lettera al prefetto di Napoli della quale il signor consigliere Abett si benignò di leggere un tratto, quello conclusivo, al mio rappresentante, non era firmata dal Ministro, come del resto lo attesta lo stesso Signor Malvano?

Ma questo non è tutto. Recatomi nuovamente alla Consulta, io mi feci annunziare [p. 114 modifica]al marchese Cappelli, il quale incaricò l’usciere di dirmi ch’egli non aveva più nulla da comunicarmi relativamente al mio progetto di colonizzazione. Insistei per parlargli, dichiarando che lo scopo della mia visita era tutt’altro; che trattavasi di affari per me importantissimi, e, per prova, gli feci pervenire, a mezzo dello stesso usciere, una lettera del Ministro dei lavori pubblici egiziano a me indirizzata; ma, pur troppo, le mie insistenze furono vane.

Prescindendo da una quistione affatto personale, onde io desiderava intrattenere brevemente il conte di Robilant o il marchese Cappelli, la memoria pubblicata in Napoli, or sono pochi giorni, e per la quale ebbi congratulazioni ed augurii da persone rispettabilissime, non meritava una così completa indifferenza per parte del Regio Governo, non già pel lavoro in se stesso, che io reputo modestissimo, non già per le idee in esso contenute, che io sono ben lungi dal ritenere assolutamente inoppugnabili, ma pei sentimenti che riflette, per lo scopo cui mira. Mi si potrebbe dire che io erro nei mici apprezzamenti storici, politici ed economici, ma non mi si potrebbe contestare nè la bontà dei sentimenti nè l’elevatezza dello scopo.

La perenne emigrazione dei nostri verso l’America, cagionata per lo più da avidi speculatori, nonchè la meschinità vergognosa del[p. 115 modifica]la nostra sfera d’azione in Africa, che contrasta cotanto coi bisogni, cogl’interessi e colle aspirazioni d’Italia, mi hanno sospinto a proporre, come correttivo di una situazione anormale quanto indecorosa, la rivendicazione del territorio di Sciotel, il quale ci appartiene, sin dal 1867, in virtù di una formale cessione. E se ho proposto quel territorio, a preferenza d’ogni altro, per l’impianto di una nostra colonia agricola e industriale, si è non solo perchè fertilissimo, di un clima salubre e poco distante da Massaua, ma altresì, e sopratutto, perchè mi trovo possessore dei documenti che provano la santità dei nostri diritti su di esso, nonchè la violenza perpetrata a nostro danno, sia dagli Egiziani sia dagli Abissinesi.

Io, dunque, ho vagheggiato sempre, come tuttora vagheggio, un’idea, la cui attuazione ridonderebbe a vantaggio della Madre-Patria; io sono qui venuto dall’Egitto, dopo aver accudito per lungo tempo alla coordinazione dei documenti riguardanti lo Sciotel, onde sollecitarne la possibile rivendicazione; io ho trascurato non pochi affari importanti e lucrosi, per poter dare, qui, alle stampe, la mia piccola memoria, e preparare le basi di una Società generale di colonizzazione all’estero; io ho scritto al conte di Robilant, più volte, e, quindi, mi sono recato a Roma, per sottomettergli tutt’i documenti in inio potere, nonchè la pianta topografica dello [p. 116 modifica]Sciotel, e per fargli, verbalmente, altre comunicazioni di non lieve importanza.

E il signor ministro, che fece? Mi ha egli provata la inattendibilità delle mie asserzioni, mercè i documenti dal regio governo acquistati, nel 1870, per mezzo della Società geografica italiana?

Io non sono un visionario. Ho avuto direttamente ogni informazione da chi visse nello Sciotel varii anni, da chi vi mantenne coraggiosamente i diritti di proprietà, sino al giorno in cui dovette cedere, protestando, alla forza brutale e violenta. E da tali informazioni risulta chiaramente che il Regio Governo non fece, allora, il suo dovere, e che, a cagione della sua inerzia colposa, andò distrutta, in breve tempo, la piccola colonia con tanta fatica e con tanta abnegazione costituita dal missionario Stella e dai signori Pompeo Zucchi e Ferdinando Bonichi. Sicchè, le mie idee, lungi dall’essere avventate, hanno una base. Ma il signor conte di Robilant la pensa in modo diverso. Egli, in omaggio allo spirito di esclusivismo portato dalle rive del Danubio, condanna a priori le mie idee, senza menomamente degnarsi di considerarne la base, cioè i documenti. Animato invece da uno spirito imparziale, egli, di certo, non avrebbe rifiutato così ricisamente di leggere e di esaminare le lettere del D.r Bonichi, nonchè altre carte importantissime che io avevo portato meco in Ro[p. 117 modifica]ma, e di confrontarle coscienziosamente coi dati ufficiali, onde meglio, e con più certezza, stabilire l’entità dei fatti, la fondatezza delle rispettive ragioni e dei diritti da me propugnati e addivenire ad una soluzione equa, soddisfacente.

Siamo franchi, espliciti: non si è voluto ascoltarmi, perchè le mie proposte sono contrarie allo indirizzo permanente, inflessibile, della politica estera italiana, politica di astensione e di soggezione. I signori della Consulta non vogliono sentire neanche parlare di ardimenti, d’iniziative; preferiscono, — ed è più comodo, — di essere sempre rimorchiati. Per essi non vi sono diritti, ma doveri. Epperò non havvi da meravigliar se i diritti degl’italiani domiciliati all’estero siano spesso e tanto manomessi, senza che la tutela, consacrata teoricamente nelle patrie leggi, si manifesti con qualche efficacia nella pratica attuazione.

Ringraziandovi sentitamente, egregio signor direttore, della ospitalità concessami, io mi pregio rassegnarmi

Vostro obbl.mo
F. De Lorenzo
Napoli, 21 gennaio 1887.


4. Pubblicata e diffusa largamente la precedente lettera, non mi restava altro da fa[p. 118 modifica]re in Italia, e mi affrettai di ritornare in Egitto per ottenere, arrivando in tempo, dei lavori nelle imprese d’irrigazione, che sono molto proficui.

Viaggiando verso Alessandria incontrai sul vapore la figlia del fu Pompeo Zucchi, il Direttore della prima colonia di Sciotel. Ella, benchè fortemente disgustata e diventata scettica per le angherie e le definitive repulse del Governo, pure mi dette minuta contezza di Sciotel, e carte preziosissime; ed io le promisi una giusta ricompensa, per quanto aveano fatto, il giorno in cui si sarebbe installata in quel territorio la seconda Colonia italiana.

5. Se io lasciai momentaneamente l’Italia fu per le insistenze dei miei amici, i quali mi consigliavano di attendere che si maturassero gli eventi. Non è a credere però che io abbia, anche per poco, abbandonato ogni pratica relativa a Sciotel: poichè, nel partire, lasciai aperto lo ufficio incaricando i miei impiegati di tenermi informato di ogni cosa, e di tenere desta l’opinione pubblica per mezzo di articoli e di opportuni comunicati ai giornali più influenti.

Pregai anche caldamente un mio illustre amico di visitare, di tratto in tratto il mio ufficio, dirigendo l’opera degli impiegati e curando che venisse fatto il mio volere. Ma, per un’ostinata e lunga malattia, egli non potette andare mai all’ufficio; ed i miei impiegati, [p. 119 modifica]benchè puntualissimamente pagati, si dettero al dolce far niente, e, quando era più urgente e necessaria l’opera loro, si stettero con le mani in mano.

6. Con tutto ciò, e non ostante la ingiustificabile inerzia dei miei impiegati, la grande distribuzione della Gazzetta di Napoli, fatta prima di lasciare l’Italia, produsse dovunque una forte agitazione. Ed in particolar modo quando, la triste nuova dell’eroico combattimento di Dogali, venne disgraziatamente a dar la pruova di quanto io aveva pubblicamente manifestato nella lettera anzidetta, il giorno medesimo dello scontro di Dogali.

Quel fatto, ognuno lo rammenta, commosse così profondamente il popolo italiano che in ogni parte, anche nei Seminari, si gridava viva l’esercito, e vendetta contro gli Africani e contro coloro che erano stati cagione prima, anzi unica, di quell’eccidio.

Non è per soverchio orgoglio o per mera vanità, ma solo per far vedere con quale giusta ragione io vilipendeva la Consulta, che io qui rammento come, in quella luttuosa circostanza, anche il mio povero ed oscuro nome venne gittato in viso ai reggitori della nostra politica estera.

Il mio modesto nome fu posto innanzi ai loro occhi, acciocchè, come in uno specchio tersissimo, potessero ammirare la loro incommensurabile nullità! [p. 120 modifica]

Il chiarissimo de Zerbi, così conchiudeva un articolo, pubblicato sul Piccolo del 10 Marzo corrente anno, intitolato Prevenire poichè non sapete reprimere.

«Ma a che seguitare? Che importa al Ministro Ricotti di ciò che dice il Camperio? Che importa al Governo Italiano se il Messedaglia è tornato al servizio dell’Egitto? Tempo fa, mandai con un mio biglietto all’on: Cappelli il signor De Lorenzo, nato a Varapodio, che, venuto dall’Egitto, era per tornare in Egitto e che avea vissuto sui Bogos parecchi anni.

Il forte Calabrese, dopo avere inchinato l’on: Cappelli, dopo averne ammirato l’olimpica indifferenza, tornò indietro senza aver potuto ottenere di parlare a Sua Eccellenza il Conte di Robilant».

7. Intanto io viveva nella incertezza lontano dalla patria, e non sapea a qual partito appigliarmi, quando le notizie, che di continuo pervenivano, circa la colpevole inerzia dei miei impiegati, e il ridestarsi della pubblica opinione, che unanimemente chiedeva ad alta voce una pronta e vigorosa azione in Africa, mi consigliarono ritornare in Italia.

Così, liquidati con grandissima perdita i miei affari in Egitto, partii per Napoli, dove pervenni il 19 Maggio; come si rileverà dalla seguente nota del Piccolo del 21-22 Maggio corrente anno:

«È ritornato dall’Africa il Signor Archi[p. 121 modifica]tetto Francesco De Lorenzo, l’autore di una memoria a stampa al già Ministro Robilant, per la rivendicazione del territorio dello Sciotel in Abissinia.

Il Corriere del Mattino e molti giornali di Napoli, Roma ed altre città d’Italia si occuparono, mesi fa, favorevolmente dell’impresa del Signor De Lorenzo, il quale ora viene in Italia per formare una vasta Società di colonizzazione agricola e commerciale, da lui vagheggiata da tanti anni, da insediarsi appunto nello Sciotel, che, come dicemmo a suo tempo, è una regione ricca, salubre e fertilissima.

Il De Lorenzo continua ad avere il suo studio nel palazzo Berio in via Roma».

Qui giunto, mia prima cura fu quella di riordinare il mio studio; e poscia, ammaestrato da dieci anni di esperienza e convinto che era inutile rivolgersi ai nostri governanti, mi detti a tutt’uomo per preparare la pubblica opinione in favore del mio progetto di colonizzazione.

All’uopo tenni sempre desta l’attenzione dei lettori, per mezzo di opportuni articoli, che, di quando in quando, comparirono sui più autorevoli giornali; ne riporterò quì i più importanti.

Le mie maggiori cure poi furono principalmente rivolte ad accaparrarmi l’approvazione, il buon volere e possibilmente la cooperazione di quegli eminenti viaggiatori, e [p. 122 modifica]cultori di scienza coloniale, che sono onore e vanto della nostra Italia.

Mi sono pertanto messo in diretta corrispondenza con molti ragguardevoli personaggi; e fu col massimo contento che vidi come le mie idee trovavano riscontro nelle loro; e che soltanto con qualcuno di loro, ed in minimi ed insignificanti particolari, dissentivamo.

Per far giudicare il lettore, ed anche perchè questo opuscolo acquisti quel maggior lustro che certamente gli vien dato da nomi chiarissimi, riporterò pure alcune lettere a me dirette e che portano firme notissime in Italia e all’Estero.

Notissime non solo pei numerosi ed importanti viaggi, che gli illustri scrittori hanno fatto, con gran profitto e vantaggio sia della scienza geografica sia della civiltà dei popoli; ma notissime ancora per le splendide opere e relazioni che eglino hanno pubblicato.



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Articoli di Giornali


IL PICCOLO

Napoli 4 Giugno 1887, Anno XX, N. 153.


COLONIZZAZIONE IN AFRICA

Nel N. 139 del nostro giornale annunziammo il ritorno dall’Africa in Italia dello egregio architetto signor de Lorenzo, caldo propugnatore del progetto, da oltre dieci anni da lui concepito, di formare cioè una grande Società di colonizzazione agricola e commerciale per l’Africa equatoriale, e principalmente per lo Sciotel presso Keren: la quale regione appartiene di diritto ad italiani, come risulta da documenti.

Ora teniamo sott’occhio una lettera del chiarissimo cav. Naretti, con la quale si mostra non solo favorevole ma entusiasta del sig. de Lorenzo.

Siamo sicuri che non vi sia alcuno dei nostri lettori il quale non abbia letto le interessanti notizie che si son pubblicate intorno al Naretti, alla sua signora, ed alla sua lunga dimora in Abissinia; e che non sappia come il Naretti sia stato il favorito del Negus, disimpegnando presso il Re dei Re l’ufficio d’ingegnere, d’interpetre e anche di Mi[p. 124 modifica]nistro per moltissimi anni; così che si può dire di lui che conosca l’Abissinia meglio degli Abissini medesimi. Riassumiamo perciò, senza aggiungere altro, la lettera suddetta.

L’egregio uomo si compiace in prima pel ritorno del de Lorenzo in. Italia, ed in particolar modo perchè non ha abbandonato l’ottima idea del grande progetto della colonizsazione della regione Sciotel. Loda perciò la energica attività spiegata dal de Lorenzo per la buona riuscita della intrapresa, che, dice, dovrebbe essere palesemente accolta e presa in considerazione dal Governo, perchè soddisfa anche i sentimenti nazionali.

Coloro i quali dicono: che cosa si va a fare in Abissinia? non conoscono e non hanno inteso mai parlare della fertilità miracolosa di quelle terre.

Confida infine l’altero piemontese che il progetto prenderà buon andamento perchè oramai, dopo il triste fatto di Dogali, è un impegno nazionale il vendicare i nostri cari fratelli, trucidati ferocemente per l’onore della Patria, e stabilirci fermamente in Abissinia.

Ci congratuliamo pertanto con lo egregio architetto signor de Lorenzo, che il suo progetto incontra la piena approvazione di un uomo così competente così autorevole, in siffatta faccenda, come è il Naretti.

Ma inopportuno è ogni disegno di colonizzazione, a nostro avviso, se prima l’azione militare non spiani la via all’azione pacifi[p. 125 modifica]ca. C’è da riparlarne dopo che avrà parlato il cannone.




LE DUE SICILIE

Napoli 16 Giugno 1887.


Riceviamo e pubblichiamo:

Caro Naretti

Disgustato per i modi incerti e titubanti, che tenevano verso di me e del nostro grandioso e patriottico progetto, coloro ai quali era affidata la direzione della nostra politica estera, abbandonai l’Italia per riprendere le mie consuete occupazioni nello Egitto.

Ho però lasciato aperto lo studio qui in Napoli, come sapete; ma i miei impiegati, storditi per le gravissime notizie dell’Africa (che venivano a confermare sempre più ed a giustificare le mie convinzioni e le incessanti pratiche) non si son punto fatti vivi.

Le assicuro però che, anche stando lontano ed in mezzo ai miei più importanti affari, mi accompagnava sempre l’idea del nostro grande e patriottico progetto della Società per la [p. 126 modifica]colonizzazione nell’Africa e principalmente nello Sciotel. Questo stato per me anormale, di febrile orgasmo mi teneva sì perplesso ed irresoluto che mi ha fatto trascurare i miei più vitali interessi, e perdere delle imprese, nei lavori d’irrigazione, forse da due a trecentomila franchi. Lavori che hanno la durata da otto a nove mesi, e condotti bene danno dal venti al venticinque per cento di utile.

Leggeva intanto con massimo contento tutte le notizie che i giornali portavano intorno a lei ed alla sua gentile Signora, ed ai ragguagli che davano su l’Abissinia, e sul bisogno che c’è d’agire con risolutezza, e dare una severa lezione agli abissini, come disse la sua Signora al corrispondente del Secolo XIX, occupando anche il punto più vicino allo Sciotel, cioè Keren.

Oltre questo interessante colloquio, che la sua Signora ebbe col predetto corrispondente, lessi anche con piacere grandissimo, che ella chiese ed ebbe l’onore di ottenere subito un’udienza dalla nostra Augusta Sovrana: la quale mostrò di aggradire molto la visita rivolgendole domande intorno all’Abissinia ed agli usi abissini.

Mi hanno arrecato molto piacere le affettuose premure, dimostratele da S. E. il Cardinale Massaia, durante la malattia della consorte di lei. L’Eminente Prelato non può, anche qui in Italia, non dare pruove dei suoi [p. 127 modifica]sentimenti oltremodo patriottici ed umanitarii.

Fui dolentissimo poi nell’apprendere che a cagione di grave infermità, anche egli sia venuto in fin di vita. Ma viva Dio! questa volta la Provvidenza ce lo ha conservato, strappandolo alla inesorabile morte.

Il Cardinale in Italia deve aver provato delle forti disillusioni! Io ebbi l’onore e la ventura di conoscerlo, per la prima volta, sei anni or sono in Siria nel convento di Beirut, ed allora era tanto vivace, vigoroso ed ardente di amor patrio, e così espansivo che non gli si sarebbero dati più di sessanta anni, e, come sapete, ne ha ora ottantuno. Ma, quando andai a visitarlo nel Gennaio ultimo a Roma, non lo ravvisavo più. Egli è di molto invecchiato fisicamente, e più moralmente; poveretto!

Egli sperava, venendo fra noi, di trovare idee svegliate e concetti arditi intorno alla colonizzazione all’Estero, che oramai è conosciuto da tutti essere una quistione vitale per le nazioni, massime per la nostra, il cui popolo mostra coi fatti l’assoluto bisogno di espandersi in altre regioni.

Al Cairo ho saputo dell’arrivo colà del Capitano Camperio; io ho tardato qualche giorno per andare a visitarlo, e, quando ho chiesto della sua dimora all’avvocato Bonola (segretario della Società geografica) egli mi ha risposto che il giorno innanzi il Capitano avea pranzato da lui e che quel medesimo [p. 128 modifica]giorno era partito per Aci Reale a motivo di salute.

La sera precedente il giorno della mia partenza stando al Caffè ho stretto la mano allo amico Messedaglia Bey ed alla sua garbatissima Signora.

Egli assicuravami che si sarebbe imbarcato per la volta d’Italia col prossimo piroscafo Florio-Rubattino; e giorni or sono infatto i giornali annunziavano il suo arrivo in questa città. Ora si sa che, non appena quì giunto, è partito di urgenza per Roma; voglia il Cielo che il nostro Governo lo prenda al suo servizio, per la prossima guerra in Abissinia.

Egli è uomo che, per la sua sperimentata energia e per la somma e minuta conoscenza di quei luoghi potrebbe rendere segnalati servigi alla nostra Italia.

Caro Naretti! le notizie tutte che mi pervenivano in Egitto, e la commozione grandissima da cui fu presa tutta l’Italia dopo il doloroso e glorioso combattimento di Dogali, mi tenevano in una agitazione febrile, facendomi sperare che il Governo e gli Italiani avrebbero finalmente pensato seriamente all’Africa.

E pare che non mi sia ingannato, poichè il Governo, incalzato dalla pubblica opinione, sta operando davvero, benchè forse un pò lentamente.

Mutata adunque la inerte politica coloniale [p. 129 modifica]del Governo in una lenta operosità, eccomi di nuovo in Italia per propugnare il progetto, da dieci anni concepito, di strappare cioè all’America tutti gli emigranti, che, dalle varie regioni d’Italia, ivi si dirigono a migliaia, senza un unico scopo, senza un’unica direzione, perdendo lingua, usi, costumi e trovandosi interamente estranei in terra straniera.

Spiego meglio il mio concetto:

Il bene che io mi attendo dal mio progetto, farà si che, fra pochi anni, quei miseri contadini che oggi son costretti chiedere all’America pane e lavoro, non sentiranno più il bisogno d’emigrare; poichè la gran somma di capitali, che dall’Africa affluiranno in Italia, daranno qui al contadino emigrante ciò che cerca in lontanissime regioni, cioè il lavoro e l’utile proporzionato. E si eviterà così alla nostra diletta Italia una grave sciagura, poichè emigrazione dei contadini per l’America, da tanti anni ed in così grande e sproporzionata misura lamentata, è foriera di futura miseria e squallore per la nostra Patria che è eminentemente agricola.

Ella sa che mio scopo si è di fondare una vasta Società per formare delle colonie veramente italiane; che sorgano cioè all’ombra della nostra gloriosa bandiera, e dove gli italiani sentano il meno che sia possibile la lontananza della Patria.

E sono qui allo scopo di mettere in effetto [p. 130 modifica]il mio ideale; lavorando incessantemente cercherò di sfruttare il mio povero ingegno, e con mezzi pratici mi sforzerò di far comprendere alla Nazione l’assoluta necessità delle colonie all’Estero; tenendomi sempre strettamente nella cerchia della giustizia e dell’equità.

Sono fiduciosissimo di raggiungere il mio fine, perchè già in Napoli, l’idea di formare una grande Società per la colonizzazione, si è fatta molta strada, ed io ricevo numerose adesioni di egrege persone, sì da questa città si d’altre parti d’Italia.

Ma è necessario rendere popolare questa idea in tutta Italia, poichè non è certo sufficiente il concorso di una sola città a poter colonizzare contrade dove possono vivere riccamente milioni di persone.

Aspetti adunque di sentire vibrata ed armoniosa la voce di Palazzo Berio; e son sicuro che il sangue dei nostri valorosi non rimarrà invendicato.

Amatemi e credetemi
Vostro
F. De Lorenzo




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GAZZETTA DI NAPOLI

20 Giugno 1887 anno XIX N. 171.




COLONIZZAZIONE

In parecchi giornali, ed anche più volte nel nostro, si è parlato di un grandioso progetto di colonizzazione, fatto dall’architetto sig. F. De Lorenzo; ci si presenta ora la opportunità di pubblicare una lettera, che il de Lorenzo scrivea ad un suo amico il 24 Gennaio, cioè il giorno della sua partenza per l’Egitto, la quale lettera sembra che, per sommi capi contenga il suo programma.

Stimatissimo Signore,

È vero quanto voi dite, cioè che il nostro Governo è restìo alla rivendicazione del territorio di Sciotel, almeno pel momento, ma, essendo la nostra una Società di colonizzazione generale, poco importa che lo impianto della prima colonia sia in in punto piuttosto che in un altro; quello che preme anzi tutto è l’essere di accordo col Governo.

Si può avere il suo appoggio morale? In una impresa come la nostra, il Governo, ne son certo, non potrà negarci il suo valevole appoggio, purchè noi faremo in modo di [p. 132 modifica]presentargli idee concrete e non astratte, fatti e non parole.

Perciò è necessario che, prima di ogni altra cosa, si formino i due gruppi di capitalisti di Napoli e di Roma. Se queste due città, mercè numerose sottoscrizioni, si contenderanno la sede principale, si stabilirà che Roma avrà la preferenza qualora il capitale del suo gruppo oltrepasserà quello di Napoli almeno del dieci per cento; ed in questo caso Napoli avrà il dritto della prima succursale.

Faremo in seguito, appello al capitale italiano all’Estero; ed acciochè possiate giudicare del modo come, in ciò fare, mi comporterò, vi trascrivo qui appresso parte di una lettera che conto di inviare ai cittadini italiani residenti fuori d’Italia.

«Se io faccio appello al capitalista italiano all’Estero per una sì patriottica e nazionale impresa, si è perchè esso in generale, è il più intraprendente, e per conseguenza più atto a comprendere l’alta importanza delle nostre idee e del nostro progetto.

Io veramente avrei la intenzione di formare una Società col capitale di cento milioni di franchi, poichè mi pare che non occorra meno ai bisogni d’Italia, e poi in seguito aumentare le azioni a seconda delle necessità. Ma credo che dovrò limitarmi forse alla metà di detta somma, pel timore che il nostro capitalista, non essendo general[p. 133 modifica]mente parlando abituato ancora alle grandi imprese, non venga schiacciato dal duro pondo dell’espressione.

Se la cifra dei cento milioni non spaventerà i capitalisti, allora la nostra Società prenderebbe il seguente nome: Società Generale di Colonizzazione Agricola Commerciale Estera e Nazionale.

La colonizzazione interna si farebbe sul sistema militare, destinando tre giorni della settimana, cioè Martedi, Giovedì, e Domenica per gli esercizii, lavori domestici e sollazzo, e quattro giorni di lavoro utile.

Quattro giorni di lavoro non solo basterebbero ad esuberanza al mantenimento del soldato medesimo, ma ancora, togliendolo all’ozio, il lavoro contribuirebbe a renderlo più forte, laborioso e sobrio.

Agendo in questa guisa noi conseguiremmo un doppio risultato, quello cioè di rendere utile il prigioniero nelle colonie all’Estero, e quello di rendere utile il militare nel seno della nostra patria.

E così parrebbe che venissimo in certo modo ad imitare la Francia; la quale dando lo sfratto ai gesuiti che l’erano dannosissimi all’interno, trae dalla loro attività all’estero largo profitto; imperocchè essi propagano nel mondo la sua lingua, le sue istituzioni, il suo commercio.

Tenendo poi nel suo seno il cittadino la[p. 134 modifica]borioso, gode e guadagna nelle industrie e nelle manofatture.

Se ho proposto lo Sciotel come luogo di impianto della prima colonia, si è perchè quella regione apparteneva agli italiani, ed ora moralmente apparterrebbe a me, come rilevasi dalle carte e dai documenti che ho in mio potere; regione che metterò a disposizione del comitato promotore, onde potesse avvalersene all’uopo, nello interesse della Società.

Il nostro governo, liberatosi dalla enorme somma occorrente oggi per la manutenzione del prigioniero nonchè per quella parte di milizia, di cui ho testè parlato, potrebbe subito darsi all’abolizione di tasse che più gravitano sulla industria e sul commercio.»

Queste sono le mie idee, e mi auguro che saranno bene accolte dal Governo e dai nostri concittadini; me lo auguro perchè esse saranno apportatrici di potenza economica, politica e commerciale all’Italia nostra.

Amatemi e credetemi

Napoli, 24 gennaio 1887

Vostro Dev.mo

F. De Lorenzo

[p. 135 modifica]

GAZZETTA DI NAPOLI

23 Giugno 1887, anno XIX N. 174.




COLONIZZAZIONE

Dall’ingegnere de Lorenzo riceviamo la seguente:

Onor. signor Direttore

Nel n.° 171 del suo accreditato giornale vedo pubblicata una lettera che io scrissi ad un mio amico il giorno medesimo della mia partenza per l’Egitto, nella quale io abbozzava un mio progetto di colonizzazione all’estero e nello interno: debbo pertanto, sul proposito, dare ai suoi numerosi lettori alcuni chiarimenti.

Allora erano quelle, in generale, le mie idee, ma ora è tutt’altro; poichè, in seguito ad accordi presi con i miei cointeressati, si è fissato e stabilito di occuparci esclusivamente della colonizzazione all’estero; lasciando ad altra Società la bisogna della colonizzazione nello interno.

Fra non guari perciò sarà pubblicato il programma definitivo, nei sensi e nel modo sta[p. 136 modifica]bilito col Comitato Direttivo della Società medesima.

Spero, signor Direttore che vorrà accordare alla presente un posticino nel suo pregevole periodico e ringraziandola anticipatamente ho l’onore di dichiararmi di lei

Dev.mo ed Obblig.

F. De Lorenzo


IL COMMERCIO


Gazzetta di Genova

23 Luglio 1887 anno LXXXX N. 169.




EMIGRAZIONE E COLONIZZAZIONE

(nostra corrispondensa particolare)

Nap li, 20 Luglio

(F. F.) All’estero un uomo come l’architetto Francesco de Lorenzo, del quale succintamente vi esposi nella mia precedente corrispondenza il progetto di colonizzazione, avrebbe già avuto il fatto suo da un pezzo e sarebbe stato l’enfant gâté del momento; [p. 137 modifica]perocchè, nel suo infaticabile apostolato, all’uopo di far divenir concreti i suoi disegni, egli ha toccato più di una nota giusta e rispondente ai bisogni realmente e universalmente sentiti.

In Italia l’egregio uomo per qualche tempo è restato incompreso ed inascoltato e, tutt’altri che lui, a quest’ora si sarebbe ritirato dall’agone, che, finora, danno gli ha potuto arrecare, profitti no di certo. Ma il de Lorenzo è di quegli che appena sposata un’idea (e la sposano quando la trovano buona) vi si attaccano su, la fecondano e vi consacrano l’esistenza fino ad assicurarne il trionfo.

E il trionfo è vicino per l’idea sostenuta dal viaggiatore calabrese. La potente società di colonizzazione all’estero si sta formando con uomini autorevolissimi nel commercio e nella finanza e, a fatto compiuto, mi riserbo dare ai vostri lettori le prime notizie sullo Statuto di detta Società e sulle persone che la compongono.

Frattanto mi si consenta adombrare il lavoro che si propone la società colonizzatrice. Chi disconosce che pei tanti e tanti spostati e miserabili che s’agitano in Italia possentissima àncora di salvezza sarebbe appunto la colonizzazione all’estero? Dovunque, in ogni tempo e in ogni luogo, anzi presso le nazioni più civili e potenti la colonizzazione all’estero è stato uno dei più potenti fattori di prosperità e ricchezza. Basta volgere per un [p. 138 modifica]istante l’osservazione anche alle nazioni dei nostri tempi per convincersi che le più ricche e più rispettate nel consorzio delle potenze sono appunto quelle che hanno dato un maggiore impulso alla politica coloniale: anzi di questa han fatto parte integrale del loro programma politico. Citeremo a tal riguardo la vecchia Inghilterra maestra, certamente, di colonizzazione al mondo intero. Ed anche la Francia, comprendendo gli immensi vantaggi di una politica coloniale, sulle orme dell’Inghilterra, anzi, in molti punti, rivaleggiando con questa ha piantato la sua bandiera in lontani lidi. Che cosa era l’Olanda tre secoli e mezzo addietro, prima che i suoi vascelli si spingessero nel mare di Celebe e avessero conquistato Giava e le Molucche?

L’Italia pure era stata destinata a rappresentare una brillantissima parte nell’arringo coloniale, ma le oppressioni dello straniero prima, la insipienza di chi la governo dopo hanno preclusa ogni via, facendo nascere solamente lo sconfortante fatto dell’esodo continuo dei nostri contadini, dei nostri operai dei tanti affamati che abbiamo in casa nostra, in America. Oramai si conosce che l’America, sfruttata da ogni parte, non è più la terra prommessa e che anche colà si può morir di fame come altrove. Ma, indipendentemente da ciò, è brutto vedere che una nazione grande come l’Italia non abbia ancora [p. 139 modifica]trovato modo di indirizzare tutta questa forza produttiva che ogni giorno esce dalle sue viscere, in una regione, in un sito dove possa piantare la sua bandiera e dove la ricchezza che vi si produce è ricchezza propria.

A questo vuol provvedere la Società di colonizzazione che sta fondando il De Lorenzo. O che siano gli ubertosi e ricchi territorii di Sciotel e dell’Africa Equatoriale o che siano terre di Australia, la Società si propone di colonizzarle per proprio conto. chiamandovi i cittadini italiani a fondarvi colonie agricole, assicurando ad essi il godimento, e, dopo un certo tempo il possesso.

È ovvio aggiungere che un sì grandioso progetto, patrocinato con tanto ardore ed onestà dal De Lorenzo e lodato da viaggiatori illustri come il Naretti, il Cecchi, il Martini ed altri, merita intero l’appoggio del governo e vi è da sperare che, appena concretato interamente, questo si avrà.

Certo in Italia — non bisogna illudersi — tutti sentono il bisogno di un’espansione coloniale, ma non di quelle fatte coi concetti e mezzi economici, commerciali. Una seria politica coloniale si può e deve farsi, nell’interesse della prosperità nazionale.

E, più che per forza d’armi, il governo riuscirebbe negli intenti, secondando i nobili tentativi della iniziativa privata che, mcnata innanzi con il vigore e l’energia che caratterizzano l’ingegnere calabrese, non [p. 140 modifica]può mancare di produrre i frutti che se ne aspettano.

E la stampa che ama per davvero il bene del paese dovrebbe validamente aiutare un’opera destinata a rialzarne le sorti quale appunto si è la nuova Società di colonizzazione all’estero.


GAZZETTA DI NAPOLI

del 24 Agosto 1887 anno XIX N. 236.




UN PROGETTO DI COLONIZZAZIONE

Ci occupammo altra volta di un progetto di colonizzazione in Africa dell’ingegnere de Lorenzo.

Ora dallo stesso riceviamo la seguente lettera con preghiera di pubblicarla:

Ho dovuto mantenere il silenzio, per un certo tempo, sul mio progetto per le difficoltà del lavorio delle intraprese pratiche per la formazione del Comitato promotore e Direttivo, che da un momento all’altro speravo di riunire e formare.

Era, come suol dirsi, al dunque, quando disgraziatamente per me, si è affacciata la elezione dei consiglieri municipali di questa città. [p. 141 modifica]

Il lavorio di questa elezione, avendo assorbito gli spiriti di tutte le classi, ha paralizzato momentaneamente ogni mio sforzo, per la riuscita in una riunione del primo gruppo del Comitato promotore.

Si stabiliva però, con le persone che condividono il mio stesso ideale, questa riunione per la sera di Domenica 24 dello scorso Luglio.

Mi cullavo perciò in questa suprema gioia quando la improvvisa morte del ministro Depretis ha, pari ad uragano, fatto precipitare nello abisso ogni nostra speranza di riunione pel momento.

Eccomi dunque ora per la terza volta alla ripresa delle pratiche che, a causa della villeggiatura, riusciranno più faticose e meno fruttuose.

Questo stato d’incertezza circa lo effettuamento del mio intento, mi deciderà ad andare a Roma per fare delle pratiche verso il nostro governo, e quindi in varie città d’Italia, in alcuna delle quali sono atteso con entusiasmo, per fare propaganda circa la formazione del Comitato in più larga base, e per procedere al più presto alla formazione della Società medesima.

Oltre al lavorio di sopra detto, mi sono occupato e sono quasi al termine della compilazione di una lunga memoria, la quale dovrà servire a mettere in chiaro le cose, [p. 142 modifica]ed illuminare tutti coloro che s’interesseranno di questa mia impresa.

Questa memoria consiste nella storia della concessione e pratiche fatte dai primi coloni del territorio di Sciotel; nella storia delle mie pratiche per la rivendicazione del medesimo da quattordici anni in qua; e del progetto d’impianto della Società in parola.

Ho molta fiducia nel ministro Crispi, e ciò che mi fa stare alquanto in pensiero sono le gesuitiche mene dei capi direttori del ministero degli esteri.

Con grande stima.

Ingegnere De Lorenzo.


IL COMMERCIO


Gazzetta di Genova

30 Agosto 1887 anno LXXXX N. 201.


Napoli 27 Agosto

Vi parlai in una delle mie ultime corrispondenze del grandioso e patriottico progetto di colonizzazione, concepito dall’inge[p. 143 modifica]gnere de Lorenzo e che pareva vicino ad essere effettuato.

Difatti la riunione delle persone rispettabili e facoltose che debbono gittare le basi di questa Società di colonizzazione avrebbe di già dovuto tenersi e si sarebbe tenuta se circostanze impreviste non fossero sorte.

Dapprima avemmo le elezioni comunali per le quali, essendo assorbiti pressochè tutti gli animi delle medesime persone formanti il comitato promotore, l’indetta riunione si dovette rimandare al 24 dello scorso luglio.

Ma mentre tutti i capitalisti e le persone interessate erano già avvisati e tutto faceva prevedere che la riunione sarebbe riuscita importante e degna dell’altissimo scopo, ecco che la morte del compianto Depretis venne ancora una volta a scombussolare gli animi e mandare a monte la riunione.

Adesso vi sono altri motivi che, almeno pel momento, non possono far tenere alcuna adunanza.

V’è l’abitudine che si ha nella stagione estiva di andare in campagna e v’è pure — inutile celarlo — il colera che ha fatto prendere il volo, più presto del solito, a molti degli interessati. Sicchè ecco la terza volta che l’intrepido e convinto ingegnere calabrese si pone alla ripresa delle pratiche le quali, naturalmente, riusciranno più penose.

Intanto, per raggiungere più sollecitamen[p. 144 modifica]te il suo scopo il De Lorenzo probabilmente, si deciderà ad andare a Roma per interessare il Governo pel suo progetto. Dopo di Roma passerà nelle primarie città d’Italia — anche nella vostra — ove da quello che ho potuto rilevare terrà conferenze e farà attivissima propaganda circa la formazione del Comitato in più larga base e poi procedere alla costituzione della Società medesima.

Frattanto per illuminare il governo, il pubblico italiano e la pubblica opinione in generale, il De Lorenzo sta ora compilando una lunga memoria, che, fra non molto verrà data alla luce.

Questa memoria consiste nella storia della concessione e delle pratiche fatte dai primi coloni del territorio di Sciotel in Abissinia, nella relazione delle pratiche fatte dallo stesso De Lorenzo per la rivendicazione del medesimo territorio, pratiche che durano da undici anni, e, finalmente, contiene una esposizione del progetto d’impianto della Società di colonizzazione.

Chi avvicina il De Lorenzo, in questi momenti, si accorge subito che quest’anno oramai non è animato che da una sola idea e a questa idea egli infaticabilmente sacrificò sonno, guadagni, i più bei giorni della sua vita.

Il De Lorenzo, in Egitto, aveva una posizione invidiabile. Lavori d’irrigazione del Nilo, costruzioni e lavori gli venivano affi[p. 145 modifica]dati. Ebbene, fino a tanto che egli potette contare sulla fiducia e sullo zelo di alcuni suoi impiegati di Napoli, i quali avrebbero dovuto mantener desta la sua nobile idea, il De Lorenzo credè poter rimanere in Egitto.

Ma, dal momento che si avvide che i suoi impiegati a tutto pensavano e di tutto si curavano fuorchè di mantener desta l’agitazione che tanto gli sta a cuore egli si credette in dovere di abbandonar tutto, lavori, guadagni, agiatezze e venire a Napoli per dedicarsi egli stesso, con uno zelo da apostolo, al trionfo di una causa che deve ricevere il plauso di quanti hanno a cuore l’avvenire della patria nostra.


LETTERE D’ILLUSTRI VIAGGIATORI.


Dispongo per ordine di data le lettere seguenti tranne quella del Conte Borromeo, che sarà in fine, perchè inserisco anche la replica, che io feci, alla gentilissima risposta di lui. Metto innanzi a tutte la lettera dell’ardito Franzoi, poichè egli non scrisse a me direttamente, ma credette più conveniente di far pubblicare la sua risposta nel Roma, giornale di Napoli.

Riporto pure la risposta, che indirizzai direttamente al Franzoi, e che feci anche inserire nel Roma. [p. 146 modifica]

UN PROGETTO DI COLONIZZAZIONE

L’egregio ingegnere di Lorenzo, con grande ardire e grande perseveranza, aveva studiato un progetto per la colonizzazione di vasti terreni nell’Abissinia, da lui visitati.

Cotesto progetto egli presentò al Governo; ma, certo, le nostre condizioni attuali in Africa non permettono ora più di eseguirlo.

Per questo progetto l’egregio Augusto Franzoi c’invita a pubblicare la lettera seguente:

Torino 18 giugno 1887.


Egregio signor ingegnere
Francesco di Lorenzo Napoli

Fui assente, fui ammalato.

Perdonate dunque se non vi risposi prima.

Non mi sono giunti gli opuscoli annunziatimi dalla vostra cortese lettera; ma da quanto in essa mi dite posso già fin da ora apprezzare l’obbiettivo che inspira i vostri studii. Conosco Keren e Sciotel— le terre delle quali parlate; ed esse mi sembrano le più adatte— per la loro ubertà— ad accogliere generosamente gli sforzi dei nostri volenterosi.

Senonchè le tristi condizioni createci oggi dalla nostra politica africana, non so se più stupida o più....., non vi permetteranno per [p. 147 modifica]un certo tempo la realizzazione dell’ardito piano che con tanta nobiltà di costanza andate propugnando.

Ora si attende, come hanno annunziato, la voce del cannone.

Ma voi sapete meglio di me che quando laggiù in Africa il cannone avrà parlato anche vittoriosamente, e tanto sangue sarà stato sparso— tutto non sarà finito.

Occorreranno anni e milioni per consolidare, per, dirò così, fertilizzare la vittoria dell’artiglieria. E non è certo l’Italia d’oggi che deve attendere gli anni e può sprecare il sangue ed i milioni alla ricerca d’un bene che non riguardi la sua vitalità diretta. Siamo per questo troppo incompleti e troppo poveri. Abbiamo diritti da accampare ben più gravi nelle nostre legittime aspirazioni di unità; abbiamo cure ben più importanti da meditare nel nostro ordinamento economico.

Onde a costo di spiacervi, giacchè avete avuto la cortesia di chiedere e di volere il mio modesto consiglio, vi risponderò che se la colonizzazione in Africa deve essere lasciata all’iniziativa privata NEI TEMPI NORMALI, oggi corrono per la coscienza popolare circostanze che quell’iniziativa non possono permettere; poichè dove si agita la guerra — a riparare i torti fatti ad uno — debbono accorrere e concorrere tutti.

Questa è legge ineluttabile ma provviden[p. 148 modifica]zialmente conservativa di ogni dignità nazionale.

Quando il maggiore Piano tentò l’impresa contro barambaras Kaffel negli Habab per salvare Savoiroux e fu arrestato per via dalla corvetta italiana il Calatafimi — tentava, sì, un’opera di iniziativa privata — ma intraprendeva un’azione diretta, con uno scopo immediato, su terreno dichiarato ostile e contro uomini ben riconosciuti nemici.

Era un tentativo di guerra per la guerra, e lo scopo di quel tentativo non era affatto di tale natura da compromettere o da aggravare le condizioni di un popolo già in aperta ostilità contro un altro popolo.

Ma sognare l’agricoltura stabile, i mercati tariffati, le fiere ufficiali, i bollettini prefettizi, le delimitazioni fluviali, le giurisdizioni mediche ed ostetriche in paesi che non abbiamo e che pel diritto della giustizia OFFICIALMENTE mai dovremmo avere — ma che intanto combattiamo in campo aperto — mi pare tale follia, per quanto nobile, che oltrepassa ogni scherzo della ingenuità umana.

Non trovo riscontro di essa — nelle improntitudini patrie dell’umanità — che nella famosa scommessa fatta da un certo notaio di Parigi, colla quale egli per la guerra franco-prussiana del 1870 sosteneva che il giorno tale e l’ora tal altra i francesi sarebbero entrati a Berlino.

Egregio ingegnere, io l’ho detto. Vi spia[p. 149 modifica]cerò. Ma quello che scrissi è ciò che si pensa da quella grande maggioranza di popolo e di borghesia che paga o che si batte, e che alle volte si batte e paga insieme.

Quest’anima della nazione, persuadetevene, al di sopra dei sogni coloniali mette l’integrità geografica-politica del proprio paese e il ristauro del proprio bilancio.

I viaggiatori facciano PER ORA altre vie, i colonizzatori studiino PER ORA altre contrade che non sono quelle discusse e contrastate oggi dalla nostra politica africana. Così pur facendo del bene alla scienza ed alla floridezza della patria non comprometteranno mai neppure indirettamente della patria le sorti supreme.

Vi riverisco devotamente e con ammirazione mi professo, signor ingegnere de Lorenzo

vostro


IL PROGETTO DI COLONIZZAZIONE

Pubblicammo una lettera di Augusto Franzoi all’architetto signor F. de Lorenzo su di un progetto di colonizzazione nel Mar Rosso. Ora il signor de Lorenzo c’invita a pubblicare la seguente lettera in risposta a quella del Franzoi: [p. 150 modifica]

Egregio Signor Franzoi,

Nel Roma del 25 giugno lessi la vostra pregiata lettera, che vi siete compiaciuto indirizzarmi pubblicamente, per mezzo del patriottico giornale sopra citato. Essa, contrariamente a quanto voi credete, non mi arrecò punto dispiacere, anzi mi arrecò piacere grandissimo; poichè, in massima, io sono in tutto e per tutto del vostro avviso.

Voi vi mostrate contrario alla guerra ed alla conquista di regioni che non abbiamo e che pel diritto della giustizia officialmente mai dovremmo avere.

E sta benissimo! noi siamo di accordo.

Io non ho mai propugnato la conquista di regioni che non ci appartengono; io non sono un di coloro i quali confondono il Dritto con la Forza.

Lo Sciotel, voi lo sapete senza dubbio, fu concesso al P. Stella dal principe degli Hamasen Ailù, principe indipendente e che avea il dritto di fare quello che gli parea e piacea; e volle che quella regione fosse colonizzata soltanto da italiani e non potesse essere ceduta a stranieri e principalmente per danari.

La piccola colonia composta di diciotto italiani e quaranta indigeni, e diretta dal P. Stella e da Zucchi, da principio prosperò; ma poi, stretta dalla invidia degli stranieri, [p. 151 modifica]e non sovvenuta dal nostro Governo, finì miseramente, lasciando però ottime rimembranze fra gl’indigeni. In seguito il governo egiziano, profittando della indigenza di uno dei superstiti, il Bonichi, si fece cedere i diritti su Sciotel, per poche centinaia di lire sterline, che neppure dette per intero.

Questa cessione è evidentemente nulla, sia perchè contraria alla volontà di Ailù, sia perchè non fu fatta da tutti gli interessati, ma dal solo Bonichi, sia perchè non si mantennero i patti; ed io, sin dal 1876, non cercai di fare altro che rivendicare dal governo egiziano i diritti degli italiani su Sciotel, dove mi pare che dovremmo esserci officialmente e per diritto di giustizia.

Sarei contentissimo che i nostri diritti si facessero valere per via diplomatica; ma, poichè la guerra con l’Abissinia, erede dello Egitto, è inevitabile, io desidero che non si faccia la guerra per la guerra, che non si sparga per sola dignità nazionale il sangue italiano; desidero che si cerchi di trarre profitto da quei tanti milioni che, per la guerra africana, si spenderanno.

Forse è vero, come voi dite, che occorreranno anni e milioni per consolidare, per fertilizzare le vittorie, ma è anche vero che, se mai si comincia, mai si vedrà la fine. Ed io credo che, allorquando al XV e al XVI secolo l’Europa si cominciava a versare in America, le Repubbliche, i principi italiani [p. 152 modifica]non doveano ragionare altrimenti; e noi oggi vediamo i frutti di quei ragionamenti, poichè centinaia di migliaia di contadini italiani emigrano ogni anno; senza poter posare il piede sopra un palmo di terra dove sventoli la bandiera italiana, e con quanto danno della madre patria ognuno può comprenderlo!

Voi aggiungete: «i viaggiatori facciano PER ORA altre vie; i colonizzatori studiino PER ORA altre contrade che non sono quelle discusse. e contrastate oggi dalla nostra politica africana». E sta anche benissimo; noi siamo pure di accordo.

La Società che io vagheggio non deve avere di mira Sciotel soltanto, ma altre e più vaste regioni; nelle quali non dovremmo penetrare col ferro e col fuoco, ma per virtù della indiscutibile ed incontrastabile bontà di animo del gentil seme latino. Se propongo Sciotel, innanzi tutto, è perchè quivi gl’italiani non riuscirebbero nuovi; ci sono stati altra volta ed hanno fatto ottima pruova. Ed anche perchè mi pare che la necessità della guerra ci condurrà presto in quelle regioni, che a tutti i viaggiatori ed anche a voi «sembrano le più adatte, per la loro ubertà, ad accogliere generosamente gli sforzi dei nostri volenterosi».

Quello poi che desidero ardentemente si è che non si viaggi per solo scopo di viaggiare, che non si studii per solo scopo di studiare; e che non vi siano solo gli stranieri che [p. 153 modifica]debbano risentire i benefici effetti del sudore ed anche del sangue sparso dai nostri Chiarini, Porro, Giulietti, Bianchi, ecc. ecc.

Noi possiamo ben paragonarci a quei poveri i quali, come riferisce il de Amicis nella sua Spagna, chiedono l’elemosina con tanta dignità, con tanta alterezza che sembrano Grandi di Spagna!

Sì! noi possiamo limosinare con la fronte alta, poichè sempre e dovunque abbiamo potentemente contribuito a scoprire e studiare nuove regioni, ad aprire nuove vie al commercio, ad incivilire barbari e stringere con essi amichevoli patti. Ma, per Dio! un popolo giovane, vigoroso, un popolo che non è rachitico dovrebbe sentirsi umiliato a stendere la mano per pitoccare. Saremmo noi per somma nostra sventura, condannati ad esser sempre filosofi, niente altro che filosofi?

Voi dite infine che: «Abbiamo dritti da accampare ben più gravi nelle nostre legittime aspirazioni di unità; abbiamo cure ben più importanti da meditare nel nostro ordinamento economico» e che «l’anima della nazione, al di sopra dei sogni coloniali, mette l’integrità geografica politica del proprio paese e il ristoro del proprio bilancio».

Riconosco, a queste audaci parole, l’ardito figliuolo del vecchio Piemonte, che primo innalzò il grido d’indipendenza; ed ho l’onore di dirvi che anche io ebbi la ventura di na[p. 154 modifica]scere in una terra che non fu certamente ultima a rispondere a quel grido; poichè sin dal 1847, sui piani dello Aspromonte, sventolò la gloriosa bandiera del nostro riscatto e si piegò bagnata dal sangue dei forti Calabresi.

Quale italiano potrebbe mai dimenticare i diritti, i doveri che ha verso i suoi fratelli? Supponete forse che, nel propugnare il mio progetto, io non pensi pure a questi dritti, a questi doveri?....

Voi non ignorate che la Germania ha già acquistato, in men di due anni, nell’Africa orientale un milione di chilometri quadrati di terreni; un’estensione cioè tre volte più grande dell’Italia. Che farà adunque la Germania quando su quelle terre sorgerà potente e numerosa una novella nazione tedesca?

Che faremo noi quando la Germania, per lo sviluppo delle sue colonie, sentirà il bisogno di avere un porto nel Mediterraneo, e, di accordo con la nostra naturale nemica, si fermerà inevitabilmente a Trieste? Non vi pare che abbiamo il dovere di prevedere anche questo pericolo, e cercare di opporre sin da ora un rimedio?

Non vi pare che dobbiamo assolutamente combattere, nelle regioni africane, le incruenti guerre della agricoltura, della industria e del commercio, col fine di sopraffare, o, per lo meno di stare a paro coi nostri nemici?

Comprenderete benissimo che non mi è le[p. 155 modifica]cito dilungarmi di più intorno a siffatto argomento, e molto debbo lasciare nella penna; mi pare però di essermi spiegato abbastanza chiaro, e quindi do termine col porgervi i miei più rispettosi ossequi, professandomi.

vostro devotissimo

F. De Lorenzo


PIPPO VIGONI A DE LORENZO

Sesto di Monza 16 Giugno 1887


Egregio Signore,

Ricevo la pregiata sua 11 corrente unitamente alle sue due pubblicazioni che mi vennero qui trasmesse, ed ecco la causa che mi fece ritardare a risponderle, cosa che spero mi vorrà perdonare.

La ringrazio per tanta deferenza e per la cortese richiesta di un giudizio mio, che per poco che valga, con tutta franchezza le trasmetto.

Fui sempre favorevole alle idee di espansione coloniale, che anche l’ultimo viaggio mio mi convinse essere non solo utile al nostro sviluppo, ma il sine qua non dell’avvenire di qualsiasi nazione: fui sempre favorevole all’occupazione di Massaua per quanto disapprovi il modo con cui fu diretto il no[p. 156 modifica]stro stabilirsi laggiù dall’onorevole Mancini, sulla cui responsabilità pesano a parer mio tutte le nostre disgrazie in Mar Rosso: sono francamente e risolutamente contrario ad una guerra con l’Abissinia coll’intenzione di invaderne ed occuparne militarmente il territorio, ma convinto che a Massaua si deve restare perchè sarebbe vergogna il ritirarcene e perchè vale la pena di conservarla; trovo però la necessità di renderla il più che si può proficua commercialmente e di estendere a poco a poco le nostre influenze ed il nostro dominio sugli altipiani più ubertosi.

Veda dunque come in massima condivido l’opinione sua, ma mi permetta un’osservazione.

Il suo opuscolo data dal Dicembre dell’anno scorso e da quel tempo le nostre condizioni in Mar Rosso si sono molto cambiate, così che oggi mi pare almeno prematuro parlare di colonizzazione dei Bogos, Mensa ecc. ecc. Oltrechè imprudente andare ora in quelle regioni, lo stimerei impossibile perchè sono certo che l’autorità militare non permette di internarsi da Massaua.

Per quanto quindi divido in massima le sue idee, parmi indispensabile aspettare per attuarle la rivelazione di quella incognita che sono le intenzioni del Governo. Certo che il tempo che frattanto passa non è a gettarsi, ma può considerarsi quale periodo di studii preparatorii. [p. 157 modifica]

Eccole, egregio Signore, con una franchezza che spero non stimerà soverchia, la mia debole opinione in proposito.

Mi congratulo pertanto con lei che lavora a questo scopo e mi creda

Devotissimo

Pippo Vigoni


AB. G. BELTRAME A DE LORENZO

Verona 18 Giugno 1887


Illustrissimo Signore,

Tutto ciò che riguarda il Continente Africano, ove io dimorai quà e là quasi dieci anni dell’età mia più vigorosa, studiandovi uomini e cose, non può essere per me che obbietto d’interesse e d’amore. Ella può quindi immaginare, Egregio Signore, quanto gradita siami tornata la gentilissima sua dell’11 corrente, per la quale mi si fece palese un caldo propugnatore d’un progetto che, a mio avviso, oltrecchè d’essere vantaggioso al commercio dovrà esserlo pure alla scienza e quel che più monta all’incivilimento d’una notevole parte dell’umanità, che più di ogni altra ha bisogno dei nostri aiuti. Ricordo an[p. 158 modifica]cora, come fosse ieri, il potere sovrano, che esercitava il P. Stella, fra i Bogos, nello Sciotel presso Keren.

Tutti i viaggiatori, che di là venivano a Khartum, me ne parlavano con entusiasmo, come d’una regione che gli appartenesse; ed or tanto meglio se si può provare con documenti che spetta ad Italiani.

Io ammiro pertanto, il nobilissimo progetto che Ella, Egregio Signore, ha ideato, di fondare cioè una grande Società di Colonizzazione agricola e commerciale per l’Africa Equatoriale, e principalmente per lo Sciotel presso Keren, e non posso che far eco a ciò che scrisse, in argomento, il chiarissimo Cav. Naretti, nomo più di me senza confronto, autorevole e competente, il quale conosce appieno l’Abissinia e il carattere dei suoi abitanti.

Io sento però il bisogno di esprimere a Lei, Ill.mo Signore le più sincere mie congratulazioni per ciò che ha fatto fin qui, e d’incoraggiarla a non desistere dall’intrapreso cammino, sicuro che se per ora l’ideato suo disegno non può attuarsi, per i difficili rapporti, in cui presentemente trovasi l’Italia con l’Abissinia, verrà il momento, ed io spero vicino, che il nostro Governo l’accoglierà favorevolmente; ed Ella benedirà allora all’energica sua attività, coronata da un felice successo.

La ringrazio di cuore dei suoi interessanti [p. 159 modifica]opuscoli, ch’Ella mi ha fatto l’onore d’inviarmi, e mi creda con tutta stima.

Devotissimo e Obbligatissimo
Ab. G. Beltrame


A. ISSEL A DE LORENZO

Genova 18 Giugno 1887


Pregiatissimo Signore

Mi reco a premura di accusarle ricevuta e di ringraziarla del suo pregiato foglio in data 16 corrente e dei due opuscoli che l’accompagnavano, opuscoli meritevolissimi di fissare l’attenzione di quanti hanno a cuore gli interessi coloniali della nazione.

Mentre io sono compreso al par di Lei della necessità di provvedere al bisogno d’espansione che si fa sentire nel nostro paese, di aprire nuovi sfoghi ad una imponente emigrazione, mi credo pur troppo assolutamente incapace di cooperare efficacemente alla propaganda che Ella ha in animo di fare nell’interesse comune; ciò perchè la mia voce non ha sufficiente autorità e d’altra parte perchè sono sopraccarico di occupazioni che non potrei trascurare senza mancare ai miei doveri. [p. 160 modifica]

In Italia una tal propaganda non può essere tentata utilmente a parer mio che dai membri del Parlamento o dal giornalismo.

Per quanto riguarda il suo progetto di caldeggiare l’istituzione o, se meglio le piace, la restaurazione dello stabilimento di Sciotel, le dirò francamente che il momento non mi sembra propizio.

Converrebbe aspettare per ciò l’esito della spedizione militare che si sta apparecchiando.

Nello stato di guerra in cui ci troviamo coll’Abissinia, ognuno vede che i diritti degli Italiani sopra Sciotel non possono aver alcun peso sulla convenienza di occupare un dato territorio.

Oltre a quel poco da me pubblicato, dopo la mia gita del 1870, non saprei porgere alcuna notizia circa i Bogos e il paese di Sciotel, mi duole pertanto di non poter rispondere alle sue domande.

Il Dottor Odoado Beccari, residente a Firenze (il suo ricapito è presso il R. Museo di Storia naturale) sarà forse in grado di soddisfare al suo desiderio, perciocchè egli fece tra i Bogos una lunga residenza e visitò il paese di Sciotel che io non conosco.

Anche il Sapeto che abita a Genova ed è professore presso questo R. Istituto Tecnico potrà somministrarle probabilmente notizie in proposito.

Pregandola di accogliere gli atti della mia [p. 161 modifica]distinta considerazione, mi è grato frattanto di professarmi della S. V.

Devotissimo

A. Issel.


O. BECCARI A DE LORENZO

Firenze 18 Giugno 1887


Stimatissimo Signore,

La mia relazione sulla Colonia di Sciotel non fu mai pubblicata sebbene fosse stata di già composta.

Presto però in parte ricomparirà, incorporata in una relazione del Marchese Antinori sui Bogos, nel Bollettino della Società Geografica.

Non saprei in questo momento incoraggiare dei tentativi di colonizzazione a Sciotel che rimane chiuso da tutte le parti — Gli altipiani di Maldi sulla via corta fra Massaua e Keren sarebbero molto migliori ed eccellenti sopra tutto per la coltivazione del Caffè.

Ma fino a che non sarà risoluta la quistione politica e militare coll’Abissinia e non avremo occupato i Bogos, sarà inutile ogni tentativo di colonizzazione di quelle regioni. [p. 162 modifica]

Fortunato se queste mie poche righe potranno esserle utili.

Mi pregio dichiararmi con tutto ossequio.

Suo Devotissimo

O. Beccari


CARLO BORROMEO A DE LORENZO

Milano 9 Giugno 1887


Non attribuisca a dimenticanza l’aver tardato a rispondere alla sua del 4 giugno, e a ringraziarla degli opuscoli ricevuti sulla colonia in Egitto e della sua memoria al Conte Robilant.

Voleva portare in seduta le di Lei sagge proposte, e le idee sue che condividono anche i miei colleghi nella Società di esplorazione Africana, ma col blocco di oggi e la guerra guerreggiata coll’Abissinia non c’è che aspettare e nulla si può fare in giornata.

Intanto sono incaricato di ringraziarla e per parte mia lo faccio specialmente.

Appena mi sarà dato informarla sulla considerazione presa dei suoi progetti io non tarderò a comunicargliela.

Mi creda.

Suo Devotissimo Servo

Carlo Borromeo

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DE LORENZO AL CONTE C. BORROMEO

Napoli 14 Giugno 1887


Ill.mo Signor Conte

Ho ricevuto la pregevolissima sua del 9 corrente, e la ringrazio delle gentili espressioni che mi rivolge, pregandola di ringraziare anche a mio nome tutti codesti Signori della Società, per le cortesie che sempre mi hanno dimostrato.

Io sono orgoglioso che le mie idee han trovato favore presso lei e presso codesta Onorevole Società, che ella con tanta competenza dirige, e debbo dirle che, nel condurre a buon porto il mio progetto di colonizazione, le mie più grandi speranze sono riposte in lei e nella Società da lei diretta.

L’obbiezione che ella mi fa, che il tempo non è propizio all’impresa, ha certamente un gran valore, ma mi conceda che sul proposito io le esponga francamente alcune osservazioni.

È indubitato che non si possa vendere la pelle se non prima si uccide l’orso, ma è anche vero che per poter uccidere la belva è necessario darle la caccia. Mi pare adunque opportunissimo il movimento che sto suscitando in favore della colonizzazione dello Sciotel, per poter essere ben preparati al[p. 164 modifica]lorchè verrà il momento di attuare le idec che oggi sono soltanto manifestate.

E per dirla più chiaramente, mi pare che lo stato delle cose è il seguente:

Dalla discussione e dal voto del parlamento si è apertamente veduto che il Governo nella stagione propizia muoverà contro gli Abissini; ma quale sarà l’obbiettivo, lo scopo ultimo de la campagna? Noi non sappiamo nulla, nè possiamo pretendere che il Governo manifesti le sue intenzioni; è certo però (e chi ha un pò di senno non può non vederlo) che l’obbiettivo è duplice: cioè o l’occupazione di Keren, ovvero la soddisfazione soltanto morale di rioccupare Uaa e Saati.

Nel primo caso è evidente la opportunità anzi la necessità di formare sin da ora la Società di colonizzazione, perchè essa non è cosa che si possa improvvisare in cinque minuti, e, se noi staremo ora con le mani in mano, non potremmo poi seguire i nostri soldati a tempo opportuno, e con quanto danno ella può intendere agevolmente.

Supposto poi che il Governo intende soltanto di rioccupare i siti perduti, la nostra Società sarebbe di sprone a farlo andare innanzi, a non farlo arrestare, con danno grandissimo dell’Italia tutta, ad una azione per mera dignità nazionale. Certo che il governo, allorchè vedrà che si è già formata una Società col fine di colonizzare lo Sciotel, farà di [p. 165 modifica]tutto per spingersi sino a Keren; sia per avere una stazione militare saluberrima, sia per trarre profitto dalle terre conquistate, sia infine perchè l’occupazione militare sarebbe fortemente sostenuta da quella agricola, e perciò costerebbe meno allo Stato. Mi pare adunque che non è inopportuno ciò che io propongo, il fondarsi cioè sin da ora la Società, formando un comitato direttivo con dei sotto-comitati, al fine di studiare il modo come essa dovrà esplicarsi, e per raccogliere le adesioni dei nostri capitalisti.

Così facendo noi, quando verrà il momento di agire, avremo in pronto non solo il progetto definitivo, ma anche i capitali per metterlo in esecuzione.

Non sono io solo che penso così, ma le mie idee sono anche quelle di moltissime intelligenti e facoltose persone; e sin da quando ini trovava all’estero, riceveva di continuo, a viva voce e per lettere, numerose adesioni al mio progetto; e dal giorno del mio ritorno qui queste profferte di adesione si aumentarono di giorno in giorno.

Sono perciò in trattative con persone autorevoli per formare il comitato promotore e direttivo; ma sin ora non ho voluto impegnarmi con alcuno.

E ciò perchè, nel formare il Comitato, io non solo desidero e bramo che il medesimo sia composto di persone facoltosissime conosciute ed influenti, ma altresì che i primi uf[p. 166 modifica]ficii, pel buon esito dell’impresa, vengano occupati di preferenza da persone pratiche, da persone atte a comprendere l’alta importanza dell’impresa medesima, da arditi viaggiatori dell’Africa, dalle persone infine più competenti il cui ideale è quello di formare in quelle contrade un emporio di ricchezza alla madre patria.

Il nostro intendimento dovrebbe essere quello di formare una Società col capitale di 50 a 100 milioni di franchi e fondare al più presto che ci sarà possibile, oltre dello Sciotel, altre colonie in altre località, come nell’Harrar, nello Scioa; prendere il monopolio del sale e trasportarlo nello interno dell’Abissinia, fare incessantemente delle spedizioni esploratrici nelle regioni da noi non ancora occupate, ed altro.

Ciò posto siccome lei e codesta Onorevole Società e molti altri scienziati ed arditi nostri viaggiatori hanno fatto studii speciali, su diverse località dell’Africa, ed alla spicciolata, ciascuno per conto suo, espongono idee e presentano al Governo interessanti progetti senza un utile risultato, io ho l’ardire di fare una proposta nella certezza di essere ad un tempo utile a tutti, e di agevolare immensamente la buona riuscita dei singoli progetti.

Essendo il mio un progetto eminentemente patriottico, e perciò non d’interesse particolare ma nazionale, io opinerei che Lei e [p. 167 modifica]tutti gli altri signori, (cioè il Capitano Camperio, il Conte Pennazzi, il Capitano Cecchi, il Capitano Martini ed altri) che abbiano progetti pratici, parziali, ed io dovremmo riunirci in una grande e sola Società; formando così, di tante idee particolari, di tanti progetti singolari, un’unica idea, un unico progetto pratico, vasto e completo; e potremo essere sicuri dell’adesione e dell’appoggio del Governo e dei capitalisti.

Formandosi la Società in tal modo ciascuno di noi, innanzi al Governo ed alla Società medesima, conserverebbe i suoi diritti, e rappresenterebbe la sua regione; io per esempio, in questo caso, rappresenterei lo Sciotel.

Se crede degna della sua approvazione la mia proposta, prenda lei la iniziativa, e si faccia così promotore.

La prego infine di onorarmi di suo pregiato riscontro, al più presto che le riuscirà, e di credermi di Lei

Devot.mo ed Obbl.mo

F. De lorenzo

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Milano 18 Giugno 1887


Egregio Signore

Fui assente. Finora la Società non ha deciso nulla pure appoggiando i di Lei patriottici sforzi; il Presidente Vigone vorrebbe veder chiarirsi l’orizzonte politico anzichè iniziare serii progetti.

Ho letto gli articoli ne’ suoi giornali inviatimi e ne la ringrazio.

Possano i suoi obbiettivi essere coronati di successo intanto mi creda.

Suo Devotissimo Servo

Carlo Borromeo

Note

  1. Roma. Napoli 23 Giugno 1887. Anno XXVI. N. 174.