L'Effigie di Roma/L'effigie di Roma

Da Wikisource.
../Introduzione

../Note IncludiIntestazione 25 luglio 2012 100% Da definire

Introduzione Note


[p. 7 modifica]



Le rappresentanze più antiche di Roma personificata si vedono sui rovesci di alcuni denari romani e su quello di un didrachmon dei Locri Epizefirici, il quale precede i denari di un lungo tratto di tempo. Anche le notizie letterarie sul culto e sui monumenti artistici dedicati alla personificazione di Roma s’incontrano molto prima nel mondo ellenico, che nella stessa Roma. I Greci furono naturalmente e vigorosamente spinti a tutto personificare, ed erano quasi costretti dal loro sentimento religioso, a credere che la potenza fisica o morale che adoravano fosse rivestita di carne umana. Il culto di Roma poi fiorì più che nella Grecia nell’Asia minore, dove le idee elleniche si combinavano in modo singolare col culto monarchico, e dove anche l’amicizia di Roma era forse di maggiore interesse politico vd. Preller Roem. Mythol. p. 705. Gli Smirnei si vantarono di essere stati i primi che avessero fatto templum urbis Romae M. Porcio console cioè nell’anno di Roma 559 vd. Tacit. Ann. IV, 56; e pare che la costruzione di questo tempio si connetta coll’atto della [p. 8 modifica]libertà resa da Flaminino nell’anno precedente alle città elleniche cf. Plutarch Flamin. 12, e Mommsen Roem. Gesch. T. I p. 733 sgg. Un prezioso ricordo di quelle circostanze ci è conservato nel racconto di Plutarco (Flamin. 16), che i Chalcidesi cantarono fino ai tempi suoi un inno in onore di quel romano, che terminava colle parole:

Πίστιν δὲ Ῥωμαίων σέβομεν
Τὰν μεγαλευκτοτάταν ὅρκοις φυλάσσειν•
μέλπετε κοῦραι,
Ζῆνα μέγαν Ῥώμαν τε Τίτον θ’ ἅμα Ῥωμαίων τε πίστιν.
ἰήἳε Παιὰν, ὧ Τίτε σῶτερ.


Pochi decenni dopo nel 582 un’altra città asiatico-greca Alabanda si pregia pure, "templum urbis Romae se fecisse ludosque anniversarios ei divae instituisse" Livio XLIII, 6. A sifatto culto corrisposero poi anatemi posti da quelle città o popoli asiatici nella stessa Roma, come se ne legge un esempio nell’iscrizione del Comune dei Lici trovata sul Campidoglio ma ora perduta, C. I. Lat. T. n. 589 = VI, I n. 372 Λυκίων τὸ κοινὸν κομισάμενον τὴν πατρίαν δημοκρατίαν τὴν Ῥώμην Διί Καπετωλίῳ καὶ τῷ δήμῳ τῶν Ῥωμαίων ἀρετῆς ἕνεκεν καὶ εὐνοίας καὶ εὐεργεσίας τῆς εἰς τὸ κοινὸν τὸ Λυκίων. Il Commune dei Lici in atto di riconoscenza dedica dunque a Giove Capitolino ed al popolo romano un monumento sia una statua o un rilievo che rappresenta Roma1. Non è precisata l’epoca di questa iscrizione, pertanto il Mommsen crede, che essa sia posta da legati venuti a Roma dopo la guerra mitridatica per farsi confermare un trattato. Quanto alla dedicazione fatta a Giove Capitolino si può rilevare, che la statua di Giove, la quale stette nel tempio capitolino rinnovato nella medesima epoca da Q. Catulo, ha retto in una mano una statuetta di Roma, se si vuol prestar fede alla storiella dell’auspizio in favore di Ottaviano giovane ricordata da Sueton. Octav. 94 e Dio Cass. [p. 9 modifica]XLV, 2. Siccome quella nuova statua di Giove era in genere fatta sul modello di quella di Fidia ad Olimpia, così interpretando le parole di Suetoniosignum reipublicae, quod manu gestaret„ nel senso più stretto si crederà, che fra gli attributi di Giove Capitolino Roma ebbe quel posto che nella statua olimpica tenne Vittoria, cioè si trovò sulla destra di Giove. Nel tempio più antico gli attributi di Giove erano stati scettro e fulmine vd. Liv. XII, I. Ovid. Fast. I. 202 Serv. ad Verg. Ecl. X, 27, la statuetta di Roma si può perciò ritenere per un attributo nuovo originato sotto l’influenza dell’arte e del culto greco.

Più recenti di quell’iscrizione dei Lici sono le monete asiatico-greche che ritraggono Roma, limitandomi però alle monete coniate nella stessa Roma o nell’Italia, lascio quelle2 e m’accingo ad illustrare in primo luogo la moneta della Magna Grecia indicata di sopra.

Testa di Giove laureata

R.° ΛΟΚΡΩΝ Donna assisa sopra una sedia vestita di lungo chitone appoggia il braccio d. sopra uno scudo ed ha al fianco s. il parazonio. In faccia di lei un altra donna vestita in maniera analoga sta colla destra protesa per incoronarla. Dietro la prima si legge ΡΩΜΗ, dietro l’altra ΠΙΣΤΙΣ. Vd. n. 1 della tav.

L’Eckhel D. N. V. I. p. 176 ha esposto che il tipo del riverso si riferisce al decreto, col quale nel 548 il senato romano ha restituito ai Locri la libertà e la loro costituzione, infliggendo una pena severa al Propretore Pleminio, che aveva oltraggiati i Locri in modo orrendo; si confrontino le relazioni dettagliate di questi fatti presso Livio XXIX, 6-9. 16-21 e Diodoro XXVII, 5. Questa spiegazione ha trovato l’applauso generale dei numismatici, il solo Mommsen vi sì è opposto in qualche modo. Imperciocchè egli sostenendo per ragioni di storia politica la teoria, che dopo l’introduzione del denaro romano nel 486 [p. 10 modifica]in tutta l’Italia non si sia più battuta moneta d’argento, richiama l’attenzione sul fatto, che i Locri hanno già nel 480 avuto ogni ragione di encomiare Roma e la Fides romana per r indulgenza usata loro dalla parte dei Romani. Siccome quella teoria importantissima non può essere bene apprezzata in questa strenna, così mi contento ora di costatare che lo stesso Mommsen Gesch. d. roem. Muenzw. p. 326 è disposto di ammettere qualche eccezione conceduta dai Romani in favore delle cosidette città maritime greche, nel cui numero possiamo mettere anche Locri, e che egli acconsente d’aggiungere espressamente, che quella relazione indicata dall’Eckhel resti possibile. Da parte mia temerei supporre che la moneta sia molto anteriore dell’ epoca di Flaminino, anzi gli esemplari, che ho potuto studiare per la cortesia del s. Imhoof, accusano che la moneta non fa più parte del periodo dell’arte più bella. Ambedue le figure sono distinte dal nome, ma la sola Roma vien caratterizzata in modo speciale. Il concetto pare che sia in genere ricavato da una rappresentanza di Minerva assisa sul trono collo scudo adoperato pacificamente per appoggiare il braccio d. Il parazonio non è che una giunta peraltro bene ideata ma non troppo conveniente all’abito femminile. Vediamo dunque la personificazione d’una città guerriera, manca però ogni attributo sia dell’impero sia della vittoria. È vero che ella vien incoronata. Ma quale è la Πίστις che l’incorona, è quella dei Locri o quella dei Romani? L’Eckhel dice in proposito, che i Locri vogliono con questo tipo dare un pegno della fede che devono ai Romani. Lo stesso avrà creduto il Millingen Considér. p. 69 supponendo che il tipo probabilmente offre la rappresentanza d’un gruppo fatto dalla città di Locri in onore di Roma, ma mi pare giustissima quella breve parola del Mommsen, che vi si encomia la Fides romana (si vd. pure Preller l. l. p. 225). I Greci non hanno, per quanto sappiamo, mai dedicato un culto particolare alla Πίστις; nè si [p. 11 modifica]conosce rappresentanza di essa, prescindendo dalla tavola di Omero fatta da Archelao, dove è compagna di Ἀρητὴ, Μνήμη e Σοφία nel festeggiare la poesia omerica.3 Tutt’altro vale per la Fides romana. A Roma Fides era una delle più solenni divinità, congiunta in modo intimo collo stesso Giove. Ma di più, Fides era d’interesse particolare per le città e nazioni estere che stavano in relazioni coi Romani, a motivo non solo della natura sua intrinseca, ma anche per una necessità politica. Imperciocché il suo tempio situato sul Campidoglio, in prossima vicinanza di quello di Giove era il locale, dove i trattati federali si trovarono pubblicamente esposti. Il senato tenne frequentemente adunanza in questo pubblico archivio federale, ricevendovi i legati di altri popoli (vd. Mommsen Annali d. Inst. 1858 p. 198 sgg.). Sotto questo punto dì vista si ricordi della Πίστις Ῥωμαίων mentovata due volte nella fine dell’inno in onore di Flaminino e si leggano pure le parole di Diodoro XXVII, 5 in proposito dei misfatti di Pleminio, che i Locri invocarono τὴν τῶν Ῥωμαίων Πίστις quelle altre, colle quali presso Livio XXIX, 18 l’inviato dei Locri finisce il suo discorso nell’adunanza del senato convocato nel tempio ad vos vestramque Fidem supplices confugimus. Con tali parole combina benissimo il tipo della medaglia. I Locri non hanno l’intenzione di encomiare Roma padrona della lora città né Roma vittrice ma bensì quella Roma, la quale essendo in perfetta armonia colla Fides rimane fedele al trattato. È un concetto poetico che non poteva offendere la potente città, né essere stimato inconveniente in Locri, Il tipo resta interamente isolato, ma questo fatto non recherà maraviglia a chi ammette essere egli degli ultimi della Magna Grecia.

Per trovare altre rappresentanze di Roma bisogna esaminare i denari romani, pertanto neppure nel loro numero s’incontra presto quello che cerchiamo, passa quasi un secolo, prima che Roma vi si mostri. Per ispiegare meglio [p. 12 modifica]questo fatto, mi permetto di tessere una succinta storia dei tipi posti sui riversi dei denari più antichi. In principio vi si vedono i due Castores, i quali distinti dalle loro stelle vanno ia gran fretta a cavallo muovendosi da s. a d. l’uno accanto all’altro. A questo tipo a mano a mano succedettero altri, che rappresentano divinità montate sulle loro bighe o quadrighe, onde i denari si chiamarono bigati o quadrigati. Fra i bigati che sono in genere anteriori ai quadrigati, tiene il primo posto quello della dea Luna ossia di Diana, come vien detto per un errore molto commune. Ella vien caratterizzata dalla mezza luna posta avanti alla sua testa nonché dalla stessa biga, poiché la biga è attributo tanto ovvio per Luna, quanto il cavallo per Castore; e si capisce che la sua biga fu la più adattata a rimpiazzare i due cavalieri colle stelle. La dea Luna ebbe un santuario nella vicinanza del Circo Massimo. Lo stesso si può dire delle divinità che erano le prime a seguirla sui bigati Vittoria, Venere, Diana, Ercole, in modo che le medesime divinità, sotto i cui occhi si fecero le corse circensi, sono state rappresentate sui bigati più antichi. Considerato lo stretto rapporto che lega quelle corse col culto romano, non si troverà strana l’idea di raffigurare specialmente quelle divinità in modo che sembrassero prender parte agli stessi ludi magni. Sopra denari più recenti però vediamo su carri anche altre divinità, i tempi delle quali non si trovarono in quel quartiere, e perfino persone istoriche. La biga è in genere data alle dee, la quadriga agli dei. Essa principalmente compete a Giove e rilevo che quelle dee, che per eccezione si vedono sui quadrigati, Vittoria, Giunone, Minerva e Libertas stanno in relazione strettissima col culto di Giove a Roma, perchè Libertas vi era denominazione dello stesso Giove vd. Preller 1. 1. p. 174 e Giunone e Minerva erano compagne di Giove Capitolino, il cui tempio si stimava pure posto solenne di Vittoria. vd. Liv. XXII, 37. È vero che alcuni dotti hanno proferita la conghiettura [p. 13 modifica]che pure Roma si vegga rappresentata in qualche biga o quadriga, così lo Zoega Bassiril. I. p. 338 volle riconoscerla sul bigato n. 91 Curiatia4, il Cavedoni Ragguaglio p. 265 sul quadrigato n. 216 Vibia, ma essi non hanno trovato l’approvazione degli altri. Nè potrei io sostenere siffatte spiegazioni, perchè tutte quelle divinità rappresentate sui carri Giove, Giunone, Minerva, Luna, Vittoria, Diana, Venus, Hercules, Apollo, Mars, Libertas, Magna Mater, Ceres, Neptunus, Sol, Saturnus, hanno nel periodo, al quale appartengono i bigati e quadrigati, avuto a Roma un tempio o sacello con culto, mentre manca ogni notizia di tal genere intorno alla stessa Roma personificata. Per altro neppure fra i monumenti dell’epoca imperiale si conosce alcuna rappresentanza con la figura di Roma posta sopra un carro; e sarebbe stato poco conveniente di raffigurare la personificazione di una città in un concetto, che la facesse muovere e cambiar posto in modo concitato.

I Castores vanno a cavallo in gran fretta e sui bigati e quadrigati più antichi i carri sono tirati di carriera, in modo che i tipi dell’epoca anteriore hanno di comune l’idea di raffigurare le divinità portate dai loro animali nel movimento il più veloce possibile. Tale idea però più tardi si modificò. Alla quadriga concitatissima di Giove combattente succede infine quella che porta Giove trionfatore in passo di processione solenne e sopra alcuni bigati più recenti Libertas, Ceres, Magna Mater stanno sopra carri tirati a passi lenti. Si è finora poco studiato il carattere artistico dei cambiamenti introdotti nei tipi dei denari, né serve ora entrare nelle particolarità, basta accennare alla grande differenza che esiste fra i denari appunto in riguardo all’azione in cui le figure vi sono rappresentate. Si vorrebbe dire che i tipi più antichi fossero originati sotto l’influenza del concetto, che la moneta abbia da muoversi e mettersi in corso. Imperciocchè nei tipi è data una parte più rilevante ai cavalli e carri, che alle stesse divinità, e [p. 14 modifica]si osservi che cavalli e carri sono i mezzi di velocità più grande che l’antichità conoscesse5. Ma mentre sui denari più antichi cavalli e carri vanno sempre di carriera, al contrario sui denari più recenti appena si trova un’azione un po’ agitata. Le figure espostevi stanno tranquillamente assise o in piedi, o hanno lasciato il posto a oggetti inanimati, emblemi ecc. Questi denari perciò vengono caratterizzati piuttosto come cosa che non si muove, ma si tiene ferma nella mano. Un bel confronto offre una classe contemporanea delle antichità etrusche, i graffiti degli specchi, le cui composizioni sono in genere sempre di carattere posato e tranquillo.

A siffatta seconda categoria dei tipi appartengono tutti quelli che raffigurano Roma. La figura di Roma non si vede mai in mossa agitata, ma sempre in posizione tranquilla sia assisa sia ritta in piedi, né vi si mostra occupata quasi in altro atto che in quello d’incoronare altrui, o di essere incoronata lei stessa; lochè, come si concederà, conviene benissimo all’idea d’una città personificata. Sui denari di questa classe la figura di Roma è la più frequente, non vi si vede però mai ripetuta nel medesimo modo, I monetari più antichi sono in genere stati contenti di individualizzare i loro denari mediante l’insegna o il nome, senza variare i tipi dei Castores o dei carri colle divinità più propizie, ma più tardi l’uso, o forse la legge spinse i monetari a comporre per ogni emissione un nuovo tipo. Avendo dunque ogni denaro un altro tipo, bisogna illustrarli separatamente. Quanto all’età serve rilevare brevemente, che secondo gli studi dei tesori nuovamente scoperti il Mommsen Sallet Zeitschr. II p. 32 sgg. mette due di essi nella quarta epoca dei denari che corre fra gli anni 640 e 650 di Roma, due altri poi nella quinta 650-670 ed i rimanenti negli anni posteriori ai tempi di Sulla.

Comincio col denaro anonimo n. 181, esemplari del quale si sono già trovati nei tesori spagnuoli. [p. 15 modifica] Testa di Minerva con elmo corinzio ornato di criniera e di ala, con collana ed orecchino, al di sotto ROMA, al di dietro la nota del valore X.

R° Donna galeata vestita di tunica corta, 6 di calzari e d’un manto che le cuopre le cosce, sta assisa a d. sopra una congerie di armi, fra le. quali si riconoscono, due scudi ovali ed un elmo. Tiene le braccia in riposo, la mano posta sul ginocchio s. serve d’appoggio al gomito s. mentre la mano s. tiene comodamente l’asta posta a traverso. Avanti ai piedi si trova la lupa coi gemelli, nel campo due uccelli-volano in senso opposto verso la donna. Denaro molto comune. Vd. n. 2 della tavola.

Il monetario non ha indicato il suo nome con una iscrizione, ma, adoperando l’uso antico di contrassegnare la moneta, ha messo la sola insegna della sua famiglia. Questa insegna è la lupa lattante, la quale si ripete nel medesimo modo sopra monete di rame appartenenti come pare a più di una emissione vd. d’Ailly Monn. rom. II p. 469 e si trova anche sul denaro in discorso nel solito posto dell’insegna, cioè sull’estremità d. del listello che serve da base al tipo. Nella quarta epoca dei denari siffatto uso dell’insegna peraltro era totalmente antiquato, neppure fra i denari della terza epoca (620-640 di Roma) non ne esiste altro esempio 7 se non quello del n. 136 Caecilia, dove sotto i piedi dei cavalli della biga di Giunone c’è l’insegna notissima della famiglia dei Caecilii Metelli. Quanto alla lupa non si è finora potuto stabilire a quale famiglia appartiene, mancando fondamento sicuro alle conghietture possibili. Ma è chiaro perchè il monetario ha risvegliato quell’antico uso. L’insegna serve a fare meglio intendere la rappresentanza. Mentre altrove non ha che fare col tipo, indicando soltanto la famiglia del monetario, questa volta è entrata in stretto rapporto col tipo. Appunto per la giunta della lupa la figura femminile viene dimostrata come Roma. Il Kenner (Die Romatypen p. 22 nota 4) dice bene, che [p. 16 modifica]la figura di Roma non è unita col gruppo della lupa per un motivo molto chiaro, ma la ragione ne è che la rappresentanza si compone in principio di due parti diverse. Conceduto questo, si dirà che le due parti si trovano soverchiamente bene collegate, non solo nell’idea ma pure nella disposizione, e che in specie la posizione obliqua dell’asta è benissimo immaginata in questo riguardo. I due uccelli che volano attorno alla figura di Roma non sono adatti a caratterizzarla. Si è detto che essi accennino ai dodici avvoltoi, i quali Romolo vide dalla vetta del medesimo monte, alle cui falde era accaduto il miracolo della lupa. Mi pare però più chiaro che essi siano aggiunti al tipo principale per un riguardo artistico. Chi confronta i tipi dei denari, vede che i monetari di epoca più antica hanno scelto rappresentanze molto piene e cariche, perchè i due Castores a cavallo nonchè le bighe o quadrighe occupano quasi l’intero campo del riverso. Questo horror vacui non si è diminuito che relativamente tardi, nell’epoca di mezzo, alla quale s’ascrive il denaro in discorso, una sola figura come quella di Roma, aggiuntavi pure la lupa, non sarebbe stata stimata sufficiente a constituire il tipo; essendo dunque conveniente un qualche accessorio per riempire lo spazio altrimente rimasto troppo vuoto, gli uccelli vi si prestavano bene. Considerati gli accessori, parliamo della figura principale.

Il Cavedoni Spicileg. numism. p. 74 e Ragg. p. 157 ha detto, che la figura di Roma di questo e di un altro denaro sia " manifestamente desunta, con qualche piccola variazione da quella delle belle monete battute dagli Etoli negli ultimi tempi della loro indipendenza, „ dove l’Etolia sta assisa sopra una congerie di scudi, si vd. le pubblicazioni delle monete etoliche presso Imhoof-Blumer Choix pi. I. n, 39. Intanto la figura di Roma è abbastanza diversa da quella di Etolia. Imperciochè mentre l’Etolia regge l’asta colla d. in atto fiero e tiene pure la s. al parazonio, Roma [p. 17 modifica]si presenta in attitudine molto più modesta, sta in riposo perfetto ed è quasi inerme, reggendo l’asta colla s. in modo piuttosto di un pastore che di un guerriero, Neppure negli abiti delle due figure v’ è grande analogia. Resta soltanto l’essere assisa sopra una congerie di scudi. Questo concetto è molto bene imaginato per la personificazione d’una città o di un popolo guerriero, perché dà all’utensile del riposo la forma e l’importanza d’un trofeo. Si osservi la bella differenza che esiste in questa particolarità fra la moneta di Locri ed il nostro denaro. Mentre ivi lo scudo di Roma s’appoggia alla sua sedia, qui la sedia stessa si compone di scudi di nemici vinti. Questo concetto tanto semplice e tanto distinto si ripete in tutti i denari analoghi, Roma non vi sta assisa se non sopra una congerie di scudi. Dunque finché non si sa indicare altra moneta greca anteriore che faccia vedere lo stesso concetto, rimane molto probabile, che il monetario l’abbia ricavato dalle monete etoliche. L’imitazione della moneta greca però non diminuisce il pregio della composizione, che si può dire accuratamente studiata ed insomma bene riuscita, rappresentando Roma guerriera e vincitrice sì, ma perora contenta di consolarsi tranquillamente del miracolo accaduto a prò del suo fondatore. Il tipo è d’interesse generale, perciò lo vediamo pure ripetuto esattamente sopra una moneta battuta nel sesto consolato di Tito vd. Morelli Num. aur. Titi et Vesp. tav. V n. 37. L’intero denaro poi è stato restituito dall’imperatore Trajano vd. Cohen, pl. XLV n. 18.

Al numero dei denari trovati nei tesori spagnuoli appartiene pure il secondo denaro n. 182.

M. FOVRI L. F. scritto in cerchio attorno alla testa barbata laureata di Giano bifronte.

R.° PHILI ROMA. Roma galeata, stolata con scettro tenuto obliquamente nella s. e con laurea nella d. sta in atto d’incoronare un trofeo composto di armi galliche, al [p. 18 modifica]disopra nota del valore in forma d’una piccola stella a sei raggi. Denaro molto frequente. Vd. n. 3 della tavola.

Roma ha elmo e scettro, siccome però questi attributi spettano pure a Minerva, si veda p. e. il denaro n. 163 Cornelia, bisogna aggiungere subito, che ella viene illustrata più precisamente dal nome. È vero che sui denari pili antichi la parola ROMA non ha altra funzione se non quella d’indicare la città patria della moneta, ma questa volta essa serve pure a spiegare il tipo, lochè vien reso vieppiù chiaro dal fatto, che non sta scritta al solito posto dell’esergo, ma dietro alla figura di Roma. Un’altra particolarità è la stella nel campo di sopra. Cavedoni Ragg. p. 88 dice, che sia aggiunta in segno di prospero augurio; non lo niego, ma faccio osservare che essa è pure nota del valore del denaro. Si sa che da principio sull’averso del denaro il valore è indicato mediante il numero degli assi compresi nel denaro, cioè mediante la nota X, la quale poi si cambiò generalmente in X, afinchè la linea traversale la facesse distinguere dalla lettera alfabetica X. Sui denari più recenti questa nota è omessa, ma prima che venisse in disuso completo, è stata da alcuni monetari trasportata sul riverso: si confrontino i denari n. 156 Marcia n. 119 Tullia ed in ispecie n. 149 Manlia, che nuovamente dal Mommsen è dichiarato per il più antico fra questi denari. La nota del valore vi è messa in qualche rapporto col tipo, perchè si trova come compagna della testa del dio Sole, mentre più sotto si vedono due altre stelle. Tale concetto è maggiormente sviluppato da M. Furius Philus, perchè sul denaro proposto la nota si può dire divenuta precisamente una stella, che reca buon augurio alla figura di Roma.

Roma reggendo una laurea nella d. alzata vuol incoronare un trofeo. Questo tipo ha grande analogia con quello del cosidetto vittoriato, il quale sebbene sia segnato con la parola Roma però fa parte del sistema monetario romano, [p. 19 modifica]ma a Roma mercis loco habebatur come dice Plinio XXXIII. 3, 46 e a quel che pare si adoperava particolarmente nelle spedizioni militari, onde fa prova pure il suo tipo distinto da quei dei denari più antichi appunto per il carattere militare, rappresentando Vittoria in atto d’incoronare un trofeo. Nel tipo di M. Furius Philus la figura di Roma dunque fa le veci della Vittoria sul vittoriato; mentre però nel campo più stretto del vittoriato la dea ed il trofeo sono disegnati in profilo, sul denaro tutte e due le figure stanno di prospetto, trovandosi Roma a mano s. del trofeo rappresentato in modo più ricco.

Giova illustrare con poche parole le diverse rappresentanze dei trofei sui denari romani. I trofei vi si vedono nelle mani di altre figure o fissi nel terreno, sono aggiunti ad altri oggetti o compongono essi stessi la parte principale del tipo. Cominciano sui quadrigati n. 125 Aburia, n. 139 Postumia, n. 216 Vibia, dove le divinità guerriere Marte e Minerva portano nella destra trofei, i quali quantunque siano piccolissimi fanno però vedere la solita forma d’un tavolato simile alla figura d’un uomo decorato con armi, mentre sul quadrigato n. 130 Acilia Ercole in una quadriga a passi lenti pare che regga nella sinistra un solo scudo colla lancia. Sui denari più recenti che raffigurano le divinità in atto di caminare o di stare si veggono trofei del primo genere accanto alla testa o alla figura di Marte, ossia nella sua mano o nella mano di Vittoria, di Ercole, di M. Lepidus, di Marcello. Fra i denari poi, nei quali il trofeo occupa un posto più importante, il primo è quello in discorso. Come si vede il trofeo vi fa gruppo con una figura che sta in atto d’incoronarlo, e un concetto simile non si ripete che in un denaro battuto negli anni 710-712, (Cohen tav. XVIII Flavia) dove il posto di Roma vien di nuovo occupato da Vittoria. Nel numero degli altri denari con trofei il più antico è quello, n. 232 e. Manlia, sul quale a Sulla si dà il titolo di IMPER• [p. 20 modifica]ITERUM e due trofei disegnati in profilo stanno ai lati d’un praefericulum e di un lituus. In questo modo il denaro che è il secondo nella serie, di cui ora parliamo, ha un numero di trofei, che corrisponde tanto a quello del posto che occupa in quella serie, quanto al numero delle acclamazioni imperatorie di Sulla. In stretto rapporto con questo denaro sta poi quello di n. 275 Cornelia battuto dal figlio di Sulla in onore del suo genero Pompeio con tre trofei riferibili alle tre acclamazioni che ebbe Pompeio. Su tutti e due i denari i trofei sono semplici, senza armi straniere. Ma non sempre corrisponde il numero dei trofei a quello delle acclamazioni ottenute. Il denaro di Paulus Lepidus n. 280 Aemilia offre un solo trofeo, ai lati del quale sono raffigurati il celebre L. Aemilius Paullus ed il suo prigioniero Filippo re di Macedonia coi due figli; ma per l’iscrizione tanto gloriosa quanto concisa PAVLLVS TER scritta precisamente sotto e sopra il trofeo, s’intende che il monetario ha voluto festeggiare non solo la vittoria di Pidna, ma pure le altre riportate nella Spagna e nella Liguria. Al contrario il monetario Caldus n. 286 Coelia ha illustrato la gloria del suo parente C. Caldus, il quale non ha avuto che una sola acclamazione, con due trofei, gli scudi dei quali essendo di forma diversa pare accennino a due piccoli successi ottenuti da lui. Forse anteriore al denaro di Caldus è quello di C. Memmius n. 296, dove il titolo C. MEMMIVS IMPERATOR si trova scritto ai due lati d’un alto trofeo con armi stranieri, e con un prigioniere in ginocchio. Neppure al Borghesi è riuscito di determinare il fatto d’ arme, al quale la rappresentanza si riferisce. Enimmatico resta anche, almeno al parer mio, il tipo del denaro n. 302 Sulpicia, con un grande trofeo composto da diverse parti d’una nave e con due uomini differentemente vestiti ai lati. Quanto ai denari più recenti si potrebbe dunque dire, che i trofei dei generali più grandi Sulla, Pompeius, Paullus non sono distinti per armi straniere, [p. 21 modifica]loro bastavano trofei piuttosto generici, ma gli oscuri successi militari di imperatori tali quali C. Caldus, C. Memmius e Sulpicius vengono più accuratamente caratterizzati.

Ma torniamo al denaro più antico di questa classe, perché pare che l’ornamento dato da M. Furius L. F. Philus al trofeo abbia un significato tutto particolare. Il trofeo vi è composto di armi galliche, le forme dell’elmo, degli scudi e delle due tube corrispondono a quello che si legge presso Diodoro V, 30 ed Eustazio Hom. II. 1139 (Σ 219) sulle armi galliche particolarmente sulla κάρνυξ ossia tuba gallica τὸν κώδωνα ἔχουσα θηριόμορφόν τινα, si cf. il Koehler Annali d. Inst. 1863 p. 443, Come il Cavedoni Sagg. p. 154 ha bene rilevato, le discussioni fatte nel Senato in occasione del trionfo da accordarsi al pretore L. Furio per la vittoria riportata sui Galli nel 554 finiscono nel racconto di Livio XXX, 48 colle parole: Data fato quodam Furiae genti Gallica bella. Il Furio più antico vincitore dei Galli, al quale le parole Liviane si riferiscono, è P. Furius Philus console dell’anno 531. Perciò il monetario appartenendo alla medesima famiglia dei Furii Phili ebbe ottimo diritto di mettere sul suo denaro quel ricordo della vittoria gallica. Intanto troviamo la tuba gallica pure in altre monete romane della medesima epoca, si vede nella mano di Marte sui bigati battuti nell’amministrazione di L. Licinio e Cn. Domizio n. 191, la quale dal Mommsen Annali d. Inst. 1863 pag. 56 viene attribuita agli anni 645-650, e la stessa tuba fa parte anche dei trofei esposti sui vittoriati di due questori militari: T. Cloulius n. 183 e C. Fundanius n. 196, l’ultimo dei quali era questore di Mario nel tempo delle vittorie sopra i Cimbri ed i Teutoni 652-653 vd. Borghesi Oeuvr. numism. II p. 307. In questo modo nel periodo delle guerre cimbriche la tuba gallica si trova adoperata come attributo del dio della guerra e come ornamento di trofei. È vero che insieme colle schiere dei Cimbri pure molti Galli hanno combattuto contro i [p. 22 modifica]Romani, ma siccome prescindendo dalla presa di Tolosa nel 648 il decennio passato fra 640 e 650, che racchiude i denari del quarto periodo, non vide che una serie continua di sconfitte terribili dei Romani, così crederei che la tuba gallica dei denari indicati e del vittoriato più antico di T. Cloulius sia da ritenersi ricordo delle vittorie riportate anteriormente, e che in ispecie M. Furius L. F. Philus abbia rappresentato il trofeo gallico del suo antenato nell’intenzione di mettere una qualche consolazione e incoraggiamento sotto gli occhi della città patria, la quale in quel tempo versava in pericolo così grande contro l’attacco di popoli settentrionali venuti dalla Gallia. Come la stella così pure il trofeo doveva essere di buon augurio per Roma.

La persona del monetario peraltro non si conosce, l’ultimo personaggio della sua famiglia ricordato nella storia è, come dice il Mommsen, L. Furius Philus console del 618, il quale potrebbe essere stato padre del monetario. Restano però due osservazioni da farsi sulla maniera in cui è scritto il nome. In primo luogo invece della semplice V sono adoperate le due lettere OV. Non ci sono che due altri esempi di tale scrittura nella numismatica romana; si vedano le monete di quel T. CLOVLI n. 183 che era contemporaneo del monetario, ed i denari di un suo gentile P. FOVRIVS CRASSIPES che coniò come aedilis curulis prima del 673. L’uso dell’OV dunque è originariamente ristretto a un epoca molto limitata né si ripete più tardi che nel denaro d’un’altra famiglia della gens Furia. Poi il monetario ha messo il nome nel caso genitivo, come si riconosce non tanto dalla parola FOVRI perchè potrebbe essere nominativo abbreviato, quanto da quella PHILI, e si osservi che mentre la vocale I della prima sillaba fa parte d’un nesso lo chè è raro assai, quella della seconda sillaba è scritta per intera, eppure avrebbe potuto mancare del tutto, se il monetario avesse voluto concedere un’abbreviazione. Si sa che [p. 23 modifica]in genere i nomi sono scritti nel nominativo, pertanto sopra alcuni denari più recenti ci sono altri esempî del genitivo. Il più analogo a quello in discorso è il denaro n. 137 col nome TI MINVCI C. F. AVGVRNI perché nel cognome manca pure se non in tutti ma in molti conî piuttosto la prima I che la finale. L’indicato monetario Ti. Minucius C. F. Augurinus era, come vien dimostrato tanto dall’iscrizione quanto dal tipo, figlio di un altro monetario, il quale ha scritto il suo nome brevemente C. AVG n. 109. Faccio poi osservare che esistono denari di due differenti monetari del nome di Valerius Flaccus; sul più antico n. 99 è scritto C. F. FLAC sull’altro n. 174 L. VALERI FLACCI, in maniera che il genitivo si trova anche questa volta sul più recente denaro. Per questa combinazione cerchiamo una moneta più antica con un nome che corrisponda a quello di M. Furi L. F. Phili ed infatti c’è un asse segnato col monogramma . n. 29, del quale scrive il Mommsen: “forse è giusto di leggerlo L. Furius Philus, ma si può pensare pure a L. Furius Purpureo e a molte analoghe combinazioni.„ Mi pare, che il nuovo argomento aggiunga qualche peso alla spiegazione data in primo luogo. È vero che non tutti i genitivi, che si trovano nella scrittura dei nomi dei monetari, inducono a supporre, che membri più antichi della medesima famiglia avevano già avuto l’amministrazione della zecca, credo però che i monetarî che hanno introdotto questo caso ne fecero uso appunto per distinguere l’emissione loro da quella del padre o nonno o qualsivoglia altro parente8.

Al periodo quinto appartiene in primo luogo il denaro di G. Malleolus n. 191.

Testa laureata di Apolline, al di sotto la nota del valore X.

R.° C. MALL. ROMA. Roma vestita di tunica succinta con la mammella d. scoperta nonché di calzari sta assisa sopra una congerie di tre scudi col parazonio al [p. 24 modifica]fianco, ed appoggia la d. alzata sull’asta. Dietro lei sta Vittoria con laurea nella d. in atto d’incoronarla. Denaro poco comune. Vd. n. 4 della tav.

Neppure questa volta la figura di Roma è lasciata senza iscrizione illustrativa. La parola ROMA sta al posto dedicato ab antiquo al nome della patria della moneta, ma nel periodo a cui spetta il denaro, tutti l’avranno subito riferita alla figura del tipo sotto la quale si trova. Questa figura di Roma rassomiglia maggiormente che quella del denaro anonimo alla personificazione dell’Etolia; tutte le parti del corpo e specialmente il braccio d. vi si trovano in atteggiamento più analogo. Ma Roma non vi sta più sola. Vittoria che sulle monete etoliche si vede qualche volta posta in piccola figura sulla mano d. dell’Etolia, qui sta per terra in grandezza analoga a quella di Roma, e benché resti figura secondaria, forma però un gruppo con Roma.

Tra tutte le divinità Vittoria è la più frequente sul rovescio delle monete romane, prescindendo pure dai vittoriati, mentovati poco innanzi. Quasi la metà dei bigati è dedicata a lei: altri monetari l’hanno raffigurata su quadrighe o trighe, in piedi o assisa o volante, sola o compagna d’altrui. Qui non parlerò che dei denari dove si trova come compagna. Sul quadrigato di M’ Acilius Balbus n. 138 Vittoria fa l’auriga di Giove, su altri quadrigati e bigati vola colla corona incontro o dietro a Giove n. 143 Caecilia o alle dee specialmente con lui congiunte nel culto romano Giunone n. 91 e 101 Curiatia e n. 123 Calpurnia e Libertas n. 128 Porcia e n. 261 Egnatia, poi sta per incoronare anche gli imitatori di Giove Olimpico cioè i trionfatori Sulla n. 232 Manlia e Pompeio sull’aureo n. 245. Più tardi sul riverso dei denari dei quattuorviri monetales dell’anno 710 (vd. Cohen Aemilia 14-16 Cossutia 3-4 Mettia 3-4 Sepullia 4-8) troviamo Vittoria sulla mano di Venere Vittrice rivolta al di fuori e pronta a volare e [p. 25 modifica]siccome sull’averso di questi denari è raffigurata la testa di Cesare, ella sta in relazione tanto colla divinità gentilizia dei Giuli, quanto col più famoso fra i suoi nipoti. In somma sui bigati e quadrigati Vittoria incorona Giove e la di lui famiglia, nei primordi della monarchia si mette a decorare Cesare, ma nella classe dei denari, che chiamerei quella di mezzo, non offre la corona se non alla personificazione o al genio di Roma. 9

Abbiamo veduto che sul didrachmon di Locri Pistis incorona Roma, e che sul denaro di M. Furius Philus Roma incorona il trofeo, ma la dea, alla quale questo atto compete di più, è Vittoria, e sui denari la corona non si vede che per eccezione in mano altrui. Confrontiamo però anche la maniera, nella quale quell’atto è rappresentato. L’incisore della moneta di Locri ha posto Pistis in faccia di Roma assisa presentando tutte e due le figure di tre quarti, gli artisti dei vittoriati mettono Vittoria ed il trofeo l’una dirimpetto all’altro assolutamente di profilo, sui denari romani però il gruppo si compone in altre maniere. La figura, ossia il trofeo che deve incoronarsi, si vede o in profilo avanti all’altra che regge la corona, o più frequentemente in faccia dal lato destro di quell’altra. I denari di M. Furius Philus e di C. Malleolus offrono esempî dell’una e dell’altro concetto e si concederà, che in ambedue le due figure stanno bene unite l’una coll’altra, ma che in quello adoperato da Philus possono prendere uno sviluppo più largo e presentarsi meglio. Perciò s’intende che quel concetto ha trovato più applauso, ricorre specialmente nei denari analoghi dell’epoca di Cesare. Non posso entrare nei meriti ma vorrei aggiungere che l’indicata osservazione è di momento per il denaro n. 163 Cornelia, dove i tre dei Capitolini sono disposti in maniera insolita, trovandosi Giunone alla destra e Minerva alla sinistra di Giove. Imperciocché credo che le dee hanno cambiato di posto appunto [p. 26 modifica]perché Minerva, essendo occupata nell’incoronare Giove, dovette stare nel posto più commodo per questo atto.

Il monetario C. Poblicius Malleolus ha più volte amministrato la zecca. In principio era uno dei colleghi più giovani, coi quali L. Licinio o Cn. Domizio fecero negli anni 645-650 i bigati già mentovati di Marte colla tuba gallica. Il suo nome vi si trova scritto sull’averso attorno alla testa di Minerva colle lettere C. MALLE. C. F. Poi egli alla sua volta era anziano di un collegio, come rilevo dal fatto, che oltre al denaro che sto per illustrare ne esiste un altro anche più comune coi medesimi tipi, ma colla giunta dei due nomi scritti sull’averso L. METEL. A. ALB. S. F. Riservando il lato nobile al proprio nome Malleolus ha aggiunto i nomi dei colleghi L. Metellus e A. Albinus Sp. P. sull’averso10. Infine c’è anche un terzo denaro col suo nome, dove la medesima divinità che si riscontrò sul bigato cioè Marte è rappresentata tanto sull’averso quanto sul riverso. Il nome del monetario vi è scritto in modo più breve C. MAL e sta qualche volta sopra un lato d’una tavoletta bipartita, disegnata nel campo del riverso, mentre l’altro lato della tavoletta esibisce la lettera P, abbreviazione della formola publica ossia argentum publicum, che serve a legalizzare la moneta nel medesimo modo come la parola Roma l’aveva fatto sui denari più antichi11. Siccome sul denaro, onde faccio discorso, lo stesso Malleolus ha adoperato la parola Roma per illustrarne il tipo, s’intende che egli non poteva ripeterla sull’altro denaro nel senso antico, ma era obbligato a cambiare di formola. Peraltro si può domandare se i suoi due denari più recenti con Roma e con Marte siano soltanto due serie differenti della medesima amministrazione, o se appartengano a due anni diversi. È vero che nel periodo quinto alcuni monetari non solo hanno fatto uso di lettere ed altre note monetali, ma pure di variazioni introdotte negli stessi tipi per avere un numero di [p. 27 modifica]conî sufficiente alle emissioni stragrandi di quell’epoca, ed i numismatici hanno finora attribuito alla medesima amministrazione tanto quei due denari di Malleolus, quanto due altri col solo nome del suo collega A. Albinus Sp. F. Ma chi studia i cambiamenti dei tipi, troverà che nell’epoca indicata erano ancora molto semplici, si confrontino i denari n. 199 Apuleja, n. 212 Calpurnia n. 213 Junia, n. 214 Titia, n. 215 Tituria, n. 228 Rubria, dove il tipo si vede cambiato sopra un solo lato della moneta, sia l’averso sia il riverso in modo che rimanendo l’altro lato identico si riconosce senz’altro, che le diverse serie appartengono alla medesima emissione. Perciò non vorrei ammettere, che i soli Malleolus ed Albinus abbiano fatto battere in un solo anno quattro denari diversissimi l’uno dall’altro su tutti e due i lati. Ma non conviene sciogliere brevemente siffatta quistione.

Sulla persona del monetario non sappiamo niente di preciso. Siccome la sua prima amministrazione avvenne fra 645 e 650 è impossibile ch’egli sia quel C. Malleolus che morì essendo questore di Dolabella nel 673; un altro Malleolus d’ignoto pronome fu messo a morte come parricida nel 653, egli può essere stato il monetario, poiché non ci voleva un lungo intervallo per avere di nuovo la magistratura della zecca, anzi poteva essere prorogata nell’intenzione di dare più stabilità all’amministrazione. Lo studio dei tesori non offre molta luce in proposito. Il più antico che contenesse i denari con Roma, era quello di Fiesole nascosto, secondo il mio parere, circa al 66312. Nell’epoca della guerra sociale essi erano molto frequenti, come dimostra il fatto che i tipi sono stati copiati dagli Italici. I tre esemplari di sifatta moneta italica pubblicati dal Friedlander Osk. Münzen Tav. X n. 14-16 sono diversi dai denari romani soltanto nell’iscrizione e nella nota monetale, mancando il nome del monetale ed essendo sostituita la parola ROMA da quella ITALIA. [p. 28 modifica] Il quarto denaro n. 207 ci mostra di nuovo Roma ritta in piedi.

ROMA. Busto di Ercole con barba nascente, colla spoglia del leone sul dorso e colla clava appoggiata alla spalla s., dietro scudo beotico, nel campo lettera variante dell’alfabeto latino sola o accompagnata di uno o più punti.

R.° LENT. MAR. F. Roma con abito succinto e calzari sta di prospetto, con elmo ornato di triplice cimiere, appoggiando la d. sull’asta, la s. sul fianco. Dal lato s. di lei il Genio del popolo romano seminudo stante con cornucopia nella s. e con laurea nella d. stesa in atto d’incoronarla; nel campo la stessa lettera latina che è nell’averso, sola o accompagnata di uno o più punti. Il tutto racchiuso entro una corona d’alloro. – Denaro non troppo comune di fabbrica poco buona. Vd. n. 5 della tav.

In un altra emissione di questo denaro la parola ROMA dell’ averso è sostituita dalla formola P. E S. C. vuol dire publice e senatusconsulto, invece delle lettere monetali latine si trovano pure quelle greche.

Roma è vestita in modo simile come sul denaro antecedente, ma ha sulla testa l’elmo riccamente ornato ed essendo disegnato di prospetto si presenta in attitudine molto marziale ed altiera. Il Genio è un giovane col manto attorno alle parti inferiori e caratterizzato dal cornucopia nella s. Ho di sopra chiamato eccezionale il fatto che una altra figura, se non Vittoria, porge la corona sui denari, per incidenza poi ho già fatto menzione del denaro n. 163 Cornelia, dove Minerva mette la corona a Giove. Peraltro non rimangono che i denari n. 159 Iulia e n. 205 e 226 Memmia con Cupido e Venere ed il denaro in discorso col Genio del popolo romano e Roma. Ora è rilevante l’analogia che corre fra Minerva e Cupido in quanto al rapporto in cui stanno con quelle divinità, alle quali porgono la corona. Minerva adorna il padre, Cupido la madre e mi pare che anche Roma ed il Genio [p. 29 modifica]del popolo romano possono considerarsi come madre e figlio. Intanto non solo l’elmo di Roma sta per essere incoronato, anzi essendo l’intero riverso del denaro fregiato d’una corona, tutte e due le figure si trovano cinte per ogni lato da quel segno di felicità e vittoria.

Il Genio del popolo romano si ripete sopra due altri denari repubblicani che sono stati battuti da membri più recenti della medesima famiglia dei Corneli Lentuli, ed hanno tutto il dritto di essere considerati accuratamente in questa strenna, sono i n. 259 e 260 del Mommsen.

G. P. R. Busto del Genio del popolo romano barbato e diademato con indizio di toga e scettro sporgente di retro all’omero. Vd. n. 6 della tav.

R.° CN. LEN. Q. EX S. C. Globo terrestre posto in mezzo d’un timone di nave e d’uno scettro decorato d’una corona d’alloro.

Denaro frequente.

In un altra emissione più rara l’ iscrizione del riverso dice

LENT CUR X cioè Lentulus curator denariis flandis.

Per lasciare maggior posto all’iscrizione più lunga il tipo è portato più in alto.

Il secondo denaro cioè n. 260:

Q. S. C. Testa di Ercole barbato.

R.° P. LENT. P. F. L. N. Il Genio barbato, seminudo sedente in sedia curule col piede s. sopra lo sgabello ma con quello d. sopra il globo, regge nella destra un gran cornucopia e nella s. uno scettro volgendosi verso Vittoria volante con laurea nella d. e con palma nella s. Denaro raro. Vd. n. 7 della tav. 13.

I due Lentuli più recenti hanno tralasciato di raffigurare Roma, che si vedeva già sopra altri denari, ma hanno ripetuto l’altra figura del gruppo che era nuova, l’uno ha messo la testa del Genio sull’averso, l’altro l’intera figura sul riverso. Le due rappresentanze possono [p. 30 modifica]dirsi analoghe l’un’all’altra ma molto diverse da quella del denaro più antico, offrendo un bell’esempio della maniera di variare perfino i tipi delle divinità sui denari. Il Genio non è più giovane, ma ha la testa barbata, egli ha poi l’attributo dello scettro che gli mancava del tutto sul denaro antico ma che è aggiunto anche alla sola testa dell’averso, e sebbene l’attributo del cornucopia si trovi tanto nel reverso del Lentulo maggiore, quanto in quello dell’uno dei Lentuli minori, esso però nei dettagli è diverso. Varietà analoga si osserva anche nella testa di Ercole sugli aversi. Il Lentulo maggiore la raffigurò con la barba nascente, ma il minore con la barba completa. Non è possibile di formarsi coll’aiuto di queste monete un’idea precisa né del tipo dell’Ercole celebrato con culto particolare dalla gens Cornelia, né della rappresentanza del Genio del popolo romano da supporsi nel suo sacrario situato al foro. Lo stesso però si può dire di molti fra i monumenti raffigurati sui denari, i quali in genere non possono adoperarsi nella tradizione dei monumenti se non con grandissima precauzione.

È da rilevarsi poi che i due Lentuli delle seconda generazione hanno di comune un emblema tutto nuovo dell’impero romano, il globo terrestre. Cn. Lentulus lo ha messo nel centro del tipo del riverso in mezzo di altri emblemi del governo, mentre P. Lentulus lo ha combinato colla stessa figura del Genio mettendolo sotto il suo piede. Il globo terrestre è già anteriormente stato simbolo della terra come attributo della musa Urania. È vero che il monumento più antico che ce lo faccia vedere congiunto con questa Musa è un denaro più recente di quello in discorso, cioè uno dei denari di Q. Pomponius Musa n. 298, ma perché le Muse raffigurate da questo monetario hanno da ritenersi per copie esatte delle statue, che dopo la guerra etolica nel 565 M. Fulvius Nobilior fece trasportare da Ambracia14, così pure il globo posto sopra una base allato [p. 31 modifica]dell’Urania del denaro sarà già stato attributo della statua esposta nella residenza di Pirro. Intanto l’idea di far divenire il globo emblema dell’impero della terra pare che possa ascriversi ai due Lentuli ossia ad uno di essi. Tanto l’uno quanto l’altro concetto, nel quale se ne è fatto uso sui loro denari, è più tardi molte volte imitato. Il primo che abbia ripetuto il globo come centro del tipo è stato un altro Cornelio, il figlio di Sulla Faustus, il quale volendo encomiare sul suo denaro n. 275 il suocero Pompeio fece disegnare il globo in mezzo di quattro corone e di altri ricordi delle vittorie riportate in tutte le parti dell’orbis terrarum. L’altro concetto lo ritroveremo su denari da illustrarsi più dettagliatamente, perché mostrano la stessa Roma in atto di calcare il globo.

Accingiamoci ora a stabilire le epoche dei denari dei tre Lentuli. Il primo si chiama LENT. MAR. F cioè come leggo coll’Eckhel D. N. v. p. 188 e col Mommsen nella nota al n. 207 Lentulus Marcelli filius, il cui nome più completo era P. Cornelius Lentulus Marcellinus, figlio naturale di M. Claudius Marcellus ma adottato da un Lentulo e divenuto console nel 687. Egli ha due volte amministrato la zecca, essendo una volta monetario regolare, l’altra curatore straordinario, come si riconosce dal fatto che sopra una parte degli aversi si trova la solita parola ROMA senz’altra giunta, sopra l’altra più rara però si leggono le sigle P. E. S. C. La lettera P publice l’abbiamo trovata al posto della parola Roma pure sopra una parte dei denari di C. Malleolus mentovati di sopra, le altre lettere costituiscono la formola e senatusconsulto, la quale secondo la notissima opinione dell’Eckhel D. N. v. p. 66 adottata dal Mommsen si è aggiunta sulle monete più recenti per constatare che l’emissione ne era fatta in modo straordinario. Siccome sui denari della seconda categoria non sono per niente cambiati i tipi ma soltanto introdotte nuove lettere monetali, così credo che la seconda amministrazione [p. 32 modifica]abbia seguito immediatamente la prima; finito il tempo della regolare magistratura un senatusconsulto l’avrà prorogata autorizzando il monetario di continuare e condurre a termine l’emissione che aveva cominciata. Questa emissione si è fatta prima del 663, perchè l’asse che corrisponde ai denari appartenendo al piede onciale precede la legge Papiria, colla quale circa all’anno indicato s’introdusse il piede semionciale15. I tesori più antichi che abbiano contenuto esemplari del denaro descritto in primo luogo sono quelli di Fiesole e di Cingoli nascosti poco tempo dopo che quella legge è entrata in vigore. Denari dell’altra categoria sono poco comuni né si sono riscontrati che in tesori posteriori.

Il figlio di questo P. Marcellinus si chiamò cn. Cornelius Lentulus Marcellinus e fu console nel 698. È quello che fece i denari n. 259, avendo però già fatto altri. Bisogna questa volta distinguere tre amministrazioni diverse, cn. Lentulus cominciò coll’essere monetario regolare coniando i bigati n. 229, che non serve illustrare più precisamente, perché non vi è raffigurata Roma ma Vittoria. Poi egli coniò due altre volte in modo straordinario EX. S. C, cioè una volta come Questore, l’altra attribuendosi il titolo di curator denariis flandis. Come si vede il nome diventa più breve ma il titolo più lungo:

Sul n. 229 si chiama CN. LENTVL.
" 259 a " CN. LEN Q.
" 259 b " LENT. CVR X FL.

La prima amministrazione pare che cade nel 671 o 672, la questura si può mettere dietro l’opinione del Mommsen circa al 680 e la terza emissione sembra non stata essere altra se non continuazione della seconda, come l’abbiamo in modo analogo supposto pure per il padre, poiché non si vedono cambiati i tipi ma soltanto le parole. [p. 33 modifica]Anche questa volta il denaro dell’amministrazione prorogata è meno frequente dell’altro, esemplari del quale si sono rinvenuti nei tesori di Roncofreddo e Frascarolo nascosti negli anni 681-683.

Il terzo Lentulo, a saper nostro, non è stato mai monetale ordinario, ne ha fatto più di una sola emissione coniando come questore s. c. Si chiama P. Lentulus P. f. L. n. ed è stato, secondo ogni probabilità, quel P. Lentulus, il quale essendo console nel 697 ricevette il sopranome Spinther. Fa maraviglia che egli abbia aggiunto non solo il prenome del padre ma pure quello del nonno, perché una denominazione così completa è poco conveniente al piccolo spazio della moneta, e rarissima perfino sui denari più recenti. Non ne abbiamo che quattro altri esempi: vd. i denari n. 231. 250. 261. 282.16. Quanto a tre di questi denari il nome del personaggio mentovatovi come nonno si legge già sopra denari più antichi, sia che lo stesso nonno è stato a tempo suo monetario, sia che un suo figlio, essendo monetario, aggiunse il prenome di lui al proprio nome. Si confronti il TI • CLAVD • TI • F • AP • N di n. 231 coll’AP • CL • di n. 194, poi l’A • POST • A • F • S • N • ALBIN di n. 250 coll’ A • ALBINVS S • F • di n. 191 ed il M’ AQVIL • M’ • F • M’ • N di n. 282 col M’ • AQVIL • di n. 171. Pertanto un L. Lentulus non si trova nel numero dei monetali più antichi. Ma siccome fra i Lentuli contemporanei esisteva più di uno che poteva scriversi pure P. Lentulus P. f. e precisamente il sopradetto Cn. Lentulus aveva un fratello del nome Publius, che andò nell’anno 679 come primo questore nella nuova provincia di Cirene (vd. Sallust. Histor. II, 2. Mommsen in nota a n. 207), s’intende che il monetario ha creduto indispensabile la giunta del nome del nonno per determinare la propria persona.

Confrontando ora di nuovo i tipi dei tre denari dei Lentuli, troviamo che il figlio Cn. ha messo sull’averso del suo denaro la testa di quella figura che trovò rappresentata [p. 34 modifica]sul riverso del denaro del padre, ma ha aggiunto un riverso tutto nuovo (come p. e. ha fatto pure L. Philippus figlio di Q. Philippus, vd. n. 152 e 156 Marcia) mentre P. Lentulus P. f. L. n. ha in genere ripetuto tanto il tipo dell’averso quanto quello del riverso del denaro del Lentulus maggiore, cambiandone però i concetti in modo di farvi entrare quello che Cn. Lentulus ha inventato. La rappresentanza del Genio che si vede sul denaro di P. Lentulus si può dire composta dai tipi, dei quali hanno fatto uso i due altri Lentuli padre e figlio. Dunque P. Lentulus, tanto ansioso di distinguere il suo nome da quelli degli altri Lentuli, ha però cercato d’incontrarsi con loro nei tipi. Il Cavedoni, Ragguagl. p. 206, ha proposta la conghiettura, che i due Lentuli più recenti siano stati colleghi nella questura. Il confronto dei tipi mi rende più probabile, che P. succedesse a Cn., peraltro credo anch’io, che ambedue abbiano amministrato la zecca nel medesimo anno, voglio dire che P. coniò come questore mentre Cn. già era divenuto curator denariis flandis. A tale conghiettura corrisponderebbe anche il fatto che, mentre il denaro di Cn. Lentulus questore è frequente, quello di Cn. Lentulus curatore è tanto raro quanto lo è quello di P. Lentulus.

Restano da esaminarsi due altri denari e un quinario colla figura di Roma. Comincio col numero 258.

KALENI HO • VIRT • Teste accollate dell’Onore e della Virtù, quella coronata di alloro e con capelli inanellati, questa armata di elmo.

R.° CORDI ITAL • RO • Italia e Roma stanti in atto di stringersi amichevolmente le destre, quella stolata con cornucopia nella s. questa diademata in veste succinta colla mamella d. scoverta, coturnata, col parazonio al fianco e collo scettro tenuto obliquamente nella s. posando il piede d. sopra il globo. Dietro a Italia caduceo alato. Denaro serrato, piuttosto raro. Vd. n. 8 della tav.

Il denaro è stato battuto da due colleghi e prende [p. 35 modifica]nella serie dei denari analoghi un posto distinto; imperciocchè sebbene ogni collega abbia scritto il nome separatamente sopra l’uno dei due lati, i tipi però manifestano l’unione strettissima dei due colleghi. Vediamo sull’averso le teste delle divinità Honos e Virtus, che avevano culto comune nel tempio costrutto da Mario, e sul riverso Italia e Roma sono rappresentate in atto veramente amichevole. Italia vestita del solito costume delle donne regge l’attributo della ricchezza. Roma si vede in abito guerriero con due attributi dell’impero, scettro e globo. Tutte e due hanno inoltre il principio del nome scritto accanto, come se non fossero caratterizzate abbastanza da quelli attributi. Infine dietro all’Italia si scorge un caduceo alato. Il caduceo non è soltanto attributo di Mercurio, ma pure della Pace, come si può dimostrare tanto per un didrachmon di Locri pubblicato da Carelli, tav. CLXXXIX, 13, quanto per un denaro dell’epoca di Augusto, vd, Cohen Iulia n. 50, dove quella divinità distinta dal nome regge un caduceo. È vero che là non è alato, ma le ale, a quel che pare, non ne costituiscono che un ornamento, come si vedono aggiunte pure a qualche caduceo adoperato come nota monetale sopra denari un poco anteriori a quello in discorso, p. e. n. 230 Marcia 238 Annia, vd. Fabretti Monete consolari di Torino, indice v. caduceo.

Abbiamo già veduto sul denaro di Lentulus Marcelli filius Roma guerriera in compagnia di una figura distinta dall’attributo della ricchezza, è confacente però anche l’analogia che offre una moneta dell’epoca della guerra civile con due guerrieri che stringonsi le mani, ricordo dell’alleanza fatta dagli Italici con Mitridate, vd. Friedlaender Osk. Münzen p. 84, tav. 10, 13. Imperciocchè anche questa volta l’Italia fa un’alleanza, bensì molto diversa. L’Italia non vien più rappresentata da un guerriero ma da una donna coi simboli della ricchezza e della pace, ed il posto del re asiatico lo occupa Roma padrona del mondo. Si sa che [p. 36 modifica]i tipi dei denari degli Italici sono in genere stati imitazioni di quei romani, ma quella moneta, avendo un tipo tutto nuovo nella numismatica della penisola, poteva all’incontro benissimo aver offerto modello al monetario romano più recente.

Fra i due monetari Cordus e Kalenus quello tiene il posto più alto essendo il suo nome scritto sul riverso. I numismatici hanno in genere supposto, che egli abbia appartenuto alla gens Mucia, perchè Dionisio d'Alicarnasso V, 26 ed altri scrittori danno a Mucio avversario di Porsenna il cognome Cordus invece che quello più noto di Scaevola. Siccome però il Mommsen a ragione reputa inconcludente sifatta combinazione, proferisco la conghiettura, che il monetario appartenne alla gens Caesia e si chiamò L. Caesius Cordus. È vero che nella letteratura non si conosce altro Caesius Cordus se non il proconsolo mentovato da Tacito, Annali III, 38, 70, è vero pure che il medesimo cognome è stato in uso anche fra altre gentes romane, si vd. il De Vit Onomast. II, p. 412, alla cui lista si potrebbe aggiungere il Valerius Cordus presso Lampridius Al. Sever. 3, ma per determinare il gentilizio del monetale si può trarre profitto di una particolarità non ancora osservata dell’iscrizione della stessa moneta, imperciocché sui denari, i quali come il descritto recano i nomi di più monetari, uno di essi nomi è particolarmente quello che sta scritto al posto più nobile ricorre anche sopra un altro denaro più antico.

Più volte il denaro, che direi collegiale, è evidentemente stato battuto nella seconda amministrazione dell’indicato monetario, altre volte tal fatto si può ritenere per più o meno probabile. S’ intende che io non posso svolgere in questa strenna né tutti gli argomenti né tutte le conseguenze di sifatta osservazione, mi contento di proporre la lista dei denari collegiali, mettendo accanto a ciascuno quel denaro più antico nel quale si trova scritto il nome di uno fra i colleghi. Bisogna però riflettere che non tutti i monetali, [p. 37 modifica]i quali coniavano più volte, hanno fatto denari collegiali, si tratta di un uso non di un obbligo.

n. 165 Q MAR • C • F • L • R, il solo di questi tre nomi, che si possa precisare con qualche probabilità è quello di Q. Marcius, si cf. il n. 74 col nome di Q. MARC • LIBO 17.

n. 166 Q. MET • M • CALID • CN • FVL, si cf. n. 131 Q. METE.

n. 167 M • SILA • Q • CVRT, si cf. n. 79 M • IVNI.

n. 170 L. LIC • CN • DOM • con uno dei cinque seguenti nomi: M. AVRELI SCAVRI, L • COSCO • M • F, C • MALLE • C • P, L • POMPON! • CN • F, L • PORCI LICI, si cf. nn. 39, 133, 167 còl nome di CN • DO • CN • DOM • e CN • DOMI.

n. 191 C • MALL • L • METEL • A • ALB • S • F, si cf.n. 170 . C • MALLE • C • F.

n. 192 PISO CAEPIO, si cf. n. 212 L • PISO L • F • FRVGI.

n. 194 T • MAL • AP • CL • Q • VR, si cf. infra.

n. 226 L • C • MEMIES • L • F • GAL, si cf. n. 205 L • MEMMI • GAL.

n. 227 P • CREPVSI • C • LIMETA • L • CENSORIN, si cf. i denari riuniti sotto il medesimo numero, sui quali non si legge che un solo di questi tre nomi, cioè P . CEEPVSI, C • MAMIL • LIMETAN, L • CENSOR.

n. 235 M • FAN • L • CRIT, si cf. n. 108 M • FAN • C • F.

n. 243 C • CASSI • L • SALINA, si cf. n. 157 C • CASSI.

n. 258 CORDI KALENI, si cf. n. 178 L • CAESI.

n. 273 P • HVPSAEVS M • SCAVR, si cf. n.274 P- YPSAE.

n. 280 LIBO PAVLLVS LEPIDVS, si cf. i denari riuniti sotto il medesimo numero, sui quali non si legge che un solo nome dei due monetali scritto nel medesimo modo.

n. 290 T • DIDI • IMP • P • FONTEIVS P • F • CAPITO III VIR, si cf. n. 158 T • DEIDI.

[p. 38 modifica]

Fra questi quindici denari collegiali il solo n. 194 non trova corrispondenza. È vero che esiste un denaro n. 42 colle lettere MA scritte in nesso, ma non vorrei decidere, se dobbiamo ricorrervi, o piuttosto supporre, che un denaro fatto anteriormente da uno di quei tre monetari non ci sia pervenuto. In riguardo a quello con CORDI e KALENI faccio osservare, che quanto ho scritto di sopra a proposito del caso genitivo vale pure a confermare la conghiettura, che Cordus appartenesse a una famiglia, il cui nome già si trovò sopra un denaro più antico. Confrontiamo ora le gentes, nelle quali il cognome Cordus era in uso. Quattro di esse non si conoscono affatto nella numismatica repubblicana cioè Abutia, Cremutia, Grania, Mucia; altre tre Aelia, Lucretia, Valeria non ricorrono se non colla giunta di altri cognomi. Restano le tre gentes Caesia, Fabia, Iulia, delle quali abbiamo denari più antichi, dove il monetale si è scritto col prenome e nome senza il cognome. Ma fra essi l’unico denaro di L. Caesius n. 178 offre una bella ed importante analogia con quello in discorso, tanto nel numero delle figure che compongono il tipo cioè i due Lares, quanto nella forma e nella disposizione, peraltro rarissima, dell’iscrizione illustrativa scritta in due nessi ai due lati di quelle figure. Per tutto ciò credo che il denaro si può attribuire alla gens Caesia e che Roma ed Italia vi sono unite l’un’all’altra come sul denaro più antico i due Lares.

Il collega di Cordus Kalenus potrebbe forse identificarsi col solo senatore che si conosca di questo nome Q. Fufius Q. f. Q. n. Kalenus, il quale era tribuno del popolo nel 693 e console nel 707, vd. il Mommsen nella nota; siccome però un esemplare del denaro è stato trovato nel tesoro di Hév-Szamos nascosto circa ventisei anni prima di quel consolato, così quel Kalenus avrebbe amministrato la zecca in età molto giovanile. [p. 39 modifica] Un altro denaro n. 261 b rappresenta Roma insieme con una divinità.

MAXSVMVS. Testa della Libertas cinta di stefane con pileo di dietro.

R.° C. EGNATIVS CN. F. CN. N. Roma galeata, vestita di tunica e manto, che lascia però scoperta la gamba s. posata sopra una testa di lupo, col parazonio al fianco s. e colla d. appoggiata sull’asta. Al suo lato s. Venere pure astata e vestita di tunica e manto. Fra le teste delle due donne Cupido volto verso la madre. Infine a lato di ciascuna un remo inverso infisso in una prora di nave. Lettera monetale latino variante a s. - Denaro raro. Vd. n. 9 della tav.

La rappresentanza non è perfettamente dichiarata. Roma si trova in un attitudine analoga a quella del denaro di Lentulus Mar. F., ma è vestita in modo più ricco e poggia il piede s. in alto come sul denaro di Cordus, calcando però non già il globo ma il capo dell’animale sacro a Marte. Accanto a lei sta, in vece d’un altra personificazione locale, una delle maggiori divinità, la quale ha pure rapporti notissimi con Marte.

Oltre a sifatto denaro esistono anche due altri battuti da C. Egnatius nella medesima amministrazione, e importa studiarli per riconoscere meglio il concetto di quello in discorso. Eccone una breve descrizione:

Testa di Venere con Cupido.

R.° La dea Libertas in una biga coronata da Vittoria

Testa di Cupido con arco e faretra.

R.° Tempio distilo nel quale stanno Jupiter e Libertas distinti da un fulmine e da un pileo rappresentati sopra l’architrave.

Il confronto dei tre denari rivela che C. Egnatius vi ha in modo molto singolare festeggiato Libertas e Cupido. Imperciocché essi due si vedono raffigurati sopra ogni denaro, senza però essere mai congiunti l’uno coll’altra, [p. 40 modifica]anzi stanno sempre separati l’uno dall’altra sui due lati del denaro. Due riversi ed un averso sono dedicati a Libertas la quale ci vien caratterizzata come una delle più alte divinità trovandosi o in compagnia di Giove, o montata in biga e coronata da Vittoria; a Cupido sono dati due aversi e un solo riverso, dove egli occupa il posto di mezzo fra Venere e Roma. È strano questa preferenza attribuita a Cupido notissimo sì nel culto greco, ma ignoto nel culto romano, mi pare però evidente che il tipo è composto per festeggiare piuttosto Cupido che Roma e Venere. Ma come entra Roma in questo concetto? Direi che Roma vi è sostituita a Marte; il monetario astenutosi per qualche motivo dal raffigurare il gruppo di Marte e Venere ha dato il posto del padre alla figlia. Tale genealogia di Roma è pure un idea piuttosto greca che romana, si ricordi del principio dell’ode in onore di Roma conservata da Stobaeo Floril. VII, 13 ed attribuita dal Welcker Kleine Schr. II, 160 sgg. a Melinna: Χαῖρέ μοι Ῥώμα θυγάτηρ Ἄρηος. Ma chi voleva mettere Roma nel rango delle divinità non poteva trovare altra genealogia.

Il Mommsen dice, che l’unione di Venere e Roma accenna senza dubbio alla leggenda troica. È vero che monetari appartenenti alle gentes Iulia e Memmia hanno già prima sui loro denari n. 206 e 226 festeggiato la dea che Lucrezio I, 1 sgg. chiama

Aeneadum genetrix, hominum divumque voluptas.
Alma Venus;

ma il denaro in discorso offrirebbe, come credo, la prova monumentale più antica del fatto che la leggenda troica si mettesse in rapporto, non solo colle tradizioni delle singole gentes e famiglie, ma pure con quelle della stessa Roma. Perciò avrei desiderato che quella leggenda fosse più chiaramente indicata nel tipo, imperciocché mi si concederà [p. 41 modifica]che Cupido non ha molto da fare colla leggenda troica. Comunque ciò sia restano ancora a spiegarsi i due remi posti sui rostri ai lati delle due figure. Quanto al concetto formale sono analoghi alle due colonne che racchiudono le due figure di Giove e Libertas sul terzo denaro, ma non si è inteso finora il rapporto in cui stanno con Cupido, Venere e Roma. Siffatte difficoltà dell’interpretazione non debbono ritenerci troppo dal rilevare, che C. Egnatius ha egregiamente saputo comporre e collegare le tre serie dei suoi denari. Ho detto di sopra, che nell’epoca anteriore i cambiamenti introdotti nei tipi per formare nella stessa emissione più di una serie di denari, si limitavano ancora sopra un solo lato della moneta. Ma fra i monetari contemporanei di Egnatius quella maniera, più semplice e più facile per rendere manifesto il connesso delle diverse serie, venne abbandonata. Anzi ad ambedue i lati di ogni serie si diede un tipo del tutto diverso, ma se lo scelse in modo che un concetto comune riuniva e metteva in stretto connesso tutte le serie l’una coll’altra. Più grande era il numero delle serie, più difficile riusciva il trovare un tal concetto. I monetari di n. 256 Procilia n. 263 Lucretia n. 269 Cornelia n. 272 Iunia n. 275 Cornelia n. 296 Memmia non hanno fatto che due serie di questo genere, C. Egnatius però ne inventò tre, ed anche fra quei che fecero altrettante o più serie, forse nissuno l’ha vinto nella finezza e nell’interesse del concetto vd. n. 257 Volteia, n. 267 Plaetoria, n. 281 Aemilia, n. 284 Cassia. Sifatti denari offrono per così dire sforzi d’ingegno, gli intrecci dei quali ora non si possono facilmente sciogliere.

Sulla persona dell’ingegnoso monetario non si sa niente di preciso. Intanto non vorrei tralasciare che Cicerone nella Cluentiana XLVIII, 135 dice, che i Censori hanno cacciato dal senato un Cn. Egnatius (il cognome non vi si legge), mentre vi hanno lasciato il figlio. Se si ammette ora che il figlio è stato il monetario dei denari in discorso, s’intenderà [p. 42 modifica]meglio, che egli abbia creduto necessario d’aggiungere al prenome del padre anche quello del nonno, non avendo questi avuto la nota censoria. In questo modo avremmo, anche per l’ultimo dei denari mentovati di sopra, trovato spiegazione dell’insolita giunta del nome del nonno.

Gli altri denari non hanno tipi tanto insoliti, ma rappresentano di nuovo Roma assisa colla Vittoria, il primo è n. 271.

S. C. SVFENAS. Testa barbata di Saturno, dietro di esso falce e come pare recipiente di denaro.

R.° SEX. NONI. PR. L. V. P. F. Roma stolata assisa sopra una lorica, alla quale s’appoggiano due scudi ed altre armi, con parazonio al fianco s. e colla d. appoggiata sull’asta. Dietro lei Vittoria stante con ramo di palma nella s. e con laurea nell’atto d’incoronarla. - Denaro frequente. Vd. n. 10 della tav.

Il Mommsen seguendo la spiegazione data dal Pighio Annal. III p. 265 legge l’iscrizione del riverso Sex. Nonius praefor ludos Victoriae primus fecit e la riferisce ai giuochi della Vittoria instituiti nel 672 per celebrare la vittoria riportata da Sulla nelle vicinanze della porta Collina. Un parente omonimo del monetario dunque vien dichiarato come il primo pretore che abbia presieduto a quei giuochi nel 672. In questo modo i giuochi della Vittoria a Roma hanno dato un nuovo argomento di combinare la personificazione della città colla divinità più frequente sui denari. La composizione artistica è poco diversa da quella del denaro di C. Malleolus, pertanto si può dire che Vittoria, sebbene resti deuteragonista, si fa però più innanzi su questo denaro che su quello più antico. Ella inoltre non regge la sola corona per decorare Roma, ma pure un ramo di palma nella sinistra che può interpretarsi come simbolo del premio da guadagnarsi nei giuochi. Non si può più riconoscere se C. Malleolus abbia col tipo del suo denaro voluto accennare a qualche gloria particolare della sua famiglia, [p. 43 modifica]ma l’iscrizione posta su quello di Sufenas non ci lascia incerti, che il suo tipo spetti a un glorioso ricordo di famiglia.

I giuochi fatti a Roma hanno offerto molti concetti ai tipi monetali, in questo luogo però non faccio menzione che di due altri denari con iscrizioni analoghe, che attribuiscono l’istituzione di giuochi agli antenati dei relativi monetari; si confronti il denaro di C. Serveilius C. F n. 301 che ricorda l’istituzione delle Floralia, e quelle di C. Memmius C. F n. 296 che si riferisce a quelle delle Cerealia. Per alcune particolarità delle iscrizioni rilevate da me in altro scritto18 si può dimostrare, che questi tre denari sono stati coniati in ordine inverso a quello nel quale i giuochi si erano introdotti. Il monetario più recente ha cercato di vincere l’antecessore in modo veramente agonistico, celebrando un’istituzione fatta da un antenato in epoca più rimota. Così il denaro di Sufenas che spetta ad un fatto del 672 è più antico di quello di C. Serveilius relativo alle Floralia, che divennero festa regolare nel 581, ed il denaro di C. Serveilius è da parte sua più antico di quello di C. Memmius coll’introduzione delle Cerealia fatta già prima del 552. Siccome poi mancano altre notizie sull’età precisa di questi tre denari, è importante che il Mommsen, identificando il monetario Sufenas con quello che era nel 698 tribuno del popolo, conchiude dalla testa di Saturno posto sull’averso del suo denaro, che Sufenas abbia funzionato da monetario circa l’anno 694, quando è stato questore, essendo l’erario publico custodito nel tempio di Saturno. A questa combinazione s’accorda bene il fatto, che il tesoro più antico che offre esemplari del denaro, è quello di Compito nascosto circa l’anno 696.

Fra le monete romane coniate dopo 704 fino alla battaglia di Filippi la figura di Roma ricorre due volte, la prima volta sul quinario di T. Carisio monetario in uno degli anni fra 705 e 709. [p. 44 modifica] Busto alato della Vittoria con ramo di palma.

R.° T. CARISI. Roma galeata, assisa sopra una congerie di scudi, col parazonio nella d. appoggiando la s. sullo scettro, il piede d. posto sopra un globo. - Quinario molto raro. Vd. n. 11 della tav.

Come in tutti i quinari più recenti vien rappresentata Vittoria, così pure questa volta Roma non si trova senza quella sua compagna, pertanto le due figure non sono comgiunte in un gruppo ma spartite sui due lati della piccola moneta. Il tipo di Roma si è molto cambiato. Non sta più in profilo ma in prospetto. Tiene poi sotto il piede d. il globo, simbolo dell’impero, e pare che da questo concetto dipende pure quello del braccio. Non potendo alzarsi il braccio d. si alza il s., reggendo l’asta non già come un arme ma come uno scettro. In somma mi pare che Roma è caratterizzata piuttosto da padrona che da guerriera.

Infine è d’ aggiungersi uno dei denari di C. Vibius Pansa, monetario del 711, aderente al partito repubblicano.

LIBERTATIS. Testa laureata e riccamente ornata della Libertas.

C. PANSA C. F. C. N. Roma galeata, succinta colla mammella d. scoperta e col parazonio al fianco s. siede sopra una congerie di scudi con una piccola lorica fra le gambe, il piede s. posto sopra il globo, la d. appoggiata sullo scettro. Una piccola Vittoria volante per l’aria sta per incoronarla. Denaro frequente. Vd. n. 12 della tav.

Il riverso ci fa vedere un’ altra volta Roma incoronata da Vittoria, ma Roma sola occupa quasi tutto il campo, disegnata in prospetto colle gambe allargate in modo alquanto strano. È armata di elmo e parazonio, ma nello stesso tempo provvista degli attributi dell’impero, globo e scettro, il quale per l’ ornamento in cima questa volta chiaramente si distingue dall’asta. A Vittoria non è più dato né quel posto, né quel sesto che ebbe sui denari [p. 45 modifica]anteriori, vola per l’aria in piccolissima figura. Tutto l’interesse si concentra in Roma e nei suoi attributi.

Giova infine ripetere brevemente quello che abbiamo veduto sui riversi dei denari illustrati. L’azione non vi è vigorosa né varia, limitandosi all’atto d’incoronare e di stringere la mano. Pertanto l’omogeneità e la semplicità dei concetti non esclude che i tipi siano bene diversi l’uno dall’altro.

La figura di Roma vi si trova disegnata prima in profilo poi in prospetto, vi sta tante volte in piedi quante assisa, ma siede sempre su trofei; una sedia curule poteva darsi al Genio del popolo romano ma non alla donna Roma. È stolata o vestita di corta tunica; non tiene mai lo scudo, attributo di Minerva, ma dall’altro canto non è mai inerme. Regge sempre un’asta, che può essere arme o scettro, inoltre è armata per lo più di elmo e parazonio. Alle armi s’aggiunge più tardi il simbolo dell’impero terrestre. Sui denari più antichi vediamo accanto a lei il nome ossia il gruppo della lupa; su quelli più recenti serve a caratterizzarla la presenza del Genio o la testa dell’animale di Marte. Non è mai rappresentata tutta sola, ma fra le figure, che l’accompagnano, c’è una bella e grande differenza; in principio non si trova neppure insieme con figure umane, ma colla lupa e col trofeo, poi Vittoria viene di preferenza sua compagna; nella classe delle personificazioni due sole sono le sue pari, il Genio del popolo romano e l’Italia; dall’altro canto non si trova che una volta in compagnia d’una divinità, per un concetto piuttosto greco che romano. Quantunque sia padrona del mondo, e Vittoria divenga infine piuttosto il suo attributo che la sua compagna, pure un culto divino non viene per niente indicato neppure sul denaro appena anteriore all’epoca augustea. Il tipo della Θέα Ῥώμη non s’incontra che nelle più recenti monete autonome dell’Asia minore. — Si è parlato finora delle sole rappresentanze di Roma [p. 46 modifica]sui riversi dei denari, bisogna osservare anche gli aversi. È una controversia molte volte discussa, se la testa femminile coll’elmo alato, che costituisce fino da principio il tipo dell’averso dei denari, sia quella di Roma o di Minerva, Quei dotti che negli ultimi tempi hanno scritto in proposito l’Aldini Memorie dell’acad. di Torino ser, II, tom. 3, 4 ed il Kenner Die Romatypen 1857, p. 11 sgg. vi hanno riconosciuto Roma, anche il Mommsen Gesch. d. roem. Muensw. p. 287. n. 12, p. 294 n. 20, p. 669 si è dichiarato disposto a seguirli19, ed il Friedlaender Uebersicht p. 185 ha almeno in qualche breve descrizione adottato l’indicata opinione, mentre quella opposta è stata, dopo Olivieri Saggi acad. di Cortona tom IV p. 133, stabilita dall’Eckhel D. N. V p. 84 ed ha trovato l’applauso dello Zoega Bassiril. I p, 143 n. 5 e dei numismatici francesi Mionnet, Cohen e d’Ailly nelle notissime loro descrizioni. Quanto a me devo confessare, che ho prima creduto di poter ravvisare Roma, ma che avendo ponderata meglio la quistione mi trovo costretto di cambiar d’avviso. Mi accingo dunque a sviluppare gli argomenti che mi sembrano decisivi per ritenere Minerva in quella testa.

Se si confrontano le teste raffigurate sugli aversi della moneta romana più antica, cioè dei diversi nominali fatti di rame, si vede che sono state scelte in modo molto conveniente per essere facilmente da tutti riconosciute. Ed era tanto più necessaria sifatta scelta, perché essendo la prora di nave tipo commune al riverso di tutti i nominali, la sola testa dell’averso variò nei diversi nominali. L’asse dunque si riconosceva dalla testa doppia di Giano, il semisse da quella di Giove barbato e laureato, il triente da quella di Minerva coll’elmo corinzio, il quadrante da quella di Ercole coperto della pelle del leone, il sestante da quella di Mercurio col petaso, l’uncia da quella di Minerva coll’elmo attico. Perciò ogni nominale ebbe una testa caratterizzata da un attributo inerente alla testa e bene [p. 47 modifica]distinto. La sola testa che si ripeta due volte in questa serie dei nominali più antichi è quella posta sul nominale di mezzo la testa galeata di Minerva. E s’intende che le altre teste non potevano tanto facilmente prestarsi a notare diversi nominali quanto quella galeata, perchè non tutti i Romani avrebbero conosciuto più forme diverse del petaso o della pelle del leone, ma tutti seppero distinguere le forme diverse dell’elmo. L’elmo del triente è corinzio, quello dell’uncia attico, in modo che la forma dell’elmo corrisponde alla grandezza del nominale. Imperciocchè l’elmo attico essendo il più stretto si trova sul nominale più piccolo, ma l’elmo corinzio il quale spinto indietro occupa più spazio è nota del triente. Una testa galeata poi si trova anche sugli aversi di quei rari nominali che sono moltiplicazioni dell’asse fusi in rame, cioè decussis, trepondius, duepondius20. Sul duepondius si ripete l’elmo corinzio ma nei due nominali più grandi si è fatto uso di un terzo elmo. È quello che, rassomigliando un po’ alla così detta beretta frigia, ha una cresta guarnita di punte che finisce in testa d’uccello. Sull’unico decussis che esista questo ornamento è bene conservato, e si vede distintamente pure nel migliore disegno, che ne abbiamo nell’Aes grave, tav. I, 1 gli esemplari del trepondius, che ho potuto osservare a Roma, sono logori in quella parte (si vd. però 1. 1., tav. I, 2, 1), ma possiamo giudicare sicuramente su quelle particolarità, perché vediamo ancora i modelli che hanno servito per quel tipo. Imperciocchè non solo due assi delle serie del cosidetto aes grave del Lazio, ma pure tutti-, i nominali più grandi dell’asse che esistono in quelle serie fanno vedere la medesima testa vd, 1, 1, tav, I, 4, 5, 8, ed è bene aggiungere che io non conosco soltanto il duepondius della serie della rota con questa testa, ma che per la cortesia del cav. C. L. Visconti mi fa, dato di osservare anche il trepondius analogo inedito del medagliere vaticano. Molti di questi pezzi [p. 48 modifica]dell’aes grave sono sufficientemente conservati per stabilire il fatto, che l’indicato ornamento dell’elmo si compone della testa e del collo d’un grifone. Quanto poi a quelle moltiplicazioni dell’asse romano il Mommsen 1. 1. p. 287 n. 11 rileva a ragione, che alcuni artisti non hanno bene inteso il concetto originale, cambiando le punte del collo del grifone in modo irrazionale. Peraltro non c’è più dubbio che testa e collo del grifone sono gli ornamenti dell’elmo sui decussis e trepondius romani. Ora sta il fatto che testa e collo del grifone, aggiuntavi l’ala, costituiscono pure gli ornamenti della testa galeata sugli aversi delle moltiplicazioni dell’asse romano che sono state coniate in argento, cioè denaro, quinario e sesterzio vd. n. 13 della tavola21. In somma tutte le moltiplicazioni dell’asse più grandi del duepondius fanno vedere la medesima testa galeata. Quale è ora la divinità che vi si rappresenta? Non potrei ravvisarvi né la cosidetta Venere frigia, né la Vittoria romana perché ignoro, che l’elmo sia stato il loro attributo, ma mi pare che non possa essere altra se non Minerva, alla quale conviene precisamente l’attributo dell’elmo.

Si principiò col fare i denari nel 486, quando dopo la presa di Taranto Roma era divenuta padrona della Magna Grecia. È un fatto notissimo che i tipi dei denari hanno molta analogia con quei adoperati in alcune monete dell’indicata parte dell’Italia. Non occorre ricercare ora i prototipi per i Castores del riverso, parlo della sola testa dell’averso. E vero che elmi identici di forma piuttosto attica con testa e collo di grifone in cima e con ala attaccata alla cupola non si vedono sulle monete dell’Italia meridionale, pertanto vi troviamo non solo elmi attici decorati di ala vd. Carelli, Velia, Metapontum, Thurii, Cales. Catalog. of greek coins in the brit. mus. Italy p. 104, 258, 299, 311, 31422, ma pure molti grifi interi raffigurati in modo, che devono stimarsi fatti in rilievo sulla [p. 49 modifica]cupola ossia sulla nuca dell’elmo vd. pure Imhoof Choix VIII, 254. Il grifone è in genere uno dei più ovvi ornamenti dell’elmo di Minerva. Né serve entrare in profonde quistioni mitologiche per trovarne la ragione, basta ricordarsi col Cavedoni Ragg. p. 43, n. 28, che due grifoni hanno fatto parte della decorazione dell’elmo della Parthenos di Fidia ed erano posti in rilievo ai due lati della cupola vd. Pausan I, 24, 5. Variano peraltro assai gli ornamenti e le forme dell’elmo su quelle monete, e possono osservarsi anche elmi analoghi a quei di forma frigia sull’aes grave vd. Carelli Velia e Heradea.

Torniamo ora al confronto del tipo dell’aes grave. Una testa conveniente ad una moneta fusa di rame del diametro di c. 0,08 non può divenire senz’altro tipo del denaro d’argento del diametro di 0,02, perché oltre alla differenza della grandezza sono da considerarsi pure quelle della materia e della fabbrica. Ora fra i nominali di rame quello che corrisponde meglio alla circonferenza del denaro è l’oncia, e si può dire che l’averso dell’oncia, la testa coll’elmo attico, è adoperata per base dell’averso del denaro, ma tanto il materiale più fino e sottile quanto la fabbrica più perfetta indussero a dare all’elmo attico un ornamento più ricco non solo di quello dell’oncia, ma pure del decussis. Imperciochè mentre la cupola dell’elmo resta senza decorazione sul decussis, il denaro d’argento vi fa vedere un’ala. L’elmo alato non è invenzione romana, neppure l’elmo con testa e collo di grifone, ma romana si può dure la combinazione di questi due concetti, i quali, come si converrà meco, si uniscono benissimo in una sola e chiara idea artistica. In somma l’intero ornamento dell’elmo è preso dal grifone23. Il medesimo uccello che adornò l’elmo della Parthenos si trova sull’elmo della divinità che costituisce il tipo del denaro. La statua Fidiaca esibì l’intera figura del grifone, sul denaro non se ne vedono che le parti più alte e nello stesso tempo più adatte a caratterizzarlo. [p. 50 modifica] L’ornamento tanto bene ideato per l’elmo di Minerva come potrebbe convenire a quello di Roma? Non trovo nissun rapporto tra Roma ed il grifone. Eppure posto e non concesso che tale elmo possa appartenere anche a Roma24, resta l’estrema difficoltà di supporre che già nell’anno 486 esistesse, anzi fosse ben noto il concetto della Roma personificata. Quando si volle mettere in giro un nominale finallora sconosciuto non vi si adoperò un tipo prodotto da un’idea artistica tutta nuova ed originale, ma un altro che stava almeno in analogia con quelli soliti a vedersi sui nominali esistenti. Ora siccome tutte le teste esposte sull’asse e sulle sue parti sono teste delle divinità maggiori, non sarebbe prudente di mettere quella del denaro in un’altra classe. Osserviamo però quello che in fatto di personificazioni di città si possa ricavare dalle monete d’argento della Magna Grecia. Io vi conosco due sole monete, sulle quali è rappresentata la testa di una città personificata, sono monete di Pandosia e Terina, città della Lucania meridionale, vd. Catatogue of greek coins p. 370 n. 1, p. 385 n. 1. In tutte e due accanto alla testa il nome della città è posto nel nominativo e, leggendosi anche sul riverso un iscrizione che vi spiega il tipo, abbiamo il buon dritto d’interpretare quel nome in modo analogo. Ma le stesse teste non hanno nissun attributo distintivo, in modo che le personificazioni di Pandosia e di Terina vengono da un lato bene determinate dai nomi, dall’altro non possono per nulla confondersi con alcuna divinità25. Dunque tutto il contrario della supposta Roma, perché alla testa del denaro è dato l’attributo notissimo d’una divinità, mentre il nome proprio della città vi manca.

Ma è vero che esistono non pochi denari recenti, dove difatti il nome di Roma si legge accanto alla testa galeata, e secondo il parere del Borghesi Oeuvr. num. I. 146 quella parola vi è stata scritta qualche volta per indicare la dea rappresentata. Avendo già più volte fatto breve menzione [p. 51 modifica]del nome di Roma scritto sui denari debbo ora parlarne più estesamente. Nei denari più antichi non si legge altra iscrizione che la sola parola Roma, la quale legalizzando la moneta tiene il posto solenne sotto il tipo del riverso. Da questo posto è però a poco a poco scacciata da altre iscrizioni, in primo luogo dai nomi dei monetari, poi anche dalle iscrizioni, che spiegano i tipi. Si cominciò col trasportare il nome del riverso all’averso, poi se lo scrisse in monogrammi, se lo cambiò con altre formole e si finì col lasciarlo interamente. Nei denari del primo e secondo periodo stabilito dal Mommsen la parola Roma si trova sempre scritta sul riverso prescindendo dal n. 109 Minucia, che ha una rappresentanza straordinariamente ricca, nonché dal n. 96, dove L. Atilius ha tratto vantaggio dalla rassomiglianza della prima sillaba del suo cognome con quella di Roma per scrivere in vece di ROMA, NOM, dunque fino all’anno 620 la parola non ha lasciato il posto se non in casi eccezionali. Fra i denari del terzo periodo, 620-640, 23 hanno il nome sul riverso 7 sull’averso, fra quei del quarto, 640-650, 14 sul riverso 20 sull’averso, mentre su 5 altri manca. Nel periodo quinto, 650-670, il nome non si legge più che sopra i riversi del n. 191 sopradescritto e del n. 213 Iunia neppure in tutti i coni di essi, nonché sopra 9 aversi. Più tardi è rarissimo, vd. gli aversi di n. 233 Fonteia, 255 Poblicia e un denaro di T. Carisius, che ebbe una certa predilezione per tipi antichi, si vd. pure il riverso di n. 265 Satrienna26.

I denari che fanno vedere la parola Roma accanto alla testa coll’elmo alato, sono n. 108 Fannia, 109 Minucia, 119 Tullia, 127 Maenia, 138 Acilia, 143 e 144 Caecilia, 145 e 147 Fabia, 146 Servilia, 148 Cornelia, 149 e 169 Manlia, 150 Numitoria, 158 Didia, 166 Calidia, 167 Curtia, 168 Sergia, 172 Porcia, 173 Flaminia, 181 anonimo coll’insegna della lupa descritta di sopra, 183 Clulia, 190 Apuleia, 255 Poblicia. Ma questa combinazione dipende dal [p. 52 modifica]fatto, che l’uso di mettere quella testa sull’averso si è conservato più lungo tempo che l’uso di scrivere quella parola sul riverso. Nego che sifatta circostanza possa offrire valido argomento a chi vuol spiegare il tipo originario dell’averso. Il nome di Roma non ha che fare col tipo né in principio né più tardi, perché sui denari recenti sta non solo accanto a quella testa galeata, ma pure accanto ad altre. In questo riguardo sono di speciale interesse le due emissioni dei tre monetari di n. 144-146, che nella prima fecero ancora uso della testa galeata, nella seconda però vi sostituirono quella di Apolline, ma aggiunsero la parola Roma tanto nell’una quanto nell’altra emissione. Le altre teste, che si vedono in questo modo rappresentate colla giunta della parola Roma, sono quelle di Venere n. 155 Aemilia e 203 Porcia, re Filippo n. 156 Marcia, Marte 162 Lutatia, Giove giovanile 178 Caesia e 233 Fonteia, Apolline 191 b. d. Poblicia e Postumia e 212 Calpurnia, Diana 191 e Postumia, Saturno 205 Memmia, Ercole 207 Cornelia, Sileno 213 Iunia.

Nella medesima epoca, alla quale appartengono tutti questi denari, i monetari cominciarono pure ad aggiungere iscrizioni per spiegarne i tipi. La varietà e la particolarità delle rappresentanze resero talvolta necessario sifatto mezzo di farsi intendere. Pure la parola Roma è entrata nel numero delle iscrizioni illustrative, come ho rilevato nella descrizione dei riversi dei denari n. 182, 191 e 258: pertanto si deve considerare che i tipi rappresentati su quei riversi, essendo nuovi, ebbero bisogno d’iscrizione illustrativa, ma se accanto ad un tipo tanto consueto e tante volte ripetuto senz’iscrizione, quale è la testa galeata si trova in epoca tarda una parola, essa non può stimarsi aggiunta per ispiegare il tipo. Lo stesso si può dire in riguardo al notissimo denaro battuto da Cn. Domitius nel 714 (Cohen Domitia XVII, 7), sull’averso del quale si legge la parola OSCA accanto ad una testa maschile e barbata, raffigurata [p. 53 modifica]già su denari più antichi usciti dalla zecca della città di Osca nella Spagna. Non saprei acconsentire al Mommsen l. l. p. 669 che essa testa sia quella dell’eroe della città, perché manca ogni prova della premessa, che la città di Osca abbia avuto un eroe omonimo di sesso maschile. Anzi mi pare che la parola non vi sia per altro che per indicare il nome della città patria di quel denaro, trovandosi scritto accanto ad una divinità maschile; il che era pure per la parola Roma posta accanto alla testa di Apolline, Ercole e Giove.

Resta ad esaminare il fatto, che la testa galeata non è sempre stata ripetuta in modo identico. È evidente che molti incisori de’ coni non hanno inteso il concetto dell’ornamento, mettendo particolarmente al posto della testa del grifone qualche forma della crista del tutto insignificante. Altri però hanno a bello studio introdotto delle variazioni. Il denaro più antico, che non abbia la solita testa è, secondo i criteri numismatici, quello di Ti. Veturius n. 111 colla testa di Marte alquanto barbata e sta bene il fatto, che il primo monetario il quale abbia variato l’averso, vi ha messo al posto della divinità femminile una maschile distinta pure d’ un elmo. Marte vi è coperto dall’elmo corinzio decorato di una grande penna, la quale tiene il posto dell’ala ed è stata dal Borghesi Oeuvr. num. I p. 145 riconosciuta come l’ornamento dell’elmo del supposto Marte nella battaglia fra i Romani ed i Bruzî mentovata da Valer. Max. VIII, 6. Ma la stessa penna si è ritrovata anche sugli elmi di altre persone, e specialmente i vasi dipinti nell’epoca tarda fanno fede, che era molto frequente nell’Italia meridionale. Siccome poi esiste un’ analogia evidente fra l’ala e la penna, così la sola penna non può, secondo il mio parere, cambiare essenzialmente il tipo. Anzi suppongo che p. e. sul denaro n. 149 Manlia, dove la testa femminile è coperta da elmo attico decorato della penna, abbiamo da riconoscere Minerva. [p. 54 modifica]Quanto ad alcuni altri aversi colla penna si può però dubitare, se vi sia raffigurato Marte o Minerva.

Per la fabbrica in genere non troppo buona dei denari non si può sempre determinare il sesso della figura dal confronto dell’espressione o dei singoli lineamenti più maschili o più femminili del profilo, vale meglio di appogiarsi su criteri meno soggetti a dubbio. Ora sui denari più antichi la natura femminile della testa viene dimostrata da capelli lunghi e ricchi e quasi sempre anche da orecchini e collana. È vero che l’Aldini l. l. p. 9 ha voluto ricavare da questo fatto un argomento per l’opinione sua, sostenendo che gioielli femminili non convengano a Minerva, ma chi confronta le tavole del libro di Carelli troverà, che pure nelle monete dell’Italia meridionale Minerva è tante volte provvista dei medesimi ornati. Né posso adottare l’osservazione del Kenner l. l. p. 14 nota, che la testa di Minerva sulle monete delle famiglie sempre è priva di gioielli. Imperciocchè, prescindendo da molti trientes con orecchini pubblicati dal d’Ailly, anche la testa del n. 228 c. Rubria, la quale viene dall’egida chiaramente caratterizzata come testa di Minerva, ha quell’ornato muliebre: si veda il disegno presso Morelli Rubria 5, il quale in questo dettaglio è più preciso che quello del Cohen. Peraltro non deve far maraviglia che l’attributo dell’egida manchi alla testa di Minerva nei denari antichi, perchè l’egida coprendo il petto è conveniente soltanto ad un busto, mentre quel tipo si restringe alla sola testa col collo; sui denari Minerva coll’egida è molto più recente di quella senza. Il primo denaro, sul quale invece della semplice testa galeata si vede l’intero busto con lancia e scudo pare che sia quello di P. Nerva n. 160 Silia. Il busto vi è disegnato dal lato sinistro nell’intenzione di far vedere l’insegna dello scudo rappresentante un cavaliere. Disgraziatamente non si è finora trovata spiegazione di questa insegna. Il Borghesi l. l. senza parlarne più estesamente [p. 55 modifica]ritiene il busto per quello di Roma, ma non trovo nissuna relazione fra Roma e quel cavaliere, né conosco altro denaro dove Roma abbia in mano uno scudo.

Non conviene annoverare tutte le altre particolarità né tutti i difetti, che i diversi denari e pure i diversi conî dei denari fanno vedere nella rappresentanza della testa femminile galeata. Basta ricapitolare l’opinione esposta che la testa dell’averso è quella di Minerva in tutti i denari, dove l’ornamento dell’elmo ripete in qualche modo il concetto del grifone. La testa di Roma non è del numero di quelle raffigurate sugli aversi dei denari repubblicani.