Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano/Riflessioni d'ignoto autore sopra i capitoli XXIX, XXX e XXXI

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Riflessioni d’ignoto autore sopra i capitoli XXIX, XXX e XXXI

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Riflessioni d’ignoto autore sopra i capitoli XXIX, XXX e XXXI
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RIFLESSIONI

D’IGNOTO AUTORE

SOPRA I CAPITOLI

XXIX, XXX E XXXI

DELLA STORIA DELLA DECADENZA

E ROVINA DELL’IMPERO ROMANO

DI

EDOARDO GIBBON

DIVISE IN TRE LETTERE

DIRETTE

AI SIGG. FOOTHEAD E KIRK

INGLESI CATTOLICI

LETTERA

Se io fossi libero nei miei giudizj, quanto lo è il Sig. Gibbon, non temerei di affermare, che egli bramasse tuttora di veder fumare l’are del Campidoglio: tante sono, e sì acerbe le sue querele contro gl’Imperadori ed i Vescovi, e quanti altri ebber parte dell’adempimento del vaticinio1 della distruzione del Paganesimo. Ma, per non dipartirmi dall’argomento [p. 233 modifica]proposto nell’altra mia lettera, io dirò solo, che egli a norma dei saggi Canoni di Plutarco2 sostien piuttosto il carattere di Sofista, che quello di Storico, e ad onta delle sue belle proteste partecipa non solo alla sorpresa, ma eziandio alla malizia di Libanio, e di Eunapio.

Ed infatti affermando il Sig. Gibbon, che in quasi tutte le Province del Mondo Romano un esercito di fanatici SENZA AUTORITA’ invase i pacifici abitatori: che un piccol numero di tempj degl’idoli rimase difeso dalla distruttiva rabbia del fanatismo, e della rapina, diretta, o piuttosto mossa dai Regolatori spirituali della Chiesa; chi, non riconoscendo lo stile del pagano Sofista Libanio3, asterrebbesi dal giudicare, che i Vescovi e i Monaci capricciosamente, e con animo di ribelli recassero per tutto l’Impero stragi e ruine? L’asserir che talora il disfacimento dei templi si eseguì pel soverchio zelo dei Monaci, e degli Ecclesiastici4 senza l’autorità, od il comando dei Principi, sarebbe stata proposizione da Storico; ma il rendere odiosi tanti venerabili Vescovi ed illu[p. 234 modifica]stri Solitarj con una induzion generale fondata sopra di pochi fatti particolari, è conforme soltanto alla Dialettica dei Sofisti5.

Io leggo pertanto, che non si diè mano alla demolizione dei templi di Gaza6 senza l’assenso di Arcadio, ottenuto da S. Porfirio, Vescovo di quella città: e leggo altresì, che se S. Giovanni il Grisostomo credè bene di commettere ai Monaci la distruzione dei tempj per la Fenicia, non trascelse quei pochi, i quali si abbandonavano alla intemperanza7; ma bensì alcuni tra quei moltissimi, che ardevan di zelo pel Culto divino ασκητας ζηλωῳ θειω πυροπολουμενους συνεξε, e ve gli diresse muniti degli Editti Cesarei νομοισ δ’αυτους οπλισας βασιλικοις8. Bramereste voi di sapere quali fossero i termini di quell’Editto? Combinandosene la pubblicazione in Damasco Metropoli della Fenicia con l’epoca dell’an. 399 corrispondente ai principj del Vescovado di S. Giovanni il Grisostomo, possiamo persuadersi che sieno i seguenti = Si qua in agris templa sunt, sine turba ac tumultu diruantur: his enim dejectis atque sublatis omnis superstitionis materia [p. 235 modifica]consumetur = 9. Alla qual legge il Ch. Gotofredo ci avverte, che due anni prima per una Costituzione del medesimo Arcadio fu ordinato a quel Prefetto di restaurare con i lor materiali le strade, i ponti, gli aquidotti, e le mura10.

Che se dall’Oriente, secondo la moderna Geografia, passiamo nell’Affrica, il Sig. Gibbon istesso non niega, che il Serapeo, (rappresentatosi da tutti gli Storici, e da Ruffino medesimo che può meritare la fede di testimone originale come l’infame asilo d’ogni empietà, sul qual fatto ei non pertanto poche pagine dopo sparge un orribile scetticismo, onde Plutarco direbbe11, „Perplexa, nilque sani, Ambages omnia„) non niega io diceva, che fosse abbattuto per uno rescritto speciale di Teodosio, e soggiunge, che la sentenza di distruzione comprese non solo Serapide, ma gl’Idoli di Alessandria. Siccome però tante costituzioni Imperiali distinguono gl’Idoli, l’are, e gli ornati superstiziosi dai Templi12; così non la facendo da destro e malizioso Sofista, doveva scrivere schiettamente, che la sentenza fu pronunziata contro gli stessi Templi13.

Che anzi l’Imperatore non esitò di risguardar come [p. 236 modifica]martiri coloro, i quali nella distruzione del Serapeo rimasero uccisi, accordando ad un tempo stesso agli uccisori Pagani un generoso perdono14; giudizio, che in certo modo ha canonizzato la Chiesa15. Se tali cose fossero state omesse da un altro Scrittore, potrebbe forse esser degno di scusa. Ma chi si ferma ad investigar se Serapide fosse uno dei mostri di Egitto: chi censura come strana l’opinione dei Padri sostenuta, dal Vossio, che sotto la forma d’Api e Serapide si adorasse il Patriarca Giuseppe16: chi, per istruire il lettore delle cagioni della rovina del più grande Impero del Mondo, descrive minutamente il sito, la figura e la magnificenza di un tempio, la forma di un Idolo, il corbello, le tre code, i tre capi del mostro, che esso avea nella destra, e lo strazio che ne fu fatto, impiegandovi nove pagine: chi finalmente inserisce nel testo con i colori più tetri le cattive qualità di Teofilo, allora Vescovo di Alessandria, traendole da Tillemont, e nelle note tra le molte lodi di esso accennate da quel fedele Scrittore, rammenta insultando la sola amicizia, che Teofilo avea per Girolamo, chia[p. 237 modifica]ramente dimostra, che l’odio e l’ingiustizia gli aguzzan lo stile17.

Quanto poi fosse ben radicato negli animi dei Regolatori spirituali della Chiesa Affricana il rispetto per l’autorità del Sovrano in tale affare, non si può meglio comprendere, che dagli atti del V. Concilio Cartaginese, in cui così decretarono18: = Instant etiam aliae necessitates a religiosis Imperatoribus postulandae, ut reliquias idolorum per omnem Affricam jubeant penitus amputari... et templa eorum, quae in agris, vel in locis abditis constituta NULLO ORNAMENTO sunt, jubeantur omnino destrui =. L’idolatria a dispetto di tante leggi si manteneva ostinata nelle campagne dell’Affrica, si trattava di tempj di nessun ornamento, i Cristiani si traevano a forza da quei Gentili ai loro infami spettacoli, ed ai conviti, nei quali si abbruciavano incensi, e si cantavan degl’inni ad onore dei falsi numi; e tutto ciò non ostante quei Padri non operaron a capriccio, come forse avevano operato i Conti Giovio e Gaudenzio nel cuor di Cartagine poco prima, i quali non erano certamente nè Monaci, nè Vescovi19; ma consultarono riverentemente l’oracolo dei Cesari non solo per i tempj di nessun pregio, ma per gl’idoli stessi. E posto ciò, come è mai verisimile, che osassero quei Vescovi di aver per costume di attaccare i più bei monumenti d’Architet[p. 238 modifica]tura nelle più illustri Città, e sotto gli occhi dei Magistrati, quando erano già chiusi all’Idolatria20 da Graziano, Valentiniano, e Teodosio; e ciò senza autorità, anzi contro l’espresso divieto21 di quegl’Imperatori medesimi, che consultavano? Che se ciò si pretende tuttavolta non solo verisimile, ma di fatti avvenuto; altro ci vuole che le Libaniane invettive del Sig. Gibbon a dimostrarlo.

Ma i più malmenati, pur mio avviso, da questo Storico sono i due Santi Marcello Apamiense, e Martino di Tours, sopra i quali vanno principalmente a cadere i titoli di Entusiasti, e di motori della rapina. Marciava, egli dice del primo, una copiosa truppa di soldati e di gladiatori sotto l’Episcopale stendardo alla distruzione dei magnifici tempj della diocesi di Apamea, e dovunque temevasi qualche pericolo, il campion della fede, che per essere storpiato non poteva fuggir, nè combattere, si poneva ad una conveniente distanza oltre la portata dei dardi. Qui non si parla, come vedete, di permissione ottenuta da Cesare, e non si accenna altro mezzo usato dal S. Vescovo, nella distruzione di tanti tempj magnifici se non se quello dei soldati e dei gladiatori. Teodoreto però22 fa espressa testimonianza della prima, dicendo, che egli era οπλω του νομου χρησαμενος Legis praesidio munitus: e smentisce in secondo luogo l’esagerata impostura del Critico23 soggiungendo, che quel grand’uomo = fana [p. 239 modifica]destruxit fiducia magis in Deum, quam hominum opera ad eam reni usus: e dopo aver raccontato in qual modo si demolisse il tempio di Giove, conchiude = Reliqua quoque delubra eodem modo destruxit divinus ille Antistes, che è quanto dire coll’orazione, e non senza una singolare assistenza del Cielo24. Nella distruzione del tempio, che era in Aulone, Marcello si prevalse, egli è vero, del mezzo accennato dal Sig. Gibbon, conforme al racconto di Sozomeno25; ma questo caso è unico e singolare, e l’asserzione di Gibbon è generale; ed inoltre Sozomeno, che ivi scrive da Storico, e non da Sofista, c’istruisce dell’ostinazione, e delle violenze degli Apamiesi, e della proibizione fatta dal Sinodo di vendicare una morte, per cui dovevansi render grazie all’Altissimo.

Nè da quella descritta da Teodoreto mi sembra molto diversa la condotta di Martino di Tours, sebbene il Sig. Gibbon voglia che si decida dal prudente Lettore se ei fosse sostenuto dal soccorso di miracolosa potenza, o dall’armi corporali; ed in tal guisa ambigendo efficit, ut suspiciones altius insideant26. Non dubita però di affermare con Clerc, che il Santo prese una volta un innocente funerale per una processione idolatrica, e fece imprudentemente un miracolo. Ora, su quali fondamenti, io dimando, si dovrà stabilire questo giudizio? Sull’autorità certamente di Sulpizio, a cui ci indirizza il Sig. Gibbon. O Sulpizio adunque è privo di senso, come egli accenna, ed in tal caso ei poteva risparmiarsi il suo dubbio, e non obbligare con tanta [p. 240 modifica]inciviltà un prudente lettore a consultare una leggenda di niuna fede, non disputandosi qui di eleganza di stile: o Sulpizio è uno Scrittore corretto ed originale, siccome avverte, e lo prova con i più forti argomenti, dopo Tillemont27, l’erudito Editore Veronese28 contro il Clerc; ed essendo così, mi si permetterà di asserir con Sulpizio da me consultato con qualche sorta di diligenza, che il S. Vescovo Turonese ricevette e grazie, ed onori grandissimi, e senza numero da Valentiniano I, non men che da Massimo, e dalla Imperatrice moglie di esso29, tanto era applaudita la sua condotta: che l’armi sue consuete erano le più fervorose orazioni30: che ora imperante Domino, ora divino nutu, ora virtute divina superò la resistenza dei Pagani nell’atterrare od incendiare i lor tempj31; e che = plerumque contradicentibus sibi rusticis, ne fana eorum destrueret, ita praedicatione sancta Gentilium animos mitigabat, ut luce eis veritatis ostensa IPSI sua templa subverterent32. Giudichi pure adesso il prudente Lettore, se Martino semper paupertatis [p. 241 modifica]suae custos33 fosse direttore e motor di rapine, e se ei fosse sostenuto dal soccorso di miracolosa potenza, o dall’armi corporali. E dov’è poi l’imprudente miracolo di quell’Apostolo delle Gallie? Quelle contrade eran piene di adoratori degl’Idoli34: era lontano Martino non meno di cinquecento passi da una turba di uomini rusticani, che portavano il cadavere di un Gentile al sepolcro: scorgeva intanto dei lini agitati dal vento, e gli era nota d’altronde la lor costumanza di recar follemente in giro con bianchi veli le false loro divinità35. Eravi adunque tutto il motivo di sospettare, che quel funerale superstizioso36 fosse una processione idolatrica. Come adunque tacciar d’imprudente un Vescovo destinato a schiantare l’errore ed il vizio, se fatto il segno di Croce comanda ad una turba sospetta di arrestare il cammino per sincerarsi di ciò che ella faccia, e sinceratosi, le permette di proseguirlo? Che se piacque all’Altissimo, rendendo immobili quei Pagani, di glorificare il suo nome e il suo Servo con uno di quei prodigi, che la sua provvidenza destinò specialmente alla conversione degl’infedeli37, chi è il Sig. Gibbon, che voglia farla da economo all’Onnipotente medesimo! [p. 242 modifica]

Resta ora a vedersi se veramente un piccol numero di tempj rimase protetto dalla distruttiva rabbia del fanatismo. Certo è che se rimasero in piedi per tutto l’Impero Romano i due soli accennati dal Sig. Gibbon, cioè il tempio della Venere Celeste a Cartagine, ed il Panteon a Roma, il numero per esser plurale, non può idearsi più piccolo. Io però non so di leggieri persuadermi, che fosser sì pochi, quand’Onorio ordinò38 = Aedes inclitis rebus vacuas... ne quis conetur evertere; decernimus enim, ut aedificiorum quidem sit integer status: nè che fosse insolentemente trasgredita una legge fatta in ispecial modo per l’Affrica, ove quanto fosser fanatici i Vescovi, lo avete veduto di sopra. Altrimenti dovettero rendersi ben ridicoli i due Imperatori fratelli Arcadio ed Onorio stesso, quando nove anni dopo con altra legge (e questa universale) ordinarono39, che i tempj pubblici in civitatibus, vel oppidis, vel extra oppida si riducessero ad uso pubblico; che gli esistenti nelle possessioni Imperiali si trasferissero in utili usi, e si demolissero i soli privati: ed assai più ridicolo dovette mostrarsi Teodosio II, comandando colla sua legge dell’anno 426, che i tempj di ogni maniera, i quali tuttora contro le anzidette sanzioni rimanevano intatti40, si spogliassero di qualsivoglia superstizione, e col venerabil segno della S. nostra Religione si espiassero. Il [p. 243 modifica]Commentario del Gotofredo oh quanto può consolare il Sig. Gibbon, mostrandogli eseguito esattamente dai Cesari quel progetto, che viene a farci tredici buoni secoli dopo! Certe, son le parole di quel Chiariss. Giureconsulto, hoc aevo ipso jam Paganorum templa QUAMPLURIMA in Ecclesias Christianorum conversa liquet. Sic Theodosius M. templum Heliopolitanum, quod Balanii dicebatur ingens et celeberrimum, in Christianorum Ecclesiam convertit εποιηοεα υτο εκκλησιαν χιρσιαυων parique modo et templum Damasci teste vel Auctore Chronici Alexandrini. Sic et Theodoretus serm. de Martyr. 8. in f. sub. Theodosio Juniore tempio, idolorum vel diruta, vel ea ipsa, eorumque materias in Ecclesias mutata testatur. Di un tempio della Fortuna mutato in una Chiesa Cristiana parla pure Niceforo41: e di quello di Bacco nella città di Alessandria cambiato in un’altra42 prima della distruzione del Serapeo fa espressa menzione Sozomeno. Ne brama forse di più questo Critico incontentabile? Ammiri adunque per colmo di sua consolazione dai Papi medesimi rispettati i tempj, e specialmente i più belli della sua stessa nazione: scrivendo dopo un maturo esame Gregorio M. per regola dell’Apostolo dell’Inghilterra Agostino in tal guisa. „Fana idolorum destrui in eadem gente minime debent... si fana eorum bene constructa sunt necesse est, ut a cultu daemonum in obsequium veri Dei debeant commutari„43. Io però [p. 244 modifica]lo dovea dire per colmo di sua confusione. Imperocchè, per quel che riguarda i magnifici templi di codesta, una volta Regina del Mondo, ove or dimorate, bastava solo per vergognarsi della sua ingiustissima iperbole, che egli si rammentasse della piacevole Lettera del Sig. Middleton44 ove fa menzione delle Chiese di Roma, che anticamente furono tempj d’Idoli: e Voi per confonderlo non dovete far altro, in ciò imitando Diogene nella confutazione di Diodoro Crono, che una semplice passeggiata pel Foro boario, e nei contorni della vostra vigna del Circo45. Qualora poi si volesse, che tali proposizioni non fossero figlie della malignità, farà di mestiero almeno il supporre, che la Memoria del S. Gibbon abbia sofferto la disgrazia medesima, a cui soggiacque in Cartagine il tempio di quella Dea, smantellato dai Vandali per testimonianza di Vittore Vitense46 dopo l’epoca fissata dal nostro Critico alle devastazioni dei barbari Monaci, ed Ecclesiastici: come tant’altri dovettero essere nei saccheggi ed incendj dei veri Barbari Unni, Goti ed Alani, la rapina de’ quali non era nè diretta nè mossa dai Regolatori spirituali della Chiesa47.

Ma come attribuire del pari a labil memoria l’in[p. 245 modifica]giurioso confronto, che fu il Sig. Gibbon degl’Imperadori Cristiani co’ Diocleziani, e co’ Decj, scusando la crudeltà di questi per i motivi d’ignoranza, e timore, ed accusando quelli come violatori dei precetti dell’umanità, e del Vangelo poichè proibirono l’Idolatria col rigor delle pene? Fu forse il trionfo della Chiesa macchiato di sangue, che, voglia o no col suo Dodwell il Sig. Gibbon48, scorse a ruscelli nelle tante persecuzioni dei primi tre secoli? Il sarebbe stato, ei risponde, se i Gentili avessero avuto pei loro numi quello zelo sì indomito ed ostinato, (sono elleno queste lodi, od ingiurie?) che occupava lo spirito dei primi credenti. Ma intanto nol fu: e se non lo fu, sarà falso, che rigorosamente si eseguisser le leggi Imperiali, che proibivano i sacrifizj, e le cerimonie del Paganesimo. „Tanto tumultu, ac dissensione malignitas ejus plena est, in narrationes quacumque passim se insinuans occasione!..49. Fecero forse quei Cesari, più crudeli dei Diocleziani e dei Decj, qualche violenza per obbligare direttamente i lor sudditi ad onorar Gesù Cristo, come facevasi ai nostri Martiri50 per offerir degl’incensi alle statue di Giove, e di Apollo? Volgete, e rivolgete quanto vi aggrada le leggi del Codice Teodosiano de sacrificiis, Paganis, et Templis, e vi sfido a trovarne una sola, la quale non prenda di mira azioni superstiziose e sacrileghe tutte esteriori, e tendenti alla depravazion del costume, siccome fatte in ossequio di certe divinità, delle quali si ve[p. 246 modifica]neravano gli adulterj, gli stupri, e le frodi51. Potete però risparmiarvi una tal diligenza, giacchè lo stesso Libanio ha lodato la moderazione di un Principe (e questi è Teodosio) che non obbligò mai con legge positiva tutti i suoi sudditi ad immediatamente abbracciare e praticar In Religione del proprio Sovrano. Ma qui Libanio è considerato dal Sig. Gibbon come uno schiavo sempre pronto ad applaudire alla clemenza del suo Signore, che nell’abuso del potere assoluto non diviene all’ultima estremità dell’ingiustizia e della oppressione. Oh quanto è diverso (perdonatemi se vel rammento) da un suo nazionale Filosofo del passato secolo52 il sig. Gibbon! Quegli accordò stranamente ai Sovrani un illuminato potere anche nelle materie di Religione; questi trascorrendo all’estremo opposto teme di pensare da schiavo, se non ispoglia i Monarchi di uno degli essenziali diritti53 inerenti al sacro loro carattere, e non condanna come violatori delle naturali leggi, e dei precetti vangelici gl’Imperadori, i quali crederono spediente di esercitarlo, rammentando ai lor sudditi quella spada, che i Principi non cingono invano, nel vietar che facevano atti puramente esteriori di un culto condannato dalla natural ragione medesima, fautore della corruttela e del vizio54, [p. 247 modifica]e, che che dicasi il Sig. Gibbon, mal confacente, in ispecial modo nel regno di alcuni, alla pubblica tranquillità, era sì strettamente connessa l’arte vanissima sì, ma funesta della divinazione co’ riti del Paganesimo, che la stessa vita dei Principi, non che dei privati, finchè sussistevano, era sovente esposta a pericolo. Ed in fatti il celebre Gotofredo55 giustificando per questo capo la severità di Costanzo nel proibire i sacrifizj, soggiunge = Quod et Theodosio M. evertit, antequam sacrificio penitus prohiberentur. Una conferma di ciò la troviamo nella legge duodecima del Codice Teodosiano, in cui si duole il nostro Critico, che fossero inclusi nella condanna (udite linguaggio!) gl’innocenti diritti del Genio domestico, e dei Penati; perciocchè in essa il Legislatore così ragiona intorno alle vittime vietate con più rigore: „Sufficit enim ad criminis molem naturae ipsius leges velle rescindere, inlicita perscrutari, occulta recludere, interdicta temprare; finem quaerere salutis alienae, spem alienis INTERITUS polliceri„. Ne debbo omettere la memorabil combriccola narrata da Zosimo, ed Ammiano Marcellino56 non men che dai nostri57; in cui i Gentili, annojatisi degl’Imperadori Cristiani, sebbene fosse loro accordata in quel tempo una [p. 248 modifica]pienissima libertà religiosa58, ansiosi tuttavolta di aver un Principe del lor partito, tentarono, come si esprime Sozomeno, ogni maniera dell’arte divinatoria per risapere il successor di Valente59. I Pagani, son riflessioni del Sig. Gibbon, nutrivano sempre una forte speranza che una felice rivoluzione, un secondo Giuliano potesse di nuovo ristabilire gli altari degli Dei60. Libanio alle suppliche in favore dei tempj accoppiò un’insolente minaccia61; in Oriente, con uno spirito ben diverso da quello, che animava i mansueti Cristiani nel furore delle più crude persecuzioni, non si erano risparmiate le armi62: si spargevano pubblicamente dei vaticinj, che il Paganesimo doveva risorgere trionfante63: si ripeteva l’antica querela, che le calamità dell’Impero fossero un castigo dei numi irritati pel nuovo culto64: e l’esperienza mostrava, che la moderazione del Principe65 rendeva più audaci quei [p. 249 modifica]creduli sudditi, che ammettevano le favole di Ovidio, e rigettavano ostinati i miracoli del Vangelo. E si negherà tuttavolta agl’Imperadori Cristiani la scusa di sospetto e di timore, che tanto liberalmente si concede ai Tiranni?

Io mi do a credere, che il Sig. Gibbon esigesse, che i Cesari, prima di promulgare veruna legge penale contro i riti del Paganesimo, lasciassero decretar dal Senato qual culto dovesse formare la Religion dei Romani. Or bene, Teodosio appunto ch’ei tenta di rendere odioso sopra di ogni altro, come se ancora il governo di Roma fosse stato sul piede, su cui era allor quando fu solennemente prescritta la licenza dei Baccanali66, rilasciò al Senato una tal decisione; e quel rispettabile ceto decise, che si formasse dal culto di GESU’ CRISTO. Un’azione sì bella e sì nobile, e tanto più gloriosa per Teodosio, quanto men necessaria, doveva riscuoter gli applausi di uno Storico vero; ma la malignità per esser coerente a se stessa dee sempre annettere facto pulcherrimo atque justissimo imposturae calumniam67. Quindi è che dal Sig. Gibbon pretendesi la libertà di quei voti conceduta da Teodosio per affettazione, anzi tolta dalle speranze, e dai timori inspirati dalla presenza di lui. Che le grandi speranze fossero un forte allettativo ad operare io lo sapeva già da fanciullo68; ma che giungano a [p. 250 modifica]togliere la libertà non l’ho per anco imparato. Neppur so comprendere qual timor tanto grave da togliere la libertà69 potesse ispirar la presenza di un Principe che perdonava ai carnefici di coloro, i quali non dubitava di venerar come martiri70; Principe di un carattere sì virtuoso da potersi quasi scusare la supposizione dell’Oratore Pacato, che se al vecchio Bruto fosse stato permesso di ritornar sulla terra, avrebbe quel rigido Repubblicano deposto a’ piè di Teodosio l’odio che aveva pe’ Re (così il Sig. Gibbon) – Ita enim accusas (direbbe Plutarco) mox patrocinaris calumniasque de viris illustribus perscribis, quas rursum dilluas71. „La professione del Cristianesimo, aggiunge l’autore, non divenne essenziale per godere i diritti civili, non s’impose alcun peso ai Pagani; il palazzo, le scuole, l’esercito n’eran pieni. Simmaco fu innalzato alla dignità consolare. Libanio era distinto per l’amicizia del suo Sovrano, gli apologisti più eloquenti del Paganesimo non furono mai sollecitati o a mutare o a dissimulare le religiose loro opinioni„. Da tali fatti considerati come tante premesse, la mia Dialettica, vel confesso, non si sente inclinata a dedurre, che fosse affettata la libertà dei voti concessa al al Senato Romano da Teodosio il Grande, e molto meno che fosse tolta dalle speranze, e dai timori inspirati dalla presenza di lui. Giudicate poi Voi, se il sig. Gibbon sia punto partecipe della malizia dei Sofisti Pagani Libanio, ed Eunapio. [p. 251 modifica]

Del primo ho già detto abbastanza. Declamava il secondo furiosamente72 contro il nuovo culto dei martiri, dolendosi, che i templi si fosser cambiati in sepolcri coll’introdurvi le loro reliquie, e rinfacciando ai Cristiani, che venerassero quei malfattori, come altrettante Divinità. Guardimi il Cielo dall’opinare, che il Sig. Gibbon consideri come giustamente condannati alla morte i Campioni della fede di Gesù Cristo; egli è però manifesto che il culto dei Santi e delle Reliquie è considerato da lui come una innovazione adottata e favorita ne’ tempi di Costantino, innovazione perniciosa, la qual corruppe la pura e perfetta semplicità del Cristiano Sistema: pratica superstiziosa che fece introdurre nel Mondo Cristiano le cerimonie pagane, che Tertulliano, e Lattanzio avrebbono riguardata con tanto sdegno, che diè luogo al risorgimento del Politeismo ed estinse appoco appoco il lume della Storia, e della ragione: onde venne a verificarsi la profezia di Eunapio73, il quale predisse la rovina del Paganesimo in quelle parole και τι μυθωδες, και αειδεξ σκοτος τηραννησει τα απι γης καλλιςα. Dopo ciò crederassi in diritto qualunque Cattolico74, di conchiudere, che se in Eunapio vi era malizia, il Sig. Gibbon n’è partecipe in buona dose: anzi temo, che al[p. 252 modifica]cuno nol creda più malizioso dello stesso Eunapio, a cui, siccome ad uomo pagano, dee molto valere la scusa di una cognizione imperfetta dei nostri dommi e della nostra disciplina75; scusa la quale non vorrassi ammettere sì di leggieri nel Sig. Gibbon. Se egli si fosse limitato a rilevare gli abusi, che in tutti i secoli, ma specialmente in quelli di universale barbarie, si sono introdotti nella Chiesa rispetto al culto dei Santi, e delle loro Reliquie, sarebbe stato partecipe di quella lode76, che hanno meritato i Pastori, e i fedeli zelanti della purità del Sistema Cristiano, alzando contro di essi la voce in ogni età: ma il riprovare come nuova, superstiziosa, nocevole ed idolatrica in se medesima una dottrina, ed una pratica buona ed utile77 sol perchè alcuni semplici, e troppo fervorosi divoti l’hanno talora sfigurata e corrotta, e forse anche ai dì nostri la sfigurano e la corrompono contro lo spirito di quel corpo, di cui son membra78, oltre ad essere una manifesta ingiustizia, egli è altresì [p. 253 modifica]un incorrere nella censura fatta dal nostro Plutarco a Licurgo Driantide, il quale volle recise le viti per impedir l’ubbriachezza79. Gli atti pubblici, come i Concilj, e le Professioni di fede, gli scritti dei Santi Padri e Pastori depositarj legittimi della credenza, questi sono i fonti, dai quali si debbe attingere il domma e la disciplina del Cristianesimo80.

Ecco pertanto ciò che insegna precisamente un Concilio, da noi riputato ecumenico, su questi punti. I Santi che regnano con Gesù Cristo offeriscono a Dio le loro preghiere a favore degli uomini, e per conseguenza ella è una pratica buona e vantaggiosa l’invocarli, perchè c’impetrino da Dio i benefizj per mezzo di Gesù Cristo, unico nostro Redentore e Salvatore81. Non si credono adunque i Santi gli arbitri delle nostre suppliche, e molto meno altrettante Divinità. Per esser superstiziosi e idolatri bisognerebbe togliere a Dio alcuna delle perfezioni della sua essenza infinita, od attribuirne alcuna alle sue creature propria unicamente di Lui82. „Ma la nostra Chiesa non permette di riconoscere nei più gran Santi alcun grado di eccellenza che non venga da Dio, nè alcun pregio avanti agli occhi di Lui, che per le virtù loro, nè alcuna virtù che non sia un DONO della [p. 254 modifica]SUA GRAZIA83, nè alcuna conoscenza delle cose umane che quella, che egli loro comunica84, nè alcun potere di assisterci, che per le loro preghiere„.

Se l’invocazione dei Santi considerata in questo aspetto diminuisse la confidenza in Dio o fosse ingiuriosa alla mediazione di Gesù Cristo, sarebbe da condannarsi egualmente il costume di ricorrere alle preghiere dai nostri fratelli ancor viatori85. Che se un tal costume è inculcato come utilissimo dalle Sante Scritture86; perchè saremo noi idolatri, se ci rivolgiamo ai medesimi nostri fratelli già liberati dai legami del corpo, o regnanti con Cristo (non essendo [p. 255 modifica]Dio di Abramo, di Giacobbe, e d’Isacco il Dio dei morti, ma bensì dei viventi non sonnecchiosi ed inerti87); affinchè ci rendan propizio pe’ meriti del Redentore88 il nostro Padre comune con le loro preghiere, le quali debbono essere più potenti assai delle nostre, perchè fatte da servi a Lui costantemente fedeli, che hanno compita la virtuosa loro carriera, e combattuto con gloria89?

Essendo pertanto i nostri sentimenti intorno alle anime dei Beati sì scevri da ogni ombra di Politeismo, o di superstizione; ed essendo uno dei motivi del culto esteriore quello di render pubblica testimonianza dei sentimenti interni dell’animo; è egli impossibile, che noi veneriamo le Reliquie per qualche Divinità che si creda ad esse inerente, o che ad esse noi di[p. 256 modifica]rigiamo le nostre suppliche90, o che in esse riponghiamo la nostra fiducia. La Chiesa nell’intimarci una tale venerazione, c’insegna ancora91, che ella si debbe ai corpi dei Santi, perchè già furono membra vive di Cristo, e templi del S. Spirito, perchè Dio stesso non isdegnerà di coronarli colla gloria celeste dopo l’universale resurrezione, o perchè il medesimo Dio per mezzo delle Reliquie92 si è compiaciuto talora di di spargere su l’uman genere le sue so[p. 257 modifica]vrane beneficenze: ed è suo intendimento esponendole con qualche pompa alla pubblica venerazione di risvegliar nei suoi figli un amore sincero per le virtuose azioni dei Santi, e renderli in cotal guisa adoratori veraci del nostro eterno Padre e Signore: che è l’altro motivo giustissimo, per cui si è stabilita una forma di culto esterno93.

Nulla vi ha dunque in un tal culto dei Santi, e delle Reliquie, che possa accusarsi di Gentilesimo, o di Superstizione, nulla che a Dio non si riferisca, unico fonte di ogni santità, e d’ogni bene. Testimone ne sia oltre il Grozio allegato di sopra, il Ministro Sig. Noguier, il quale dopo aver letto l’Esposizione etc., di M. Bossuet ripeteva sovente, che quel Prelato aveva cambiato partito. Il fatto però si è che egli si era limitato ad esporre la pura dottrina del Tridentino, e che quella immortale Operetta fu applaudita dai Ricci, dai Bona, dai Lauria, da tutti i dotti del secolo, e dal Pontefice stesso Innocenzo XI94.

Quindi è che sebbene alcuni riti del Gentilesimo di lor natura indifferentissimi, come l’uso dei fiori, dell’incenso, dei lumi, ed il bacio, con ragione si riputassero abbominevoli, perchè destinati all’onore di numi bugiardi: non son però riprensibili in verun conto attesa la rettitudine dei sentimenti, e per la mutazion dell’oggetto, mentre si praticano in onore dei Santi. L’accusa dunque di Fausto, Vertitis idola in [p. 258 modifica]martyres... quos votis similibus colitis ripetuta dal Sig. Gibbon è inconcludente, l’erudizione di Beausobre, e di Middleton95 inopportuna, e la risposta di S. Girolamo è senza replica. Quia quondam colebamus Idola, nunc Deum colere non debemus, ne simili eum videamur cum idolis honore venerare? Illud fiebat idolis, et idcirco detestandum est: hoc fit (Deo, ejusque) martyribus, et ideo recipiendum est96. Egli è pure un progetto del Sig. Gibbon, che si sarebbe forse potuto concedere ai vittoriosi Cristiani, che sufficientemente purificate le mura dei tempj coi sacri riti, il culto del vero Dio espiasse l’antico delitto dell’Idolatria. E ciò avvenne appunto rispetto a non pochi di quelli edifizj, come vedemmo, e ciò altresì in multis Gentilium superstitionibus contigit, ut earum usus sacris ritibus expiatos, et sacrosanctus redditus in Dei Ecclesiam laudabiliter introductus sit97; lo che si conferma colla riflessione del Grisostomo. Deus ob deceptorum salutem se coli passus est, per ea, per quae daemones illi ante coluerant, aliquanto in melius inflectens, ut eos paulatim a consuetudine reduceret, et ad altiorem Philosophiam perduceret98. Per accusar [p. 259 modifica]questa pratica senza ingiustizia era necessario, che quei Sofisti ignoranti, o quegli Eretici maliziosi già nemici di Santa Chiesa per altri titoli mostrassero, che i sentimenti della maggior parte almen dei Cattolici del loro secolo erano superstiziosi ed erronici. Ma come farlo, se la dottrina del Tridentino esposta di sopra è presa quasi letteralmente da S. Agostino? Voi già vel sapete; ma siccome non tutti quelli, a cui verrà fatto di leggere questa lettera il fanno, lo proverò brevemente. Quaecumque adhibentur religiosorum obsequia in Martyrium locis, ornamenta sunt Memoriarum, non sacra vel sacrificia mortuorum, tamquam Deorum. Così il S. Padre99. Il Sig. Beausobre citando un tal passo a suo modo100 soggiunge „ces mots ornamenta memoriarum sont bien ambigus. Je ne saurois les définir„. Questa definizione per altro sarebbe stata ben facile a chi avesse letto di sopra, che gli atti di ossequio resi dai Fedeli alle Memorie, o tombe dei Martiri recavano ad esse senza dubbio un certo lustro, e splendore; ma non consistevano già in sacrifizj, nè si partivano dalla opinione, che i martiri fossero genus quoddam inferiorum deorum, dicendo Agostino, non ipsi, sed Deus eorum nobis est Deus: e quegli onori medesimi eran diretti alla gloria di Dio, ed alla santificazione del popolo. Honoramus Memorias eorum tamquam Sanctorum hominum; ut ea [p. 260 modifica]celebritate et DEO VERO de illorum victoriis gratias agamus, et nos ad IMITATIONEM talium coronarum adhortemur. In fatti qual Sacerdote, qual Vescovo, scriveva Agostino medesimo101, ha mai offerto ad un Martire, benchè celebrasse sulla sua tomba, il sacrifizio che è l’atto del culto esteriore consacrato per universale consentimento alla sola Divinità? „Quis enim antistitum in locis sanctorum corporum assistens, altari aliquando dixit: offerimus tibi Petre, aut Paule, aut Cypriane? Sed quod offertur, offertur DEO, qui Martyres coronavit; ut ex ipsorum locorum admonitione major effectus exurgat AD ACUENDAM CHARITATEM, et in illos, quos imitari possumus, et in ILLUM, quo adjuvante possumus. Colimus ergo Martyres eo cultu dilectionis, et societatis, quo et in hac vita coluntur S. homines Dei.... sed illos tanto devotius, quanto securius post superata certamina ec.. Una ragion sì trionfante, e per sè sola bastevole a rintuzzar le calunnie di Fausto, ha imbarazzato talmente Beausobre, che precipitando di abisso in abisso è costretto a negare, secondo i principj della sua setta, che ai tempi di S. Agostino102 il Pane, ed il Vino Eucaristico si credessero un vero e real Sacrifizio; non si avvisando quel Candido, e dotto Storico della Cristiana idolatria nel quarto e nel quinto secolo103, che se non vi fosse stato allora un rito Ecclesiastico (od a ragione, od a torto, che or ciò non monta) creduto un vero [p. 261 modifica]sacrificio comunemente, Agostino Dottore di sublimissimo ingegno, per difender la Chiesa dalla taccia più nera, che si possa ideare, avrebbe dato una risposta del tutto priva del senso comune104. Eppure lo credereste? a giudizio di Beausobre les idées de S. Augustin sur le culte des Martyres... sont asses pures105. Sia lode all’eterna Verità: ed il Sig.Gibbon ammiratore di lui confessi altrettanto. „Mais nous nous tromperions infiniment, (soggiunge lo Storico del Manicheismo) si nous jugions par là des idées, et de la pratique des Peuples„. Il en étoit du Christianisme de S. Augustin, comparé a celui des peuples, comme du Paganisme des Philosophes comparé de méme à celui des peuples„. Distinguo: c’inganneremmo credendo o che tutti i Cristiani del 4, e del 5 secolo fossero altrettanti Agostini in Teologia106, o che non vi fossero nel Mondo Cristiano tra tante Sette di Eretici, ed ancor tra i Cattolici molti sepulcrorum adoratores, molti qui luxuriosissime super mortuos biberent107, lo concedo; tanto più che agli occhi dei Santi, a’ quali per lo zelo che hanno di veder tutti come sono eglino stessi, secondo l’espression dell’Apostolo, i cattivi non sembran mai pochi; c’inganneremmo credendo, che il complesso dei Pastori, e dei popoli componenti la Chiesa Cattolica non avesse [p. 262 modifica]idee bastevolmente pure sul culto dei Martiri, e delle Reliquie da distinguersi di lunga mano dal volgo pagano relativamente ai suoi falsi Numi, lo nego costantemente, e i Sigg. Beausobre, e Gibbon infinitamente s’ingannano pensando altrimenti. E che hanno che fare pochi oziosi Filosofi rammentati dal primo, senza autorità, senza missione, senza popoli subordinati, e per patria, e per età tra lor rimotissimi con un numero prodigioso di Dottori, e di Vescovi108 quasi tutti contemporanei, inteso unicamente ad istruire i lor popoli, obbligati sovente109 a render conto della loro dottrina, e condotta al Sinodo della Provincia, ed uniti col mondo tutto per mezzo delle lettere di Comunione110. Come non veder che Agostino non parla di se medesimo, ma del corpo intero dei sacri Pastori, venendo alle strette coll’avversario, ed interrogandolo quis enim Antistitum aliquando dixit, offerimus tibi, Petre? e che egli nei sermoni pubblici informava bene il suo gregge della sana dottrina111, dicendo; quando autem audisti dici apud [p. 263 modifica]memoriam.... offero tibi, Petre? etc. Nunquam audistis, non fit, non licet. Non della sua unicamente, ma della fede comune tra i Cattolici rendeva testimonianza Girolamo, quando scriveva: quis aliquando martyres adoravit? Honoramus autem reliquias martyrum, ut eum, cujus sunt martyres, adoremus: honoramus servos etc. ut honor servorum redundet ad Dominum112. L’impegno dei Santi Agostino e Girolamo era di giustificar la dottrina, e la pratica della Chiesa, non già la propria. Era dunque necessario, che la morale totalità dei Fedeli avesse idee pure sul culto de’ Martiri, e delle Reliquie quanto le avevano nella sostanza eglino stessi. In fatti, soggiungeva Agostino, se taluno cade giammai nell’errore di tributare alla creatura, fosse anche l’anima la più santa, od un angiolo, il culto dovuto a Dio solo, costui per sanam doctrinam corripitur, sive ut condamnetur, sive ut caveatur, e così cessi di appartenere alla Chiesa113. In caso diverso domanderemo a questi sagacissimi Critici come potesse avvenire, che il susurro della profana ragione di Fausto, e Vigilanzio fosse sì debole, e inefficace, e gli onori dei santi, e dei martiri quantunque superstiziosi, ed infetti d’Idolatria generalmente si stabilissero. Se io non ravvisassi in questo fenomeno il carattere della novità nella dottrina di Fausto e di Vigilanzio114 crederei d’esser mandato in Antioira, secondo l’antico [p. 264 modifica]proverbio; ed intanto i Sigg. Gibbon, Beausobre, Daillé ec. vogliono ravvisare questo stesso carattere nella dottrina e nella pratica della Chiesa. Vediamo adunque per chi si dee preparare l’imbarco. Si conviene, che nei primi secoli, si avesse un rispetto grandissimo per i martiri ancor viventi. Oltre le indulgenze accordate dai Vescovi alle loro preghiere, baciavansi con riverenza all’entrar nelle carceri le lor catene115. Se il bacio, senza riguardo allo spirito di chi lo dà, ed all’oggetto di sua natura „étoit le plus haut degré de l’adoration, et la plus profonde humiliation, où une creation raisonnable pût descendre„116, ecco l’idolatria delle stesse catene de’ martiri portata all’eccesso senza rimprovero, ed antichissima. Si conviene altresì, che gli Smirnesi, nel 2. secolo, nel protestar di adorare il solo Gesù Cristo, soggiunsero martyres vero tamquam discipulos et imitatores Domini merita amore prosequimur: si conviene altresì che eglino altamente si dolessero perchè il demonio invidioso gli avesse tolto il cadavere di S. Policarpo117: che l’ossa avanzate alle fiamme fosser da essi stimate gemmis pretiosissimis cariora, e collocate dov’esigea la decenza: e duopo è convenire, che già celebravasi il giorno natalizio, o sia del martirio dei Santi cum hilaritate, et gaudio118 per due motivi, cioè tum in MEMORIAM [p. 265 modifica]eorum qui glorioso certamine perfuncti (erant), tum ad posteros hujusmodi Exemplo crudiendos et confirmandos„119.

La premura, e potrebbe quasi dirsi la smania120, per le Reliquie è qui manifesta, ed una festiva ed onorevole commemorazione dei Martiri nelle sacre funzioni è chiarissima. Resta soltanto il dubbio, se quella commemorazione fosse congiunta con qualche specie d’invocazione dei Martiri stessi. Beausobre asserisce che no, fondandosi su quelle parole di S. Agostino121 suo loco et ordine nominantur, non tamen a Sacerdote, qui sacrificati, invocantur; anzi pretende, che anticamente si pregasse pei Martiri, facendo gran conto di una Liturgia ben antica attribuita a S. Giacomo, ma d’altra mano122, sfacciatamente falsificata da S. Cirillo, seppure le Catechesi sono un parto genuino di esso. In mal punto è citato S. Agostino. Non s’invocavano i Martiri certamente, come abbiam detto, e come ripete quel S. Padre in quel luogo stesso (troncato da Beausobre, perchè intiero lo incomodava) per offerir loro il S. Sacrifizio123; ma però s’invocavano [p. 266 modifica]per ottenere la loro intercessione, ed il lor patrocinio, come tuttora si pratica nella Chiesa. „Unde magni....? Unde quod norunt fideles, distincti a defunctis loco suo Martires recitantur, nec pro eis oratur, sed eorum orationibus Ecclesia commendatur? Così Agostino124. „Ecclesiastica disciplina, quod fideles noverunt, cum Martyres recitantur ad altare Dei, ubi nos pro ipsis oretur, pro ceteris vero commemoratis defunctis oratur. Injuria est enim pro Martyre orare, cujus nos debebamus orationibus commendari„.„ Così l’istesso Agostino125, il quale ripete altrove: „Ideo ad ipsam mensam non sic eos commemoramus quemadmodum alios, sed magis ut orent ipsi pro nobis126„. E qual frenesia non sarebbe l’immaginarsi, che volesser pregare per S. Policarpo quegli Smirnesi persuasissimi, che egli, e per l’illibatezza della sua vita, e pel suo Martirio, avesse riportato βραβειον αναντιρρητον senza il minimo dubbio il premio del suo glorioso combattimento? O per S. Pietro, e S. Paolo i Fedeli che avevano eretti alla loro memoria quei monumenti, o trofei, che si mostravano a dito agli Eretici per confonderli fino dai tempi del Pontefice Zefirino127!

On touche difficilement aux Liturgies, riflette al passo di S. Agostino da esso citato male a proposito [p. 267 modifica]il S. Beausobre128. La riflessione è giustissima; ma eccole intanto, se crediamo a lui stesso, alterate a Gerusalemme da S. Cirillo129, e ciò sotto gli occhi di chi sa quanti battezzati, istruiti, e ordinati dai Padri del terzo secolo130 illibatissimo: eccole interpolate, come dovrebbe dedursi da ciò che ho mostrato, nell’Affrica, ed ivi con approvazione ed applauso di quell’Agostino, che aveva idées assez pures sul culto dei Martiri, e delle Reliquie: eccole guaste a Costantinopoli, e senza che alcuno Storico contemporaneo [p. 268 modifica]rampogni o rammenti la mano sacrilega che lo tentò131; e quel che è più difficile a concepirsi tante alterazioni eseguironsi nel periodo di non molt’anni, ed in quella venerabile età, in cui a tutti gli assistenti, agli uffizj divini era famigliarissimo il sacro linguaggio. E come mai è potuto avvenire, che i Fedeli del quarto secolo leggendo le Sante Scritture, più avidamente di quel che si leggano ai dì nostri i Romanzi, non si accorgessero, o non curassero di una innovazione contraria (per quanto pretendesi) al primo, ed al massimo tra i precetti, ed alla Dottrina, e alla pratica dei Padri del secondo, e del terzo secolo viventi almeno nelle opere loro cotanto ammirate, e nella memoria di tanti, i quali potevano aver conversato con essi? Si spieghi almeno come potesse mai l’illusione portarsi tant’oltre, che fosse universalmente creduta antica132 una massima ed una disciplina nascente, e Fausto e Vigilanzio essere abbominati quai novatori133. [p. 269 modifica]

Ma sia pure avvenuta nel quarto secolo sul culto de’ Martiri delle Reliquie una innovazione superstiziosa, nocevole, ed infetta di Paganesimo. Dunque S. Gregorio il Grande, ed il S. Arcivescovo di Cantorbery Agostino non introdussero nel vostro Regno, la pura e perfetta semplicità del Cristiano sistema, ma la superstizione e l’Idolatria; ed altrettanti superstiziosi e Idolatri dovettero essere i vostri Maggiori quasi fino al principio del secolo decimosettimo134. Siccome poi quello, che io dico della Chiesa Anglicana, in adempimento della pretesa profezia di Eunapio si debbe estendere a tutto il Mondo Cristiano135 [p. 270 modifica]da Costantino fino a Lutero, così debbe ancora conchiudersi, che le solenni promesse di Gesù Cristo di esser co’ suoi discepoli fino alla consumazione dei secoli, e di non permettere, che le porte infernali giammai prevalessero contro la Chiesa, furono di una molto breve durata, ed andarono in fumo ben presto. Lo che sarebbe una bestemmia esecranda.

Felici Voi, se ritornando alla Patria, come ben tosto avverrà, essendo uno oramai Sacerdote, e l’altro Suddiacono, poteste indurre i Protestanti vostri fratelli ad avere un miglior concetto della colonna, e della saldissima base del vero in materia di Religione. Mostrate ad essi con S. Ireneo136, che pur dovrebbono rispettare, come coloro, qui relinquunt praeconium Ecclesiae, imperitiam sanctorum Presbyterorum arguunt, non contemplantes quanto pluris sit idiota religiosus a blasphemo, et IMPUDENTE SOPHISTA. [p. 271 modifica]

Che se mai ritrovaste chi più volentieri ascoltasse un Poeta137, che un Santo Padre, ripetetegli col mio Dante a Voi famigliare.

Avete il vecchio, e nuovo Testamento,
     E ’l Pastor della CHIESA, che vi guida:
     Questo vi basti a vostro salvamento.
Se mala cupidigia altro vi grida,
     Uomini siate, e non pecore matte;
     Sì che il Giudeo tra voi di voi non rida:
Non fate come agnel, che lascia il latte
     Della sua madre semplice, e lascivo
     Seco medesmo a suo piacer combatte.


Note

  1. Vedi M. Huet, Demonstr. Evang. Prop. 9. c. 160.
  2. De Malignit. Herodot. p. 845. Xyland. Interp. Basil. 1570. Sophistis quidem concessum est... sententiam pejorem sumere defendendam. Non enim fidem validam faciunt de rebus, et plerumque non negant gaudere se absurdis, et incredibilibus probabilitatem conciliando: qui vero historiam scribit, debet quae VERA sit scribere: de incertis MELIORA videntur RECTIUS quam PEJORA prodi.
  3. Orat. pro Templis.
  4. Vedi il Gotofr., Comment. ad LL. 8 et ult. Cod. Theod. Tit. de Pagan. Quod NON SEMPER Principum auctoritate jussuve factum, verum etiam Ecclesiasticorum, Monacorumque zelo (altrove) impetu.
  5. Ars. cogit. part. 3. C. 20.
  6. Bolland. 26. Febrar.
  7. Gli antichi Monaci si sostentavano col lavoro delle proprie mani. Gli spirituali loro esercizi erano: I. una penitenza perpetua Vita plangentis. S. Hyeron. ad Ripar. Ep. 53: I rigorosi e lunghi digiuni, onde rendevansi più bisognosi dei fomenti d’Ippocrate, che di avvertimenti Id. Ep. 4. ad Rustic: III. Frequentissime sacre funzioni. L’autore da cui traggo tali notizie è Bingham vol. 3. L. 7. C. 3. dal §. 10. al §. 17, Orig. Eccl.
  8. Georg, in Vit. Jo. Chrisost. Theodor. H. E. Lib. 5. Cap. 29, Ed. Vales.
  9. L. 16. C. Theod. Tit.,ì de Pagan. Fu però tale la resistenza dei Pagani, che molti Monaci restaron feriti, ed alcuni uccisi. S. Gio. Gris. Ep. 123 e 126. To. 3. Ediz. del Montfaucon.
  10. Leg. 36. de. oper. publ. Cod. Th. T. 5.
  11. De Malign. Herod.
  12. Vedi il Tit. cit. de Pag. Saerif. et Templ. del Cod. Theod.
  13. Jusserat Imperator ut templa Gentilium Alexandriae destruerentur. Socr. H. E. L. 7. C. 16. Templa (Imperator) solo aequari jussit. Soz. H. E. L. 7. C. 15.
  14. Soz. II. E. L. 7. C. 15.
  15. Bolland. T. 2. Mart. 17. Hermant. Vie de S. Ambroise pag. 381.
  16. Sunt qui Apim et Serapidem unum nomen putarent, et per hunc Josephum intellexerint, uti Bochart cum Beyer ostendunt: nec veritati contraria videtur haec opinio, ut pluribus ostendit... Cl. Jo. Lehmann, quam iterum excudi curavit celeberr. Crenius... Interim favere huic sententia ipsa quoque Apis appellatio videtur. Vedi Ugolin. T. 3. p. 743. N. 14 Monsig. Huet però vi vede al solito il suo Mosè Demonst. Evang. Prop. 4 c. 4.
  17. At qui Amasidis crepitum, adventum asinorum furis, utrum incrementum... commemorasset, certo videri potest illa non incuria, aut contemtu praeterivisse pulchre facta, atque dieta, sed quod quibusdam male vellet, essetque in co injurius. Plutarc, loc. cit. p. 852. lin. 1.
  18. Can. 3, 4, 5, 6. Vedi Gotofr. T. 6. C. Theod. p, 328.
  19. S. Agost., De Civ. D. L. 18. C. ult.
  20. LL. 7. et 11. Cod. Theod. Tit. cit.
  21. LL. 15, 18, 19. C. Theod. T. cit.
  22. II. Eccl. Lib. 5. C. 21.
  23. Teodor. ivi = ipse vero frontem silo affixam habens Clementem Dominum orabat etc.
  24. H. E. L. 5. C. 16.
  25. Sulp. Sev., Dial. 2. C. 6.
  26. Plutarc., loc. cit.
  27. T. X. M. E. Vie de S. Martin Art. 16.
  28. V. Hyeron, de Prato, Praef. ad Sever. Sulp. Edit. Veron. T. 1.
  29. Sulp. Sev., Dial. 2. p. 108, 109, ec. T. 1.
  30. Sulp. Sev., de Vit. B. Mart. pag. 19. Injuria repulsus ... secessit ad proxima loca, ibique per triduum cilicio tectus ac cinere jejunans semper, atque orans, ut virtus illud (templum) divina dirueret. pag. 21. = Quae erant illius familiaria... arma, solo prostratus oravit = pag. 23.Ubi vero auxilium crucis et orationis arma reperisset = Ad Euseb. Ep. p. 43. Recurrit ad nota praesidia... orationem diebus noctibusque perpetuat Dialog. 2. p. 11.
  31. Sulp. Sev. pag. 18, 20, 21. De V. S. Mart.
  32. Sulp., De V. B. Martini, p. 22.
  33. Sulp., Dial. 2. p. 109. = e Dial. 3. p. 143. Nos Ecclesia et pascat et vestiat, dummodo nihil nostris usibus quaesisse videamur = così pensava ed operava quel Santo. Vedi p. 8. de V. B. Mart.
  34. Et vece ante Martinum pauci admodum, imo fere nulli in illis regionibus Christi nomen receperant = Sulp. de V. B. M. p. 20.
  35. Sulp., V. B. Mart. pag. 18, 19.
  36. Questo è l’epiteto datogli da Sulpizio.
  37. I. Ad Corinth. 14, 22. Signa autem infidelibus, non fidelibus. S. Greg I. Lib. 1 Hom. IV. in Evang. § 3 Lib. 2 Hom 29 §. 4. Moral. L. 27. C. 37. §. 3. Tom. I. Ed. Paris.
  38. Leg. 18. T. de Pagan. etc. C. Theod. T. 6. Il Gotof. attribuisce il motivo di questo legge all’attentato dei Conti Giovio e Gaudenzio. Vedi il Com. p. 320.
  39. Leg. 19, ibid.
  40. Leg. 25, ivi Vedi il Com. del Gotofr.
  41. Nicef. Call. L. 14. C. 44: Teodosius in sacrosantum fanum τυχαιον convertit.
  42. H. E. lib. 7. C. 15.
  43. Reg. Epistol. L. XI. Ind. IV. Ep. 76, T. 2. Ed. Paris. S. Agostino era stato del medesimo sentimento. Epist. 47, ad Publicolam.
  44. Ad altri è sembrata piena di scurrilità e di epiteti infami. Valsecchi dei Fondam. della Relig. L. 3. C. 6. Trahit sua quemque voluptas.
  45. Vedi Marangoni, delle cose idolatriche ec. Cap. 54. e seg. Jo. Ciampini, de Sacr. aedific.
  46. De Persec. Vandal. Lib. 3.
  47. Eamque (Romam) depopulati maximam partem admirandorum illic operum incendio consumserunt. Socr. lib.7. C. 10. Vedi per tutti Tillem. p. 433. etc. ep. 592. T. 5. Hist. des Emper.
  48. Euseb. in V. Constant. Lib. 2. C. 52. ex Vales. Vedi nel T. 3. della Storia di Gibbon il Saggio di Confutaz.
  49. Plutarc. nel l. cit.
  50. Euseb., De V. Costant. Lib. 3. C. 1.
  51. S. Ambros., de Vid. prop. f. Lactant., de Fals. Relig. L. 1. C. 17. Arnob., ad Gent. l. 4. c. 5. S. August., de C. Dei L. 2. C. 8. etc. etc.
  52. Hobbes de cive e nel Leviathan.
  53. Vedi Jo. M. Lampredi in Pis. Acad. Antecess. Juribus pub. Univers. Theoremata T. 2. pag. 550. 51, Ediz Pis. 1782, Henric. de Cocc., Comm. ad Hug. Grot. Lib. 2. C. 20 §. 44. p. 384. Lausari. 1752.
  54. Il principio di S. Agost. L. 3. C. 51, cont. Cresc. è ancora più esteso - In hoc Reges, sicut eis divinitus praecipitur, Deo serviunt, in quantum Reges sunt si in Regno suo bona, jubeant, male prohibeant non solum quae pertinent ad humanam societatem, verum etiam quae pertinent ad Religionem.
  55. Comm. ad L. 4. de’ Sacrif. T. 6. C. Theod.
  56. Zos. L. 4. C. 13, Amm. L. 29 C. 1.
  57. Soz. L. 6. C. 35, Sacr. L. 4 C. 19.
  58. Leg. 9. Cod. Theod. de Malef. et Mathem. = Testes sunt leges a me in exordio Imperii mei datae, quibus unicuique quod animo imbibisset, colendi libera facultas tributa est =.
  59. È condannabile senza dubbio la crudeltà, che mostrò Valente in quell’occasione; ma non per questo la divinazione lasciava di esser prudentemente sospetta, e pericolosa. Vedi il Com. del Gotof. alla L. 8, de Malef. etc.
  60. Vedi S. Agost., de C. D. L. 5. C. 23.
  61. Orat., de Templ. in f.
  62. Soz. Lib. 7. C. 15, pro templis suis acriter dimicabant etc.
  63. S. Agost., de Civ. D. lib. 18, Cap. ult.
  64. Questa querela mosse a scrivere Arnobio i suoi libri Adv. Gent. e questa medesima indusse S. Agost. ad intraprendere la grand’opera de Civ. D. Retract. L. 2, C. 43.
  65. Vedi la Leg. 23, de Sacrif. col Com. del Gotof. il quale con ragione raccomanda la lettura della Novel. di Teodosio il Giovane Tom 7. Tit, de Judaeis al §. Hinc perspicit in cui si rimproverano i Pagani con somma forza ed eleganza per la loro audacia. Non la trascrivo per non esser prolisso.
  66. Tit. Liv. Lib. 39. C. 14. Ed. Freinshem; T. 5. p. 322.
  67. Plutarc, al l. cit.
  68. Cic. de Offic. Lib. 3. C. 19.

    Cum permagna praemia sunt etc.

  69. V. Puffendorf de J. N. et. G. Lib. 1. G. 4. cum Barbeyr. Not. 3. ac. §. 9. Burlam. Princip. du Droit. nat. C. 2. ed altri non Casisti.
  70. Sozom. L. 7. C. 15, cit. de’ sop.
  71. De malign. Herod.
  72. Eunap. nella V. di Edes. del Commel. p. 64, 65, etc.
  73. Eunap. nella V. di Edesio p. 60. Ediz. di Commel.
  74. Illos vero, qui negant Sanctos aeterna felicitate fruentes invocandos esse... vel invocationem esse idolatriam... vel stultum esse in caelo regnantibus... supplicare, impie sentire.... affirmantes Sanctorum reliquiis venerationem, atque honorem non deberi, vel eas aliaque sacra monumenta a fidelibus inutiliter honorari.... omnino damnandos esse. Trident. Sess. XXV. De Invocat. etc.
  75. Son note le atroci calunnie dei Gentili, figlie in parte della loro ignoranza, contro i primi fedeli. Tertul., Apolog. C.7. Minul. Fel. in Oct.... Neppur si sapeva esattamente il nostro nome. Tertul., Apolog. C. 3. Perperam Christianus pronunciatur a vobis; nam nec nominis certa est notitia penes vos. Questa ignoranza durava ai tempi di Lattanzio tra molti. Divinar. Inst. C. 7. Lib. 4.
  76. Ho presente la Dissert. Filosof. De Argum. Theologico ab invid. ducto num. Octavo etc. Credo però, che S. Girolamo fosse in istato di giudicare delle intenzioni di Vigilanzio assai meglio, che il Sig. le Clerc dopo 12 buoni secoli.
  77. Trid. sess. 25, De Invocat. etc.
  78. Vedi il Muratori, Della regolata Divozione etc. Cap. XXIII.
  79. Plutarc., in Comment. Quomodo adolescens poetas audire debeat ex Xyland. pag. 11.
  80. Lo stesso, e con ragione esigono i Protestanti. Vedi Concl. Syn. Dord. in Syntagm. Confes. Fid.
  81. Trid. sess. 25. al l. e la professione di fede non dice di più. Vedi Franc. Veron., Reg. Fid. § 7.
  82. Vedi l’Esposiz. della Dottr. della Chiesa di Mons. Bossuet Cap. 4. l’Avvertim. premesso all’Ediz. di Venez. 1713.
  83. Absit.... ut Christianus homo in se ipso vel confidat, vel gloriatur, et non in DOMINO, cujus tanta est erga omnes homines bonitas, ut eorum velit esse merita, quae sunt IPSIUS DONA. Trid. sess. 6. Cap. 15. Vedi Bossuet, Spiegaz. di alcune diffic. sopra la Messa. Cap. 39 e 40.
  84. L’eruditissimo Grozio avendo esaminate le diverse maniere indicate dai Padri, e dai nostri Teologi per ispiegare come i Santi abbiano notizia dei nostri bisogni etc. conchiude = Ita inique faciunt Protestantes; qui Idolatriae damnant eos, qui multorum veterum sententiam secuti, putant nostrarum necessitatum et precum notitiam aliquam ad Martyres pervenire. Grot. ad Consult. Cassand. T. 4. p.6. Vedi Perpétuité de la Foy. Tom. 5. L. 7. C. 7. ed il Veton., Reg. Fid. §.7.
  85. Cath. Rom. p. 3. De Cultu etc.
  86. T. ad Thessal. Cap. 5, 25, ad Hebr. C. 13, 18. Jacob. C. 5. 16. Orate pro invicem, ut salvamini; multum enim valet deprecatio fusti assidua. Potrei ancora allegare il comando di Dio medesimo = Job autem servus meus orabit pro vobis Job. Cap. 42. V. 8. ec.; ma i nostri avversarj o stravolgono i Sacri Libri con interpetrazioni arbitrarie, o gli ripudiano totalmente: Tertull., de Praescript. Haeret. § 17.
  87. Dico ciò, perchè il Sig. Gibbon cita Burnet, de Stat. mort..... Leggetelo pure, ma leggete ancora il Muratori, De Paradiso non expectata Corp. Resurect., e specialmente il Cap. 23, dove dimostra quanto giustamente abbia deciso il concilio Fiorentino l’opinione contraria a quella di Burnet coll’autorità di S. Greg. M. a cui dee tanto la vostra Inghilterra, del Ven. Beda, di S. Aldhelmo, e di Alcuino, tutti luminari del vostro Regno.
  88. Le orazioni della Liturgia quasi tutte terminano con la clausula: Per Dominum nostrum J. Christum etc.
  89. Certum est, quod hac interpellatione adoratio illa, et cultus, qui soli Deo debetur non imminuitur; cum Sanctos Dei non ut Deos, et largitores bonorum, sed ut Condeprecatores, et Impetratores appellemus. Cassand. Cons. art. 21. Tuttavolta M. Fell Vescovo di Oxford si ostina ad asserire = Deos, qui rogat (Martyres) ille facit = Ditemi in grazia: a pregare un ministro, perchè sostenga una supplica presentata a S. M. Britannica, si divien forse rei di alto tradimento?
  90. Quis umquam auditus in precibus aut Litaniis dixisse Sanctae Raliquiae orate pro me? Eppur una tal manifesta calunnia dei Centurioni Magdeb. è ripetuta dal Sig. Gibbon. Vedi il Bellarm., de Reliq. C. 2. in f.
  91. Trident. Sess. 25. De invocat etc.
  92. O convien credere accetto a Dio il culto dei Santi, e delle loro Reliquie, o bisogna negar tutti fino ad uno i miracoli, che si raccontano operati da Esso a favore di chi ha praticato un tal culto. Quest’ultimo partito, che è quel di Daillé e del Sig. Gibbon (N. 1) porta ad ammettere non solo una credulità, ed una stupidezza (appena scusabile in un fanciullo) ma eziandio una frode, ed un manifesto carattere d’impostura in S. Ambrogio, S. Agostino, S. Ilario, S. Paolino, S. Gio. Grisostomo, S. Asterio, Teodoreto, Eulogio, ed altri senza numero, tutti insigni per antichità, per integrità, e per ingegno e dottrina. Vedi il Petav., de Incarn. Lib. 15. C. 13. Son forse tutti i prodigi narrati da essi impossibili, inverisimili, e senza esempio nelle S. Scritture? Colui che volle onorare S. Pietro e S. Paolo ancor racchiusi in carcere mortis hujus, operando prodigi per mezzo dell’Ombra di questo (Act. Cap. 5 ), e delle cose state al contatto del corpo di questo (Act. C. 19) sarà cosa impossibile, strana e ridicola, che gli abbia operati per mezzo dei vasi posseduti sino alla morte in honorem da quei medesimi Santi, dopo averli coronati nel Cielo? Vedi il T. 2. de Unit. Eccl. lib. 12. C. 29. Fratr. Walenburch. e l’A. Anon., dell’Arte di pensare. P. 4. C. 14.
  93. Trid. sess. 22. C. 5 de Sacr. Mis. Vedi il bel Catech. di M. Giorgio Berger. Vesc. di Montpellier sulla materia in questione.
  94. Vedi l’Avvertim. all’Esposizione nell’Ediz. di Venez. del 1713.
  95. Molti altri hanno sfogato il loro veleno contro la Chiesa. Vedi Alberto Fabric. Bibliogr. antiq. Cap. 4. N. 6. etc.
  96. Adv. Vigilant. Ed. Paris T. 4, p. 284. Vedi la dotta Dissert. de Veterum quorumd. Christianor. nominibus del Ch. Padre Passini. Venet. 1772 ed il Gaetano 2. II. Quaest. 86. Art. 1.
  97. Baron., in Annotat. ad Martyrolog. R. ad d. 2. Febr., Annal. ad Ann. 45. p. 273. Venet. Ed. 1705.
  98. Middleton inclina a credere con lo Spencero, che le Cerimonie Giudaiche gran tempo prima fossero usate dagli Egiziani. In tale ipotesi, il culto del popolo prediletto da Dio nel suo tempio santo sarà dunque stato impuro, e sacrilego? Le lavande nei fiumi si praticavano dai Pagani per cancellare le colpe. Dunque il Battesimo sarà un atto d’Idolatria? Vedi il Valsecchi, Dei Fondam. della Relig. Lib. 2 e 4, e Lib. 3. e 6. p. 2.
  99. De Civ. D. Lib. 8. c. 23
  100. Histoire etc. T. 2 p. 680. 2, 3.
  101. Lib. 20. Contr. Faust. C. 21. T. 6. p. 156. Si confronti col Tridentino alla sess. 22. de sacrif. Mis. cap. 3.
  102. Histoire etc. p. 676. Tom. 2.
  103. Così lo qualifica il Sig. Gibbon, onde mostra di adottarne i sentimenti.
  104. Vedi il Muratori nella Dissert. de Rebus Liturg. T. 13. Ed il Vescovo di Arezzo P. 1. p. 180, 191, dove mostra ad evidenza con passi chiari di S. Agostino il domma Cattolico intorno al Sacrifizio dell’Altare contro Bingham ec. e la 3. Dissert. del Padre Touttée cap. 12 de Doct. S. Cyrilli Ed. Paris.
  105. Histoire etc. T. 2. p. 681.
  106. Vedi S. Iren., Cont. Haeres. L. 1.c. 10 T. 1.
  107. S. Agost. med., de Morib. Eccl. C. 39.
  108. Non è una esagerazione: Vedi il Petav., de Incarn. Lib. XIV. c. 10, il Bellarm., de Reliq. etc., ed il Catech. di M. Berger, etc.
  109. Can. 5. Syn. Nic. I. Can. 20, Conc. Antioch. a. 341. Can. 19. Conc. Calcedon. secundum Regulas Petrum bis in anno in unum convenire Episcopos, ubi singula, quae emerserint, corrigantur. Vedi il Decr. di Graziano alla Dist. 18. S. Leone Ep. 16 c. 7. inculca questa regola pro custodia concordissimae unitatis„.
  110. Optat. Lib. 2. cont. Parmeo. Cum quo Damaso Pontefice nobis totus orbis commercio formatarum in una communionis societate concordat. S. Aug. Ep. 163 V. Ed. ad Eleus. V. Cabas. Diss. 7. Notit. Concil.
  111. Serm. 101. de Divers. C. 7. Ed. Plantin. T. X. p. 572. I testi, che riportano poco dopo, dimostrano i Fedeli bene informati.
  112. Ad Riparium Ep. 37. T. 4. Ed. Paris. p. 278. et. adv. Vigilant. p. 280.
  113. S. Aug. Cunt. Faust. Lib. 20, c. 21.
  114. Tertull. de Praescript. Haeret. §. 21, etc, e l’Analisi del Ch. D. Tamburini Prof. della R. I. Università di Pavia.
  115. Vedi Ruinart nella Pref. generale in act. Mart. e Mamachi Orig. et Antiq. Christ. T. l. 1. 1. § 27.
  116. Beausob. l. c. pag. 663.
  117. Euseb. H. E. L. 4. C. 15.
  118. Un segno di gioja, lasciando da parte la mistica, erano i lumi, adoprati ne’ primi tre secoli per necessità, e quindi per ceremonia. Tanto è contraria la Chiesa alle novità. Vedi de Vert. T. 2. p. 18, Pref. e la Lettera a Jurieu. Quale ingiustizia il voler prender regola del Culto pubblico dai tempi della più barbara persecuzione! Vedi Prudent., hymn. de S. Laurentio; e S. Paolino, Carm. de S. Felice colla Dissert. del Muratori 16. Tom. XI. p. 1. Ed. di Arez. ol. Anecdot. T. 1.
  119. Euseb., H. E. loc. cit.
  120. Vedi il Trombelli, de cultu SS. Diss. 7. capit. 6. e seg.
  121. Beausob. T. 2 p. 668 N. 2. l, c.
  122. Beausob. ivi pag. 644. n. 2.
  123. Suo loco et ordine nominantur, non tamen a Sacerdote, qui sacrificat, invocantur. S. Aug., de C. D. Lib. 22. c. 10. Così Beausobre. Deo quippe, non ipsis sacrificat, quamvis in Memoria sacrificet corum, quia Dei Sacerdos est non illorum. Così prosegue S. Agost. Le parole poi antecedenti sono: Ad quod sacrificium sicut homines Dei, qui mundum in ejus confessione vicerunt suo loco etc.
  124. Serm. 107 de divers. cap. 2. Ed. Plant. pag. 582 T. X.
  125. Serm. 17. de Verb. Apost. c. 1. 131. T. X.
  126. Tract. 84. in Joan. T. IX. Ed. Plant. p. 185.
  127. Euseb. H. E. L. 2. C. 25.
  128. Histoire etc. T. 2. pag. 668.
  129. L’autorità di S. Cirillo ha sempre spaventato i Settarj: onde hanno tentato ogni via per eluderla. Vedi la Pref. alle sue Opere Edit. Paris. §. 2. Le ventitre Catechesi si mostrano un parto genuino, ed incorrotto di quel S. da Nat. Aless. contro Rivet Hist. Eccl. Saec. IV. c. 6. art. 12, e dal Padre Touttée Bened. Dissert. 2 premessa alla Ediz. cit. Vedi il cap. 3 destinato alla difesa delle 5 Mistagog.; giacchè nella quinta di queste §. IX. p. 328 si legge: Postea recordemus eorum, qui obdormierunt, primum Patriarcharum, Prophetarum, Aposlolorum, Martyrum, ut Deus EORUM PRECIBUS, et legationibus orationem nostram suscipiat. La Liturgia attribuita a S. Giacomo mi par che confermi l’asserzione di S. Cirillo, leggendosi = Commemorationem agamus..... omnium SS. et justorum, ut PRECIBUS, atque intercessionibus EORUM omnes misericordiam consequamur. Tom. 2. Bib. PP. pag. 4, in fin. Ed. Lugd. 677. Vedi Renaudot. Liturgiarum Oriental. Coll. Tom. 2. p. 29 e seg. Lascio però al Sig. Beausobre il privilegio di contare sopra monumenti sì dubbj. V. Praef. Tract, etc. Praelim. Jo. Bolland. Tom. 3. Ed. Venet. 1751. pag. 473. Sul passo delle Costituz. Apost. Vedi il Muratori, Dissert. De Reb. Liturg. cap. 22, ove rileva egregiamente la mala fede di Bingham., Crimine ab uno etc.
  130. Vedi la cit. Dissert. 2, del P. Toutée § 31 pag. 121.
  131. Liturgia S. Jo. Chrisost. = In honorem... Dei Genitricis, et S. V. Mariae, cujus intercessionibus suscipe Domine Sacrificium hoc. Indi il Sacerdote fa la commemorazione dei SS. o dei Martiri QUORUM PRECIBUS visitari se a Deo rogat. Presso il Petav. l. cit. V. T. Epifanio Haere 75, §. 7. ed i sacramentarj Leoniano, Gelesiano e Gregoriano presso il Muratori T. 13 P. I. II. III. della Ediz. cit.
  132. L’invocazione de’ SS. si confessa molto antica da Chemnizio, Exam. Conc. Trid. P. IV. p. 16. Può vedersi Agosti Einsidlens. Tom V. Oecum. Trid. Concilii Veritas inextincta cont. Heidegger. usandone con Critica. È celebre il testo di S. Cipriano nell’Epist. 57, ad Cornel. Edit. Pamel. sostenuto dal Petavio, cont. Rigalt. de Incarn. L. XIV. c. 10. ed il Can. XX. del Conc. Gangrense nel Pontificato di S. Silvestro.
  133. Questo argomento è trattato ampiamente nel T. I. de la Perpetuitè de la Foy. Lib. 1. cap. 10. Debbono ancora spiegare i Protestanti il perchè in tutti i tempi la Chiesa abbia usato una somma cautela in registrare gli Atti de’ Martiri, e nell’esame delle S. Reliquie per impedire le frodi talora pie, e talor vergognose. Vedi Ruinart, Praef. in Act. Martirum §. 4., Mabillon de Canoniz. SS. ad. Saec. V. Bened., e l’Epist. de Cultu SS. Ignotor. Front. Duc., de diebus fest., Orsi, Dissert. Apolog. pro SS. Perpet. et Felicit., ed i Prolegomeni ad Hist. Eccl. p. 20 del Ch. Zola. Ma questa spiegazione si aspetta invano.
  134. Vedi la lettera di una Inglese Cattol. presso il Murat. Tom. 4. dell’Oper. Ediz. cit. Giovanni Hus e Wicleffo acconsentirono all’Invocazione de’ SS. Storia delle variazioni Lib. XI. §. 157, e 165, ed Arrigo VIII, ne confermò solennemente la pratica. Ivi lib. VII. §. 26 e 37.
  135. M. Claude ha compreso il settimo secolo intiero dans les beaux jours de l’Eglise: Ospiniano avendo appunto in mira il culto dei SS. e delle Reliquie riguarda S. Greg. M. come il fonte da cui scaturì il torrente della superstizione, e della Idolatria: i Centuriatori Magdeburg. si contraddicono. Vedi al Bellarm. l. cit. Chamier od altri prendon per figure rettoriche le invocazioni dei SS. fatte dai Padri del IV. Secolo. Gibbon dopo Beausobre o Dailé etc. è meno scrupoloso. Quali e quante variazioni! È egli questo il carattere della verità! V. la Perpet. de la Foy T. 1. e T. 5. al luog. cit. Una innovazione, ed una innovazione superstiziosa e pagana poteva ella esprimersi con questi termini? „Iidem (Praesides Provinciarum) Martyrum festos dies jussu Principii OBSERVABANT. Euseb., in Vit. Const. Lib. IV. c. 23. Eorum (Martyrum sepulchra celebrare, et PRECES ibi votaque nuncupare, et beatas illorum animas venerari CONSUEVIMUS: idque a nobis MERITO fieri statuimus. Il med. Euseb., Praep. Evangel. Lib XIII. c. II. Una innovazione superstiziosa e pagana, può mai autorizzarsi dai Concilj Ecumenici? Nel Conc. Calced. Act. XI esclamarono i Padri = ecce ultio, ecce VERITAS: Flavianus post mortem vivit, Martyr pro nobis oret. Lab. Lutet. Paris. Tom. 4. P. 697. Tralascio come sospetto il Capit. 7. del VI. Conc. Gener. Tom. 6. p. 205., rimettendovi agli Atti del Niceno II. Tom. VII.
  136. Lib. V, Cap. 20. Contr. Haeres. pag. 317. T. I. Ed. di Ven. de’ Bened.
  137. Paradiso Cant. V.