Sulla melodia, sull'armonia e sul metro
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SULLA MEMORIA
SULL’ARMONIA
E SUL METRO
DISSERTAZIONI
DI MARCO SANTUCCI
CANONICO DELLA METROPOLITANA DI LUCCA
Lette in una Società, Letteraria
DEDICATE
ALLA STUDIOSA GIOVENTÙ
LUCCA
DALLA DUCALE TIPOGRAFIA BERTINI
MDCCCXXVIII
Con approvazione
Già vi presentai colle stampe di Milano dodici suonate di stile fugato pel Piano-forte, per appianarvi la via al suono dell’Organo; a cui poco dopo aggiunsi cento dodici versetti, scritti a posta per quello strumento, onde rispondere al coro in tutti i tuoni del canto fermo: operette risguardanti la pratica. Eccovene ora una terza, la quale prende principalmente di mira la teorica, pegno anche questa, come quelle, del desiderio che nutro per l’avanzamento vostro nell’arte bella. La materia della medesima ella è questa. In prima si ragiona delle doti di cui debbon esser fornite le tre parti che costituiscono la musicale composizione, la Melodia, cioè, l’Armonìa, ed il Metro: quindi se ne notano i difetti: e finalmente si passa a parlare di certa foggia di scrivere in musica, ch'è tanto in voga oggidì. Leggete con animo disappassionato e scevro da qualunque pregiudizio. Pesate e bilanciate le ragioni che vi adduco, e poi risolvete a qual partito dobbiate appigliarvi. ......................................
Ho io appreso quel , che s’ io ridico ,
A molti fia savor di forte agrume :
E s’ io al vero son timido amico ,
Temo di perder vita tra coloro ,
Che questo tempo chiameranno antico.
......................................
............... rimossa ogni vergogna
Tutta mia vision fo manifesta;
E lascio pur grattar dov’ è la rogna .
Che se la voce mia sarà molesta
Nel primo gusto, vital nutrimento
Lascerà poi , quando sarà digesta .
Dante Parad. xvii, 116.
DISSERTAZIONE
SULLA MELODIA
I. Poichè, secondo le nostre Costituzioni, io debbo parlare alla presenza vostra. Accademici ornatissimi, spesse volte mi è accaduto di pensare sopra qual materia potessi io mai intertenervi. E quantunque fossi sempre d’avviso di ragionarvi di musica, pure non sapeva si agevolmente determinarmi a qual parte della medesima fosse miglior consiglio rivolgermi per renderla subietto del mio discorso. Dopo la Storia della musica del P. M. Martini1 è inutile, diceva fra me, ritoccar questo argomento. E che potrei dire io mai che non sia stato già detto da quell’insigne scrittore? Potrei rivolgermi ad illustrare una parte della medesima, e parlare del risorgimento della musica, che giustamente può dirsi essere accaduto nel secolo XV, e quindi farmi strada a ragionare de’ suoi progressi fino a’ tempi a noi vicini, e dir qualche cosa ancora de’ suoi più bravi coltivatori: ma anche in questa parte, io rifletteva, sono stato prevenuto modernamente dal sig. Carlo Gervasoni milanese2; il quale ha trattato molto eruditamente una tal materia. Gli argomenti di musica puramente speculativi, essendo superiori alle forze del mio ingegno, non potevano per verun modo esser da me prescelti. Oltre che delle musicali teorie quante penne dotte e maestre hanno già scritto? Zarlino3 Tevo4 Tartini5 Martini6 e il conte Riccati7 fra gl’italiani; e fra gli oltramontani Rameau8 Fux9 D’Alembert10 e Rousseau11 sono nomi celebratissimi. In mezzo a questi c ad altri miei divisamenli mi venne in pensiere un altro soggetto che trasse subito a sè la mia attenzione. Incominciai prima a considerarlo, presi dipoi a distribuirne le parti, ad esaminarne i rapporti, e quindi mi determinai di farlo materia di questo mio, qualunque siasi, ragionamento. L’argomento dunque egli è questo, Accademici ornatissimi: considerare la natura delle parti che costituiscono la musicale composizione: quindi dedurne varie conseguenze, che possano servir di norma al musico compositore. In un tempo in cui per ogni dove non ascoltasi risuonar clic musica: musica ne’ sacri tempi, musica ne’ profani teatri, musica nelle pubbliche e private adunanze, ho speranza che questo mio assunto possa essere trattato con qualche utilità ed ascoltato da voi, valorosi Colleghi, se non con piacere, almeno senza rincrescimento.
II. Debbe qualunque musica esser composta di queste tre cose, e sono: melodìa ossia cantò, armonia ossia accompagnamento, metro ossia misura. Di queste tre parti adunque, che costituiscono qualunque musico componimento, terrò discorso. Dall’esame che ne farò (esame ch’io chiamo teorico-pratico) sarà assai faede l’inferire le doti delle quali debbono andar fornite, perchè sien fatte a dovere, le musicali composizioni. III. La melodia in musica ella è una disposizione successiva di molti suoni, i quali costituiscono insieme un canto regolare. Gli antichi ristringevano più di noi il senso di questa parola. La melodia presso di loro non era che l’esecuzione del canto: la sua composizione si chiamava melopèa. Ambedue son comprese oggi sotto il nome di melodia. Fin qui mi son servito delle parole stesse di Rousseau12. Voi già ben vi accorgete, che io debbo parlare della melodia nel secondo de’ due sensi sopraespressi, vale a dire dee raggirarsi il mio discorso d’intorno a ciò che riguarda la composizione della medesima. L’esecuzione del canto, quantunque abbia tanta parte nel buon esito di qualunque musicale composizione, è cosa affatto estranea al mio assunto, che direttamente prende di mira la sola composizione della melodia13, ossia la melopèa. Tutta la bontà adunque, tutto il pregio della melodia, così considerata, io dico che consiste nell’essere espressiva, e ben modulata. Incominciamo dalla prima.
IV. Melodia espressiva è quella che corrisponde al sentimento intero racchiuso nelle parole, cui si adatta la musica. Ora la melodia dee co’ suoi tratti espressivi rilevar questo sentimento, farlo gustare, lumeggiarlo, ingrandirlo. E quanto più energica sarà l’espressione di questi tratti, tanto migliore sarà la melodia, e tanto più da vicino si accosterà alla sua perfezione. In fatti perchè tante lodi alla musica dei Greci? Come potè mai produrre tutti quegli effetti che ci vengono raccontati? Effetti, io dico, cotanto maravigliosi onde siam quasi tentati a dubitare della verità de’ fatti, sebbene attestati dagli storici i più giudiziosi, e da’ più gravi filosofi dell’antichità? Per la squisitezza principalmente delle loro melodie, colle quali esprimevano al vivo, e quasi mettevau sott’occhio tutto ciò che di maschio sentimento contenevasi nella poesia14. E a’ giorni nostri perchè sono elleno tenute in tanta stima le produzioni di un Porpora, di un Pergolesi, di un Sacchini, e di altri molti? Perchè le loro melodie sono animate da una vera e toccante espressione.15 Al contrario che si direbbe della melodia di una canzonetta, di una cantata, se essa non esprimesse le parole della cantata, della canzone? Per quanto bella fosse una tal melodia, non giugnendo ad adempire il suo oggetto, ch’è di esprimere i sentimenti della poesia, dalle persone intelligenti sarla riputata un canto pieno di controsenso, che dalle loro dilicate orecchie non potrebbesi sofFerire. E ciò che fin qui si è detto è tanto vero, che le stesse composizioni strumentali, una sinfonia, un concerto, una suonata, perchè sieno riputate buone, debbono anch’esse esprimere colle loro melodie una qualche cosa. Ed infatti i giudiziosi scrittori si propongono sempre un qualche oggetto, cui indirizzando le melodiche espressioni, rendono così le loro composizioni animate ed interessanti. D’altronde quelle che maucano di qualunque espressione diretta a significare una qualche cosa, invece di musicali componimenti, si potrebbero chiamar piuttosto armonici fracassi, che nulla presentano alla fantasia, india dicono al cuore.16 V. Qui però fa d’uopo avvertire un errore in cui da taluno con facilità si potrebbe cadere in grazia appunto di quanto abbiamo finora divisato. È vero, e tomo a dirlo, che la melodia debbe essere espressiva, e che l’espressione consiste nella corrispondenza di essa col sentimento delle parole; ma non ne segue per questo che si debba correr dietro al sentimento di ciascuna parolina, ed impegnarsi ad esprimerla. Questo sarebbe un lasciarsi sedurre dal prurito di ostentar la propria abilità nelle espressioni imitative, quando il vantaggio o ’l bisogno dell’opera non l’esige. Qualunque imitazione che non sia opportuna, ancorché nel suo genere eccellente, produce in un componimento quello sconcio, che necessariamente (al dire di Orazio) produrrebbe una pezza o ritaglio di porpora inutilmente soprapposto ad una veste, che taluno si proponesse di fare. Ma intanto cosa aggiugne egli il poeta? Sed nunc non erat his locus. Tutto ciò dunque che dal compositore si prende ad esprimere male a proposito c fuor di luogo (diciamolo pure liberamente) egli è sempre un errore.17
VI. Ma si dovrà poi dir lo stesso di quelle imitazioni ancora che esprimono i diversi sentimenti racchiusi in un medesimo pezzo poetico f Qui è dove l’enunciato precetto vuoisi intendere con molta discrezione. Noti ogni sentimento che si presenti al compositore, degno di espressione, debbesi da lui lasciar correre inosservato per timor di cader subito nell’errore testé indicato. Si biasima soltanto e si riprova il darsi impegno di esprimere quei sentimenti che, o per essere staccati affatto da tutto il complesso del sentimento principale, o per non avere una stretta relazione col medesimo, ne oscurerebbero, e fors’anche ne farebbon perder di vista la desiderata imitazione. Que’ pel contrario che ne formano qualche parte, o pure che non gli si oppongono, perchè volerli tutti defraudati di una qualunque siasi espressione? Povera musica se venisse mai ridotta a tali strettezze! Quanto languido e smorto sarebbe il colorito de’ suoi quadri? Quale stucchevole monotonia dominerebbe ne’ suoi componimenti? In quali angusti confini saria imprigionata la fantasia de’ compositori?
VII. Ma qui tosto si opporrà che si vuol salva l’unità dell’espressione imitativa. E chi è mai che su tal proposito non vada d’accordo? Mettiamo in chiaro i termini. Di quale unità s’intende favellare: forse dell’unità matematica? Ma questa certamente non richiedesi nel caso nostro. A noi basta quell’unità che vuoisi osservata in tutte le produzioni delle arti belle: v’ha l’unità pittorica, l’unità architettonica, l’unità poetica, l’unità musicale. Queste ammettono tutte qualche latitudine. Una sia l’azione de’ vostri componimenti, o poeti: così prescrive loro Aristotile nel principio della sua Poetica. Ma più a basso parlando della medesima unità, e in qualche maniera dilatandola, soggiugne: L’azione sia una quanto è possibile. Vedete, dice il celebre Metastasio commentando questo passo: vedete dice l’unità richiesta da Aristotile in un’azione, non è un punto matematico indivisibile. Denique sit quod vis (ripiglia Orazio), simplex dumtaxat et unum. «Tutto in somma esser dee semplice ed uno»18 ma aggiugne poi quest’altro insegnamento, degno d’esser molto ponderato, che Scribendi recto sapere est et principium et fons. «Il buon giudizio è il capital primiero/Dell’ottimo scrittor».19
VIII. Appoggiato io dunque a sì gravi autorità credo di aver diritto nel caso mio di discorrerla cosi. Vuoisi conservata l'unità della espressione imitativa? Questo è ben giusto. Tale è il dovere d’ogni scrittore sensato. Si applichi egli pure ad esprimere il sentimento primario che ha per le mani nel miglior modo possibile: a questo tendano tutte le sue mire, a questo tutti i suoi sforzi. Non dia luogo nelle sue imitazioni a que’ sentimenti che lo potrebbero o far perder di vista, o intorbidare, o illanguidire. Ma non gli si nieghi poi di profittar con giudizio di tutti que’ vantaggi che gli possono provenire dalla espressione di quegli altri sentimenti subalterni, che, o fanno parte del sentimento principale, o sono con esso strettamente uniti, o finalmente che non gli si oppongono inopportuni. Questi vantaggi sono per lo scrittor di musica come pel pittore le mezzetinte, i chiariscuri, e le ombre: chè se queste, come l’esperienza c’insegna, danno tanto di risalto e di grazia alle tele dell’uno, altrettanto, come dalla stessa esperienza si rilega, ne danno quelli alle composizioni dell’altro. In un quadro la moltiplicità delle figure, qualora sieno bene distribuite, onde ciascuna d’esse occupi il proprio luogo, e’1 colorito, l’atteggiamento, l’espressione delle medesime abbiano col tutto insieme la dovuta convenienza, invece di esser d’impedimento allo spicco cbe sopra tutte debbe egli sempre fare il protagonista, servono anzi mirabilmente a conseguir con vantaggio l’inteso effetto: mentre gli occhi dell’osservatore trapassando dall’una all’altra figura, quasi per altrettanti gradini, vanno finalmente a posarsi con sempre nuovo piacere sulla figura principale, termine delle sue osservazioni. Dicasi pure altrettanto proporzionatamente quanto alla musica. In una composizione, ove molli sieno i sentimenti capaci di espressione, la moltipliche de’ medesimi, qualora vengano espressi con giudiziosa e prudente economia, nulla nuoce alla espressione del sentimento principale e dominante, che anzi, a guisa di variata corona circondandolo, serve a farlo sopra lutti gli altri maggiormente spiccare. Ecco come si possa ottenere l’unità della espressione imitativa, modificata a tenore dell’autorevol detto di Aristotile: Una quanto è possibile. Ecco come possa mettersi in pratica il surriferito precetto di Orazio: simplex dumtaxat, et unum, unito all’altro: Scribendi recte sapere est et principium et fons: bisogna col buon giudizio procurar che l’espressione sia una, ma non uniforme, sia una ma variata (20).
Ecco finalmente come possa chiudersi la bocca a quei critici, che tanto ricchi di dottrina, quanto poveri di esperienza, pretenderebbero di vincolare i compositori di musica colla metafisica unità della espressione, credendo con ciò di renderla perfetta, quando la difformerebbero in realtà, e la renderebbero in pratica una monotonia insopportabile.
IX. Voglio adesso farvi sentire le parole del sullodato filosofo ginevrino (21) molto benemerito della musica, parole che cadono qui in acconcio, essendo quasi un ristretto di tutto ciò, di cui finora vi ho diffusamente ragionato.
„ I nostri musici (dic’ egli) colla testa piena uni„ camente di suoni, non s’imbarazzano d’altro, e la „ loro musica non si riferisce alle parole in ordine „ al numero e alla misura, come non si riferisce in „ ordine al sentimento ed alla espressione. Non è già „ che non sappiano far bene una lunga tenuta alle „ parole calmare o riposo; che non sieno molto at„ tenti ad esprimere la parola cielo con de’ suoni alti, „ le parole terra o inferno (aa) con de’ suoni bassi, a „ circolare sul fulmine sul tuono, a fare slanciare un „ mostro furioso con venti urli di voce, ed altre consi„ mili puerilità. Ma per abbracciare il complesso di „ un’opera, per esprimere la situazione dell’anima, in„ vece di divertirsi sopra il senso particolare di ciascu„ na parola, perchè abbia risalto l’armonia de’versi, „ per imitare in somma tutto l’incanto della poesia „ con una musica conveniente e relativa, questo è quel„ lo che intendono così poco, che dimandano a’ loro „ poeti de’ piccoli versi tronchi, prosaici, irregolari, „ senza numero, senza armonia, frammischiati di pic„ cole parole liriche scorrere, volare, gloria, mormorio, eco, frondi, arboscello, sulle quali esau„ riscono tutta la loro scienza armonica. Essi comin„ ciano ancora qualche volta col fare le loro arie, e „ vi fanno in appresso aggiustar le parole dal loro „ versificatore. La musica è la padrona, la poesia è la „ serva, e serva così subordinata che all’opera appena „ uno s’accorge che sono versi quelli che si cantano. „L’antica musica sempre attaccata alla poesia la se„ guitava passo a passo, n’esprimeva esattamente il nu„ mero e la misura, e nou s’applicava ad altro che a „ darle maggiore splendore e maestà. Quale iinpres„ sione non dovea fare sopra un uditore sensibile u„ na eccellente poesia espressa cosi? Se la semplice „ declamazione ci strappa le lacrime, quale energia „ non vi debbe aggiugnere tutto l’incanto dell’armonìa, quando la rende più bella senza soffocarla? „
X. Ma non basta, Accademici ornatissimi, che la melodia sia espressiva, ch’è ciò di cui abbiamo fin qui ragionato: bisogna altresì ch’essa sia ben modulata, ed è quello che rimane adesso a vedere. La modulazione nella musica è l’arte di tener fermo, e all’uopo di variare il modo, e di ritornarvi di nuovo, non solo senza offesa, ma con diletto dell’udito (23). Ciò è lo stesso che dire, che la melodia, dopo una conveniente permanenza nel modo ossia tuono (24) da cui ha principio la composizione, per mezzo della modulazione fa passaggio da quello ad un altro; e proseguendo il suo corso per diversi altri tuoni a seconda del genio del compositore, si riduce poi con bel garbo al tuono principale d’onde essa è partita con piacer sempre nuovo degli uditori. La modulazione nelle composizioni è necessaria, ed è sempre gradita. Essa piace tanto nella musica, perchè porta seco, anzi cagiona quella varietà, che tanto ci arreca di diletto nelle produzioni tutte della natura. Infatti qualunque melodia, anche la più espressiva, se si raggirasse per lungo tratto sulle corde dello stesso modo, e non chiamasse in suo ajuto l’artifizio della modulazione, quale effetto produrrebbe essa mai sull’animo nostro f Quello di divenirgli a poco a poco sgradevole, e di annoiarlo finalmente colla sua molesta monotonia.
XI. La musica ha delle modulazioni, che chiamar si possono regolari, e sono quelle che hanno col tuono principale della composizione una immediata relazione } e ne ha delle altre che possono dirsi irregolari, perchè mancanti della suddetta relazione, anzi perchè talvolta aneli’ estranee allo stesso tuono principale, e che nondimeno l’arte con prudente economia ha saputo adottare per giovarsene opportunamente (25). Gli antichi scrittori, che severi esigevano l’osservanza delle regole ancora più minute, anzi che usare delle irregolari modulazioni, sembrami piuttosto che sieno stati alquanto parchi nell’uso delle stesse modulazioni regolari. Tutti intenti agli artifizj de’ più intricati contrappunti forse, se mal non mi appongo, ci fanno desiderare nelle loro composizioni qualche cosa di più rapporto alla modulazione (26). 1 moderni al contrario fatti accorti da una più lunga esperienza del vantaggio grande, che risulta nelle composizioni musicali da una modulazione più estesa, cominciarono ad emanciparsi a poco a poco dalle antiche regole più severe, e quindi proseguirono nell’uso più libero delle modulazioni. Ciò che però non rimase lungamente ristretto dentro i confini di una giudiziosa moderazione; che anzi crescendo ogni giorno più il prurito di singolarizzarsi si nelle une che nelle altre, chi può mai ridire a quale eccesso sia giunta la cosa a’ giorni nostri?
XII. Dalla dovizia delle modulazioni d’ogni maniera, di cui le composizioni de’ più valenti scrittori del secolo XVIII si veggono fregiate e adorne, dovizia con cui schivando da una parte l’inopia degli antichi maestri, fanno gustare dall’altra una sempre piacevole e variata melodia, si è fatto adesso un salto, e si è traboccato iu una vera prodigalità delle medesime. Non v’è frase, per così esprimermi, non avvi periodo musicale in cui non si faccia quasi un continuo passaggio da un modo all’altro; di maniera che ciò clic debbo essere, ed è veramente, uno de’ più leggiadri ornamenti di una composizione, è divenuto disgraziatamente uno de’ suoi più spiacevoli difetti.
XIII. G per verità: che direste voi mai di una orazione, in cui lo scrittore da una idea passasse all’altra, da uno in un altro sentimento, da un argomento progredisse nell’altro, e ciò per lo più capricciosamente, trasportandovi sempre qua e là di cosa in cosa senza darvi un momento di riposo? Potreste contenervi dal disapprovare una tal foggia di dire? Potreste dissimulare quel disgusto che a ragione amareggerebbe l’animo vostro? Or questa similitudine proporzionatamente si adatta a quelle composizioni, di cui vi parlo, nelle quali lo scrittore poco avveduto senza ragione alcuna, ma per capriccio, ma per seguire una moda male intesa, con un giro eterno di modulazioni stordisce e ammazza il povero uditore, talché può dirsi: tenet, occiditque canendo. Dissi senza ragione alcuna : perciocchè se l’uso delle stesse modulazioni regolari, le quali cadono sotto le ordinarie leggi del contrappunto, ha da moderarsi, e qualora divenga eccedente, rendesi vizioso e reprensibile; quanto più dunque dovrà stimarsi degno di riprensione colui che contro ogni buona regola di ragione, non solo fa uso, ma abusa ancora delle irregolari modulazioni? Una sorpresa, un eccessivo piacere, un gran dolore, la meraviglia, il terror, l’ardimento, e molte altre coso di simil fatta, hanno persuaso i sensati compositori di servirsi delle modulazioni irregolari, ond’esprimere con insoliti tratti di armonia l’insolito delle passioni, ch’eccitar volevano nell’animo degli ascoltatori. E ciò quanto giudiziosamente ! Ma quella stessa cosa che usata a tempo e a luogo con moderazione caratterizza gli uni per intelligenti composi tori, condanna gli altri per inesperti de’ veri precetti dell’arte, di cui abusano fuor di tempo e luogo con biasimevole intemperanza. XIV. Fuvvi un tempo, e non molto disunte da’ nostri di, in cui le modulazioni irregolari si preparavano per lo più eon un qualche artifizio (27). Questo metodo, oltre il dare risalto alla maestria dello scrittore, aveva ancora il vantaggio di disporre gli uditori alle modulazioni che immediatamente sopravvenivano, onde lasciando loro a gustare il piacer della sorpresa, impediva che le loro orecchie fossero offese dalla irregolarità delle medesime. Molto più che questa stessa irregolarità non è poi tale, che non debba anch’essa soggiacere ad una qualche regola, la quale sembrami che possa consistere in una qualunque siasi relazione che le dette modulazioni irregolari debbono avere o col tuono principale, o con quello almeno che immediatamente le precede.
XV. Recapitolando adesso tutto quello che si è detto fin qui, rilevasi in primo luogo, che l’uso delle modulazioni, per quanto si voglia ch’ei sia ricco, dee però esser moderalo da una prudente economia, la quale lo tenga lontano da qualunque riprensibile eccesso. E se ciò è vero trattandosi delle regolari modulazioni, quanto più il sarà relativamente alle icregolari? Con quanta maggiore parsimonia non dovranno esse adoperarsi? Quel passaggio «piasi continuo dalle une alle altre senza un perchè, è abusivo e biasimevole. Questi salti tanto frequenti indicano povertà d’arte e sfrenatezza di fantasia; e quanto sono facili a mettersi in pratica, tanto dimostrano nello scrittore una puerile leggerezza (28). Secondariamente rilevasi che queste modulazioni irregolari possono esser chiamale in soccorso dell’arte, allorquando ne consigli l’uso o ’l bisogno o’I vantaggio, in que’ casi, cioè, else la poesia esiga espressioni forti, energiche, e straordinarie. L’usar dunque le suddette modulazioni nelle ordinarie espressioni è un vizio che porta seco la perniciosissima conseguenza d’infiacchire e render quasi di nessun valore l’effetto delle medesime, qualora una forte espressione poetica il richieda, perchè rendute troppo familiari alle orecchie degli uditori, pel continuo abuso che se n’è fatto. Rilevasi finalmente che sarà sempre ottimo consiglio che queste modulazioni sieno messe in opera con un qualche artifizio, onde non compariscano inette, e che mai non si trovino scompagnate da una qualche relazione armonica: condannandosi con ciò certe stranissime modulazioni che offendono la fantasia, e straziano le orecchie di chi ascolta (29).
XVI. Vi ho fin qui ragionato, Accademici ornatissimi, della prima delle parti, che costituiscono, come sul principio si disse, qualunque musico componimento, cioè della melodia, considerata e come espressiva, e come ben modulata. Ne ho accennate le doti, non ne ho taciuti i difetti. Lascio adesso al saggio vostro discernimento il giudicare, se mi sia bene apposto, o no. Del resto, siccome i nostri canti sono quasi sempre accompagnati dall’armonia, e non essendo perciò la melodia che una parte, quantunque primaria, della nostra musica, e dovendosi d’altronde confessare che l’armonia è il vero fondamento e della melodia e della modulazione (30): perciò l’ordine del discorso esigerebbe che io passassi adesso a parlarvi dell’armonia , ossia dell’accompagnamento, che è la seconda parte della musicale composizione . Ma per non abusarmi della vostra sofferenza, sembrami conveniente che mi riserbi a trattarne, quando avrò l’onore dì parlar nuovamente alla rispettabilissima vostra presenza. ANNOTAZIONI 20
- (1) Bologna 1754.
- (2) Nuova teoria di Musica ec. Parma 1812.
- (3) Dimostrazioni armoniche. Venezia 1589.
- (4) Il Musico Testore. Venezia 1706.
- (5) Trattato della Musica, secondo la vera scienza dell'armonia. Padova 1714.
- (6) Saggio fondamentale pratico di contrappunto sopra il canto fermo . Parte I. Saggio fondamentale pratico di contrappunto fugato . Parte II. Bologna per Lelio della Volpe .
- (7) Saggio delle leggi del contrappunto.
- (8) Nouveau System de musiq. theor.
- (9) Salita al Parnaso: Trattato del contrappunto.
- (10) L’origine, e le regole della musica. Roma 1774.
- (11) Dissertazione, e Dizionario. Ginevra 1758.
- (12) Dizionario Enciclopedico: articolo Melodia
- (13) Consiste la cantilena (ossia la melodia) in quella suc,, cessione e concatenazione di passi, i quali derivando dal ,, primo (che saggiamente gl’italiani chiamano motivo, in„ dicando con ciò, ch’esso dà moto e direzione a tutti gli „ altri) si legano, si avvicendano, si convengono per ,, l’indole c earattere loro, e varj essendo in sè, conservano „ nondimeno fra di loro una cotale analogia, per cui ami ,, che urtarsi, nuocersi c contraddirsi, si sostengono, si ,, rinforzano mutuamente, e producono quel tutto che è „ l’unità voluta in ogni genere di belle composizioni, e ,, senza della quale non v’è che disordine, e quindi tedio „ e molestia . Di comune consenso l’aver trovato la bella „ cantilena è un de’ pii» illustri «forzi che abbia fatto l’in,, gegno italiano, sostenuto dalla natura estremamente ar„ monica di quella nazione. La base, per così dire, di una „ tal cantilena sta nella felice disposizione de’ tuoni . Nel „ modo diatonico, nel quale i tuoni sono sempre analo„ ghi o semianaloghi, la cantilena riesce facile, ma suoli le dare nel triviale e comune; scoglio che il genio so,, Io sa evitare. Trovare una cantilena che sia insieme cliia„ ra facile vaga e non troppo sentita, che abbia de) ragio* ,, ncvolc e del nuovo è il prodigio dell’ingegno, e ben „ pochi sono i Taumaturghi che giungano ad operarlo,, .
Giuseppe Carpaci nelle dotte lettere sulla vita e le opere d’Haydn, pag. 33, e 34, Milano presso Candido Buccinelli 1812.
E alla pagina 128 egli di nuovo così si esprime:
„ La melodia consiste nel canto . Un bel canto è la Ve» nere della musica, ma altresì è la piti difficile cosa ad ot„ tenersi . Non vi vuole che studio e fatica per trovar de„ gli accordi; ma inventare una cantilena nuova è impre„ sa del genio, renderla bella è opera del gusto . Una „ bella cantilena non ha d’uopo d’ornamenti, nè d’acces„ sorj per ligurare. Volete vedere se una cantilena è buo,, na? Spogliatela d’accompagnamenti. Se resta ancor bella, i» la causa è visita per lei, Che anzi delle belle cantilene ,, si potrebbe dire ciò che Aristenete diceva d’una sua bella:
,, Induitur, formosa est; exuitur, ipsa forma est „. Allor ch’io vidi per la prima volta le suddette lettere aveva già compito questo piccolo mio lavoro. Mi compiaccio di aver pensato come il sig. Carpani, che tanto si mostra sensato in ciascuna delle medesimo . Tutto ciò dunque che in questa e nelle seguenti noie io riporto, lo fo in conferma di ciò che avea già scritto .
(14) A parlar giusto, gli effetti mirabili della musica de’ Greci non debbonsi ripetere dalla sola squisitezza delle loro melodie (quantunque vi avessero esse il più potente influsso), ma da alcune altre cose ancora insieme riunite. E primieramente dalla poesia. Non può credersi la maestà la dolcezza la forza che essa ritraeva da’ suoi versi, composti di molti e varj piedi, la diversa indole de' quali era attissima ad eccitare, o ad esprimere diversi affetti. «Il pirrichio e il tribrachio (così il P. Maestro Martini) sembrano atti nati per esprimere i moti leggieri e volubili; lo spondeo e il molosso i moti gravi e tardi; il trocheo, e qualche volta l'amfibraco i moti delicati e teneri; lo jambo, e l’anapesto i moti veementi guerrieri e iracondi; il dattilo risveglia moti ilari e giocondi, come di coloro che per l’allegrezza tripudiano. L’antispasto i moti duri e resistenti. L’anapesto e il peone quarta hanno grande possanza per incitare il furore e la pazzia. In somma non v’ha piede, o semplice siasi o composto, che non abbia la sua peculiare attività e forza di eccitare nell’animo un qualche effetto. Siccome però la natura, come saggiamente riflette M. Fontenelle, ama le cose semplici, ma varie, perciò usarono i Greci di mescolare con avvedutezza i piedi di una sorta con i piedi di un’altra, sempre però in questo diligentemente industriosi, che avessero i piedi fra loro qual che analogia, e che all’importanza delle parole corripondessero.» Martini: Storia della musica, T. 3, pag. 429. Aggiungasi a tutto questo la scrupolo» esattezza adoperata da loro per fino nella scelta delle lettere, delle sillabe e delle parole, che servir dovevano alla poesia, e poi non potremo non restar Convinti della viva energia della medesima (a) . Op. cit. T. 3, pag. 430 e 432.
(a) «Io non dubito punto di asserire che la musica de’ Greci operava que’ meravigliosi e quasi incredibili portenti, principalmente perché ella era una lingua cantata. Mi spiego: la musica loro non faceva che distinguerà, marcan meglio il tempo sillabico, le inflessioni connaturali e proprie della lingua loro, tanto più perfetta e musicale della moderna, perché lingua d’una nazione sensibilissima, e lingua ritmica che aveva il vantaggio di esprimere con più verità delle nostre tutte le tinte e le modificazioni del sentimento. Rese colla musica più evidenti la melodia e l’indole primitiva di questa lingua, ed essendo essa colla distinzione più espressa de’ tuoni ridotta a canto, e canto sempre analogo alla passione che il poeta aveva inteso di eccitare, doveva essa molcere gli orecchi e scuotere allo stesso tempo gli animi al sommo grado. Se per l'uomo v’è musica, questa è la musica della natura: quando, cioè, sono una sola cosa la lingua e la musica, il maestro e il poeta. In tale stato trovavansi i Greci, mentre noi siamo per lo più occupati diversamente dal poeta e dal maestro, e perciò condannati a sentire la stessa idea espressa per lo più in due diverse lingue nello stesso tempo. Cosi è: la musica greca era figlia non solo ma schiava della lingua: la nostra ne è la tiranna e la matrigna. È poi tanto vero che la lingua è la base e la madre del canto, che il Rinuccini risuscitò dietro questa teoria il recitativo de’ Greci, e Lulli prima di porre in musica i versi se li faceva declamare dal Chammele, come narra il Batteux, e notava que’ suoni e quelle inflessioni dell’attore, che poi rendeva cantabili coll’ajuto dell’arte.» Giuseppe Carpani: op. cit. p. 195 e 196. Ciò che in secondo luogo contribuiva a produrre quegli «fletti meravigliosi, di cui parliamo, si era la esecusione della musica sopra una tal poesia. «Noi crediamo (prosegue il suddetto P. Martini) che la maggior parte degli effetti, che produce la musica de’ nostri tempi tanto nel canto, che negli strumenti, o da corda o da fiato, dipenda dalla esecuzione. Una istessa cantilena cantata da diversi cantori, spesso vediamo che produce diversi effetti. Il modo di esporre la voce rendendola più soave, sostenuta, distesa ugualmente, e d’un’istessa forza dal principio sino al fine; il passaggio da una nota all’altra con delicatezza, il rinforzarla a poco a poco, e quasi insensibilmente diminuirla, se questi sono quegli artifizj, che distinguono sopra degli altri i più celebri e rari cantanti de’ nostri tempi» (non già de’ presenti, da chè molti de’ nostri cantori suonano e non cantano, e libito fan licito in lor legge99 (b)) «abbiam luogo a persuaderci, che i cantori greci tanto inclinati alla perfezione ed esattezza, non fossero nel praticare cotali artifici nè inferiori, nè uguali, ma anzi fossero superiori a’ nostri cantanti.» Op. cit. pag. 436 e 437. «Se a noi fosse dato di sentire come ed in qual modo cantavano i Greci i loro inni ed altre poesie, non stenteremmo giù ad accordare al loro canto una verace perfezione ed una nobile efficacia per muovere gli affetti negli ascoltanti.... Le gare di musica, che in pubblico erano soliti di praticare i Greci professori di musica, sono una prova molto concludente, (b) Fino da’ tempi suoi diceva il celebre Metastasio che i cantanti facevano delle suonatine di gola, imitando, con solennissima inversione del gusto, gli strumenti e gareggiando con loro nella difficoltà e stranezza de’ passaggi. Or cosa direbbe egli mai de’ cantori de’ tempi nostri? Giuseppe Carpani: op. cit. pag. 7. e che deve dimostrarci quale studio facessero per divenire eccellenti nella loro arte. Il pubblico e’ giudici non davano il premio se non se a quelli che si erano resi superiori e più perfetti degli altri competitori, onde ognuno si studiava di giungere al sommo della perfezione.» Op. cit. pag. 438. La materia poi di questa esecuzione sì fina era quella perfettissima melodia, che forma di presente l’oggetto delle nostre indagini. E per conseguirla adoperavano i greci compositori ogni possibile diligenza. Incominciavano pertanto dalla scelta de’ tuoni (o modi) in cui volevano comporre le loro melodie, e quelli trasceglievano fra gli altri, che giudicavano i più atti ad eccitar quegli affetti, che si eran proposti eccitare. Tre erano questi tuoni: Dorico, Eolio, a Jastio; cui si aggiunsero in seguito il Frigio, e 'l Lidio, e così venne a formarsi la nota serie de’ cinque tuoni de’ Greci. Ad ognuno poi di questi, ch’erano i principali furono assegnati due tuoni collaterali, l’uno verso il grave, l’altro verso l’acuto, e’ l numero si aumentò fino a quindici. Quello però che 4 qui da considerarsi pel nostro scopo si è che ognuno de' sopraddetti cinque tuoni principali aveva la sua propria e particolare armonia. La Dorica, per esempio, era grave e magnifica, l’Eolia superba e gonfia ec.; ed avendo tutte queste armonie (oltre la respettiva loro acutezza e gravità) una coerenza grande colla natura e co' costumi (c) di quelle nazioni, dalle quali ciascuna di loro aveva tratto il nome, ne risultava da ciò il grande effetto che ciascuna particolare armonia da qualsivoglia altra perfettamente si distingueva. Ecco la prima ricca miniera d'onde i greci compositori traevano le loro belle melodie. Op. cit. pag. 433 e seg.
(c) Harmoniam certe animi vel affectus, vel marea oportet indicare. Athenaeus lib. 14. Ma non meno ricca era quella de’ loro tre celebri generi di musica, cioè Diatonico, Cromatico, ed Enarmonico. Il primo così detto, perché progrediva principalmente per tuoni, il secondo per semituoni, il terzo per quarti di tuono , ed era chiamato il genere de’ peritissimi cantori per la difficoltà di dover dividere il semituono in due intervalli detti Diesis enarmonici. Op. cit. pag. 436. Ora dal distinto maneggio di questi tre generi di musica dal frammischi amento che facevasi de’ medesimi da quei bravissimi compositori, qual serie di melodie d’ogni maniera possiam noi credere che ne risultassero? Oper. cit. T. 2, Dissert. 2, pag. 257 e 258. E quanta maggiore energia non dovevano elleno acquistare tali melodie, oltre la propria, avendo per fondo una poesia di tanta perfezione, ed essendo eseguite colla più fina ed animata espressione? Quanto per conseguenza dovevano elleno essere adatte a produrre que’ prodigiosi effetti, che da’ molti testimoni sopra ogni eccezione ci si raccontano? Anzi dagli effetti maravigliosi, che ci si attestano cagionati da tali melodie, dobbiamo noi argomentare (e l’argomento, preso il tutto insieme, sembrami di grandissima forza) ch’elleno fossero realmente squisite e perfette.
Aggiungasi finalmente che i Greci non avevano l’armonia simultanea, ossia l’armonia propriamente delta, vale a dire, non conoscevano ciò che noi chiamiamo adesso contrappunto21: ma avevano quella sola, che risulta dall’ottava (detta equisona) e dalle sue replicate. La prima era prodotta dalla voce delle donne o de’ giovanetti che cantavano insiem cogli uomini, la seconda dal suono de' moltiplici loro strumenti. Ecco come si aprirne il Keplero: Et si vox Harmonia veteribus usurpetur pro ipso cantu; non est tamen intelligenda sub hoc nomine, modulatio per plures voces harmonice consonante (e). Oper. cit. T. p. Dissertazione 2, pag. 175. Non avendo dunque i Greci conosciuta l’armonia strettamente presa, ed essendo stati privi di questo grandissimo soccorso dell’arte, bisogna a forza confessare che le loro melodie fossero realmente squisitissime, producendo con queste sole i tanto attestati maravigliosi effetti.
(15) «A chi non è noto (dice il soprannominato Giuseppe Carpani) che la cantilena, ossia la melodia è l’anima della musica? In lei consiste la vita, lo spirito, l’essenza del componimento. Questo egli (cioè Haydn) m’andava ripetendo spesso: Poni una bella cantilena, ogni composizione è bella, e sicuramente piace, senza di essa (e) «La forza prodigiosa della cantilena (Carpani: lettere sulla vita e le opere d’Haydn) è tanto sicura che in essa sola consisteva la musica de’ Greci, di cui sappiamo l’effetto su quella nazione sensibilissima, dotata d’organi eccellenti, e madre del buon gusto in ogni genere di geniali produzioni. Essi non avevano nè armonia nè idea di contrappunto per quasi generale consenso de’ dotti, abbenché non avessero potuto far di meno di non sentire che anche i ranocchi gracitando formano degli accordi. Ma l'armonia, come noi l’intendiamo, non entrava punto nel loro sistema di musica, e quindi non se ne servivano mai. La melodìa, l'unisono, gli antifoni, cioè le ottave, formavano tutto il loro corredo musicale. Una musica tanto semplice, e che alcuni pretendono esser la musica della natura, beava quella nazione così difficile ad appagarsi del men bello, ed avvezza a’ versi d’Anacreonte, d'Euripide, d’Omero, d’Alceo, non che ai quadri di Zeusi, e d’Apelle, alle sculture di Pressitele, di Fidia, e di Gisippo: la nazione in somma che inventò il bello ideale.» p. 32. e Salinas e Durante e Martini e Bach possono trovare i più rari ed eruditi accordi, ma voi non sentite che un erudito rumore, il quale, se non dispiace all’oreochio, vuota vi lascia la mente, e freddo il cuore. pag. 31.» «La cantilena i alla musica ciò che alla pittura è il disegno. — Un buon contorno, diceva Annibale Caracci, poi una meta nel mezzo, e avete fatto un bel quadro.» «Dove non v'è cantilena non v’è pensiere, uniti, interesse, discorso.» — pag. 32.
(t6) «Graziosissimo a questo proposito è il motto di Fonteuelle: Suonata che vuoi tu da me? Ma così non avrebbe già egli detto di quelle dello incomparabile Tartini, dove, trovasi somma varietà congiunta con la uniti la più perfetta. Prima di mettersi a scrivere era solito leggere una qualche composizione del Petrarca, con cui per la finezza simpatizzava di molto; e ciò per avere dinanzi una data cosa a dipingere con le varie modificazioni che l’accompagnano, e non perder mal d’occhio il motivo o il soggetto». Algarotti: saggio sopra l'opera in musica, pag. 346. Ma qui non si vuol già dire che sia di necessiti, perché una composizione strumentale possa chiamarsi buona, che giunga ad esprimere perfettamente una determinata cosa, e che ne presenti alla mente, quasi dissi, l’immagine. Ottima cosa per verità sarebbe questa, ma di difficilissima riuscita. Quelle stesse composizioni che portano descritta in fronte una qualche epigrafe, la battaglia, per cagion d’esempio, la tempesta, la primavera ec., raro è che perfettamente esprimano tali cose, e senza aver prima letto il frontespizio delle medesime poco al certo si capirebbe di ciò che pretese esprimere il compositore . Si vuol dire soltanto che anche le composizioni strumentali, presa io genere, perché possano dirsi buone, non debbono esser mancanti di una qualunque siasi espressione, nè deggiono essere un suono vuoto di senso, com’è quello delle campane. (17) «Inceptii gravilus plerumque, et magna professis/Purpureus, late qui splendeat unus, et alter/Assuitur pannusi, cum lucus, et ara Dianae,/Et properantis aquae per amoenos ambitus agros,/Aut fiume n Rhenum, aut pluvius describitur arcus.
Taluno ordisce opre sublimi, e spesso/Per vana pompa alla sua tela appunta/Di porpora un ritaglio: il bosco e l’ara/Descrivendo or di Cinzia: or la piovosa/Iride, e ’l Reno: or per campagne amene/Il serpeggiar di frettoloso rio.
In somigliante fallo si può cadere in tutto il corso di un’opera, e non ne’ soli principj; onde io non credo, come molti degli espositori han creduto, che a’ principj soli abbia voluto Orario restringere questo suo insegnamento, ma che, intendendo per la parola inceptis non principj, ma imprese, tutto abbia voluto abbracciare il poema. Inceptum si trova frequentemente usato da Sallustio in senso d’impresa. Juventus pleraque, sed maxime Nobilium Catilinae inceptis favebat. De bello Catil.
Sic incepto tuo occultalo pergit ad fiumen Tanam.»De bello Jug.
Metastasio: Note alla Poetica di Orario v. 14.
(18) Metastasio; Estratto della Poetica di Aristotile Cap. 5. Poetica di Orazio v. 23.
(19) Poet. di Oraz. v. 309. Melast. Estrat. della Poet. di A ristot. Cap. 5.
(20) „ AJ ottenere quest’eifetto, col conservare il timplcx et unum, canone principale d’ogni bell’arte, ed evitare l’opposto scoglio del corda aberrai eadem, servono a maraviglia le deduzioni . Intendo per deduzione quella aniplilìcazione che si dà all’uno o all’altro de’ passi che Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/33 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/34 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/35 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/36DISSERTAZIONE
SULL’ARMONIA
OSSIA
SULL’ACCOMPAGNAMENTO
I. Attengo la data parola, valorosi Accademici: e dopo avervi altra volta parlato della prima parte della musicale composizione, vale a dire della melodia, considerala e come espressiva, e come ben modulata, vengo di presente a ragionarvi della seconda, cioè dell’armonia , o dir vogliasi dell’accompagnamento. Da prima dirò qualche cosa dell’armonia in generale, e passerò di poi a parlare dell’accompagnamento, ch’è l’oggetto primario del mio assunto .
II. L’armonia (in ordine alla musica) è l’unione di due o più suoni uditi nel medesimo tempo, d’onde ne risulta un tutto grato e piacevole . Cosi considerata l’armonia è una cosa stessa che l’accordo, e sotto quest’aspetto l’uno e l’altra hanno il medesimo significato . Io però allor che uso del vocabolo armonia voglio intendere una progressione regolare di molti accordi; e questa regolarità (lasciatemi dir cosi) è affatto necessaria: perocché, siccome un dizionario, ove sono raccolti tutti i vocaboli d’una lingua, non forma un discorso, così un accozzamento di accordi armoniosi non costituisce una composizione di musica . Nella musica , come in un linguaggio, vi abbisogna un senso, un collegamento da cui dipenda quest’armonica regolar progressione .
III. Ma da taluno mi si domanderà: In che consiste egli dunque un tale collegamento? Consiste, io rispondo, nell’analogia, o vogliam dire conveniente relazione che dee passare fra gli accordi medesimi . (E questo è il senso della parola regolare usata da me poco sopra, dove stabilisco il significato in cui prendo la voce armonìa.) Ora coll’esempio che testò vi ho addotto spero di mettere in chiaro la mia asserzione, ragionando così: Siccome dalla convenienza ch’han fra loro molti vocaboli di una lingua ne segue che possano collegarsi, e da questo collegamento ne risulta il discorso; così da una certa relazione che passa fra molti accordi ( che li chiamerò qui i vocaboli della lingua musica ) ne avviene che possano essere fra loro collegati , e da questo collegamento ne deriva il discorso musicale . Questo, al parer mio, è il vero principio, da cui provengono tutte le leggi dell’armonia, della modulazione, ed anche della melodia .
IV. E ristringendomi a parlar dell’armonia, e propriamente della frase armonica, voglio proporvi questa materia distinta in alcune massime per maggior chiarezza del mio discorso .
V. Prima massima: Il basso fondamentale non dee progredire che per intervalli regolari, ossia convenienti al tuono; e questi debbono aver relazione al modo del componimento. Dissi per intervalli regolari, perchè l'accordo non ne ammette di altra natura. La cosa è per sè stessa manifesta. Dissi che debbono aver relazione al modo, perché sarebbe un assurdo gravissimo che dopo l'accordo (per esempio) di terza minore si ascendesse a quello di terza maggiore .
VI. Seconda massima: Fintantoché dura la stessa frase si dee conservare la corrispondenza armonica. Mi spiego. Bisogna che l’armonia proceda con tale artifizio, che uno almeno de’ suoni dell’accordo antecedente venga prolungato, ed abbia luogo in quei del susseguente accordo . E quanti più saranno i suoni comuni a’ due accordi, tanto più perfetto riuscirà il collegamento di cui favello . Questa è una delle regole principali della musica composizione, trascurata la quale, ne verrà quasi sempre una cattiva armonìa
VII. Terza massima: Non basta che molti sieno gli accordi che uno dopo l’altro si succedono, ancorché fra loro ben legati, per costituire una perfetta frase armonica. Ed eccone la ragione . È verissimo, come di sopra si è stabilito, che il collegamento fa che si senta senza ripugnanza un accordo dopo l’altro; ma il primo di per sè non annunzia il secondo, nè lo fa desiderare, nè obbliga l’orecchio, pienamente soddisfatto di ciascuno degli accordi, a prolungare la sua attenzione sopra quello che vien dopo . Ci vuol necessariamente qualche altra cosa che unisca tutti questi accordi; che annunzi ciascun di loro come parte d’un tutto più grande che possa prevedersi; e ch’ecciti il desiderio di ascoltarlo nel suo intiero . Nella musica, come nel discorso, è necessario, come si è detto di sopra, un senso un collegamento: e questo è l’effetto che produce la dissonanza . Per mezzo della medesima s’intende il discorso armonico, se ne distinguono le frasi, i riposi, il suo principio e ’l suo fine .
VIII. Gascuna frase armonica è terminata da un riposo, che si chiama cadenza, e questo riposo è più o meno perfetto a misura dell’artifizio con cui si adopera . Tutta l’armonia uon è, per dir vero, che una serie di cadenze: ma si elude il riposo delle medesime , quanto si vuole, col mezzo della dissonanza, avvertendo così l’orecchio di prolungar la sua attenzione sino al fine della frase.
IX. La dissonanza è dunque un suono estraneo, else si aggiunge a’ suoni d’un accordo, per legarlo coll’accordo susseguente . Essa ne forma il collegamento, perché si trova sempre in uno de’ suoni dell’accordo precedente (e ciò vuol dire preparare la dissonanza): la percussione della medesima, onde riesca meno ingrata all’orecchio, vien sempre unita ad una consonanza dell’accordo (e ciò si chiama accompagnare la dissonanza): sentita la percussione dissonante, il basso fondamentale o resta fermo, o progredisce ad altro tuono: e la dissonanza, in relazione di quello, o va a riposarsi sopra una delle consonanze del medesimo accordo o del seguente (e ciò vien detto salvare o risolvere la dissonanza.) Da tutto ciò che abbiamo detto fin qui risulta assai chiaramente, Accademici ornatissimi, che la dissonanza per mezzo della sha preparazione, percussione e risoluzione, è il perfetto legame degli accordi , e ’l compimento della frase armonica.
X. Ha finalmente la dissonanza quest’altro bel pregio, ed è, d’introdurre nell’armonia la varietà. Questa varietà è di tanta importanza, che l’armonista non vi si applicherà mai abbastanza per acquistarla. Ma bisogna cercarla nella disposizione generale della composizione, e non per minuto, come fanno taluni , in ciascuna nota o in ciascuno accordo, accumulando note e dissonanze senza fine . Questi colla bizzaria de’ loro canti, e colla durezza della loro armonia non potranno mai allontanare da’ loro componimenti la monotonia e la noja (1).
XI. Dato così un cenno delle regole generali dell’ armonia, vengo, come già promisi, a discorrere dell’ accompagnamento .
XII. E qui, prima d’ogni altra cosa, fa d’uopo avvertire che volendo io trattare dell’accompagnamento, qual usasi modernamente, imprendo a parlarne sotto l’aspetto d’una grande orchestra, composta di molti e varj strumenti, che accompagna la melodia, cioè, il canto di un qualche pezzo di musica. È dunque uffizio dell’orchestra accompagnare il canto: cd essendo quest’accompagnamento composto delle consonanze richieste dal basso fondamentale, su cui appoggiasi lo stesso canto, ne deriva quindi quell’armonia di cui parliamo. Questa sorta d’accompagnamento, ch’è la più semplice, ha ’l suo buono effetto, e si usa specialmente qualora o la natura del canto o la maestria del cantore così ne consigli. Nasce questo buono effetto dal sentirsi la melodia limpida e netta sopra di un fondo armonico chiaro e preciso per cui l’uditore ne gusta subito tutte le bellezze, le quali brillano vie più sull’armonia che l’accompagna. La natura ancora di varie melodìe, che soglionsi dinotare con questo vocabolo cantabili, richiede che sieno accompagnate nella stessa guisa, campeggiando cosi il canto sopra l’accompagnamento con piacere dell’ uditore: e finalmente, ove abbiasi un buon cantore, tanto più sarà necessario servirsi di un tale accompagnamento , per non inceppare, ma lasciar libera nell’esecuzione la bravura del medesimo (2).
XIII. Ma troppo scarso sarebbe il vantaggio che la composizione di musica ritrarrebbe da un accompagnamento di simil fatta. Havvi altra maniera di accompagnare la melodia; ed è quella, che entrando a parte colla stessa melodia ad esprimere il sentimento delle parole, fa che questo risalti più vivo, più energico , e vel pone, quasi non dissi, sott’occhio . Non saravvi persona, anche mediocremente istruita nella musica, che non sappia quanto sia grande e vario l'effetto che produce negli animi nostri il suono de’ moltiplici strumenti d’una grande orchestra . Ciò a proporzione si verifica di ciascuno strumento in particolare, ma più specialmente poi del violino, il suono del quale è attissimo ad esprimere quasi ogni cosa, a presentarne l’imagine, e ad eccitare in noi qualunque affetto. Qualora dunque una melodia per sè stessa espressiva venga accoppiata a quella che produce un giudizioso accompagnamento or d’uno or d’un altro strumento, ed or della piena orchestra, conforme a quella tal passione che ’l compositore vuole eccitare negli animi degli uditori, il sentimento delle parole, animato da questa doppia ma concorde espressione, acquista tal forza, tale è l'impressione che fa negli ascoltanti , che tutta ne risentono la mozione degli affetti, e talora non sembra loro di udire, ma di vedere (3).
XIV. Tutto quello però che ho detto fin qui si dcbbe intendere e praticare a norma di quanto hanno sempre inteso e praticato i sensati scrittori, i quali presi dall’amor del vero, senza lasciarsi abbacinare da ciò che tale soltanto apparisce, ci hanno preceduto con tanta gloria nella difficil carriera musicale. Ma da una gran parte della moderna gioveutù s’intende e si pratica poi cosi? Vediamolo, Accademici ornatissimi , nel quadro che m’accingo a delineare (4)
XV. Eglino, i saggi scrittori, hanno sempre considerata la melodia, cioè il canto, come la padrona della composizione, ed hanno tenuta l’armonia, o vogliam dire l’accompagnamento, in luogo di serva. La parte strumentale ajuta la vocale, e non l’opprime; domina la parte vocale sulla strumentale, e di lei si giova: ed i nostri giovani compositori, con abbaglio enorme e radicale, hanno rovesciato la cosa di maniera, che ove la melodia dovrebbe dominare, e farla da padrona, la fa miseramente da schiava; e al contrario, ove l'armonìa dovrebbe farla da serva, la fa impudentemente da padrona. Quelli ci presentano le loro cantilene ornate da convenevole e per lo più moderato accompagnamento: questi hanno ormai oltrepassati tutti i confini d’una saggia moderazione, c nella quautità e qualità degli strumenti, che adoperano; e nel continuo esercizio, in cui li tengono; e ne’ suoni acutissimi, che penetrano le tempie; e nel fracasso orribile, che stordisce ogni testa. Ond’è che i canti de’ primi s’odono, si gustano, e producono il bramato effetto: quei de’ secondi, restando sopraffatti da una garrula turba di strumenti, che mai non fan posa, nè possono udirsi, nè gustarsi, e producono l’effetto di sbalordire bensì, ma non di dilettare, e muovere gli uditori (5).
XVI. Ma, qualche volta almeno, cessa quel continuo e fastidioso rumore: ed una dolce melodìa, senza alcuno (6) o con modesto accompagnamento, molce gratamente le orecchie dell’affaticato uditore, il quale riposa, gode e si compiace di quella calma improvvisa . Simile appunto ad un pellegrino, che avendo lungamente viaggiato per un bosco ingombro di stèrponi, di bronchi e di spine, se si avvenga fortunatamente in un ameno praticello, invitato dal mormorio delle acque che scorrono all’intorno, e da un fresco venticello che spira, stanco riposa sulla molle erbetta, e si riconforta dopo le sofferte fatiche del suo lungo e penoso viaggio. Questa imagine, che sovente si è presentata alla mia mente, spiega assai chiaro ciò che testé vi diceva, e condanna altamente molti de’ nostri sconsigliati giovani compositori .
XVII. Ma tant’è: costoro si sono messi in testa (e disgraziatamente l’hanno di già eseguita) la massima fatale di sacrificare la musica composizione, non solo ad un’erronea e ridcvole modulazione (come in un’altra mia memoria vi dimostrai) (7), ma di sacrificarla ancora ad un rumoroso accompagnamento, il quale impedisce che si oda e si gusti la bella melodia , ch’è poi la parte principalissima del musicale componimento.
XVIII. Dopo questo doppio ed imperdonabile errore come chiamerò io mai la moderna musica? Musica militare e rivoluzionaria. Sospendete di grazia, umanissimi Colleghi, di darmi la taccia di troppo ardito , e proseguite ad ascoltarmi con attenzione, come avete fatto fin qui . Ho detto musica militare: e come no, se le sue melodie sembrano per lo più altrettante marciate? Fatene testimonianza Voi stessi clic frequentemente le udite ne’ teatri, e debbo dire (con mio sommo rammarico) anche nella casa santa di Dio (8)! Io pertanto chiamo militare questa musica, pel gusto; militare per la qualità e moltiplicità degli strumenti, di cui si giova; militare pel fragore insoffribile che assorda (9).
XIX. Aggiunsi di più: Musica rivoluzionaria: e sene può dubitare un momento? Si: rivoluzionaria: e nella melodia, e nell’armonia. Prima però di addurvene le ragioni, mi giova qui rammentare quanto grande sia sempre stata l’influenza delle rivoluzioni de’ governi, o delle variazioni da loro sofferte, sopra la letteratura, e le arti belle . Pel mio intento credo che possa bastare l’esempio clamoroso, che ne’ secoli a noi vicini ce ne dettero la Germania, e l’Inghilterra . „ Questi due popoli (come si legge nel tomo 3 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/46 avesse fino allora sofferte . Non può dirsi però altrettanto della moderna musica . Nata essa e cresciuta colla rivoluzione ne prese altresì il carattere: e la maggior parte de’ suoi coltivatori invece di porgerle in soccorso la mano, le dettero anzi la spinta, onde precipitasse in quella fossa, sull’orlo della quale già da gran tempo barcollando si raggirava (10).
XX. Ed ecco che il mio discorso è tornato d’onde era partito. Eccomi pronto a dirvi in qual senso 10 chiamai gran parte della musica d’oggidì, musica rivoluzionaria, e a darvene le ragioni . Essa è tale per 1* indole sua innovatrice ardita, sprezzatrice delle leggi da tutti fin qui rispettate, ed amante anzi che no d’idee gonfie, e (dirò così) gigantesche (11). Uditene adesso le ragioni, e da queste conoscerete meglio la giustezza del ritratto che ne vo facendo. E prima della melodia.
XXI. Le cantilene piane, facili, naturali espressive , toccanti de’ più dotti e savj maestri sono per essa cose viete e rancide, bissa le sprezza, e ci dà in loro vece le sue, che sono spesso ricercate, difficili, suonabili anzi che cantabili, bizzarre, dure, e talora barbariche; piene poi alle volte di tante note, che 11 foglio del cantore se ne vede tutto arabescato (12).
XXII. Secondamente: che sia tale, questa musica, anche per l’armonia risulta chiaro da tutto ciò ’che distesamente ho ragionato di sopra, parlando dell’accompagnamento . Voglio nulladimeno aggiunger qui due altre cose. La prima di queste (ch’è singolarmente d’indole capricciosa) consiste in un vezzo puerile che confonde i modi della composizione, vale a dire, frammischia nel modo maggiore gli accordi del modo minore. Questa riprensibile mescolanza la chiamo puerile, perchè non è di fatto che un gioco da quell’età. E pure sembra che da taluni le si dia un’ aria d* importanza: ma se impongono a quei che nulla sanno, provocano però le risa di coloro che ne conoscono il valore . Molto più che ravvisano in quest'abuso una grave ferita che ne riceve l’espressione imitativa , da che, quanto più si usano fuor di luogo certi accordi che richiamano fortemente l’attenzione degli uditori, tanto più se ne scema in loro l’impressione, ove ne sarebbe maggiore il bisogno.
XXIII. La seconda cosa, che voleva dire, riguarda l’accompagnamento degli strumenti da fiato. Ho rassomigliato sovente nelle mie musicali meditazioni una toccante melodia, accompagnata da tali strumenti , ad un bel drappo ricamato di varj fiori. Se il ricamo sia ben disegnato, ed i fiori sieno sparsi qua e là con intelligenza e buon gusto, la bellezza del drappo brilla maggiormente e risalta . Ma se il ricamo sia di cattivo gusto, e venga di più aggravato da una quantità grande di fiori mal collocati e disposti, lascio ben volentieri al gentil sesso il giudizio d’un tal drappo. Questa similitudine sembrami che spieghi a maraviglia ciò che voleva insinuarvi: essere, cioè, un grand’errore quello di molti scrittori che aggravano le loro composizioni col continuo suono degli strumenti da flato . Le uscite or d’uno, or d’un altro di tali strumenti debbon esser dirette da un sano giudizio e da molta prudenza . Debbon servire per lumeggiare, non per offuscare la composizione:
debbono ornarla, e non aggravarla: usar si dcggion talora per agevolare negli animi degli ascoltanti la via alla commozion degli affetti: si dee procurar fra tanti fare scelta di quello ch’è ’l più adatto al fine in* teso dal compositore (13): in una parola non debbe farsene abuso, come da tanti si pratica con grave danno della composizione, ma debbonsi adoperare a norma degli esempj de' più eccellenti maestri, i quali con questo accompagnamento, usato con giudizio, tanto di pregio hanno accresciuto a’ loro componimenti.
XXIV. Dopo tutto quello che ho fin qui ragionato , io credo di poter chiamare gran parte della musica d’oggidì (senza timore d’esserne ragionevolmente ripreso) col nome di rivoluzionaria: mentre ho dimostrato ch’essa si è praticamente ribellata a quelle regole, a quegli insegnamenti che e dal senso e dalla ragione e dall’autorità sono stati sempre mai riconosciuti e stabiliti per i veri insegnamenti, per le vere regole .
XXV. Ma come va la bisogna (parmi che alcun mi dica): voi avete ritrovato tanto da piatire contro la moderna musica, allor che tanto di mondo le fa plauso? E non sapete voi, che, non solo nella nostra Italia, ma di là da’ monti ancora, e di là dal mare, conta moltissimi encomiatori?
XXVI. Non è questo il luogo, Accademici ornatissimi , di rispondere a questa e ad altre simili obbiezioni , che mi si potrebbon fare. Si certamente io ci risponderò, e sarà mio impegno di non dissimularne alcuna. Ma vi contenterete di udir le mie risposte in un’altra Memoria, ove tratterò della terza parte della musicale composizione. Intanto, per non esservi di maggiore aggravio, pongo fine al mio ragionare, e vi fo profondissima riverenza. Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/51 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/52 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/53 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/54 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/55 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/56 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/57 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/58 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/59 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/60 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/61DISSERTAZIONE
SUL METRO
I. Melodia ed Armonia, ambedue parti della musicale composizione, sono state il subjetto di due miei Ragionamenti, ch’ho avuto l’onore di recitare alla presenza vostra, valorosi Accademici, negli anni andati: Metro, ossia Misura, terza parte del musico componimento , ed alcune altre cose, che serviranno di corollari, saranno la materia della presente Memoria, e della vostra cortese attenzione .
II. La misura nella musica ha per oggetto il tempo , cui comunemente dassi il nome di battuta, ed è la maniera di dividere il medesimo tempo in molte parti uguali, che si suddividono in molte altre, e ciascuna delle medesime si chiama ed è realmente misura. Questa misura poi si rende sensibile mediante alcuni moti della mano, che sono varj secondo i diversi usi de’ paesi, e si adopera onde render più facile l’esecuzione della musica, in grazia specialmente di coloro che l’eseguiscono all’improvviso . La battuta però è solunto un puro segno della misura, utile sempre, ma non necessario: imperciocché qualunque composizione anche senza questo segno, puossi eseguire , e si eseguisce di fatto. A norma intanto di questa misura, ch’è puramente intellettuale, si dividono e si ripartono le varie figure (tutte di valore diverso) delle quali è composto qualunque musicale componimento.
III. Considerando i progressi che di tempo in tempo ha fatto la musica, potrebbe taluno persuadersi che la misura fosse una invenzione de’ moderni: ma chi pensasse così la sbaglierebbe all’ingrosso; mentre anche gli antichi la conobbero la praticarono e stabilirono le regole su di questa materia. Credo fuori d’ogni dubbio che l’invenzione della misura sia stata quasi gemella dell’invenzione del canto; poiché questo non consiste già nella sola intuonazione, ma ben anche nella misura. Un canto senza misura sarebbe a un di presso come un discorso senza sintassi. Se tanto dunque sono uniti fra loro canto e misura, che, mancando questa, verrebbe anche quello a perdersi quasi totalmeute; sembra ch’io mi sia assai bene apposto dicendo che ’l ritrovamento d’ambedue sia stato quasi contemporaneo: molto più che si il cauto che la misura sono due cose che una non è meno naturale dell’altra (1).
IV. Ho detto essere al canto la misura, com’è la sintassi al discorso: nè senza ragione: imperciocché la sintassi è dessa, che concatena le parole, distingue le frasi e dà un senso un collegamento a tutto ’l discorso. Cosi a proporzione nella musica . Per mezzo della misura si concatena la progressione de’ suoni, che compongono la melodia, cioè dire, il canto, se ne distinguono le frasi, e dessa dà un senso un collegamento a tutto il discorso melodico. Figuriamoci un canto (per esempio) un solfeggio cui mancasse la misura, o per difetto del cantante o del compositore: cosa diverrebbe egli mai un tale solfeggio i Ciò ebe diverrebbe qualunque composizione (come sarebbe) un sonetto, che fosse mancante di sintassi . Altro in esso non si riscontrerebbe che un confuso ammasso di parole poste a caso senza concatenazione alcuna, iu cui il lettore non troverebbe senso veruno . E’ dunque chiaro che la musica debbe avere una misura, e questa debb’esser giusta e sensibile, altrimenti qualunque melodia perderebbe ogni suo pregio, e l’armonia poi diventerebbe un caos.
V. Può la misura esser ben anche considerata rapporto alla natura della lingua, cui si adatta la musica , e segnatamente rapporto a quella proprietà comune a tutte, che chiamasi prosodia . E’ necessario pertanto che la misura rilevi con esattezza la quantità delle sillabe brevi e lunghe, onde la pronunzia delle parole sia tale, qual debb’essere 5 nè si senta quello sconcio, non si raro a’ dì nostri, per cui le sillabe lunghe si fanno brevi, e brevi le lunghe (2) .
VI. Ma sott’altro aspetto riguardiamo la misura, Accademici ornatissimi, aspetto assai più recondito ed interessante delle cose fin qui ragionate. Consideriamo adunque la misura sotto l’aspetto del ritmo . Il ritmo nella musica altro egli non è che un certo ordine nella successione de’ suoni . L’idea pertanto che può darsi del ritmo ella è questa: ei fa in essa quello che la misura de’ versi nella poesìa .
VII. Tutti e antichi e moderni attribuiscono al ritmo una gran forza, e confessano che dal medesimo dipende ciò elle nel canto chiamasi propriamente bello. E’ necessario però che vi faccia qui osservare che’l canto ricava la sua forza, o per dir meglio, la sua bellezza da due fonti differentissime. I suoni nella musica possono avere un tal quale significato lor proprio e naturale, ia cui il ritmo punto non v’influisca . S’odono de’ suoui che per sè stessi sono allegri o graziosi o teneri o tristi o dolorosi . Questi suoni hanno il potere di commuoverci, senza che la cantilena, ov’entra la forza del ritmo, abbia veruna influenza, e spesso si dà a questo potere il nome di bello . La bellezza però che risulta dal ritmo è tuli’ altro. Essa consiste in cose perfettamente indifferenti in sè stesse; che non hanno verun significato naturale; nè esprimono o allegrezza o dolore . Per andar dunque in traccia della natura c dell effetto del ritmo io non sceglierò che cose in sè stesse indifferenti, come sarebbe il suono d’un tamburo o d’una sola corda: suoni che non hanno per sè stessi altro potere fuor di quello che dà loro il ritmo . Mi sarà di guida in questa ricerca il sig. Castillon, cui son debitore di tutto quel che vi dirò, e, ove 1 creda opportuno, mi servirò delle stesse sue parole (3).
VIII. Si rappresenti taluno i semplici colpi battati sopra un tamburo, e dimandi a sè stesso: come mai una continuazione di suoni simili può divenir piacevole , e prendere un carattere morale o appassionato? E sara appunto al principio delle ricerche sopra il ritmo. Venghiamo al fatto. IX. In primo luogo è chiaro tìhe i colpi dati senz’alcuq ordine o senza osservar tra loro tempi eguali nulla hanno che possa risvegliare l'attenzione: si ascoltan questi colpi senza pensarvi . Cicerone paragona in un luogo il numero oratorio alla caduta variata, ma regolare delle gocce della pioggia . Fino a che non si sente altro che 'l romor confuso delle gocce ad altro non si pensa se non che piove . Ma se nel tempo di questo romore sentesi la caduta di alcuno gocce particolari , e uno si accorge che tali gocce ritornano sempre nello stesso tempo, o che a un dipresso nello stesso spazio di tempo ne cadono sempre due o tre o più gocce, che si seguono con ordine Asso ed hanno perciò qualche cosa di periodico, come i colpi del martello di tre o quattro magnani: allora l’attenzione viene eccitata ad esaminar quest’ordine. Ecco dunque di già un principio di ritmo, cioè il [ritorno regolare degli stessi colpi. Ora (per tornare a’ colpi del tamburo) se noi immaginiamo un seguimento di colpi eguali, che si succedono ad eguali distanze; noi avremo un’idea dell’ordine il più semplice nel seguitamento delle cose: ciò che somministra il primo grado ed il più debole del ritmo, che non produce in noi che un grado debolissimo di attenzione cagionata dalla regolarità de’ colpi (4).
X. Volendo accrescere l’ordine di un grado, si potrà ottenere rendendo i colpi disuguali nella forza, e variando questi colpi forti e deboli secondo una regola fìssa. La regola più semplice è di far costantemente succedere un colpo forte ad uno debole . E qui comincia ciò che nella musica si chiama misura (5). Questa successione misurata di colpi ha qualche cosa di più per attirare l’attenzione . Vi si trova una doppia uniformità, e ’l primo grado del cambiamento: e possiamo dire esser cosa conosciuta, che l’uniformità collegata col cambiamento e colla varietà risveglia un sentimento grato. Ecco dunque d’onde risulta il piacere che troviamo nelle cose, le quali isolate e in loro stesse sono perfettamente indifferenti. E qui cominciamo a formarci un’idea come il ritmo, ossia, il buon ordine osservato nel seguitamene di cose indifferenti possa far nascere il bello.
XI. Ormai è facile l’immaginarsi quanti cambiamenti possano farsi nella misura: il che rende non solamente l’ordine de’ colpi più variato, ma gli dà ancora un carattere . Ma siccome sarebbe fastidioso ed inutile l’estendersi sopra di ciò, ci contenteremo di fare alcune osservazioni sopra questo soggetto .
XII. Non v’ha chi non senta la differenza di carattere che passa fra la misura a due, e quella a tre, e fra una terza misura ch’è composta dalle due anzidette . Per sentir questo basta pronunziare per qualche tempo le seguenti parole, osservandone la puntazione: Uno due: uno due: uno due. Uno due tre: uno due tre: uno due tre. Uno due tre, quattro cinque sei: uno due tre, quattro cinque sei: uno due tre, quattro cinque sei. Si sente distintissimamente la differenza d’ordine che ci ha in queste tre sorte di successioni, ove si sentono le tre sorte di ritmo (6). A ciò si aggiunga che la misura può avere differenti gradi di moto. che il compositore accenna colle parole: allegro, andante, adagio ec. che nella stessa misura i suoni possono succedersi in un ordine variatissimo (7); che talvolta si possono interrompere con delle pause; che finalmente possono questi suoni variarsi fra loro colla differenza del più grave e del più acuto; che possono staccarsi, o legarsi insieme e rendersi dissimiglianti con una quantità di altre modificazioni, che la voce umana principalmente può dare a’ suoni: e allora si comprenderà di leggieri che una sola specie di misura è suscettibile d’una varietà inesauribile . Intanto ciò che in generale abbiam detto finora fa comprendere, come un segui lamento di suoni indifferenti in loro stessi possa divenire piacevole ed acquistare un certo carattere, unicamente per mezzo dell’ordine della loro successione.
XIII. E qui, per nou essere accagionato di troppa minutezza, tralascio di riportare tutto ciò che ’l sullodato sig. Castillon, in forza del suo assunto, prosegue a dire distesamente di questa prima specie di ritmo , ch’è la più semplice; delle diverse specie del medesimo; del ritmo compasto; e delle varie maniere , onde si fanno tali composizioni: bastando al mio intento, che vi riporti soltanto il resultato delle sue ricerche, onde abbiate un idea sufficiente di ciò che sia il ritmo nella musica . Dice egli dunque altro non essere il ritmo in musica che la divisione periodica d’una successione di cose simili: divisione per mezzo della quale si unisce l’uniformità di tal successione alla varietà; talché un scotimento continuo, che sarebbe stato per tutto omogeneo, diventa variato col mezzo della divistone aritmetica . E necessario però che per altro poco n’esamini anche più intimamente l’origine e gli effetti.
XIV. E noto per relazione de’ viaggiatori che i popoli poco men che selvaggi osservano ancor essi un ritmo nelle loro danze; e tutto il mondo mescola del ritmo in molte occupazioni . Ciò prova che ’l ritmo non è l’opera dell’arte, e che non risulta dal raziocinio, ma ch’è fondato sopra un sentimento naturale . Una persona, obbligata a contare con qualche celerità, non conterà lungo tempo in una maniera uniforme non interrotta, come sarebbe: uno due tre quattro cinque sei ec.: ma formerà ben presto de’ membri di più numeri, e conterà per due per tre per quattro alla volta . Colpite l’orecchio da que’ suoni che si succedono in tempi eguali, non può essa fare a meno di contarli mentalmente, e schierarseli in conseguenza nella maniera suddetta . Se noi stessi formiamo de’ suoni battendo, per esempio, de’ colpi, noi li regoliamo in maniera che la varietà de’ colpi sollevi la fatica di contarli . Il bottajo che cerchia una botte, il calderajo che batte un calderone, cessano ben presto di dare de’ colpi eguali ed isolati, eli uniscono atre per tre, a quattro per quattro, e così andate voi discorrendo , usando in ciò fare una qualche pausa, affinchè questa divisione divenga sensibile all’orecchio . Mostrandoci dunque una esperienza incontestabile che ogni divisione ritmica è naturale, e che ha il suo principio nel sentimento, esaminiamo adesso qual sia il fondamento di questo sentimento naturale . XV. Fa d'uopo pertanto riflettere che non si desidera già ritmo alcuno in una successione di oggetti , i quali o per sè stessi o per la loro naturale costituzione hanno della varietà, del cambiamento, e mantengono perciò viva la nostra attività . Noi non esigiamo ritmo in un discorso che ci occupa o unicamente per la narrazione, o per lo sviluppo delle idee. Non lo esigiamo allorquando alcuno ci racconta qualche avvenimento toccante di maniera che in esso scorgiamo una qualche cosa di nuovo capace di eccitare il nostro sentimento . Ci accade lo stesso nelle nostre familiari occupazioni . Fino a che la nostra operazione ci somministra un qualche nuovo oggetto, le nostre forze non hanno bisogno d’essere eccitate da cause estranee . Un pittore, per esempio, non darà un moto in cadenza al suo pennello: non ne ha egli bisogno: il nuovo oggetto che si presenta a* suoi occhi a ciascun tratto che forma, gli dà per sè solo una forza sufficiente per animarlo a continuare il suo lavoro . Ma colui che lima qualche cosa, o fa un’operazione la cui uniformità non è interrotta da nulla di nuovo, costui, come l’esperienza c’insegna, formerà ben presto de’ moti ritmici o cadenzali . Dunque non desideriamo noi naturalmente il ritmo, se non quando proviamo delle sensazioni costantemente uniformi . Ciò ci conduce a scuoprire il vero fondamento sul quale riposa l’effetto del ritmo. Ogni impressione e quindi ogni sensazione piacevole o disgustosa svanisce ben presto, se la causa che la produsse non è ripetuta. Il sentimento seguita a un dipresso le leggi del moto . La ripetizione continua d’una stessa impressione ha ella sola la forza di mantenere un sentimento medesimo per un tempo determinato: e di qua dipende la forza sorprendente del ritmo. Il ritmo dunque ben maneggiato può dare (come dicemmo in principio) a una successione di suoni indifferenti in sé stessi la natura d’un discorso appassionato e morale. Egli solo quest’oggetto meriterebbe d’essere esaminato in tutta la sua estensione, perché col mezzo suo si porrebbe in tutta la chiarezza la vera essenza, la natura la più recondita della musica. Quest’esame dimanderebbe un trattato intiero ed esteso; e sarebbe desiderabile che un uomo ben versato nella musica e nelle scienze filosofiche si assumesse l’impegno di farne un regalo al pubblico; giacché tutti quelli che fino a qui hanno scritto di quest’arte bella, hanno passato quasi totalmente sotto silenzio questo punto cotanto necessario, e che scuoprirebbe tutta l’essenza dell’arte .
XVI. A compimento infine di quanto si è detto ecco alcuni principi fondamentali, la cui osservanza sarà utilissima in pratica per ben servirsi del ritmo .
- I sentimenti dolci tranquilli e continui vogliono un ritmo leggiero corto facile ad apprendersi e continuato .
- Se debbonsi esprimere sentimenti variati, crescenti o decrescenti, bisogna scegliere un ritmo più variato, composto or di membri grandi, ora di piccoli, e’ cambiamenti debbono esser pronti o lenti a tenore del sentimento .
- Si può abbandonare la regolarità, quando il sentimento ha qualche cosa di contradditorio . Non è
- difficile comprendere come si possa esprimere la irresoluzione, l’incertezza, e l’imbarazzo ec. colle variazioni del ritmo.
- Ne’ casi straordinarj, quando si vuol far uso d’una particolare energia, si può, cambiando il moto , cambiare anche il ritmo in una maniera espressiva.
- Un’altra particolarità del ritmo fa sovente un effetto piacevolissimo, e consiste nell’introdurre una misura durante la quale, per esempio, la voce tace, e fra tanto uno strumento ripete o imita l’ultimo tratto del canto della voce.
XVII. Ed eccomi finalmente giunto al compimento della trattazione, che m’era proposta, delle tre parti che costituiscono qualunque musico componimento, cioè Melodia, Armonia e Metro .
XVIII. Si è visto che la melodia debb’essere espressiva e ben modulata. Espressiva: che dee corrispondere al sentimento intero racchiuso nelle parole, cui si adatta la musica; che co’ suoi tratti dee rilevar questo sentimento, farlo gustare, lumeggiarlo, ingrandirlo. Che per quanto debba conservarsi l’unità dell’espressione imitativa, pure è permesso di esprimere que’ sentimenti ancora che o formano una parte del sentimento principale, o pure non gli si oppongono: che s’incorre nel biasimo sol quando si prendono ad esprimere que’ sentimenti che o per essere staccati affatto da tutto il complesso del sentimento principale, o per non avere una stretta relazione col medesimo, ne oscurerebbero e fora’ anche ne farebbon perder di vista la desiderata imitazione: che questa espressione finalmente debb'esser una quanto è possibile; una, ma non uniforme, anzi variata (8).
XIX. Melodia ben modulala . Si è detto che in grazia della sempre aggradita varietà l’uso delle regolari modulazioni è lodevolissimo, qualor non sia portato all’eccesso: che per esprimere una forte o straordinaria passione l’arte sa servirsi ancora delle irregolari: condannando però l’odierno smodato abuso di quelle, che sono d’aspra indole, irragionevole, capricciosa (9).
XX. Armonia o vogliam dire accompagnamento. Abbiamo osservato che un accompagnamento, quantunque semplice, produce tuttavia un ottimo effetto, campeggiando sopra il medesimo più limpida e chiara la bella melodìa: che la sostiene e le aggiugne auche forza co’ suoi tratti armonici: che, rispettandone mai sempre la maggioranza, lascia ch’ella sopra di lui signoreggi e che di lui si giovi, mentr’esso le presta bensì il suo ajuto, ma non l’opprime: ch’entra talora a parte colla stessa melodia ad esprimere il sentimento delle parole: ed è allora che animato il sentimento da questa doppia, ma concorde espressione acquista tal forza e tale è l’impressione che fa negli ascoltanti, che tutta ne risentono la mozione degli affetti, e talor non sembra loro di udire, ma di vedere (10) .
XXI. Metro ossia misura. Abbiam detto ch’ella ha per oggetto il tempo; ch’è la maniera di dividerlo in parti eguali; e che comunemente chiamasi battuta. Che senza misura non dassi nè melodia, nè armonìa. nè retta pronunziazione della lingua cui viene adattata la musica; e l’abbiamo finalmente considerata sotto l’aspetto di ritmo .
XXII. Or che mi resta se non che rispondere a quelle obbiezioni che mi si potrebbon fare da chi discordasse da’ miei sentimenti, avendone impegnata la mia parola sul finire della precedente Dissertazione? Son dunque pronto a soddisfare all’impegno contratto, ed incomincerò da quella che sembra la più grave. Fu ella esposta da me in questi termini: come avessi io mai trovato tanto da piatire contro certa moderna musica, allor che tanto di mondo le fa plauso.
XXIII. E qui io ben m’accorgo, Accademici ornatissimi , d’avere a superare un forte pregiudizio, che milita contro di me, consistente nella pubblica opinione che -crede degno di lode ciò che io per tanti capi vi ho dimostrato biasimevole (11). Ma se voi, come siete soliti praticare, mi ascolterete cortesemente, e come saggi imparzialmente bilancerete le ragioni che son per addurre alla rispettabile presenza vostra, son certo che un cotal pregiudizio punto non v’impedirà di conoscerle e di valutarle ancora, qualor le troviate d’un giusto peso.
XXIV. Qual può esser dunque la ragione per cui una musica tanto, come si è provato, difettosa possa esser poi quasi generalmente applaudita? Voi già ben v’accorgete non potersi soddisfare ad una tale dimanda con una concisa risposta: e però permettetemi ch’io vada esaminando la cosa da’ suoi principi; e da questo esame, spero, vedrete poco a poco emergere della difficoltà oppostami la desiderata soluzione . Ilo bisogno pertanto (e ve ne priego) clic usiate meco di vostra pazienza, poiché prima ch’io possa contentare la vostra giusta ed erudita curiositi), deggio dirvi molte altre cose . Che se talora vi sembrasse che mi fossi dimenticato di mia promessa, soffrite per altro poco il mio ragionare, che sarò poi fedelissimo nell’attenervela .
XXV. Se riandiamo col pensiero l’epoca del risorgimento della musica nella nostra Italia, troveremo che dessa fu l’inventrice del dramma in musica circa il finire del secolo XVI. E quantunque cotesta sorta di musica fosse, per dir cosi, nella sua infanzia, nel secolo susseguente però crebbe e fece de’ notabili progressi. Nulladimeno bisogna pur confessare che i drammi di que’ primi scrittori, del Vecchi, dello Zarlino e degli altri non pochi loro contemporanei, sebbene fossero molto famigerati, erano tuttavia mollo distanti da quel perfezionamento, cui giunsero in tempi a noi più vicini. La musica a quell’età parlava più all’intelletto che al cuore. Il secolo XVIII fu quello ch’ebbe la sorte di veder fiorire quasi in tutto ’l suo corso i più felici ingegni e’ più ben disposti per quest’arte bella, mercè de’ quali la musica del dramma s’innalzò alla sua perfezione. Scarlatti, Porpora, Vinci e Pergolesi, Piccini, Sacchini, Jomelli e Trajetta , ed altri in gran numero, allievi per la maggior parte de’ famosi couservatorj napolitani, profittando sull’esperienza degli altrui sforzi, si avviddero ben presto che il sentimento esser dovea la materia del canto drammatico. Essi parlarono alle passioni, senza le quali non v’ha vera musica, e nelle loro composizioni furono tutte energicamente espresse . Fu allora che al pascolo dell’intelletto si aggiunse quello del cuore, e d’ambedue, senza che l’uno distrugga l’altro, se ne fece un solo . Allora la musica drammatica potè dirsi un’arte imitativa, capace di dipingere al vivo qualunque quadro, di eccitare tutti gli affetti, di colorire , abbellire, dare un risalto maggiore alla poesia e di superarla ancora, animandola colle grazie incantatrici della melodia e dell’armonia . Dopo i soprannominati: Sarti, Guglielmi, Paisiello, Cimarosa, Zingarelli ed altri, «piasi tutti della stessa scuola napolilana, arricchirono aneli’ eglino di nuovi pregi il dramma musicale. La melodia acquistò nuove bellezze; si giovò l’armonia del ritrovamento d’inusitati accordi; e tracciando nuove vie per muovere gli affetti senza l’ajuto della parola, giunse a tal perfezionamento d’esprimere coll’orchestra, poco men che colla voce del cantore, il linguaggio delle passioni. Le scuole, ove si ammaestravano tanti giovani, che davano le più belle speranze, sparsero ovunque i veri e profondi principi dell’arte; ed i capi d’opera si moltiplicarono di giorno in giorno con incredibile rapidità. Il secolo XVIII fu dumpie quello cui giustamente può darsi il vanto d’aver portato al suo perfezionamento ogni genere di musica, ma sopra d’ogni altro quella del dramma, che però era grandemente da desiderare che un tal vanto fosse per conservarsi dalla nostra Italia senza macchia, e che qui stabilisse sua sede permanente, ove da tanti genj con tante fatiche era stato ambito e finalmente acquistato.
XXVI. Ma la perfezione è un punto, toccato il quale, è cosa difficilissima il fermarvisi per lungo tempo; nè si può batter la via del buon gusto senza salire o discendere . E chi ignora che nell’arti belle a’ secoli di perfezione sogliono ordinariamente succedere quei di decadimento? Non avvenne ciò forse nell’architettura? Si vide pur troppo che il gusto de’ modelli greci dovè cedere alle così dette gotiche irregolarità ! E nella poesia? Non è forse vero che il gusto delle attiche bellezze fu sacrificato a’ pomposi ornamenti asiatici (12)? Cosi pur troppo è accaduto, Signori miei riveritissimi, nella musica a’ di nostri! Il gusto della semplice, naturale e toccante melodìa italiana ha dovuto poco a poco cedere a quello de’ complicati e qualche volta barbari accordi dell’armonia oltramontana (13).
XXVII. Ecco pertanto prossima una musicale rivoluzione ! Tutto la predice, tutto l’annunzia. Sorge fra noi un’ardita foggia di scrivere, che sdegnando di comparire imitatrice, incomincia a scuotere il giogo e si allontana dal copiare la bella natura, che debb’esser mai sempre e ch’era stata fin a quel momento il modello di quella, ch’ora, quasi per ischerno , chiamasi l’antica scuola: profittasi con maleaugurata avvedutezza del gusto che cominciava a declinare pel vero bello ideale, ed affrettasi disgraziatamente Io sviluppo della musicale rivoluzione . Ecco in campo un nuovo metodo: sdegnasi il naturale, e vassi in traccia a tutta possa del ricercato; al semplice si sostituisce il complicato; si vuol sorprendere l’intelletto , e intanto si lascia in silenzio il cuore . Prendesi per archetipo l’immaginazione; non si conosce altra regola che quella (starei ‘per dire) di violarle tutte; nè altri limiti, che quelli della fantasia, e qualche volta sfrenata (14).
XXVIII. Ma questo genere di musica ha incontrato la sorte solita incontrarsi da tutti i novatori. La moltitudine sempre amante delle novità gli fa ciecamente applauso, le persone intelligenti, e che si piccano di buon gusto, lo condannano altamente (15). Qra io dimando: Qual de’ due credete Voi che debba essere il giudice competente di questa quistione? Una moltitudine di persone, che poco o nulla conoscono cosa sia musica, o pure un numero più ristretto di quelle che o sono consumate nell’arte, o ne hanno una sufficiente intelligenza, o fornite dalla natura di ottime disposizioni, sono in istato di discemerc in qualche maniera il vero bello dall’apparente? Confesso la verità: io arrossisco nel farvi una tal dimanda, valorosi Accademici. A Voi che, amantissimi della musica, per la maggior parte ne conoscete ancora i pregj, e ne gustate le bellezze . Pure, scrivendo io spezialmente per la gioventù studiosa, proseguo a dimandare. E delle produzioni delle arti sorelle Pittura, Scultura ed Architettura chi ne debbe giudicare la moltitudine o gl’intelligenti? Oh! sento che mi si risponde: E chi ardirebbe mai di promuovere cotesto dubbio senza provocare insieme le altrui risa? È certissimo presso tutti che ne debbono esser giudici que’ soli che conoscono a fondo quelle arti belle. E della musica, ch’è forse tra quelle la prima, sarà poi permesso a qualunque persona giudicarne senza intelligenza o con pochissima , credendo che possa a ciò bastare un orecchio, talvolta mal conformato? Ma e chi potria mai tenersi, se un si stravagante discorso far si volesse sul serio? E pure è cosi! Ognuno si fa lecito parlare e giudicar di musica. E ove trattisi, per esempio, di pittura si va con riguardo per non cader nel ridicolo: qualora poi ragionisi di musica, niuna considerazione può raffrenare la loquacità di chicchessia. Ma è forse più facile parlar giudiziosamente di quest’arte, che delle altre? Tutt’al contrario, se mal non m’appongo: mentre la musica non ha in natura un tipo cosi materiale, come l’hanno la pittura e la scultura in tutti gli oggetti visibili dell’universo: ond’è che rapporto a queste siamo in istato di giugnere più agevolmente a discernere il vero bello dal falso, e a non rimaner si facilmente ingannati; ma quanto al bello della prima, non avendone verun modello materiale, quant’è più facile che c’inganniamo nel discernimento del vero dall’apparente (16)?
XXIX. Nulladimeuo, se tutto andasse a finire in sole parole, ciò poco o nuli» monterebbe: il peggio si è che pretenderebbono costoro persuaderci bella e di buon gusto quella foggia di scrivere, cui danno tanta lode, sol perchè piace all’orecchio, non avvertendo o non volendo avvertire che, se nella musica avvi il piacer del senso, avvi quello ancora dell’intelletto. E tant’è vanno eglino ripetendo: questa musica piace? Dunque è bella . Ecco certamente un cattivo discorso. Piacciono ancora que’ sacri oratori che solleticano le orecchie di chi ascolta con fiorite, ma intempestive, descrizioni; con interpetrazioni di Scritture curiose si, ma sregolate o stravolte •, con ragioni più vivaci che sode, più vaghe che sussistenti . Piacciono ancora que’ pittori, che con un troppo vivo e forte colorito, che tanto impone agl’inesperti, tentano di ricoprire le inesattezze de’ loro disegni: piacciono per quell’energia d’espressione che danno alle figure, facendo risaltar di troppo i muscoli delle membra e dando loro un movimento alterato . Piacciono finalmente infiniti altri compositori d’ogni maniera per consimili fucate bellezze . Ma qual’è il giudizio degl’intendenti? Sentiamo per tutti il signor Blair, il quale nella seconda delle sue lezioni di rettorica e belle lettere (traduz. del p. Soave ediz. di Lucca) ha profondamente esaminala la materia di cui parliamo . Se nel riportarne le parole non sarò tanto breve, spero non resterete di ciò scontenti e per l’aggiustatezza delle medesime, e per la luce che spargeranno sopra la presente quistione .
XXX. „ 11 vero buon gusto, die’ egli, dee con„ siderarsi come una facoltà composta della sensibilità „ naturale pel bello, e dell’intelletto perfezionato. A „ ben comprenderlo, basta osservare che la maggior „ parte delle opere d’ingegno non sono fuorché imi„ lozioni della natura, o rappresentazioni de’ caratteri „ delle azioui e de’ costumi degli uomini . Ora il piacere Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/82 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/83 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/84 „ seconda un prodotto della cultura c dell’arte . „ Fin qui il famoso Blair.
XXXVI. Ora io la discorro così. Se è vero che ’I buon gusto debba considerarsi, secondo i pensamenti del riferito scrittore, come una facoltà composta della sensibilità naturale pel bello e dell’intelletto perfezionato: chi mai potrà persuadersi che questa moderna foggia di scrivere sia bella e batta la via del buon gusto, perchè molce le orecchie colle sue non poche melodiche ed armoniche grazie, quando le offende poi con altre melodie or dure or leziose ora stravaganti or capricciose? Quando le stanca con un giro eterno di modulazioni, e giugno a straziarle ancora con altre stranissime e barbariche? Quando le stordisce ed assorda con una quantità incredibile di musicali e bellici strumenti? Quando co’ suoni acutissimi de’ violini e degli ottavini ne trafigge le tempie ed il cervello? E perciò che riguarda il piacer dell’intelletto: come potrà mai dirsi che ’l buon gusto sia dalla sua banda, quando ciò che dessa può aver di bello d’ingegnoso di dotto vicn poi non di rado deturpato, non dirò solo dall’inosservanza, ma talora da un impudente disprezzo delle regole armoniche? Quand’è negligente nell’esprimere le varie passioni dell’animo; anzi quando abusa della poesia a segno d’esprimere talvolta l’opposto di ciò ch’ella dice? Quand’è mancante d’unità negli andamenti de’ suoi pezzi; quando unisce varj movimenti fra loro discrepanti; quando frammischia i modi; quando confonde lo stile (17)? XXXVII. Che dirò poi del barbaro modo di ’far sillabare il cantore ne’ passi di agilità? Che dell’uso di scrivere tutti gli abbellimenti del canto? E questi non sono poi sempre i medesimi? Si fa cantare il basso come il soprano, ed il tenore come ’l contralto: ma ognun di questi non debbe forse avere una maniera di cauto tutta sua propria? Oltredichè un uso tale disimpegna i cantori dal far quello studio che dovrebbono, per apprendere un modo di cantare adatto alla propria voce e consentaneo all’anima, vale a dire, al proprio intimo modo di sentire. E non è questo lo stesso che voler sostituire pessime copie ad ottimi originali (18)?
XXXVIII. Che aggiugnerò circa l’abuso poco a poco introdotto d’ometter del tutto il recitativo parlante ne’ melodrammi serj? Forse tutti i personaggi trovami dal principio alla fine in istato di veempnte passione, onde l’orchestra abbia ad esser sempre in azione per esprimerne la forza? E non è inoltre necessario che agli uditori si conceda di tratto in tratto respirare, onde raccogliere nuove forze, e così poter gustare sino al fine lo spettacolo, anzi che opprimerli a mezzo il corso (19)?
XXXIX. E dove lascio gli strumenti? Non è forse oggidì il suono de’ medesimi affatto snaturato? I violini o stanno quasi nell’inazione o rendono un suono pizzicato o stridono con suoni acutissimi; i contrabassi, vinta l’inerzia della loro mole, fanno volate su e giù al par de’ violini medesimi; i suoni picchettati degli strumenti da fiato si assomigliano al chiocciar delle galline; e la turba di tutti gli altri romorosi strumenti assorda le orecchie degli ascoltanti a guisa del fiotto d’un mare in burrasca (20).
XL. Dopo tutto questo toccato qui di volo, chiunque seguitasse a gridare: questa musica piace; dunque è bella: crederete voi che possa esser egli dalla parte della ragione? Non sono forse gli enumerati altrettanti difetti biasimevolissimi e nemici del piacere non dell’intelletto soltanto, ma in parte ancor dell’orecchio? Sono forse tali da non potersi discernere, che da’seli intelligenti dell’arte? Non li disapprova fors’anche e condanna chiunque ha squisitezza e correzion di gusto (21)?
XLI. Sarà tutto vero (sento che si replica) tutto sarà vero, e voi ben vel saprete: ma diteci una volta finalmente d’onde avvenga ch’ella ciò non ostante si generalmente piaccia? D’onde un tal prestigio? Dalla novità . La novità sempre piace, e massime quando alletta i sensi . È allora che vien sorpreso l’intelletto , onde non gli è si agevole di giudicar rettamente .
XLII. Ricca l’Italia con soprabbondanza di quella musica, cui natura somministrava sue bellezze, e l’arte co’ suoi tratti espressivi rendeale vie più leggiadre; incominciava già a disgustarsi, o almeno a provare un sempre minore allettamento per le tante e si variate grazie, che ogni giorno più le andavano versando in seno i più valenti scrittori . Simile a coloro che sazj ornai dal lungo gustare delle più delicate e squisite vivande; se altra loro se ne presenti che abbia soltanto fama di nuova, tosto con ingorda avidità se la divorano, non mai contenti di lodarla: sazia così la nostra Italia, e quasi nauseata dall’eccessiva abbondanza di tutte le musicali dolcezze, che pel giro del secolo trascorso avea gustato con tanto suo contentamento; al primo lampo di novità si è lasciata abbagliare, e voltale le spalle al vero bello, perchè usuale, si è data a correr dietro all’apparente, perchè presentatole sotto cert’aria di novità (22). Ed è questa, qualunque siasi, novità che la nostra gioventù, quasi tutta dementata dalla moderna musica , non rifinisce mai di magnificare, Ma e perchè? Perchè non cura od anche sdegna d’essere illuminata . Vada vada, e svolga la musica tedesca, di cui è piena l’Italia tutta . Ivi troverà il fonte dell’odierna tanto vantata modulazione, e sol per ignoranza creduta nuovissima: ma con questo rimarcabile divario, che, ove quella ne’ suoi primi novitosi attentati si mostra alquanto circospetta e moderata, questa, rotto ogni ritegno, passeggia baldanzosa e sfrenata. Ivi troverà gli antichi modelli di parecchie moderne melodie: anzi troverà ivi ora accennata, or chiaramente espressa quella cantilena, di cui la gioventù nostra è innamorata fino all’eccesso! cantilena tanto oggidì ripetuta , e che piace tanto anche a’ giovani scrittori ed organisti, che ne hanno riempiuto fino alla nausea il teatro ed il tempio (23). Dia quindi un’occhiata alle produzioni de’ nostri passati compositori, ed ivi troverà quanto d’ogni genere di bellezze siansi giovati i moderni: ma colla notabile differenza che, ove i primi hanno ricopiato il bello sopra il libro infallibile della natura, hanno i secondi, deviando dal retto sentiero, dato a gustare un bello apparente e nuovo soltanto, perchè figlio d’una fantasia senza leggi.
XLIII. Piace questa musica pel sontuoso abbigliamento col quale negli odierni teatri ci si presenta ornata. Cantori di primo ordine; orchestra numerosissima composta di strumenti d’ogni genere; esecuzione finissima; ricchissimo vestiario; scenarj maestrevolmente dipinti; quindi cori, comparse, bande militari, soldati Oh che potente fascino per i sensi! Intanto sopraffatto l’intelletto dall’orgasmo de’ medesimi, qual maraviglia se rimanga ingannato ne’ suoi giudizi?
XLIV. Nè state a dirmi che se questo è un inconveniente , egli è stato ancora per la musica de’ tempi andati: che io, in parte non negandovelo, risponderò che nel suo complesso egli non è mai giunto all’eccesso de’ tempi nostri: e voglio che ciò si debba intendere specialmente della numerosissima e romorosissima orchestra. Questa a mio credere è la sorgente principale, onde trae sue forze la seduzione. Tanti e sì diversi strumenti in tante e sì diverse fogge adoperati allettano commuovono trasportano l’uditore di maniera, che non gli è poi sì facile far- uso di sua riflessione. E vaglia la verità. Fate voi stessi cotesta prova . Spogliate una gran parte delle moderne composizioni di tanta superfluità d’ornamenti, onde sono non vestite, ma cariche; spogliatele di que’ tanti strumenti , che fra loro o colla parte cantante gareggiano a guisa di que’ che corrono il palio; spogliatele di que’ replicati battimenti d’una stessa nota, d’onde derivano cantilene, non solo leziose, ma pettecolesche, delle quali sono imbellettate; spogliatele del continuo mischiamento de’ modi maggiore e minore, con che si stravolta l’armonia e si vendono vetri per diamanti; spogliatele, per finirla, di quelle tante diminuzioni , che vi appongono gli scrittori, e delle altre molte , colle quali i cantori, con voce che mai non posa, le infiorano anche fuor di stagione: quindi tornate a dar loro un’occhiata, e vedrete con vostra sorpresa che, tolto quel fascino de’ sensi, ne giudicherete ben diversamente da quello che ve n’era in avanti panno (24).
XLV. Piace ancora si generalmente questo modo di scrivere, perchè poco generalmente si conosce la musica . La moltitudine contenta di sentirsi solleticar le orecchie, non ispinge più oltre le sue considerazioni . Ella vien mossa unicamente da un diletto qualunque , non già da un diletto ragionato, figlio della osservazione e della riflessione. Paga, anzi superba di poter dire che ogni uomo è dotato d’una sensibilità naturale per gustare il bello, non avverte poi quanto sieno differenti i gradi di questa sensibilità in ciascuno degli uomini: e molto meno vuol persuadersi che per lo discernimento del vero bello dal falso non le possa bastare la sola naturale sensibilità, ma che di più abbia ad aver bisogno d’usar del discorso, per non prender solenni abbagli. Di questa naturale sensibilità per gustare il bello „ in alcuni ne appar soltanto Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/91 sarà necessaria e cultura e studio e conoscenza e confronto delle migliori produzioni in quel genere appunto , di cui si vuol portar giudizio: cose tutte che appartengono al buon uso della ragione . Qual maraviglia dunque che si generalmente piaccia lo stile della moderna musica quando poco o nulla generalmente si conosce cosa sia musica, o se ne ha soltanto una leggiera tintura?
XLVI. Piace inoltre cotesta musica, come piace nella pittura una falsa e mal’intesa bellezza, che spesso inganna l’occhio degl’imperiti, nel veder tutti gli oggetti composti con colori vivacissimi, senza armonia senza degradazione di prospettiva aerea e senza aver riguardo al gruppo o figura protagonista del quadro sopra ’l qual punto deesi procurar che percuota il più spiritoso raggio di luce ed il più vago e sugoso colorito . Oh quanta della moderna musica, che tanto piace , è simile ad un tal quadro! E che altro sono in mano del musico tanti e si varj strumenti, co’ quali non sostiene no e adorna la melodia accompagnandola , ma o l’aggrava o la ricuopre ancora signoreggiandola , se non che que’ colori vivacissimi in mano del pittore? Melodia in musica e figura protagonista in pittura non sono forse uua cosa stessa? Siccome dunque una tale specie di pittura, più tosto che ad una composizione ragionata potrebbesi rassomigliare ad un bel mazzo di fiori; così certe produzioni musicali in vece di belle composizioni, ben intese, ben condotte, si possono chiamare mazzolini di fioretti, di diminuzioni alla moda, di coselline graziose. XLVII. Piace pur questa musica, come piace pure in pittura il dare a mostra ne’ nudi i muscoli tutti in fona ed in contrazione, nelle parti ancora e nelle azioni riposate, a solo oggetto di far pompa senza ragione della notomia, componendo ben anche per lo stesso fine le figure in azioni stravaganti scomposte e forzate . Tutte queste che per gl* intelligenti sono altrettante bellezze spurie, chi può mai dir quanto vadano a sangue all’inesperta moltitudine? Avvien cosi proporzionatamente dello stile di certa musica. Sdegna quell’aurea semplicità che tanto onora lo scrittore, e di cui tanto si compiace chi ascolta; affetta il sublime, e cade nel gonfio, nel gigantesco: e ciò non in qualche rara occasione, ma frequentemente e quasi per sistema: e con tale inorpellato artifizio impone a’ meno pratici, ammiratori costanti di quei che fanno mostra di passeggiare soprale cime degli alberi (26). Che dirò poi del lusso, non solo delle irregolari modulazioni, ma delle più capricciose ancora e stravaganti ? E ciò per lo più in azioni riposate, vale a dire, quando la poesia punto non le desidera, ma fatte solo per farne pompa presso la moltitudine, che ne stupisce. Ma oh! quanto male a proposito per la composizione, e con quanto discredito presso gl’intelligenti di quegli scrittori che ne fanno un si grande abuso (27)!
XLVIII. Piace eziandio questa musica per lo suo stile, spesso spesso saltellante, stile che sparge ovunque certo brio certa vivacità, con che s’eccita negli uditori facilmente l’allegria (28). Ed oh! che bella Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/94 confronto? Pure certi compositori che, non contenti di trascurar 1* espressione, fanno anzi delle parole de’ salmi e della liturgia un vero macello, piacciono quasi generalmente: e piacciono appunto perchè da’ più non badasi al sentimento della parola e vassi soltanto in cerca del diletico delle orecchie, procurato da questi inverecondi scrittori coll’avere introdotto nel tempio l’orchestra del teatro e le sue leziose e lascive cantilene (31).
L. Piacciono ancora certi moderni organisti, ma per una mancanza di riflessione di genere diverso dall’anzidetta: cioè, perchè da molti non vuoisi riflettere al luogo, al tempo in cui si suona da costoro, e all’inetta maniera, con cui si suona Infatti in tempo dell’augusto sacrifìcio, dando eglino di mano a certe militari sinfonie, sembra che col fragor delle trombe vogliano intimar guerra all* Altissimo; e dopo l’elevazione degli azimi sacrosanti con alcune altre suonate di stile totalmente profano trasportano la fantasia del popolo fedele dal sacro tempio, luogo d’orazione e di raccoglimento, alle dissipazioni e profani divertimenti del teatro . Frattanto l’uom religioso freme, l’intelligente ride, ed il superficiale applaudisce (32).
LI. Piace finalmente cotesta musica per la graziosità d’alcune cantilene; per la leggiadria d’alcune modulazioni; per l’amenità d’alcuni pensieri } pel continuo maneggio d’una infinità di strumenti: e piace in una parola, perchè fra molto gioglio trovasi mescolato del buon frumento .
LII. Ma sento che taluno qui mi ripiglia e dice: non è poi la sola moltitudine poco o nulla istruita, cui piaccia la foggia di scrivere d’oggidì: piace ancora a moltissime di quelle persone, che conoscono cosa sia musica, e sono della moderna appassionatissimi favoreggiatori. Esaminiamo imparzialmente il valore di questa replica.
LIII. Fra’ maestri d’età provetta che in buon numero hanno di corto onorato la nostra Italia, alcuni de’ quali vivono tuttavia, nè pur uno forse ne troverete , che ne sia amico: anzi quasi tutti ad una voce ne condannano le aberrazioni dalle buone regole; e si sono trovati ancora direttori di celebri scuole che l’hanno proibita a’ loro discepoli per qnella parte che riguarda l’insegnamento (33).
LIV. I nostri giovani compositori al contrario (io intendo escludere da questo numero tutti quei che hanno col loro senno schivata la seduzione) ne sono amicissimi, n’esaltano i pregi e ne promuovono a tutto potere la dilatazione . Piace e piace molto a costoro , ma non senza perchè. Questa maniera di scrivere gli disimpegna da uno studio regolare e profondo delle musicali teorie, giacché sono da loro quasi tutte violate; gli disimpegna dal fare acquisto di letterarie cognizioni, e massimamente di poesia, mentre il meno che da lor si curi è l’espressione della parola , gli disimpegua dallo svolgere indefessamente le opere de’ classici, ove troverebbono ricopiate le bellezze dalla natura, da che eglino le ricavano dalla loro esaltata fantasia; gli disimpegna in fine dal fare acquisto d’una esatta cognizione de’ tre notissimi stili della musica, da chiesa, cioè, da teatro e da camera, poiché, senza nè pure accorgersene, fanno essi di lutti c tre un cattivo miscuglio, che rendesi ridicolo come un abito fatto a scacchi di più colori. Anzi per un cotal miscuglio, mancando la debita distinzione degli stili, hanno sì fattamente impoverita la musica, che sembra non aver più la meschina che un solo stile, idealo da loro, ma ch’ella non riconosce per suo (34).
LV. Nè queste sole sono le ragioni, onde piace tanto a costoro la moderna musica. Avvene un’altra ch’è per loro della massima importanza, e che gli rende seguaci parzialissimi della medesima. Una facilità assai grande d’imitarne lo stile in paragone di quello de’ più celebri scrittori: ecco la prepotente ragione per cui lor tanto piace. Ma d’onde tanta facilità? Da quella banda appunto, ove la trova anche ’l pittore, cui riesce assai più agevole la copia d’un volto alterato da notabili difetti, che quello regolarissimo di bella ed avvenente donna . Unite voi dunque questa alle altre surriferite ragioni, c scorgerete quanto interesse abbiano i giovani de’ giorni nostri d’essere amanti della novella musica, mentre con sì poca spesa riesce loro cattarsi il nome di compositori .
LVI. Per consimili motivi piace ancora a certi organisti (salvi sempre i buoni) lo stile d’oggidì. Piaccion loro le marciate, le suonatine, i rondò, t balletti (che non debbonsi suonar nelle chiese, ma ne’ campi militari, nelle accademie, ne’ teatri) j nè vogliono sentir parola di stile fugalo o legalo (ch’è ’l proprio dell’organo, e conveniente alla casa di Dio). Ma sapete perché? Perchè gli disimpegna dallo studio spinoso dell’accompagnatura, cioè dire, dall’esatta cognizione degli accordi del modo, ossia scala, in tutti e tre i portamenti della mano, dal puntuale maneggio delle dissonanze c movimenti regolari del basso continuo; dall’indefesso esercizio sopra le fughe de’ più valenti scrittori; e, quel che più monta, gli disimpegna da un corso, almeno sufficiente, di contrappunto, senza del quale cos’è mai un organista? Eh! (mi si dice da costoro) le fughe sono rancidumi, nè possano soffrirsi dalle moderne delicate orecchie. Siate ornati (io rispondo) di tutto ciò che ho di sopra divisato, e sarete capaci di scegliere per le vostre fughe de’ soggetti cantabili, ameni, graziosi, giacché può fugarsi qualunque soggetto: e allora non solo darete piacere, ma vi farete ancora ammirare da chi ascolta. Nè con ciò pretendesi già che sia tenuto lontano affatto dalla chiesa qnel suono, che chiamasi sciolto: no: pretendesi soltanto, e con ragione, che sia un suono conveniente alla casa di Dio. Può convenire alla medesima, secondo i tempi che corrono, un suono ora allegro, or flebile, or passionato, or vivace: debb’egli però esser sempre temperato e adatto alle sacre funzioni; non già un suono nato fatto pel teatro, disdicevolissimo al sacro tempio. Ma, e come mai persuadere a colai scrittori ed organisti una via si lunga e faticosa, qual si è loro dimostrata fin qui, quando per una brevissima e piana giungono tutto giorno (per lo stravolgimento delle idee musicali de’ tempi nostri) al loro intento? Eccoli di nuovo col misero appannaggio di poche e cattive composizioncelle e suonatine, eccoli (e il ciel mi salvi da’ loro anatemi) con faccia imperterrita sulle orchestre a profanare la chiesa ed a far vergogna all’arte! Tanto è vero che le cose di sopra ragionate soverchiano l’intelletto de’ compositori e degli organisti plebei (35)!
LVII. E presso i dilettanti qual sorte ha ella incontrata cotesta musica? Sentite: se trattasi di veri dilettanti, vale a dire, di persone istruite nell’arte bella pe’ suoi principi, e che abbiano nella medesima fatto de’ progressi: metteteli pure nel numero de’ sunnominati vecchi professori, giacché essendo in istato di conoscerne, quasi al pari di loro, i difetti, forza è che ne portino ancora lo stesso giudizio. Se parlasi poi di que’ dilettanti, che soddisfattissimi di cantare un’arietta, un dilettino, o di eseguire sul gravicembalo suonatine e variazioncelle di moda, senza cognizione alcuna delle regole armoniche, anzi, come accade talora, con poca o niuna perizia del solfeggio: chiamate pur questi tali non dilettanti di musica , ma veri orecchianti, perchè contenti di quel piacere, qualunque siasi, che provano nel sentirsi dileticar le orecchie, altro di più non cercano, nè possono cercare, attesa la mancanza di quelle cognizioni, che rendonsi indispensabili a coloro, che pretendono gustare le vere bellezze della musica. Contate pur dunque tutti questi, contateli a piacer vostro nel numero degli amici del moderno stile: fate però avvertenza che lo stuolo grande di costoro e la turba anche maggiore di quei che odono volentieri cantare e suonare, senza intendersi punto nè di suono nè di canto, formano giusto quella grandissima moltitudine, poco o nulla istruita nella musica, cui piace al maggior segno l’odierna maniera di scrivere . D’una tal moltitudine vi ho parlato fin dal principio di questa discussione, ed ho recato in mezzo le varie ragioni per cui ho creduto che ne possa esser tanto amante: con che ho attenuta la mia parola ed ho pagato il debito con voi contralto .
LVIII. Ora venghiamo a noi: e, ricapitolando la materia, procuriamo di stringere poco a poco l'argomento. Se nella musica d’oggidì trovansi sparsi qua e là tanti e si varj difetti, negligenze, errori, quanti ve n’ho messi sott’occhio, parlando a lungo della melodia e dell’armonia nelle due antecedenti Dissertazioni; e quanti ne ho notati, percorrendoli quasi di volo nella presente: chi mai di buona fede s’ostinerà a dire che questa musica sia bella, che sia di buon gusto, che sia tale da far le delizie d’un orecchio raffinato e d’un intelletto perfezionato? Non sarà più consentaneo alla verità asserire ch’ella abbia per lo più bellezze fattizie, grazie non vere, ma apparenti, e stile, più che al buon gusto, prossimo al cattivo, alto solo a dar piacere alle persone d’orecchio meno delicato e d’intelletto meno istruito (36)?
LIX. Ma oh quante voci mai s’innalzeranno contro di me! voci di tanti e tanti, cui non andrà punto a genio questo mio discorso, anzi che ’l faranno bersaglio delle loro contraddizioni! A costoro però altro non resta, se vogliono oppormisi con giudizio, che due partili: o negar che le cose da me opposte alla moderna musica sieno vere, o dire che sono di poca o niuna importanza e considerazione. Ora, quanto loro sarà facile prendere o l’uno o l’altro partito, tanto poi riescirà difficile sostenerlo con onore: mentre trattandosi di musica ch’è nelle mani di tutti e di errori non ricercati, come chi va qua e là spigolando, ma moltiplicati, ma grandi, e talvolta madornali, qualunque persona, ch’abbia intelligenza dell’arte , potrà di leggieri far loro toccar con mano e la verità e l’importanza de’ medesimi .
LX. Stanti così le cose, qual presagio può farsi della musica d’oggidì? Certamente io non ardirei di per me dirne parola, Accademici rispettabilissimi. Ma istruito dalla storia mi fo coraggio di palesarvi il mio sentimento, e dirvi che ’l moderno stile andrà sempre di male in peggio. Sembravi forse troppo arrischiata questa mia asserzione? Ora, se mi riescisse dimostramela fondata sull’autorità di colei, ch’è la maestra della verità, potreste voi desiderar di più, onde prestar fede alle mie parole? Rinnovatemi dunque per poco l’attenzione.
LXI. Il buon gusto della lingua dell’aureo secolo d’Augusto quando comineiò a declinare? Non è egli forse vero che ciò segui al comparire di Seneca, Plinio, Tacito e d’altrettali? „ Chi dubita ch’eglino non si „ confidassero di migliorare là lingua e cacciar dall an,, tica possession sua di maestro Cicerone e quegli al„ trij prendendo siccome fecero, altre maniere, giro, Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/102 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/103 i nostri compositori! Sono aneli’ eglino ammirati da uua moltitudine, che non sa dubitare e ciecamente gli crede i restauratori, quando sono i corruttori del buon gusto della musica italiana. La cosa però degna d’esser maggiormente deplorata si è, che l’odierna gioventù, presso che tutta, si è data non solo ad imitarli , ma eziandio a ricopiarli servilmente, per le ragioni che di sopra v’ho esposte: ond’è che priva del genio de’ suoi esemplari ne copia bensì i difetti, ma non sa riprodurne le bellezze: e però, come vi dicea da principio, la musica andrà sempre di male in peggio.
LXIII. E quando mai vogliamo dunque sperare che possa aver fine 1* impero di questa riprensibil foggia di scrivere? Rammentatevi che questa musica fu da me notala nell’antecedente dissertazione col nome di rivoluzionaria per essersi ribellata dalle buone regole e per aver avuto incominciamento in tempo dell’ultima rivoluzione, quando le fantasie, riscaldate dalle massime di libertà e d’indipendenza politica, dettero impulso ancora alla rivoluzione delle idee musicali (43). Ora le rivoluzioni, come l’esperienza c’insegna, finché dura il fuoco eccitatore, proseguono la lor carriera, nè possono da ragion veruna esser calmale. Ed in vero un Chiabrera, un Redi, un Magalotti, un Filicaja, ed altri valenti scrittori, che nell’entusiasmo dell’età loro infelice presero a condannarne la strampalatissima maniera di prosare e poetare , ricondussero forse in un subito il gusto generalmente corrotto a quell’aurea semplicità del cinquecento, da cui crasi dipartito? Fecer sì che rimanessero immediatamente screditati il Marini, l’Achillini, il Preti, il Ciampoli e gli altri scrittori di somigliante farina? Certo che no . 11 tempo, la stanchezza e le conseguenze dannose accumulate in un lungo periodo , che sogliono essere il vero rimedio delle rivoluzioni , servirono di medicina ancora a’ malanni di quell’età . Così appunto è da sperarsi che possa esser curata la presente musicale rivoluzione. Il tempo di delirio pel moderno gusto passerà, com’è passato quello, in cui si anteponevano i romantici a’ classici scrittori: le orecchie degli spettatori si stancheranno al fine, rifuggendo da tanto bellico fracasso: e la sfrenatezza de’ giovani scrittori, che necessariamente debile andare ogui dì più crescendo, giugnerà una volta a disgustare, non che gl’indifferenti, gli stessi partigiani ancora che a lei furono un dì li più attaccati.
LXIV. Se non che in altra maniera potrebbesi ottenere il desiderato passaggio dal cattivo al buon gusto, senza aspettarlo dal tempo . Ma questo modo non è in nostro potere: vi vuole a tanto un dono della natura benevola . E qual saria questo dono? Uno di que’ genj straordinarj, di cui, quando a lei è piaciuto , ha fatto di tanto in tanto regalo alla nostra Italia. Imperciocché siccome bisogna confessare con ingenuità che taluni del moderno stile sono fomiti e di talenti e di gusto (quantunque debbasi pure aggiugnere per amor di verità che dell’uno e degli altri hanno fatto un abuso riprovabilissimo): così questo novello genio, figlio prediletto d’una madre savia e di gusto squisitissimo, tosto clic comparisse, saria egli solo capace d’opporsi a costoro con felice successo , mercè che da lui si contrapporrebbero talenti a talenti, gusto a gusto. Che se una musica, cui non mnncan bellezze, ma che l’ha rimescolale con tanti e sì varj difetti, quanti ne abbiam considerati, ha potato adescar tanto di mondo; con quanta maggior t facilità vogliatn dir che ’l guadagnerebbe una musica figlia del buon gusto, de’ talenti, e scevra di più da quelle imperfezioni sì giustamente rimproverate alla moderna?
LXV. Rideranno certamente della espettazione del novello genio, correttore del cattivo gusto, tutti coloro , cui una interessata premura di piacere alla moltitudine sta a cuore più di qualunque altro riguardo: sappiano però che,, le massime, e lo scopo d’un’ „ arte, immutabili nell’essenza loro, non sono mai „ violate impunemente . E se talvolta i presenti, pa„ ghi d’una dilettanza passeggierà e ingrandita vie ,, più da quella disposizione al delirio, la quale si „ manifesta quasi sempre in certe età o circostanze, „ soglioti giudicare superficialmente, i posteri giudican „ poi con quella sicurezza che deriva dall’esser estra„ nj ad ogni passione e dallo stabilir la sentenza sul „ fondamento e l’evidenza degli effetti (44) . „ Si sosterranno forse per qualche tempo le opere di certuni , perchè in mezzo a Unti difetti ci presentano ancora delle spontanee bellezze: ma le produzioni dell immensa turba de’ giovani loro imitatori debbono cadere, e ben presto, non essendo altro che copie Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/107
LXVII. E qui io do fine al mio lungo ragionare. Mi protesto però che scevro da ogni passione e mosso da solo amor di verità, ho detto liberamente tutto ciò ch’io sento circa la moderna musica, prendendo di mira le cose, non le persone, alle quali a proporzion del merito professo stima e rispetto.
LXVIII. Del resto, quantunque sia stato sempre d’avviso che nell’imprendere a trattar di musica nel dì d’oggi avrei sparso le parole al vento, che poco o niun profitto trarrebbero dal mio dire i coltivatori della medesima, essendone le idee tuttavia in rivoluzione; anzi che tutti i miei pensamenti sarebbero stati presi di mira e ben ben vagliati: nondimeno per i motivi che son per addurvi non volli per soverchia timidezza ritrarmi dal concepito disegno. Primieramente: per impedire a questa musica il vantaggio, dirò così, della prescrizione, protestando contro di lei e mettendone sott’occhio i difetti. In secondo luogo: perchè, quantunque sia disgraziatamente vero che i giovani de’ giorni nostri possano per la maggior parte chiamarsi ligj del suo stile; pure ebbi speranza che non in tutti fosse corrotto il vero gusto italiano, e che almen da qualcuno sariasi ricavato vantaggio da quanto qua e là avrei sparso di lume sulla materia in quistione, e specialmente da quei cui fosse ignoto l’autore, mentre ne avrebbon così esaminate senza preoccupazione e bilanciate le ragioni. In terzo luogo: perchè bramava adoperarmi per quanto avessi potuto, onde si ricredessero, o almeno si vergognassero, se fosse possibile, tanti e tanti che disonorano co’ loro capricci quest’arte bella, e massime coloro che profanano si bruttamente la casa santa di Dio. Per ultimo: perchè quei che verranno dopo di noi potessero conoscere, leggendo questi scritti (se sopravviveranno all’autore), che nel secolo decimonono, in cui ha trionfato il musicale libertinaggio, si è trovato chi zelo il decoro dell’arte e del tempio. Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/110 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/111 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/112 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/113 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/114 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/115 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/116 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/117 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/118 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/119 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/120 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/121 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/122 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/123 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/124 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/125 Pagina:Santucci Sulla melodia Lucca 1828.djvu/126
Note
- ↑ Bologna 1754.
- ↑ Nuova teoria di Musica ec. Parma 1812.
- ↑ Dimostrazioni armoniche. Venezia 1589.
- ↑ Il Musico Testore. Venezia 1706.
- ↑ Trattato della Musica, secondo la vera scienza dell'armonia. Padova 1714.
- ↑ Saggio fondamentale pratico di contrappunto sopra il canto fermo. Parte I. Saggio fondamentale pratico di contrappunto fugato. Parte II. Bologna per Lelio della Volpe.
- ↑ Saggio delle leggi del contrappunto.
- ↑ Nouveau System de musiq. theor.
- ↑ Salita al Parnaso: Trattato del contrappunto.
- ↑ L’origine, e le regole della musica. Roma 1774.
- ↑ Dissertazione, e Dizionario. Ginevra 1758.
- ↑ Dizionario Enciclopedico: articolo Melodia
- ↑ «Consiste la cantilena (ossia la melodia) in quella successione e concatenazione di passi, i quali derivando dal primo (che saggiamente gl’italiani chiamano motivo, in dicando con ciò, ch’esso dà moto e direzione a tutti gli altri) si legano, si avvicendano, si convengono per l’indole c earattere loro, e varj essendo in sè, conservano nondimeno fra di loro una cotale analogia, per cui anziché urtarsi, nuocersi e contraddirsi, si sostengono, si rinforzano mutuamente, e producono quel tutto che è l’unità voluta in ogni genere di belle composizioni, e senza della quale non v’è che disordine, e quindi tedio e molestia. Di comune consenso l’aver trovato la bella cantilena è un de’ più illustri sforzi che abbia fatto l’ingegno italiano, sostenuto dalla natura estremamente armonica di quella nazione. La base, per così dire, di una tal cantilena sta nella felice disposizione de’ tuoni. Nel modo diatonico, nel quale i tuoni sono sempre analoghi o semianaloghi, la cantilena riesce facile, ma suoli le dare nel triviale e comune; scoglio che il genio solo sa evitare. Trovare una cantilena che sia insieme chiara facile vaga e non troppo sentita, che abbia del ragionevole e del nuovo è il prodigio dell’ingegno, e ben pochi sono i Taumaturghi che giungano ad operarlo». Giuseppe Carpani nelle dotte lettere sulla vita e le opere d’Haydn, pag. 33, e 34, Milano presso Candido Buccinelli 1812. E alla pagina 128 egli di nuovo così si esprime: «La melodia consiste nel canto. Un bel canto è la Venere della musica, ma altresì è la più difficile cosa ad ottenersi. Non vi vuole che studio e fatica per trovar degli accordi; ma inventare una cantilena nuova è impresa del genio, renderla bella è opera del gusto. Una bella cantilena non ha d’uopo d’ornamenti, nè d’accessorj per figurare. Volete vedere se una cantilena è buona? Spogliatela d’accompagnamenti. Se resta ancor bella, la causa è vinta per lei. Che anzi delle belle cantilene si potrebbe dire ciò che Aristenete diceva d’una sua bella: Induitur, formosa est; exuitur, ipsa forma est.» Allor ch’io vidi per la prima volta le suddette lettere aveva già compito questo piccolo mio lavoro. Mi compiaccio di aver pensato come il sig. Carpani, che tanto si mostra sensato in ciascuna delle medesimo. Tutto ciò dunque che in questa e nelle seguenti noie io riporto, lo fo in conferma di ciò che avea già scritto.
- ↑ A parlar giusto, gli effetti mirabili della musica de’ Greci non debbonsi ripetere dalla sola squisitezza delle loro melodie (quantunque vi avessero esse il più potente influsso), ma da alcune altre cose ancora insieme riunite. E primieramente dalla poesia. Non può credersi la maestà la dolcezza la forza che essa ritraeva da’ suoi versi, composti di molti e varj piedi, la diversa indole de' quali era attissima ad eccitare, o ad esprimere diversi affetti. «Il pirrichio e il tribrachio (così il P. Maestro Martini) sembrano atti nati per esprimere i moti leggieri e volubili; lo spondeo e il molosso i moti gravi e tardi; il trocheo, e qualche volta l'amfibraco i moti delicati e teneri; lo jambo, e l’anapesto i moti veementi guerrieri e iracondi; il dattilo risveglia moti ilari e giocondi, come di coloro che per l’allegrezza tripudiano. L’antispasto i moti duri e resistenti. L’anapesto e il peone quarta hanno grande possanza per incitare il furore e la pazzia. In somma non v’ha piede, o semplice siasi o composto, che non abbia la sua peculiare attività e forza di eccitare nell’animo un qualche effetto. Siccome però la natura, come saggiamente riflette M. Fontenelle, ama le cose semplici, ma varie, perciò usarono i Greci di mescolare con avvedutezza i piedi di una sorta con i piedi di un’altra, sempre però in questo diligentemente industriosi, che avessero i piedi fra loro qual che analogia, e che all’importanza delle parole corripondessero.» Martini: Storia della musica, T. 3, pag. 429. Aggiungasi a tutto questo la scrupolosa esattezza adoperata da loro per fino nella scelta delle lettere, delle sillabe e delle parole, che servir dovevano alla poesia, e poi non potremo non restar Convinti della viva energia della medesima (a). Op. cit. T. 3, pag. 430 e 432. Ciò che in secondo luogo contribuiva a produrre quegli effetti meravigliosi, di cui parliamo, si era la esecusione della musica sopra una tal poesia. «Noi crediamo (prosegue il suddetto P. Martini) che la maggior parte degli effetti, che produce la musica de’ nostri tempi tanto nel canto, che negli strumenti, o da corda o da fiato, dipenda dalla esecuzione. Una istessa cantilena cantata da diversi cantori, spesso vediamo che produce diversi effetti. Il modo di esporre la voce rendendola più soave, sostenuta, distesa ugualmente, e d’un’istessa forza dal principio sino al fine; il passaggio da una nota all’altra con delicatezza, il rinforzarla a poco a poco, e quasi insensibilmente diminuirla, se questi sono quegli artifizj, che distinguono sopra degli altri i più celebri e rari cantanti de’ nostri tempi» (non già de’ presenti, da chè molti de’ nostri cantori suonano e non cantano, e libito fan licito in lor legge (b)) abbiam luogo a persuaderci, che i cantori greci tanto inclinati alla perfezione ed esattezza, non fossero nel praticare cotali artifici nè inferiori, nè uguali, ma anzi fossero superiori a’ nostri cantanti.» Op. cit. pag. 436 e 437. «Se a noi fosse dato di sentire come ed in qual modo cantavano i Greci i loro inni ed altre poesie, non stenteremmo giù ad accordare al loro canto una verace perfezione ed una nobile efficacia per muovere gli affetti negli ascoltanti.... Le gare di musica, che in pubblico erano soliti di praticare i Greci professori di musica, sono una prova molto concludente, e che deve dimostrarci quale studio facessero per divenire eccellenti nella loro arte. Il pubblico e’ giudici non davano il premio se non se a quelli che si erano resi superiori e più perfetti degli altri competitori, onde ognuno si studiava di giungere al sommo della perfezione.» Op. cit. pag. 438. La materia poi di questa esecuzione sì fina era quella perfettissima melodia, che forma di presente l’oggetto delle nostre indagini. E per conseguirla adoperavano i greci compositori ogni possibile diligenza. Incominciavano pertanto dalla scelta de’ tuoni (o modi) in cui volevano comporre le loro melodie, e quelli trasceglievano fra gli altri, che giudicavano i più atti ad eccitar quegli affetti, che si eran proposti eccitare. Tre erano questi tuoni: Dorico, Eolio, a Jastio; cui si aggiunsero in seguito il Frigio, e 'l Lidio, e così venne a formarsi la nota serie de’ cinque tuoni de’ Greci. Ad ognuno poi di questi, ch’erano i principali furono assegnati due tuoni collaterali, l’uno verso il grave, l’altro verso l’acuto, e’ l numero si aumentò fino a quindici. Quello però che 4 qui da considerarsi pel nostro scopo si è che ognuno de' sopraddetti cinque tuoni principali aveva la sua propria e particolare armonia. La Dorica, per esempio, era grave e magnifica, l’Eolia superba e gonfia ec.; ed avendo tutte queste armonie (oltre la respettiva loro acutezza e gravità) una coerenza grande colla natura e co' costumi (c) di quelle nazioni, dalle quali ciascuna di loro aveva tratto il nome, ne risultava da ciò il grande effetto che ciascuna particolare armonia da qualsivoglia altra perfettamente si distingueva. Ecco la prima ricca miniera d'onde i greci compositori traevano le loro belle melodie. Op. cit. pag. 433 e seg. Ma non meno ricca era quella de’ loro tre celebri generi di musica, cioè Diatonico, Cromatico, ed Enarmonico. Il primo così detto, perché progrediva principalmente per tuoni, il secondo per semituoni, il terzo per quarti di tuono , ed era chiamato il genere de’ peritissimi cantori per la difficoltà di dover dividere il semituono in due intervalli detti Diesis enarmonici. Op. cit. pag. 436. Ora dal distinto maneggio di questi tre generi di musica dal frammischi amento che facevasi de’ medesimi da quei bravissimi compositori, qual serie di melodie d’ogni maniera possiam noi credere che ne risultassero? Oper. cit. T. 2, Dissert. 2, pag. 257 e 258. E quanta maggiore energia non dovevano elleno acquistare tali melodie, oltre la propria, avendo per fondo una poesia di tanta perfezione, ed essendo eseguite colla più fina ed animata espressione? Quanto per conseguenza dovevano elleno essere adatte a produrre que’ prodigiosi effetti, che da’ molti testimoni sopra ogni eccezione ci si raccontano? Anzi dagli effetti maravigliosi, che ci si attestano cagionati da tali melodie, dobbiamo noi argomentare (e l’argomento, preso il tutto insieme, sembrami di grandissima forza) ch’elleno fossero realmente squisite e perfette. Aggiungasi finalmente che i Greci non avevano l’armonia simultanea, ossia l’armonia propriamente delta, vale a dire, non conoscevano ciò che noi chiamiamo adesso contrappunto (d): ma avevano quella sola, che risulta dall’ottava (detta equisona) e dalle sue replicate. La prima era prodotta dalla voce delle donne o de’ giovanetti che cantavano insiem cogli uomini, la seconda dal suono de' moltiplici loro strumenti. Ecco come si aprirne il Keplero: Et si vox Harmonia veteribus usurpetur pro ipso cantu; non est tamen intelligenda sub hoc nomine, modulatio per plures voces harmonice consonante (e). Oper. cit. T. p. Dissertazione 2, pag. 175. Non avendo dunque i Greci conosciuta l’armonia strettamente presa, ed essendo stati privi di questo grandissimo soccorso dell’arte, bisogna a forza confessare che le loro melodie fossero realmente squisitissime, producendo con queste sole i tanto attestati maravigliosi effetti. (a) «Io non dubito punto di asserire che la musica de’ Greci operava que’ meravigliosi e quasi incredibili portenti, principalmente perché ella era una lingua cantata. Mi spiego: la musica loro non faceva che distinguerà, marcan meglio il tempo sillabico, le inflessioni connaturali e proprie della lingua loro, tanto più perfetta e musicale della moderna, perché lingua d’una nazione sensibilissima, e lingua ritmica che aveva il vantaggio di esprimere con più verità delle nostre tutte le tinte e le modificazioni del sentimento. Rese colla musica più evidenti la melodia e l’indole primitiva di questa lingua, ed essendo essa colla distinzione più espressa de’ tuoni ridotta a canto, e canto sempre analogo alla passione che il poeta aveva inteso di eccitare, doveva essa molcere gli orecchi e scuotere allo stesso tempo gli animi al sommo grado. Se per l'uomo v’è musica, questa è la musica della natura: quando, cioè, sono una sola cosa la lingua e la musica, il maestro e il poeta. In tale stato trovavansi i Greci, mentre noi siamo per lo più occupati diversamente dal poeta e dal maestro, e perciò condannati a sentire la stessa idea espressa per lo più in due diverse lingue nello stesso tempo. Cosi è: la musica greca era figlia non solo ma schiava della lingua: la nostra ne è la tiranna e la matrigna. È poi tanto vero che la lingua è la base e la madre del canto, che il Rinuccini risuscitò dietro questa teoria il recitativo de’ Greci, e Lulli prima di porre in musica i versi se li faceva declamare dal Chammele, come narra il Batteux, e notava que’ suoni e quelle inflessioni dell’attore, che poi rendeva cantabili coll’ajuto dell’arte.» Giuseppe Carpani: op. cit. p. 195 e 196. (b) Fino da’ tempi suoi diceva il celebre Metastasio che i cantanti facevano delle suonatine di gola, imitando, con solennissima inversione del gusto, gli strumenti e gareggiando con loro nella difficoltà e stranezza de’ passaggi. Or cosa direbbe egli mai de’ cantori de’ tempi nostri? Giuseppe Carpani: op. cit. pag. 7. (c) Harmoniam certe animi vel affectus, vel marea oportet indicare. Athenaeus lib. 14. (d) Martini: Stor. della musica T. p. pag. 333. (e) «La forza prodigiosa della cantilena (Carpani: lettere sulla vita e le opere d’Haydn) è tanto sicura che in essa sola consisteva la musica de’ Greci, di cui sappiamo l’effetto su quella nazione sensibilissima, dotata d’organi eccellenti, e madre del buon gusto in ogni genere di geniali produzioni. Essi non avevano nè armonia nè idea di contrappunto per quasi generale consenso de’ dotti, abbenché non avessero potuto far di meno di non sentire che anche i ranocchi gracitando formano degli accordi. Ma l'armonia, come noi l’intendiamo, non entrava punto nel loro sistema di musica, e quindi non se ne servivano mai. La melodìa, l'unisono, gli antifoni, cioè le ottave, formavano tutto il loro corredo musicale. Una musica tanto semplice, e che alcuni pretendono esser la musica della natura, beava quella nazione così difficile ad appagarsi del men bello, ed avvezza a’ versi d’Anacreonte, d'Euripide, d’Omero, d’Alceo, non che ai quadri di Zeusi, e d’Apelle, alle sculture di Pressitele, di Fidia, e di Gisippo: la nazione in somma che inventò il bello ideale.» p. 32.
- ↑ «A chi non è noto (dice il soprannominato Giuseppe Carpani) che la cantilena, ossia la melodia è l’anima della musica? In lei consiste la vita, lo spirito, l’essenza del componimento. Questo egli (cioè Haydn) m’andava ripetendo spesso: Poni una bella cantilena, ogni composizione è bella, e sicuramente piace, senza di essa e Salinas e Durante e Martini e Bach possono trovare i più rari ed eruditi accordi, ma voi non sentite che un erudito rumore, il quale, se non dispiace all’oreochio, vuota vi lascia la mente, e freddo il cuore. pag. 31.» «La cantilena i alla musica ciò che alla pittura è il disegno. — Un buon contorno, diceva Annibale Caracci, poi una meta nel mezzo, e avete fatto un bel quadro.» «Dove non v'è cantilena non v’è pensiere, uniti, interesse, discorso.» — pag. 32.
- ↑ «Graziosissimo a questo proposito è il motto di Fonteuelle: Suonata che vuoi tu da me? Ma così non avrebbe già egli detto di quelle dello incomparabile Tartini, dove, trovasi somma varietà congiunta con la uniti la più perfetta. Prima di mettersi a scrivere era solito leggere una qualche composizione del Petrarca, con cui per la finezza simpatizzava di molto; e ciò per avere dinanzi una data cosa a dipingere con le varie modificazioni che l’accompagnano, e non perder mal d’occhio il motivo o il soggetto». Algarotti: saggio sopra l'opera in musica, pag. 346. Ma qui non si vuol già dire che sia di necessiti, perché una composizione strumentale possa chiamarsi buona, che giunga ad esprimere perfettamente una determinata cosa, e che ne presenti alla mente, quasi dissi, l’immagine. Ottima cosa per verità sarebbe questa, ma di difficilissima riuscita. Quelle stesse composizioni che portano descritta in fronte una qualche epigrafe, la battaglia, per cagion d’esempio, la tempesta, la primavera ec., raro è che perfettamente esprimano tali cose, e senza aver prima letto il frontespizio delle medesime poco al certo si capirebbe di ciò che pretese esprimere il compositore . Si vuol dire soltanto che anche le composizioni strumentali, presa io genere, perché possano dirsi buone, non debbono esser mancanti di una qualunque siasi espressione, nè deggiono essere un suono vuoto di senso, com’è quello delle campane.
- ↑ «Inceptii gravilus plerumque, et magna professis/Purpureus, late qui splendeat unus, et alter/Assuitur pannusi, cum lucus, et ara Dianae,/Et properantis aquae per amoenos ambitus agros,/Aut fiume n Rhenum, aut pluvius describitur arcus. Taluno ordisce opre sublimi, e spesso/Per vana pompa alla sua tela appunta/Di porpora un ritaglio: il bosco e l’ara/Descrivendo or di Cinzia: or la piovosa/Iride, e ’l Reno: or per campagne amene/Il serpeggiar di frettoloso rio. In somigliante fallo si può cadere in tutto il corso di un’opera, e non ne’ soli principj; onde io non credo, come molti degli espositori han creduto, che a’ principj soli abbia voluto Orario restringere questo suo insegnamento, ma che, intendendo per la parola inceptis non principj, ma imprese, tutto abbia voluto abbracciare il poema . Inceptum si trova frequentemente usato da Sallustio in senso d’impresa. Juventus pleraque, sed maxime Nobilium Catilinae inceptis favebat. De bello Catil. Sic incepto tuo occultalo pergit ad fiumen Tanam.» De bello Jug. Metastasio: Note alla Poetica di Orario v. 14.
- ↑ Metastasio: Estratto della Poetica di Aristotile Cap. 5. Poetica di Orazio v. 23.
- ↑ Poet. di Oraz. v. 309. Melast. Estrat. della Poet. di A ristot. Cap. 5.
- ↑ Per non deviare il discorso dalla materia che di mano in mano andava trattando in queste Dissertazioni, non ho potuto inserire nelle medesime molte cose d’altronde coufacevoli col mio scopo, e di giovamento per la gioventù, cui spezialmente ho consacrata questa operetta . Però standomi a cuore i importanza delle medesime, voglio mettervi innanzi agli occhi, mescolate colle Note, varie riflessioni che serviranno ad illustrar la materia, ed a convalidarne le prove. Pregovi a non tralasciarne la lettura, da che spero abbia da riescirvi vantaggiosa.
- ↑ Martini: Stor. della musica T. p. pag. 333