Cenni biografici e ritratti d'insigni donne bolognesi

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Carolina Bonafede

Indice:Bonafede - Cenni biografici e ritratti d'insigni donne bolognesi.pdf Cenni biografici e ritratti d'insigni donne bolognesi Intestazione 28 maggio 2023 25% Da definire


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CENNI BIOGRAFICI E RITRATTI

D’INSIGNI

DONNE BOLOGNESI

RACCOLTI

DAGLI STORICI PIÙ ACCREDITATI

Dalla Signora

CAROLINA BONAFEDE

Bologna 1845. Tipografia Sofri nelle Spaderie.

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ALLE GENTILI GIOVINETTE BOLOGNESI


A voi leggiadro ornamento della patria; a voi nel cui avvenire si compiranno tante belle speranze, offro qualunque siası questo lavoro. Da vostri storici ho tratte le notizie di alcune illustri bolognesi, che per diverse guise si distinsero nella loro carriera. Ve le presento com'esemplare, imitatele. Nessun’altra città come la vostra vantò mai, io credo, novero si esteso di Donne predilette alle muse, di pittrici, di scultrici, di musiciste, di tali che si fregiarono di gloria in quelle severe discipline che sembrano esclusivo retaggio degli uomini. Non le manco’ del nostro sesso chi nelle armi, e chi puranco nella politica si distinguesse; per tacere di quelle tante che per insigne pietà, e per singolare assennatezza nel regime della [p. 8 modifica]famiglia si meritarono un nome nelle patrie pagine. Ora seguite voi lo esempio delle nostre antenale, a seconda che vi detta l’inclinazione, o vi trascina il genio. Lo dovete e per gratitudine a quelle che guadagnarono la fama onde onoransi le donne bolognesi, ovunque il vero merito si pregia, e perché il cielo vi concede squisito ingegno.

Spiacemi di non poter offrirvi il mio dono sotto forme più appariscenti; perché lo stile col quale esposi le cose operate da quelle chiare femmine non sia quale all’encomio di tante virtù si conviene; ma ciò vuolsi attribuire, oltre alla pochezza de' miei talenti, alla natura de' tempi trascorsi; l’educazione delle fanciulle, che di molto manca pure al dì d'oggi, per lo addietro era ancor [p. 9 modifica]più imperfetta: il vero bello lo gustai troppo tardi. E potessi pure retrocedere che con ordine assai migliore comincerei; ond’io congiungo a questa mia offerta un amichevole consiglio: qualunque sia la gentile disciplina a cui volete in formare lo spirito vostro, attenetevi ai classici, o letterati, od artisti’; il mezzano spesso quasta. Però se voi porrete l’ingegno alla nobile favella e agli alti pensieri, che nelle mirabili opere loro ci lasciarono que sommi uomini, oltre all’esprimere con forza, verità, lucidezza e grazia i vostri pensieri, le menti vostre s’innalzeranno, si perfezioneranno i vostri cuori: ne sventura varrà ad invilirvi, ne inorgoglirete all'evento felice. In tal guisa fatte degne Italiane, al fratello che il cielo vi [p. 10 modifica]avesse dato, allo sposo che vi concedesse, al figliuolo che vi affidasse, quella dolce possanza donatavi dalla provvida natura, sarete ad egli di sprone per correre al riscatto della patria, di stimolo a rispettare le leggi che fra l’uman consorzio mantengon l’ordine, e d’incitamento per onorare le virtù che l’uomo sublima. Allora, Italia nostra, già grande per le arti e per le scienze, formidabile pel coraggio, e rispettabile per la pietà de suoi figli: per le sue donne fatta esemplare avrà l’ammirazione dell’universo, la benedizione del cielo. Vivete felici. [p. 12 modifica]



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BITISIA GOZZADINI

Le donne antiche hanno mirabil cose
Fatto nell'arme e nelle sacre Muse ;
E di lor opre belle e gloriose
Gran lume in tutto il mondo si diffuse.
Arpalice e Camilla son famose
Perchè in battaglia erano esperte ed use :
Saffo e Corinna , perchè furon dotte ,
Splendono illustri , e mai non veggon notte.


ARIOSTO.


Lode alla Provvidenza! che per le bisogne che danno vita e moto alla società , tanto fra esse svariate quanto egualmente interessanti, sì saggiamente distribuì i doveri a seconda del vigore e del sentire dell'uno e l'altro sesso: assegnando al robusto e forte le sorti della patria, le gravi cure, lo investigare delle profonde scienze, e il commercio; mentre alla sensibilità dell'altro commise lo coltivarsi il cuore del consorte, acciò temperandone all'uopo lo ardore non degenerasse in fierezza; e spiegando quell'amore, di cui questo formasi un culto, da cui ha vita, alle generose azioni il primo incoraggiasse. Lode alla Provvidenza! di quanto all'amorevole dolcezza del secondo [p. 14 modifica]affidò ben formare il cuore e la mente della loro prole, affinchè onorino la religione, la virtù, il sovrano, la patria. Lode infine alla Provvidenza! che quella ritiratezza consigliatale dal pudore e richiesta dalla delicata lor fibbra volle utile alla pace e regola della famiglia, onde il capo sendo pago di essa e amandola, sia migliore uomo, miglior guerriero, miglior suddito.

Che fatta con incarichi tanto sacri cooperatrice la donna di ogni bene sociale, riesce pel uomo quell'essere interessante ch'egli deliziasi avere a compagna ; di cotale importanza riconoscendo il di lei ufficio per il vantaggio comune, che, quasi temendo da esso si scosti, ben raramente la consiglia corredarsi di estese cognizioni. Pure, onde talvolta mostrarle quanto si riprometta dallo ingegno compartitole da natura, tratto tratto alcuna di esse impegna seguirlo negli ardui studi, nei quali a onorevole meta scorgendola, spoglio allora dell'universale egoismo, che purtroppo rende l'uomo all'uomo d'inciampo in ogni avanzamento, in ogni bene, spontaneo egli cinge a questa il capo del poetico alloro, e cuopre gli omeri della toga dottorale.

Diffatti immenso si è il novero delle saggie spose, delle indefesse madri che da ogni storia sacra e profana, colme di lodi vengono tramandate alla posterità; perchè fino dalla culla furono a ciò destinate. Moltissime in ogni età, in ogni terra sorsero Sovrane onor del proprio, stupor dell'altro sesso, dando stabile ingrandimento ai lori regni, recando a questi come saggie legislatrici utile, decoro e pace; perchè o la culla, o il talamo dandole diritto al Trono ebbero insegnamenti per degnamente occuparlo. Varie furono le seguaci dell'emula di Pindaro, perché i primi slanci dell'estro poetico, non abbisognano di pellegrine e [p. 15 modifica]profonde erudizioni. Non poche si dettero con molto successo alle arti d’Apelle e di Fidia, come Sofonisba, Tentoretta, Lavinia, Elisabetta Sirani, e Properzia de’ Rossi. Poche fiate però videsi rinovellato il valore di Pentasilea, e Baodicea perchè quasi mai sono alle armi addestrate le giovanette: e del pari raramente le storiche pagine fanno menzione di dotte e di scienziate insigni; perchè abbisognando anco gl’ingegni più felici di darsi a profondi studi per degnamente conseguire una laurea, e venendo in ciascun tempo, e ciascun luogo da ciò allontanate le donzelle, per non disamorarle da quanto deve renderie degne madri di famiglia; ben poche furono e sono alle scienze prescielte. La sorte però volle accordare tal vanto a Bitisia Gozzadini della quale imprendo raccorne ie memorie.

Nacque questa illustre Donna in Bologna nell’anno 1209 da Amadori Gozzadini e Adelasia de’ Pegolotti. Questa stirpe vantava già la più antica e splendida nobiltà, resa più famosa nel quattordicesimo secolo da quel Nanne che ogni Bolognese conosce e ammira: e mantenuta nello antico splendore dalle virtù, che, quasi in essa avessero sede, successivamente si comunicarono a’ suoi discendenti.

Bitisia manifestò sino dagl’infantili suoi anni perspicacia somma, e immenso amore per lo studio; ciò che le rese intollerabile ogni occupazione femminile, a cui volevano applicarla nella scuola ov’era affidata: e scorgendo ella quanto, anzichè sagace, possano rendere vana la donna le instruzioni troppo superficiali con che ivi lo spirito delle condiscepole sue inorpellavano, volle ingemmare il proprio di quelle cognizioni che ai sani raziocinj lo portano. Per cui volgendo in sua mente non comune intrapresa si fe’ concedere da’ genitori suoi d’applicarsi interamente alle scienze, e disegnando ergere alta mole, divisò premunirla [p. 16 modifica] di sode fondamenta, forti procacciandosele coll'approfondire nella lingua latina, non meno che nella greca, onde cercarvi quei lumi che i dotti traggono da quest'idiomi.

Allora imitando le greche Donzelle, Assiotea e Lastemia, che per penetrare nell'ombrosa accademia ad intendere le lezioni di Platone, di cui si erano fatte discepole, vestirono virili spoglie, Ella del pari, eletti a suoi maestri i più accreditati filosofi di quel tempo, a loro insegnamenti, attese con ansia; e forse si fu per seguirli con più facilità anco nelle pubbliche scuole che vestì da uomo sino al termine dell'adolescenza sua. Tant'assiduità portò questa Donzella ad un grado di dottrina che formava l'ammirazione di quanti la conoscevano, la compiacenza de' severi suoi maestri di Filosofia, che chiamavanla portentosa, e in Lei accresceva il desiderio d'applicarsi allo studio delle leggi: nè guari si ristette dal darsi all'apprendimento del diritto sotto gli ammaestramenti di due celeberrimi Giureconsulti che decoravano allora le scuole di Bologna. L'uno era questi Giacomo Baldavino, quale dopo aver coperta con onore la carica di Pretore in Genova, con pari successo lesse nel Ginnasio della dotta Città, lasciando a viva memoria di lui molte sue opere. L'altro Tancredi Arcidiacono, al cui merito il Pontefice Onorio III, elevato dal molto suo ingegno alla Cattedra di Pietro, volle affidato nel 1220 con onorevolissima lettera il riordinamento dell'Ateneo Bolognese che allora contava sino a dieci mila scolari, e che a questo Gerarca tanto stavagli a cuore: concedendo di più al probo Tancredi ampie facoltà per raffrenare gli abusi, che a detrimento degli uomini di merito, e dei giovani studiosi vi si erano introdotti. Nè in minor stima si ebbe il dotto Arcidiacono dal S. Padre Gregorio IX. quale, tuttochè agitato fosse il suo regno da [p. 17 modifica] immense controversie mossegli da Federico II. non trascurò la causa dei Santi, e volendo con S. Vigilio e S. Francesco d’Assisi canonizzare anche il Patriarca Domenico Guzmano, al Tancredi in unione di altri uomini di santa “vita, con apostolica autorità, ordinò raccorne le gloriose gesta.” Inoltre restanci ad eternare la memoria di questo Giureconsulto i suoi commentarj tutt’ora in grande stima tenuti. Eppure, ingegni cotali ebbero a stupire dell’ingegno di Bitisia, chiamandola per antonomasia, mostro mirabile della scuola Bolognese.

E siccome al pari di questi fissò Ella pure l’attenzione del famoso giurista e scrittore Odofredo il giovane, quale rimarcando quanto la nobile giovanetta, nel rispondere e ragionare coi maestri, vi si scorgesse sciente in ambo i diritti, eloquente nello esporre, di bella voce e di bei modi nel porgere, la confortò a conseguire la laurea dottorale. Cosicchè dopo che con indefesso studio fu giunta a primeggiare su tutti i suoi colleghi, ella riportò il vajo de’ dottori, e ne fu ornata ad unanimi voti de’ Padri Togati che unitamente a tutti li dotti accorsi a tale funzione, nobiltà e popolo pur radunato, fecero plauso al di Lei merito, non meno che al Tancredi che le cinse la corona in ambo i diritti.

Scorreva il secondo anno dacchè la nostra Dottoressa con tanta pompa aveva ricevuto la laurea, come irrefragabile testimonianza dell’alta stima che ognuno faceva de’ suoi talenti, e quantunque non godesse in questo tempo la più perfetta salute, pure non seppe rinunziare alle predilette sue occupazioni, e in propria casa insegnava il diritto a più di trenta scolari con eloquenza singolare. Che siccome quanto più è ben disposto un rosajo, tanto più riesce facile raccorne il fiore senza restare offeso dal temuto [p. 18 modifica] spino; così appunto tanto erano ben disposte, e ben impresse le erudizioni nella mente della rara donna, che, formando retti giudizi, con imparziali sentenze addimostrava i mezzi sicuri per appianare le difficoltà più astruse, e con chiarezza sciogliendo le tesi sgombrava il cammino allo studioso di que’ triboli in ogni carriera di tanto inciampo.

Il che in tal modo ingiganti sua fama, che a richiesta dei discepoli, dei dottori, dei riformatori, dei moderatori della repubblica e del Senato, le fu dal Vescovo Enrico Dalla Fratta, che era dottore in ambe le leggi, assegnata cattedra fra i lettori del pubblico studio di Bologna: perchè in aula più vasta potessero in maggior numero di uditori attignere a sì chiara e si profonda sorgente di sapere.

Ricusò dessa sulle prime un tale incarico per modestia, dono quasi mai disgiunto dal vero sapere: riflettendo poscia all’obbligo che riconosce avere ogni vivente, di far parte al suo simile dei doni largitigli dal cielo, e sapendo che il vantaggio maggiore da procurarsi all’uomo è il fornirlo di que’ lumi, che col retto pensare, e ben ragionare al ritrovamento del vero lo porta, Ella di buon grado assunse questo impegno, e vi attese sino al finire di sua vita.

Nè solo tributo dai dotti giureconsulti dell’età sua, che da ogni banda accorrevano per essere presenti alle di Lei lezioni, si ebbe la Dottoressa, ma per vari secoli passarono i suoi scritti ad essere consultati da ogni giurista, e si consulterebbero forse tutt’ora se i torchi avessero prestato l’ufficio loro qualche tempo innanzi. Scrisse, sulla legge Omnes populi ff. de justitia, et jure, e su quella del Digesto De negotiis gestis, e qualche non antico scrittore accenna queste opere come esistenti ancora, ma fu vana ogni ricerca per rinvenirle.

Era Bitisia ancora nell’oratoria inarrivabile, e di quanto [p. 19 modifica]in cið se ne ripromettesse Bologna diedegliene prova non equivoca quando il 31 Maggio 1242 piangendo la morte di un suo concittadino nel Reverendo Canonico Lateranese Enrico Dalla Fratta, ch’essa aveva onorato come suo Ve scovo, e ardentemente bramando decorarne i funerali con orazione funebre elesse la Gozzadini come Oratrice con degna dello esimio defunto, e fece porgerle preghiera dal Vescovo e dallo Studio acciò si compiacesse esporne i pregi. Vi aderi Ella, e con isquisita facondia tessè dotta orazione nella quale esaltò la integerrima vita dell’ottimo Pastore, il saldo coraggio avuto nel difendere il suo gregge dalla prepotenza straniera, il terrore che seppe incutere nei perversi, quella carità che lo portò a spogliarsi de’ pro pri beni onde soccorrere i miseri rimasti senza tetto per il terribile terremuoto, spavento della notte 25 Decembre 1222, e sussidiarli quando nel 1227 una tremenda carestia mieteva vittime affamate sulle pubbliche vie.

Commendò quindi quella religiosa umiltà che al distin to prelato due anni prima della sua morte aveale fatto rinunciare nelle mani del Pontefice Gregorio IX la dignità di Vescovo per ritirarsi a vita monastica nel Chiostro de’ RR. Canonici Lateranesi che professavano quell’instituto da Lui professato, quando il clero gli affidò la Diocesi per le virtù che già in Lui tralucevano. Poneva fine a quella Orazione, che ogni storico l’accenna di sublime lavoro, commiserando Bologna per la perdita fatta con la morte di Enrico, e in pari tempo esortandola temprare il suo dolore per avere acquistato in cielo, in quello spirito eletto al guiderdone dei giusti, un nuovo e potente proteggitore.

Discordano gli storici nel fissare il Tempio ove la oratrice leggesse sua orazione, notando il Ghirardacci, il Falconi e altri accreditati che „quando furono celebrati i [p. 20 modifica]funerali di Henrico Dalla Fratta questa Signora com parve nel Duomo vestita da vedova e salita su’ tribuna ricoperta a nero vi spiegò le di Lui glorie, mentre l’archivio Lateranese più estesamente trasmise che, per l’esequie di questo ministro di Dio fù nella chiesa di S. Vittore eretta a bella posta una tribuna ammantata di nero per la celebre Dottoressa Gozzadini da dove recito funebre orazione, e che per udirla vi accorse sì gran numero di personaggi distinti, e immensa folla di popolo che quei colli ne furono in modo straordinario ricoperti: riportando la gran Donna l’encomio di tutti.„ La incontrastabile fedeltà adunque dei citati scrittori, e posto in appoggio alle estese nozioni date dall’archivio de’ Canonici Lateranesi, che l’esemplare Religioso morì nel loro chiostro situato sopra collina all’incirca di un miglio fuori di Porta Castiglioni, ove nell’annessa Chiesa riposan tutt’ora le di Lui ceneri; nel confermare sempre più la realtà del fatto porta a dedurre che in S. Vittore fossero celebrate sopra le spoglie del benemerito sontuose esequie decorate da Bitisia con la sua Orazione, e che poi la ripetesse quando il Duomo avrà dedicati onori e suffragi funebri, come si suole, al Soggetto che fu cospicuo per grado e per virtù.

Dotata com’era, questa celeberrima, del più delicato sentire non potea starsi indifferente agli avvenimenti che contribuivano alla gloria della Religione e della Italia; così quando il sommo Gerarca Innocenzo IV. elevò alla porpora ecclesiastici che fra ’ distinti distintissimi erano per meriti, ordinando che onde accrescere lustro alla dignità cardinalizia venisse d’allora innanzi adorna di cappello purpureo, di porpora ornando pure molti apparamenti che a seconda degli usi vennero poi commutati; ella giubilante [p. 21 modifica]glie ne diresse orazione di ringraziamento, e questo prege vole parto del preminente suo ingegno le meritò che il Pontefice comandasse fossegli presentata l’autrice, e quan do dal nipote dello stesso Santo Padre, Ottobano Fieschi, che egli pure portò poi la tiara per un mese; quando dunque venne la Gozzadini ammessa al bacio del piede, riportò elogi, onori, e magnifici doni da quell’Innocenzo tanto diligente per la Chiesa, operoso per le bisogne dello stato, intrepido e risoluto contro le macchinazioni di Federico II, la cui smisurata ambizione oscurò tutte quelle doti naturali e acquistate che lo avrebbero reso il modello de Principi.

Cagione di onore vero al bel suolo che le era stato culla, di stupore in chiunque poteva annoverare i pregi della Italiana Donna, svegliando sempre ne’ concittadini suoi, e negli oltramontani bramosia d’apprendere, sì per chè sprona alla virtù l’omaggio che alla virtù si offre, sì perchè un plauso non prodigato, e non dato a stento dalla sovrana delle scienze riesciva di trionfo; amata da tutti contava dessa il cinquantesimo secondo anno di sua vita quando ai due Novembre 1261 stando a deliziarsi in una sua Villa posta fra la Riccardina e la Mezzolara, fu costretta fuggire notte tempo per iscampare dalla furia delle acque dell’Idice, torrente che ben più d’ora, spes so straripava, e la innondazione, imperversando sempre più, guadagnata avendo la via ch’ella doveva battere, si fe’ dar ricovero in una casa poco distante; ma le fondamenta di essa doverono cedere alla forza di questo elemento, e la Dottoressa vi rimase vittima con quattro scolari, e due donne, ch’erano seco Lei.

Al giungere della infausta nuova in Bologna, si diedero i più manifesti segni di lutto. Al luogo della di Lei [p. 22 modifica] morte, a perenne testimonianza di dolore , gli ſu data la denominazione di Malgrado e conservatagli. Furono tosto chiuse le scuole , che come a' di nostri anche in allora sospendevano in tai giorni il loro corso. Ma suo maggior trionfo si furono le lacrime di tutti coloro che fecero cor teo al feretro. In quel momento , che intorno fredda salma , ogni vivente si fa giusto , severo , e franco giudice di chi più non gli cale adulare per isperanze , nè sfuggire per ti more , di modo leggonsi in quegli aspetti composti a sdegno , o a mestizia quasi in compendio le qualità dello estinto , tanto che se questi mal visse , la commozione che sveglia il lugubre apparato non lo salva dello esclamare del popolo ( mentre invoca pure pace all'anima sua ) oh finì l'ipocrita! l'egoista! Oh dal prepotente ci liberò il Cielo! Viceversa bagnando di lacrime le guancie ov'è di pinto quel sentimento che distingue da' canibali, singhiozzante dice — oh Anima sincera, benefica! ti benedica Iddio — Se fu segno d'invidia — povera vittima! .... Cosi zante dice — appunto, se a quella funebre cerimonia fosse accorso uno straniero, e al gemmato anello, che in segno di magiste ro aveanle posto in dito, all' aurea catena che le scendeva dal collo al petto, e all'abito di scarlatto con cappuccio, adorno di vaio, riconosciuto avesse la spoglia d'insigne Dottoressa, d'Illustre donna, il pianto ed i singulti dei Professori, scolari, magistrati, e capi dei quartieri che contornavano la bara, le avrebbero detto quanto di tutti ella regnasse in cuore, e quanto ad essi riuscisse aspro quel duro caso che gliela rapì anzi tempo. Morì nubile; e soleva dire che amava suo Padre perchè le aveva data la vita e Odofredo ( già innanzi citato ) perchè ammaestrata: des so ne accompagnò il cadavere sino al sepolcro, che le fu

dato dopo esequie sontuose nella Chiesa dei RR. PP. Serviti. [p. 24 modifica] [p. 25 modifica]

PROPERZIA DE’ ROSSI


Lo esempio invita ed eccita l’uomo, le circostanze cooperano con la virtù a renderlo sublime„ dice un nostro sentenzioso scrittore. E dovendosi ora trattare di una celeberrima Donna, che dotata da natura delle più felici disposizioni all’esercizio dell’arti del disegno, e allettata dall’onore in cui erano tenuti gli artisti del suo tempo, si fe’ animo a trattare con le delicate sue mani gli scalpelli per dare umane forme ai duri marmi, non sarà del tutto fuor di ragione, sebbene alquanto diverga dallo scopo prefisso, ricordare quasi in corollario quanto il risorgimento delle arti belle provi a evidenza questa verità.

In effetto se per il non lodevole discernimento de’ successori d’Augusto videsi decadere dal florido lor vigore [p. 26 modifica] le arti, e ne' bassi tempi languire inerti perchè prive affatto di Mecenati, presentando la nostra Italia, rapporto ad esse un giardino nel cuor del verno, ove presso gli arbusti spogli del già toltole onore scorgevasi solo vegetare il germe nascituro, qual bell’aurora per queste non sorse all'apparire del dodicesimo secolo? L'architettura si riprodusse appena, il caldo desiderio mosse prima le repubbliche di Venezia e di Pisa, e quindi gli altri dominatori della suddivisa Italia ad ergere immense ben architettate moli per consacrare al divin culto edifizi da eguagliare non solo, ma sorpassare la grandiosità de' templi antichi, non tardandosi correggere le goffezze in cui quest'arte era caduta, e perché più decorosa apparisse fu qua e là collocato quanto dallo spoglio de' romani edifizi era rimasto, non ommettendo possibil cura acciò il tutto concordasse coi caratteri che le imprimevano gli artisti.

Che se la perversità de' tempi involò la memoria del greco Architetto della Chiesa di S. Marco fondata due secoli prima del Duomo di Pisa, non ci tolse però il nome di Buschetti, al quale devesi l'architettura di si maestosa Basilica; artefice con ogni probabilità italiano, come dottamente ci prova lo storico della scoltura; quindi difficilmente si torrà il vanto a questo suolo d'aver prodotto ingegno cotale, e giammai le verrà neppure contrastato l'onore di notare nel secolo XIII tanti suoi nazionali in Rainaldo, Nicola, e Giovanni Pisani, Lorenzo Maitani, Giotto, Arnolfo, e li claustrali Fra Ristoro e Fra Iacopo, architetti i quali innalzarono la Basilica del Santo di Padova, S. Maria Novella in Firenze, ed ivi il magnifico Duomo coll'isolato campanile, le Cattedrali di Siena e di Orvieto, fabbriche tutte nobilissime, non che i ponti gettati sull'Arno, e tanti e tanti altri edifizi, ne' quali concorsero [p. 27 modifica] unite la solidità alla eleganza, e che que' medesimi artefici rendevano a mano a mano più nobili e adorne con l'opera de’ loro scalpelli.

Nè di maggior eccitamento vi fu duopo per destare nella nostra penisola emulazione lodevole, quale valse a onorare Iddio , ravvivare gl'ingegni, saggiamente procurare lucro al popolo, togliendolo in tal guisa dalla inerzia, sorgente fatale del vizio e della inopia, e col decorare la patria, renderla nuovamente ricca di que’ trionfi dell'arte che mossero sempre e muovono a invidia ogni oltramontano. Allora ( quantunque per viste diverse ) pareva mirassero tutti a uno scopo solo, e il grande di potenza e il grande d'ingegno, che quanto agognava l' uno mostrare la possanza, la magnificenza sua nell'animare le arti, l'altro con alterezza non meno nobile anelava lo proclamassero artista i parti della sua mente , cui destinava a ridonare gloria non peritura alla nativa sua terra, e renderla madre di ben ragionate scuole.

Mercè dunque tal gara l'architettura era già riposta su l' alto suo seggio fra il XIII e il XIV secolo, epoca che del pari non anderebbe forse da ogni dotto citata, se malgrado lo strano accozzamento di virtù e di crudeltà, ogni corte non fosse stata tanto sollerte nello acquistare codici preziosi coll' animare allo studio le menti , onorando altamente que' divini poeti e prosatori, le di cui opere scuotendo gl'ingegni, impegnarono seguirli con felice risultato si il forte che il gentil sesso. Ma ecco intorno la stessa età dare anco la scoltura nuova prova di che possa lo esempio, come cooperino le circostanze. Volevasi decorare gli eretti templi. La pittura deperita non meno delle altre arti non bastava all'uopo. Si esaminarono i marni recenti con i pochi antichi rimasti: spiravano i primi [p. 28 modifica]

letargica freddezza , vita i secondi . Se ne pianse il rimar chevole deterioramento , si volle rimediarvi , e Nicola Pi sano ne mostrò infallibile via con la imitazione dello antico . I Pollaiuoli , i Verocchi raddoppiano gli studi, gli ec citamenti; sorge Donatello che studia e sfiora l'antico senza copiarlo;‫ ‬suo tipo è la bella natura . Ghiberti unen do il basso , il mezzo , e l' alto rilievo insieme per fregia re la porta del gran Battistero di S. Giovanni di Firenze , fa nel concorso rimanere estatici perfino gli emuli suoi : Donatello e Ghiberti sono due facelle che illuminano ed accendono d'amore per quest' arte , dessi che ne fissano 1 epoca del vero risorgimento : i loro seguaci sono molti , si citano ma non s'invidiano più gli antichi scalpelli della Grecia , che vive inerte ; per cui alla fine del secolo XVI è fra noi la scoltura alla perfezione. Il Buonarotti , il Toreggiani , il Contucci , il Nicolò Tribolo la onorano‫وا‬, varie città d'Italia vantano illustri scultrici , ma di ognuna sorpassa il merito Properzia de' Rossi artista insigne bolognese.

Non si rinvengono notizie certe intorno la nascita di questo genio delle Arti gentili , ma da varie induzioni che in appresso si noteranno , pud fissarsi circa il 1495. E neppure tutti unissoni furono gli scrittori nel dirla bolo gnese, che il Vedriani e il Cicognara le assegnarono per patria Modena a solo riflesso fosse figlia di certo Martino di detta città; deduzione in vero molto frivola , e da es sere sempre meno calcolata massime dachè si rinvennero in cotesto grande Archivio notarile (1) pubblici instrumenti, rogiti , e ſedi battesimali , ne' quali quantunque [p. 29 modifica] nulla s’incontri da comprovare spettassero incontrastabilmente alla celeberrima anzichè ad altra Properzia de’ Rossi ( contandosi allora in Bologna e suoi dintorni molte fa miglie di questo casato ), null’ostante somministrano dessi molti motivi per congetturare da Bologna non meno di Lei l’intera sua famiglia.

Che non avendosi contezza veruna de’ suoi natali è pur supponibile foss’ella condotta moglie tuttora giovnetta, e prima di acquistare celebrità da un de’ Rossi, e lasciando, come suole la donna, il paterno casato avesse in Lei fatto chiaro quello del marito; mentre nulla rischiara la sua fanciullezza, e viene Properzia, giusta l’uso del suo tempo, chiamata madonna, titolo apparte nente alle sole maritate (2).

Ma tutte queste discussioni che doverosamente si dovevano citare riescono vane; avvegnachè basta a torne ogni dubbio Giorgio Vasari, quale con le biografie dei più famigerati artisti può dirsi abbia tramandata la storia delle belle arti, questi chiamò Properzia scultrice bolognese, e n’espose si concisamente bene tutti i pregi di Lei, che quasi ogni storico di essa scrivendo, letteralmente ne trasmise queste poche linee,,... come fece a dì nostri Properzia de’ Rossi da Bologna giovane virtuosa, non solamente nelle cose di casa come le altre, ma in infinite scienze, che non che le Donne, ma tutti gli Uomini gli ebbero invidia. Costei fu del corpo bellissi» ma, e cantò e suonò ne’ suoi tempi meglio che femmina [p. 30 modifica]della sua città„. Notasi, che questo artista e biografo è tanto più degno di fede per essersi egli trattenuto qualche poco in Bologna a lavorare di pittura, per i preparativi che facevansi onde festeggiare la incoronazione di Carlo V per mano di Clemente VII. giorni appunto che furono gli estremi alla nostra famosa scultrice. Siccome poi quanto maggiormente concerne l’artista è la memoria delle sue opere, e donde trasse gl’insegnamenti per sì stupendamente operare; così verrà intorno a ciò qui raccolto quanto della insigne donna esposero gli scrittori antichi e moderni che onoraronla d’encomj.

Dal bolognese Marc’Antonio Raimondi prediletto scolare del suo compatriotta Francesco Francia si ebbe3 Properzia i primi avviamenti del disegno. Ben fausto auspicio, vantare a maestro il solo emulo di quell’Alberto Durero le di cui incisioni riscossero sempre l’universale ammirazione! Ma la discepola del Raimondi, che nello incidere tavole in rame riesciva con garbo non comune, aveva immaginativa troppo fervida per riprodurre ognora con fredda esattezza le altrui idee inceppando le proprie; la sua mente creatrice voleva spaziare nel vasto campo della composizione, ove bene spesso di differenti messi s’intessono fregi che adornano il vero senza confonderlo. Ella era anco pittrice, ma fiorendo allora in Bologna principalmente la scoltura, lo esempio altrui la invitò a dedicarsi interamente a questa. Cominciò quindi dal disporre la Passione di N. S. G. C. su piccolo nocciuolo di pesca, ove il grande sacrificio con le molte figure, che ne faceva Ella interessanti spettatrici, erano disegnate e collocate con [p. 31 modifica] mirabile magistero. E perchè idea più precisa si percepisca della complicatissima composizione che in essi vi stendeva, basti dire, furono giudicati di lieve rimarco undici di que sti, che, unitamente ad una croce di bosso pur da Lei intagliata, conservansi in Bologna dalla nobile casa Grassi; sebbene, non solo vi si ammirino incisi con arte maestre vole Apostoli, e Sante Verginelle coi particolari distintivi, e simboli de’ martirj da loro intrepidamente sostenuti, ed attorno analoghe epigrafi, ma da una sola parte di uno di essi nocciuoli vedesi la Vergine S. Orsola in tutta figura, quale sotto lo steso di Lei manto ricovera 34 invitte sue se guaci in mezza figura. (4) Di poi sfoggiò il suo buon gusto nel disegnare volatili, arabeschi e frutti, eseguendoli in basso rilievo per imposte di marmo‫و د‬, come ben lodate dal suo scalpello ne sortirono quelle che adornano la cappella maggiore della Madonna del Baraccano.

Incoraggiata la gentile artista dall’approvazione gene rale che ogni suo lavoro riportava, aspirò di essere am messa fra quegli insigni scultori, a cui venivano affidate le opere, che decorare dovevano le tre porte della facciata di S. Petronio (5). E siccome era grande l’impegno nei bolognesi, aceió questo tempio sortisse almeno nei monumenti di scoltura tanta magnificenza quanta fino dallo erigerlo si era dal consiglio dei 600 progettato darle di vastità e di sublime architettura, perchè fosse adeguata cosa alla [p. 32 modifica] grandezza di quella città, che libera, gareggiante era mai sempre con le più cospicue d’Italia, fu prima di de liberarle il lavoro richiesta Properzia dall’Opera di S. Pe tronio, di un saggio nell’arte in genere di figura. Perlo chè scolpi ella al Conte Alessandro de’ Pepoli il ritratto in finissimo marmo del Conte Guido de’ Pepoli suo Padre: soggetto, che per il di lui lignaggio, e per le chiare gesta da niuno poteva essere vinto nello splendore, come ad ognuno grata era per riescire la naturale effigie che presentava di chi le singolari virtù avevangli guadagnata la venera zione de’ grandi, l’amore del popolo. Questo ritratto fu6 fu riconosciuto di si accurato disegno, e sì irreprensibilmente eseguito che al dire del Vasari,, non solo piacque a co loro ( dell’Opera di S. Petronio ) ma a tutta quella cit tà, e perciò gli operai non mancarono allogarle una parte di quel lavoro.

Il qual segno di stima speciale svegliò più che mai il vivo intelletto di Properzia, e volendo mostrare che ne era grata, come non erane indegna, pose mano con ogni impegno a rappresentare, per ornamento di quella Basilica, il casto Giuseppe e la impudica moglie di Puti farre. E fu appunto in quell’opera che superò se stessa, e di cui non v’è scrittore, o artista che non ripeta esse re, si gentile la composizione, e preziosa la esecuzione da non cedere in confronto alle produzioni dei più famosi scalpelli, in particolar modo applaudendo alle movenze [p. 33 modifica] naturalissime e piene di grazia. Questo marmo di cui s’i gnora il perchè non andasse in opera, ammirasi nella residenza de’ Fabbricieri di S. Petronio; e pare che nella Egiziana Donna, la scultrice ritraesse sé stessa. 7

Giorgio Vasari, e seguendo lui, qualche altro scrit tore, trasmise che nauseata Properzia dalle brighe, che lo scultore Mastro Amico Aspertini ( uomo invidiosissimo, e del carattere più bizzarro ) muoveva si a Lei che agli altri artisti destinati al lavoro delle porte di S. Petronio, abbandonasse Ella le opere affidatele nè più toccasse scal pello. Esaminando però le partite scritte che conservansi nei libri mastri per le spese della fabbrica di S. Petronio, si riconosce che Properzia molto lavoro per le scolture che questa dovevano abbellire; e di più vi si ritrae per fino che le furono pagate delle somme per Sibille di mar more – per un Angelo – per cinque Quadretti ecc. quali opere essendo da Lei condotte sui modelli del Tribolo artefice eccellente, ch’era direttore arbitro di que’ lavori, rendesi impossibile distintamente indicarle8

Varie altre opere si attribuiscono alla perinsigne Donna, ma non se ne fa menzione mancandone debita certezza; mentre basta a mantenerle viva e distinta fama [p. 34 modifica]per molti secoli quelle accennate, e che positivamente sono riconosciute sue. Ella morì il 24 Febbraio 1530, e Giorgio Vasari scrisse „finalmente alla povera innamorata giovane9 tutto riescì perfettamente„. Trovandosi in Bologna il Pontefice Clemente VII che, seguendo (può dirsi) l’uso Mediceo protesse e onorò le belle arti; non fu distolto dalla clamorosissima circostanza della incoronazione di Carlo V. di chiedere della famigerata Properziav de’ Rossi, e restò dolente quando sentì rispondersi — è in Chiesa che le si rendono gli onori funebri. —

I Bolognesi che la ritenevano come un miracolo della natura, bagnarono di lagrime il di Lei sepolcro, quale a seconda della estrema sua volontà fu nello spedale della morte.

Vincenzo di Bonaccorso Pitti fece il seguente epitaffio

Fero splendor di due begli occhi accrebbe
Già marmi a marmi; e stupor nuovo e strano
Ruvidi marmi delicata mano
Fea dianzi vivi, ahi! morte invidia n’ebbe.

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GIOVANNA DETTA PULCELLA D'ORLEANS


L'uomo da imponenti ragioni obbligato fuggire dalla patria , mai rinunzia a questa; anzi il carattere che in essa lo distinse più invigorisce nella terra che costretto lanciarvisi riguarda come doloroso esilio. E mentre chi con generosità lo accoglie chiamalo straniero‫ ;ܪ‬la patria, que sta tenera madre , amorosamente lo ricorda; e annovera pure fra' suoi figli la prole di lui sebbene nel suo seno non nascesse .

Cosi appunto Ferrante Ghisiglieri ( 1 ) ( casato compendio di grandi memorie ) appartenendo alla fazione del famoso Nanne, e Bonifacio Gozzadini, quando ai loro sforzi prevalsero i taciti maneggi di Giovanni I. Bentivoglio, dovett egli fuggirsene nell' anno 1401 in Francia, e poveramente vivendo presso Lorena, divenne padre dopo vari [p. 38 modifica] anni di quella Giovanna a tutti nota per le valorose sue imprese sotto il titolo di Pulcella d'Orleans.

Questa lllustre Guerriera (2) onorata come germoglio di si distinta prosapia, in prosa e in versi; figlia di un esole da Bologna, credesi bene numerarla fra lo stuolo delle celebri donne che le appartengono. Nè pare debba riescire strano, se Ferrante col ritirarsi in Francia tacesse, o cangiasse il suo casato, che, per eguali motivi molti suoi antenati sotto il nome di Bracciolini in Pistoia, di Fortebracci in Siena, e in tante altre città d'Italia con vari nomi , e le armi alterando in più famiglie si diramarono. E onde salire a epoche meno remote si citeranno que' po steri suoi, che da Bologna migrarono per il nefando tradimento fatto ad Annibale Bentivoglio, e ricovrando presso Roma, a illudere le ricerche de'nemici, si chiamarono Consiglieri, sino a che salito al Pontificato lo stretto loro consanguineo S. Pio V. li obbligò riprendere il primiero casato , conferendo di poi ad eglino gradi e onori sublimi.

Venendo a raccorre le memorie di Giovanna con quella verità che nel trascrivere cenni storici dev'essere prima base, non si potrà pingere con i patetici colori del roman ziero ; ed anzichè delicata bellissima pastorella , seguendo l'autorità d'imparziali storici , conviene dirla di carnagione bronzina , piuttosto piccola, e di ben robusta figura; tale insomma , parrebbe facesse quel fisico più bizzarro contrasto con la nobiltà del sangue in sue vene rinchiuso, che con l'ufficio di servente da Lei esercitato in una piccola locanda nel villaggio di Domremi , vicino a Vaucouleurs ai confini di Lorena.. E lungi dal narrare della sua fanciullezza que casi miracolosi , da satirica mordacità suggeriti agli scrittori fantastici, potrà sostenersi viceversa che all'infuori della sua destrezza nello trar d'arco e di [p. 39 modifica]essersi avvezzata al maneggio de cavalli con coraggio, forza e disinvoltura virile, null’altro eravi nella giovane di rimarchevole se non molta pietà, e illibatezza ne’ co stumi.

Cresciuta di carattere riflessivo e fermo, ponderava Giovanna gli accenti di compianto da ognuno tributato al la calamitosa situazione della Francia. Al pari di ogni buon francese (fosse grande magnate, o abbietto garzone ) sen tiva ella il più vivo interesse per Carlo VII. riconoscendolo legittimo sovrano della Monarchia ch’egli aveva giurato difendere, o per meglio dire riacquistare, sin quando il padre suo Carlo VI. avevala debolmente ceduta all’Inghilterra. Udiva essere in mano de’ nemici e Parigi, e tante altre interessanti città. Udiva quanto quella d’Orleans fosse stret ta d’assedio, come intercetti ne venissero i viveri; ne ar gomentava al cedere di essa la decisa caduta del suo Sovrano, al quale ella non ignorava, essere stato duopo dei savi e forti consigli di Maria d’Angiò sua sposa, onde determinarlo a contrastare all’inimico persino l’ultima pie tra di quella piazza, la di cui posizione, chiave rendeva la del suo Reame.

Tutto affollavasi alla mente della nuova Giuditta: quin di fatta più taciturna (qualità distintiva di chi macchina gran di cose ) a Dio ſervidamente rivolta, in esso posando ogni fiducia, sino a credere la inspirasse, ed eletta l’avesse alla grand’opera, si decise seguire il veementissimo impulso, di correre in difesa della monarchia: e chetamente fuggis sene a Vaucouleurs.

A questo primo straordinario passo di sua vita, èè ne gli storici più generale opinione che non sedicenne, ma ol trepassato avesse Giovanna il quinto lustro;3 e ciò posto, come più verisimile, riesce di maggior gloria alla intrepida [p. 40 modifica]donna, perchè prova non fu slancio di fanciullesca inconsideratezza, ma bensì parto di mature riflessioni, non meno dell’intimo suo convincimento ch’ ella prendeva parte alla giusta causa di nazione ripetutamente vessata da un inimico, a vantaggio del quale volgeva fortuna perfino quelle imprudenze che avrebbero dovuto compiutamente debellarlo.

Giunta Giovanna a Vaucouleurs, tulta intenta a man dare ad effetto l’ardimentoso suo disegno, presentossi a quel Governatore, e tanto fece, tanto disse da convincerlo che anche in seno femminile ed ignobili spoglie, non solo possono formarsi, ma bensì compiere generosi progetti; per cui si decis’egli dirigerla, sotto scorta di qualche suo seguace, a Chinon accið ivi alla corte fosse presentata.

Fu ella diffatti ammessa innanzi al Re, quale, informa to delle straordinarie idee nutrite dalla giovane, stavasene senza nessun distintivo di sua dignità confuso fra i gran di di corte, onde osservarne gli andamenti. Ma, o sia che nella di lei perspicace mente fossero rimasti impressi i lineamenti di Carlo, veduti in qualche di lui effigie, o ne ricordasse di essi qualch’esatta descrizione udita, ovvero qualche atto rispettoso di que’ cortigiani verso del Re usa to la facessero accorta della verità, il fatto fu, che senza equivoco ad esso rivolta disse » di aver avuta missione dal supremo Creatore di combattere per lui, e condur lo in Reims ond’esservi incoronato ed unto. » Di poi sog giunse che» doveva cingersi una spada con ogni custodia conservata nella chiesa di santa Caterina di Fierbois. »

È facile immaginare, che, per quanto fosse la credulità particolar debolezza del secolo XV, ognuno in quella corte, appena udita la Pulcella, ne riconobbe una mente esaltata dalla bramosia di apportare utile alla terra che [p. 41 modifica] aveva accolta la di lei famiglia. Riflettendo però quanto da tal delirio potevasi trarne vantaggio, si deliberò approfit tarne. Nel volgo e nel soldato ( l’uno e l’altro credulo e incredulo a un tempo ) spandere la speranza di un soc corso prodigioso, soprannaturale, massime in quegli animi abbattuti e avviliti per le continue sconfitte, riprometteva con certezza una vittoria, per consimili mezzi tante volte dai romani riportata.

Non s’indugiò adunque effettuare il piano: furono sparse molte voci del su citato tenore, e mercè tali viste si appagd ogni brama della Eroina. Armata da capo a pie di, posta a cavallo con bandiera in mano, ov’era effigiato l’Ente Supremo contornato da gigli d’oro, fu mostrata al popolo che l’acclamò messo celeste. Ma se esagerando le parole di Giovanna si riescì adescare le menti ed ac cendere le immaginazioni, onde ne’ cuori rinfrancare l’illanguidito valore; la energia, la sicurezza, la santa con dotta di lei ci assicurano ch’era illusa ella stessa da una falsa idea, e chiamava con tutta buona fede inspirazione ciò che altro non era se non fervido entusiasmo. Entusiasmo, che, senza parlare da roveti ardenti, Dio infonde ne’ cuori degli eroi, perchè le prodigiose loro gesta ci ripetano ch’egli dal debole tragge di che abbattere il forte. Al volere dei quali vedesi facilmente ogni altri uomo piegare sua voglia, e spesse fiate favorirlo anche non volendo.

A tal proposito è in acconcio ricordarsi che mentre trattavasi torre l’assedio ad Orleans, scrisse la donzella imperiosamente ai capi dell’esercito inglese perchè si ri tirassero dalla Francia, o temessero tremendo gastigo dal Cielo, per sua bocca presagito. E cotai minaccie sparsero nel campo ostile tanto terrore, che quantunque si volesse dissimulare, pure si vide l’avvilimento prendere il posto [p. 42 modifica] della baldanza. Nè poco rincorò siffatta mutazione il magna nimo Dunois, uno de’ più prudenti e saggi capitani dell’ar mata francese, fido consigliero di Giovanna, quale tosto le mostrò che di quell’abbattimento conveniva valersi per in trodurre vettovaglie nell’assediata città; e così avvenne: di poi vi entrarono entrambi con forte presidio, senza trovare opposizioni. La intrepida guerriera allora dopo aver consultati i bravi suoi generali, ed ottenutane l’approva zione, ravvivò lo spirito negli assediati, e li condusse sull’istante ad attaccare i trinceramenti nemici. Non l’avvili un momento di avversità‫;ܪܬ‬non la sgomentò una ferita riportata nel collo da una freccia, strappatasi dalla piaga con le proprie mani; ma fervida sempre incoraggiando i suoi alla vittoria volò a piantare, ella stessa, lo stendardo nel campo dell’inimico, che in quell’incontro fece considerevolissima perdita.

Dopo qualche giorno all’assalto di Gergeau da lei diretto, riportò un colpo di pietra sul capo che la stramazzò in una fossa; null’ostante tosto riavutasi, animò l’esercito, ed in breve le sue prodezze furono coronate del più felice successo, mentre nella parte avversa cresceva adeguatamente lo sbigottimento.

Orleans e molte altre città erano ricuperate: non ne erano però compiuti i voti della liberatrice. Conosceva ella bene essere tutta ingombra da inglesi falangi la lunga strada che conduceva a Reims, città destinata alla incoronazione dei Monarca francesi, non di meno insistè per modo da far decidere il suo Signore a questa nuova intrapresa. Gl’Inglesi disanimati affatto, oh forza di panico timore, quante volte hai rinovellato sì strani esempi! questi non contrastarono per nulla il passaggio di Carlo. Egli giunse felicemente a Reims, ove con la maggior pompa [p. 43 modifica] fu incoronato. Il popolo con acclamazioni e trasporti di gioja gli addimostrò ch’egli aveva saputo guadagnar si il cuor suo. Vero trionfo di un principe! Giovanna fu sempre al suo soglio.

Dopo sì fausto avvenimento chiese la prode il proprio congedo, dicendo, aver compiuta la sua missione. Ne riportò risposta» sarebbe appagata quando la Francia non» avesse avuti più nemici a combattere; ma che ancora» restavano molte città da riscuotersi col suo valore». Docile com ’ ella era aderì a quel comando, o preghiera; e postasi nuovamente alla testa delle sue truppe si vibrò sulle schiere che assediavano Campiegne: fece colà prodigi di valore: e mentre il numero immenso de’ nemici che ad ogni momento sovraggiungevano la forzavano ritirarsi, con tanto impeto si rivolse ad essi che li fe’ rin culare, e li sbandò; ma alfine per la sua intrepidezza nel calor della pugna si perdè, perchè, non seguita da’ suoi con il solito coraggio, forse intimoriti dal numero maggiore degli avversari: fra questi rimasta sola ſu fatta pri gioniera, e trascinata entro Roano.

Gl’Inglesi in possesso di sì formidabile nemica ( ch’es si dicevano agiva per arte diabolica ) posero in bando tut ti quei riguardi, che fra nazioni civilizzate scambievolmente si usano ai loro cattivi: non trovando modo di accusare una donna che le leggi della cavalleria, dell’onore, della umanità e del pudore aveva sempre scrupolosamente osservate, la incolparono qual fattucchiera. Quattro mesi fu imprigionata.... Le sane sue discolpe non venendo accettate, fu condannata al rogo, e viva vi ascese l’anno 1458 nella età di 34 anni!

Carlo sempre vittorioso ricuperò tutte le città del suo regno; tornò in possesso anco di Roano, che ricordavagli [p. 44 modifica] la sventurata Eroina, e quanto aveva cooperato a suo vantaggio; e rampognandosi non averla riscossa ad ogni costo da chi la volle morta, fece innalzare su la piazza, ov’ebbe supplizio, su alto piedistallo bellissima croce di bronzo dorato in onore di lei.

Ma se a questo monumento, come trofeo eretto per la magnanima donna, Carlo affidò scolparlo d’ingratitudine presso interminabile posterità, il di lui figlio Lodovico, salito che fu al trono, per contrassegno di riconoscenza alla memoria della ricuperatrice d’Orleans sebbene fossero scorsi molti anni dachè subita aveva la ingiusta sentenza si rivolse alla Santa Sede accið se ne rivedesse il processo. La Chiesa ne commise l’incarico all’Arcivescovo di Reims, ai Vescovi di Parigi e di Coutances, ed al Cardinale di Estouteville; quali animati da quel santo zelo, tutto proprio di chi ogni suo pensiero tien fisso perchè la nostra religione nel netto suo splendore sempre riſulga, non ommesse le più accurate indagini, non severi esami in ogni ceto di persone, non scrupolose confutazioni, dichiararono iniquo ed empio e pieno d’imposture il processo che aveva condannata Giovanna; per cui venne questo lacerato ed arso, e per rintegrarne le memorie di lei, e ripararne l’onore, furono fatte due solenni processioni, una nel luogo della condanna, l’altra sul terreno del suo supplizio, infine pubblicato il riconoscimento di sua innocenza per tutto il regno: e la città che la vide ardere, onorò poi a lungo l’effigie di questa Eroina in una statua che ad onoranza sua venne quivi eretta.

Molte penne sacrarono i loro scritti a ricordare la straordinaria donna, e due dei più brevi componimenti poetici qui si trasmettono. [p. 45 modifica]

NOTE


(1) Tratto da una antica Cronaca della nobile casa Ghisiglieri, rincontrata in ogni soggetto storico non meno che in qualsiasi altro punto fedele e veritiera.

(2) Epitafe de Jeanne dite la Pulcelle d’Orleans.

O gentile non ain, qui de meuse le bord
Vit naître de Ferrani ton illustre Noblesse
Du petit utrin lovitain, la fortune, et ton sort
Sçent voir ouvrer en toi, vertu, force, et sagesse
De Bourge le bon Roi comprit soudain l’effort
Du secours d’Orleans, essaî de hardiesse;
Ta presence força chataux et forteresse
Du tyran bourguignon, qui par tout fuît la mort:
Ton glaive flambojant, semé de fleurs de lis,
Annonça la terreur chez tous, les ennemis;
Ferme sur l’étrieux, come une autre Hyppolite
Jonchas les champe de morts, renverras, mis en fuile;
Du preux Sennacherib, l’ange exterminateur,
Preceda ta jumente excita ton ardeur;
Du François consterné, pour couronner son Prince
Tu servis de guidon vers la ville de Reimse;
De la sans perdre tems rappellas sa valeur,
Tu chassa l’etranger, reparas son malheur;
Mais l’envie esbatric à moult grande proesse
En toi ne respectât la celeste nonesse,
(Etranger, qui que soit, và redouble le pas
Si tu ne veux voir le plus triste trepas)
Ains tandis que Paris vit son Roiaume en calme
A Rouan fit changer ton lamier, en la palme
Ou sur ardent brasier illustre decedat
C’est ainsi que victoire à la Parque cedat;
Que le sang de Ghisilier qui couloit sur la scene,
Neut or pour tont tombau, que les eaux de la Seine

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32 GIOVANNA

Là France et Italie pleurant de societé,
Car on n’avoient uû trionpher l’impieté.
Mais la renommée un jour qui prend soin de la gloire
De Janne les tants faire informera l’Histoire.


EPITAFIO — di Gianna detta la fanciulla d’Orleans —

Orionda da Bologna in Italia.


Ebbe pien di virtute il petto, e l’alma
Giovanna al mondo tanto gloriosa,
Che di valor eximio ottenne palma
Sebben provò contraria sorte, et trista
Insin dal tempo primo di sua vita ,
Allor ch’esule fù Ferrante Padre,
Ond ’ essa in basso stato fù nudrita
Da Ilalia lunge e da Bologna amata ;
E ancor che avesse di guerriere squadre
Comando, et degno raccogliesse lauro
Ovunque volse la sua mano irata
Per la virtù, che in Lei ripose il Cielo,
Come moneta popesi in tesauro,
Pur ſù da Invidia oppressa, e ’l mortal velo,
Lasciar conyenne ingiustamente uccisa,
Onde l’onor d ’ Italia in Lei perio,
E insiem l’onor di Francia e del Re Carlo;
Così morte che fù mai sempre prava
Contro chi nacque, al fin tolse la speme
Al bon sangue Ghisilier che in Lei serbava.


Si è mantenuto l’ortografia delle due poetiche composizioni.

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MARIANNE SANTINI FABRI






Il giorno 18 Giugno 1715 dai coniugi Gian-Maria Santini e Caterina Balbi, l’uno e l’altra di civile condizione e di spirito e di cuore anco più gentile, Bologna vide nascere in Marianne uno di quegli esseri che sembrano eletti dalla Provvidenza a formare un complesso di tranquille virtù. Che oltre al compiere in essa il perfetto modello da pre sentarsi alle figlie, alle spose, alle madri, pare le com mettesse ancora di mostrare come alle domestiche cure associare si possano non lievi studi, e quanto anzichè alie narle da’ propri doveri concorrano questi a fortificare lo spirito loro di sana energia, provvida guida al disimpegno di quel sacro ministero che alla donna viene dal cielo, e dalla società affidato.

La prima educazione di Marianne per nulla fu dissi mile da quella che anco a’ di nostri procurano i genitori [p. 50 modifica]sagaci a figliuola ben nata. La madre amorosamente l’ammaestrava ne’donneschi lavori; mentre non volendola ignara di quanto concerne l’andamento di una famiglia, sapeva con il proprio esempio esortarla a niente trascurare onde apprendere a ben dirigerla: in pari tempo, seco intratte nendosi instillavale dolcemente nell’animo (senza ostentare precetti) che il nostro sesso devesi formare della modestia e della prudenza tenaci abiti, su quali molto bene si adat- tano poi i fregi della gentilezza e della cordiale urbanità.

Intanto il padre volle fossero primi studi di Lei le sacre carte, le patrie storie, e le regole del patrio idioma: perlochè la ben diretta fanciulla, ponderando nelle prime su la grandezza delle opere del Creatore, al dono di nobile spirito indistintamente alla umana specie com partito, ai beni su questa prodigati, ai gastighi giustamente inflittigli, sentì ella, in un coll’ammirazione, radicarsi in cuore quell’amore, quella gratitudine, e quel timore santo che rendono l’uomo giusto, e lo sollevano ad aspirare al fine per cui fu creato.

P oi occupandosi a parte a parte della storia della grande Penisola; come l’eroiche azioni di que’ conquistatori ch’ec clissarono d’assai i Ciri e gli Alessandri, e gli ardimentosi esempi di coraggio dagli italiani usati onde salvare ilbel paese dalle barbarie straniere, o per sollevarlo da ti rannica prepotenza, avrebbero acceso uno spirito virile di quel patrio affetto ch’esserne freddo non puote se non chi vive senza inſamia e senza lodo,,; cosi nell’indole patetica di Marianne prevalsero gli esempi di Vittoria Colon na, delle Gonzaghe, e si prefisse non divenire indegna con cittadina di quelle tante che lessero nella stessa Università per cui di sapienza tenevasi „ luogo più fertile di tale cibo Bologna ,, (1) [p. 51 modifica]

35

FABRI


Attese essa pertanto ad approfittare nello studio che le presentavano della lingua italiana, si perchè è vituperevole trascurare il proprio idioma, si perchè andava superba di averlo comune con il grande poeta di cui ne predilegeva la lettura; stantechè per la svegliata sua mente giunse tut tora giovanetta ad abbrividire sopra quelle pagine ove,... si va nella città dolente „ad intenerirsi„ ove l’umano spirito si purga„ ed infine a bearsi per „la gloria di colui che tutto muove„. Il tenero Petrarca erale a cuore. Ammirava la fervida immaginazione dell’Ariosto, e quan- tunque la ben avveduta madre trafugassele molte pagine del Furioso, pure ad essa non isfuggiva il singolare pregio del cantore, che formò un solo poema, non d’intromessi episodj, ma in tesserlo, com’egli stesso afferma, di tante diverse imprese in un tempo istesso. L’ordine poi con tanto magistero, conservato sempre e compito, non meno che tutti gl’innumerevoli pregi della Gerusalemme Liberata desta- vanle venerazione; ed ecco che queste larghe vene di poetico sapere furono per la giovinetta il fonte d’Ippocrene e le Muse sue, quali le inspirarono belle e svariatissime poesie, le quali fecero bella corona alla sua coltura nelle belle lettere.

Ciò non tolse che scorgendo il Santini essere dotata la figlia di soavissima voce, onde non riescisse vano tal dono di natura la facesse applicare anco alla musica; e n’ebbe in concambio la soddisfazione di udirla applauditis sima ogni qual volta interveniva nelle riunioni di buoni e saggi conoscenti: nè poco profitto faceva Marianne nel dise gno, come in appresso si vedrà; ma ansiosa più sempre di erudirsi, solita brama che si vede ognora crescere in ciascuno a misura che liba la tazza di vero sapere, Ella si pose a studiare la lingua latina con tanto trasporto che in breve volger di tempo ne divenne espertissima. Conoscere [p. 52 modifica] straniere favelle che ci rendono famigliari gli oltramontani, che ci portano alle vergini sorgenti di grandi opere dell’umano ingegno, si è ben lodevol cosa; sempre però merita maggior plauso, chi al pari di questa saggia bolognese ( che visse in un secolo, in cui la letteratura non sfioravasi soltanto ) antepose ad ogni altra la lingua del Lazio perchè fu nostra anch’essa, e perchè quivi si hanno gli emuli di Omero in Virgilio, di Tucidide in Tito Livio, e in Cicerone di Demostene, quali nè prima nè poi ebbero eguali.

I dotti scorgendo adunque nelle poesie di Marianne non solo soavità, grazia e maestria, ma concetti non comuni, elevate idee, massime sante, l’ebbero sin d’allora in par ticolare stima, e molta gliene professarono il Zanotti e il Manfredi suoi contemporanei. L’amavano le giovanette com pagne, nulla trovando nel contegno di Lei da ricordarle quanto erano ad essa inferiori; mentre poi richiesta ch’ Ella fosse di schiarimenti o nozioni, comunicavaglieli senza idea di pretesa con quel dolce interesse che riempie il cuore di amicizia quanto le cognizioni abbellano la mente.

Ma se fino ad ora fu esaminata la figlia dei Santini, a cui forse molti non darebbero che lode di singolare intel ligenza e docilità figliale, gli altri pregi che si osserveranno nel differente suo stato, potranno far desiderare si model lino su Lei molte madri di famiglia.

Alessandro Fabri, uomo d’oltre quarant’anni, di animo integro, di spirito colto, di carattere freddo e lento in tutto ciò che non risguardava a’ suoi studi e all’onorevole sua carica di Cancelliere del Senato, si fu lo sposo eletto dai genitori di Marianne a questa giovanetta di diciannove anni, nella quale la non scarsa avvenenza era l’ultimo pregio.

Marianne, che quanto erale indifferente divenir fidanzata, altrettanto desiderava essere saggia, buona, affezionata, e [p. 53 modifica] corrisposta consorte, fece plauso alla scelta de’ suoi; e formata questa unione accettò con piacere l’incarico dal marito d’invigilare sopra le di lui fortune, di amministrare tutti gl’interessi di famiglia, non meno che la total cura delle domestiche faccende. Per corrispondere alla fiducia in lei dimostrata, non parve alla giovanissima donna bastasse adoprarsi diligentemente acciò non deperissero i beni affi datigli; chè al savio criterio unendo la sollecitudine e la industria, giunse a procacciare alla sua casa si grandi van taggi da rendere paghi, non meno che stupefatti per l’or dine, tanto il marito che i di lui parenti.

Tutta pietà, frequentava le chiese, e sollevava il povero in prova che il vero amore verso Dio regnava nel suo cuore, e non trovando opposizione veruna col buon costume, con l’onestà più pura e la più ragionata modestia, nel seguire suo marito nei pubblici teatri, o nelle gentili riunioni, ella v' interveniva,, e come giovane e come intendente Ma sic come anche alle più celebri rappresentazioni vi si adduce va con moderazione, uno scrittore disse di Lei,, che fre quentava più la chiesa che il teatro, più i libri che i di vertimenti,

Madre di cinque figli, Ella a grado a grado seguivali ne’ loro studi per esaminarne il corso, e qual vigile cultrice indagando l’indole del tronco dai primi virgulti, non risparmiava fatica perchè dessero mature e sane frutta. Loro inspirava rispetto con la illibatezza de’ suoi costumi, confi dente amore con l’amorevolezza e premure sue verso di essi: e dai due che vide in età adulta seppe trarne in tributo di affezione ciò, che molti genitori mal estorcono col rigore. AA questi magnificava pure le virtù del padre loro, esortandoli imitarlo, e spesse fiate facevalo con tenere e soavissime rime, velando così gli avvertimenti con i caratteri dell’espansione [p. 54 modifica] di cuore. Come madre solerte, affettuosa moglie del pari, mai coricavasi la notte se non vedeva ridotti al proprio tetto il ben amato consorte, ed i figli; e furono appunto queste le ore in cui compose tante belle poesie, che al detto di uno storico,, pochi sono che di professione esercitano la poesia, i quali abbiano lasciate tante opere di sè ed in istili si diversi quante ne lasciò Marianne, (2) Di sue composizioni si valsero pure i più valenti poeti a Lei contemporanei per fregiarne i proprii canzonieri: notisi inoltre che per essere dessa dotata di mente feracissima furono rinvenuti nel suo scrittojo duplicati e triplicati ancora molti de’ suoi componimenti, avendo qua e là delle varia zioni che l’una all’altra disputa il diritto della preſe renza, tanto è in essi la venustà del verso, e la leggiadria delle immagini.

Eppure questa gentil donna che lasciò tanti scritti, che per elezione si addossò essere qual massaja della sua famiglia, trovò il tempo di costruire bellissimi lavori ch’ella chiamava grotteschi, ma dove infine sfoggiava un sano discernimento per l’architettura e non poca maestria pel disegno (3 ). Ecco come l’operosità la rese instancabile! Appunto come l’ozio trascina molte alla ignavia.

Dopo aver passati trent’anni in perfettissima concordia con il suo consorte, soggiacque Marianne alla terribile scia gura di perderlo. Allora religione santa le fece più spesso rivolgere la mente a Dio, nel cui seno vi vedeva il suo compagno; filosofia tranquillò il suo spirito, e non volendo rammaricare,> o servir di tedio a chi l’avvicinava fecele richiamare sul suo volto l’usata ilarità; ma il di Lei cuore fu sempre vedovo, e nei ventitre anni che sopravvisse, mai non potè obbliarlo, onorandone sempre la felice memoria, e consacrandole in ogni anniversario di sua morte flebili [p. 55 modifica] Elegie, fino a che giunta nell’anno 1787 al settantesimo secondo dell’età sua, dopo breve malattia, munita d’ogni religioso soccorso, placidamente spird, bagnata dalle lagri me dei figli, benedetta da’ suoi beneficati, ed encomiata da

ogni distinto letterato. [p. 56 modifica]

NOTE


( 1 ) Boccaccio Vit. Dant. c. 12. Elenco delle opere di Marianne Sanlini Fabri.

(2) La vita di N. S. G. C. in sonetti e versi sciolti. Le Litanie di M. V. divise in più sonetti. Poema in 23 canti. La vita di S. Caterina Vigri in ottava rima.. Traduzione in versi delle Lamentazioni di Geremia. Traduzione in versi de ’ Salmi Penitenziali. Madrigali Canzoni Oratorj Cantate

Rime piacevoli. Vol. 2.

Epistole morali in versi ed in prosa.

(3) Rappresentavano giardini con verdi e spalliere forniti d’archi e colonne e prospetti tessuti di cioccolelli; il tutto con ammirabile simmetria e struttura, ed egregiamente

architettati. [p. 58 modifica]Donna Vittoria Montecuccoli Davia [p. 59 modifica]

DONNA VITTORIA MONTECUCCOLI DAVIA.


Gareggiando la prosapia Montecuccoli per antica nobiltà, possanza e dovizia con le più cospicue d’Italia, tornerebbe vano l’accennare in questi fogli la magnificen za che contornò la culla della pargola nata in Modena il 20 Giugno 1655 dalla illustre coppia Marchese Gio. Battista Montecuccoli, e Marchesa Ottavia Caprara, alla quale prole furono imposti i nomi di Vittoria, Luigia, Sigismonda.

Lo spirito della più sentita pietà fu si precoce in questa rara bambina che, senza timore di azzardare una smodata iperbole, può dirsi si manifestasse in Lei con la vita; giacchè se cominciasi a vivere quando si vuole o disvuole, certo si è che i primi moti di Donna Vittoria svelavano una mente religiosa, ferma in abbattere i più pertinaci errori, un cuore che mai avrebbe dato ricetto a qualsifosse sentimento menomamente colpevole. Ed a questo non comune pregio di Lei ( sebbene per la santità di nostra [p. 60 modifica] religione abbondarne dovrebbe ogni cattolico suolo ) fe cero in breve magnifico accordo tutte le più belle virtù, e l’ingenua propensione nel condiscendere al volere de’ Genitori suoi dava a quell’aureo carattere tal finitezza, che, nello esaminarlo restava ognuno commosso ed estatico; pari a chi trovasi innanzi al maggior quadro di Raffaello, o per meglio dire dell’universo, che dopo averne ammirata la poetica composizione, la squisitezza del disegno, tutto il bello ideale e la espressione delle teste, e la freschezza de’ colori, resta come rapito dalla estasi della protagonista, e quelle pupille create dal pennello fanno alzare le proprie, accompagnate da un voto all’Altissimo.

Perlocchè mentre la nobile donzella formava la com piacenza de’ congiunti suoi, non isfuggiva allo intendimento perspicace della piissima Duchessa Sovrana di Modena, Laura Martinozzi, quale ravvisando in Lei alcun che di straordinario la prescelse a dama d’onore della Principessa Maria Beatrice d’Este sua figlia, appena cinquenne; conscia la ben saggia matrona, che gli esseri nel convivere uniti a vicenda si trasfondono non di rado i vizj e le virtù, niente meno del pruno che mediante lo innesto lascia le proprie qualità onde riprodursi con altra forma e diverso sapore. Nè s’ingann) Ella: la tenera Principessa sviluppo inclinazioni irreprensibili, ed edificata dalle opere di pietà ch’esercitava la sua dama d’onore Donna Vittoria, se la propose a modello; e da questo culto di stima e dal per correre ambidue unite lo studio delle umane lettere e delle lingue, ebbe origine, in fra di esse quel dolce vincolo di affetto, che fanciulleita fece attendere la prima con calore a’ suoi doveri, acciò la Duchessa madre non la minacciasse ( come solea quando paga non era di Lei ) privarla della compagnia di si cara damigella ‫;ܪ‬che fecela più fiate garrire [p. 61 modifica] col giovane duca suo fratello, disputando a chi di loro come dama di corte maggiormente appartenesse Donna Vittoria; che finalmente, in entrambi, con elleno stesse questo affetto in cor loro aggrandendo, rese comuni i desiderii e le mire, e ciò che l’una bramaya, agognava pur l’altra.

Giunta frattanto Donna Vittoria al diciassettesimo suo anno, attenta reprimere in sè perfino i lievi moti di col lera cui l’avrebbe trasportata il carattere sortito da natura, non un neo deturpava in Lei la completa cultura di spirito, il maturo senno, e le perfette virtù morali; laonde la nobile doviziosa, cresciuta di aspetto dignitoso non meno che obbligante, aveva il diritto di vagheggiare col pensiero le più splendide sorti d’Italia: eppure Ella non desiderava che un velo! ella non trovava contento che nelle opere di pietà, ov’era secondata sempre dalla giovane principessa; e niuna opposizione temendo, risolse esporre sua vocazione di divenire sposa di Cristo ad un saggio religioso ond’ei ne informasse la di lei madre; ma non aderendo questa a tal inchiesta, predispose per la figlia, in unione del proprio fratello Conte Lodovico Caprara, adeguato matrimonio, e stabilito, non venne diſferita la partenza per arrecarsi alla patria dello sposo, che onde prendere congedo dalla corte.

Tale momento assai bene distinse il congedo di etichetta dalla separazione di persona, cui la virtù vera aveva unita con tenera amicizia. Non si usarono molto, nè. dall uno, nè dall’altro canto, quelle frasi ( pur troppo dal freddo complimento profanate ) che sarebbero le più adatte ad esprimere a vicenda rispetto, riconoscenza, affezione; se però quando quest’ultima predomina, lasciasse campo al labbro apportare tale conforto. Pochi, interrotti accenti, sinceramente sentiti; mentre la commozione teneva luogo dello [p. 62 modifica] studiato formolario, alternava in quei petti, il dolore di dividersi e la gioia che in qualsiasi frangente infonde la certezza di essere amati. Infine, la Duchessa, più qual madre che sovrana diede alla nobile donzella santi ricordi e terminò col dirle, Fateci sapere vostre nuove, e se ca pitate in queste parti accertatevi sarete accolta co’pegni di tenerezza e di affetto che avete fin ora sperimentati.

Bologna si fu la città, che qual seconda patria, feste vole accolse la fidanzata di uno de’ primarj suoi patrizi, il cui nome Da-Via tanto illustre suonava già ovunque, non solo per fasto di ricchezze, ma più per uomini celebrati nelle scienze, nella politica, e nelle armi, non che in ogni genere di letteratura ( 1 ). Celebrità che cotanto si accrebbe nella persona di Gio. Antonio, allo sposo fratello, quale dopo di avere battuta la via delle armi dedicossi per ordine del Pontefice alle bisogna della chiesa, a cui prestò ser vigi importantissimi contestati dalle storie di quel tempo, e fu poi promosso alla ben meritata porpora. E se l’ACcademia che dal Da -Via ebbe nome, diede prove di quanto questo lignaggio proteggesse con intelligente generosità, scienze ed arti belle, per convincere che l’Italiano non mai fu in queste ad altri secondo; del pari, onde compiere quanto viene commesso all’alta società, di onorare cioè con ma sì per imprimere ezza, si pur anco, nello straniero giusta idea di patria grand perchè dal ben inteso sfoggiare de’ grandi, trae lucro e sollievo quella classe di persone che troppo tapina sarebbe gnifico lusso il lustro di antichi casati, se ogni ricco serrasse l’oro nel proprio forziero, i Da-Via rinnovarono per la novella sposa si splendidi preparativi di apparati, argenti, e gemme, e sontuosi equipaggi, che quantunque Donna Vittoria fosse avezza allo abbagliante splendore di una corte, pure al vederli n’ebbe a trasecolare. [p. 63 modifica] Lo sposo in tal famiglia a Lei destinato si era il Marchese Virgilio Giuseppe, quale per il grande profitto ritrat to dal visitare tutte le principali corti d’Europa, aveva in esso riunito a sì alto grado senno, saggezza e prudenza, da meritarsi nella giovanile eta di 24 anni gli venisse conferito dal Pontefice Clemente X. la dignità Senatoria; per cui tale somiglianza fra i due contraenti d’indole, di coltura, e di età li accese al primo scontrarsi di mutuo e pudico amore, cosicchè, niun buon auspicio manco ai loro sponsali, che furono in breve celebrati con indescrivibile pompa: e nella cerimonia ognuno ebbe a rimarcare lo edificante raccoglimento degli sposi.

Lo stato conjugale non fece menomamente rallentare le pratiche di pietà, a cui questa pia Dama solea abban donarsi. Serbavasi ella sempre gentile, ma sì nelle grandi che nelle private adunanze, manteneva un contegno per modo riservato che destava rispetto in ognuno, giugnendo pur anco ad incutere timore a quelli di non esemplare riservatezza; mentre poi abborrendo ogn’idea di vanità, fu notato che, quando doveva presentarsi col fasto dovuto al suo rango, o presso qualche principessa forestiera di passaggio in Bologna, o in altre simili circostanze, vi face va precedere la visita di uno spedale, acciò la fresca rimembranza della sofferente umanità, l’avesse preoccupata e tolta dallo invanire. Per cui è ad immaginarsi come tan te prerogative le meritassero l’ammirazione della novella patria, non meno che l’amore e la stima del nuovo pa rentado, ove distinguevasi per santa vita la di Lei suocera Marchesa Porzia Ghisilieri, le cognate sue, ed in particolar modo la Marchesa Silveria Davia che fondò il convento delle monache di S. Francesco di Paola detto delle minime.

Non meno per altro imperava su l’animo grande di [p. 64 modifica] Donna Vittoria il nobile sentimento dell’amicizia, e ricor dandosi non essere soltanto legata col mero titolo di Da ma d’onore alla Estense Principessa Maria Beatrice, di cui come si è veduto fu indivisibile compagna per molti anni, volle tosto arrecarsi in Modena unita al Consorte onde attestarle ossequioso affetto, appena seppe doveva la Reale Donzella partirsi per Londra colà chiamata al tala mo del Duca di Jork (2) erede presuntivo della corona d’Inghilterra. E questa riprova di attaccamento della Da ma alla sua Padrona pare segnasse fra le illustri amiche la generosa disfida di chi fra esse più sarebbe stata sollecita chiamare a sè con fiducia ne’ disastri la Dama, ovvero pronta questa ad accorrervi; ma siccome nel momento potevasi appena presagire ben lontano alcun che di avverso per la sposa del Duca di Jork, cosi ella posta ogni fiducia in Dio, lasciò nel 1673 l’Italia, ed i conjugi Davia tornaronsene tra’ suoi.

Intanto nel volger di circa un lustro, l’unione di questi ultimi fu coronata da più figliuoli, ma in pari tempo ebbero molto a temere l’un per l’altro, prima perchè oppressa Donna Vittoria dal vajuolo lasciò in forse di sua vita il consorte, cui l’assistenza avutale spiegava lo strazio che soffriva; poi quando fu dessa ristabilita dovè passare giorni d’amara angoscia pel marito suo, quale infermatosi a Firenze, giunse agli stremi, del che fatto conscio il Gran Duca Cosimo III. commise al Redi, altrettanto sommo in Medicina, quanto è celeberrimo in lettere, ed al Mondiglia, altro valente medico d’intraprenderne la cura, cosa che questi fecero con tutto l’impegno, giacchè oltre il desiderio di adempiere al sacro loro ministero, furono maggiormente interessati dalla inesprimibile afllizione della Dama, che, sebbene si mostrasse sempre in tutto rassegnata al [p. 65 modifica] volere di Dio, protestava essere questa la più dura prova a che fin allora fosse sottoposta la di lei costanza. Resa in appresso tranquilla col totale risanamento dell’infermo, non vi fu segno di riconoscenza ch’ella ommettesse di unire ai vivi rendimenti di grazie porti a quell’ottimo Principe e ai Professori, riguardati da lei come gli strumenti per mezzo de’ quali la Provvidenza aveva prefisso salvarle lo sposo; quindi si affrettò riedere in seno della famiglia, che la idolatrava per le virtù di ogni genere ond’era ella co piosamente adorna.

All’epoca stessa giorni più procellosi passava in Inghilterra la Principessa d’Este, divenuta Duchessa di Jork. Chè il Parlamento, o per meglio dire gl’inglesi avendo mal tollerato si compiesse il matrimonio di Lei cattolica manifesta con un Principe, qual neppur più la minima apparenza conservava di anglicano, si bene fecero supporre al Re, venisse dallo stesso principe diretto lo scoperto at tentato di ucciderlo, onde la nazione tornasse al cattolicismo, che Carlo, malgrado le prove dal fratello avute in mille incontri di fedeltà, par ne dubitassez giacchè mentre condannò molti congiurati, parte al supplizio, e parte allo esiglio, diè pure ordine al Duca di Jork di ritirarsi a Brusselles. Egli è dunque facile immaginarsi che la giovane Duchessa scrivendo a Donna Vittoria le pingesse la sua si tuazione angustiosa. Chè ben è dolce lo sfogo ad un cuore esulcerato! Riesce però ammirabile che la Dama d’onore per consolare l’esule afflitta, si arrecasse immantinente a Brusselles col marito suo, colà restando fin quando il Duca di Jork e la sua sposa ebbero ordine dal Re trasferirsi in Edimburgo. Ma questo èè poco: i torbidi dell’Inghilterra erano sempre crescenti. Il Re, ottimo privato, non fermo sovrano, indifferente per la nazione, dato alla [p. 66 modifica] mollezza, posto in non cale le leggi dello stato, credeva vedere in ogni suddito un cospiratore, diffidenza e falli che furono fomiti di reali macchinazioni. Successe a queste il rigore; e se ne incolpava la inflessibilità del Duca di Jork, sebbene stanzionato in Edimburgo. Si accrebbero allora i timori e le angustie della Duchessa che diresse lettere di nuovi lamenti alla Marchesa Davia, aggiugnendole ch’ella sola poteva apportarle qualche conforto. La nostra eroina, non concesse neppure al rapido pensiero di misurare il lungo viaggio. Considerò la triste condizione di chi vive in un regno di continue turbolenze, ove la frode, la prepotenza e la crudeltà vi pongono il seggio; ove spesso scorre sangue innocente; ove sempre è conculcato il debole, negletta la virtù, in ispregio la umanità; ove ogni cuore par si chiuda perfino a quel Dio di pietà, di cui in quel momento sente il giusto sì, ma inesorabile flagello, vibrato per mano dell’uomo. Tutto considera Donna Vittoria, non già per rattenersi, per volare invece a soccorso dell’amata padrona. Un pensiero l’afilisse: ricordò i figli e la provetta suocera; ma si rincorò pensando alla virtù de’ con giunti a cui restavano affidati, non meno che alla ferma difesa, per essi, da qual si fosse attentato, delle sante e benevole leggi che vigevano in questo governo; e forse per la prima volta passò con soddisfazione, come in rassegna, le molte dovizie cui restavan eglino in possesso, e ch’Ella posponeva all’affrontare di mille pericoli, per un’azione generosa.

Vinto ogni tenero affetto la Marchesa si pose in viaggio unita a Don Virgilio Davia, ammiratore dell’alto sentire di sua donna; e passando per Marsiglia nei giorni che un contrordine emanato da Luigi XIV proibiva agli Ugonotti di migrar dalla Francia, furono creduti Protestanti fuggitivi, [p. 67 modifica] per cui si presentarono all’albergo ov’erano alloggiati dodici arcieri condotti da un Esente, con l’ordine di arrestarli, avviandosi senza riguardo veruno alla stanza occupata dai conjugi; ma trovatili devotamente genuflessi d’innanzi ad un’immagine della Vergine Madre, portata sempre seco dalla Dama, fece l’Esente le più umili scuse con il Cavaliere bolognese per lo equivoco accaduto, e tutto confuso si ritirò. Questo aneddoto in cui splende la costanza della pia coppia nell’orare, si è addotto, perchè come il pittore deve valersi bene spesso di piccole linee per dare espressioni distintive alle teste che ritrae su le sue tele, cosi alle volte lievi circostanze contribuiscono più delle grandi a mostrare nel suo vero aspetto il carattere preso a descrivere. Il senatore e la degna compagna giunsero senz’altro inciampo ad Edimburgo, ove il Duca e la Duchessa di Jork li accolsero con amicizia, e con ricono scenza ancora, per la loro visita.

In effetto la Principessa aveva ben donde mostrarsi grata ad un animo affettuoso che volava a Lei, mentre la nazione Inglese si dibatteva per escludere il consorte suo dall’avito soglio, neppur contenta ne venisse dal re ristretto anticipatamente il potere, per quando avesse a succedergli; mentre la feroce baldanza degli eretici contro i cattolici, accrescevasi ogni dì, e minacciava ingigantire ancor più. Donna Vittoria sentivasi spezzare il cuore a tanti disastri, pure faceva animo alla Signora sua, ricordandole che nei perigli il piangere è vano, il disperarsi è dannoso. L’altezza vostra, dicevale, agisca con rettitudine e forza fin che può, si consoli di ciò che le resta, si rassegni ove tutto mancbi. Non tralasci applaudire nel Duca suo sposo e ne’ grandi che lo sieguono la fermezza con cui ora altamente confessano la cattolica dottrina, e ripeta loro, [p. 68 modifica] come fa, che a Vostr’Altezza non dorrebbe perdere e vita e Trono, ma l’ucciderebbe il pensiero di perdere lddio. Queste parole però non debbono solo essere proferite con forza, debbono addimostrare un cuor fermo, su di una fronte serena: che ciò che si vede, è ciò che persuade. E niun riguardo faccia menomamente transigere l’Altezza vostra da ciò che prescrive la religione in cui ebbe la sorte di nascere; giacchè Iddio che segno per l’Inghilterra nella reale vostra Persona la Ester de Cristiani, le chiederà se veramente se l’Evangelica legge che decantava seguiva co’ fatti, mentre ove questi manchino, nulle, e ſors’anco a riso, muovono le vane parole. Con queste, ed altre esortazioni di non dissimile tenore, la saggia dama inſondeva nella abbattuta Duchessa quel vigore di cui abbisogna chi senza molte speranze di esito felice, restale ad agire per serbare la propria coscienza illesa dal rimorso: quando il Duca venne dal re chiamato a Londra con la sposa.

Il Senatore Davia era rientrato in patria con la consorte, e questa pensando di non lasciare mai più l’amata sua famiglia aveva con calore riprese tutte quelle pratiche di pietà commutate in altre, a seconda le imponevano le circostanze.

Nè scorse molto che Carlo II. venne a morte improvvisa, non però tanto repentina da togliergli prima di spirare poter dichiararsi cattolico; come confermarono i fogli pubblicati in appresso dal Duca di Jork suo fratello, quale malgrado i differenti partiti dei sudditi, salì al Trono d’Inghilterra col nome di Giacomo II, generalmente acclamato. Un tale felice successo riempiè di gioia Donna Vittoria che scrisse lettere di vero congratulamento alla nuova regina. Ella era accorsa ne’ perigli, ne’ lieti momenti spediva un foglio! Sua Maestà Maria Beatrice aggradiva i sensi dell’antica [p. 69 modifica] sua Dama d’onore, e mai lasciando di richiamarla in corte la informava della tranquillità che sembrava voler felicitare il regno d’Inghilterra. Tranquillità che potevasi credere non peritura; giacchè, quantunque il re e la regina andassero pubblicamente a messa, quai sovrani cattolici; e più innanzi Giacomo inviasse un Ambasciatore a Roma ricevendo poi il Cardinal Nunzio nel castello Windsor con il cerimoniale usato dalle cattoliche corti; nullostante contenta la nazione che il Monarca al suo primo calcare il soglio avesse assicurato in Parlamento di mantenere le leggi dello stato, e della chiesa stabilita, si videro gl’inglesi starsene tranquilli, dando di più, in vari incontri al nuovo Sire prove di attaccamento. Ma quando l’affezione dei sudditi scemò per Giacomo, perchè nella vittoria riportata sopra il Duca di Monmout, aveva mostrata troppa severità ( che qualche suo favorito portò sino alla barbarie ) e quando poi il santo suo zelo per la vera fede lo esaltò, quando.... tutto insomma contribuiva ad accendere guerra fra la co rona e la Chiesa Anglicana, il Parlamento mal nascose la sua rabbia; i nemici esterni accordarono con i malcontenti interni, e tutto annunziava lo scoppio vicino; ecco di nuovo la povera regina non più invitare, pregare e scongiurare l’amica sua di non abbandonarla.

Donna Vittoria, ch’erale oltre ogni dire affezionata, sen tiva estremo cordoglio per la funesta notizia delle nuove sciagure; d’altronde, Ella non poteva più partirsi col consorte suo, ritenuto in patria da domestiche cure, e dolevale abbandonare l’educazione de’ suoi figliuoli, su cui molto invigilava. Mentre affetti si potenti facevano in Lei cruda lotta, le lettere della regina divenendo sempre più pressanti, decisero il Senatore Davia di far forza a se stesso col consigliare e persuadere la ben amata sua compagna [p. 70 modifica] di portarsi in Londra con il proprio fratello Marchese Raimondo Montecuccoli, da dove si sarebbero tolti entrambi, appena Sua Maestà fosse alquanto tranquilla: condiscese la pia signora ed immersa nell’afflizione parti.

La nostra matrona e fratello, nello sbarcare al porto di Dover furono incontrati dalle genti della regina, colà spedite accið li scortassero fino a Londra: quivi la Sovrana: dopo le più tenere espansioni di gioja alla vista della sua fedele, ordinò tosto venisse a questa mostrato il reale suo figlio, avuto da sei mesi (3) partecipandole con rammarico, come il partito avverso al re avesse osato dirlo un figliuolo supposto. La Maestà Vostra, disse la dama, perdonerà, sono certa, agl’infelici ch’ebbero duopo ricorrere a questa supposizione, come uno di que’ pretesti che i perversi vanno mendicando per adonestare agli occhi degli altri le perfide loro azioni; non meno che onde far tacere, se fosse possibile; i rimorsi co’ quali il padre celeste cerca richiamare alla virtù i colpevoli: Maestà, la miseria loro non merita compas sione? Oh si! disse la regina, e per amor vostro, fo anco di più, io gli perdono, e pregherò per essi; quindi, venite le disse, e la presentó Ella stessa al Monarca, che Donna Vittoria ebbe il conforto trovare ognor più costante nel cattolicismo, e pronto seguire le orme della bisavola sua, che abbandonò la corona di Scozia, ma non la religione degli avi.

Era questo lo stesso punto in cui il re disingannato, riconosceva per capitale nemico il principe di Orange, suo genero; quale temendo dichiararsi apertamente usurpatore del diritto degli Stuard, presentavasi all’Inghilterra a mano armata, come sostenitore della religione Anglicana, avendo con sediziose voci sollevata la nazione, guadagnato ogni partito, corrotte le truppe: Giacomo tradito dal proprio [p. 71 modifica] sangue, abbandonato da tutti, sentendo che il popolo accla mava Guglielmo ( principe di Orange ) loro liberatore; e i soldati tutti infedeli, proferì queste celebri parole,, Quelli che vogliono passare dal lato dell’usurpatore si dichiarino; io li provvederò di passaporti per risparmiare ad essi l’ignominia di tradire il legittimo loro sovrano. Di poi vedendo che nulla restavale a tentare, pensò im mediatamente a porre in salvo la regina, e il reale infante; e senza perder tempo chiamati a consiglio i pochi affezionati che restavangli, si deliberò la fuga di sua Maestà Maria Beatrice e del figlio per l’Ave Maria dello stesso giorno, aſlidandone la condotta al conte Lauzon, cavaliere francese di sperimentato valore. Sol pochi momenti prima ne fu fatta consapevole la regina, con l’ingiunzione del più rigoroso segreto permettendosele appena parteciparlo alla fida Marchesa Davia; ed ella per non trasgredire al comando, nel comunicare il progetto alla Dama, le impose di tutto tacere, perfino col fratello suo, marchese Montecuccoli. A quest’ordine inaspettato Donna Vittoria impallidì, pensando al periglio in cui lasciava esposto il fratello senza dirgli addio: poi riflettendo che in quel momento v’era da paventare assai dovunque, Ella con eroica virilità rispose alla regina: ebbene, in tal modo io affronterà i pericoli con la Maestà vostra, e mercè l’assistenza del cielo, mi sarà dato l’onore salvare fra le mie braccia il reale pargoletto, mentre mio fratello, ne sia certa, Maestà, difenderà fino all’ultimo anelito il Monarca dalla furia di coloro che altamente gridano e giu rano lo sterminio de’Papisti. Un amichevole abbraccio si fu la risposta, e il compenso che in quel momento potè darle la commossa Sovrana. Venne la sera: il conte di Lauzon fece preparare tre vetture in tre diversi punti. La Regina e Donna Vittoria uscirono insieme; la prima in abito negletto, la [p. 72 modifica] seconda travestita da carbonaja portava rinchiuso in una scattola, delle grandiose parrucche d’allora, l’infante reale. Erano desse di poco precedute dalla governante di Sua Maestà, dalla nutrice del principe, e da un certo Francesco Riva bolognese, provveditore di guardarobbe della re gina, il quale vedendo che un uomo ebbro dal vino, stava con lanterna in mano spiando chi passava, l’accorto bolognese finse di urtarlo, onde cadendo le si spegnesse il lume; ciò ottenuto lo sollevd, con amorevoli parole fecelo tacere, e con qualche moneta gli riesci si ritirasse. Quando poi tutti furono in carrozza, ebbero l’incontro di certi carattieri che volevano impedir loro il passaggio, gridando ad alta voce, esser quelli Papisti fuggitivi, e conveniva ucciderli; ma il conte di Lauzon facendo prudentemente divergere le vetture dalla strada maestra, potè scampare da coloro, e per vie meno battute si ridussero salyi al mare, ove li attendeva il resto della comitiva. Ivi tutti uniti s’imbarcarono sopra di un Fact destinato all’uopo: meno un cavaliere che volò a portarne l’avviso al re.

Mentre veleggiavano verso Cales, Donna Vittoria sta vasi teneramente a consolare, confortare, rassicurare la re gina. Ella addimostravale, che se veniva di perdere cose caduche, avendo tutto abbandonato per la causa di Dio, acquistava presso di lui un merito incalcolabile e non perituro; e d’altronde non essendo la posizione che rende grande l’uomo, ma la virtù, può egli con magnanimi tratti sfolgorare di gloria sia scettrato o servo, purchè servo non sia del vizio, e conservi quella rettitudine donde trarne la nobile alterezza di poter fissare lo sguardo nel nemico suo, qual tuttochè orgoglioso, e di fallaci onori ricoperto, si smarrisce al vedere la propria vittima resa nella sventura più salda e franca, e che può dirgli, arrossisci! Ed è falso [p. 73 modifica] si perdino nelle avversità gli amici, che anzi le sventure nostre li rendono più a noi affezionati, ma soltanto ci la sciano coloro che in noi amavano il rango nostro, o l’utile proprio, e questi, conosciuti prima, noi avremmo paventato, e sdegnato appressarli. Ed infine può sempre rinvenirsi felicità, ove non è rimorso, dunque conviene sperare conseguirla» per quanto lice su la terra da quel Dio che tutto fa per nostro bene. Passato quel tragitto di mare, non senza tema di essere inseguita dagli eretici, Sua Maestà posando piede in Cales, gridò ad alta voce, Iddio sia lo dato e dopo aver generosamente compensato il capitano del Fact, si avviò alla chiesa de’ Cappuccini ad ascoltarvi la messa, volendo vicino a sè ne’ balaustri Donna Vittoria, ricusando fra esse qualsifosse distinzione. E se da questo momento cessarono alcun poco i timori della profuga corona ta per veder in salvo il figlio e se stessa, anco per trovarsi in una terra, che a mano a mano più in essa s’inoltrava vedeva prodigati onori e riguardi alla reale sua persona, dal che poteva conoscere quant’era a ripromettersi da Lui gi XIV. alleato dello Stuard; Donna Vittoria ancora, unica, indivisibile compagna di carrozza della Maestà Sua, ebbe il contento veder giugnere in Boulogne di Piccardia, forier del non lontano arrivo del Monarca Inglese, il fratello suo, quale dopo gentile rimprovero perchè era fuggita da Lon dra senza fargliene cenno, si rallegrò seco lei della maschia sua generosità.

La corte Brittanica dell’esule Sire, stabilita a s. Germano dal re de’ Francesi, godeva di tutte le dimostrazioni proprie di quel regnante, di quel secolo, di quella nazione; quando solo per Donna Vittoria si mostrò un orizzonte poco sereno. L’amorevolezza e gli onori con cui era stata ac colta in Francia la salvatrice del piccolo Stuard, avevano [p. 74 modifica] svegliata ne’ cortigiani di Luigi XIV tale gelosia, ch ’ essi credettero non potersi più dire i soli favoriti, finchè senti vano decantare di Lei l’ingegno, la forza d’animo, la illi batezza de’ costumi, e sopra tutto, unita al disinteressato attaccamento per la bandita Stuarda, la rispettosa schiettezza, con che consigliavala. Si direbbe che esaminando que’ grandi il loro cuore, ne scontrassero troppo deciso contrap posto! Il fatto fu, che trovando eglino la Marchesa Davia incolpabile sott’ogni aspetto, divisarono far credere al re, ch’ella non poteva nutrire se non sentimenti ostili per la corte di Francia, sendo nata in una famiglia tutta ligia alla casa d’Austria, e le assegnarono quasi a colpa la strelta sua parentela con il maresciallo Montecuccoli competitore distinto del loro Turrenna, il titolo di nipote che la univa al maresciallo dell’Impero conte Enea Caprara, e di più, il vincolo suo di cognata coll’Internunzio di Brusselles, Abate Davia Prelato distintissimo, del cui zelo pel Ponte fice n’ebbe a temere la Francia. Insomma nulla si risparmiava dai scaltri, per indurre il re ad ordinarle evadesse dallo stato. Appena però tai maneggi furono noti alla regina d’Inghilterra, conscia com’era del benigno ingegno della fida sua dama, la giustificò prima con ogni calore, poi se ne rese mallevadrice ella stessa presso il re cristianissimo: e forse sarebbe svanito ogni mal umore se un’altra circostanza non avesse contribuito a prolungarlo. Il re di Francia aveva ordinato al sig. di Saint Olon di guardare a vista il Cardinale Angelo Ranuzzi (4) da Bologna, perchè essendo in qualità di Nunzio incaricato dal Pontefice Innocenzo XI di trattare con S. Maestà l’affare delle Regalie, l’Eminentissimo Principe non piegavasi al volere di Luigi XIV. Or la Marchesa Davia portatasi ad ossequiare il Cardinale, con cittadino e conoscente, lo trovò guardato dal cavaliere del [p. 75 modifica] Re, che fece sentir loro parlassero il francese, o almeno un buon italiano, da lui inteso del pari; ma il Porporato e la Dama anzichè accondiscendere parlarono il dialetto bolognese si strettamente, ch’ei non potè capirne una parola. Perocchè adirato il Signor di Sant’Olon, ne fece rapporto alla corte, che viemmaggiormente divenne severa verso la bolognese matrona, passando a squittinio ogni azione sua, ed aprendo qualsifosse foglio a lei diretto; fintanto che, riconosciuti mal fondati i loro sospetti, le ritornarono quella fiducia e stima di cui era sì degna.

Nè farà meraviglia sentire foss’ella cagione di gelosie nella ristretta corte Britanna, per le particolari distinzioni con che la regina solea onorarla in guiderdone de’ meriti suoi. I vili malevoli adoperarono le solite armi della mal dicenza, per nuocerle nell’opinione della Sovrana; ma era dessa di troppo buon senso dotata, per non esaminarne, e riconoscerne la fonte, e la sempre eguale condotta della illibata Dama fu lo scudo ove si spezzarono gli strali de’ calunniatori, a’ quali non restò che il rossore di aver ma nifestata la vituperevole loro invidia

Nuova sventura e più dolorosa soppraggiunse alla buona signora. Il di lei primogenito Giovan Battista militava nella Transilvania in qualità di Generale, Ajutante del Maresciallo dell’Impero, Conte Enea Caprara suo zio, quando trovandosi in marcia per onorevole spedizione, fu assaltato da 500 Tartari, che dopo essersi fieramente bat tuti, poterono, senza molta loro gloria, dirsi vincitori del giovane generale seguito soltanto da quindici suoi domestici, fra’ quali uno ebbe la fortuna salvarsi fuggendo, e apportare l’infausta nuova al campo Cesareo, mentre il Davia ſu condotto schiavo a Costantinopoli; e siccome venne colà riconosciuto da un suo patriota, pur schiavo, che manifesto [p. 76 modifica] l’alto grado di lui, rimase direttamente al Gran Sultano, che lo fece racchiudere nelle sette Torri. Saputasi dalla madre sua la dolorosa catastrofe, non si può dire, s’ella più agisse, o più orasse; giacchè egli è vero che ricorse di subito alla stretta amicizia che legavala con la celebre madama di Maintenon ( 5) acciò inducesse Luigi XIV ad interessarsi col Gran Signore per la liberazione del figlio, e che i buoni uffici di quel monarca riescendo infruttuosi, si rivolse Ella al Re di Polonia, e infine al medesimo Sultano; ma è impossibile noverare e descrivere le opere di pietà d’ogni sorta, con le quali intendeva chiedere a Dio la libertà pel caro figlio suo. La Dio mercè, dopo quattro anni il giovinetto marchese fu tolto dalle mani di que’ barbari (6), e allora la pia matrona volse gli atti di preghiera in non meno fervidi atti di ringraziamenti al Dator d’ogni bene.

Il re e la regina d’Inghilterra avevano fregiata questa eroina dei titoli di contessa d’Almond di Pari di Scozia, e scrivendole la onoravano del titolo di„ Cugina,, ( onori tutti a tutta la famiglia Davia partecipati e conservati ), per cui ella non azzardava chiedere il permesso di assentarsi qualche poco dalla corte, sebbene molto desiderasse arrecarsi in seno alla famiglia; ma allorquando il Senatore suo marito le manifestó con una lettera vivo desi derio di rivederla, la saggia moglie, calcolando quest in vito come un comando, supplicò la sua padrona le permettesse compiere anco a questo sacro dovere: e la regina dovè concederglielo, riportando promessa sarebbe tornata a Lei.

Gli elogi della gran Dama echeggiavano ovunque, di modo che le corti di Torino, di Parma e di Modena ne festeggiarono splendidamente il di lei passaggio; ma Bologna ebbe campo persuadersi che quanto di essa dicevasi [p. 77 modifica] era inferiore a veri suoi meriti, ammirando come docil mente e con compiacenza piegavasi ai voleri del marito, più assai che non sogliono le altre spose. In quanto al resto basterà dire che il suo esempio era il più eloquente invito ad ogni virtù. Non veniva però concesso alla patria e alla famiglia goderne a lungo, stantechè sua Maestà Maria Bea trice richiamavala con sollecitudine, e il Marchese Virgi lio Davia non sapeva niegare a Colei ch’era oppressa dall’infortunio il sollievo di chi chiamava tenera amica.

Tornò dunque Donna Vittoria a S. Germano, nè po teva giungervi più in tempo, perchè oppresso Giacomo II. non tanto dagli anni quanto dalle sciagure, cessò di vivere lasciando l’infelice regina senz’altro conforto che la sua Dama, la sua compagna, l’amica sua: questa andavale ripetendo che chi perde tutto per Iddio, tutto centuplicato trova in Dio, che il re Giacomo aveva perduto una corona in terra ed era volato a cingerne una in eterno nel cielo, da dove se non otteneva ricuperasse il figlio suo Giacomo III il seggio d’Inghilterra, più luminoso glielo avrebbe inter cesso al suo fianco.

Ma pur troppo anco quest’ultimo conforto doveva cessare alla vedova del misero Monarca >, che infermatasi gravemente Donna Vittoria, i medici di corte troppo tardi si avvidero aver errato nel curarla, e peggiorando di giorno in giorno arrivò ai preludj di vicina morte. L’inferma con tutta rassegnazione si preparò al tremendo passo, santamente come aveva fin allora vissuto, e sebbene estenuata di forze volle ricevere il Santissimo Viatico genuflessa al suolo, e con tanti sentimenti di compunzione da commoverne immensamente tutti i circostanti. Poscia rice vuta la strema unzione, proferendo i nomi di Gesù e di Maria, placidissimamente rese la sua bell’anima alCreatore, il giorno di Venerdi 13 Aprile 1703. [p. 78 modifica] Dopo non molto nella Chiesa Parrocchiale di S. Germano, ergevasi su le ceneri della esimia, nobile mausoleo, con una lapida che è il compendio dei più grandi, dei più sen titi, dei più onorevoli elogj. Questa testimonianza di amore, di riconoscenza, e di munificenza lo consacrava la regina d’Inghilterra alla fida, saggia, amorosa, e amata sua Dama d’onore Donna Vittoria Montecuccoli Davia. [p. 79 modifica]

NOTE


( 1 ) Giovan Battista Davia marito di Porzia Ghisilieri dottissimo ed integerrimo Giure consulto, citato dall ’ Orlandi. Gio. Antonio Cardinale uomo dottissimo nelle scienze Eccle siastiche e civili; grande politico nel trattare gli affari della chiesa nelle gloriose nun ziature sostenute in tempi difficilissimi ( Ottieri. Stor, delle Guerre di Europa ) corrispose coº primari uomini, scienziati, e di lettere del suo tempo, e generosamente li protesse, avendo inoltre fondata in Bologna un’accademia, della quale essi fecero parte. Assunto al Vescovado di Rimino, e fatto Legato a Latere di tutta la Romagna, a proprie spese aprì Licei, e chia mò a sè uomini distinti a leggervi su le cattedre ad instruzione de ’ suoi riminesi. L’amore degli studi della veneranda antichità, fece sì che proteggesse i primi archeologi di quel tempo, Camera d’iscrizioni sepolcrali dei e la grand ’ opera di Monsignor Bianchini, col titolo di Liberti ecc. d’Augusto fu pubblicata con generose sovvenzioni del Cardinale. Il Marchese Filippo di lui nipote si distinse nella via delle Armi ai servigj dell’Imperatore, e Francesco in quelli del regno di Spagna ( Storia delle guerre di Spagna col Portogallo ), Giuseppe di lui pronipote fu versatissimo nelle matemaliche, e lettore a Trento: si distinse nelle militari discipline, e stette in qualità di Colonnello Generale dell’Artiglieria, e cuoprì altre lumi nose cariche.

( 2) Fratello di Carlo II della infelicissima stirpe degli Stuardi.

(3) Fu pubblicamente battezzato come cattolico, ed ebbe a padrino il Pontefice. Dopo la morte del padre fu a S. Germano proclamato Re di Inghilterra chiamandosi Giacomo III; ma ogni tentativo per ricuperare il Trono degli Avi tornandogli vano si trasferi in Roma, ove stette sino alla morte in compagnia del Cardinale di Jorck suo fratello.

(4) Moltissimi soggetti somministrò la città di Bologna alla Europa nello scorrere del XVII secolo, celebri nelle scienze, nelle lettere e arti, nelle armi, e nelle scienze ecclesiastiche, e politiche. Tra questi ultimi si distinsero e s’acquistarono onore grandissimo il Cardinale Ranuzzi, Monsignor Pietro Bargellini, e Monsignor Gio. Antonio Davia poscia Cardinale, nelle difficilissime loro nunziature in Francia, nel Belgio, in Vienna ed in Polonia.

( 5) Di madama di Maintenon donna di grandi virtù, e celebre nella corte di Luigi XIV, se ne legge l’elogio nel libro che ha per titolo: Dictionnaire des Femmes célébres. Tom. 2. pag. 210. à Paris chez Belin et Volaud 1788. in 8.° La famiglia Davia possiede il carteggio autografo diretto dalla Maintenon a Donna Vittoria, scrittole dalla Corte di Versailles a S. Germano: lettere che sono inedite, e non fanno parte di quelle di questa Dama pubblicate colla stampa in 9. vol. in 12.

(6) Dopo il di lui riscatto passò sotto il comando del Principe Eugenio di Savoja, col titolo di Ajutante Generale di cavalleria; e mori in campo dopo un fatto d’arme, in età freschissima

l’anno 1705. Conservansi dalla nobile famiglia sua alcune lettere autografe del principe Eugenio di Savoja, dirette al marchese Gio. Battista Davia.. [p. 82 modifica] [p. 83 modifica]

MARIA LUIGIA PIZZOLI


L’età precorse e la speranza; e presti

Pareano i fior, quando appariro i frutti..

 TASSO.

Delizia dei conjugi Luigi Pizzoli bolognese,, e Cristina Baldini ravennate, cresceva unica figlia superstite ad altre due, Maria Luigia, nata in Bologna li 10 febbraio 1817; e i primi scorgendo in lei tale ingegno che il seme del sapere vi avrebbe molto bene fecondato, le appresta rono tutti quei mezzi di coltura addicenti alla civile lor condizione.

Luigia era gentile, di grato aspetto, ed aveva sortito, in carattere quella cara vivacità che ad uno scontrare di ciglio spiega la mente perspicace, la schiettezza del cuore, la forza degli affetti. Al riflesso della ilarità che irradiava quel volto vi si scorgeva la fiducia di un animo bello che per non sapere agir male, crede sieno i malvagi sì pochi e tanto conosciuti da ritenere inutile l’avvedutezza, onde sfuggire all’empie loro trame; e per modo dessa fu sempre rispettosamente amorosa in verso i genitori suoi, che sol per compiacerli attese ai primi ammaestramenti in cui si [p. 84 modifica] volle applicata. Di poi com’ebbe nella tenace sua memo ria impresse le prime cognizioni, procurossene da sè sola delle altre, e contava appena due lustri, quando già in noltrata nello studio del proprio idioma, da lei prettamente parlato e scritto con elegante proprietà di voci, possedeva la lingua francese, nè stavasi digiuna della cosmologia; ma si volle sciente e sicura per modo in fatto di storia sacra e profana, che trovandosi a caso testimonio di raziocinj su tal genere fra uomini eruditi, ella più e più fiate suggerì e fatti e soggetti e date, senza oltraggio di sincronismo, con quella incontrastabile sicurezza che si acquista mediante lo investigare molti storici, dopo averli imparzialmente confrontati fra loro con sano acume e pazienza: cosa che per l’età sua riesciva, più che mirabile, incredibile.

Ognor pronta e sollecita sarebbesi rimproverato a fallo, scansare gl’incarichi che al gentil sesso si convengono; e lungi dal sollazzarsi in puerilità nelle ore concessele a ricreazione, erano suoi giuochi i vaghi ricami a variopinte margarite, come pure imitare, con la stessa materia, rame di fiori, cui soltanto il peso vitreo avverte che vi si cercherebbe inutilmente la fragranza. Nulla era a lei difficile: cosicchè questi per se stessi facili lavori portò non solo ad un grado di rara perfezione, ma esaminandone i disegni a suo talento corretti, il bel contrasto dei colori deli catamente vivaci, ed un chiar ’ oscuro il più naturale, con viene ciascuno travedersi molto bene in essi, maestra e vigile la mano, delicato il gusto, ragionata la fantasia di chi li trattò. Ben meritano questi lavori la molta cura con cui sono conservati da coloro che dalla rara fanciulla li ricevettero in dono.

Agognava pur anco Luigia conoscere a palmo a palmo [p. 85 modifica] la propria patria; per cui ogni qual volta giva, com’era di suo costume, a diporto col padre ( 1 ) pregavalo all’escire di casa la conducesse ove si ammirassero oggetti di belle arti, o in qualche luogo di storiche ricordanze, acciò le esistenti moli fossero punti di appoggio alla sua memoria per più chiaramente ritenere le vicende e lo assieme di questo popolo. E da sagace com’era frequentò in ispecie uno degli edifizi più eloquenti a ricordarci di molti secoli non solo di Felsina, ma di Romagna intera, ma d’Italia . Bene spesso videsi così tenera bolognese percorrere que’sette Santuari distintamente denominati, che formano sotto un sol tetto, in un sol tempio l’antica Basilica sacrata al Pro tomartire Stefano . Accennava ella con precisione il magnifico capitello e i bei marmi disposti nella chiesa dedicata a S. Pietro come avanzi della Cattedrale fatta ergere su la strada Emilia, poco lungi da Bologna, dal suo santo Vescovo Zama, e che devastata dagli Ungari, n’ebbe la pre sente il nome e gli onori in meno pericolosa situazione . Da essa chiesa ponendo piede Luigia nella contigua detta del Calvario, pareva indagare se fu veramente Tempio d’Iside, ovvero se ne ponesse la prima pietra il santo Vescovo Petronio; nè stayasi muto il cuor suo innanzi il di Lui sepolcro che avrebbe richiesto più onorato e come santo e come tal Pastore, non già curante gli agi proprj, ma il bene e l’ingrandimento del suo gregge. Nella chiesa de’ Confessi diceva essere compresa da tanto religioso sentimento al pensiero dell’immenso novero delle sacre reliquie ch’erale impossibile occupare sua mente di estranee ricerche. Trapassando la chiesa detta dell’Atrio sdegnavasi perchè con mal intesa denominazione si dica di Pilato il grande Catino di marmo offerto in dono dal buon re Liutprando e dal nipote Ildebrando; ai quali sapeva rimasto [p. 86 modifica] il dominio di Bologna e d' Imola dopo perduto il restante della Romagna , poco prima da essi tolta all’Esarca Paolo che in Ravenna tiranneggiava la stessa terra donde traeva sostenere i cadenti resti del Romano Impero. Leggendo quivi pure la inscrizione sopra la porta che mette nella destinata residenza della compagnia de' Lombardi, rammentò le intestine guerre e i divisi partiti che pur troppo danno di una nazione la stessa idea che colpirebbe , se dopo aver veduto un uomo robusto e forte, ci si presentassero poi sue membra segno di anatomico studio. Ma seguire la gentile donzella nei quattro altri annessi Templi sarebbe oltrepassare i prescritti limiti ; giacchè scolpite aveva in sua mente tutte le registrate sorti a cui fu sottoposta questa Gerusalemme del santo Petronio , non ignorando l'incendio degli Unni, gli oltraggi degli Ariani e degl Iconoclasti; e del pari conoscendo che una prudente misura volle murata e ripiena di terra per circa 62 anni la chiesa di S. Pietro quale fin allora aveva attirati pellegrinaggi da ogni banda. Dopo aver dunque osservato quanto bramava , ella stringeva dolcemente il braccio al suo compagno , accordando uno sguardo pieno di riconoscenza a queste parole Grazie,, padre mio , grazie , così non abbiamo perduto il tempo,,: e pareva aggiugnesse , anche il tempo è un frumento che gittato fra sassi non dà alcun frutto.

Egli è facile indovinare che l'amoroso genitore colmo il seno di compiacenza verso la sua diletta stavasi intento spiarne ogni brama desioso prevenirla; ‬e così avvedendosi che la figliuola tendeva alla musica, ſecesi tosto per appagarla a tutto disporre e le assegnò maestro Giuseppe Pi lotti distinto professore di contrappunto nel pubblico Liceo di questa città , di esso ancora diletta patria . E per la giovanetta divenuta delizia il nuovo studio, non tardò presentarne [p. 87 modifica] rapidi progressi al Pilotti che fece plauso alla somma ri tentiva e discernimento dell' Alunna, per cui non era duopo con Lei il ripetere le correzioni e gli avvertimenti. Grande però si fu la sorpresa del Professore quando contando appena dieciotto mesi de' suoi ammaestramenti alla Pizzoli , la sorprese un giorno che abbozzava dei preludj. Non cre dendo quasi a se stesso ne la richiese donde avesse tratte quelle note; ma fatto certo dal confuso rispondere della discepola ch'erano creazione di sua giovane mente, cors' egli in traccia del di lei padre , e stringendole la mano le disse Amico , vostra figlia è un genio : per l'amore dunque che porto all'arte mia , io vi scongiuro permet termi l'istruisca nel contrappunto : la sua riescita è infal libile,,,‬

Appena Luigia udì concederle il padre si applicasse al contrappunto diedesi a tale arte come chi sente poter divenire artista, e che vuol divenirlo. Ma poichè in progresso la salute del Pilotti lo impediva spesse volte di portarsi dai proprj scolari , Egli stesso propose al Pizzoli di prendere un ripetitore , onde la sua Alunna avesse le regolari lezioni almeno per il piano-forte. Per lo che venne scelto il signor Gaetano Magazzari. L' alacrità nello studio , l'abbandono di tutto ciò che poteva distornela , l' attenzione e docilità ai suggerimenti dei maestri furono i primi suoi passi . Amava l'arte più di se medesima: e cercandone ovunque il vero bello , non curante carpire a danno di essa stolti applausi dalla moltitudine , mirava coi profondi musicisti mostrarne le sane e ragionate bellezze. Al piano -forte divenuta ben presto emula dei più celebri pianisti , ebbe singolare magistero pel retto accordo delle varie frasi sia con la dolcezza , sia con la forza, cui ne animava le note; ma eccola guadagnarsi più bella palma: eccola compositrice, appena [p. 88 modifica] sedicenne. E se dessa non veniva colpita da inaspettate malattie, tra pochi mesi poteva gloriarsi di essere ammessa fra il numero dei maestri numerarj di Contrappunto . Eppure senza inorgoglire traeva ogni contento dalla pre diletta sua occupazione, standosi ritiratissima e cognita a pochi. Quando tutto ad un tratto nel 1836 viene assalita da complicata malattia proveniente da retrocessa traspira zione , ed emettendo dal petto qualche poco di sangue fece spesse fiate temere di sua vita . Se non che le somme cure di un Padre, che forse non ebbe pari , accanto a innarri vabile unica figlia, e l'arte medica , poterono conservarla ancora ai viventi, e lasciare credere vinto il malore.

Intanto un foglio di Bologna portava questo brano : ,, Fupure accolta con molto favore la bellissima sinfonia scritta dalla giovanelta amatrice Maria Luigia Pizzoli , ed ese guita da quest orchestra. La è di un genere che piace anche a più schifiltosi ; poichè in mezzo ad un lavoro studiosissimo, non è mai dimenticata quella melodia che l'orecchio italiano dimanda , e che forma l ' incanto della musica.,,

Quindi i meriti della Pizzoli essendo noti ad esimio Cava liere profondo conoscitore di musica , di essa direttore nel Casino di Bologna , quale fra i distinti virtuosi di tal genere che qui con non mai abbastanza commendato zelo aduna , vi chiamò pure con gentile viglietto del 21 Febbraro 1837 la giovanetta, pregandola accompagnare col piano-forte il primo arpista italiano,, cosi allettando la scielta società collo sfogio de’ loro pregi mostrassero ai seguaci di Talia fin dove possono giugnere.

Ella v’intervenne: e al suo primo apparire tutti gli sguardi della colta adunanza furono, come suole , rivolti verso l'avvenente concittadina che se le presentava per la prima volta, e per la prima volta questa società era intenta giudicarla [p. 89 modifica] non solo come esecutrice, ma come compositrice ancora . Modesta, e null’ostante sicura di se stessa esegui la don zella al piano-forte ( ove il distinto maestro bolognese Cor ticelli facevale da secondo ) una suonata a quattro mani da lei composta . Tutti a unissono ne applaudirono la bella compo sizione, non meno del metodo nuovo e sentito dell’eseguire, portando a cielo e all’entusiasmo questo nuovo pezzo, co me avvenne pel secondo accompagnando l’Arpa. Il giorno dopo mentre ognuno parlava della singolare fanciulla, i fogli ne stampavano energici elogi, ed ella riceveva una lettera dagl’Illustri Cav. direttori la suindicata società del Casino che comprovavale in quale stima si tenne il,, sommo suo valore nell’arte musicale per cui erasi giustamente attirata l’ammirazione di tulli,, E siccome udita una volta la sciava maggior desiderio di sè, dovette pure aderire nel susseguente mese di suonare nel privato Teatro Loup fra gli Accademici Felsinei, che primeggiano in questa nazione stanza e culla d’eletta musica. Come l’artista nostra fosse accolta, salutata, applaudita, festeggiata, rendesi impossibile descri verlo; ma pur troppo ch’ella fu per l’ultima volta testi monio delle affettuose espansioni dei cordialissimi suoi con cittadini; giacchè solo giacente poté udire il racconto dei molti evviva portati al suo nome.

Ecco però la buona figliuola ricadere inferma co’ sintomi del primo malore, e per più di nove mesi essere bersaglio di ogni corporale afflizione. Eppure anche in questo ci presenta un perfetto modello di anima cristiana . llare, tranquilla, rassegnata, soffre tutte le pene della lunga malattia coi sentimenti del cuore in cui signoreggia religione. Senza sgomentarsi nota i progressi del male; a suo tempo chiede i divini presidii, a Dio raccomanda se stessa, da Lui intercede calma allo acerbo dolore dei due [p. 90 modifica] esseri, che drizzandola al bene, alla virtù, sono causa be nedica la vita ricevutane ; đono che troppo funesto sarebbe . se in questa non fossimo guidati meritare perenne guider done, dopo le comuni sventure.

Luigia passa sei giorni che tiene in forse se giugne alla sera. Ma dessa è ancora artista ! e mostra la morente fanciulla che chi ama la virtù non solo la siegue, ma la protegge , la incoraggia. Sempre in piena calma di sensi, an zichè farsi rimprovero , può ricordare e ricorda di aver col tivata un'arte che eleva lo intelletto , ingentilisce il cuore; che questo e quello occupati danno più difficilmente ricetto a bassi pensieri , a brame non sempre irreprovevoli . Che però , tanto giusto è il detto generi l' ozio il vizio , quanto che abbisogna di essa anco il bene perchè si segua . A tali riflessioni quasichè l'arte che avevala portata a singolare carriera la inspirasse ancora a cose elevate e singolari, immaginò un atto non ancora ideato in Italia. Postasi franca a sedere sul letto , strette fra le quasi gelide sue mani quelle del padre , suo fido assistente , disse averle a chie dere una ultima grazia . Alla risposta del semivivo genitore, che la rendeva arbitra del proprio avere Maria Luigia Pizzoli institui annuo PERPETUO premio in contante da distribuirsi dall' Accademia Filarmonica di Bologna per que giovani studenti , non escluse le donne , che avessero fatto più bella Fuga nel dare l'esame di Maestri di Con trappunto , Di poi fattisi arrecare i monili di cui orna vasi li allegò spartitamente ai suoi maestri . Ciò fatto alzò le mani al cielo ed esclamò,, Sia benedetto Iddio, e i miei Genitori

Tre giorni dopo , cioè il 10 gennaio 1838 questa rara fanciulla spirò placidamente abbandonata su le paterne braccia. Fu pianta non solo da tutti i suoi concittadini , ma da [p. 91 modifica] chiunque la conobbe di persona o per fama ; e sebbene sieno scorsi già otto anni dachè non è più , ognuno ne conserva in suo cuore grata e viva ricordanza per il raro complesso di sua virtù. Le di Lei inedite opere , stampatesi poscia a Milano nel 1840 (2) , e la memorata istituzione tramanderanno ai posteri il nome suo. Infatti , dopo un mese di sua morte , i primi Professori di musica di questa città ripeterono la preindicata sua sinfonia al teatro del Corso.

Dato luogo all'intenso cordoglio , i conjugi Pizzoli che con ogni umano sforzo tentarono salvare l'unica figlia si dettero eziandio premura perchè venissero osservate le ul time sue disposizioni , e di concerto coll'Accademia Filar monica fu stabilita la instituzione del citato perpetuo annuo premio. In seguito di che l' Accademia predetta spedì lettera a forma di Patente ai ridetti signori Pizzoli nella quale fra le altre cose si dichiarava ,,Che nell'Accademia del giorno 16 Ottobre 1840 fu per unanime consentimento statuito che Maria Luigia Pizzoli si avesse per accolta nel seno dell'Accademia fin da quando era fra viventi, e che il suo nome, benchè estinta ( UNICO CASO ) non dovesse andare privo di un tal fregio di onore.— A così adoperare non solo è stato stimolo all'Accademia la instituzione dell'elevato pensiero di Lei, ma la sublimità dell' armonico suo intelletto, riſulgendo nelle Opere date al pubblico, e dall'Accademia POSSEDUTE, e da essa tenute grandemente in pregio ; al che ha pure dato incitamento il cumolo di tutte le altre virtù di mente e di cuore che valsero a procacciarle l'ammirazione di tutti quelli che l'avvicinavano.

L'operosità di Luigia in sì breve vita, corregga la inerzia di coloro che vivendo lunga età, vivono poco. [p. 92 modifica]

NOTE


( 1 ) Il nome del padre della Pizzoli è GAETANO LUIGI, e non solo Luigi, come per ommis sione di copista fu scritto .

(2) ELENCO DELLE OPERE INEDITE LASCIATE DALLA PIZZOLI,

Variazioni per Piano - forte sopra un Tema dell’opera la Norma .
Idem sul Tema dell’opera la Straniera.
Idem sopra un Tema— Si vincemmo— nel Pirata .
Idem su di altro Tema di detta opera .
Cinque Walzer con introduzione e coda .
Altri cinque differenti, come sopra .
Idem diversi, come sopra .
Grandi variazioni a quattro mani sul Tema— Nel veder la tua costanza — Dell’Opera Anna Bolena .
Sinfonia a piena Orchestra.
Molte Fughe ec, per lo studio del Contrappunto, oltre altri lavori non completi .

N. B. I suddelti primi ollo pezzi furono stampali da Giavanni Ricordi di Milano nel 18 10. [p. 94 modifica]

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GALEANA SAVIOLI D’ANDALÒ 10


Della infanzia, e della giovinezza prima di Galeana non ci è dato tener proposito, avendo solo potuto raccorre traesse i natali dalla nobile famiglia Savioli ( ove non ha guari si aggiunse allo stuolo d’illustri soggetti il più gen tile cantore di erotici versi, della cui elegante penna si hanno pure accurati annali bolognesi ), ma sono que’ brevi cenni dagli storici con lode e ammirazione intorno a Lei ricordati, di che si fregia questa raccolta.

Galeana visse nel decimoterzo secolo; epoca si triste per l’Italia, divisa e straziata dovunque dalle fazioni, aizzate pur anco da particolari tiranni ( 1 ) che ne obbedivano un più potente; e trovavasi già moglie di Brancaleone d’Andalò dovizioso Conte di Casalecchio quando si legge che questi nel 1251 fu prescelto dal maggior Consiglio di Bologna ad appagare le brame degli oratori di Roma quivi recatisi a chiedere idoneo soggetto onde aſlidargli la dignità Senatoria nella signora dei sette Colli. [p. 96 modifica] Ma lo splendore di tal grado in allora di soverchio potere , e per la prima volta non salito da chi in Roma stessa nascendo traeva a particolar requisito un nome fatto celebre e po tente dagli avi, lungi dall'abbacinare la mente del Bran caleone, già illustre (2) „ per grandezza d'animo, per severità di costume , e per fama d'incorruttibile equità lo rendeva accorto di quanto fosse malagevole disimpe gnarne gli attributi ove gli animi ondeggiavano in continuo sossulto , spesso dall'egoismo prodotto , e spesso da mero desiderio di novità ; che per quanto la storia civile di Roma taccia intorno quell'epoca , null' ostante questo e quello storico ci lascia dedurre che molti vi si dicevano Guelfi, forse soltanto per mantenere e feudi e possanza, come se alcuno vi parteggiava per lo Svevo Federico , non era per ignoranza dei certi danni che sempre arreca lo straniero; per cui Brancaleone ricusava il Senatorato qualora i Romani non acconsentissero rivestirnelo per un triennio conautorità illimitata , e di più inviare a Bologna riguardevoli ostaggi , atti a garantirlo dall'odio di qualche potente , nel caso gli portasse guerra per la imparziale giustizia che prefiggevasi ministrare. Si opponevano per altro a tali ri chieste gli statuti di Roma , ed altresi vietavano ai rettori delle città di addurre seco loro le mogli ; ma tanto ripro metteva la virtù di Andalò , che in tutto fu appagato , e Galeana , detta la Senatrice (3) ebbe in assegno due mila e duecento lire di bolognini per corredarsi col lusso corrispondente alla dignità del marito.

Ma quasichè la sposa del grand' uomo sdegnasse partecipare agli onori non per anco acquistati dalle proprie azioni , rinunciò pel momento alla soddisfazione di essere compagna del ben amato consorte , che recavasi alla città regina con gran fasto e corteo ( 4) ; e volle restare in Bologna [p. 97 modifica] per ricevere e ben guardare gli ostaggi che dovevano rispondere della sicurezza del Senatore ( 5) . Fatta poi in modo tale e ospite e custode , Ell' accolse quei nobili romani con la liberale e grande magnificenza che onora le gentili ma trone , ma in pari tempo fu si previdente , e accorta che gli ostaggi n'ebbero a stupire.

Intorno ad essi scrisse una lettera al marito che ri porteremo letteralmente tradotta dal latino ( 6) , giacchè anche dopo aver molto concesso all' ampolloso dire di quel tempo, porge sempre argomento di credere che quan to più la donna è dotata di viril senno , tanto compiacesi più di rispettosa sommissione inverso l'uomo , che presce gliendola fra tante , a Lei affida il suo nome , la sua pace, se stesso ; inverso colui che il sacro carattere di sposa gli addita meta di ogni pensiero, giudice di ogni azione, infallibile sostegno e difesa, scopo eziandio di ogni sua impresa il compiacergli. Pel bene del quale ( se fa duopo ) il proprio dimentica, e riconosce primo nel diritto degli affetti questo congiunto, che avendo eletto, o almeno ac cettato, e giuratagli fede quando poteva ricusarlo, tiene sacrosanta legge di natura e d'onore essergli fida affet tuosa, non meno che subordinata compagna: e sente che mancandovi torrebbe a questo nodo il prestigio della mutua tenerezza che fa beata la vita .

Appena compiuti in Bologna con ordine esatto i doveri di magnanima donna del Senatore, Galeana si portò in Roma per goderne le meraviglie. Al giungere di lei Bran caleone era temuto dai grandi che volle al par degli altri soggetti alle leggi , amato dai popolani a cui ridonò la di gnità d’uomo in essi tanto avvilita a quei tempi da far ob bliare che Dio ci cred eguali (7); e, comunque alcuno lo credesse partigiano d'Impero, convinse tutti essere ligio [p. 98 modifica] alla equità, non al capriccio; di modo può dirsi cogliesse allora il frutto del cultore che porge in tempo ad ogni pianta il necessario alimento, e ne innalza i rami che troppo a terra strisciando sono calpestati e guasti , badando pure che il soverchio diramarsi delle superbe piante non tolga a quelle il sole , e queste la vigoría non perdano in foglie inutili . Inoltre in prova di sua divozione ai Pontefici festeggiò il ritorno d'Innocenzo IV . che da molto tempo stavasi quasi esule dallo stato per fuggire le trame dell'Im peratore e la inobbedienza del popolo ; e questi stessi suddi ti , calmando egli con dolci parole , li fece desistere dal muo vere richieste e pretensioni insolenti al loro Sovrano ; ne in appresso si portò diversamente , per quanto si accordava cogl'integerrimi suoi principj , verso i Pontefici Alessan dro IV. e Urbano IV . Di buoni studi intendentissimo li fa voriva ; e facendo stima dei letterati , ebbe il vanto di por gersi particolar mecenate di coloro che il sapere non ba stava a salvar dall'indigenza . Ma per non estenderci più del bisogno in circostanze estranee alla nostra Galeana ver remo al punto ov'ebbe dessa a distinguersi .

Non andò guari che accadde quanto Andalo previde sino dal suo innalzamento; giacchè la virtù di quest'uomo stancò l'invidia dei vili, che non sperando emularlo ten tarono perderlo , facendone instrumento una parte della stessa classe di gente che con tanto calore era da lui difesa ,, e messa Roma a tumulto s'insignorirono del Campidoglio , sostituirono a Senatore un Bresciano detto Emanuele de' Maggi e Brancaleone chiuso in carcere parve riserbato al supplizio.

Tanta sciagura piombo per un momento Galeana nel più profondo dolore ; poi quasichè rifuggisse d abbando narvisi fintanto ch' era tempo di operare , senza tributare al [p. 99 modifica] marito inutile pianto , risolse , quantunque rigorosamente guardata , fargli del virile suo senno tale scudo da confon derne gl'iniqui nemici . Ebbe per primo l'ajuto di Bologna che oltre ogni dire sollecita inviò a Roma quattro distintis simi personaggi a perorare la liberazione dello esimio concittadino : i quali bolognesi bentosto avvedendosi tornar vane le loro ragioni intimaronvi che il destino stesso che si apparecchiava a Brancaleone era serbato agli ostaggi a tal uopo custoditi a Bologna ,, . Ma Galeana raccapric ciò d'orrore nell'udire che i sediziosi Romani , posta in non cale ogni minaccia , vieppiù inferociti chiedevano la morte di Brancaleone al Papa , impegnando questi per riavere gli ostaggi che tanto più arditamente essi ripetevano , quanto mostravansi fermi i bolognesi nel niegarli . Allora il Ponte fice , acciò delti ostaggi fossero immediatamente riman dati , precettò il Comune di Bologna , e si rattenne ( 8) dal vibrare l'interdetto su la città, perchè essendo essa riguardevole e possente , amava che gli si conservasse qual era Guelfa e devota alla chiesa . Lotta così tremenda non iscoraggi la consorte dell'imprigionato Senatore , e pronta ad arrischiare la propria vita , forni un esem „ pio assai chiaro di pietà conjugale , perchè sottrat tasi celatamente da Roma ove divideva le angustie del „, detenuto apparve in Bologna e quivi giunta non volle affidata ad alcuno la causa di suo marito . Questa bolognese matrona sapendo quanto il Consiglio fosse giu sto non temeva trovar chiusi gli aditi , nè sordi gli orec chi , nè preoccupate da false idee le menti per rigetta re i reclami portati da una cittadina , o da chi che fosse. Dunque si presentó ella stessa in pubblico Consiglio , e ivi solennemente ricordò ad uno ad uno quei pregi del marito che gli accagionavano in Roma minaccie di morte , [p. 100 modifica] ed ivi virilmente reclamò la fede pubblica ,, . Le ragioni della magnanima donna , la forza con cui furono pronun ciate , lo strenuo esempio che dava ella stessa riaccese vieppiù nella scelt' adunanza l'amore della ragione , e la portò a deliberare che sarebbero tornati gli ostaggi alle loro famiglie sol quando Andalò fosse in piena sicurezza. In tale incontro Galeana potè persuadersi che la patria ras somiglia bene spesso alla madre amorosa , che anche mag giormente l' angustia , il pericolo di un figlio lontano di quello che ne l'agiti la vista del di lui soffrire ; giacchè ognuno ayrebbe voluto volare in diſesa dello egregio con cittadino , ognuno risguardava come proprio il suo pericolo , e per lui temeva funesto il più lieve indugio.

Era però omai tempo che lo scorno fatto alla virtù , alla virtù tornasse, come suole , di nuovo trionfo . Il bresciano Emanuele de'Maggi che vedemmo succedere all'Andal) nel seggio senatorio , credé rassodarvisi col favorire la nobiltà a danno della plebe. Ma questa classe d' uomini , e per molta energia e per poca riflessione sempre instabile , troppo presto pigliando l'un l'altro come propria la causa altrui , senza più a lungo tollerare , levatasi nuovamente a rumore chiese si restituisse la dignità di Senatore a Brancaleone , nè si tranquillo se non appagata . La nostra Senatrice lietissima che i Romani stessi avessero liberato suo marito , tornò a lui ricca di maggiori prove di affetto , ma per poco le fu dato godere di quelle dolcezze , perchè il Senatore mori in breve , e si crede di veleno. Allora non rimase alla illustre signora che il vanto di un nome per cui la filantropia vera , l'umanità e la rettitudine furono virtù sinceramente seguite. In breve ella vide ergere marmorea colonna sormontata da un’ urna di porfido , che rinserrava le ceneri del consorte falte segno alle benedizioni del popolo . Unica , ma grande [p. 101 modifica] inestimabile soddisfazione, che raddolci la vita della vedova di Andalo fino che nell’anno 1274 si riunì con lui nella patria dei giusti a godere premio perenne. [p. 102 modifica]

NOTE


(1) S’intende Ezzelino da Romano, Pellavicino ec .

(2) Si veda Muratori, Savioli, Platina, Parisio ec .

(3) Matteo Parisio . Così era detta in Roma .

(4) Condusse seco da Bologna milili e giudici distinti per sapere e per lignaggio.

(5) Secondo vari autori gli ostaggi furono trenta, ma Savioli non vi conviene, e riporta il nome di cinque soltanto .

(6) Lettera di Galeana Savioli al Marito.
Allo specchio di sua mente, ed astro scintillante di tutta la parentela Signor Bran caleone cittadino bolognese, ed ora dell’ alma città per la grazia di Dio Senatore, Galeana moglie e in ogni cosa soggelta, qualsiasi cosa di grazioso in sè contenga, salute .
Gli ostaggi dalla Signoria vostra destinati a Bologna sappiate, come chiarisce la presente lettera, aversi così magnificamente ricevuli quanto spettar può alla grandezza del vostro personaggio, e quelli in propria casa come ho saputo, procurando l’adempi . mento dei vostri ordini saggiamente imposti. Per la quale cosa sono a pregarvi con ogni affetto che sopra la bisogna circa di essi quelle cose da doversi fare, che ad essi e alla vostra maggior custodia vedrete appartenere, a me e ai vostri amici non tardiate a ri scrivere, e principalmente perchè la intenzione di essi e la mia si solennemente a nient’al tro è diretta .

(7) A quest’epoca, in Milano, se un nobile diveniva omicida di un plebeo era condannato alla sola pena di pagare 7 lire e 12 denari .

(8) Vedi Muratori, [p. 103 modifica] [p. 104 modifica]


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BEATA ELENA DUGLIOLI DALL’OLIO


Bologna rinomata dovunque per la deliziosa sua giacitura, per la ubertà del suolo, per la svegliatezza degl'ingegni che vi sorgono, e in ogni maniera di dottrina si fanno distinti, ebbe pure in dono dal cielo molti eletti spiriti, le cui sante opere furono faci e guida a conseguire il beato regno.

Molti di questi, si dell’uno che dell’altro sesso, con sacrate le dovizie loro al divin culto, rifuggendo con di spregio dalle mondane cose seguirono le proprie vocazioni, per ritirarsi nella solitudine dei chiostri, ove colle preghiere, coi digiuni e colle macerazioni facevansi mediatori di grazia e di misericordia fra il Creatore e la Creatura; e non di rado alcuni di essi salito il pergamo instillavano negli ascoltanti orrore per le peccata che oltraggiano un Padre di amore e di clemenza, e i fratelli nostri danneggiano: pronti eziandio di affrontare con apostolico zelo e fatiche e strazi e morti atroci, purchè fosse [p. 106 modifica] lor dato spandere fra genti barbare la luce dell’Evangelo, aurora di salute e civiltà . Altri finalmente fra le domestiche pareti, pronti a riconoscere come volontà del supremo Signore i voleri di chi avevano a rispettare in terra, li obbedivano rassegnati in tutto ciò che colpa non fosse, paghe quelle anime di offrire la sera un giorno di sacrificio della propria volontà a» quello sposo che ogni vo accetta» . Cosi ricordavano che Ezecchielle in sua visione non scorse soltanto il coraggioso leone e l’aquila che s’affisa nel sole, ma vide unito a loro, in un sol corpo elevarsi anche il giovane toro, che figurando le vittime, era seguito al cielo dai tanti fedeli che consacrarono i propri desideri a Dio, con interrotte mortificazioni d’ogni sorte.

Ad accrescere il numero di questi ultimi nacque in Bologna ai 25 di Marzo nell’anno del Signore 1472 dai Conjugi Silverio Duglioli, e Pantasilea Boccaferri ambidue di distinta condizione, quell’Elena in cui sino dalle fasce traspari indole si soave, che destato nella Genitrice il desiderio che tanto onora le madri, la volle alimentare col proprio seno, mal reggendole il cuore di affidarla a mercenarie nutrici, come aveva fatto degli altri suoi figli.

Elena trascorse gli anni della puerizia senza puerilità; lungi dal darsi ai fanciulleschi giuochi, sendo a Dio rivolti i primi moti del suo cuore, stavasi molte ore in si profonde venerazioni da restarne assorte le facoltà di sua mente; perlochè i di lei congiunti e le maestre temettero più fiate fosse assalita da qualche improvviso malore. E come soddisfaceva Ella per naturale impulso al primo precetto di nostra fede, con l’effusione di cuore che richiede la divinità, in pari modo soccorreva l’indigenza e prendeva parte nell’altrui soffrire, da convincere che l’amore a Dio e la carità pel prossimo sono virtù altrettanto gemelle [p. 107 modifica] nel cuore veracemente religioso come nacquero gemelli nella nostra santa fede questi comandamenti. Altro non po tendo quella pia fanciulla versava nelle mani del mendico il cestellino che conteneva la propria refezione.

Ai quai tratti del cuore, tennero dietro le riflessioni della mente, che in Lei sviluppava con egual santità: perchè» semplice e schietta nel vestire, grave e composta nel portamento, parca e misurata nel parlare; e negli occhi a segno raffrenata che mai gli affissò in faccia duo mo, e camminando per le strade, tenevali sempre fissi in terra, nè mai per qualunque strepito, novità o spettacolo avrebbeli lasciati scorrere neppure alla sfuggita» pregi che formavano gli accessori del quadro, di cui era soggetto questa pura verginella, vero esempio di umiltà, quale stimandosi vile e malvagia gittavasi ai piedi degli altari, e bagnata di lacrime a Dio chiedeva perdono dei falli suoi, la entità dei quali forse avrebbe appena macchiata la purezza degli angeli .

Tanta ritenutezza e tanta assiduità nella preghiera, non scorse di buon grado la madre sua Pantasilea, che ve dendo crescere la fanciulla assai avvenente l’avrebbe pur voluta disinvolta e gaja non meno delle altre fanciulle sue pari . E siccome era dessa rimasta vedova del Duglioli pa dre di Elena, e quindi passata in terze nozze con Fran cesco Dall’Olio distinto cittadino Bolognese, vedovo anch’ esso con molta prole d’ambo i sessi; divisò costei per distorre la figlia dall’orare di addossarle il maggior disim pegno delle faccende domestiche, di che nel decimo quin to secolo ( come rilevasi da memorie famigliari antiche ) non isdegnavano occuparsene le gentili donzelle e le di stinte matrone ancora.

Furono dunque senza riguardo alcuno imposte alla [p. 108 modifica] giovanetta cure ben più gravi di quello che si richiedesse dalla delicata sua complessione , si dovesse alla sua poca eta , si spettasse alla gentile sua condizione: ; inoltre fu espo sta alle inaudite villanie delle figlie del patrigno , quali giunsero perfino a farla malignamente traboccare in una caldaja di acqua bollente, donde la Dio mercè n'esci quas' il lesa . Eppure Elena lungi dal mandare un lamento raddop piò il suo impegno , si per riescire ad appagare le brame fatte indiscrete della Madre , si pure per cordialmente pre starsi in aiuto alle stesse sue persecutrici. Segno palese essersi Ella prefissa di perfezionarsi colla pazienza nella carità , che santificata dall' umiltà è base di ogni virtù . Per non aver la fanciulla da rimproverarsi ommissioni stavasi nel lasso di tutto il dì intenta a glorificare Iddio con lo adempiere i doveri del suo stato , e toglievasi poi la not te molte ore di riposo per esaltarlo coll' orazione : nè deve tacersi che quantunque inclinasse allo stato monastico e precisamente al rigido instituto di Santa Chiara , che pro fessavasi fin d'allora nel monastero del Corpus Domini in Bologna , nullostante si astenne dal palesare ai congiunti sua vocazione >, appunto per avere di che contraddire alla sua volontà. Intanto vagheggiando Ella il pensiero di far voto a Dio di sua verginità , mortificavasi spesso spesso coi digiuni e colle discipline , che perfino più volte le tolsero l'uso dei sensi : dal quale strazio di sè dove desistere per ordine espresso del Padre spirituale.

Ma l'avvenenza della giovanetta Duglioli chiamando l'attenzione dei più ragguardevoli giovani di Bologna le cagionò molt amarezze. Laonde da vari chiesta in isposa , e costant' Ella nel non bramare che il suo Dio , ricusò ogni proposta ; piena percui di dispetto Pantasilea , che in non cale forse poneva la tendenza della figlia , o forse [p. 109 modifica] l'ignorava , e nel tempo stesso non volendo mostrarsi de spota della volontà di Lei pensò rivolgersi al confessore della medesima affine la persuadesse a decidersi per alcu no degli aspiranti alla sua mano. Il savio sacerdote però, non appena scorse sul volto della vergine estremo sbigot timento al tenerle parola di nozze , si fece accorto come avrebb’ ella bramato promettersi a Dio ; e questi allora senza titubare , francamente l' avviso di aver penetrato il secreto del di Lei cuore , e che perciò appunto facevasi a rincorarla , numerandole i vari esempi di sante anime che seppero mantenersi qual' ella bramava anco nel talamo che per imponenti ragioni avevano dovuto ascendere : cosicchè consigliavala darsi a fervide preci onde Iddio la dirigesse nel deliberare. La madre sua mostrandosi in quel tempo seco Lei più tenera dissele di averla già donata al reden tore , e che perciò lasciandola libera chiedesse a Lui in spirazione per eleggersi lo stato .

Elena aveva quindici anni; età in cui mal si resiste ! e nella quale benchè la nascente forza d'animo tenti te ner fronte alle minaccie di chi bravamente vuole intimo rire , il cuore non pur anco esacerbato dagli oltraggi di una sorte ingiusta , e non pur fatto diffidente per nero in ganno , facilmente si apre alle insinuanti carezze , cede al le persuasive , e immolerebbe se stesso per mostrarsi gra to alle prove di amorevolezza , in cui è ben lungi dal so spettare finzioni. Ella combattuta da diversi sentimenti , gemeva in cuor suo , caldamente pregava Iddio , e giunse perfino chiedergli la rendesse mostruosa , onde da niuno più fosse chiesta in moglie. Poi tornandole a mente le spe ranze fattele concepire dal confessore , pari all' artefice che mentre esamina un masso informe già fissa in esso le delicate membra di questa o quella vergine, con gli espressivi [p. 110 modifica] tratti, e le nobili movenze ch'egli vuole scolpirvi ad imi tazione dei classici scalpelli donde trasse tesoro , così ella ricorda e le sante Cecilie , e le scettrate Cunegonde di Po lonia , e le Catterine di Svezia , e le Solomee di Galizia , e spera anco al fianco del consorte com' esse furono , ri portare anch'essa sì bella palma. In fine la giovanetta si decise esser ferma vittima di obbedienza , e rispose alla madre che disponesse di Lei. Pantasilea senza frapporre dimora pressolla a nominare lo eletto dal suo cuore , ed Elena , fra quei che le furono indicati , prescelse in Be nedetto Dall'Olio figlio del patrigno suo , ľuomo di mag gior età , varcando esso l' ottavo lustro . Le nozze succes sero bentosto : e dopo aver passati tre giorni in preghiere , com’ era stato alla sposa promesso , ella si trovò nella stan za col consorte , già prevenuto dal confessore di Lei, quan to dessa sarebbe per chiedergli . Difatti al primo scontrarlo espose la vergine con tanto candore e vivezza il desiderio di mantenersi illibata , e sì sommessamente gli protesto che una tal grazia accordatale da colui che già onorava per suo Signore l'avrebbe resa lieta , e ad esso grata per tutta la vita , che lo sposo fatto attonito non seppe con traddirla , e fecele promessa di vita celibe.

Paga e contenta di veder coronati i suoi desideri , ma temendo nel tempo stesso che da un momento all'altro si distogliesse il marito dalla presa risoluzione , Elena per rendere grazie all'Altissimo , di quanto le accordava , e in un supplicarlo non restassero di poi deluse le sue speran ze , fe' voto di tante inaudite penitenze , che alterando que ste notevolmente la di lei salute dovette , per non mancare al precetto che ogni uomo ha di conservare se stesso , com mutarle in opere di vera carità a Dio tanto grate.

Pia senza ostentazione , tuttochè amasse girsene [p. 111 modifica] modestamente vestita, non trascurò quella proprietà e quegli usi che non dal folleggiante capriccio, ma dalla sana società sono adottati; che se in effetto è a biasimarsi quella donna cui troppo sta a cuore seguire la vanitosa moda, si è pure al certo poco lodevole quella che trascura se stessa, e non seconda il marito in ciò ch’ei richiede, o0 pel proprio genio, o pel suo decoro. Del resto, siccome la novella sposa rimase a far parte della famiglia in cui era cresciuta, avendo, come si è detto, tolto a marito il figlio del patrigno, ebbe di nuovo a soffrire le durezze della madre fatta stravagante per un malore che da molti anni la consumava . Di più presa questa donna da disdegno per non veder prole della figlia, e sospettando del come vivessero fra loro gli sposi, ripose tosto in campo che col passare Elena la maggior Parte del giorno nelle chiese rendevasi segno di comune scherno; e per distornela non ebbe ritegno adossarle nuovamente infinite incombenze, e con modi autorevoli non da madre, ma da padrona, darle ad ogn’istante mille ordini l’uno all’altro contrario. Ma la santa giovane rispettando in lei il sacro carattere di madre e può dirsi ancora quello di suocera, e considerandola inoltre come reggitrice di famiglia, le fu soggetta qual serva nell’obbedirla, fu prudente qual saggia nuora tacendo col marito quanto soffriva, fu figlia amorosa, ogni sforzo fa cendo onde la genitrice restasse appagata e l’amasse.

Passato così qualche anno, Pantasilea rimasta vedova di nuovo conobbe finalmente in Dio un fonte d’ignorate dolcezze: l’esempio di santità che aveva di continuo innanzi agli occhi, parlò nel fondo del di lei cuore. Allora concepita vera stima della figlia, prese ad amarla quanto prima l’aveva amareggiata; e sentendo illanguidire la vita non ad altri che alla diletta sua Elena raccomandò l’intera [p. 112 modifica] famiglia . Giunta agli stremi volle le promettesse di comporre ella stessa il suo cadavere nel feretro , ed incoraggiandola a proseguire nella santa sua vita , ad essa teneramente abbracciata spirò , chiedendole perdono del rigore a torto seco lei usato. L'Eroina delle figlie lavando colle proprie lacrime la fredda salma , adempiè quanto promise , non solo in si doloroso ufficio , ma eziandio prendendo somma cura intorno il regime di famiglia.

Quantunque la stima che avevasi generalmente per la Dall'Olio ( 1 ) fosse in tal guisa radicata che distintissimi personaggi ne commendassero persino dai pergami (2) la singolare perfezione, dovette ancor essa soggiacere agli strali della calunnia vibrati dal livore di quelli che non arrossendo omai allo esaminare dei propri vizi ; nè atti essi, nè desiosi di riscattarsi dal lezzo in cui giacciono , rosi da invidia verso chi guadagnossi onorevole fama , vorrebbero illudere se stessi ed ingannare gli altri , calunniando le persone dabbene , e iniquamente svisando le azioni dei saga ci . Indispettiti vari giovinastri nel veder dalla matrona rigettate con orrore e con disprezzo le audaci loro brame , anzichè lodarne la modestia , giurarono vendicarne l'onta riportata ; ed unitisi con varie bacchettone , che a mal in cuore sentivano levata a cielo la pietà di Elena , cominciarono a sparger voce ch'essa frequentava le chiese per passatempo , che non per vera divozione ma piuttosto per far pornpa ď'illibatezza si accostava tanto di sovente ( 3) alla mensa celeste ; e che infine destava meraviglia si tollerasse tale scandalo nella chiesa di S. Giovanni in Monte, da Lei con particolar frequenza visitata. Il confessore della Pia Donna , addolorato per vederla bersaglio di tanta malignità , volle provarsi , senza menar rumore, ad estirpare la zizzania sin dal suo nascere , consigliando quell'anima [p. 113 modifica] eletta ad arrecare in altro tempio le proprie offerte e le preghiere. La penitente obbedì senza ribadire , portandosi nella chiesa di S. Domenico , ma scorsi appena due anni , eccola molestata con eguali armi dagli stessi nemici suoi , che riescirono a farla discacciare da questa casa di Dio. Ciò fece nascere in molte savie persone il desiderio di squittina re la condotta della Dall'Olio , e riconosciuta qual era , ne venne da tutti esaltata la singolare pietà e virtù . Tra i primi più di ogni altro furono solleciti di risarcire il mal fatto con scuse e con proteste quei religiosi che tratti dalla frode in inganno aveanle recato affronto (4) . Guai ! se il tempo, la esperienza e il generale desiderio di svolgere sino dalla loro origine le notizie , non si levassero a difesa dell'innocenza e strappando la maschera all'invidia , al vile interesse , e alla ipocrisia , non mostrassero la falsità di quella novella fatta credere benchè priva di verosimiglianza, non additasse ro il motore di quella invettiva , che vuol chiamarsi critica, quantunque ogni parte le manchi per esser tale, e non emergesse bello della propria santità e purezza quel nome che macchinavasi vilmente di vituperare.

Qual angelo di pace Elena addolci più volte l'animo del marito esacerbato verso certi di Lui nipoti che seco convivevano , e sebbene tali dissidi fossero cagione di alllizione alla serva di Dio , che allora era assoluta arbitra di allontanarli dalla propria casa , null’ostante sopportò rassegnata , finchè non giunse a veder sorgere mercè le sue cure, una perfetta armonia fra que'congiunti. Ben poco però le fu dato godere di sì bel trionfo , perchè preso il marito da forte malattia , si conobbe essere al fine di sua vita . Affrettossi egli a disporre de' suoi beni in sollievo dei poveri , con lascito a suffragio dell'anima sua , e con altri legati , lasciando padrona dell'usofrutto la moglie, oltre averle costituita [p. 114 modifica] cospicua dote. Ma ciò che particolarmente interessa la nostra storia si è che in quel tremendo punto asseri col confessore di lasciare la sua Elena dopo 28 anni di matrimonio, quale avevala ricevuta all’Altare.

Pianse amaramente la santa Vedova la perdita del suo compagno e ben largamente replicò offerte a di lui suffragio: cercando in ciò anche un refrigerio al proprio duo lo . In appresso vôlse bentosto il suo pensiero a stabilire su suoi beni una dote per la Cappella a S. Giovanni in Monte dedicata alla particolar sua protettrice Santa Ceci lia, ( 5 ) poi» ad onore del Santo apostolo Giovanni si accinse alla erezione della illustre Cappella che è la principale di detta Chiesa e ne forma il coro» (6) pel compimento della quale non ebbe ritegno «raccogliere elemosi ne da più persone; ammontando la spesa a Sc. 1200 per l’età che correva riguardevole. Infine acciò cure d’interes se non la distogliessero dal suo Dio fece testamento non dimenticò i suoi domestici, lasciò soccorso ai mendici, e conchiuse che mancando un giorno il legittimo erede, ogni suo possedimento dovesse convertirsi in luogo pio.

Ma la fama di questa Donna stendendosi a guisa di quel la fiamma, che per crescere di alimento più luce spande, fece insistere la Marchesa Signora di Monferrato (7) di volerla alcun poco di tempo presso di sè a Casale. Spedì a tal uopo in Bologna a prenderla la sua lettiga, e per impegnarla maggiormente ad andarvi, v’inviò eziandio vari uomini adetti alla sua corte. Riescendo con ciò assai sontuoso il corteggio, tanto più che accresciuto da due religiosi e dal Conte Ben tivoglio nipote della umile matrona, questa ne rimase si mortificata che nel timore di veder posta la propria virtù a troppo grave pericolo, si dette tutta la premura di far supplicare la Marchesa acciò non la volesse confondere al [p. 115 modifica] suo giugnere in Casale con onori ch’Ella diceva non meritare. Diffatti per compiacerla furono poste da banda quelle distinzioni con cui volevasi riceverla ; ma le prove di rispetto che non si seppero per Lei risparmiare la inquietavano a modo da farle agognare assai spesso la modesta quiete della propria casa , nè sarebbe rimasta a lungo in quella splendida corte se non avesse dovuto cedere ai prieghi dei Signori di Casale , a cui riguardo vi restò circa quattro mesi. (8) Tempo non speso invano , valendo la serva di Dio , fosse col suo esempio , o con le sue virtù , a correggere d'assai l'impetuoso carattere del Marchese , e farlo acquistare uno spirito di divozione in lui tutto nuovo : inoltre rassodando con savi consigli la pietà della Marchesa , la fe' lieta di santi ricordi in iscritto .

Partita da Casale, viaggio facendo per riedere a Bologna dee ripetersi dalla prodigiosa sua avvedutezza che non naufragasse la nave del Signore di Monferrato , su cui Ella tragittava il Po; giunta presso S. Iacopo del Pavese volle ridursi a terra senz'alcun apparente motivo , ma non appena presa dai viaggiatori la sponda , s'innalzò si fiera tempesta che sarebbe stato ben difficile salvarsi. La Dio mercè ecco finalmente pervenire a Ferrara la Santa Donna, ove la famigerata Lucrezia Borgia, in quel tempo consorte del Duca Ercole , mostravasi desiderosa di conoscerla . Elena al contrario , fosse per modestia, fosse per altri riflessi , nel momento che stavasi di passaggio in quella città cansar ne volea l'incontro, ma dovette finalmente arrendersi ai reiterati inviti della Principessa , che la obbligo di accettare stanza nel suo castello. Quivi la serva di Dio , a cui le di stinzioni e gli onori non serravano le labbra al vero , con modi schietti accompagnati dalla dolcezza e dalla modestia ebbe luogo di dare alcuni savi suggerimenti alla Duchessa , [p. 116 modifica] la quale anzichè offendersene , di spiriti elevati com'era, ebbe a buon grado ciò che valse a correggerla , ed al partire della venerabil Donna seguire la fece da cocchi e da corteggio , e crebbe d'allora innanzi la propria estimazione verso la medesima .

Rivedendo la patria Elena ne rese grazie a Dio con offrire ricchi presenti alla Chiesa di S. Giovanni in Monte . Poi memore delle dimostrazioni avute dal Signore di Mon ſerrato , mandò in dono al medesimo un superbo cavallo ginetto venuto a Lei in regalo dalla Svizzera , la qual circostanza mette bene di qui ricordare , onde si conosca che la gentilezza non fu mai in Lei disgiunta dalle sante doti che l'adornavano.

Ma le lunghe penitenze logorandone il corpo, estenuandone le forze , e tutto ' sconvolgendone il fisico, l'as soggettarono a spessi sossulti. Il fervore soltanto con che Ella pregava , valeva a riconcentrare le sue idee , corro borarle , ravvivarle e rendere cosi la calma . Al sopragiu gnerle di una malattia , conobbe non restarle molto di vita , e vaticinò la sua fine dentro un anno , scrivendone anco agli amici. Frattanto ristabilita alcun poco , radunata una comitiva di circa venti divoti , d'ambo i sessi , malgrado molte difficoltà che le si paravano innanzi , volle portarsi a visitare la S. Casa di Loreto. Ivi giunta , indusse la com pagnia di portarsi processionalmente al Santuario con ceri accesi , e fare di quelli un' oblazione. Ciò eseguito con edi ficazione di tutto il paese , Ella avrebbe voluto dilungarsi sino ad Assisi anche per particolare divota commissione , ma si risolse di tornarsene fra' suoi.

E fu provvido consiglio ! perchè giunta a Rimino, si vide costretta fermarvisi due giorni , essendo assalita da dolori di petto, ai quali dovè quasi soccombere, e che [p. 117 modifica] giunta in Bologna la oppressero di nuovo con forza mag giore togliendo ad ognuno la speranza di riaverla . È inutile parlare del fervore con che a Dio si abbondonò in quei momenti, e della sua rassegnazione negli spasimi orrendi che la dilapiavano. Il giorno 23 Settembre dell’anno 1520 sali a ricevere il bacio del Signore.

Non appena collocato da divote Gentildonne nel feretro il suo corpo, fu esposto in una sala della propria casa per dare sfogo al desiderio di buone anime che accorre vano per venerarlo. Immensa moltitudine si accalco intorno al medesimo quando fu trasportato a S. Giovanni in Monte, e indescrivibile commozione era dipinta in ogni sembiante nello assistere la mattina appresso alle sontuose esequie, e nell’udir ripetute in eloquente orazione funebre le lodi della illustre Vergine di Bologna . [p. 118 modifica]

NOTE


( 1 ) La brevità che mi sono prefissa in queste memorie non mi permette riportare gli onori tutti compartiti alla Duglioli dalle persone di alto affare , che venendo in Bo logna desiderarono vederla e ascoltarla . Vollero pur seco ragionare i due Pontefici Giu lio II , e il Sommo Leone X. , e la tennero in grande stima . Molti Porporati e Prelati le fecero dono di riguardevolissime reliquie , per arricchirne il suo particolare Oratorio , ove , sebbene cosa in que' tempi raramente accordata , non solo vi poteva far celebrare la S. Messa , ma in qualche giorno erale pur concesso tenervi esposto il Venerabile . Altri consegnavano a Lei vistose somme onde le distribuisse a seconda delle sue inten zioni . Altri finalmente la facevano depositaria dei ricchi doni che offrivano a S. Giovan ni in Monte.

(2) Fu da qualche predicatore portato con tanta chiarezza in esempio il di Lei candore , che anco tacendone il nome , ognuno comprese essere Elena Dall'Olio.

(3) Soltanto nel susseguente secolo XVI . riesci S. Filippo Neri a rendere più co

mune la frequenza dei Ss . Sacramenti. V. Melloni pag. 325 . (4) Tornò a frequentare la Chiesa di S. Giovanni in Monte perchè la più vicina all'abitazione sua ; ed in prova che niun rancore conservava coi Padri Predicatori, ve stà di quell'abito , e a sue spese educò un fanciullo , che molto poi si distinse in quel l'ordine . Opera Pia di genere si eletto non fu per Lei la sola .

(5) Questa Cappella ſu già a sua istanza fatta erigere dalle fondamenta da Monsi gnor Pucci , era disegno dell'Arduino .

(6) Vedi Melloni pag. 339.

(7) Era dessa eziandio con molte istanze chiamata in Francia dalla Duchessa di Nemours , e dalla Duchessa di Lansor consanguinee di quel Re . Esse avevano conosciuto Elena e presa a onorarla in una lor gita a Bologna .

(8) Di questi ricordi ſu formato un Volumetto ed eccone il frontispizio. Breve e signoril modo del spiritual vivere , e di facilmente pervenire alla cristiana perfezio ne : dittato dalla Candidissima beata Vergine Helena detta da Bologna alla Illustrissima Madamma Anna Marchesana di Monferrato sua spirituale eletta figlia. Et una tutta misteriosa e di celeste succo ripiena epistola , di nuovo aggiunta e nuovamente im. pressa ,

Di tali ricordi Elena ne fece pur anco dono alle Principesse di Francia di sopra nominate . [p. 120 modifica]


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CLOTILDE TAMBRONI


Clotilde, figlia dei conjugi Paolo Tambroni da Parma, e Rosa Muzzi da Bologna nacque nella materna patria l’anno 1768. (11) Da qui deriva che gli scrittori di Parma contendono a Bologna questo patrio onore, come già Bergamo lo contese a Sorrento per l’Epico Divino. Nella detta città ella crescevasi pure; ed ognuno che avesse per un momento osservato la piccola Clotilde presagiva da Lei nuovo splendore alle lettere e alle scienze; nulla ostante la madre sua, senza por mente a tali lusinghe, lungi dal sollecitarla a fregiare lo spirito di letterarie doti, la voleva intenta ai donneschi lavori, ove riesciva a perfezione, e l’addestrava in tutto ciò che richiedeva la modesta condizione di sua famiglia. Come però non di rado avviene che anco un seme caduto a caso in ubertoso campo vi cresce e a meraviglia germoglia, non meno abbondante frutto [p. 122 modifica] raccoglieva la mente della fanciulla dagl'insegnamenti di lingua greca , che , sebbene si stesse col capo inclinato sul lavoro , udiva apprestare ad un giovanetto , dal valentissimo ellenista Emanuele Aponte , quale presso dei Tambroni ave vasi stanza . Laonde accadde che questi uditala un giorno suggerire al confuso discepolo ben ordinate risposte su quanto di Greco a lui domandava , e quindi con sorpren dente senno rispondere ella ad ogni altra sua interrogazione che , „ quasi per giuoco le venne facendo , non si ristette più dall' invitarla allo studio di quell'idioma , persuadendo la madre che Clotilde avrebbe saputo eziandio disimpegnarsi in ciò ch'ella bramava.

Allora non indugiò guari la giovanetta dedicarsi a si difficile studio , ed in breve fu atta spiegare fra i greci autori le favole d'Isopo , i dialoghi di Luciano , le odi di Anacreonte e la lliade di Omero. Ed appena giunta a tanto si diede ad apprendere la lingua del Lazio , nè ultima lasciò la patria favella , sendo grato pascolo alla sua mente i clas sici Italiani : per cui gli eruditissimi Giovanni Colomes ed Emanuele Aponte che dapprima la dirigevano , ne ammi ravano poi gli stupendi progressi.

In frattanto , un certo giovane amante dell'amatrice Clotilde, non potendo oltenerla in isposa ( forse, per opposizione di qualche congiunto ) partì da Bologna, nè più fe sapere sue nuove all'amata . Ella di cuore troppo tenero per obbliarlo, e di spirito troppo forte per abbandonarsi ad inu tile dolore, cercò refrigerio al suo fuoco nelle fonti del Parnaso, e fu allora (12 ) che ogni altra cura , ogni pensiero deponendo che di lettere non fosse , volle a quelle unirvi le scienze , e si applicò alla fisica e alle matematiche. [p. 123 modifica] Intenta ognor più a consultare dotte pagine, su cui vedeva sorgere il sole , e spesse volte risorgere il di ap presso senza essersene discostata che ben pochi momenti ella stavasene tanto poco nota all'Italia e a Bologna, quanto onorata ed ammirata dal ristretto numero dei valenti uomini che l'appressavano. Ma ecco nel 1790, leggersi tersissimi versi di Clotilde dal Marchese Nicolò Fava Ghisilieri all' Accademia degl' Inestricati , ov'egli siedeva Principe , ed ecco tutta l'adunanza tributare lodi alla Tambroni ed ac clamarla loro Accademica . Ella ne rese testimonianza di gratitudine al Ghisilieri con greco Epitalamio , e parafrasi italiana , la quale valse a viemmaggiormente comprovare il valore della dotta ellenista , della elegante poetessa : ne tardarono i vari parti del suo ingegno che si successero a procurarle non solo fama italiana , ma europea. E men tre il 10 Gennajo 1792 era ammessa fra gli Accademici Fervidi-Filodrammaturgi di Bologna , ai 29 Luglio dello stesso anno , l'accoglieva l' Accademia Clementina della medesima città , come versatissima nelle lettere Greche e Latine, e sopraggiungevale poco dopo il diploma che l'Etrusca Accademia di Cortona a Lei inviava il 9 No vembre 1793; si unirono a decantare i pregi della Illustre, quegli uomini , il cui solo nome forma elogio , ad ogni altro elogio maggiore. Ella, destò l'ammirazione di Rai mondo Cunich ,,. Il tedesco Wolfio, l'inglese Parson, il Pa dre Giuseppe Maria Pagnini si tennero beati , o del cono scerla, o del corrispondere per lettera con Lei.„ Il celebre ellenista D'Ansge de Villoison solea dire non esservi in Euro pa che tre soli uomini capaci di scrivere comessa in Greco, e quindici in grado d’intenderla ,, . Ebbesi versi pieni di affetto e di stima dalla Contessa Deodata Roero di Saluzzo; il Padre Ireneo Affò dedicolle più di un suo letterario [p. 124 modifica] lavoro, il Canonico Filippo Schiassi, col sorprendente bo lognese Poliglota del secolo, la dissero di maggior valentia nel greco che lo stesso Aponte, e Vincenzo Monti non si stette muto di lei.

Ma la dimostrazione che apportò maggior contento alla esimia Tambroni fu di vedersi nel 1794 eletta dal Senato bolognese a rimpiazzare il suo maestro Aponte che dalla Cattedra elementare di lingua Greca, era passato al più elevato seggio di quella letteratura. Compresa la singolare donna del grande ministero che venivale affidato, non pensò che a degnamente disimpegnarlo e conscia di quanto dipende dai primi insegnamenti che la strada degli ardui studi riesca meno scabrosa agli alunni, e quanto valga la chiarezza nel comunicare, l’ordine nello esporre, la dolce ragionevolezza nel persuadere, perchè in essi studi la gioventù con piacere s’innoltri; ella, nulla ometteva onde spianate e nette riescissero le lezioni che dovevano ben impri mersi in quelle menti, non affastellarle. E a tutto ciò felicemente contribuiva la profonda erudizione non meno che l’aureo cuore, e l’animo schietto della maestra; la quale al gentile aspetto univa voce aggradevole, libero gesto, e favellare che inspirava fiducia . Ma (pare) per vicissitudini di stato nel 1797 fu dal suo posto rimossa, e l’anno susseguente noi la vediamo passare per Parma, ove il dotto Ramiro Tonani, a ricordanza di essersi colà soffermata donna di sì alto ingegno, compose, per unire aa libro di cui preşentolla,, una nobilissima inscrizione, ch’ebbe in concambio da Lei squisito Epitalamio greco. Quindi Ella segui nelle Spagne il vec chio Aponte; chè alla pietosa e riconoscente Clotilde non resse mai il cuore di abbandonare l’uomo, alla cui dottrina e alle cui premure protestava in iscritto non meno che a voce di andar debitrice d’ogni suo sapere; cosicchè dopo [p. 125 modifica] di averlo assistito infermiccio e sventurato in si lontani paesi, seco lo riaddusse in Italia.

Quivi era serbato a' suoi concittadini, mirarla soccorre re d'indefesse e amorosissime cure all'ultima e diuturna malattia del di Lei maestro, non che tergere ad essa le amare lacrime colle quali lo deplorò ben oltre l'avello da lei consacratogli; poi entusiasti con tutta l'Europa ap plaudirla sulla cattedra di Greca letteratura nella Uni versità di Bologna: ivi riposta da chi reggeva l'Italia . In tale scanno Ella sedette piena di quello amore pel sa pere che rende intenti a svellere gli errori , diradare le te nebre, e fa porgere la mano al discepolo acciò non solo seguiti il maestro , ma , animoso , tenti di sorpassarlo . Le faconde sue lezioni con istupenda lucidezza dettate, eccitando quelle giovani menti con dilettevoli indagini, le abituava a pensare , riflettere, ragionare. Acclamatissime fu rono le greche Orazioni nelle quali ( sollevato il velo della favola ) discuteva se la poetessa Saffo fosse quella stessa che si gittò dallo scoglio per l'ingrato Faone; e se i cigni veramente muojano cantando con diletto . E più ancora lo datissima andò , l'Orazione Italiana inaugurale ch'ella disse il giorno 11 gennaio 1806 in occasione che il Re d'Italia restaurò quello studio ,,. In una parola Ella riscosse mai sempre il voto e l'applauso di ognuno.

Il 4 aprile 1811 Livorno le inviava un Diploma eleggendola Membro di onore nell'Accademia Italiana di Scienze e Arti, chiamandola Professora di Eloquenza Greca nella P. Università di Bologna . Ma appunto circa quell'epoca tale Cattedra andò abolita, lasciando addoloratissima l'acclamata Maestra , la quale però pochi anni dopo potè consolarsi perchè riattivata la vide ed a Lei nuovamente conferita; e quando dopo aver trionfato di tante sventure, l'immortale Pio VII [p. 126 modifica] rientrava pacificamente nel Vaticano piena ella di esultanza, all'aprirsi delle scuole , il 17 Novembre 1815 , improvvisò in lingua greca magnifiche lodi di quel Gerarca.

Ma alla sola profonda cognizione di quella lingua non arrestavasi il di Lei sapere : chè , al dire di molti suoi amici , scriveva emendazioni intorno ad alcuni pas si di Pausania male interpretati dall'Amaseo , intorno „ il viaggio del giovine Anacarsi di Barthelemy Scrit ti preziosi che , s' Ella veniva conservata alcun poco più alle lettere , ora accrescerebbero il pregio delle utilissime sue opere ; come pur anco gli ellenisti godrebbero di una raccolta di Versi dell’Aponte , che la di Lui magnanima amica divisava pubblicare , facendoli precedere da altri suoi: a spiegare il pregio de'quali basti il dire che li conosceva degno omaggio all'amato maestro.

Nelle riunioni di dotti amici , ella ne era l'astro più brillante , perchè di tanto vivo ingegno , e di mente sì colta, che improvvisava versi greci e italiani di una nitidezza e grazia sperabile soltanto nei più forbiti. Nè di ciò andava menomamente altera ; e molto meno era invida de' pregi altrui ; ma di chiunque lealmente l'appressò amica affettuosissima, con sincerità lodava e incoraggiava ; e belle prove di generoso animo si ebbe da Lei la sua concittadina Dottoressa Maria Dalle-Donne.

Un tanto lume però si spense anzi tempo, giacchè varcando appena il cinquantottesimo anno morì Clotilde il 4 di Giugno 1817. Desolazione pei congiunti , cordoglio pegli amici , irreparabile danno per le lettere , mestizia per tutti! I suoi funerali furono il vero trionfo della virtù , perchè privi del ſasto che si compra coll'oro , ma solenni per l'omaggio che ogni dotto, ogni studioso correva a tributare a quella salma, onorata da corona di alloro, e da altra di fiori ; e [p. 127 modifica] per le lacrime delle pie madri e delle tenere giovanette che in essa vedevano spenta la donna veracemente religiosa e sagace, e che tanto aveva nobilitato il proprio sesso.

Il Canonico Filippo Schiassi ad eternare la memoria della illustre amica compose un Epitafio degno dell'aurea età d'Augusto, e che l'Università diBologna collocò sulla porta dell'Aula Magna dell'instituto . È da notarsi , che un tant’uomo mostrava quasi con venerazione il modello in legname del Teatro dell'antica Sagunto , non per la maestria ond’ era desso lavorato , ma perchè dono della egregia Tambroni , fatto da Lei costruire a Valenza.

Le spoglie della esimia ſurono rinchiuse in antico marmoreo Sarcofago, che a tal uopo gli addoloratissimi suoi fratelli fecero trasportare da Roma, in un col busto di Lei; lavoro quest'ultimo di Adamo Tadolini, a cui volle pur presiedere l'immortale Canova, amico e apprezzatore della celebratissima Clotilde Tambroni. [p. 130 modifica]


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ZANNA BENTIVOGLIO MALVEZZI

 

Da voi non poco
La patria aspetta, e non in danno e scorno
Della umana progenie, al dolce raggio
Delle pupille vostre, il ferro e il foco
Domar ſu dato!

 LEOPARDI.

Stavasi la magnifica Ginevra Sforza Bentivoglio col corteo delle sue Dame a deliziarsi a Belpoggio, villa la cui superba amenità abbelliva uno de’ più ridenti dintor ni di Bologna, e dalla quale, per non essere inerpicata su l’alto Apennino e per non giacersi in bassa pianura si godeva nella calda stagione di un rezzo temperato e soave, quando Gian - Sabbadino degli Arienti, con una dedica che in ogni sua parte ricorda quella con cui l’esule del Ponto Eusino accompagnò i suoi Tristi, diretti aa chi sedea sul Tebro, presentava la Signora di Bologna d’un proprio scritto narrante le virtù d’illustri Donne.

In quella cronaca alla pagina 19 s’incontrano estese notizie di Zanna, o sia Giovanna figlia del 1. Giovanni Ben tivoglio e di Elisabetta dal Magnifico Cino di Castel San Piero. Molti sono gli scrittori che di essa Giovanna fanno parola; ben pochi che intorno a Lei si estendano, il perchè sembra [p. 132 modifica] giusto rivendicarne la memoria in questa raccolta, tenendo a guida il succitato Sabbadino degli Arienti, il quale oltre la fiducia che merita come accreditato storico, non può lasciar dubbio su la veracità di cotesta narrazione, si per chè, com'egli afferma, fu il padre suo testimonio del valore di questa illustre Donna , sì pure perchè dedicando tal istoria a non rimoti posteri della stessa, non avrebbe mai azzar dato di menomamente alterarla.

Della fanciullezza di Zanna si sa soltanto che il Padre nell'apogéa sua gloria la destinava sposa tutt'ora pargo letta al figlio dell'amico suo Francesco da Carrara Signo re di Padova . Ma la tragica fine di questi due potenti ( es sendo caduto il Bentivoglio nel 1402 per mano dei proprii cittadini , e l'altro fatto prigione per ordine del Veneto Doge, quindi strangolato insieme co'due figli ) mostrò quanto spesso si rida la sorte de’ progetti dell'uomo.

Non per questo invilì l'animo grande della donzella, in cui la naturale energia parve invigorisse alla rimembranza delle paterne sventure , dalle quali vedeva sorgere tanti danni a lacerare quella patria ch' erale tuttavia si cara . Ella figlia amorosa non poteva riandare senza fremito la catastrofe in che questo popolo, non pago di togliersi dall'obbedienza di un cittadino, corse al parricidio, piegando poi la fronte a giogo straniero‫ ;ܪ‬ma compatriotta anco più gene rosa , lungi dal gustare come propria vendetta il mal governo che Milano faceva di Bologna, con questa ella gemeva, fremeva per questa . Respira laddove restituita al dominio del Papa la spera tranquilla, ma per la sorte dei Gozzadini , non è mestieri ridire s' ella pianse assai. Spettatrice indif ferente non fu dei rinnovati tumulti popolari, delle occulte trame, delle accanite gare , non pel comun bene, ma per l'egoismo di pochi continuamente suscitate; e quello mutar [p. 133 modifica] di governi, che troppo lungo sarebbe il ricordare; e il far ritorno alternativamente alla libertà e alla Chiesa;; e sempre quale stupida mandra guidarsi il popolo, e come belva ridurla al sangue, la fa rabbrividire . Più di ogni altra cosa però l’affanna il prevedere che l’animoso suo fratello An ton Galeazzo tenterebbe invano di riordinare la città, perchè quantunque si abbia egli l’amore dei cittadini, e malgrado la stima in che ognuno tiene l’elevato suo spirito, sorge rebbe pronta e funesta l’idra delle fazioni a tarpare le ali all’aquila novella.

Nullameno la Bentivoglio tien sempre rivolto il pensiero a mantenere in ogni cittadino un amico al fratel suo, onde all’uopo lo soccorrino di consiglio, di sostegno, di difesa . E il più distinto per valore e per prudenza, non le bastò amico che consanguineo volle farlo ad Anton Galeazzo eleg gendolo a suo sposo: così ella l’anno 1411 andò in moglie a Gaspare Malvezzi (13) che per senno fra i distinti si distingueva in pace e in guerra, e che fra gli amici del Bentivoglio fu sempre di costanza e lealtà incomparabile.

L’alto sentire mai sempre inseparabile dall’animo di Zanna si lascia travedere anco nel coltivar ch’ella ſece le amene lettere: al dire del Sabbadino, cari le erano e Boccaccio e Petrarca, ma più di ogni altro carissimo Dante. Oltre le innarrivabili bellezze che nell’Omero italiano la sorprendevano, più ancora la trasportava il giusto sdegno dell’innamorato e retto cittadino che si scaglia contro il mal reggimento civile della gran Villa che siede sul bel fiume d’Arno; perchè le stesse cagioni agitavano l’anima della forte Bolognese, per la non men nobile città del pic[p. 134 modifica] ciol Reno: la mente corre a quell'esca che pasce le pro prie idee, e che satolla il cuore. E se non si temesse divergere di troppo dal punto di vista sotto il quale si prese a considerare quest' egregia donna cadrebbe in acconcio il ricordare quanto ad onta di quegli studi ella fosse sollecita nella cura delle domestiche cose, quanto amorosa ed attenta nella prima educazione de' figli, quanto abile ed esperta ne’ femminili lavori. E molto si potrebbe dire di quei modi affabili e gentili , di quel cuore espansivo che tanti amici le procurarono. Coerente in tutto a se stessa aveva una specie di culto per l'amicizia; ma chi n'avesse tradite sue sante leggi perdeva per sempre, e irremissibilmente la stima e l'affetto della sagace matrona , che per forza d'animo sprezzava i vili , detestava i simulati e malvagi. E chi più esecrabile del finto amico?

Ma veniamo a quel tempo in cui l' animo forte di Zanna si mostra all'aperto . Già si godeva Bologna della piena libertà fissata dal Pontefice Martino V. nei Capitoli di Costanza, e avevasi la protezione della Chiesa senz' esservi soggetta, governandosi al proprio consiglio. Paga alfine la Bentivoglio, vedeva salito il fratel suo Anton Galeazzo al più alto grado di favore si presso il popolo che presso i nobili, e volgendo a sua voglia il consiglio in prò della patria (14), per essere di questa assoluto padrone non gli mancava che chiamarsene Signore come già aveva fatto suo Padre Giovanni I., e forse a tanto grado egli aspirava. Quand' ecco l'invido Matteo Canedoli profittando del partito che anch'egli si manteneva in ogni ceto di cittadini sparge voce che il Bentivoglio vuol farsi tiranno di Bologna, tumultua contro lui , e guida una notte i suoi a scontrarsi coi [p. 135 modifica] Bentivoleschi in orrenda zuffa. Ma un perfetto silenzio ben raramente nasconde tali macchinazioni, a cui forse allora mal si porrebbe riparo , e Zanna ne fu avvisata un istante prima. Esterrefatta a tal nuova , percorre le vaste sue sale , chiama, aduna, e ordina ai servi che all'istante tutti a lei adducano gli amici; ella , questo fanle invia , quello dirige, l'uno affretta , l'altro comanda , prega , promette , grida , minaccia , impietosisce , tal che in un momento ratti quelli a servirla , più non la circondano che le sue ancelle. Allora rivolta a queste le guarda , poi : andiamo , loro dice, con una voce tremula per lo disdegno ma accompagnata dal balenar dello sguardo e dall'imperioso gesto , che rivelano la fer mezza di quel cuore ; andiamo a raccorre quante armi stano in serbo nel mio palazzo. In questi tempi di sangue ognuno ne è cinto.... ma all'uopo non manchino queste; e qui ognuno ne trovi a sua voglia . Ciò detto , ella s'avvia; e come allo improvviso straripar di un fiume quando precipita sopra ad acque stagnanti le involve co' proprii vortici , e ne' suoi flutti trasportandole , non si sa se questi a quelle , o se quelle a questi accrescano celerità , cosi le affettuose donne si stringono alla loro Signora , e vinta la naturale timidezza , spirano tal energia che più in quei volti non si leggerebbe chi è di loro che invita , e chi è che segue. In breve riedono alcune di esse arrecando armi e corazze in quelle sale che trovano già rigurgitanti di Bentivoleschi ; al primo loroincontrarsi prorompono le donne con confuso articolare di voci ; accorrete , salvate , uccidete , e gli uomini per l'orgasmo di quelle , e per la vista dell'armi , invasi da bellicoso fuoco , imbrandiscono molti le proprie , altri si scagliono su quelle che forbite si vedono presentate , e precipitosi si volgono all'uscita senz'altro attendere .... Ma seguita da altre ancelle soppraggiugne [p. 136 modifica] Zanna, e, Cittadini fermate , ella grida . Sconsigliati! ove? a che con tanto disordine ? Ah ! non vi dissenni impetuoso furore ; non una rabbia feroce vi sopraffaccia : non cor rete sbandati alla cieca ; ma brevi accenti v’informino prima di che si tratta . I Canedoli vogliono spento Bentivoglio : egli corre in armi al Palazzo Comune ; e quelli già forse pren dono con l'armi la piazza . Orsù dunque apportate colà il vostro soccorso a chi, caldo solo di amor di patria , tentò giovarle , la beneficò , la diresse ; che mosso mai sempre da giustizia , in essa conservò l'ordine , la pace , e che voi tutti riputaste si leale , și buono , si saggio. Volate a difendere la ragione del cittadino ; ma vi guidi senno virile, visproni sensato coraggio , non v'abbandoni accortezza : e inesorabili , non risparmiate quanti animati da bassa invidia pronti ad ogni misfatto , mille volte come ora , tornereb bero a conturbar la città : a cui tutti voi , sareste pochi , e tutta Bologna sarebbe scarsa preda alle loro vendette. Tementi essi ognora del vostro valore , e ansiosi annien tarvi , mai vi darebbero tregua , e ad ogni istante scorre rebbe a rivi il patrio sangue . » Distruggeteli , qesto è l'u nico mezzo e rammentatevi che è pietà divider per sempre le guaste membra da incorrotto corpo. Ma non più indugio; andate ; da voi dipende la vita del fratel mio, l'onor vostro: da voi dipende la sorte , la gloria della patria. Nel pronunciare queste ultime parole la matrona prende delle armi ( e sono pronte ad imitarla le ancelle ) e con le proprie mani cinge alcuni di coloro che trovavansene privi o mal provveduti; e con l'espressione più viva esclama: Ah!, perchè non nacqui di viril sesso , e perchè i miei figli sono ancora si teneri che vestendoli d'armi non possa dir loro : 0 vittoriosi con queste , o su queste estinti. Tali accenti non che ascoltati , sentiti da quegli animi [p. 137 modifica] divorati dalla più nobile passione , li rese maggiori a se stessi: nell' indescrivibile lor entusiasmo pare le ripetino: noi saremo altrettanti tuoi figli, noi seguiremo il tuo con siglio : 0 vittoriosi con queste , o su queste estinti. Ma entu siasti non forsennati, l'un l'altro si consigliano , e partono con ordine poco sperabile ove non è guida un sol capo. Zanna commossa ancor essa , li osserva , e con gioja pre sagisce che la vittoria non può lor mancare.

Cosi avvenne diſfatti; ed ella provò indescrivibile con tento quando Anton Galeazzo tornato vittorioso alle sue case si ebbe il trionfo della gioja dei cittadini, che tante più prove di affetto, e maggior onoranza assai gli tribu tarono; mentre i Canedoli dopo la piena sconfitta riportata, con che pagarono la temerità di aver eccitati a tenzone i Bentivoglio, a giusta pena della tentata sommossa vennero confinati a Verona dal volere appunto di colui che pel mal nato loro egoismo volevano spento: e ciò che accresceva la costor confusione si era il sapersi in vita per la gene rosità di un Bentivoglio, il quale avevali accolti e salvati sotto il proprio tetto, quantunque consapevole che qualche istante prima tramavano di trucidargli il nipote. Ma la so rella del Bentivoglio non approvò la pena inflitta ai Cane doli , ed avrebbe assolutamente voluto che , almeno dei capi di quella fazione, più non restassero a temersi le insidie . Conosceva che l'esilio si vicino alla patria accende viem maggiormente nell' esule il desiderio di rivederla , di riab bracciarvi i suoi cari, mentre poi non è facile cessi in cuore l' odio di parte, massimamente quando la contraria si senta prosperosa ed esaltata1; percui sono sempre aa pa ventarsi nuovi tentativi; tanto più che l'esilio esalta il pen siero , esacerba il cuore , abbrutisce le brame, ma per nulla inceppa i primi, e ben poco queste affrena. Nè si dovrà [p. 138 modifica] tacciare per questo di crudeltà la illustre cittadina , perchè riandando un momento su i mali sommi di che alla patria furono cagione i Canedoli , si vedrà ch'ella agiva con saggia avvedutezza per la profonda conoscenza di quegli spiriti irrequieti , con riflessione , con senno virile e col più nobile amor patrio. E dopo tal esame se si trovasse in Zanna un neo di ferocia , quale al nostro sguardo diverrebbe il primo Bruto?

In effetto anco dall'esilio i Canedoli a nome di Bologna muovono lagnanze al Papa contro il Bentivoglio , e se Anton Galeazzo non aderiva di ritirarsi a Castel Bolognese che in feudo venivagli assegnato , anticipavansi quelle dolorose vicende di cui ci sarà indispensabile tenere in appresso parola. Nè in coloro mitigossi l'antico livore col riedere alla patria , che li vediamo approffittarsi dello ascendente guadagnato sul Cardinale venuto a preside di Bologna , e perseguitare in guisa i Bentivoleschi da costringerli a volontario esilio. Ma per non estenderci con istoria già nota per se stessa , e che strettamente non risguarda la nostra Eroina; ci riporteremo al punto in cui i Canedoli per brama d'insignorirsi di Bologna si ribellano contro lo stesso Le gato, che tanto li aveva favoriti. Poco dopo per avere nelle mani Anton Galeazzo , il quale sapevano starsi allo stipendio del Papa , goderne il favore e riportarne distintissimi onori, con mille proteste lo chiamavano a Bologna ; offerendogliene perfino la Signoria. Non uso però il Bentivoglio a tradire, sebbene creda sincere queste offerte, scuopre al suo Sovra no le mire dei cospiratori, ed egli stesso con formidabili Capitani, i quali in appresso furono tutti da lui diretti, viene sul Bolognese per assoggettarlo alla Chiesa: dando contemporaneamente avviso agli amici onde all'uopo si regolassero. [p. 139 modifica] Bologna retta dai Canedoli , è assediata , è interdetta . L'abbandonano i Pastori delle anime , fra' quali il Santo Nicolò Albergati , e per calmare la desolazione a cui quelle anime si abbandonano , eleggesi un Vescovo dal Consiglio dei 600, per cui gli assennati più che mai si dolgono dello scherno fatto alla Chiesa . L'esercito Pontificio avanzandosi coraggiosamente ha l'obbedienza delle vicine Castella ; e il Presidio di Bologna ch'esce per respingerlo , or è attac cato , e or attacca , e le scaramuccie sono sempre sangui nosissime d'ambo le parti. Le artiglierie degli assedianti , benchè non colpiscano molte vittime , danneggiano i più riguardevoli fabbricati e spandono il terrore nella città . Ogni di cresce lo squallore , la popolazione prova tutte le angustie dell'assedio , e ciò null’ostante l'ostinazione dei Canedoli diviene tanto più pertinace quanto più forte si fa l’armata pontificia . Il cittadino di elevati sensi geme ai danni che mira , e ai maggiori che presagisce , pure non vuol porgere la sua mano a rendere soggetta la patria , e sop porta , ma quanti si lasciano vincere dal soffrire , e dallo spavento , adoperano mille trame per dare la città al Pon tefice : i congiurati d'ambo i sessi vengono scoperti e il sangue scorre a rivi . Al manifestarsi del nemico interno il Consiglio conosce inevitabile la sua perdita ; ma lungi dal trattare onorevole accordo con Martino V. chiede il soccorso de’ Veneziani , e dietro le negative di essi , offre loro per fino il dominio di Bologna ; ma questi costantemente ricu sano un dono che li avrebbe portati ad un'offesa contro quel Pontefice la cui prudenza , rettitudine , e bontà erasi meritata l'universale stima. Dunque non si vuole la dipen denza del Papa , e si mendica un Padrone ! Non si chiama un ajuto per difesa ; ma perchè maggiore divenga il mas sacro : e restar poi servi , o vincitori o vinti ! S'ignora qual [p. 140 modifica] sarà il Veneto per Bologna; si sperimentò già altra volta il paterno cuore di Martino V.!

Zanna , più di ogni altro cittadino si ferma su riflessi di tal tempra , quindi risolve di affrontare qual si fosse pericolo purchè le sia dato apportare vantaggio alla patria in si triste frangente. L'unico mezzo per riescirvi si è rivolgersi al Papa e seco lui trattare per iscritto del modo di agevolare l'impresa . Essa vi si diede senza indugio e pri ma , per sempre più renderlo benevolo a Bologna: „ aa cui egli portava singolarissima affezione commuove il di lui cuor generoso , dipingendogli a quali stremi fosse dessa giunta , e la lacrimevole desolazione delle anime non tutte ree , e delle quali egli era il principal Pastore . Poi con mirabile senno passa ad esporgli i mezzi da tenersi perchè l'esercito potesse entrare senz'altro massacro in città : e infine perchè Bologna si desse a lui, ed in lui trovasse di bel nuovo un Padre, un sostegno, una difesa. In pari tempo ella informava con mezzo ingegnoso il fratello Anton Ga leazzo del piano da Lei disegnato , per consegnargli a suo tempo una porta della città. (15)

Tutto era disposto colla maggior circospezione, quand'ecco punti i Canedoli dal saper tanto amata dai cittadini la sorella del Bentivoglio , concepiscono, o timore, o so spetto potess' ella macchinare d'introdurre Anton Galeazzo nella città, e immediatamente la esiliano in unione del Consorte suo, di Lodovico Bentivoglio, e dei figli, che già si mostravano degna prole di tanta madre. Non appena [p. 141 modifica] giunta a Modena assalita dai dolori del parto si sgravò; Poi soprappresa da stremo languore, conobbe approssimarsi il suo fine sebbene in verd’età . Allora dopo di essersi di sposta per comparire al tribunale di Dio, volle dirigere un foglio a Martino V. per esortarlo ad ogni tentativo, onde Bologna ricuperasse ben presto la pace all’ombra del suo Trono .

Così la singolare Donna compi nel 1439 la sua mortal carriera fatta burrascosa da que’ prepotenti e generosi affetti che l’agitarono mai sempre. Lasciò dodici figli da lei stessa diretti in ogni sana disciplina, e le cui gesta onorarono quella terra per cui ella aveva tanto sofferto, e che aveva cotanto amata. [p. 143 modifica] [p. 144 modifica]


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ELISABETTA SIRANI


... de’ vanti suoi l’antico Apelle

Freni gli orgogli, ed arrestando il volo
Ceda le palme ad una destra imbelle.

 UNA MONACA.

Eccoci tener parola di quella illustre Giovinetta che nella nobile arte del dipingere sovra ogni altra del suo sesso come aquila vola, per sedersi accanto a que’ lumi nari che resero si celebre la bolognese scuola della Pittura. Quella scuola che mai collettizia, ma tutta propria, originale risorse, ed in ognuna delle sue tre epoche dei propri cittadini si aggrandi: quella scuola, che, nella patria stessa, inspirandosi ne’ rarissimi monumenti dei più antichi che vanti l’Italia ( 1 ) meravigliosi rispetto ai tempi, dava dei dipinti pieni di moto, assai prima del 1000 (2); fino a che e l’antichissimo Guido, e Ursone, e Ventura, con metodo tutto proprio di devote, aggraziate, e adorne imagini, prevenendo Cimabue, facevano invito da Bologna loro pa tria, a tutta la classica terra di prendere il posto predesti natole dal cielo. Quella scuola che non le mancando un solo anello alla serie progressiva de’ suoi pittori (3), è rigenerata nel decimoquinto secolo dal Francia, lasciando [p. 146 modifica] essa a quel tempo senza competitore quel solo Urbinate, che forse mai non l' ebbe , il quale però altamente stimava ed ammirava il nuovo Capo -scuola bolognese. Infine di quel la , che da quasi tre secoli è la scuola pittorica di tutta „ Italia , (4) , a tanto grado elevandola quei Caracci che da tutti i più valenti trassero il meglio , per insegnarlo nella loro accademia degl' Incamminati , donde usci un Domeni chino , un Guido , un Albani , i quali , col martirio di S. Agne se, colla strage degl' Innocenti , e coll' Annunziata mo strano quanto favorisse lo slancio del loro ingegno il non avergli preclusa la via che bramava battere ; quanto le sane critiche maturassero la ragione , quanto una giusta imita zione li facesse padroni del bello originale ; quanto li ren desse attivi quella specie di concorso che vi si faceva per riportare avvisi o premi dal gran Lodovico : della cui arte qual vero trionfo , e qual compendio di ogni bello basti citare il Chiostro di S. Michele in Bosco.

Mentre dunque di tutte queste Opere risuonava si viva lode per tutta Europa, nacque in Bologna li 8 Gennaio del 1638 Elisabetta figlia primogenita a Gian -Andrea Sirani ed a Margherita Masina. Come sempre avviene in ogni es sere vivente, che le predominanti tendenze nelle prime spontanee occupazioni si appalesano , così la picciolissima Elisabetta spiegò ben presto molto trasporto e disposizione al disegno. Il padre valente pittore nell'osservare ciò che per giuoco essa andava lineando , se ne compiacque e sorrise , ma era ben alieno dal lasciarsi sedurre dal pensiero di appli care una fanciulla alla pittura , quantunque avrebbe dovuto lusingarlo l'esempio di tante altre pittrici, e sopra tutti quello, allora recentissimo della concittadina Lavinia Fontana, alla quale i pennelli procurarono distintissimi onori in patria, che in Roma ſu dichiarata Pittrice di Gregorio XIII, che [p. 147 modifica] ricchi doni, e ricerche di nobili sponsali, e ( 5) perfino principesche onorificenze si ebbe. Di diverso avviso del Si rani si fu per altro il saggio Conte Canonico Malvasia, che con la sua Felsina Pittrice diede prove bastanti dell’amore e del gusto che aveva per le belle arti; questi appena ebbe osservato ciò che a caso tracciava la bambina, da estima tore ed amico vero del probo pittore lo indusse a dedicarla al disegno, persuadendolo ch’egli come padre non do veva soffocare il genio che si possente mostravasi nella figlia; e che poi come artista gli correva obbligo di prestarle mano, acciò si elevasse, e non venisse defraudata la pittura di novelli vanti, in causa del pregiudizio che condanna il gentil sesso a non trattare che la rocca e il fuso. Nè il degno Signore si appose al vero; perchè la sua pro tetta ammaestrata al dipingere dal proprio genitore, di do dici anni fu in istato di ritrar questo con molta proprietà, e buona condotta. Quindi animosa proseguendo, non vi ſu studio atto a premunirla di cognizioni utili all’arte, nè esercizio che valesse a perfezionare la già mirabile destrezza di sua mano alla matita, che da lei non fosse con ansia coltivato. Ella mirando ad animare grandi tele attese ad erudirsi nella sacra e nella profana storia, non meno che nella mitologia, perchè la vivace sua immaginativa si educasse al giusto ed al vero, onde un giorno non fosse tratta da inconsiderato slancio in quei vasti campi, i quali ubertosi di soggetti e d’idee mancano di quella realtà che è dono esclusivo della conoscenza degli usi, delle leggi, dei tempi. Ammiratrice del merito che il padre suo aveva nello incidere ad acqua forte, vi si applicò con si felice successo che ne stupirono i più eccellenti (6). Del lavoro in Plastica non volle essere digiuna. Niuna maestra fu mai più di lei premurosa ed attenta nel ben dirigere le minori sue sorelle, [p. 148 modifica] ed altre giovanette alla pittura: ed intanto veniva ritratta sua madre, e l’allieva Ginevra Pantofoli; Parma si aveva una tavola con S. Gregorio Papa, S. Ignazio, e S. Francesco Xaverio, il Comune di Trafrasso riceveva un dipinto con la Beata Vergine, S. Martino, S. Rocco, e S. Antonio da Padova; Mantova esponeva nel Duomo il quadro dei diecimila Martiri; in Bologna si ammirava un’Immagine di Maria con S. Gioseffo ed altri Santi; lo scultore Agnesino mostrava un Rame su cui eravi dipinto il tradimento della bella Dalida allo innamorato Sansone; varie tavole incise all’acqua forte si dicevan di pregio raro..... e tutto ciò era lavoro, e squisito lavoro di una fanciulla non per anco diciottenne! La quale non pittrice soltanto; ma che, accesa di nobile ardore per ogni gentil disciplina, occupavasi a formare mille varietà di bei caratteri scrivendo leggiadramente,, (7); coltivava la musica, modulando la sua voce con molta grazia su l’Arpa. Essa quanto piena di senno, e mirabile pel suo ingegno, adorabile si era pei modi umani, gentili, cordiali. Conforto di un genitore infermiccio, e a lui di sollievo depositando in sua mano ogni ricavato del proprio lavoro: compiacenza di una povera madre colpita da paralisi, alla quale faceva dono del frutto di qualche dipinto che a tal uopo nascostamente faceva; tenera per le due sorelle e pel fratello suo; amica degli amici; vera guida delle sue allieve; padrona indulgente e amorevole ( 8) ed umana: e ( quasichè ella sola avesse voluto smentire l’opinione che la donna data alle lettere e alle arti è inatta alle domestiche cose ) sollecita sin dal primo mattino (9) attenta ella era e prestavasi a tutto. Pareva dicesse: mirate come le alte occupazioni hanno elevati i miei sentimenti; osservate quanto sia gelosa di mia onestà; e come sono presa del ministero di donna; che sebbene non [p. 149 modifica] madre, ma figlia di famiglia, io prevengo le bisogna della mia casa, ed assisto con indefessa cura chiunque di essa ne ha duopo; nė temo che i bassi uffici faccian scorno a queste mani che danno vita alle tele.

Sarebbe impossibile l’annoverare con ordine tutte le opere che in ogni anno la instancabile pittrice produceva avanzando nell’arte con straordinaria eccellenza ed oprando con somma syeltezza. L’ammiravano i saggi e l’applaudi vano, mentre l’esecrabile sciame degl’invidiosi spandevano voce venir essa ajutata dal padre suo; nè mai falso so spetto poteva fondarsi con maggior apparenza di verità; giacchè essendo stato il Sirani prediletto discepolo di Guido Reni e il più felice de’ suoi imitatori, del pari Elisabetta, come allieva del genitore ed ammiratrice entusiasta del grand’Uomo, seguiva la stessa maniera ch’era la seconda di quel sommo; per cui le molte squisitezze che risaltavano nei suoi dipinti fino a quei giorni presi per lavori di Guido erano altrettanti punti che i maligni adducevano a scapito del di lei merito. Ciò nullostante la sua fama ingigantiva, ed ognuno ambiva possedere una produzione del suo pennello. Ecco un giorno presentarsele i com tenti di un gran quadro ove si doveva figurare il battesimo di Gesù Cristo da porsi nella Chiesa dei Certosini, in riscontro ad altra grandiosa tela che rappresenta la cena del Redentore, opera del padre suo, riputata bellissima per l’espressione, per la nettezza del disegno e del colorito. La giovanetta allora appena ventenne, raggiante di gioia prese un foglio di carta con pennellino in acquarello d’in chiostro, e a vista degli astanti stupefatti per tanta pron tezza d’ingegno, abbozzo, ombreggiata e lumeggiata ad un tempo quella composizione ricca di figure, spiritosa per le movenze, grandiosa per lo assieme. Quel quadro era in [p. 150 modifica] breve appeso ove trovasi tutt’ora, e se la immensità dei curiosi che accorrevano a vederlo ne notavano la grandezza, la vivacità dei colori, e l’un l’altro si mostravano a dito il ritratto della pittrice nella giovine donna che guarda il cielo, e tante altre circostanze di minor rilievo; gli artisti levavano a cielo la facile condotta in quelle grandi proporzioni trattate senz’ombra di timidità, la bellezza delle teste piene di espressione non disgiunta da soavità Guidesca; la cognizione di parti, l’armonia, l’accordo, l’impasto dei colori insomma, la dichiararono opera degna di formare la più grande riputazione di qualsifosse già grande artista.

Ciò avvenne diffatti: le lodi della Sirani suonavano su le labbra di ognuno; ognuno tributava riverenza al suo valore, che conoscevasi acquistato con molto studio su i più grandi pittori. Rilevasi da una sua particolare memo ria che tutti gl’insigni personaggi che soffermavansi a Bologna volevano vedere la celebre pittrice, e le sue opere, e molti bramavano di assisterla qualche ora al trepiede o cavalletto: fra questi ultimi non si tacerà Cosimo De-Medici, il Duca e la Duchessa di Mirandola, Alfonso Gonzaga, il Duca di Brisack, il figliuolo del Vicerè di Boemia e quello del Duca di Lorena: ma un paragrafo che trovasi nell’elenco o catalogo delle numerosissime opere di Elisabetta, di suo pugno registrato, fa chiaro un aneddoto che merita di essere riportato letteralmente.–Anno 1665 «Alli» 3 Gennajo fu in casa nostra la Signora Duchessa di» Brunsvik a vedermi dipingere, dove io in sua presenza» feci un amorino d’età d’un anno, significando l’amor» proprio, mostrando volersi ferire da sè con una saetta,» rimirandosi nello specchio. Intendami chi può, che m’intend’io». Ma perchè si veda che quanto era spiritosa. [p. 151 modifica] nel satirizzare il vizio, altrettanto era sagace e pronta a lodare col suo pennello le virtù1; trascriveremo un altro paragrafo di detto elenco di data anteriore. «Anno 1654. A dì 13 Maggio fu in casa nostra il Serenissimo Cosimo» gran Principe di Toscana a vedere le mie pitture, ed io in sua presenza lavorai in un quadro, del Sig. Principe Leopoldo suo Zio, la Giustizia assistita dalla Carità e dalla Prudenza, abbozzandovi sollecitamente un puttino allattato dalla Carità. Mi ordinò ancora una Beata Vergine, che subito io feci col Bambino che le siede in» grembo.»

Le pitture della Sirani erano già in grande stima per tutta Italia, avendone Roma, Genova, Firenze, Parma, Mantova, Modena, Reggio, e tante e tante altre città; tutte le grandi famiglie della sua patria ne mostravano con orgoglio; il suo maestro di musica, il medico di sua famiglia, e gli amici suoi guardavano con devota ricono scenza vari ’pegni d’amicizia creati da pennello sì grani de; già si lodavano i suoi lavori in varie corti oltramon tane;; il petto della giovane artista già brillava di una croce con cinquantasei grossi diamanti, donatale oltre convenuto compenso per un dipinto eseguito d’ordine del Principe Leopoldo, figlio dell’Imperator Ferdinando III. La Imperatrice Eleonora, vedova di quest’ultimo, già aveale ordinata una gran tela, quando un gagliardo dolore allo stomaco, che da qualche mese tratto tratto leggermente l’assaliva, in meno di 24 ore la ridusse agli stremi; e non appena ricevuti i soccorsi di nostra Religione spirò il giorno 28 agosto del 1665 in giorno di venerdì, come pure in tal giorno era nata.

La morte in compendio di questa donzella, che alla slanciata figura univa un’apparente robustezza, e [p. 152 modifica] l’improvviso turgore della sua spoglia appena esanime, fecero dubitare che fosse rimasta vittima di un veleno: non avendo però somministrato nessun segno certo nè la sezione fatta al cadavere, nè il processo che ſu aperto contro la persona caduta in sospetto, fa restare indeciso un tal punto.

Profondo, intenso fu il lutto dei cittadini, e di quanti appresero quest’infausta novella sontuose oltre ogni credere l’esequie, dopo di che la sua salma venne posata presso gli avanzi di Guido Reni in s. Domenico nel monumento del Senatore Saulo Guidotti, che aveala levata al sacro fonte.

Ella contava 27 anni; ma le sue opere non si contano: sono innumerevoli: e quel che è più sono grandi! visse poco, e doveasi cercare di lei per vederla; la sua memoria sarà perenne, e quasi in ogni angolo di Europa ti si mostra Elisabetta Sirani. [p. 153 modifica]

NOTE


( 1 ) Vedi Lanzi. Storia Pittorica. Vol. 5. epoca 1.· Edizione di Pisa 1815.

(2) Il Lanzi che nella succitata Storia non lascia sicuramente sospettare parzialità per Bologna, si spiega così, ... ed è vanto forse unico per Bologna di poter nominare tre nati nel secolo dodicesimo ec, ec. V. T. 1. pag. 280.

(3) Amorini. Vita dei Pittori e Artisti Bolognesi. Parte 1.

(4) ... cioè dal 1580, Lanzi Vol. 5. epoca 2. pag. 75.

(5) Baglioni. Vite dei Pittori.

(6) Toselli. Elisabetta Sirani. pag. 7.

(7) Amorini. parte 5. pag. 362.

(8) Toselli -- Le fantesche di casa Sirani dicevano di sopportare per amore di Eli sabetta le stranezze della di lei madre.

(9) Amorini.

(10) Toselli. Foro Criminale Bolognese.

(11) Malvasia. Felsina Pittrice. T. 2. pag. 386. Il pennello lacrimato. [p. 156 modifica] [p. 157 modifica]

MARIA DALLE - DONNE


Nel 1776, sulla giogaia degli Appennini,e precisamente nel punto in cui la riunione di circa 70 famiglie costituiscono il Comune di Roncastaldo, lungi da Bologna 18 miglia, nasceva dai modesti coniugi Dalle - Donne una fanciulla, che al sacro fonte chiamarono Maria Carolina. Come non di rado avvenne di vago olezzante fiore, spontaneamente germogliato in glebe ricoperta da bronchi, che fosse destinato ad ornare l’aiuola di un giardino, onde esperto cultore maggiormente ingentilisse i suoi germi; del pari la rara svegliatezza d’ingegno che Maria mostró sino dai primi anni, fece risolvere lo zio suo pa terno, Don Giacomo Dalle - Donne, di seco addurla ove a soda disciplina potesse informarsi lo spirito di lei.

Il buon sacerdote avevasi stanza in Medicina, ed era amicissimo del Bolognese Luigi Rodati, uomo il cui elogio non formavasi dal solo titolo di Dottore ch’ egli portava senza scapito della nobil arte d’Ippocrate. Questi, osservando la fanciulla, si fece con acconcie domande ad investigarne [p. 158 modifica] e spirito e cuore; e ponendo pur mente allo sguardo tenero ed ingenuo, ma vivace e penetrante che sfolgorava nel di lei volto, conobbe aver ella sortita ottima indole, perspicacissimo intelletto, ardente desiderio d’apprendere, per cui senza difficoltà alcuna aderì alle brame del di lui amico Don Giacomo, d’instruirla nella latinità. Compiuto in breve da Maria studio così imponente con grande soddisfazione e compiacenza del Rodati, che ne l’aveva ammaestrata, seguì lo zio a Bologna, chiamato, per quanto sembra, ad officiare il tempio al Ponte dell’Idice; il cui annesso spedale per alloggio dei Pellegrini che da Firenze portavansi, negli scorsi secoli, da questa via a Roma, ci ricorda l’ospitalità che i bolognesi praticavano col forestiero. Nella città, madre degli studi, era dessa attesa da quel Sebastiano Canterzani, non che di Bologna sua terra natale, non della Italia sola, ma della intera Europa ammirazione; il quale, prevenuto dal Rodati qual fosse la gemma che nella giovinetta gl’indirizzava, egli, con la bontà di cuore per cui l’amore di ognuno si ebbe mai sempre, coi modi anzichè affabili, umili, onde la fiducia traeva pur anco dal l’animo più timido, assunse l’impegno di ammaestrarla in ogni parte della più recondita filosofia, desideroso di scorgerla, se fosse stato possibile, a sorpassare lui stesso.

Diretta Maria nello studio del vero da chi era di questo caldo e schietto investigatore, non andò guari che prevenne l’aspettazione di ognuno, e sciogliendo ardui quesiti con franchi giudizi, chiare risposte ed eloquente facondia ( sebbene modestissima fosse ) fece mostra di una mente assai vasta, già ricca di erudizione, già profonda nello argomentare. Laonde il Canterzani deliberò di applicarla alla medicina e alla chirurgia; e posela pertanto [p. 159 modifica] sotto gl’insegnamenti di Tarsizio Riviera, la cui mirabile eccellenza nello ammaestrare era inconcussa prova di quanto fosse in tali scienze profondo, e come giustamente Bologna avesse conferita a tal suo concittadino la cattedra che da otto secoli sfida in estimazione quelle di ogni altro Medico Collegio.

Dall’una in altra scienza progredendo meravigliosa mente si applicò la Dalle - Donne e alla notomia comparata, e alla fisica sperimentale, riescendo molto valente nella prima, e ottenendo sorprendenti successi nella seconda. Ma ella era tuttora poverissima; per cui i di lei maestri che al già nominato Canterzani, Rodati, e Riviera erasi unito e l’insigne fisico Aldini, e il patologo Uttini, nei quali mecenati fortuna le aveva presentati i dotti più insigni, non meno che gli uomini maggiormente stimabili per aureo cuore ed accostumatezza, allettati questi eziandio dalla dolcissima mansuetudine di Maria, che per mala disposizione dei suoi omeri, vedevano da natura oltraggiata assai, la persuasero a chiedere la lau rea di Medicina e Chirurgia, ben stimandola degna di esercitare quelle scienze, e cosi con le onorate sue fati che provvedere a se stessa. Ciò però che paventava l’alunna, si era il riflettere che quanto l’indulgenza di alcuni è facile a prodigar lodi a qualsiasi lieve merito di donna, altrettanto un maggior numero si ostina nel niegarle, ovvero sdegna di concederle, perfino il tributo di prestar fede alle asserzioni di chi per solo amore del vero addottrinate le chiama; e i timori palesati da Maria furono trovati se non giusti, almeno veritieri. Certi però quei magnanimi del di lei valore, deliberarono che si producesse tre giorni di seguito a pubblico cimento nella chiesa di s. Domenico, affinchè il trionfo che senza fallo nella lizza riporterebbe, [p. 160 modifica] facesse ricreder chi assolutamente non concede scintilla di genio nella compagna dell’uomo.— Raramente è vero crescono donne di mirabil senno... che forse, non ogni. età, una ne segna; ma se sia colpa di natura o della edu cazione; più che alle donne, che le storiche pagine, le antiche cronache, e le generali tradizioni, ci mostrano saggie, dotte, illustri, grandi, somme, perchè ne colti varono e cuore e senno, si gitti uno sguardo nello scia me dei giovani neghittosi, abbandonati a se stessi... forse, la differenza fra quelle e questi non chiarisce abbastanza che ripetendosi una stessa causa, produce effetti non dis simili, sebbene in vario sesso?...

Il primo di agosto del 1799, il vasto tempio al Gu smano consacrato, sin dal mattino rigurgitava di perso ne: ogni scienziato, ogni dotto era colà accorso con ansia: ognuno bramava sfidare la valentia di questa giovane donna non ancora entrata in arena. Ella, modestamente vestita di nero, coperto il capo da un velo che scendevale fino ai piedi, stavasi su ampia predella a tal uopo disposta. Il suo aspetto era tranquillo, come di persona a cui non è molesto il pensiero di ciò che imprende‫; ‬il suo sguardo e il suo contegno erano composti al rispetto che quell’adunanza meritava, che, chi seppe guadagnarsi delle doti sa apprezzare le altrui: vedevasi in lei la sicurezza ben lontana da presunzione; in lei scorgevasi quell’umiltà che non invilisce chi la professa. La disputa cominciò: schiariti da Maria molti quesiti, che quei dottori a lor piacere le venivano facendo; all’improvviso le presentarono tesi di sì profonda difficoltà, che gli stessi suoi maestri impallidirono per temenza avess’ella a smarrirsi. La discepola, senza menomamente scomporsi, servendosi sempre dello idioma del Lazio fino allora [p. 161 modifica] adoperato, con profonde analisi e limpido argomentare ne svolse ogni parte a sì decisa incontrastabile definizione che mosse l’entusiasmo in tutta quella scelta adunanza. Il giorno susseguente, quegli scienziati, il cui nome aveva più volte eccheggiato glorioso per la Italia, si portarono al tempio novellamente ad ascoltare la quadrilustre addottrinata; e nel terzo giorno accorrevano per consultarla intorno a ciò ch’eziandio per essi era ancora problema.

Rassicurata Maria, ed esultanti i di lei maestri pel trionfo riportato, ella si fece a chiedere la laurea di Me dicina e Chirurgia; e ad esserne insignita il giorno 19 dicembre 1799, dovė sostenere altro pubblico esperimento nel grande Archiginnasio. Ivi si conserva documento comprovante che la grande aula di detto stabilimento, in cui da elevatissimo posto la valorosa giovane disputò, risuonava altamente delle lodi somme e dei sincerissimi plausi, che, meravigliati di tanto portento le tributavano i primari professori sia di filosofia, sia di eloquenza, sia di medicina, non meno che tutto il collegio, gli assistenti e lo eletto stuolo degl’invitati. Nella eloquenza e nel bel dire latino fu giudicata a nessuno seconda; in filosofia mostro di sapere; in medicina profondissima. Ad unanime consenso acclamata Dottoressa, Tarsizio Riviera, oratore stupendo di quella sontuosissima festa, la ornò delle insegne dottorali.

Di bene in meglio volgendo la sorte di Maria, mentre si tendeva ad assegnarle cattedra di ostetricia, il Conte Prospero Ranuzzi Cospi, ammirato di scorgerla a si alta meta nelle scienze da lui cotanto amate, e coltivate con esito felice, la provvide di annua pensione; la quale accrebbe fino a 100 zecchini, quando ad essa faceva dono della ricca e preziosa raccolta di macchine e libri alla fisica [p. 162 modifica] pertinenti. Ma eccola finalmente sul seggio da dove do veva recare utile alla umanità. Li 11 febbraio del 1804. fu eletta direttrice delle ostetricanti con permesso di ammaestrarle in propria casa; e qui in vero si appalesarono i morali di lei meriti. Ella era delle sue allieve in un tempo madre tenera, mecenate previdentissima, rigorosa maestra. Al presentarsele di una novella alunna era estremamente circospetta nel giudicarne; non si fidava al primo aspetto di chi le ripromettesse ingegno; e del pari se talvolta scarso in alcuna parevale, osservava se le restasse in quella a sperare un compenso nella buona volontà, nello studio, nella prudenza, e in tante altre doti, che pur sarebbero indispensabili in chi si destina al letto del sofferente. Maria giustamente raccappricciava pel barbaro abuso di spesso affidare due vite in un tempo alle mani di femmine rozze, inette, e non di rado o si vili che per amore dell’oro, o si ignoranti che per presunzione, e fors’anco si stolte che per malintesi pregiudizi, azzardano, o accondiscendono’a tentare cose a loro inconcepibili affatto: imprudenze che anco coronate da esito fortunatissimo meriterebbero severe punizioni. Pertanto la Dottoressa nelle lezioni che apprestava non risparmiava studio, tempo, cure, fatiche; adattava i mezzi alle circostanze; e sebbene, come fu notato, profondissima nel latino e non affatto digiuna di greco, servivasi del famigliare linguaggio, e spesse fiate del dialetto bolognese, giacchè ella voleva essere intesa dalle sue allieve, non ammirata. I suoi modi erano cordiali, affabili, amichevoli con esse; quando però le passava ad esame era inesorabile: il suo cuore non debole, ma buono, sensatamente ripugnava macchiarsi della falsa pietà che poteva spandere il lutto in tante, povere famiglie: per cui sopra tutte [p. 163 modifica] invigilava quelle destinate alla campagna, ove difficilmente si ricorre ad altri soccorsi: nè sentivasi al caso di fare distinzione che da Dio non fu mai fatta. Agli occhi di Maria, fosse la dama, o la villana, che dovessero abbandonarsi alle cure delle sue allieve 9, erano due donne. Al contrario quando alcuna delle giovani levatrici, piene delle doti che dall’arte loro si chieggono, trovavasi priva di mezzi, ella ad ogni spesa suppliva senza esigere ringraziamento e gratitudine.

Bologna giudicò non bastante compenso a tanto merito, il tributo ch’erale reso da ogni dotto in rima e in prosa, e che la famosa Clotilde Tambroni la encomiasse in una sua dotta orazione; ma a pubblico attestato di stima il 4 maggio 1829, la volle ascritta fra gli accademici soprannumerari Benedettini. Onore, invero, tanto grande quanto degnamente compartito.

Non fu la Dottoressa aliena dal coltivare le amene lettere; che stupenda era in poesia latina e italiana; ma troppo umilmente sentendo di sé, nulla riteneva, per cui nulla di lei ci è rimasto. Nella musica abbastanza esperta per esporsi nelle solennità a suonare l’organo in varie chiese, e più di frequente in S. Caterina di Saragozza, alla quale apparteneva come parrocchiana.

Questa insigne la sera dei... Gennajo 1842, concambiando con auguri di una notte felice le benedizioni che invocavano su donna si modesta e si pia, le due persone tenute a suo servizio, placidamente si adagiava al letto: un istante dopo, udito dalla fantesca un lieve lamento del l’amata padrona, accorsa al letto, la trovò oppressa da sincope. Non si ommise chiamare il professore fisico, ma si vold dal parroco, il quale in men che si dice, fu presso la Dottoressa, non però più morente, ma già spenta. [p. 164 modifica] Nel mattino allo spargersi della trista novella, molti indigenti piangevano in lei la benefattrice, tutte le sue allieve la buona e brava maestra, il Collegio Medico, la

tanto valorosa quanto modesta loro collega, ogni scienziato la famosa Dottoressa Maria Dalle -Donne. [p. 166 modifica]Pagina:Bonafede - Cenni biografici e ritratti d'insigni donne bolognesi.pdf/166 [p. 167 modifica]

MEA LATTUGLIANI


Cantando eccelsi fatti aa mille a miile
Dispieghi il vol de ’ sccoli sull’ale.
 IRENE RICCIARDI.


Nella culla di coloro «Che quanto durerà l’uso «moderno-Faranno cari ancora i loro incbiostri (16)» sorsero accese di estro poetico molte illustri donne d’ogni virtù esempio. Toccavansi i due secoli decimo quarto e quinto; fresca ricordanza serbavasi, che appunto in Bologna, tutto alla poesia avesse volto l’animo suo il gran Cantore di Laura, quando fra le concittadine dei «... due» Guido che già furo in prezzo (17)» riſulgeva per senno, una gentildonna, il cui nome di Bartolomea era per vezzo da ognuno cangiato in quello di Mea. Sposa, per quanto [p. 168 modifica] sembra, a Michele Mattugliani, o Mattujani, dalla patria onorato come spettavagli (18) e pel proprio merito e pel lustro del casato (19), ella, avvenente e dotta, non poteva essere che distinto ornamento delle danze, delle giostre, dei banchetti con che il I. Giovanni Bentivoglio festeggiava i lieti eventi che spandevano qualche raggio di gioia sulla breve signoria da lui della patria tenuta. Quindi non sa rebbe difficile adottare l’idea di un moderno spiritoso scrittore bolognese, il quale immagina che in tali feste ammirata Mea dal giovane Carlo Cavalcabò ( per mire politiche, dallo zio, signore di Cremona, inviato alla corte Bentivolesca ) di lei ardentemente innamorasse; ma non essendoci dato rintracciare sulle patrie memorie un sol cenno di ciò; lasciando al romanziero l’intessere con vivaci episodi un dilettoso racconto; noi, ligi al vero, salteremo a pie’ pari a tener parola dei versi, che, non preda dell’oblio a cui soggiacquero e i natali, e i primi anni di lei, sotto ogni aspetto caramente la ricordano a tutta Italia qual saggia e illustre matrona.

Carlo Cavalcabo elevavasi nel 1405 a signore de’ Cremonesi, godendosi gli onori che la scelta società suol tributare alla potenza, e lasciando che il popolo si avesse nelle feste che gli offriva un compenso dei vantaggi che questo sogna in tali incontri. A tante felicitazioni gioiva il cuore del nuovo signorotto, mai presago dovesse perdere in breve vita e dominio. Ed anzi, perchè un virtuoso amore non si ammorza per scorrere di tempo o lontananza, an che in si lieto momento ebbe l’animo rivolto alla virtuosa poetessa Bolognese, che si è detto conoscesse alla corte [p. 169 modifica] del Bentivoglio, e indirizzolle una lettera in terza rima spirante riverenza ed affetto.

La Mattujani notò in quel foglio le lodi somme onde la onorava il gentil cavaliero, non meno che le fervide di lui espressioni. Ella, non disdegnosa, senza ostentare virtù, volle insegnarla; e prese a rispondergli in pari metro ma con dignitosa riverenza, con maggior maestria (20) coi più sublimi concetti. Le cento terzine della dotta epistola di Mea, spirano grazie, soavità, e spronano alla rettitudine. Enumera dapprima i titoli del Cavalcabò e n’esalta il casato; ma essa espone, non adula. Sempre dignitosa, modesta sempre, lo ringrazia delle lodi, se ne chiama im meritevole, dice di trovare in quelle un eccitamento a vieppiù apprendere, e invoca le deità del Parnaso perchè l’aitino a condegnamente rispondergli. Poi, ond’egli co nosca come la virtù siale a caro ed il vizio in orrore, con vasta erudizione magnifica ella la memoria di molte donne che le sacre e le profane pagine ci commendano di castità esempio; e, la sagace Mea, con disdegno inveisce contro quelle di turpe vizio lordate. Non lascia quindi dall’invi tare ad opre generose lo stesso signore di Cremona con queste terzine.

Ma se vuoi aver dentro al tuo cor pace
Fa sol, che le virtù faccian ritegno
Ne’ tuoi pensieri, e fa ciò che a lor piace.

Voglio, che queste sol ti faccian degno
D’esser signore, ed ogni di innalzare
Sol per amore, e crescere il tuo regno

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Sicché tu possa a’ tuoi perpetuare
Quel che fu partorito per antico
Del sangue tuo per virtuoso oprare.

Fatti ciascun con le virtudi amico,
Pensa che sei mortal; fa che soccorra
Con questo scettro ancor chi tè nemico.

Ma particolar menzione meritano le ultime terzine, colle quali la poetessa si fa a torre ogni lusinga all’adoratore.

Al mio lungo sermon priego perdona
Che per grand’affezion qui lusingando
Tirato m’ave tua fama ch’or suona.

Tua son, ma l’onestà mia conservando
Come di vero cavaliere, e duca
Del popol tuo, il qual ti raccomando;

Sicchè tua fama dopo te riluca
Con tenace memoria, e non si snervi,
Fin che l’alto Motor luce qui luca:

Il qual io prego il tuo valor conservi.

È dono del Creatore uno svegliato ingegno, forza spesso dell’educazione il coltivarlo, ma resta alle proprie voglie guadagnarsi il vanto di volgerlo al bene e divenire di bello e caro esempio ai posteri, o viceversa, questo stesso dono dirigendo al male, farsi oggetto che unito all’ammirazione si abbia il loro disprezzo.

Giudichi il lettore qual memoria lasciasse di sè Mea Mattujani. [p. 171 modifica] [p. 172 modifica]

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LUCIA BERTANA


... come in acquistar qualch’altro dono,
Che senza industria non può dar natura,
Affaticate notte e di si sono
Con somma diligenzia e lunga cura
Le valorose donne, e.... con buono
Successo n’è uscit’opra non oscura;
Cosi si fossin poste a quegli studi
Che immortal fanno le mortal virtudi,
 FUR. can, XXXVII.




Nel secolo in cui l’Italia arricchì i letterari suoi fasti di tanta copia di sublimi ingegni, intenti a scorgere la poesia al più alto grado di perfezione, non poche furono le donne che presero parte a sì nobile gara: pari alla vite, che disdegnando il suolo, cresce e si appoggia all’albero che alto si estolle. Dal sorgere pertanto del l’aureo secolo XVI. vantò Napoli Vittoria Colonna, e qual che lustro dopo Laura Terracini. Si ebbe Padova Gaspara Stampa; Brescia Veronica Gambara, e Modena Tarquinia Molza: nè Bologna vide le sue cittadine o tarde, o in certe, o deboli, rispondere a quel nazionale invito. Suona vano dovunque altamente le lodi della vedova del marchese


18
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di Pescara ( 1 ); le franche rime dall’allieva del Bembo dirette ad usurpatori stranieri si commendavano assai (2); innalzavansi a cielo i soavissimi carmi di colei ch’ ebbe eguale ingegno, e non dissimile sorte della sventurata Saf fo (3): ogni labbro con fervido core applaudiva e ripeteva la energica preghiera della poetessa di Partenope (4); e nel tempo stesso Italia nostra proclamava pure stupende e degne di onore le poesie delle dotte bolognesi. Fra queste ebbersi grido di valenti rimatrici le patrizie donne, e Isabella Pepoli, e Ottavia Grassi, e Livia Pii, e tante e tante altre. Poetò allora in greco, in latino e in toscano Ippolita Paleotti; e Laura Gherardelli nella lingua del Lazio e nella propria. Dotte furono le prose dettate da Suor Febbronia Pannolini, ed elegantissimi i suoi carmi si in latino che in volgare. Un poema in quattro canti, sulla conversione di S. M. Maddalena, compose Maddalena Salaroli, riportandone generale encomi; e trattando lo stesso tema Suor Maria Ludovisi, intitolava Sacre Delizie molti suoi versi, de’ quali il patrio Instituto conserva il manoscritto. Andò «lodatissima da molti letterati la tragedia Celinda, scritta da Valeria Miani; ma troppo disvierebbe dall’ordine prefisso a quest’opera, il far menzione di tutte le illustre poetesse che nel cinquecento sorsero nella dotta città, le quali spesse fiate vestirono di non ispregevoli rime perfino il nativo vernacolo; ed è tempo di fermarsi intorno a colei che in tal secolo prima delle conciltadine sue comparve, e mantenne mai sempre il più luminoso posto. Ella nomossi Lucia Bertana; la quale, perchè divenuta moglie a Gerone Bertani gentiluomo di Modena, fu creduta e detta da molti scrittori Modenese ancor essa; fino a che il Tiraboschi la rivendicò a Bologna, ov’era nata dalla famiglia Dall’Oro nel 1521 (5), come pure fa di ciò fede [p. 175 modifica] l’epigrafe impressa sul marmo che rinserra le di lei ce neri.

Ma che dire del valore poetico di questa illustre don na, le di cui composizioni anche al di d’oggi si cercano, si leggono, si hanno in pregio? Ecco ciò che scriveva il Maffei sul di lei conto (6) «Veronica Gambara emulò le glorie della Colonna» dall’Ariosto onorata con questi versi:»

Quest’una ha non pur sè fatta immortale
Col dolce stil di che il miglior non odo,
Ma può qualunque di cui parli, o scriva
Trar dal sepolcro e far ch ’ eterno viva.

» Dietro Veronica Gambara (riprende il Maffei) segue a un’altra schiera di donne letterate, il cui nome suona» assai chiaro negli annali delle lettere italiane..... ma» nessuna di queste fu celebre al pari di Lucia Bertana.» E come lo storico dell’italiana letteratura colloca Lucia terza fra le donne di cotanto senno, del pari in tal pregio se la ebbe l’eletta schiera dei cinquecentisti, che richie devanla di verdi fiori poetici per ogni scelta raccolta che in que’ di s’imprimesse (7); non isdegnando vari di quei celebri letterati, e segnatamente Vincenzo Martelli di dirigerle spesso sonetti, odi ed altre simili composizioni, per provocarla a rispondere in rima; perchè quanto più si conosce il vero bello, tanto più si ammira, s’estima e gusta.

Ella non era solamente eccellente in rima, chè in prosa era dotta, elegante, valente; cultrice della musica, studiosa di astrologia, e nel trattare il pennello atta a distinguersi assai. Quanto alto l’ingegno, altrettanto ebbe dessa bellissimo lo aspetto ed ottimo il cuore; e diedene tal prova, che, sebbene riuscisse infruttuosa, le guadagnò [p. 176 modifica] la più alta stima, come di tutti possedeva di già l’amore. Lucia stavasi in Roma col marito ( colà chiamato dal di lui fratello, che poi fu Cardinal Bertani ) ed a lei ferivano tuttodì l’orecchio voci di disapprovazione per l’atra bile con cui Annibal Caro vendicava la troppo severa censura da Lodovico Castelvetro scagliata contro la sua cele bre canzone «Venite all’ombra de’ gran gigli d’oro.» La saggia matrona sapeva che, per tema, e per qualche minaccia dell’avversario, era costretto il Castelvetro or di fuggire, or di nascondersi qua e là; e comprendeva ella che quanto questi due superbi ingegni avevano procurato lustro alla repubblica letteraria colle opere loro, non meno scandalo recavanle con si acerba contesa; a discapito pur anco della fama di uno e della tranquillità dell’altro. Godevasi la Bertana di ambedue questi la stima, e con essi corrispondeva per lettera; ma pregare il Castelvetro ad essere men pertinace nella critica contro il Caro, pareale dargli sospetto, atteso le alte protezioni di cui il famoso traduttore dell’Eneide andava altero, ch’ella prendesse le parti del più forte; e da prudente dama, temeva offendere quello che, sebbene patrizio modenese e letterato distinto, avevasi appoggi assai meno considerevoli dell’altro. Laonde si decise, per tentare la riconciliazione di quegli animi, di volgersi all’insaputa del Castelvetro, al Caro, ed esporgli quanto fosse a dolersi che due cele berrimi scrittori stessero in siffatta discordia; e fecesi a dimostrargli che sarebbe stata ansiosa, non meno che superba di divenirne ella stessa la riconciliatrice. Quindi entra a ragionare col Caro delle di lui dispiacenze col Castelvetro, e tale si è questo passo della sua lettera che credesi bene il trascriverlo, onde si abbia più perfetta idea della forza e del delicato dire di lei. — «A me pare che [p. 177 modifica] queste sieno imprese che non abbiano rispondenza con la grandezza, bontà e bellezza dell’animo suo, e manco le siano da dare, e da levare riputazione alcuna; perciocchè quando il Castelvetro avesse detto tutto quello che sapesse di V. S. non le leveria per questo, che non fosse quello onorato e caro al mondo ch’egli è. E quando dall’altra parte V. S. avesse detto del Castelvetro tutto quello che sa pesse non ne riporteria più lode che tanto, e metteria tempo in dir cosa contraria alla sua dolcissima natura. Però desidererei che V. S. si contentasse di comandarmi che io vedessi di accomodare questa differenza con soddisfazione delle parti, parendomi che questa non sia per essere cosa impossibile da fare, poichè ad Aristotile ed a molti altri, non meno che v ’ abbiate fatte l’uno all’altro, sono state fatte opposizioni; nè per questo è avvenuto che non siano grandi ed onorati scrittori; e tanto più io potrei forse sperare di ridurre ancora il Castelvetro, con tutte le sue opposizioni a salvare ancora le ragioni di V. $. ed all’incontro indurre lei a fare il medesimo; in che dimostreria la felicità dell’uno e dell’altro ingegno Nè si sdegnerà V. S. del mezzo mio, perch’io sia donna; che anco le donne, come sa, hanno spente le guerre accese, e fatti i nemici amici.» Riuscì questa lettera di sommo gradimento al Caro, e non esitò a dimostrarlo rispondendo a Lucia — «Vorrei ch’ella mi credesse, ch’io mi tengo più contento e più pregiato d’esser fatto degno da lei della sua grazia, che di qualsivoglia altro acquisto che in questo tempo mi potesse avvenire. E dalla lettera ch’ella mi scrive io mi sono tanto sentito commuovere quanto da nessun’altra mai; sì perchè la bontà, la prudenza e l’amorevolezza con cui si vede scritta, possono ordinariamente persuadere ognuno, come perchè mi ha trovato [p. 178 modifica] assai bene disposto ad essere persuaso da lei. Che sebbene io non l’ho mai veduta, sono però stato da un tempo in qua molto devoto del suo nome, ed informato delle belle, Nè però diffido dell’inge e delle rare sue qualità. gno, nè dell’autorità di V. S. e so che le donne hanno.. composte di gran controversie, ed ho lei per tale da poter comporre delle maggiori. Quanto a me, per la riverenza ch’io le porto, e per l’obbligo che le tengo.... le do. pieno arbitrio dal canto mio di far sopra ciò tutti quegli uffici che le parranno opportuni per finirla.»

Lieta l’egregia donna per si felice auspicio, già lusingavasi di condurre quei due ingegni italiani a dar bello esempio d’umani sensi e di morali virtù; e persuadere il mondo che se talvolta il desiderio di mostrare nel giusto loro punto le opere dell’altrui ingegno ( da inesperti giudici a troppo onore elevate, non senza danno degli studiosi ) muove alcun dotto ad austera critica; sempre però prevale il nobile stimolo di commendare lo ingegno in cui risplende dottrina. A riuscire pertanto in tal savio divisamento non risparmiò poscia Lucia anche col Castelvetro parole di persuasione. Ad esso rivolta, pregavalo ritirare le critiche fatte alle opere del Caro, e onde ogni scintilla di discordia fosse per sempre spenta, lo esortava a distrug gere tutti quegli scritti che si crudel guerra avevano fra di essi accesa: quindi gli suggeriva di diriggere all’avversario amichevole lettera, foriera di una pace bramata dal l’intero regno dell’italiana letteratura. Altrettanto chiedeva ella pure al Caro, con non meno calore; ma purtroppo le offese dell’amor proprio più che quelle dell’interesse sono spesse volte incurabili! Quegli animi inaspriti a vi cenda dai loro trasporti di sdegno rimasero infine irremovibili agli sforzi fatti dalla Bertana per pacificarli: e sotto [p. 179 modifica] pretesto essere impossibile di revocare gli scritti già da essi ovunque sparsi, i quali quanto lo sfrenato orgoglio attestavano anche l’ingegno sublime che li aveva dettati, respinsero i di lei consigli, e resero inefficace ogni suo tentativo. Non fu dunque Lucia in questa impresa più for tunata, di quello lo fosse il Duca di Ferrara Alfonso II, e lo fossero molti porporati, e tanti insigni personaggi che a pacificare quegli spiriti irritati, s’interposero; però si ebbe ancor’essa il vanto di averlo tentato, e tentato con tanta alacrità.

Ella morì nel 1567 in Roma, ove ognuno ne apprez zava il merito ‫و‬, il peregrino ingegno, e dove molti dotti la decantavano.... della bella scuola - Di quel Signor dell’altissimo canto - Che sovra gli altri com’aquila vola. Le sue spoglie furono deposte nella chiesa di S. Sabina in magnifico mausoleo di marmo, su cui il consorte suo a tramandare ai posteri degna memoria di cotal donna, fece scolpire bellissima effige, e narrare le di lei doti singolari. in breve ma eloquente e patetica iscrizione. Oltre l’amore dei congiunti, anche l’ammirazione dei dotti le consecrò monumenti da eternare la sua fama; varie medaglie vide l’Italia coniate in onore di lei; ed i musei Trombelli, Mazzucchelli e l’Istituto di Bologna ne conservano una di bel conio, portando a dritta la sua effige in mezzo busto, e la leggenda Lucia Bertana, a rovescio, le grazie che spargono fiori e dei puttini che li raccolgono, col motto Nullo Largius.

Italiane gentili! chi di voi si ebbe dal cielo scintilla poetica, siegua questa eccelsa rimatrice (8); chi nelle umane lettere fu diretta si formi alle sue prose; ma sopra tutto ad ognuna di voi stia a cuore d’imitare la prudenza, il candore, l’ottima indole, le nobili azioni di Lucia Bertana. [p. 180 modifica]

NOTE


(1) Vittoria Colonna, la più distinta rimatrice petrarchesca, nacque a Marino nel 1490 da Fabbrizio gran Contestabile del Regno di Napoli, e da Anna Montefeltro. Nel 1507 fu mari tata al Marchese di Pescara, ch ’ ella amò svisceratamente, e rimastane vedova, lo pian se, e allamente, prima in Napoli poi in allre città, lo celebrò co’ suoi versi; invitando in oltre a cantare di lui molti famosi ingegni di quel secolo. Mori in Roma nel 1547.

(2) Veronica Gambara, nacque in Brescia li 30 Novembre 1485. La sua educazione fu di retta dal Bembo. Ebbe a marito Giberto VIII Signore di Correggio che presto ella per dette. De ’ suoi lavori poetici vuolsi particolarmente ricordare il Sonetto che diresse a Carlo V e a Francesco I, perchè lasciassero in pace l’Italia ( V. Storia del Sonetto ita liano p. 107). Veronica seguì suo fratello Uberto destinato al Governo di Bologna; e quando Carlo V si ſu incoronato da Clemente VII nel 1530 la sua casa era nella dotta città, a guisa di accademia, la riunione de ’ più valen ti uomini di Europa al grand’atto. intervenuti.

(3) Gaspara Stampa nacque a Padova nel 1523: abbondonata dall’amante, ne sentì tanto dolore che ne morì l’anno 1554. Le sue rime bellissime e soavi spirano il più sentito affetto. ( 4) Laura Terracini nacque in Napoli e vi morì nel 1595. Lascid molte poesie; a dare un saggio delle quali non possiamo astenerci di ripetere questo Sonetto, da lei intitolato

PREGHIERA PER LA LIBERAZIONE d ’ ITALIA

Padre del Ciel, se mai ti mosse a sdegno
L’altrui superbia, o la tua propria offesa;
E s’Italia veder serva ti pesa
Di gente fiera, e sotto giogo indegno;
Mostrane d’ira e di giustizia segno
Ch ’ esser deve pur nostra querela intesa.
E pietoso di noi prendi difesa
Contro i nostri nemici e del tuo regno.
Vedi i figli del Reno e dell ’ Ibero
Preda portar dei nostri ameni campi,
Che già servi, or di noi s’han preso impero.
Dunque l’usato tuo furore avvampi
E muovi in pro di noi giusto e severo
Che solo in te speriam che tu ne scampi.

(5) Il Tiraboschi asserisce che la famiglia Dall’Oro sia Bolognese; e il trovarsi in questa città tuttora così denominato un viottolo confinante con varie case volgarmente pur dette Dall ’ Oro, induce a certezza che si l’uno che le altre avessero nome dai loro pro prietari; e fossero questi gli antenati di Lucia Bertana.

(6) V. Maffei. Storia della Lelleratura Italiana. T. 2. p. 173.

(7) Fantuzzi T. 2. pag. 151.

(8 ( Ecco un saggio del poetare di Lucia Bertana: [p. 181 modifica]

SONETTI

Or musa mia lieta e sicura andrai
Per folli boschi e per ameni colli,
Cogli occhi asciutti che già furon molli
Al chiaro fonte ove mercè trovai,
Quivi con le sorelle canterai
I miei pensieri per letizia folli,
Poichè i desiri miei fatti ha satolli
Questo Aristarco, e me lralta di guai.
Ed al gran Castelvetro in alto simile,
Dirai, se il ciel mi dà tanto valore
Degno di voi, ed al gran merto eguale,
Che posla avrai mai sempre e lingua e stile
In celebrar questo chiaro splendore
Onde mi ſarai forse anche immortale.


Se chi vive nell’alto empireo chiostro
Di quaggiù rimirar talor si appaga,
Deh mirate, Signor, l’alta mia piaga
Che m’ange il cor del ratto partir rostro.
E mentre or spargo iuvan lagrime e inchiostro
Con mente accesa c di seguirvi vaga,
L’alma vostra del ben sempre presaga,
Già di terren vestita, or divin ostro,
S’ella è pietusa più, com’era tanto,
Quando accesa vivea di mortal face,
Fatela lagrimar del mio gran pianto;
Ch’è ben ragion, dappoi ch’ella ne face
Non pur a me, ma al mondo tutto quanto
Cercando gir onor, bontade, pace.

Damon che all’ombra di pregiato alloro
Assiso or stai fra vaghi fiori e frondi,
Fra limpide acque e suon di augei facondi
Porgendo a ’ membri tuoi dolce ristoro,
Sendo tu dei pastor pompa e decoro
Chè di que ’ verdi rami il crin circondi,
Che al maggior Tosco si chiari e giocondi
Furo, e pregio maggior che gemme ed oro:
La vaga e dotta tua leggiadra musa
Non più per Filli ( a te Ninfa non degna )
Canti sfidando in Mincio ed Aretusa;
Ch’ella soffrire e non amar l’insegna:
Ben sallo Alcippo tuo che da se esclusa
Al tutto l’ave, e l’odia oggi, e disdegna

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SANTA CATERINA VIGRI DA BOLOGNA


La Beata Illuminata Bembo, Giovan Sabbadino degli Arienti, il Padre Grassetti, il Melloni, e pochi anni sono Emidio Nannetti, nello scrivere la vita di Santa Caterina Vigri da Bologna, si diffusero a narrare i prodigi con che Dio si compiaque circondare la di lei culla, a disseminarne la vita, a coronarne il fine; ma gli angusti limiti assegnati a questa raccolta di cenni biografici non permettono di por mano ad una messe per la cui abbondanza rimarrebbe incompleta la parte sostanziale del racconto. Laonde sembra miglior consiglio rimandare il lettore avido di conoscere quei sovrumani avvenimenti alle pagine dei surriferiti autori; ove, ammirando le cose operate dal creatore a glorificazione della eletta sua creatura, avrà donde saziare come a ricca mensa la devota sua brama. Ciò premesso s’imprendono a fedelmente narrare le vicende di Caterina Vigri, e trascrivendo le azioni colle quali resesi degna delle divine grazie, si spera di ottenere lo scopo di eccitare gli animi a modellarsi su colei, che non solo presenta la Vergine del Chiostro, e l’austera religiosa, mą bensì il ricetto di ogni umana perſezione, [p. 186 modifica] Caterina Vigri nacque in Bologna agli 8 Settembre 1413, figlia a Giovanni Vigri e a Benvenuta Mammoli, coniugi agiati ed estimati assai. Nelle fascie ella non emise, a quanto narrasi, un vagito; per cui a ragione fu giudicata ben presto di carattere docile e tranquillo; e coll’alluminarsi del suo intelletto mostrossi rassegnata al soffrire, compassionevole per i poveri, accesa di ardentissimo amore verso Iddio. Di un candore angelico, e di una compostezza di gran lunga superiore alla sua età, sviluppò eziandio precocemente un ingegno aperto e sagace; locchè conosciuto da Benvenuta si affreltò di applicare la figlia allo studio della propria e della lingua latina, non meno che al disegno e alla musica. Queste occupazioni, quantunque severe e svariatissime, non riuscirono gravi alla tenera mente di Caterina, che ricambiando di diligenza le materne premure, faceva de’ suoi progressi ognuno ammirato. Come avviene di frequente che le rare qualità, ad onta della modestia di chi ne è fregiato, si palesano assai da lungi col proprio splendore, la singolare virtù della piccola Vigri giunse all’orecchio di Nicolò lll. Signore di Ferrara: e mosso egli dal desiderio di conoscerla, invitò il di lei padre ( che qual Giureconsulto stavasi da qualche tempo in quella città, agli ordini di esso Marchese) di chiamarvi la moglie Benvenuta e la figlia Caterina. Presentate a corle, non è a dirsi come quella fanciulla non ancora decenne, vin cendo la gigantesca fama che l’aveva preceduta, vi de stasse generale meraviglia per le doti dello ingegno, e per la sua pietà edificasse quegli animi. Il Marchese pertanto che sapeva quanto l’esempio della virtù alla virtù consiglia, la volle a particolare Damigella d’onore della già adulta sua figlia Margherita; che per aureo cuore e per pietà altrettanto distinguevasi nella sua famiglia, quanto [p. 187 modifica] la Casa dello Estense Nicolò superava in cristiane virtù, quelle degli altri Principi d’allora.

L’uguaglianza dei sentimenti che malgrado ogni altra disparità forma mai sempre il più tenace vincolo di amicizia, rese ben presto la giovane Principessa, e la tenera fanciulla indivisibili fra loro. Pari nei desideri del loro spirito, pari chiedevano l’esca per pascolarlo. La Bibbia, le Opere dei Santi Padri e Dottori della Chiesa; dai quali apprendevano a trarre dalla Sacra Scrittura pura e splendida la scienza della Divina parola; non che altri libri ascetici, erano di continuo alle loro mani. Su di essi Caterina, che in particolar modo erasi fatto famigliare il latino idioma, sino a scriverlo tersamente, perfezionava lo intelletto; ed il divino spirito accendendola vieppiù di amore per l’Autor primo di ogni bene, pascevale il cuore di quella gioia celestiale, che, saldo e immutabile, non può trovar forza maggiore se non in chi la inspira. Ecco in qual guisa la bolognese donzella trasse circa tre anni alla corte del Signore di Ferrara, amata e rispettata quan t’altra Dama mai lo fosse; ma il fasto al quale indispensabilmente doveva assoggettarsi ella stessa, il brio, le feste, il rumore, gli usi infine cortigianeschi, male addicendosi a quell’anima leale, umile e devota, che ogni di più sco stavasi dalle umane cose, e di peso e di martoro divenivale tutto ciò che distoglievale dal suo Dio, le ſecero ardentemente bramare la pace di un ritiro. Siccome però sapeva essere volere del padre che quivi si tenesse, e che avrebbe cagionato inesprimibile dolore alla sua Signora, col solo parlarle di distaccarsi da lei; conscia d’altronde che l’appagare una devota brama non è spesso opera meritevole quanto un sacrifizio; chè, più solido cardine delle cristiane virtù è la sommissione ai maggiori; ella, obbediente al padre, alla principessa affettuosa, stavasi al suo posto. [p. 188 modifica] Quand’ecco concludersi gli sponsali della principessa Margherita con Roberto Malatesta Signore di Rimino; e quasi contemporaneamente morirsi in Padova il padre di Caterina. Per tali eventi restata sola con una condiscendente genitrice, prese tosto congedo dalla Corte ( sebbene invi tata rimanervi anche dopo la partenza della novella sposa ) e si ritirò nella propria casa. Ella era rimasta unica erede di un pingue patrimonio e di un nome di alta onoranza: non ebbe però nè magnifica la persona, nè il volto ve nusto; ma bensì dolce la voce, soave il sorriso, soavissimo lo sguardo. La coltura della vasta sua mente era profonda: i di lei modi nobili, delicati, affabili; ma sopra tutto l’animo suo spiegava quella soavissima fragranza di carità, quella espansione di puri affetti che la significavano tal vaso di elezione da inebbriare gli spiriti che l’avessero appressata. Molti giovani distinti ne invaghirono, e chiesero in isposa la fanciulla che pare contasse appena il dodicesimo anno: ella però dalle mondane cose non lusin gata, rifiutava modestamente ogni omaggio, e preparavasi a quel talamo che Dio concede alle anime predilette su questa terra.

In Ferrara pareva rifiorire, dopo alquante vicende, la Congregazione del Corpo di Cristo; stabilimento che la proprietaria Bernardina Sedazzari sino dal fondarlo destinava a Monistero. Lucia Maschermi allora allora chiamata dalla fondatrice a succederle negli averi e nella dignità iniziava santamente le giovanelle che in molto numero si adducevano a seco convivere in quel ritiro. Ivi dividevasi il tempo tra l’orazione, e i donneschi lavori; il lucro dei quali veniva destinato a sopperire agl’immensi bisogni, a cui per la poca rendita andava soggetto il reclusorio. Era fissato vi si prescrivesse l’abito e la regola di S. Agostino; [p. 189 modifica] ma fino allora indossavasi la tonaca dalla sola direttrice, non eravi ancora clausura, non professavansi i soliti voli religiosi; nè a Prelato regolare soggiacevasi, venendo „ esse dirette soltanto dal loro Parroco di S. Salvatore. Ciò null’ostante tanto era esemplare la costor vita che la città trovavasene altamente edificata. Fra queste angeliche creature bramò racchiudersi anche Caterina; ne fece istan za, e vi fu accolta con amore e con gioia.

Ella fu sorpresa che in quel ritiro, fanciulle poco a lei superiori di età, d’assai l’avanzassero nella perſezione cristiana e nel fervore al servizio di Dio. Punta allora da santa emulazione cominciò ad osservare ciò che in ognuna delle sue compagne trovava di più lodevole, che il cuore inclinato a virtù la cerca dovunque per imitarla, quindi sfidava sè stessa per acquistare eguali tesori. Di sue proprie forze non presumeva; ma neppure sfiduciossi giammai; sendo abbastanza saggia per non farsi rea di diffidenza verso quel Dio, che lascia appena campo ad un cuore di chiedergli la divina grazia, per ascrivergli il merito della preghiera: cosicchè la viva sua fede la rendeva sicura, che le virtù cristiane sono patrimonio di chiunque aspira a farle sue. Difatti la Vigri divenne in breve lo specchio delle sue compagne, le quali ad unisono predicavano ch’ella doveva divenire una gran Santa. Come però le fu dato provare che arbitro è l’uomo di prefiggersi la meta a cui vuole ascendere, ebbe del pari ad addimostrare che è per tulti egualmente arduo il conseguire sublime altezza, e che a ciò è necessaria perseveranza. Bene sofferse ella terribili assalti dal comun nemico: più e più fiate si senti restía, e perfino trasportata ad opporsi agli ordini della direttrice: altre volte accostata alla sacra mensa rimanevasi indifferente e fredda, e quasi presa da noia;, di [p. 190 modifica] quando in quando la sua mente venne pure tormentata da dubbi crudeli intorno alla santità della Eucarestia! ma quell’angelo in terra non fermavasi, o a consultare la ragione, o a mendicare pretesti per illudere se stessa, o ad investigare il mistero; offrendo invece a Dio il martirio che tali lotte cagionavano al suo spirito; con preci ardentl chiedeva e scongiurava le accordasse umiltà per obbedire alla cieca; fervore per degnamente ricevere Iddio sotto la specie del pane, e fede per ammirarne le meraviglie, confessando con ispirito cristiano che s’Egli capisse nel nostro immaginar, Dio non sarebbe. Esaudita la Vergine, riebbe la calma del cuore, umiltà per eccellenza, serafico ardore, fede salda e costante.

Dotata com’ella era di mirabile senno non lasciavasi trasportare da desideri, sebbene avessero colore di Santità, se prima accurato esame non la ponesse fuor di dubbio fossero quello invece diaboliche suggestioni: persuasa per tanto non si addicesse ad una giovanetta, l’avventurarsi a mille accidenti, depose la brama che pungevala di por tarsi in un deserto a vivere da Anacoreta. Egualmente pa droneggiando le fisiche disposizioni, combatté col ſervore, e colla diuturnità della preghiera un sonno tormentoso che spesso l’assaliva; ma docile poi a santi consigli concedeva alle umane membra il neccessario riposo.

Ma ora è tempo che si passi ad osservare come fosse perseverante nella deliberazione di consacrarsi al suo Si gnore, superando tutti gli ostacoli che le si paravano d’in nanzi, e sprezzando ogni allettamento che potesse distornela.

Suor Lucia Mascheroni, com’è narrato di sopra, era stata chiamata erede da Bernardino Sedazzari di tutti i suoi beni affine erigesse a Chiostro di Agostiniane lo stabilimento in cui le predelte Vergini vivevano. Disponevasi [p. 191 modifica] à cið la buona Suora, quando molte delle convittrici mo strarono desiderio vi si prescrivesse invece il tanto più austero instituto di S. Chiara; persuase che è sempre soddisfatto il debito che ad usura si paga. Ammirata la direttrice che le discepole chiedessero regola molto più austera della già disegnata pareva disporsi ad appagarle. Ma siccome a sconvolgere i più bei piani di ben intenzionati, basta spesso un sol trislo, anche fra quelle sante Donzelle bastò certa Ailisia a portarvi il disordine col muovere guerra alla propria maestra: e illusa che quando riescisse a farla discacciare verrebbe a lei conferito il primato, fece infinite rimostranze ad alti personaggi contro la Mascheroni, e fini coll’accusarla di voler quella disporre a suo senno della eredità di Bernardina.

La perfidia della sciagurata Ailisia pesò su tutta la innocente Congregazione; giacchè alcuni parenti della testatrice che pretendevano a quella eredità, animati da tali dissensioni, assalirono notte tempo quell’Oratorio, e trattene a viva forza le Vergini, s’impadronirono di tutto lo stabilimento. In questo frangente Caterina ritirata presso sua madre, con incessanti e fervidissime preci parve assediare il Trono dell’Altissimo per strappargli di mano il bramalo decreto. Nè andò a lungo che lo Estense Signore sedando ogni liligio ripose l’intera Congregazione nello stesso locale.

Infrattanto una rispettabile Dama per nome Verde dei Pii concepì il desiderio di adoprarsi perchè sorgesse il desiderato Monastero. Consultati intorno a ciò Uomini distinti in dottrina e santità, predisposta grossa somma di denaro che all’uopo conosceva abbisognare, fece por mano al opera. Lo stabilimento doveva mutarsi da cima a fondo, per cui le pie donne rientrarono pel momento nelle loro [p. 192 modifica] case; ma Caterina, la cui madre erasi rimaritata, chiese ed ottenne di addursi in un chiostro. Allora la di lei virtù si era manifestata sotto ogni aspetto; chiunque si avvedeva ch’essa l’aveva portata ad un’altezza non comune per l’umana natura, perciò ognuno avrebbe ambito in qualche modo appressarla. Ecco dunque aversi ella da molti richie sta e preghiera, perchè accettasse di entrare in alcuna delle famiglie più nobili della città, onde imprendesse ad essere guida, compagna, precettrice, amica di taluna delle nobili donzelle: e per modo erano coloro insistenti, che la santa giovane stessa, temè alcuna fiata di cedere; ma a Dio non al mondo voleva darsi Caterina. Ferma adunque nel proposto, non appena il Monastero fu reso abitabile essa vi accorse delle prime, dando ivi pur anco mano agli operai pel trasporto di molti e gravissimi materiali, acciò tanto più sollecitamente fosse tutto in asselto.

Alfine la nostra Eroina ebbe il contento di veder fissato ed introdotto col miglior ordine lo instituto di Santa Chiara nel suo prediletto convento del Corpo di Cristo. Vide pure senza indugio, giugnere da Mantova, tolta ad un monastero di Clarisse, Suor Taddea de’ Pii ( 1 ) acció come provetta della regola assumesse la carica di Badessa in questa novella Comunitàl; ed infine dopo aver subite le più severe prove di obbedienza, alle quali si assoggetto con inaudita prontezza, vesti, in unione alle compagne l’abito di S. Francesco.

Può credersi di leggeri che ora la vita di questa Santa religiosa dovesse scorrere fra le preci, le meditazioni, le discipline i digiuni: ed egli è ben vero che fra le preci e la meditazione, unita strettamente a Dio, e levata in ispirito a contemplare le di lui grandezze, passava oltre le consuele ore, gran parte pur della notte; che forse abuso [p. 193 modifica] della disciplina, e che spesso un troppo rigoroso digiuno vieppiù abbatteva la quasi sempre mal ferma sua salute; ma non è men certo che infaticabile prestavasi al disim pegno di molti uffici, accettandone molti per umiltà, altri per obbedienza, ed altri ancora per avere il vanto servire le spose del suo signore. „ E ciò diceva essa di non bastava a quel cuore che tutta in sè non vedeva circoscritta l’umanità che voleva salva in Dio; pel quale, a lei, nulla sembrava il tributo del solo suo affetto perchè avrebbe bramato presentargli tutti gli spiriti infiammati di amor divino, onde fosse glorificato il Creatore salva l’opera sua prediletta. Ma inoltre, maestra alle. novizie, ella era sollecita ad iniziarle nei doveri del novello stato; esortarle alla penitenza; consigliarle alla carità, alla riser vatezza, alla sommissione, ed ad ogni altra virtù. Intenta era mai sempre ad inspirar loro nell’animo la sola, l'assoluta volontà di piacere a Dio; e nel tempo istesso, tutta indulgenza, compassionava di esse le non virtuose tendenze, insegnava loro a schermirsi da’mali pensieri; e ne pasceva gli intelletti delle sante massime, di cui a dovizia si era dessa munita con la lettura di libri spirituali: infine a quella detlava con nitido stile sani precetti a regole salutari, che, a non trascendere dalla prescritta brevità, si ommettono. Spinta dal desiderio di giovare eziandio alle novizie che fossero entrate in appresso, compose l’Opuscolo = Delle Sette Armi neccessarie alla battaglia Spirituale. = Intorno al qual lavoro, a prova della somma suo modestia si dirà, che gelosamente lo nascose sotto la copertura a cuoio di una seggiola, quindi per meglio assicurarsi che non venisse a cognizione di alcuno, e ne avesse ella da riportarne lodi, lo abbrucid. Prevalendo poi in quell’animo Santo, il timore della Divina riprensione, se taceva quello [p. 194 modifica] che ad altri era per giovare,, ripetè lo scritto, tenendolo però in serbo, acciò non si pubblicasse che dopo la di lei morte, come avvenne diſfatti. Tutto, tutto volgeva a gloria di Dio, e a santificazione delle anime, sempre più da lei edificate e direlle coll’esempio, che colle parole. Amava la miniatura, ma non se ne occupava che per adornare il suo Breviario della immagine di Gesù. La viola da lei con maestria suonata, non fu tocca dal suo archetto che per accompagnarsi nel canto di alcuni salmi: e temi sacri soltanto venivano trattati nelle pregevoli sue rime.

Tanto amata dalle Consorelle per la cordialità dei modi, quanto stimata dagli Ecclesiastici superiori per la santa sua vita, fu duopo più volte a Caterina di prieghi e pianti per esimersi dalle dignità a cui la volevano innalzata. Come però Dio avesse stabilito che la santissima sua religione ricevesse da lei maggior lustro ora lo vedremo.

Molte persone pie di Bologna desiderano di avere in patria un Monastero di Clarisse. A tal fine richiesto ed ottenuto il consenso dal Pontefice, si rivolsero al Vescovo di Ferrara onde accordasse che un certe numero di religiose del Corpus Domini, passassero a Fondatrici ed Insti tutrici in quello ch’essi volevano erigere nella propria città sotto lo stesso titolo. In breve tulto fu convenuto: e Bologna spedi una nobile deputazione alla Badessa delle Clarisse di Ferrara per ricevere ed accompagnare le monache al nuovo Convento. Quella reverenda Madre ebbe a cuore di scegliere fra le sue figlie le più addatte al santo divisa mento: sedici furono le elelte a quest’onore, la maggior parte delle quali Bolognesi (2): diede loro per Abbadessa Suor Caterina, che da quel momento fu sovranominata = da Bologna = e nel congedarsi dai Deputati e dalle Suore, soggiunse: „ sappiate, ed abbiatelo per certo ch ’ io vi do [p. 195 modifica] un’altra S. Chiara. „ Invano la modesta ed umile Caterina si protestò, indegna e si vile persona, ignorante, inesperta e insufficiente a reggere perſino gli animali irragionevoli,, dovette accettare e prepararsi a partire.

Altamente compreso del santo incarico ch’erale affida to, temeva sì forte avesse a mancare in lei la forza di n’ebbe ben adempiere la sua missione che per l’angustia violenta scossa nella salute. A tale orgasmo aggiungendo la reciproca sensazione che produsse e riportò nel congedarsi dalle antiche Suore giunse a tale che al momento della partenza dovettero trasportarla di peso, ed adagiarla nella carretta destinata al suo viaggio. Ma, la Dio mercè, e le molte cure della Principessa Margherita d’Este ( la quale tornata vedova alla paterna Casa, volle far corteo all’amica dell’infanzia ) la nuova Badessa si riebbe in vi gore, e prosegui il viaggio felicemente, con gioia della serafica compagnia.

Intanto Bologna preparata a ricevere quell’eletto stuolo di Vergini, col fasto proprio di una grande città, quando vuole onorato ospite a lei condegno; col rispetto di un popolo intensamente religioso; con la gioia di chi vede accompiuto il più ardente dei voti; si fece ad incontrarle per essere loro scorta al monistero. Quivi ad appagare le brame dei distinti cittadini d’ambo i sessi, ognor più desiosi d’intrattenersi in cristiani ragionamenti con la Reve renda Madre Superiora, si lasciò per tre giorni libero accesso ai devoti; i quali bramavano a ciò qualche dilazione; ma tuttocchè l’Abbadesse e le altre Suore, fossero, e con ogni modo si mostrassero grate a tante prove della cordialità bolognese, pure credettero esse di non differire più a lungo di ritirarsi, e la clausura ſu imposta. [p. 196 modifica] Or ecco Suor Caterina Abbadessa, Fondatrice, Direttrice: eccola sul dignitoso seggio donde le sue virtù, a guisa dei pregi di bel dipinto collocato per la prima volta al vero punto di luce comparvero nel proprio splendore. Depositaria delle offerte che i Bolognesi avevano fatte al Monastero, fu sì sagace e pronta nel disporne, che provvide al culto di Dio, decorando il tempio degli arredi neccessari; alle bisogna della Comunità; e, quasi senza indugio, am pliando lo stabilimento lo pose in istato di ricevere le molte donzelle desiderose di ammonacarsi. Consigliata dal retto suo senno, studiavasi che di ogni comando dato alle sue soggette ne fosse manifesta la rettitudine, acciò obbedis sero convinte di far bene; che in effetto una troppo cieca credenza è culto devoluto al solo Iddio; e la mente umana non ragiona soltanto al salire i gradi di un seggio. Ella sostituiva alla severità di superiora, la più dolce, la più ben intesa tenerezza di madre: cosi attirati gli animi n’esaminava le tendenze per dirigerli con più adatti con sigli. Amava, che dalla novizia alla più antica professa, fossero fra loro leali e affettuose, ma le richiedeva di quella riservatezza e prudenza dovuta alla dignità del sa ero carattere, e indispensabili a mantenere la buon’armo nia in una Comunità. Non mancò mai incoraggiarle a ri correre a lei in qualsifosse occorrente; e, Figliuole mie (diceva ) se alcuna di voi fossevi che avesse neccessità di alcun che, e non me ne avvedessi, e non osasse di mandarmelo, sono contentissima, anzi voglio che vadi alle Ufficiali, e si provegga da queste, e se non potes sero soddisfarla si venga da me ed io provvederolla dolcemente: e se già ben fosse molto a notte, ed io dormissi voglio mi si desti e mi si palesi ogni suo bisogno d’anima e di corpo.,, Sebbene garantita della [p. 197 modifica] purità di sua vita non si fece mai a riprendere con aspri modi alcuna delle sue figlie; e lungi dal mostrarsi formalizzata per qualche loro mancanza, dando invece al mondo nuova prova che l’anima cristiana mentre vitupera la colpa, scusa il colpevole; essa correggeva e rafforzava gli spiriti deboli e vacillanti, con si commovente amorevolezza, da invogliarli a seguire quella virtù della quale provavano gli stupendi effetti. Compassionevole per le inferme, oltre il sorvegliare altentamente le assistenti, bene spesso prestavasi ella stessa ai più bassi e più schifi uffici; cosicchè senza far parola delle molte religiose che ad intercessione di Caterina sanarono prodigiosamente, ſorte numero di esse si riebbe mediante la di lei servitù. Acciò la divina parola suonasse più spesso all’orecchio di quelle Vergini, tratto tratto radunate a Capitolo le tratteneva esponendo evan geliche dottrine, che irrorate dalla sacra eloquenza da lei attinta dai latini scrittori, faceva, ne riescisse più fecondo il seme, più sustanziale il frutto.

Ben grande meraviglia desta la singolare operosità della Santa Donna; ma si accresce a dismisura quando si riflette ch’ella visse quasi sempre fra spasmodici dolori delle sue membra. D’altronde avendo accettato, come dalle mani del Supremo Signore la direzione di un Monistero non era più nè della sua sorte, nè dell’anima sua soltanto che doveva rispondere. Ella sentivasi caricata di quella tremenda responsabilità che dovrebbe far tremare chiunque sia chiamato dalla provvidenza a reggere, o a guidare, o a conservare i suoi simili. L’idea che ogni mancanza commessa dalle sue soggette >, che per mera negligenza non avess’ella impedito, se ne sarebbe riversata su lei la colpa, doveva essere il continuo martello della delicata sua coscienza. Questa impareggiabile madre, [p. 198 modifica] non pertinace ma ferma; docile e non debole; retta sem pre; assennata, instancabile, attenta, affettuosa; con la sua vigilante dolcezza, costringeva le vicarie, e le Maestre a seguire le di lei orme: perchè è’ stimolo a cui non si resiste l’eccitamento e le giuste minaccie dei superiori; a modo che non v’è prova più certa di esservi un capo inetlo e debole, dove la trascuranza e la malvagità dei sulbal terni resta impunita. Oh! perchè non si specchiarono in questa reggitrice ( che infine sieno pochi o molti i gradi di un seggio hanno lo stesso principio e il fine istesso ). Perchè non si specchiarono in lei, coloro a cui la proy videnza commise il ben’ essere di tanti loro simili? Ma in vece, o traendo quelli la vita nell’abbandono di letargica mollezza; o fra gli allettamenti di vana ambizione; o in mezzo ai raggiri di vili o interessate mire; abbandonarono alcuna fiata i miseri nella micidiale inerzia; ed altre volte con la gioia dei cannibali, mercanteggiarono di essi, poco meno di come nella primavera è costretto di fare il povero pastore, coi parti delle sue agnella! Oh avessero imitata tutti, la Fondatrice, e Superiora delle Clarisse di Bologna.

Regnava nel Monistero del Corpus Domini della dotta città l’ordine il più perfetto; e già questo Convento com peteva e per il numero e per le distinte virtù delle Vergini che rinchiudeva, coi più antichi e distinti; quando per di sposizione generale venne decretato che la dignità di Ba dessa non dovesse più essere conferila a. vita durante, ma pel solo lasso di tre anni. E siccome gli Ecclesiastici Su periori desiderano cansare le rimostranze che avrebbero fatte alcune delle Superiore a cui si voleva imporre di scendere dal loro posto; si pensò d’invitare Caterina a cederlo per prima; persuasi, andrebbero ben liete tutte le altre d’imitare colei, di cui suonava alta fama di Santità. [p. 199 modifica] Cosi avvenne diffatli, e il di lei buon esempio ſu coronato dal più felice successo. Nello stesso volger di tempo la nostra Eroina ci mostrò che quantunque si fosse donata a Dio, e intimamente stretta a lui, tuttavolta non rifiutava quei dolci sentimenti che pure aggiungono pregio all’uma no cuore. Benvenuta Mammolini, di lei madre, non appena rimasta vedova del secondo consorte si fece Terziaria di San Francesco; e quando la figlia fu.chiamata a Fondatrice in Bologna, volle appartenere alla divota compagnia da lei guidata, assumendo essa l’umile qualità, d’inserviente del Monistero, Per tale titolo venne collocata vicino al Con vento, ma divenuta vecchissima e cieca molti erano i pe ricoli, ai quali la tenera figliuola temevela esposta. Ella fattosi animo, radunate a sè tutte le monache le pregà con le lacrime agli occhi di unirsi a lei per supplicare il Pontefice Pio II., allora in Bologna, affine permettesse che Benvenuta fosse ricovrata fra loro entro clausura ( 3). Olte nuto l’intento diede mille altre prove della riverenza, che in qualsiasi stato conservano le buone figlie a chi loro diede la vita.

La buona religiosa collocata al posto della Fondatrice non valse a tenervisi neppure un anno; allora, ad una nimi voti delle Comunità vi fu elevata di bel nuovo Ca terina. Essa riprese le antiche sue consueludini, ed anche con più calore; ma sebbene non contasse che il cinquan tesimo anno di età, la sua salute s’infievoli a segno, da renderla accorta ch’era presso al suo fine; ne prevenne le sue figlie, e diedesi con più fervore all’orazione. E pur troppo fra non molto si aggravo, o per poco solo si rieb be; poi ricaduto il suo frale, l’anima ne volò al bacio del Celeste Sposo.

A descrivere gl’innumerevoli prodigi che si ammirarono [p. 200 modifica] sulla benedetta sua salma, sarebbe opera di molte pagine; per cui è giuocoforza tacere di questi, come si tacque di tutto ciò che di sovrumano, n’ebbe la Santa infiorata la vita. Ma, il prodigio si ammira, la virtù s’immita; dunque seguendo le traccie di Caterina s’immitino quei tanti pregi che sarebbero bastati a renderla illustre, se i maggiori suoi sforzi non avessero guadagnata a Lei l’aureola de’beati, a noi una protettrice, nella gran Santa Caterina da Bologna. [p. 201 modifica]

NOTE


(1) V. Melloni Tom. VI, pag. 215. 222.

(2) Ecco il Catalogo delle Religiose che si portarono a fondare il Monastero del Corpus Domini in Bologna

La Santa Madre Suor Caterina Vigri Badessa da Bologna
Suor Giovanna Lambertini — poi Beata idem
Suor Paola Mezzavacca   Beata idem
Suor Illuminata Bembo   Beata da Venezia
Suor Anna Morandi da Ravenna
Suor Samaritana Superbi da Ferrara
Suor Pacifica Barbieri Volto da Bologna
Suor Maria Bernardina Calcini idem
Suor Maria Pellegrina Leonori idem
Suor Anastasia Calcini idem
Suor Andra da Cremona
Suor Eugenia Barbieri da Bologna
Suor Gabriella Mezzavacca sorella della Beata Paola idem
Suor Modesta degli Agenti da Ferrara
Suor Innocenza degli Annichini idem

LE CONVERSE FURONO

Filippa Boari da Parma
Margherita da Sassuolo

TERZIARIA

Benvenuta Mammolini Madre della Santa da Bologna

(3) A quanto pare Benvenuta Mammolini era divenuta povera. Ma quello che sorprende si è, che quantunque ogni scrittore ripeta che Caterina rimase unica Erede di facoltoso Patrimonio, non s’incontra mai più parola in quelle pagine, di tali ricchezze; anzi notasi, che niuna memoria ci avvisa ch’ella provvedesse nè poco nè punto ai forti

bisogni, in cui più volte si trovò il suo prediletto Oratorio di Ferrara, [p. 204 modifica] [p. 205 modifica]

NOVELLA E BETTINA CALDERINI


Da Giovanni d’Andrea Calderini, detto «Arcidottore, fonte e tromba della Legge» e da Milanzia Dall’Ospitale, esimia Dottoressa di diritto, ebbero vita a Bologna, nella prima metà del Secolo XIV ingegni di splendida fama. E tacendo della loro prole maschile, non essendo dell’as sunto nostro il parlarne, citeremo Novella e Bettina; le quali applicate allo studio delle leggi, giunsero nella prima giovinezza a farsi emule delle mirabili donne che disputavansi in quel tempo le cattedre di diritto e di filosofia coi più dotti uomini che onorassero l’Archiginnasio dl Bologna. [p. 206 modifica] Le notizie che si rinvengono di queste due sorelle, ad una stessa fonte di sapere abbeverate, presentano tanta equalità di pregi, che non si troverebbe ragione di ricordarne una, e porre l’altra in obblio. Di en trambe pertanto si verrà esponendo quanto ci fu dato raccorre.

È osservazione storica che quando Giovanni d’Andrea Calderini per importanti ambascerie, che più volte gli furono allidate, doveva lasciare vacante la Cattedra di diritto Civile, e del Canonico, con tanto grido occupata nel patrio Ateneo, una delle figlie ne assumesse l’uflicio di lui disimpegnandolo assai lodevolmente; ma non si trova d’accordo ogni scrittore nel tramandarne il nome di quella, attribuendo taluno di essi quesť onore a Bettina (2), sostenendo gli altri fosse Novella; anzi, di quest’ultima aggiungono che avendo sortito dalla natura sorprendente bellezza, solea ascendere la cattedra ricoperto il volto di un denso velo (3): ben saggiamente! chè la vera scienza si pregia aversi a compagna la gentil verecondia. Se però non riesce facile l’indicare con certezza quale delle due sorelle cosi degnamente sopperisse al padre, ben certo è per altro che a niuna di loro manco in appresso il vanto di acquistarsi alto grido sull’onorato seggio.

Novella fu condotta in moglie da quel Giovanni Oldrendi da Lignano Milanese, da cui ebbe origine la senatoria famiglia Lignani (4). Giovanni, divenuto Dottore eminentissimo, ſu cittadino di Bologna, e Lettore nel pubblico studio: quando le armi Ecclesiastiche, com poste di Brettoni, Cimbri, Svizzeri, Spagnuoli, e di tante orde straniere, furono spinte dal volere d’Innocenzo VI. da Avignone in Italia, perchè sotto la dire[p. 207 modifica] zione, in prima del grande Cardinale Albornozzo, poi di quel Cardinale Roberto di Ginevra, che Bologna e Cesena allagò di cittadino sangue, venissero dette armi, a riconquistare alla Chiesa il dominio delle Provincie già abbandonate ai Vico, ai Malatesta, ai da Polenta, e ad altri; egli, il Lignani, e in Bologna a doprandosi, ed in Avignone accorrendo, non ommise sforzo, non sacrificio, non cura, acciò la patria sua onorevole pace si avesse. Perloché in appresso Re e Papi lo colmarono di onori, gli accordarono grandi privilegi, e commisero rilevantissime facoltà. Egli medesimo «dal Comune di Bologna fu mandato a pigliare» il possesso di quindici Ville nel contado d’Imola» e» infine riputato miracoloso e onorato qual primo in» tutta Italia, venne dai Bolognesi prescelto alla digni» tà di Vicario Generale» ed ebbe in ogni tempo ova zioni di affetto, di fiducia, e di venerazione. E chi di tant’uomo copriva la Cattedra mentre i suoi concittadi ni, non del suo sapere soltanto, ma peranco dell’at tività, dell’avvedutezza, della energia abbisognavano? Novella! «Novella, dottissima in tutte le arti liberali, «quando suo marito» e laureata nelle leggi» era occupato in altri affari, faceva molti consulti,.» e degnamente ascendeva la cattedra, dettava e spie gava le lezioni di lui: ( 5).»

Al valore della rara era serbato premio condegno; perchè quantunque «Urbano V., per compensare i me riti del Legnani procurasse che la di lui moglie si facesse Monaca per nominarlo Cardinale ( 6 )» tutta via non si rileva affatto foss’ella dal saggio consorte a ciò stimolata; cosi, oltre la prova d’aſſetto riporta ta, ebbe eziandio il contento di vedere l’uomo che le [p. 208 modifica] apparteneva mantenersi sempre eguale a sè stesso, ricusando la dignità che per acquistarla doveva comin ciare dal farsene indegno; dannando al chiostro colei che nell’impalmarla aveva giurato innanzi a Dio di difendere per tutta la vita, e che volonterosa aveva seco lui divise le fatiche e i pensieri. Ecco come il Legnani insegnò al mondo che la vera virtù non trova ricompensa né dall’ostro nè dal bisso, ma invece dal saper calpestare l’uno e l’altro, se al possesso di lei si frappone.

Ma morte, a cui nulla resiste, divise questa valo rosa coppia nel 1366. involando Novella allo sposo che l’amava, alla patria che l’ammirava, alle scienze da lei onorate.

Le spoglie sue furono depositate in San Domenico nell’avello dei Legnani.

Non disuguale arringo corse Bettina. Moglie a Giovanni Sangiorgi, distintissimo Dottore di Decretali, avevalo seguito in Padova ove vennegli aggiudicata Cattedra nella Università: e là sulla Brenta donde le scienze già levavansi sublimi, leggendo Bettina più fiate nelle pubbliche scuole, potè porgere incontrastabile prova che ben a ragione era dovunque decantato lo stupendo sapere delle donne del picciol Reno; stantechè in effetto, di cotanto senno nelle leggi e nella filosofia, forse nessuna città potè mai annoverare tante Dottoresse, quante celeberrime vide succedersi Bologna in meno che nel volgersi di un secolo.

Ben poco ella visse in Padova, ma ciò non tolse alla illustre Bolognese scelta corona di ammiratori, che la onorassero in vita delle più schiette lodi; ‬la piangessero quando il 5 ottobre 1355 dipartivasi da questo [p. 209 modifica] mondo, e di poi ne segnassero un marmo nel gran tempio di S. Antonio per ricordare alla riverenza dei posteri perennemente il nome di lei. [p. 210 modifica]

NOTE


( 1 ) A giustificare questa proposizione giovi il ricordare cronologicamente alcune delle famose Doltoresse Bolognesi che illustrarono l’età di cui si parla.

Bettina Cozzadini laureata in legge, e in filosofia, lesse per due anni continui nella propria casa, occupando quindi Caltedra nel pubblico Sludio, con grande applauso e concorso di Scolari. Morì nel 1261. -- V. Ghirardacci p. p. ſ. 166. Dolli f. 370. -- Or.. landi p. 74.

Milanzia dall’Ospedale, tanto celebre nelle leggi da meritare ne facessero menzione i piii stimati scrittori contemporanei; asserendo, che Gio. d ’ Andrea Calderini, e Cino, celeberrimi Giuristi, non isdegnavano consultarla nelle difficili materie legali. Fio riva nel 1298. - V. Ribera f. 287. -- Dolfi f. 226... Orlandi f. 213.

Dorotea Bocchi, cuoprì cattedra di Medicina; e nella filosofia ſu tenuta in si gran de reputazione che il Comune di Bologna le assegnò vistoso stipendio perchè deltasse anche in questa facoltà. Fioriva nel 1350. - V. Orlandi p. 102. Masina. p. p. f. 503. Ribera ecc.

Maddalena Bonsignori, addottorata in leggi, ne ebbe calledra in Bologna dal 1389 fino alla sua morte, avvenuta nel 1396. -, V. Mazzucchelli. - Orlandi f. 213. Barbara Arienti, e Giovanna Bianchetti, celebri Dottorcsse in filosofia, ed ambedue contemporanee di Novella e Bettina Calderini, quantunque non dettassero in cattedra,. si trovano ricordate con molta onoranza dagli Storici patrii, maggiormente apprezzati. Gherardacci p. 2. fog. 159. Tiraboschi T. V. p. 11. -- Orlandi f. 66. e 139. -- Masina. p. p. f. 508.

(2) V. Facciolati. — Giulio Cesare Croce.

(3) V. Cristina da Pizzano, cité des Dames. cap. 36. -- Wolfio, de Mulier. erud. p. 406.

(4) Dolfi, delle F. N. p. 453.

(6) Orlandi p. 218.

(6) Dolfi, delle F. N. 454. [p. 212 modifica] [p. 213 modifica]

ANNA MORANDI MANZOLINI


Anna Morandi nacque in Bologna nel 1716. Carlo Morandi, e Rosa Giovanni suoi genitori ebbero a cuore formarne una fanciulla dabbene, e ornata di gentili disci pline, come richiedeva la loro civile condizione. L’addestrarono pertanto in femminili lavori, troppo necessari alla donna destinata ad essere una savia consorte, una madre attenta, una vigile ed intelligente direttrice di fa miglia: e siccome erano ben lungi quei coniugi dal prepararne solamente una massaia per chi l’avesse eletta in isposa, ma bensì bramavano farne una compagna, che colla coltura dello spirito potesse intrattenere e rallegrare il marito allorchè riducevasi a lei dappresso, e guada gnarle con tal mezzo la confidenza, la stima, l’amicizia per quando fosse scemata la dolce voluttà che poteva [p. 214 modifica] inspirare il vago volto di lei, la vollero ornata di qualche altra bella virtù. Elessero essi lo studio del disegno, come quello che indispensabilmente induce a tanti altri, qualora non vogliasi materialmente adoperare la matita; e pel quale avendo la giovine Anna ogni migliore disposizione, riesci ben presto in tal guisa valente da farsi padrona del modellare di scoltura.

Giovanni Manzolini la bramò e l’ottenne in isposa: distinguevasi questi assai nel ritrarre in cera le parti anatomiche e patologiche dei corpi animali; arte allora allora comparsa, e festeggiata dagli applausi che si tributano alle utili scoperte artistiche. Era quest’uomo di carattere melanconico: spesso malcontento di sè; ognora dei compagni d’arte, che sospettava invidiosi, e di malafede; talchè, quantunque si foss’egli posto nell’impegno di la vorare in unione del rinomatissimo Ercole Lelli, nelle grandiose preparazioni in cera, che per ordine del Pontefice Benedetto XIV dovevano adornare l’Istituto di Bologna, pure ad onta di ciò il Manzolini, dopo alcun tempo sembrandogli che il suo merito non abbastanza si distinguesse, volle dividersi dal compagno, prendendo a compiere la sua parte in propria casa.

Marito di tempra sì strana, avrebbe sfiduciata la donna che ristretta la mente nelle domestiche mire, crede di non poter opporre alla sua immensa sventura che la rassegnazione. Non cosi Anna: essa amava suo marito, e compativa la stravaganza di quel debole spirito; eranle cari oltre ogni dire i figli avuti da lui; voleva di quest’uomo sostenere l’onore. Ecco dunque che attenta si pose ad in vigilare s’egli al lavoro suo attendesse; e pur troppo si avvide che disanimato, e quasi dimentico del preso impegao, perdeva i giorni in vani lamenti. Si decise allora di [p. 215 modifica] applicarsi all’opera ella stessa: era però indispensabile l’anatomizzare i cadaveri per copiarne in cera e muscoli, e nervi, ed ogni altra parte, con quella precisione che ponesse in forse lo studioso se manifattura, o natura avesse sott’occhio. Portossi ella diffatti con coraggio vicino a quelle fredde membra che dovevano esserle mae stre; non prima però che scoperte da quel velame cui quanto vale a renderle appariscenti, altrettanto è d’ingombro allo sguardo indagatore. Impallidi, e vacillò sulle prime la sensibile donna: al sublime e tremendo spettacolo che le offrirono i visceri da lei stessa sprigionati e smossi, credette non reggere: l’ammirazione dapprima per la sapienza di chi cred l’uomo ‫;ܪ‬poi la commozione, indi la ripugnanza, infine la nausea furono tutte le sensazioni che si succedevano in lei a ripeterle, essere troppo ardua l’impresa abbracciata. Ardua si non ineseguibile, per la sagace consorte, per la tenera madre, per la donna d’alto senno.

Era necessario in quell’arte nuova per lei, conoscere a fondo la notomia, scienza difficoltosa e malagevole; ed ella sugli umani avanzi alacremente lavorando, coll’indefesso vegliare sulle pagine medesime donde erasi fatto valente il marito, e da questo con ansia ascoltando gli ammaestramenti che le porgeva, si fece si erudita e franca che l’alunna presentò in breve nuove scoperte ai provetti nell’arte.

Grande fu in vero lo sforzo della valente donna, ma non meno grande la gloria che ne trasse. Conciossiache si ebbe l’inesprimibile giubilo di scorgere il Manzolini, che rianimato dallo ardire, sollecitato dallo esempio, ed aiutato dal lavoro di lei, portava prontamente a fine le commissioni accettate, andandone lodatissimo pel magistero con cui erano condotte: e quegli allora vieppiù benevolo [p. 216 modifica] per riconoscenza rendeva eterne grazie alla donna, che scuotendolo dalla desidia >, avevalo salvato dall’annichila mento, e riscattato dall’umiliazione. Inoltre ella vide in un colle opere del marito esposte le sue, e come tali indicate e ammirate; le quali passate quindi a severa esa mina, dai più dotti anatomici, e dai più esperti artisti, vennero levate a cielo per la profonda dottrina in esse spiegate e per la squisita finitezza del lavoro.

Le lodi tributate ad Anna essendo ben diverse da quelle che pari alle deboli canne presto si svelgono dal fango ove senza radice si estolgono, le furono arra dell’alta fama a cui doveva salire. D’allora innanzi riverita e stimata quale artista distinta, venivano commesse alla sua perizia in quell’arte interessantissime operazioni. Il celebre Dottore Galli, che in propria casa teneva scuola di ostitricia affidolle bentosto l’incarico di figurare in creta cotta tutte le più difficoltose circostanze dei parti. Conosciuta non solo eccellente per esecuzione ma pur anco egregia scienziala, moltissimi erano gli studenti, che accorrevano alle lezioni di lei. Superiore per cognizione agli anatomici in quella età più distinti, diligente ed esatta nel «dimostrare con» le regole della teorica e della pratica quale sia il mira» bile ordine della natura col corpo umano, e quale la» formazione ed il collocamento delle ossa, dei nervi, e» degli altri legami nelle diverse specie degli altri ani» mali» espositrice ordinata, modesta e sicura, dotta, chiara, ed elegante, instruiva e dilettava. A lei non mancava il suffragio dei più grandi ingegni italiani, nè l’omaggio d’ogni distinto personaggio straniero, che transitando da Bologna e nel sno studio visitandola, forse suo malgrado, doveva celebrare la Manzolini per la più mirabile donna d’Europa: Giuseppe II, che la visitò, colmolla di lodi e fecele ricchi presenti. [p. 217 modifica] Nell’ancor verd’età di 39 anni rimasta vedova prose gui sicura nell’arte sua; e ben lungo sarebbe numerare i ragguardevolissimi lavori, che anche per paesi lontani traeva a fine. Ingigantita per tal modo sua fama,> era invitata a Pietroburgo con onorevolissime condizioni dalla Imperatrice delle Russie; onori e vantaggi rimarchevoli le offriva l’accademia di Londra perché a lei si recasse; Milano si esibiva sottoscrivere le condizioni che ad Anna fosse piaciuto dettare acciò in quella si stabilisce nell’esercizio di sua professione. Infine varie Università la chiamavano a Professora nei loro Atenei; ma ella ad ogni altra onorificenza preferi la cattedra che le conferiva il Senato Bolognese: e siccome lo stipendio ne era alquanto scarso, non isdegno accettare quanto particolarmente offrivale in mensile assegno ed in altri vantaggi l’illustre suo concittadino Conte Ranuzzi, perché stimò che loro di un mecenate non umilia chi se ne giova a vero decoro delle scienze e della patria. Di una illibatezza senza pari amò meglio recarsi ella stessa nelle pubbliche scuole, anziché ( malgrado il permesso offertole dal Senato ) dare lezione ai giovani nella propria casa. Grata alle dimostrazioni di stima che da lontane contrade riceveva, corrispondeva inviando in dono ai rispettivi musei delle lavorazioni anatomiche di sua mano preparate, e ricche di dotte spiegazioni.. Nel ritrarre le fisonomie aveva non comune magistero; il ritratto in cera di questa egregia, quello del consorte suo, e d’altri ancora, che si mostrano nell’lnstituto di Bologna, ove i lavori della Manzolini, attraggono e fissano gli studiosi, e destano ammirazione in ogni visitatore, sono opera sua. Ella mori in patria nell’anno 1774, più carica di meriti che di anni. Lamentarono la di lei perdita le molte accademie a cui era aggregata; ne piansero i concittadini, ne scrissero in lode di lei i dotti. [p. 218 modifica] Mentre però vò deltando nel mio dimesso, ma veritiero stile, le cose operate da queste illustri donne, abusando forse della sofferenza accordatami fin qui da’ miei cortesi leggitori, io m’accorgo di avere già oltrepassati quei confini che mi prefissi al cominciare dell’opera: troppe attrattive hanno le virtù perchè debbano sembrar molte le parole che si spendono intorno alle medesime; le quali però si avranno soverchie da chi è avvezzo ad attingere le cognizioni da tutt’altri fonti e più tersi.

A compensare pertanto la noia che que’ gentili avranno per mia cagione sofferta, non chiuderò senza offrire ad essi un leggiadro presente nella vita di Laura Bassi scritta da quell’esimia autrice Caterina Ferrucci, nome del quale tanto si onorano le italiane lettere. Nel che fare intendo altresì di addimostrare in modo evidente che altro scopo non ebbi nello stendere queste vite che di additare alle intelligenti giovanette bolognesi le diverse vie precorse dalle loro illustri concittadine per procurarsi una ſama, e non già di acquistare a me stessa un nome fra le autrici, dalle quali quanto io mi conosco distante, lo proverà il confronto a cui senza rancore, ma colla deferenza che è dovuta ad un merito superiore, mi espongo.

CAROLINA BONAFEDE [p. 220 modifica] [p. 221 modifica]

LAURA BASSI VERATTI

dettato dall’esimia scriitrice


CATERINA FERRUGI


Io tengo per certo, niuna cosa tanto conferire a rendere gli uomini costumati, e gentili, quanto il drizzare le menti delle Donne a nobili studi, e il farle acconcie a rettamente giudicare di quello che più si conviene avere in odio o in aroore: imperocchè avendo esse colla vereconda bellezza, colle dolci maniere, col soave parlare, maravigliosa forza negli animi umani, egli e chiaro, che dove siano del vero e dell’onesto invaghite, giugneranno senza contrasto a innamorare gli uomini della giustizia e della sapienza. E certo niuno, se non è al tutto fuori di senno, si lusingherà di potere pigliare l’animo di valorosa e colta donzella con arti diverse da quelle, che accomodate alla natura della mente di lei, sono pure conformi ai documenti della virtù. E che ciò sia vero n’è manifesto [p. 222 modifica] solo a gittar l’occhio sulla storia delle genti antiche e delle moderne. Conciossiache vediamo essere state piùinclinate a’ pietosi e sublimi affetti quelle nazioni, nelle quali le donne commendavano i buoni, vituperavano i tristi, e a chiunque per virtù e per ingegno gli altri avanzasse dispensavano premi ed onori. Nè certo nelle contrade di oriente sotto un cielo quasi sempre sereno, in mezzo a campagne liete di preziose piante, ricche di felici arbori, e d’ogni bene fecondi, sarebbe negli uomini una viltà e una desidia, che li fa indegni degli eletti doni della natura, ove le donne in luogo di essere tenute a modo di schiave, potessero esercitare quel mansueto e possente imperio, che dal supremo moderatore delle umane cose lor fu concesso. Ma se dal porre in abborrimento alle donne le vanità e la ignoranza si derivano molti beni nella civile compagnia, ne viene ancora ad esse medesime grande e durevole utilità: imperocchè governando elleno gli animi altrui non solo per la leggiadria degli atti e della persona, ma eziandio per la bontà del cuore e per l’altezza dell’intelletto, non hanno timore che col volgere degli anni venga l’autorità loro a sminuirsi o a cadere: nzi sono certe, che quanto più cresceranno in senno e in virtù tanto saranno maggiormente riverite e amate. Nè mai loro avviene di sentirsi turbate da quel fastidio, che spesso anche in mezzo alle festevoli brigate, opprime chi ad altro non si crede nato, che a passar la vita in superba ignavia, o in vani diletti. Le dottrine onde hanno ornata la mente, meglio ad esse insegnano l’arte di ben reggere la famiglia; e oltremodo care le fanno ai padri, ai mariti, cui possono di prudenti consigli negli avversi casi giovare, ed infine più atte ancora le rendono ad adempire il sacro ufficio di madre. E non è forse il sommo d’ogni dolcezza potere da se medesima mettere ne’ ben [p. 223 modifica] cresciuti figliuoli i primi semi delle virtù? Qual piacere uguaglia quello che viene dall’informarne le nuove e tenere menti allo studio della sapienza, e dal vedersi da quelli tenere in pregio e in amore non tanto per debito di natura, quanto per riverente e ricordevole gratitudine? Però io credo, che i buoni parenti, se veramente vogliono la felicità delle figliuole loro procurare, debbono di maniera usarle agli studi, che in essi prendano onesta ricrea zione, e sicuro conforto nelle sventure. Nè già temano, che dall’intendere alle lettere ed alla filosofia nasca in quelle superbia o disamore delle cose femminili, anzi abbian per fermo, che la vera scienza partorisce modestia, e che un animo savio e discreto nell’adempimento degli obblighi propri ritrova pace ed allegrezza. Ed in vero quale donna fu più della Veronica Gambara tenera de’ figliuoli e sollecita dell’ampliare lo splendore della casa? Chi nell’amare il marito superò la Colonna, e chi l’uguagliò nella cortesia de’ modi e nella prudenza? Ma per tacere delle altre molte, le quali colla dottrina perfezio narono la indole loro, io credo che chiunque consideri l’ingegno e le virtù di Laura Bassi sarà certo dell’utili tà, che gli studi recano agli animi femminili. Imperocchè siccome poche l’avvanzarono nel sapere, così niuna fu più di lei veramente buona, umile, affettuosa, sincera.

Laura Maria Caterina Bassi nacque ai 29 di ottobre del 1711. I Genitori di lei, e quanti usavano alla sua casa vedendo in essa fin dai primi anni ardentissimo desiderio d’imparare, e una gravità non consueta all’età fanciullesca, pensavano potere quella sollevarsi fuori della condizione comune, ove fosse nelle nobili discipline erudita. Perd vollero applicasse la mente agli studi; e siccome in breve tempo vi fece gran frutto, ben presto ſu chiaro non essere state vane le speranze, che gli altri avevano > [p. 224 modifica] prese di lei. Giovinetta ancora giunse a potere senza fa tica comprendere i latini scrittori, e ad ammirarne la bellezza nella loro lingua nativa: il che non è a dire quanto poi le fosse di giovamento. Poichè gl’Italiani, che intendono a dettare eleganti ed ornate prose debbono porre lungo studio nella latina favella, osservare in quella la proprietà di molte voci, che nella lingua volgare dalla latina furono trasportate, e cercare d’imitarne la maestà, tenendo quella misura, che è indizio di purgato giudizio. Ma perchè i preclari ingegni sono dalla natura stessa portati alla conoscenza del vero, in cui soltanto la men umana riposa, volle Laura darsi alla filosofia, e di quella tanto si piacque, che infin che visse non mai ne dimise il culto e l’amore. Della metafisica conobbe quanto a dotta persona saria vergogna ignorare, e tralascid volentieri l’investigare quelle questioni troppo astratte, o troppo sottili, le quali posando spesso nel falso mostrano l’ignoranza o la superbia dell’umano intelletto. Allo studio delle leggi dell’universo, all’osservazione dei naturali fenomeni, e a tutto che si appartiene alla fisica generale e alla sperimentale ella applicossi con infaticabile diligenza. Però non è a dire quanto ai maestri e ai parenti fosse caro l’ammirare tanta sapienza in una giovinezza cosi fiorente, e come in essi fosse vivissimo il desiderio di vedere il valor di Laura rimeritato dalle pubbliche lodi. Poichè ella aveva ingegno virile, e colle ben poste cure si era così alto levata, pregaronla che vinta la soverchia modestia volesse far palese la sua virtù; questo ella dovere ai genitori e alla patria, che per lei riceverebbe novella gloria; essere onesto, che prendendo a disputare pubblicamente intorno alla filosofia mostrasse, che alle donne ancora è concesso fissar lo sguardo nei misteri della sapienza. Ma Laura, che per naturale disposizione sopra ogni altra [p. 225 modifica] cosa aveva caro un vivere solitario e tranquillo, e oltre ciò temeva, non le fosse data nota di superbia, ove avesse operata cosa di contraria alla consuetudine femminile, rispondea loro: aver data opera agli studi, per trovare in quelli incitamento e norma al ben fare: conoscere cosa vana e fuggevole essere la gloria, che spesso viene negata a chi mostra più vivo ardore di conseguirla: però non aver mai ambito di salire in onor fra le genti: nè a lei piacere di prestare armi alla invidia, la quale è sempre parata a lacerare i più degni: lasciassero dunque, che ignorata dal mondo continuasse i suoi dolci studi; dai quali largo frutto ricoglierebbe, quando giugnesse per essi a rallegrarne di alcuna consolazione i parenti e a meritarsi Ja benevolenza dei buoni. Ma invano ella desiderò trapassare la vita nel silenzio della sua casa: invano si sforzo tenere nascosto il singolare ingegno, di che natura l’avea donata. Il volere de’ suoi genitori fu più potente del suo, e le preghiere degli amici fecero forza alla modestia di lei. Quindi nel giorno 17 d’Aprile dell’anno 1732 ella diede splendida testimonianza della sua molta dottrina, rispondendo a cinque valenti Professori della Bolognese Università, che presero a interrogarla intorno alle più gravi quistioni della filosofia. I principali personaggi della città convenuti erano ad ascoltarla; i quali all’udire l’eloquenza di Laura, e al vederne il modesto contegno, non dubbia prova della moderazione dell’animo suo, non sapevano quale cosa fosse meglio in lei da pregiare o la verecondia de’tem perati costumi, o l’altezza dell’inteletto. Certo come sommamente ingegnosa e veramente buona la commendarono. E perchè con più manifesto segno fosse palese la riverenza e l’amore in che dall’universale era tenuta cosi virtuosa e dotta donzella, venne ella dal consentimento di tutti i buoni invitata a pigliare solennemente la laurea in filosofia. [p. 226 modifica] Avventuroso e lieto sopra tutti gli altri della sua vita fu certo per Laura il giorno 12 di Maggio di quel medesimo anno, poichè in esso ricevette il premio dovuto alla virtù e alla sapienza. Accompagnata dalla Contessa Maria Bergonzi Ranuzzi, e dalla Marchesa Elisabetta Hercolani Ratta, matrone per nobiltà di natali, e per eccellenza d’ingegno delle principali della città, venne Laura al cospetto de’ Dottori del collegio filosofico, che in una sala del Palazzo de’ Magistrati raccolti si erano ad aspettarla. lvi poichè le fu posto indosso la veste dottorale foderata di vajo, e messa in capo una corona di argento, prese ella a parlare, riferendo a chi di tanto l’aveva degnata immortali grazie, e non senza lagrime manifestando l’allegrezza, che in quel momento le sopprabbondava nel cuore. Per più giorni la città tutta fu in festa per celebrare un avvenimento che se a Laura era cagione di grande onore, tornava pure in rarissimo ornamento della patria — Quante volte io leggo nelle istorie, che per lo spontaneo commovimento di una città o d’una nazione furono rendute onoranze e lodi ai sapienti, tante sono tratta ad ammirare meco stessa il retto sentire e l’incorrotto giudicare di padri nostri. E vedendo siccome ora la disposizione degli animi è in contrario quasi al tutto mutato, i tempi antichi commendo e de’ presenti mi sdegno. Allora non avrebbero i tristi osato contaminare vilmente la fama di chi ne’ lodati studi pone l’ingegno, perchè sapevano dal più degli uomini tenersi in pregio l’onestà e la sapienza: allora men di frequente si sentivano andare per le bocche de’ volgari e de’ grandi i pomposi nomi di virtù e di patria, ma vero in tutti era il rispetto dell’altrui fama, vivo lo zelo per l’onor patrio, e non mentito l’amore della giustizia. Se negli ingegni presenti è meno di virtù che negli antichi, se negli uomini è men saldo il volere di affaticarsi nelle umane arti,> se rado ora [p. 227 modifica] sorge chi d’immortale gloria sia degno, non altri accagio nare dobbiamo, che noi medesimi, non ad altri ne tocca il biasimo che a noi stessi. Avversa o lieta si volge fortuna, niuna cosa vietare ci potrebbe di aggiugnere animo ai generosi intelletti dando loro guiderdone di schiette lodi, se il verme della invidia non rodesse molti nel petto, se molti non prendessero dolore dell’altrui gloria come di lor vergogna. Questa è la cagione che insterilisce le menti italiane; e a si gran male non sarà alcun riparo, finchè i veri savi non levino arditamente la voce per far segno all’obbrobrio de’ presenti e de’ venturi tutti coloro, che adoperando occulte arti, e maligno e falso parlare, tolgono ai buoni il meritato premio delle bene poste fatiche - La grazia che Laura degnamente trovata aveva nell’universale, le durò immutabile finchè visse. Se personaggi di conto giu gnevano da lontane parti a Bologna, tosto venivano condotti a Laura, siccome a colei, che dava bella testimonianza del senno italiano. Dell’amicizia sua si onoravano uomini prestanti per dottrina e per dignità, e gli stessi stranieri difficili lodatori degli italiani, scrivendo o parlando levavano a cielo la virtù di lei. Imperocchè vedendo come in tanta celebrità, quanto era quella, cui era prevenuta, in niente aveva mutate le mansuete maniere, ma dolce negli atti, benigna nel conversare parea, che a studio cercasse di nascondere, o di abbassare le rare doti della sua mente, tutti si convenivano nell’affermare essere per non consueta liberalità de’ cieli raccolto in lei quanto in valorosa donna comanda venerazione ed amore. Ma se la virtù di Laura risplendeva di maravigliosa eccellenza, straordinari ancora furono i premi che ne raccolse. Conciossiachè toccando appena il ventesimo anno le fu dal Senato conferita una cattedra di Filosofia nella Università. E bene si parse come quest’ufficio fosse in persona degnissima collocato: chè [p. 228 modifica] per la dilligenza, pel suo giudicio, per l’acume dell’ingegno, pel lucido ordine onde graziosamente le dottrine più severe esponeva, ella uguaglio la fama dei più lodati nello insegnare le scienze. Da remote contrade molti traevano ad ascoltarla, e tornando poscia al nativo loro paese la bontà e l’altezza della mente di lei non mai ristavano di predicare. Reggeva in que’ tempi la romana chiesa il sommo pontefice Benedetto XIV. che all’universo intero fece palese, come la santità della religione diventa più venerata e più cara in animo acceso dell’amore della sapienza. Volle egli dare pubblico argomento del favore che prestava alle scienze instituendo in Bologna un’accademia che Benedettina da lui fu nominata. Laura pur essa ne fece parte, e quante volte in quella prendeva a favellare, tante induceva gli ascoltanti ad ammirazione e diletto. Avendo poi ella fatta una pregevole raccolta di molte maccbine di fisica, trovava sommo piacere in fare sperienze, e in osservare i naturali avvenimenti, con frutto grandissimo di quanti ricevevano le sue parole. E perchè le lettere sono dolce ricreamento a chi affatica nella ricerca del vero, le lettere reputò a sè utili e necessarie. Nè certo avrebbe potuto con si squisita facondia dichiarare le sue dottrine, se de’ gentili studi fosse stata digiuna. Imperocchè indarno saria negli uomini intelletto alto e fecondo, ove ignorassero quell’arte, che ne insegna a manifestare con decoro e con grazia i nostri pensieri, e a rendere la scienza facile e dilettosa: nè già è possibile d’imparare quest’arte avendo a vile le divine opere de’ poeti e degli oratori. Nelle lettere che la Bassi scrisse agli amici, o ai più famosi personaggi di quella età si vide aperto, com’ella avesse preso sollecita cura della bontà dello stile, e come nobilmente sapesse i concetti dell’animo con parole rappresentare. Volle ancora nella poesia esercitarsi, e nella conoscenza della lingua [p. 229 modifica] greca giunse tant’oltre, che da’ più dotti ne fu lodata. Due dissertazioni ch’ella scrisse intorno ad alcune leggi del l’idraulica e della meccanica, le quali si leggono ne’ commentari dell’Instituto di Bologna, rendono fede del valor suo. E certo è a dolere, che si poco ella curasse di pubblicare colle stampe tutto che aveva ne’ lunghi studi osser vato. Ma dal farlo la rattenne in parte quella modestia, che sempre fu in lei grandissima, e in parte ancora l’ aver dovuto intendere studiosamente al governo della famiglia. Imperocchè essendosi ella sposata al dottore Giuseppe Veratti, adempi sempre le parti di buona moglie, di ottima madre e di reggitrice savia e massaja. Ebbe dodici figliuoli, e tutti ella medesima volle educare, a tutti coll’esempio e colle parole si fece guida e maestra. Però a me pare che se alla Bassi fa bella gloria l’avere coltivate le amabili discipline e i severi studi; più grande onore venire le debba, perchè non mai dimenticando ciò che è primo debito di discreta donna e di valorosa, non isdegnò i femminili lavo ri, nè volle a prezzolate mani affidare i tenerelli figliuoli. Quindi a fine di potere alle diverse cure con uguale solerzia applicare, abborrì l’ozio, siccome morte d’ogni buon costume, e d’ogni nobile operazione: dette al sonno quel tempo, che ricusar non poteva all’affaticata natura, nè mai delle mondane pompe prese diletto. E bene raccolse larga mercede del materno suo amore: imperocchè vide fiorire nella sua prole tutte le più eccellenti virtù: ebbe amanti ed ossequiosi figliuoli e costantemente benevolo l’anima del marito. Quantunque nella vecchiezza avesse mal fermo la sanità, pure non mai intermise le usate cure: che aа lei sarebbe sembrato un’anticipata e lunga morte patire, ove avesse lasciato di operare il corpo e la mente. E certo prima mancolle la vita, che l’amore allo studio. Conciossiachè la sera precedente al giorno che fu l’estremo per [p. 230 modifica] lei, ella recossi alla sala dell’accademia Benedettina, ed ivi in dotti ragionamenti spese gran tempo. Poche ore appresso lamentavano i Bolognesi di avere in lei perduto uno de’ più singolari ornamenti della città loro. Mori Laura ai 20 Febbraio dell’anno 1778, e quantunque già da qualche tempo entrata fosse nella vecchiezza, pure ad ognuno parve, che troppo breve le fosse stata la vita. E a dare aperta prova del comune dolore piacque ai Bolognesi con funerale pompa solennemente onorare la memoria di lei: Il corpo suo parato delle dottorali insegne fu deposto nella chiesa delle RR. MM. del Corpus Domini, e sulla pietra che lo ricuopre, fu sculto una latina iscrizione, nella quale e la rara bontà e la peregrina sapienza che l’adornarono, sono ai posteri ricordate. Ne era ancora molto tempo passato dalla sua morte, quando le matrone bolognesi statuirono con pubblico segno manifestare, quanto grande e durevole fosse la venerazione, in che tenevano l’illustre loro concittadina: e però vollero le fosse innalzato a loro spese un monumento nelle case dell’Instituto, il quale se e perpetuo testimonio della virtù di Laura, è ancora splendido argomento del nobile animo delle gentili donne di quella età, e può alle presenti essere incitamento e sprone a ben ſare — Tutta la persona di Laura era piena di verecondia e di gravità: negli occhi suoi si leggeva com’ella avesse pronto e vivo l’imaginare, e il suono della voce e la graziosa maniera del favellare la mansuetudine dell’animo suo disvelavano. Ebbe franca la memoria, discreto il giudicio, pietoso e tenero il cuore. Quantunque la fortuna non avesse a lei conceduto grande stato e larghe ricchezze, pure senz’af fanno, anzi con pace ed in letizia trapassò gli anni. Che nella contemplazione del vero trovava perenne conforto, e la benevolenza dei parenti la fede dei veri amici, la bontà dei figliuoli le furono cagione d’infinita dolcezza. Ma più [p. 231 modifica] che nelle umane consolazioni ella riposò il cuore nelle celesti: imperocchè sentendo altamente della divinità osservò sempre i documenti della religione, e tenne per fermo essere primo fondamento di quella la carità. Laonde parmi doversi alle valorose donne la vita di Laura proporre in esempio, affinché cercando di conformarsi a ’suoi incorrotti costumi, e al pari di lei l’ingegno alle nobili arti applicando possano recare utilità alla civile compagnia, e decorare di novella

gloria la patria. [p. 232 modifica]

INDICE

DELLE VITE CONTENUTE IN QUESTO VOLUME


Bettisia Gozzadini |||
 Pag. 3
Properzia de' Rossi |||
 " 13
Giovanna d'Arco |||
 " 23
Marianna Santini Fabbri |||
 " 33
Marianna Montecuccoli Davi |||
 " 41
Maria Luigia Pizzoli |||
 " 63
Galeana Sarioli Brancaleone |||
 " 73
Beata Elena Doglioli Dall'Olio |||
 " 81
Clotilde Tambroni |||
 " 95
Zanna Bentivoglio Malvezzi |||
 " 103
Isabetta Siriani |||
 " 115
Maria Delle Donne |||
 " 125
Mea Mattugliani |||
 " 133
Lucia Bertana |||
 " 137
Santa Caterina Vigri |||
 " 147
Novella e Bettina Calderini |||
 " 161
Anna Morandi Manzolini |||
 " 167
Laura Bassi Veratti |||
 " 173
  1. Si veggano le Memorie di belle Arti che il Sig. Michelangelo Gualandi raccolsc cou zelo , c corrcdò di ben sensate note.
  2. L’opera Le Scollure delle Porte di S. Petronio che con tanta erudizione il Chia rissimo Signor Marchese Virgilio Davia illnstrò, presenta alcune Memorie di pagamenti fatti dall’Opera di S. Petronio a Madonna Properzia de’ Rossi a conto de ’ suoi la vorieri.
  3. Il Raimondi partì da Bologna circa il 1507 standone assente moltissimi anni; e deve supporsi che in quest’epoca Properzia fosse almeno dodicenne per avere tanto approfittato delle sue lezioni.
  4. V. il discorso intorno Properzia del Conte Antonio Saffi, quale giudicò lavorato da questa inarrivabile intagliatrice il nocciuolo di ciliegia che mostrasi nella Galleria di Firenze al Gabinetto delle Gemme nell’armadio N. 6, sospeso ad un filo marcato N. 318 in anello di smalto color verde, guarnito di quattro diamanti, traversato da spran ghetto d’oro. Su questo piccolo globo vi si rincontra una gloria di Santi e distinguonsi Sessantacinque minutissime teste di commendabile lavoro.
  5. Vasari dice ch’ella chiodesse agli operai una parte di quel lavoro per mezzo del marito.
  6. Riguardo a questo ritratto prevalse per molto tempo la ſalsa opinione fosse il busto marmoreo che vedesi collocato nella prima camera della Residenza de ’ Fabbricieri di S. Petronio; ma un basso rilievo ritrovato circa un Anno fa, in una magnifica Villa appartenente alla nobilissima casa Pepoli confrontato con presidj storici ad altra effigie, ne chiarisce l’inganno, e intorno a ciò basta leggere La Memoria del Dottissimo Signor Conte Giovanni Marchetti - Il Ritratto del Conte Guido de’ Pepoli. –
  7. Rendesi indispensabile accennare quanto si appose a questo Genio della scoltura per il soggetto trattato. Si volle ch’Ella amasse un avvenente giovane, e per non essere da lui corrisposta, sfogasse la sua passione col ritrarre se stessa nella Egiziana, e nello Ebreo l’amato suo; ma ripugna il credere che, dotata com’era la illustre Donna di tanto senno, ancorchè fosse tiranneggiata da malnato amore, avesse preso il posto d’impudica femmina, e portato in trionfo quel fallo, che cuor gentile dovrebbe, e vorrebbe, non meno che a tutti, potendo, pure a se stessa pascondere; per cui parrebbe potersi ritenere questa nozione come una di quelle novelle, che in ogoi tempo l’invidia non mancò comporre a carico di questo misero sesso.
  8. Ciò addimostra chiaramente la partita segnata negli accennati libri della Fabbrica 1526. L. Giornale a Cart. 153 li 1. Gennaio A. M, Nicolò Tribolo per due Modelli fatti a la Properzia F. 5.
  9. Il Vasari non l’avrebbe compianta in questi termini all’epoca della sua morte s’Ella avesse di molto oltrepassati i trentacinque anni; ecco dunque perché si può credere mala allo spirare del quatordicesimo secolo.
  10. Sotto il ritratto si scrisse per isbaglio GALIANA BRANCALEONE.
  11. Vedi Pezzana.
  12. Asserisce ciò il superstite di Lei Nipote Sig. Dottor Tambroni,
  13. La già citata Cronaca dice Malvici, ma a cagione dell’antico carattere fu dap prima letto Malvini, pel quale abbaglio si scrisse Zanna Bentivoglio Malvini sotto al ritratto di Lei, mentre doveva dirsi Zanna Bentivoglio Malvezzi.
  14. Chirardacci l. 2. p. 633.
  15. E mandava certe fidate donne , che l'una non sapeva dell'allra, fuori della città facendo dimostrazione d'andare per necessità di cercare legna: et faceva ponere le lettere, sotto certi arbori in terra coperte da scodelle: et portavano risposta, che in quelle scodelle trovavano, come aveva ordinato cum el fratello V. Gian -Sabbadino degli Arienti -Cronaca.
  16. Dante. (Purgatorio. Canto XXVI.
  17. Petrarca. Trionfo d’Amore.— È già troppo noto che Guido Guidicelli e Guido Ghisiglieri citati da Dante e da Petrarca furono bolognesi.
  18. Ghirardacci 420 - 488.
  19. Dolf. 512.
  20. Quadrio. Storia e ragione d’ogni poesia.