L'elemento germanico nella lingua italiana/B

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B

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A C

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B.

Babordo, parte sinistra della nave guardando da poppa a prua, per opposizione alla destra detta tribordo o stribordo (Stratico, Diz. marin. 1813). Fu introdotto verso la fine del sec. scorso con riproduzione immediata di fr. bâbord, donde anche sp. babor. Questo fr. bâbord, che compare nel sec. 16º, riposava su ol. backboord bt. tm. Backbord ags. baecbord, ing. larboard che vale propriamente “parte posteriore della nave rispetto al pilota che regola il timone”, giacchè back vale “dorso, dietro” [aat. bah, as. m. ol. bak, ags. baec, ing. back], e bord “orlo, sponda”. Il Kiliaen però crede che il primo elemento si rannodi a t. backen cuocere, per allusione all’essere quella parte della nave il luogo del forno e del fuoco. Infine il Littré spiega backbord per “orlo” (bord) del castello d’avanti (back), perchè nelle antiche imbarcazioni del nord, il castello d’avanti era sulla sinistra. Ma francamente questa spiegazione non mi soddisfa, anche perchè non so come back possa significare “d’avanti”.

Baccalà, merluzzo salato dei mari del Nord (Rosa, Sat.; Fagioli). Risp.: venez. piem. bacalà, fr. cabeliau, cabliau cabillaud, vall. cabiawe, namur. cabouan d’ug. sig., sp. bacallaoa, basc. bacailaba. Le forme fr. sono da tutti riportate ad ol. kabeljauw donde sv. kabelio, dan. kabeliau ing. cabillau Le altre insieme a bt. bakkeliau sarebbero anch’esse riproduzioni dell’ol. con inversione di consonanti dovuta ad un ravvicinamento a l. baculus bastone. Ma taluni fra cui Scheler e Kluge, traggono dall’ol. le sole fr.; le altre insieme coll’ol. stesso, cavano direttamente da basc. bacailaba, essendo i Baschi stati sempre segnalati nella pesca. Però in Olanda nel 1350 sorse un partito detto dei Cabelgenses dal nome del pesce cabeljau, e in una carta di Filippo di Fiandra del 1163 sono accennati i cabellauwi [p. 22 modifica]genere di pesce marino. Ora se i nomi rom. immediatamente risalgono all’ol. che del resto presenta anche bakeliauw, si può escludere assolutamente l’etim. basca, poichè è difficile ammettere che nel sec. 12º un vocab. basco fosse già penetrato fra i popoli del Nord. E sarebbe poi anche strano che un pesce dei mari boreali avesse avuto il nome da un popolo del mezzodì. Ad ogni modo in Italia il vocab. entrò solo molto tardi, giacchè il baccalare accennato dal Sacchetti Nov. 209 non è il pesce come credono alcuni, ma è il nome baccalare “grand’uomo” usato per ischerzo.

Bagordo bigordo, asta con cui si armeggia e si giostra, armeggiamento; quindi per bagordo anche il senso di “luogo dove si armeggia, ritrovo di gozzoviglianti, crapula” (Villani, Boccaccio, Libr. Simil.). Paralleli: a. sp. bohordo, bofordo, a. port. bafordo, bofordo, prov. biort beor, afr. bohort, bouhourt, behord giuoco cavalleresco, arma da ciò. Vb. it. bigordare = romper lance. In Francia il giuoco praticavasi correndo a cavallo contro la quintana, in Ispagna bofordo era equivalente di tablado tavolato, in Germania il bûhurt era giuoco militare dove schiera stava contro schiera. In sostanza si vede che il signif. originario e fondamentale era quello di “palco o tavolato contro cui scagliavasi un’asta”. Ora benchè lo Schade tragga mat. bûhurt dall’afr., il Diez dà il gruppo rom. come derivato dal ger., attesa la f dallo sp., l’h aspir, del fr. e il g gutt. dell’it.; ed escluso che il secondo elemento sia il vb. hurten urtare, ricorre ad aat. hurt donde mat. hurt, tm. Hurde Hort graticcio, tavolato, ripercossosi anche in annon. hourd bl. hourdum tavolato, poi fr. horde, horder. A questo aat. hurd rispondono got. haurds porta, ags. hyrde, ing. hurdle da rad. preger. krti, donde l. crates gr. χυρτία χύρτη χύρτος gabbia, χάρταλος cesta, sans. krt filare, torcere. Pel primo elem. il Diez propose dubitativamente bot da * botan percuotere, colpire (v. botta, buttare); sicchè il composto bohort (da bot-hort, dove il t [p. 23 modifica]mediano è scomparso perchè s’è trovato davanti ad aspirata), varrebbe “che urta il tavolato”. Ma la prima parte non potrebbe essere aat. bah, as. bak dorso, tergo, ricorrente anche in babordo? Allora il composto significherebbe “il tavolato di dietro”, e si spiegherebbe supponendo che il tavolato fosse nella parte di dietro del luogo ove il giuoco si faceva. Nel bl. troviamo bohordium in Lamberto d’Ardes, bufurdium all’ann. 1178 in Chron. Got. Lusit. presso Brandaone, bohordamentum in Odone Arciv. di Rouen, inoltre bordare biordare behordejs bohordeis ed altre numerose forme, quasi tutte in territorio francese. Questo vocabolo su cui resta tuttavia non poca oscurità, se passò in Francia dalla Germania, ciò dovette succedere non più presto del 1000, essendo bûhurt affatto ignoto all’aat. Der.: bagorda-mento-re.

Balco palco, tavolato, assito, tramezzo, poggiuolo (Novellino, Buti, Boccaccio). Risp.: sp. port. palco, afr. * balc, bauc, bau trave, picard. bauque trave. Base: ger. balko, donde aat. balcho, palcho, mat. balke, tm. Balcken trave; bt. balke granajo, anrd. balkr siepe, linea di divisione, ags. bülc trabeazione, ing. balk sostegno del soffitto, a. sv. balker, bolker, sv. bielke, dan. biëlke, ol. balk trave, recinto; inoltre ags. bolca ponte della nave. Vedesi di qui che dal senso primiero di “trave” si passò a quello di “travata, tavolato”, il quale ultimo compare nel campo rom., quasi esclusivamente, poichè solo fr. bau e picard. bauque valgono “trave” come nell’originale ger. primitivo. Da questo paiono essere derivati anche lett. balkis, russ. balka, pol. belka. Rad. ger. balk riposa su indeu. bhalg da bhalng a cui pare connettersi anche gr. φάλαγγ nomin. φάλαγξ l. phalanx pezzo di legno cilindrico ovale, tronco d’albero. Bl. balcus ricorre sin dal 1107 negli Stat. Pistoi. Il nome ci venne indubbiamente pel tramite dei Longobardi. Der.: palchetto. V. Balcone. [p. 24 modifica]

Balcone, sporto, poggiuolo, finestra, loggia (Villani, Petrarca). Paralleli; fr. balcon (derivato dall’it. nel sec. 16-17), sp. balcon, port. balcâo, d’ug. sig. È un dimin. di balco con forte specializzazione di senso. Anche ing. balcony e tm. Balckon sono riflessi romanzi rientrati nel territorio ger. mediante il francese. Bl. balcones ricorre in Discipl. Farfensis, Iscriz. di S. Procol. Veron.; s’incontra anche un bl. balcius in senso di “finestra aperta”.

Baldo, ardito, lieto e sicuro (Novellino, Dante). Risp.: prov. baut, baudos, afr. bald, baut, a. cat. baud d’ug. sig. Base ger. occid. bald svoltosi in aat. bald, pald, mat. balt ardito, franco, veloce, ardente, tm. baldig pronto, avv. bald tosto, presto; ags. bald, beald, ing. bold, anrd. ballr ardito, audace, temerario; inoltre anrd. baldr, ags. bealdor principe, Balder nome pr. d’un dio. Il got. presenta vb. balthjan osare, arrischiarsi, balthei franchezza παρρησία, avv. balthaba con franchezza; l’agg. sarebbe * balths. Iornandes e Ottone di Frisinga ci dicono espressamente che Alarico fu soprannominato Balthas cioè “audace” per il suo valore militare. Tuttavia non credo che questo ceppo ger. entrasse nel campo rom. per opera dei Goti, poichè è affatto ignoto allo sp. e port. che da essi ebbero il maggior contingente di vocaboli ger. A noi venne senza dubbio per mezzo dei Longobardi, anche perchè in it. presenta precisamente il signif. di “ardimento” che è il dominante dell’aat., laddove nel got. e in generale nel ger. primitivo sembra fosse quello di “prestezza, franchezza”. Inoltre nel ramo dell’aat. esso ebbe una grande diffusione e moltiplicità di forme che posson vedersi nello Schade p. 37. Anche il Mackel opina che il ceppo bald entrasse per tempissimo in rom., nonostante che non presenti il grado fonico del ger. primitivo, e che non compaia nel bl. altro che molto tardi. Questo bl. ci offre il singolarissimo avv. baldaciter arditamente, usato da Sire Raoul verso il 1180 nel De Gest. Frid. I. Anche nel campo rom., o meglio nell’it., [p. 25 modifica]il ceppo ger. conta uno sviluppo fecondissimo. In fr. oltre a ciò che s’è visto, s’incontrano: baudor ardire, esbaudir divenir coraggioso e lieto, baudet nome d’una sorta di cane molto ardito, Baudouin nome dato all’asino nella favola delle bestie per la sua contentezza che prorompe in grida di gioja (mat. Baldewin propriamente = amante [win] dell’allegria Der.: it. sono: bald-amente-anza [da cui baldanzoso, imbaldanzire]; baldo-re-ria; * baldire che parrebbe risalire direttamente ad aat. baldian, sbaldire.

Balla, palla, involto di roba di forma rotondo (Boccaccio, Lib. Sim.). Paralleli: sp. prov. bala, afr. bale, fr. balle, globo, corpo o pacco rotondo. Le doppie forme it. con b o p aventi perfetto riscontro nel ted. antico, non lasciano alcun dubbio sull’orig. di q. nome dal ger. aat. balla palla, donde mat. bal ballen tm. Bal Ballen corpo rotondo. Altre forme ger. sono: aat. bal, ballo (masc.), anrd. böllr, got. * ballus. L’aat. presenta pure ballo, pallo, donde mat. balle, sv. ball, ol. ball, dan. bold. Ing. ball pare attenersi a fr. balle ovvero ad anrd. böllr. Anche aat. bolla, mat. bolle, tm. Bolle boccia, bottone è forse dello stesso ceppo). La differenza di signif. che si mostra da it. bolla e palla scorgesi anche fra tm. Ballen e Ball. It. palla e tm. Ball conservano il generale di “corpo di forma rotonda”; it. balla e tm. Ballen quello di “involto rotondo” specie di tela, carta o simili; altra circostanza che induce a ritenere certa l’etim. ger. ed a respingere quella da gr. βάλλω, βαλλιξειν gettare e più ancora da πάλλω vibrare, vb. che non offrono sostantivi corrispondenti agl’italiani e rom. Bl. bala ricorre sin dalla metà del sec. 13º in Italia e in Francia; quindi non può dirsi anteriore alle lingue rom.: forse ne riproduce le forme. Der.: ball-accia-aggio-one-otta; ballott-aggio-are-azione-o; imball-aggio-are; sball-are-one. Pallott-a-ola. V. Ballare.

Baluardo balluardo baloardo, bastione, opera fatta con travi (Machiavelli, Berni). Paralleli fr. [p. 26 modifica]boulevard boulevart boulever boleverque, prov. balloar, sp. baluarte. Il fr. pare aver servito di tramite a tutte le forme neol. allegate di sopra. Esso compare nel sec. 15º, e riposa su tardo mat. bolwerk donde ol. bolwerk, ing. bulwark, che racchiude due sensi corrispondenti a due etim. e composizioni diverse. La prima era di bolle oggetto rotondo da essere gettato [aat. bolon, mat. boln gettare], e werk opera: quindi “macchina da getto”. La seconda di bohle asse e werk opera, e valeva, come oggi, “costruzione di tavoloni, riparo di panconi”. Solo il secondo passò nelle lingue rom. e slave, chè anche il russo possiede bolverk. Chi vuole avere un’idea delle etim. che si trovavano nei secoli passati legga quel che scrive Galileo nel suo Tratt. di Fortif.: «si domanda ballovardo, quasi che belliguardo, cioè guardia a difesa della guerra»! Bl. bolevardus fu foggiato dal Breidenbach all’an. 1483. Der.: baluardetto.

Banca banco panca, arnese di legno da sedervi più persone; tavola de’ giudici, cambiavalute, macellai, rematori; alzamento di gabbia (Dante, Fra Giord., Boccaccio). Con fr. banc banche, prov. banc banca, sp. port. banca forme aventi tutti o quasi tutti i sensi it., riproduce ger. bank svoltosi in aat. banch panch, mat. banc tm. Banck scanno, seggio; as. banc, ags. benc, ing. bench, anrd. bekkr, ol. bank, sv. dan. bünk. Del ger. sono riflessi anche lit. bánkas, lett. benkis. Dei molti sensi presentati dalle lingue rom. il ger. oltre al fondamentale di “seggio, scanno”, pare conoscesse solo quello di “secca”. Fr. banque riprodusse direttamente it. banca nel sec. 16º. La rad. preger. è bhangi. Bl. bancha è usato negli Stat. Cadubrii; molto più prima banchus, cioè sin dal 1010 in Ispagna e più presto ancora il deriv. banchale, cioè l’ann. 966 nella Marca Spagnola. Evidentemente il bl. questa volta è anteriore alle lingue rom. Però fr. banc è già del sec. 11º. Der.: banc-ario-hetta-hiere-one. Panc-ale-one. [p. 27 modifica]

Banda1, striscia di stoffa tagliata per lo lungo e che serve a legare, lamina; parte di corpo o luogo (Villani, Dante). Risp.: fr. bande, sp. prov. banda. Base: ger. occid. banda che diè aat. bant, as. anrd. ol. band, mat. bant, tm. Band legame, nastro, fettuccia. Il got. era bandi legame, bandva bandvo segno, ags. bend donde ing. bend, bond. Le voci ger. spettano a vb. ger. bindan bintan, mat. tm. binden [binden, band gebunden], congenere a sans. bandh zend. band che dierono sans. bandhas, zend. banda legame, catena. Il senso di “parte di corpo o luogo” assunto dall’it. dovette passare a traverso a quello di “parte di panno” e quindi generalizzarsi in quello di “parte”. Quello di “lamina” derivò evidentemente dalla forma che la lamina ha una striscia o fetta di panno. Bl. banda nel senso di “striscia” è raro; in quello di “lamina di ferro” s’incontra all’ann. 1282 in Necrol. della Chiesa di Parigi: in quello di “lato o costa della nave” nei Mirac. di Urbano V. Del resto v. Banda2, Bandiera e Benda. Der.: bandella, bandinella, bandolo, bandoliera.

Banda2, compagnia, corpo di milizie o di sonatori (Guicciardini, Giambullari). Paralleli: fr. bande, sp. banda d’ug. sig. Alcuni fanno di q. parola una cosa stessa colla precedente, e spiegano la transizione dei sensi così: striscia di panno — insegna — gente raccolta sotto quell’insegna. Certamente la rad. è la stessa; ma la evoluzione dei concetti si produsse in parte in tempi antichissimi sotto l’influsso di got. bandva bandvo che significava già “segno, vessillo”. Abbiamo di ciò due testimonianze decisive. Procopio († 565) nella sua Vandalica scrive: «Τό σημείον ό Ρωμαίσι βάνδον χαλούσι»; e P. Diacono dice: «vexillum quod bandum appellant». Dal che s’inferisce anche che questa parola entrò in Italia per mezzo de’ Goti. Dunque il passaggio da “striscia di panno” a “segno, vessillo” è antichissimo; quello invece da “insegna” a “gente raccolta sotto l’insegna” pare piuttosto [p. 28 modifica]recente nelle lingue neol. e forse non risale più indietro del sec. 13º; giacchè bl. band-us-um schiera, compare appunto a quell’epoca. Tm. Bande truppa del pari che ing. band d’ug. sig. è tolto dal rom. Der.: bandista.

Bandiera, drappo legato ad un’asta dipintovi entro le imprese dei capitani (Villani, Boccaccio). Risp.: sp. bandera, prov. bandiera, baneira, fr. banniére d’ug. sig. Immediatamente riproduce bl. banderia dim. di bandum il quale ultimo sotto Banda2 abbiamo già visto usato da Procopio e da P. Diacono in senso di “segnale, vessillo”, e quel bandum s’era poi formato da got. bandva, bandvo segno. Il bl. oltre a banderia presenta anche banderium, banera-ria-rum-nearium-banora. Notevole che banderia-rium offre anche il senso di “coorte di 500 soldati”, analogamente a Banda2. Però nelle lingue neol. non penetrò q. signif. Il Mackel accanto a got. bandva segno pone un * ban d’ug. sig. che conservossi in bl. bannum segno, afr. ban bandiera, prov. auri-ban bandiera dorata, afr. baniere, prov. baneira, e i vb. prov. banejar, afr. banojer sventolare, svolazzare. Der.: bander-ajo-ese-uola; imbandierare.

Bandire, pubblicare per bando, proscrivere, esiliare (Fra Giord., Villani, Maestruzzo). Risp.: afr. banner baner bannir, fr. bannir, prov. bandir d’ug. sig. La base è una rad. ger. ba con signif. di “parlar alto, annunziare pubblicamente” che risale a idg. bha riflessosi anche in gr. φά-σχω, φη-μί, l. fa-ri dire. Questa rad. ger. ba con forte specializzazione di senso mediante l’aggiunta di nn formò vb. ger. * bannjan, da cui aat. bannan, mat. bannen, anrd. banna comandare sotto minaccia di pene, citare, proscrivere, esiliare. Sin dal 596 troviamo in Francia in bl. banivimus presso Childeberto, venuto da abfr. bannjan; ma le forme bl. bannare imbannare, afr. banner baner risalgano ad aat. bannan. Il Diez per spiegare l’it. bandire prov. bandir partì da got. * bandvjan; al che il Mackel oppone che da bandvjan sarebbe venuto un rom. * [p. 29 modifica]bandevire. Perciò il Mackel accanto alle forme ger. con nn ndv ammette l’esistenza di una con nd, mostrata da anrd. benda dare un segno, m. ol. banden = ad aat. bannan, mat. bannen, sans. bhand risuonare. Da vb. ger. * bandjan it. bandire sarebbe regolarissimo. Bl. banditus s’incontra già nel 981 in lett. del Vescovo de’ Marsi con signif. di “scomunicato”, che non passò in it. Der.: bandeggiare, bandi-ta-to-tore; sbandire. Anche imbandire che vale “preparare un banchetto” bandito cioè “annunziato”. V. del resto Bando e Forbannuto.

Bando, legge o decreto notificato a suon di tromba, proscrizione esilio (B. Latini Tes., Dante, Cavalca, Villani). Risp.: sp. port. bando, prov. fr. ban proclamazione pubblica. Riposa su un nome ger. della rad. ba vista sotto bandire, cioè aat. ban(n) mat. ban comando sotto minaccia di castigo, citazione, giurisdizione e suo territorio, proibizione, esilio, scomunica, donde tm. Bann scomunica, ags. ban ing. ol. ban, fris. ban, sv. bann, dan. band. Dall’aat. bann entrato probabilmente coi Franchi formossi assai presto bl. bannum bandum ricorrente sin dal 802 presso Carlo Magno. Questo bl. bannum bandum è frequentissimo nel medio-evo massime in Francia e in Italia coi sensi di “editto, pena giudiziaria, proscrizione, giurisdizione e suo territorio”, come può rilevarsi dal Ducange. Nel 998 in Gregorio V bandum vale “scomunica”. Già s’è visto come da bandum originasse fr. a bandon da cui vb. abbandonare. Der.: contrabbando.

Bara, strumento di legno a guisa di letto per portare i morti (Dante, Villani, Boccaccio). Risp.: afr. bard bar, fr. biére, prov. bera, vall. bira, namur. bi, vall. beard feretro cataletto, lad. bara cadavere. Prov. berio vale anche “cesta”. La forma it., e alcune fr. [bard bar] hanno a base ger. bâra donde aat. bara para mat. bare, tm. Bahre, ol. baar ags. baer, baere, ing. bier sv. bar. dan. baar fiamm. baere, portantina, lettiga, feretro. Fr. biére, [p. 30 modifica]ricorrente sin dal sec. 11º, risale a ger. occid. * bêra * bero. Nell’ing. troviamo anche barrow barella da m. ing. barewe, che con fris. barwe riposa su di un grado apofonetico diverso della stessa rad., cioè a got. * barwa, come anrd. barar. Il tema preger. è bhêrâ da rad. bhêr portare che riscontrasi nell’ind. bhar, gr. φερ, l. fer-o. Da quest’ultimo vb. l. viene it. feretro, sicchè bara e feretro sono due modificazioni della stessa rad. fatte da popoli differenti. Qui l’it. per significare un oggetto di cui possedeva già il nome ha tolto in prestito dal ger. un vocab. avente la stessa radice, come avvenne nel caso di giardino e orto, zanna e dente. Rad. ger. ber sviluppò vb. got. baíran, aat. bêran, mat. bërn, ags. bëran, ing. to bear, tm. gebören portare, produrre. Anche Bürde carico, Zuber tino ed altre parole sono radicalmente uniti qui. Bl. bara s’incontra nei Mem. Potest. Reg. an. 1275, e sotto la forma di barra anche in Trancia. Der.: barell-a-are-one.

Bargello barigello, uffiziale forestiero che a Firenze presiedeva agli ordinamenti contro ai grandi; capo dei birri e delle guardie (G. Villani 11, 16 all’an. 1316). Risp.: sp. port. barrachel, afr. barigel, fr. barisel. Anche i dial. lomb. presentano barisel. Però fr. barisel del sec. 16º e segg. pare riproduzione dell’it. Immediatamente riposa su bl. barigildus usato da Carlo Magno, e barigillus da Carlo il Calvo ann. 864 nell’Edict. Pist. in unione ad «advocati». Questo bl. barigildus è chiaramente d’orig. ger. (cfr. guidrigildo, novigildo); ma sin qui non si è potuto determinare il valore etimologico del composto. Il secondo elemento dev’essere aat. gelt, tm. Geld denaro; ma il primo resta oscuro. Nello Specul. Sax. ricorre biergeld donde tm. Biergeld mancia, e Cironus gli ravvicina il nome in quistione; ma che spiegazione plausibile se ne può dare applicandolo ai barigildi barigilli? Traendolo da un ipotetico aat. * bärigelt [aat. bäri portante], varrebbe “portadenaro”, ma anche così non se ne avrebbe un senso soddisfacente. Der.: bargel-lato-lino-luzzo. [p. 31 modifica]

Baruffa, azzuffamento confuso (Sacchetti, Bellincioni). Dall’aat. biruofan, o meglio dal mat. beruofen, berüefen sgridare, svilaneggiare, imperversare. V. Ruffa. Der.: baruffevole; abbaruffa-mento-rsi.

Bastire (im), cucire con punti radi e grossi pezzi di vestito (Pataffio, Passavanti). Risp.: afr. bastir, fr. bâtir, sp. bastear, ing. baste d’ug. sig. Il Diez e dietrogli lo Scheler, il Littré e il Mackel ricavano questo ceppo da ger. * bastjan donde aat. bestan, mat. besten cucire, svev. besten. Il Littré osserva che dovette esistere in rom. una rad. bast cucire, che non si può separare dal gruppo in discorso; ma che si può anche pensare ad un’assimilazione fra le due parole che valgono l’una “cucire” e l’altra “costruire”. Quest’ultima è quella che produsse in it. basto, bastone, bastimento ecc. Der.: basta.

Battello, piccolo naviglio legato al grande pei bisogni occorrenti (Polo, Mil.; Sacchetti). Risp.: sp. batel, prov. batelh, afr. batel, fr. bateau navicella, barchetta. Ha per base diretta bl. batellus dimin. di batus battus che vedremo sotto Batto, ed usato già da Enrico I di Inghilterra (an. 1110). Nel bl. s’incontrano altresì batella-gium-rius tutti in Francia ed in Inghilterra, circostanza che mostra l’origine anglo-sassone-normanna del vocabolo.

Battifredo, torre fatta di travi per difese e per guardia (Cresc. verso il 1350). Rispond.: afr. berfroi, (sec. 12º) beffroit fr. beffroi, ing. belfrey. Base: mat. bërcfrit, bërchfrit, bërfrit, bërhfride, bergfrede d’ug. sig. risultante da bërc [tm. bergen] coprire, difendere, e frit della stessa radice di Friede pace: quindi “che conserva e mantiene la difesa”. Secondo altri il secondo elem. sarebbe vriet forma corrispondente a mat. bret [tm. Brett got. brit] tavola. Il nome ted. dovette svolgersi sin dal sec. 11.º, giacchè lo troviamo riprodotto poco dopo in varie forme bl. Orderico Vitale † 1142 ci offre berfredus, Simeone di Dunelm all’ann. 1123 berefreid, Guglielmo di Malmesbury [p. 32 modifica]berfreid, Gug. Armorico belfragium, Federico I Imp. all’an. 1190 verfredus, Innoc. III verso il 1200 bertefredus. Altre forme bl. sono: berefridus, belfredus, bilfredus, balfredus. Il butifredus del Mem. Potest. Reg. all’ann. 1288 e il battifredum di Galvano Fiamma 1372 paiono piuttosto ricalcati sull’it., il quale it. fu foggiato dal popolo dietro un falso ravvicinamento a battere.

Batto, sorta di nave da remo (G. Villani). Riposa su ags. bât ing. boat, anrd. bâtr, sv. bat, ol. boot, tm. Boot piccola nave, da ger. baita. L’it. immediatamente risale a bl. batus battus ricorrente in Leges Ethelredi Anglici, in Monast. Anglic., e in Dipl. di Filippo il Lungo di Francia. V. Battello.

Bazza, buona fortuna, sorta di giuoco di carte (B. Latini, Berni). Risp. sp. baza, cat. basa d’ug. sig. Il Diez lo riporta a raro mat. bazze guadagno vantaggio, avente la stessa radice di baz meglio. Il vocab. sarebbe stato diffuso dai soldati tedeschi col giuoco rispettivo. Der.: bazzecola, bazzi-ca-care-tura.

Becca, cintola, tracolla (L. Medici, Celli). Con sp. beca pare riprodurre ags. wecca filo attorcigliato, cui risponde mat. wieche tm. Wieche della stessa rad. di tm. Wickel, ol. wiek, ing. wick viluppo. Ma fa difficoltà il senso che nelle lingue ger. era di “filo attorcigliato per ardere, lucignolo”, ovvero quello di “fascia per ferite”.

Beccabunga, sorta di pianta acquatica (Vallisnieri † 1730). Con sp. port. becabunga, fr. bécabunga riproduce direttamente bt. beckebunge, cui risponde at. Bachbunge che letteralmente vale “tuberosa di ruscello” risultando da Bach ruscello e Bunge, [aat. bungo, mat. bunge] tubercolo. Il nome in Germania divenne universale solo nel sec. 16º, e le lingue neol. l’hanno introdotto solo nei secoli 17º e 18º. Il russo ne ha cavato ibunkà.

Beffa, burla, scherzo, dileggio (Dante, Boccaccio). Connessi a. sp. prov. bafa, sp. befa, afr. beffe derisione, [p. 33 modifica]vb. a. sp. bafer, sp. befar, fr. befler bafouer trattar con disprezzo, sp. befo belfo labbro inferiore del cavallo, cat. occit. befe, pic. bafe ghiottone, schiaffo. Da un ceppo ger. che appare in mat. baffen abbajare, sgridare, mat. beffen bisticciarsi, svillaneggiare, fischiare, dial. svev. bäffen, bäfzen, bäfzgen altercare, rimbeccare Schmid 37, svizz. bäfzgen abbaiare, sgridare Stalder 1, 125, bav. beffen beffeln, beffern, befzgen d’ug. sig. Schmeller 1, 156. Tutte queste forme colla loro gran diffusione, coi signif. che si toccano con quelli rom., e colla variante dell’a e dell’e riprodotta anch’essa in rom., non lasciano dubbio sull’orig. del gruppo neol. dal ger. Il Mackel parte da un primitivo ger. * baffian accanto a cui dovette esistere un baffôn che spiegherebbe alcune forme fr. e sp. L’it. però sembra risalire a un tardo aat. beffan o a mat. beffen. Il turingio bäppe bocca che il Diez connette qui, ne è invece separato dal Mackel. Il Littré osserva: Rad. è baf, bap che si trova in parecchi dial. tedeschi, con signif. di “bocca, labbro”; e si comprende come esso dal senso di “muover le labbra” abbia potuto prendere quello di “dileggiare”. È un fenomeno, aggiungo io, che si riscontra anche nell’it. abbajare, donde dare la baja. Pare dunque che in orig. beffa beffare fosse un’aguzzare le labbra per disprezzo. Baffi potrebbe rannodarsi a questo ceppo? Una volta che rad. baf abbia il signif. primitivo di “bocca, labbro”, non è improbabile il passaggio a designare un oggetto che ad essi sì intimamente si connette. L’ing. baffle forse riproduce fr. beffler. A turing. bâppe bocca il Diez riferisce mil. babbi com. bebb, occit. bebo, labbro. Der.: beffa-rdo-re-tore; beffeggiare, sbeff-are-eggiare.

Bega, briga, litigio (Gori). Risp.: tirol. begar contendere, begarol accattabrighe e parecchie forme dell’Alta Italia. Quindi lo Schneller la riporta ad aat. bâga contesa, alterco. [p. 34 modifica]

Beghina, pinzochera (Novellino, Maestruzzo). Con prov. beguina fr. beguine, riproduce m. ol. beghine, donde ol. begijn, mat. begîne tm. Begine nome dei membri di certe comunità religiose dei Paesi Bassi nel sec. 13º. La sua orig. non è bene accertata fra i germanisti, traendolo altri da ags. beg pregare, altri da beginnen cominci are. Nel bl. accanto a beguina ricorre begardus-i.

Bellicone, grosso bicchiere (Redi). In una nota al suo Bacco in Toscana il Redi scrive: «Bellicone è voce nuova in Toscana, ed è venuta di Germania, dove chiamasi Wilkumb quel bicchiere nel quale si beve all’arrivo degli amici, e significa lo stesso che Benvenuto. Gli Spagnuoli, che anch’essi pigliarono questa voce dai Tedeschi, la dissero in loro lingua Velicomen». Ora io credo che bellicone venisse a noi nel seicento dalla Spagna, e non direttamente dalla Germania, considerato che il v sp. essendo uguale spesso al nostro b, la forma it. è vicinissima a sp. velicomen. Quest’ultimo con afr. wilecome, vilcome vb. welcumier entrato nel sec. 12º, fr. vidrecome, riproduceva mat. willekome-kume, wilkome, wilcom venuto da aat. willicomo-cumo, donde tm. willkommen, ben venuto, ags. wilcume, ing. welcome, ol. welcom. Però il fr. non presenta mai il signif. di “bicchiere”, come fanno esclusivamente lo sp. e l’it., ma è semplicemente forma di saluto, com’era in origine il ted. e come è l’ing. Il tm. invece contiene anche l’idea di “vaso da bere”. Ad ogni modo rispetto all’Italia questo vocabolo è d’importazione moderna.

Benda, striscia o fascia che s’avvolge al capo (Guittone, Dante). Risp.: lomb. binda, sp. venda, prov. benda, afr. bende fascia, vall. baine, nam. bende, annon. béne, pic. benne. Riposa su ger. binda che sviluppò got. [ga]-binda, σύνδεσμος, aat. binta binda, mat. binde, tm. Binde fascia striscia. Il sostantivo ger. s’era formato dal vb. bindan già visto sotto Banda1, che perdura in tm. binden, ing. to bind [p. 35 modifica]legare, fasciare. Mediante ablaut o apofonesi dalla rad. ger. bind si svolsero in quel campo molte altre forme: ad es. tm. Bündel ing. bundle, afr. boundle, ing. bond bend e specialmente aat. band striscia che produsse i rom. banda, bandiera; sicchè queste ultime forme e benda sono rampolli germogliati sullo stesso tronco, salvochè benda è entrato posteriormente cioè co’ Longobardi, mentre il primo gruppo coi Goti. Secondo il Kluge la rad. preger. è bhendh, sans. bandh fermare, incatenare, l. offendimentum, offendix legame, nodo, gr. πείσμα per * πενθσμα legame, πενθερός suocero, san. bandhu parente. Bl. binda ricorrente poco dopo il 1000 vale “striscia, lamina, nodo”, e bl. bindare usato già da Elfrico verso il 980 e poi in Italia verso il 1215 “legare, fasciare, coprire”. Der.: benda-re-tura; bend-ina-uccio.

Berla, cesta (dial. mil.). Dall’aat. biral biril cofano.

Berza, calcagno (B. Latini, Dante). Senza corrispondenti nelle lingue sorelle. Dal tema ger. che diè got. fairzna, aat. fërsana, mat. fêrse, tm. Ferse d’ug. sig., ags. firsn, ol. fersen. Parrebbe riposare direttamente sul mat.; ma un nome di tal genere difficilmente può essere stato importato nel medio-evo avanzato; quindi deve risalire ai Longobardi, benchè non compaja nel bl. La rad. preger. è pers-ná-ni da idg. fersnô-ni riflessosi in gr. πτέρνα calcagno, stinco, l. perna, (donde sp. pierna) e forse l. pernix veloce per persnix.

Bettola, osteria da gente bassa (Varchi, Buonarroti). Il Ferrari e il Muratori proposero t. betteln mendicare, etim. respinta dal Diez perchè del signif. ger. non resta traccia in nessuno dei dial. italiani. Il Caix propone aat. beitôn baitôn riprodotto da lom. baita, tirol. bait baita capanna, friul. baite. L’e della vocale tonica potè provenire da ditt. aat. ei Ma anche questa deriv. non è sicura. Meglio si presterebbe t. bettel inezia, bagatella, se il senso non fosse troppo diverso. [p. 36 modifica]

Bevero bivaro, castoro (Dante). Paralleli: sp. bibaro bevaro, fr. biévre, vall. buivre, valac. breb. Da ger. bibar sdoppiatosi in aat. bibar, bibur, mat. biber, tm. Biber, ags. beofor, ing. beaver, ol. bever, anrd. bifr bior biur, sv. böfver, dan. bäver. Il got. era * bibrus. È nome idg. che a detta del Kluge designava originariamente una “bestia acquatica bruna”; e posseduto da a. sl. bebru, lit. bébrus d’ug. sig., l. fiber. L’a. ind. babhrus valeva “bruno” e “grosso icneumone”. Bhe-bhr-ù-s è forma raddoppiata da rad. bher comparente in t. Bär orso e braun bruno. Come osserva lo stesso Kluge il vocab. ger. assai per tempo in rom. soppiantò il l. fiber che pure aveva la stessa rad. ind.; giacchè le forme neol. non si possono in modo alcuno fare risalire a fiber, e del resto la circostanza dell’essere questa bestia proprio dei paesi del Nord (cfr. Dante Inf. 17), e la gran diffusione del nome nel campo ger. non lasciano alcun dubbio in proposito. Anche corn. befer, gael. beabhar, russ. beber, pruss. vibre paion riflessi dal ger. Bl. biber beber appare in Elfrico † 1006, poi in Jo. de Garland., Bern. Silvester. Curioso che Ditmarus dica baber voce slavonica. Entrò in rom. probabilmente intorno al 1000, e non colle immigrazioni.

Bezzo, sorta di moneta veneziana, denaro (Cecchi, Lippi). Riproduceva mat. batze piccola moneta collo stemma della città di Berna raffigurante l’orso detto in ted. bären e anche batze, betze, tm. Bäts, Pets. Bl. conosce baciones, baceni, bacii che Schilter rimena a Batz.

Biacca, composto bianco per colorire ad olio (Cresc., Boccaccio). Viene riportato a rad. ger. che produsse aat. bleih, mat. tm. bleich pallido, ags. blác bláece, ing. black. Tm. Bleiche vale “arte d’imbiancare”.

Biacco, piccol serpente di color bianco-livido (Berni, Targioni-Tozzetti). Pare venuto da ceppo ger. di aat. blach bt. ol. ing. black nero. Tm. Blackfisch = seppia, pepe nero, Blackhorn vaso dell’inchiostro. [p. 37 modifica]

Bianco, color della neve (Jacopo da Todi, G. Guinicelli, Dante). Con fr. prov. blanc, sp. blanco, port. branco d’ug. sig. risale a ger. blank donde aat. blanc, blanch, mat. blanc tm. blank bianco, scintillante, rilucente, bianco niveo, ing. blank, da vb. blinken splendere, scintillare. L’ags. blanca, blonca, anrd. blakkr valevano “cavallo bianco” e anrd. blakra “risplendere”. Secondo il Kluge la rad. ger. è blek, a cui si rannodano mediante apofonesi Blek, blecken, bleich, bleicken, blick, blincken, Blitz; e proviene da idg. bhleg bhlog riflesso in gr. φλέγ-ω φλόξ, l. fulgur, fulmen per fulgmen. Il Mackel ascrive questa parola fra quelle del suo primo gruppo: sarebbe quindi d’imprestito antichissimo. Però è notevole che nel bl. dove soppiantò quasi dappertutto il l. albus, blanchus compaia piuttosto tardi, cioè verso il 1200, mentre nell’afr. è documentata sin dal sec. 11º. Der.: bianca-gno-re-stro-stronaccio-strone, bianche-ggiamento-ggiare-ria-tto-zza, bianchi-ccio-mento-re-to, bianci-ardo-cante-care, bianco-lino-ne-re-so, biancu-ccio-me; imbianc-are-hire.

Biavo biado, di color turchino chiaro (Boiardo, 2, 37; dial. ven.). Risp.: a. sp. blavo, prov. blau, afr. prov. blou bloi, fr. bleu d’ug. sig. Procedette da ger. blaw svoltosi in aat. blao [fless. blawer], mat. blâ, tm. blau ceruleo, livido, biondiccio, verd’azzurro, turchino. Forme ger. parallele: ags. bläv, blaeven donde a. ing. blew, bleu, blue, scozz. blâ, afris. blaw, fris. blauw, bla, blo; bt. bla, blag, blaog, ol. blaauv, anrd. blor, sv. bla, dan. bloa. A ger. primitivo * blawo risponde l. flavus, che però come altri nomi di colore, ha cangiato signif. rispetto al vocab. ger., giacchè vale “biondo-giallo”.

Bica, mucchio di covoni (Dante, Sacchetti). Riposa su aat. bigâ piga, mat. bige, mucchio di cose sovrapposte, e specie di grano, dial. alto ted. beige beigen beig. Schade 61. Entrò forse coi Longobardi. Der.: abbicarsi. [p. 38 modifica]

Bicchiere, vaso da bere (Guittone, Boccaccio). Risp.: lad. bicher, valac. pëhar prov. afr. pichier sp. port. pichel d’ug. sig. L’it. e il lad. procedono senza dubbio da bl. bicarium, come le forme col p (fra le quali c’è anche it. pecchero; v. q. p.) procedono da bl. picherium peccareum. Questo bl. bicarium alcuni lo voglion fare derivare da l. baccar vaso da vino, mentovato da Festo, ovvero da gr. βίχος vaso di terra. Ora lasciando anche stare le difficoltà fonetiche che s’incontrerebbero a cavare un bl. bicarium sia da baccar sia da βίχος, basta osservare la circostanza dei luoghi ove compare dapprima bl. bicarium per capire quale sia la sua origine. Bicarium ricorre prima di tutto in Arnoldo di Lubecca, Corrado di Magonza e Ditmaro, tutti scrittori tedeschi; come tedeschi sono Baldrico, Reimerus e Dietrico di Metz che usano i primi nei sec. 11º e 12º le forme col p. Ciò vuol dire necessamente che bicarium e forme parallele riproducono nè più nè meno che as. biker, mat. bëchaere, bëcher, anrd. bikar, come le forme col p riflettono aat. pëchari, pëchare, mat. pëcher d’ug. sig. Si può poi fare quistione se aat. pëchare as. bicher ing. beaker siano indigeni ger. come sostiene Faulmann ovvero derivati da l. baccar come vorrebbe Kluge. Ma questo esorbita dal nostro compito, bastandoci assodare che bicchiere immediatamente proviene dal ger. V. Pecchero. Der.: bicchier-ata-ino-one.

Bidello, chi serve ad università od accademie (Caro, Fioretti). Con sp. prov. afr. bedel, fr. bedeau messo di giustizia, immediatamente riproduce bl. bedellus pidellus pedellus, che sin dal 1350 vale già anche “servente d’università” [bedelli universitatum]. Questo bl. riposava su aat. bitil petil pittil, mat. bitel messo di giustizia, birro. Mat. bédelle pedélle pedell, tm. Pedell bidello, sono anch’essi riflessi del bl. e non dell’aat. petil, il quale aveva per forme secondarie butil putil, mat. bütel donde tm. Büttel donzello, messo, birro. L’ags. era bydel messo, [p. 39 modifica]da cui ing. beadle birro bidello; ma l’ing. oltrechè su l’ags. si è foggiato, specie pel senso di “bidello”, anche sul rom. L’orig. prima del gruppo ger. secondo Kluge è da cercare in vb. aat. biotan, tm. bieten porgere, esibire, annunciare. Bl. bedellus era usato già nel sec. 12º nel suo senso originario di “messo di giustizia”. Ad ogni modo questo vocabolo entrò dal ger. in rom. piuttosto tardi; e in Italia pare venuto immediatamente dalla Francia verso il sec. 12º-13º; dove afr. s’era svolto da abfr. bidal.

Biffa, pertica degli agrimensori (Magalotti). Riposa su bl. biffa la cui orig. da longob. wiffa, da aat. wifan tessere, innaspare, v. sotto Guiffa. Der.: biffare.

Biglia, palla d’avorio (neolog. del sec. scorso). Riproduce fr. bille che con prov. bilha sp. bilia è dal Diez riportato a mat. bikel ol. bikkel aliosso. Il Mackel parte da un aat. * bikill palla mazza. Bl. billa ricorre in Francia sin dal 1350. Il Littrè e lo Scheler dubitano dell’orig. ger. di fr. bille, che però è sostenuta anche dal Faulmann. Der.: bigliardo.

Bigotto, bacchettone (Redi). Riflette fr. bigot riposante su bl. bigothi epiteto spregiativo dato ai Normanni sin dal sec. 10º, e che forse risale alla frase ted. bi Gott per Dio, usata da essi o dal duca Rollone. Ma su questo vocab. regna ancora dall’incertezza.

Binda1, fettuccia. È presupposto dal dimin. bindella (Gover. della Fam.). Il bl. offre bindae fascia in Reg. S. Franc. Risale a base stessa di benda, cioè aat. binda.

Binda2, striscia di tela sulla vela (neolog. marin.). Riflette senza dubbio tm. Binde, ovvero un suo corrispondente bt. dei paesi marittimi del nord.

Binda3, strumento da sollevar pesi (neolog.). È il primitivo di bindolo (v. q. p.). Quindi ha per base il ceppo di tm. Winde.

Bindolo, strumento per vari usi, aspo, arcolajo; aggiratore, imbroglione (Buonarroti, Segneri). Con sp. [p. 40 modifica]guindola, fr. guinde, trent. binda riposa su ger. aat. winta, winda donde mat. winde, tm. Winde, Windel verricello, mezzo per far girare da vb. aat. wintan, mat. tm. winden, ing. to wind girare, torcere. Questa voce ignota al bl., compare nello scritto solo nel cinquecento. Forse vegetava nei dialetti dell’Alta Italia ov’era entrata coi Longobardi. Altra forma assunta dal nome ger. è Guindolo coi sensi però non tutti eguali. Dal moto che con esso si dà a checchessia, bindolo prese anche il senso di “aggiratore, imbroglione”. La rad. wind non ha corrispondenti fuori del campo ger.; ma dentro di esso, mediante differenziazioni apofonetiche, diè luogo a numerose forme verbali, tali, per es. wenden wandeln wandern. Der.: bindo-la-lare-lata-leria-lesca-mente-lesco-lone. Abbindola-re-tura. V. Guindolo.

Biondo, giallo-bianco (Dante, Villani). Con fr. blond, sp. blondo, ing. blond blont, tm. blond, immediatamente riposa su bl. blundus ricorrente già in Jo. de Genua, Michele Scoto, in una carta di Spelmann relativa a Gugl. il Rosso d’Inghilterra (1100) detto ivi Blundus ecc. Questo bl. blundus secondo alcuni risalirebbe ad ags. blonden misto, epiteto dato ai capelli. Benchè ideologicamente questa etim. non paja soddisfacente al Diez, noi col Kluge e col Faulmann riteniamo che si debba partire da un ger. * blundo da preger. bhlndho, affine a sans. bradh-na rossiccio. Da una parte, dice il Kluge, questo era un colore di capelli proprio singolarmente dei popoli nordici, dall’altra il ger. diè alle lingue neol. parecchi altri nomi di colori (bianco, biavo, blu, bruno, grigio). Il Diez cavato afr. bloi da anrd. blaut, aat. blôdi mat. tm. bloede “tenero, dolce, mite”, ne fa venire per nasalizzatone afr. blond, donde bl. blundus. Un tal termine sarebbe stato appropriato ai biondi per la generale mitezza del loro carattere. Ma l’esistenza di ags. blonden applicato ai capelli porta a dare la preferenza alla prima delle ipotesi. Der.: bionde-ggiare-llo-zza. [p. 41 modifica]

Biotto, meschino, miserabile, brullo (Pataffio). Rispond.: lomb. blot biot meschino semplice, lad. blutt nudo, ven. bioto puro semplice, prov. afr. blos spoglio, prov. blous puro, moden. bioss nudo. Riposa su terra ger. blauto che si svolse in aat. blôz mat. blôz tm. bloss nudo spoglio, colle forme secondarie m. bt. m. ol. bloot nudo, ags. bléat povero, meschino, m. ing. bléte nudo, anrd. blautr debole, fresco, tenero, bas. ren. bloid, nudo. Inoltre le forme dial. dell’at. e bt. blutt, sv. blott spennato, non coperto vb. blutten, donde forse il bl. blutare vuotare delle Leg. Long. Liut. 35. L’anrd. presenta una divergenza nel signif., e maggiore l’offre, benchè spiegabile, l’aat. blôz che vale “superbo”. Nella lingua antica ricorre la frase «a biotto» che la Crusca spiega per “alla peggio”. Forse sarebbe meglio tradurla “alla semplice, alla buona”. Nella montagna moden. s’usa la frase «mangiare a bioscio» per “mangiare senza condimento”, dove credo che bioscio sia lo stesso che biotto.

Birra, sorta di bevanda che si fa di biade (Lippi, Malm. † 1642). Paralleli: venez. bira, fr. biére, valac. beare. L’it. riproduce verso la fine del sec. 16º o il principio del 17º tm. Bier; il fr. invece [sec. 15º] il mat. bier venuto da aat. pior, pëor, pier cui rispondono ags. beor, ing. beer, anrd. biorr. Anche gael. beôir e brett. biorch paion estratti dal ted. Il Diez non credeva che questo fosse vocab. radicalmente ger. e il Vossio lo credette originato da l. bibere bevanda; ma è poco verosimile che i Germani per designare una bevanda indigena dei loro paesi togliessero a prestito dai Romani una voce di signif. generalissimo. Quindi il Kluge e il Faulmann ritengono che qui si tratti di parola schiettamente ger., e il Kluge crede che ger. occid. beor sia connesso con brauen fare la birra da rad. breu fermentare: svoltosi da idg. bhra, bhreic che appare in frigio-tracio βρύτον vino di frutta, e l. defrutum mosto cotto: da * preor per dissimilazione peor. [p. 42 modifica]Altri riportano aat. bior a got. * bius da rad. idg. rappresentata in sans. da piv pip = pa, gr. πί-νω, l. i: ed infine si è ravvicinato la parola in discorso ad ags. béo, anrd. bygg orzo, ma la forma è troppo diversa. Anche ing. bowse, m. ing. bousen, svizz. bouse bere, è troppo difforme. Der.: birr-aio-aiuolo-eria.

Bischenca, scherzo cattivo (Varchi). Il suono di q. parola, non studiata finquì da nessuno, conduce a trarla dal ger. come parecchie altre di senso affine, ad es. beffa celia scherno scherzo. Colà troviamo schencken donare mescere vendere, da cui col prefisso peggiorativo bis s’avrebbe il senso di “cattivo dono”. Anche aat. skinko canna, o meglio mat. schinke tm. Schinken gamba, potè prendere il senso di “cattiva burla”, analogamente a gamba che diè gambetto scherzo di cattivo genere.

Bislenco, storto malfatto (Brunetto Lat.). Entra qui aat. slinc sinistro (riprodotto anche da vall. hlinche d’ug. sig., afr. esclenque esclenche mano sinistra), con prefisso rom. bis. Di là mat. linc lenc tm. link. Bislenco per metatesi produsse sbilenco e con aferesi bilenco.

Bismuto, nome d’un metallo (Bossi Diz. Tecn. 1817). Con fr. bismuth, sp. bismuto, ing. bismuth riproduce tm. Bismuth Wismuth, voce invalsa in Germania nel sec. 16º colle forme Wismat di Mathesius e bl. bisemutum d’Agricola. Nell’Erzgebirge dove si scoprirono le prime miniere di q. metallo nel 1472, è chiamato Wiesmat da Wiesenmatte “stuoia de’ prati”: forse il metallo fu assomigliato ai fiori del prato pei suoi molteplici colori. Ma sembra interpretazione più giusta il credere che debba il nome alle antiche miniere di S. Giorgio presso Schneeberg, dette in der Wiesen cioè “nel prato”. Vb. muten essendo vocab. dei minatori che vale “cercare per scoprire una miniera”, Wiesmut significherebbe “indagare la miniera del prato”. Così il Kluge p. 409. [p. 43 modifica]

Bisogno-a, mancanza di cosa non assolutamente necessaria, affare negozio (Dante, Boccaccio). Risp. a. it. besogno, afr. besogne fr. besoin, prov. besonh besonha, lad. basengs necessità stento. Questo ceppo rom., che direttamente procede forse dall’afr., é composto di bl. sonia sunnia, voce ger. [aat. sunnia] riprodotta in fr. soin it. sogna cura pensiero, e di be intensivo. Quindi s’avrebbe ger. * besunia. Accanto a q. etim. il Diez propose aat. bisiunigi donde * bisiuni scrupolo. Ma la prima è molto più verosimile: v. Sogna. Der.: bisogn-are-evole-oso. Abbisognare.

Bisonte, bue selvatico del Nord (Pulci, Morg.). Con sp. bisonte, fr. prov. ing bison direttamente riposa su l. bison usato già da Plinio lib. 8, 15 parlando d’un bue della Germania, poi da Seneca Marziale e Solino. Anche gr. βίσων riflette il nome lat. Ma quest’ultimo, come osserva lo Schade che parla dell’animale e del vocabolo per ben 13 pagg. [1173-1186], rifletteva un nome ger. che sdoppiossi in aat. wisunt wisant, mat. wisent, tm. Wisunt, ags. weosunt, forme che passarono anche in parecchi nomi proprii, Förstemann 1, 1331. Il valore etim. del vocab. ger. è molto dibattuto dai filologi. V. Schade 1173.

Bitta, palo, pezzo di legno (neolog.). Credo che riproduca fr. bitte che con sp. bitas riposa su anrd. biti trave traversa, ing. bitt pezzo di legno. Bl. Bitus compare già nella Gloss. d’Erfurth al sec. 8º. La rad. pare idg. bhid dividere.

Bivacco, accampamento a ciel sereno (neolog. di q. secolo). Con sp. vivac vivaque riproduce fr. bivac vivouac sentinella, usato già da Corneille e Pelisson, e riposante a sua volta o su m. ol. biwacke [tm. Beivache] guardia accessoria o di riserva da bei presso e wachen vegliare, ovvero su svizz. biwacht pattuglia. Pel senso è preferibile la prima derivazione, giacchè il fr. vale appunto “sentinella”; ma non è improbabile che fosse importato in [p. 44 modifica]Francia dagli Svizzeri al soldo dei re francesi, come in parecchi altri casi. Anche tm. Bivouack e ing. bivouk sono riflessi del fr. alla fine del sec. 17º. Der.: bivacca-mento-re.

Blasone, arma gentilizia, scienza araldica (Borghini † 1580). Immediatamente riproduce fr. blason d’ug. sig. Questo senso però anche nel fr. s’era svolto piuttosto tardi; e afr. blezon blason [sin dal sec. 12.º] con prov. blezô blizô, sp. blason port. brâsao valeva dapprima “scudo, scudo adorno, stemma, arme dipinta nello scudo, lode o biasimo”. Febrer di Valencia alla fine del sec. 13º usa blasó in senso di “stemma, splendore, gloria”; il quale ultimo signif. è ancora annesso allo sp. Un tal ceppo rom. è indubbiamente d’origine ger.; ma può ammettere una doppia derivazione. Alcuni col Diez lo riportano ad ags. blase ing. blaze fiaccola ardente, vampa, mat. blas candela splendore, vb. ags. blysan ardere. Da questo senso si sarebbe passato a quello di “splendore”, come designazione dei colori bianchi e turchini degli scudi o stemmi; indi a quello di “magnificenza o gloria” delle persone il cui stemma era adorno di quei colori o fregi. S’avrebbe adunque la progressione ideologica: fiaccola accesa-lustro-scudo adorno di fregi riflettenti gli alti fatti d’un gentiluomo; e una tale etim. sarebbe confortata dal signif. dei vb. fr. blasonner ing. blazon it. blasonare dipingere armi. Ma è anche possibile l’origine da vb. aat. blasen mat. blasen soffiare gonfiare, che avrebbe assunto il signif. di “pubblicare vantare” che vediamo nell’ing. to blase ol. blazen, pel costume degli araldi, che esaminato lo scudo del cavaliere che si presentava per entrare in lizza e trovatolo meritevole tessevano le lodi dell’individuo e lo proclamavano a suon di corno, e ciò darebbe anche ragione del senso di sp. blasonnar vantare, blasonador millantatore. Quindi «armi blasonate» varrebbe “armi proclamate degne dal banditore”: dal che si spiega altresì come da araldo siasi svolto il nome araldica in senso analogo anzi uguale a blasone. [p. 45 modifica]Perciò blasone era “manifestazione e vanto dei meriti” di chi possedeva armi o stemmi illustri; e questi stemmi erano la ragione per cui un uomo era blasonato ossia proclamato. Ma qualunque fosse la ragione per cui il nome fu dato alla casa, qualunque il modo della evoluzione dei sensi, è certo che la parola nell’un caso e nell’altro risale a rad. preg. bla indeu. bhla, cui risponde l. fla-re soffiare; rad. che dal senso primario di “gonfiamento” nel campo ger. con l’ampliamento di s, assunse anche quello di “splendore”. La seconda etim. è preferita dallo Scheler; il Mackel invece s’attiene alla prima. Il nome è sconosciuto al bl. Der.: blason-are-ico-ista.

Blenda, solfuro di zinco (neolog. di q. secolo). Con sp. blenda fr. ing. blende riproduce tm. Blende d’ug. sig., formatosi da vb. blenden accecare, abbagliare, aat. blanten, ags. blendian. ing. to blind. Il solfuro di zinco ebbe questo nome dalla sua proprietà di abbagliare. V. Blindare.

Blindare, coprire (neolog. di q. secolo). Riposa su fr. blinder d’ug. sig. che compare nel sec. 17º, e derivava, osserva il Mackel, non da got. blindian come vogliono il Neumann e il Waltemath, perchè questo avrebbe dato blindir, bensì da tm. blenden venuto da aat. blendan. Il vb. ger. dal signif. di “acciecare” " passò a quello di “rendere invisibile, coprire”, ossia da quello del fine a quello del mezzo. V. Blinde.

Blinde, piastre di metallo per coprire case e ripararle da projettili (neolog. di q. sec.). Rappresenta senza dubbio fr. blindes d’ug. sig., da cui anche sp. blindes blindajes, e ing. blinds. Fr. blindes potè svolgersi da vb. blinder od anche riprodurre tm. Blinde.

Bloccare, assediare alla larga (Montecuccoli). Con sp. bloquear riproduce immediatamente fr. bloquer d’ug. sig.. vb. formatosi tardi da nome blocus e non da bloc. Questo fr. blocus plocus ricorrente già al principio del sec. 16º rifletteva, secondo Scheler ed altri, mat. blochhaus fortini [p. 46 modifica][propriamente “casa di tronchi”]. Tali fortini, dice il Littré, servendo a togliere le comunicazioni d’una piazza assediata, blochhaus e deriv. fr. blocus presero il senso di assedio in cui s’impedisce l’ingresso d’ogni cosa nella piazza. A me sembra però che nel mat. comparendo un vb. blocken ploken mettere in bloch, il fr. bloquer potrebbe anche riflettere quel vb. senza l’intermezzo di blochhaus. Sulla composizione di q. nome e di fr. blocus v. Blocco2. Der.: blocco1.

Blocco1, assedio alla larga (neolog. di q. sec). Deriva con sp. bloquer da vb. bloccare, e corrisponde a fr. blocus. Il nome ebbe gran voga dopochè Napoleone dichiarò il blocco continentale contro l’Inghilterra.

Blocco2, pezzo di legno o di marmo (neolog. di q. sec). Riposa su fr. bloc d’ug. sig. Afr. bloc, ricorrente sin dal sec. 13º, con borg. blô riposava su mat. bloch, o meglio m. bt. blok tronco, masso, ceppo, serratura, congegno che chiude; donde tm. Block ing. block ceppo, masso. Mat. block proveniva da aat. biloh rinchiudente anch’esso i due sensi fondamentali del mat. cioè “ceppo” e “serratura”. Qui, dice il Kluge, s’hanno due radici diverse, che per successive evoluzioni si sono fuse in una forma unica. Pel primo senso da rad. balch(o) trave si ebbe per metatesi bloch poi bloh, donde mat. bloch. Pel secondo il Grimm parte da biloch composto di bi e luckan chiudere [ing. belock = chiudere a chiave] da cui per sincope mat. bloch confusosi quindi coll’altro bloch. Però il tm. Block, fr. bloc e it. conservano solo il primo dei due sensi. Dal senso di “masso, massa” spiegasi la frase «in blocco».

Blu, azzurro turchino (neolog. di q. sec). Riproduce fr. bleu d’ug. sig. che abbiamo visto con biavo riposare su ger. blaw. Quindi blu viene ad essere un doppione di biavo.

Boccia, fiore non ancora aperto, palla di legno, vaso corpacciuto (Crescenzi; Ric. Fior.). Risp.: prov. bossa, fr. bosse, pic. boche d’ug. sig., sp. bocha palla. È doppione [p. 47 modifica]di bozza, dovuto all’uso toscano che riproduce col doppio c la doppio z lombarda. Risale a mat. bûze butze [aat. bûzo] “cosa ammaccata o gonfia”, da vb. bôzen urtare ammaccare. Il bl. bocia baucia ricorre dopo il 1200 e quindi più che altro è ricalcato sulle voci rom. V. Bozza. Der.: bocc-etta-iuolo.

Bolzone bolcione, strumento mil. da rompere muraglie, sorta di freccia (Guittone, Villani). Paralleli; afr. a. sp. bouzon bozon, prov. bosso. Risale ad aat. bolz donde mat. bolz tm. Bolz Bolzen d’ug. sig.; anrd. bolte, ing. bolt. Ol. bout vale solo “chiodo, brocco di rampone”. Tema preger. era bhldós. Trarlo col Diez da l. bulla con suffisso cio mi pare assurdo per senso e per forma; e il bl. bultio che egli dice trovarsi in glosse tedesche antiche, sembra piuttosto riflesso di ags. bolt; e neppure è ammissibile una derivazione da bl. * bulta accorciamento di l. catapulta, che ad ogni modo non inchiuderebbe ambedue i sensi del vocabolo in quistione, sensi che sono invece presentati dal ger. Che aat. bolz provenisse poi da l. catapulta è escluso dallo Schade e dal Faulmann, che il cavano da vb. bolôn scagliare rotolare. Bl. bolzonus-um ricorre spesso in Italia e in Francia dopo il 1300; quindi è riproduzione delle rispettive voci romanze. Entrò probabilmente poco dopo il 1000. Der.: bolzona-re-ta-to.

Bompresso, albero sporgente obbliquamente dalla prora (B. Crescenzio, Naut. Med. 1607, Dudley Arc. del mare 1630). Riproduceva direttamente sp. bauprès che con fr. beaupré riposava su ol. boegspriet, tm. Bugspriet, m. ing. bowspriet ing. bowsprit il quale termine ger. etimologicamente vale “asse curva”, risultando da bug = curvo, e da spriet forma ol. di t. Brett tavola.

Bordello, postribolo, chiasso (Novellino, Dante). Risp.: fr. prov. bordel sp. bûrdel d’ug. sig., ma originariamente “capannuccia”. Afr. bordele vale “cattiva capanna”. Da fr. bordel originarono ing. bordel brothel, ol. bordeel, tm. [p. 48 modifica]dell. Probabilmente anche l’it. è riproduzione della voce francese, giacchè il primitivo borda in it. non ricorre, laddove l’afr. ci presenta borde baracca, e prov. e cat. borda. Mi persuade di ciò anche il fatto che bl. borda tugurio, e bordellum capanna non s’incontrano mai in Italia, ma sempre in Francia e Inghilterra nei sec. 11º e 12º; inoltre tutto mostra che l’as. e abfr. è stato il dialetto ger. donde procedette immediatamente q. vocabolo; quindi passò a traverso la Francia, ed entrò fra noi nei primi secoli dopo il 1000. Il ceppo rom. borda aveva adunque per base ger. bord tavola che sdoppiossi in got. baúrd, anrd. as. ags. bord, aat. bort mat. bord. Paion d’estrazione ger. anche ir. gael. bôrd, cimb. bwrdh d’ug. sig. Nel passaggio dal campo ger. al neol. il senso di “tavola” si cangiò in quello di “lavoro fatto di tavole”; poi il dimin. svoltosi nel rom. assunse quello di “catapecchia per donne di mala vita”; infine quello di “chiasso schiamazzo”, quale suole farsi in simili luoghi. Circa altre quistioni sul valore del vocab. ger. v. Bordo1 e Bordo2. Der.: bordell-are-eria-iere; bordellare.

Bordo1, fianco del bastimento, bastimento; orlo margine (Sassetti † 1588). Immediatamente da sp. bordo, giacchè fu cominciato ad usare dal Sassetti introduttore di non poche voci spagnuole. Ora a. sp. port. borda sp. bordo-e orlo del ponte della nave, con afr. fr. bord d’ug. sig. [sin dal sec. 13º], valac. boarte corona, proveniva da ags. bord tavola orlo di nave, donde ing. board. Anche tm. Bord procede del ramo bt. È dunque un vocab. ger. entrato in Francia mediante i popoli basso-tedeschi intorno al 1000 e non colla invasione dei Franchi. La Francia lo trasmise alla Spagna e di là passò in Italia. È lo stesso che s’è visto sotto Bordello, cioè got. baúrd tavola, aat. mat. bort orlo, orlo di nave, anrd. bordh orlo tavola scudo, ol. board. Lo Scheler crede che il signif. di “membro della nave” siasi svolto da quello di “tavola”, e non da quello di “orlo”, e che quest’ultimo abbia avuto origine dall’essere [p. 49 modifica]gli orli o fianchi delle navi fatti di tavole. All’incontro il Kluge ritiene che ags. bord ing. board presenti due signif. fondamentali irreducibili nonostante i tentativi fatti per dedurre l’uno dall’altro. Il primo è quello di “tavola asse”; l’altro quello di “orlo margine”. Quindi si tratterebbe di due radici diverse venute a coincidere foneticamente ed a confondere i significati. Der.: abborda-ggio-re.

Bordo2 bordato, specie di tela così detta perchè variegata (Quad. Cont.; Buonarroti Fiera). La tarda comparsa di q. nome mi fa credere ad origine dal fr. border orlare rigare, vb. svoltosi dallo stesso ceppo ger. visto sotto Bordo1 e da uno dei suoi significati secondarii. Der.: borda-re-tura.

Borgo, accolta di case senza recinto di mura; accrescimento di case fuori le mura (Dante Villani). Risp.: afr. [sec. 11.º] burc borc burt, fr. bourg donde gael. borg, borgog. bor, prov. borc, sp. port. burgo villaggio casale. Base immediata bl. burgus riproducente direttamente ger. burg che produsse got. baúrgs, aat. burg burug, mat. burc tm. Burg, ags. burh byrig ing. borugh bury burrow, anrd. borg. Le forme ger. nei tempi storici della lingua valevano “luogo munito, città”. Ma questo senso alquanto diverso non deve far caso; perchè il ger. primitivo (che fu quello appunto che penetrò nel bl. e quindi nel rom.) significava propriamente “riunione di case”, sicchè Orosio VII 32 il traduce per «abitacula». Difatti i Germani antichi non avevan che poche città e quelle aperte; e solo nel sec. 10º la Germania vide terre munite, quando Enrico I 919-936 fortificò contro agli Ungheri e agli Slavi quelle esistenti ai confini e ne costruì di nuove. Solo allora burg acquistò il senso di “luogo forte, città” ". Il fatto che Ulfila nel sec. 4.º volge gr. πόλις con got. baúrgs non fa difficoltà neppure esso; poichè da un tale traduttore non può esigersi un’esattezza matematica, che qui era [p. 50 modifica]forse impossibile con due popoli per lingua e costumi tanto differenti, e bastava che il vocabolo ger. fosse reso con quella parola got. che più per senso gli si approssimava. Alcuni hanno tentato di trarre bl. burgus da gr. πύργος torre fortezza. Foneticamente una tale trasformazione sarebbe possibile partendo da un gr. βύργος, che per altro non è documentato. Ma le circostanze storiche, di cui s’ha pure a tenere conto anche in questa materia, sono recisamente contrarie a tale derivazione. Primieramente gr. πύργος è più che altro voce poetica usata massime da Omero o dai tragici in senso di “torre” " ovvero di “fortezza morale” (Αίας πύργος Αχαιών Aiace fortezza degli Achei), e quando è adoperata da qualche prosatore, come Erodoto e Senofonte, ha il signif. di “parte superiore della casa, squadrone schiera”, ma non quello di bl. burgus e molto meno di it. borgo. E del resto è affatto inverosimile che il linguaggio militare dei Romani nel sec. 4.º togliesse in prestito dai Greci un termine antico e quasi poetico, laddove era ovvio, per le ragioni che si diranno, che il togliesse da Germani. Difatti bl. burgus appare la prima volta in Vegezio che De re mil. 4, 10 ha la frase «castellum parvulum quam burgum vocant». Egli scriveva intorno al 385, poichè dedica il suo libro a Valentiniano II, 375-390, e parla delle guerre di Teodosio il Grande. A quel tempo non erano, è vero, ancora seguite le invasioni barbariche, e quindi non era peranco incominciata la introduzione degli elementi ger. nel latino. Ma i Barbari avevan però fatto frequenti incursioni e invasioni parziali, massime i Franchi, gli Alemanni, i Marcomanni, i Goti; i quali ultimi s’erano stanziati nella penisola dei Balcani. Ma anche senza di questo, e prescindendo dalle numerose relazioni che Romani e Germani doveano avere insieme, le legioni romane poste a presidiare i confini, erano in contatto immediato e continuo coi Barbari: quindi era facile che qualche parola di costoro entrasse nel linguaggio militare lat. Ora [p. 51 modifica]burgus era precisamente uno di questi vocaboli. Difatti se burgus fosse stata voce comune o introdotta da un pezzo (come avrebbe dovuto essere se fosse derivata dal gr.), che bisogno aveva Vegezio di aggiungere la frase «quem burgum vocant»? Questa espressione significa che burgus era parola poco nota, perchè usata solo dai legionari. Questa mia interpretazione è confermata dal trovare in appresso la stessa formola usata da altri scrittori a proposito di parole venute certamente dal ger., per es. da P. Diacono per bandum, e da Raterio di Verona per sparones (sproni). In sostanza si trattava di vocaboli poco noti, perchè introdotti di recente, e quindi occorreva una spiegazione od almeno un raffronto col termine comune della lingua scritta. Ma un argomento decisivo per l’orig. ger. di bl. burgus l’abbiamo in Orosio che verso il 430 scriveva che i Burgundioni ebbero quel nome perchè «crebra per limitem abitacula constituta burgos vocant». Il medesimo è ripetuto nella vita di S. Farone di Meaux a proposito dei Germani. Ora giusta o no che sia l’origine che Orosio assegna al nome Burgundiones, a noi basta rilevare che qui è chiaramente detto che burgus è vocab. ger., e che i popoli ger. di questi burgi ne avevan costruiti molti sui confini. Ed ecco accennata la ragione per cui ger. burg era entrato nel bl. anche prima delle invasioni barbariche. S’aggiunga l’immensa diffusione di ger. burg in tutto il nord, il centro e l’ovest d’Europa, mentre è appena credibile che avesse potuto dilatarsi tanto se avesse avuto origine gr. lat. Ed un’ultima prova l’abbiamo nel suono gutturale conservato da quasi tutti i deriv. come it. borghese borghigiano, afr. borgois, prov. borgues, port. burguez; indurimento che sarebbe inesplicabile nell’ipotesi dell’orig. gr. E ciò è tanto vero che i sostenitori dell’etim. gr. concedono poi che il ger. abbia influito sulla formazione dei derivati. È dunque storicamente certa l’orig. ger. del gruppo rom. in discorso, ed è assurdo pensare a gr. πύργος. Ger. [p. 52 modifica]burg con bërg spetta a rad. di vb. bërgan coprire idg. bhergh fortificare. Il Kluge ravvicina qui arm. burgn, arab. burg, gr. πύργος πέργαμος, irl. bri brig. Der.: borg-ata-atella-hese-hesia-hetto-higiano-uccio; imborgare.

Borgomastro, primo magistrato d’una città in Germania, Svizzera e Olanda: pressappoco il nostro sindaco (Machiavelli, sec. 16.º). Rispondono: fr. bourgmestre (sin dal sec. 15.º), sp. burgomastro, ing. burgomaster. Riposa direttamente su tm. Bürgermeister, composto formatosi in Germania nel medio-evo avanzato da bürger cittadino, e da meister aat. meister maestro capo, riproducente l. magister. È voce tecnica usata solo dagli scrittori di storia o da chi parla di usi e costumi di città tedesche.

Boria, alterigia jattanza (Sacchetti, Morelli). Senza corrispondenti nelle lingue sorelle. Il Diez dopo accennato ad aat. burjan donde mat. buren bürn sollevarsi, anrd. byria, ol. beuren, trapassato nel composto del tm. empören d’ug. sig., finisce col preferire l. borea vento di settentrione, ovvero l. vaporeus vaporoso. Ora prescindendo anche dalle difficoltà logiche e morfologiche che rendono intrinsecamente difficilissima, per non dire impossibile, quest’ultima derivazione; basta osservare che il mat. ci presenta dalla rad. di vb. ger. burjan, il nome bôr che significa non solo “sollevazione” in senso materiale, ma ben anche in quello morale di “alterigia arroganza”, perfettamente uguale a quello dell’it. Se a questo s’aggiunga che il nome in quistione compare piuttosto tardi, e precisamente in epoca contemporanea al mat., non mi pare ci debba esser più dubbio sull’orig. di esso non solo dal ger., ma appunto dal mat. Deriv.: bori-are-ata-osità-oso-osuzzo-uzza.

Borino bolino bulino, ferrolino con cui s’incide o s’intaglia (Vasari, Cellini). Immediatamente pare procedere da fr. burin ricorrente sin dal sec. 12º, il quale fr. con a. sp. boril, sp. port. buril d’ug. sig. s’era svolto da aat. bora pora dal quale vennero tm. Bohrer trapano [p. 53 modifica]succhiello, ing. bore succhiello buco ferita. Il nome ger. s’era formato da vb. aat. borôn donde mat. born tm. bohren ol. boren sv. bora dan. bóre forare, cui rannodansi ags. borian, ing. to bore got. * bauron d’ug. sig. Il protoger. borôn spetta alla rad. indeu. bhar lavorare con istrumento aguzzo, da cui dipendono anche gr. φαράω sollevar coll’aratro, l. forare. Nel sans. c’è il derivato bhurii forbici, e nell’ iran. berr da bherri tosare. Un tal nome ger. sconosciuto al bl. entrò nel territorio neol. piuttosto tardi pel tramite della Francia.

Borzacchino, sorta di calzaretto (Varchi, Franzesi). Immediatamente venne forse da sp. borcequi d’ug. sig., che con fr. brodequin (sec. 15.º) sorta di cuojo, calzaretto, ing. buskin, riproduceva m. ol. brosekin. Importantissimo sarebbe per fissare l’epoca della introduzione in it. e la provenienza immediata, il determinare a che età spetti il bl. borgechinus degli Stat. Saluzz. Il tm. dal bt. ha cavato la forma Bröschen “animella di vitello”. È chiaro adunque, anche pel signif. mostroci dall’afr., che il senso originario del vocab. oland. era quello di “cuojo” e precisamente di “cuojo ottenuto con animella di vitello”. Per metonimia furon poi chiamati così certi calzari fatti di quella parte dell’animale che è molto morbida e spugnosa. L’ol. a sua volta è dimin di un * broos cui risponde dan. brusicke, ing. briscket fr. brehet petto dell’animale. L’importazione di questo nome nel campo rom. non deve risalire più indietro del sec. 14.º o 15.º

Bosco, terreno piantato d’alberi selvatici, legna (Dante). Paralleli: prov. bosc boisc, sp. port. bosque, afr. buische busche [dial. buisse], fr. bois bosquet bocage bouquet, accanto a cui fr. buche, annon. boisse coi vb. enbuschier e pic. enbuskier, ed enbussier. Col Mackel traggo questo nome e gruppo da ger. bosk donde aat. bosc busc, mat. bosch bosche busch, tm. Busch Buschel, ol. bosch bos, bt. bosch büssel, ing. busk bush cespuglio arbusto legna foresta. La [p. 54 modifica]rispondenza della forma e del concetto è perfetta. Non so quindi perchè lo Storm abbia tentato di cavare il ceppo rom. da l. buxus bossolo, giacchè il bossolo è lungi dal formare vaste estensioni di alberi selvatici. Inoltre in tutti i riflessi sia rom. che ger. di l. buxus [it. bosso-lo, fr. buis, sp. box boi, ing. box, aat. mat. buhs, tm. Buchs], la gutturale non s’è mai conservata. Assurda mi pare altresì la deriv. da gr. βόσχω pascere, proposta dal Canello. Difatti il “pascere” è concetto molto diverso; e sarebbe strano che il voc. che l’esprimeva fosse passato a designare “selva, foresta” e non avesse preso il sig. di “prato, campo”, che al pascere sono più adatti che il bosco. Più: il gr. conosce bensì il nome βόσχος, ma vale “pastore”. Poi nel medio-evo sono rare le parole gr. entrate nell’Europa lat. ger. e divenute popolari. Il Mackel osserva altresì che da bl. buscus-um sarebbe foneticamente impossibile la formazione immediata di parecchie delle forme fr., poichè converrebbe ammettere la trasformazione di boscum in * bocsum che è assai inverosimile. Quindi il bl. stesso riposa sulle forme ger., alle quali è storicamente posteriore, comparendo esso primieramente in Francia verso il 950 nel testamento di Rainolfo sotto il re Lotario. Anche la diffusione di bl. boscus-um in paesi ger. o quasi germanici [Inghilterra, Islanda, Scandinavia ecc.], assai maggiore che in Italia, viene in appoggio della derivazione nordica del nome in quistione. Il Grimm trae ger. bosk busk da vb. bauen costruire, mediante un deriv. * buwisc buisc che valeva “materiale da costruzione”, senso conservatosi nello sp. e nel fr. Ma quest’origine è messa in dubbio da alcuni. Der.: bosc-accio-aglia-aiuolo-hereccio-hetto-hivo-oso; imbosc-ata-himento, rimboscare.

Botta1 botto, percossa colpo (Fr. da Barberino). Risp.: mil. butt boccia, fr. botte sp. bote colpo, fr. bout punta. Precedette da ger. * bot donde aat. bôz colpo mat. bôz butze. Nelle lingue sorelle il nome per metonimia passò a denotare l’effetto del colpo cioè il rilievo o gonfiamento; pel [p. 55 modifica]quale senso l’it. usa boccia e bozza voci uscite dallo stesso ceppo. Bl. botta colpo compare in P. Azarius all’an. 1368. Il Mackel ascrive questo fra i vocab. del 2º gruppo; quindi è forse d’importazione anglosassone. V. Boccia, bozza e botta2.

Botta2, rospo (Boccaccio, Sacchetti). Risp.: afr. botte boz boterel, sciamp. delfin. bote d’ug. sig. È la stessa parola precedente, con forte specializzazione di senso passato a traverso quello di “cosa rigonfia”. Ricorre nel bl. nella Vit. d. B. Angela da Foligno, ma è riproduzione dell’it. Si rannodano qui anche sp. bot contuso, fr. bot dal piè tondo, botte ammasso, lad. bott colle, valac. butaciu ottuso, e così pure nel campo ger. butz butzen, bt. butt ottuso.

Bottare in dibottare, agitare commuovere (Guido G., B. Latini, Tesor.). Risp.: sp. port. prov. botar, afr. boter fr. bouter borgog. bottai battere. Venne da ger. * botan che mostrasi in got. bautan, ags. beatan ing. to beat; aat. bôzan mat. bôzen battere colpire, anrd. bauta. Il t delle forme rom., contrapposto al z del ramo alto ted., accenna, chiaramente all’immediata orig. basso-ted. delle voci neol.: difatti il Mackel mette fr. bouter [documentato dal sec. 11.º] nel suo 2º gruppo. Forse provennero dall’ags. Il bl. non offre nulla in proposito. Il signif. di “battere colpire” nel campo rom. si sviluppò e diventò “spingere” poi “gettare scagliare”, ed anche “gonfiare”, come vedesi in it. bottone, prov. sp. boton, fr. bouton gemma boccia germoglio di fiore, mil. butt boccio, it. buttare. Lo Schade paragona a ger. botan, lit. badyti pungere colpire, l. fodere scavare. V. Boccia botta bozza, buttare. Der.: bottone e la sua numerosa famiglia.

Bottino, preda di guerra (Chron. Veron. an. 1333; Stor. Pistoi.; M. Villani). Rispondono: fr. butin e sp. botin d’ug. sig. Il Diez crede che le forme it. e sp. ritiettano immediatamente la francese. Ma questo è difficile a provare, giacchè l’it. compare fin dal 1333 nel bl. del Chron. Ver. [p. 56 modifica]e poco dopo in Azarius e in un Villani, laddove il fr. non è documentato se non alla fine del sec. 15º, quando lo troviamo usato dal Comines. Siccome poi P. Azarius usa tal voce parlando di fazioni guerresche compiute in Lombardia da compagnie di Tedeschi, io credo piuttosto che l’it. riproduca direttamente mat. bûten biute bute donde tm. Beute preda di guerra, vb. mat. biuten beuten prendere rapire. Secondo il Grimm anche nel campo tedesco mat. beute buten compare assai tardi [sec. 13º e 14º]. Pel Kluge il nome ted. s’attiene a rad. dell’ol. buit, anrd. byte preda cambio, byta cambiare. Anche ing. booty preda, viene immediatamente riportato ad anrd. býte; ma sulla sua formazione ha influito anche l’ags. bot ing. boot guadagno vantaggio. Lo stesso Kluge respinge l’affinità con bieten got. biudan offrire, sia per il senso che per la forma, e rimena poscia nome e vb. a un got. but, preger. bhud. Il bl. bottinus di Azarius si riferisce al 1347. Deriv.: bottinare, abbottinamento-re.

Bove, catene dei piedi (Villani). Rispondono: lomb. boghe, la qual forma raccostata a bl. bauca armilla (presso Papia) conduce necessariamente ad aat. bougâ da cui mat. bouge anello. L’aat. offre altresì boug mat. bouc anello per capo, collo o braccio. Di qui afr. bou braccialetto, mediante abfr. baug. Rad. ger. è boug che ci si mostra in tm. biegen piegarsi, Bogen arco.

Bozza, tumore, pietra informe, lavoro greggio (Villani). Risp.: prov. bossa, fr. bosse ing, bosse gobba, pic. boche, sp. bocha, port. bocheca. È uno dei molteplici deriv. del ceppo di mat. buz bütze, fiamm. butze, visto sotto boccia e botta, e il più vicino di essi per forma all’originale ger. Il nesso logico fra i diversi signif. è facile a capirsi. Il bl. boza ricorre all’an. 1267 in Clemente IV che ha la frase «conscriptum in materia de boza», il qual boza il Marini crede sia papiro. Bozosus negli Stat. Martisreg. vale tuberoso spugnoso. Der.: bozzac-cia-chiuto; bozz-are-etto-ettino-o-olo-olajo-olato-oluto; abbozz-are-o; sbozz-are-o. V. Boccia e Botta. [p. 57 modifica]

Bracco, cane da traccia e da fiuto (Brunetto Latini, Dante). Con sp. braco prov. brac afr. brach brache donde anche m. ing. brache ing. brach, fr. braque brachet d’ug. sig., procedette da ger. brakko sdoppiatosi in aat. braccho bracco, mat. bt. bracke, tm. Brache cane da fiuto. L’it. entrò senza dubbio antichissimamente e per opera dei Longobardi, giacchè la sua forma è perfettamente uguale all’aat.; e si verifica qui quello che è succeduto in parecchi altri casi (ad es. in balla balco bara ecc.) cioè che l’it. è più vicino alla forma ger. primitiva di quello che lo siano in quel campo stesso il mat. e il tm. Anche il bl. ci mostra il vocabolo ger. La Lex Frisionum verso il 700 e Marculphus hanno bracco-nis donde si spiega l’afr. braccon del Roman d’Aubery. Onorio III (1220) e poco dopo Federigo II ci presentano bracus, e brachus gli Stat. di Cadubrio. Troviamo inoltre bracetus brachetus evidenti riproduzioni di fr. brachet. Il fr. braque secondo il Mackel è di data recente. Il Kluge esclude l’affinità di aat. brakko con ags. raecc ing. rach anrd. rakke d’ug. sig., perchè il b del ted. non potrebbe essere sparito dalle altre lingue ger. senza lasciare traccia di sè, salvo che se fosse derivato dalla prep. bi[=bei], il che è inverosimile. Lo stesso Kluge tenta riannodare got. * brakka a l. fragrare odorar forte; ma a me pare congettura poco plausibile. Piuttosto merita considerazione il celt. brac orso, bl. di Auvergne bracchio orsacchino. Il Faulmann con mirabile ardimento trae il nome ger. da rad. di vb. brechen rompere, perchè questa sorta di cane preme e sbrana la selvaggina (?). Notevole è che sp. braco vale “camuso”. Deriv.: bracca-iuolo-re-ta-tore; braccheg-giare-gio; bracch-eria-iere.

Brace-cia-sa-scia, brage-gia, carbone acceso senza fiamma (Brunetto L.; Dante). Paralleli: lomb. prov. sp. brasa, port. braza, afr. brese brase braise [sec. 12.º], fr. brajse brasojes brasie, namur. breje, annon. bresse d’ug. sig. Nelle lingue sorelle se ne formarono anche vb.: afr. [p. 58 modifica]brasojer bruciare arrostire, fr. braser saldare, embraser sp. abrazar accendere, afr. esbraser, lad. braser barsar, dial. alta Italia brasar sbrasar. Il Diez pose a base di questo gruppo rom. l’anrd. brâsa saldare a fuoco, ags. brasian mineralizzare [donde ing. to braze saldare]; accanto a cui sta sv. brasa fiammeggiare scintillare. Ma il Mackel, dopo rilevata la diffusione del nome in tutto il campo neol., osserva che a breve dell’anrd. non può produrre una e, e quindi esclude l’origine dal ramo nordico, e propone come etim. il ger. * brasa * braso d’ug. sig., donde fiamm. brase: accanto a cui il Littré parla di un aat. bras fuoco vivo, brasen bruciare. Il Mackel ascrive quindi il vocabolo fr. al suo primo gruppo, mentre se fosse d’immediata origine nordica dovrebbe trovarsi fra quelli del 2º, essendo noto che le parole nordico-normanne entrarono in Francia nei sec. 9º e 10º. Secondo lo stesso filologo fr. brajse proviene da brese per ampliamento, e non da brasia. Però si può osservare che anche in fr. il nome compare relativamente tardi [sec. 12º]; il che conforterebbe l’ipotesi del Diez. Il bl. ci presenta brasa in territorio fr., braza in quello sp., nulla nell’it.; ed anche questo parrebbe indicare che il nostro sia passato a traverso la Francia, anzichè essere venuto direttamente di Germania. Der.: bracia-jo-juolo; braci-ere-na-no-uola-olina.

Bramare, desiderare avidamente (Dante, Albertano). Paralleli: lad. brammar, prov. sp. bramar ruggire montare in collera, fr. bramer [sec. 16.º] gridare, n. prov. bramaì gridare desiderare, berrig. bremer bermer gridar forte, ginev. bremer urlare, borgog. braimaì gridare. Il Marot usa questo vb. solo parlando del muggito de’ buoi, altri scrittori anche parlando del verso d’altri animali. L’it. e il prov. sono le sole fra le lingue neol. che abbiano sviluppato il senso di “desiderare”, che in it. è anzi esclusivo, almeno in questa forma, poichè vedremo che dallo stesso ceppo è venuto anche bramire conservante [p. 59 modifica]il significato originario. L’analogia dei due sensi di “gridare” e “desiderare” riscontrasi altresì in altri vb. e in altre lingue: così in a. cat. glatir abbaiare, donde cat. glatir desiderare, in l. latrare che valse “abbajare” ed anche “desiderare”. Una tale evoluzione di concetto ha il suo fondamento nel rapporto logico tra causa ed effetto, tra segno e cosa significata: difatti il fremito delle fiere è causato per lo più dallo stimolo della fame, quindi è segno di voglia ardente ed ingorda. Per questo vb. il Muratori aveva proposto come etim. il l. peramo amare molto: ma è derivazione inaccettabile, perchè non darebbe ragione del senso delle lingue sorelle che è di “gridare”; e poi perchè l. peramo è voce rara e classica, laddove bramare si formò nel medio-evo e non certo sotto l’influsso classico. Insostenibile è pure l’ipotesi dell’Ulrich che parte da un l. * fla(g)mare ardere. La base vera del gruppo rom. è ger. * braman donde aat. brëman prëman mat. brëmen ol. bremmen ruggire rumoreggiare. Da mat. brimmen forma secondaria di brëmen, dove il doppio m è ampliamento della radice al presente, originò tm. brummen d’ug. sig. Spettano pure qui anrd. brim rifrangimento delle onde romoreggianti, m. ing. brim carbone acceso [ing. brîmstone = zolfo], tm. Bremse tafano [il ronzante]. Rad. ger. brem da preger. bhrem ha per corrispondenti gr. βρέμω il cupo rumoreggiare delle acque del mare, βρομέω βρόμος, e l. fremo fremere. Il significato originario però non era quello di “rumore”, bensì di “movimento”, come appare da a. ind. bhrama vortice di fiamma, e bhrumi vortice di vento. Il senso posteriore di “rumore” sembra essersi sviluppato dallo speciale movimento vibratorio del suono, e dall’analogia fra moto e rumore. Pare peraltro che la radice idg. acquistasse il senso di “rumoreggiare” prima della divisione delle diverse popolazioni indo-europee dal ceppo comune; e quello del “rumoreggiare delle fiere” dopo di quella separazione [sans. bhramara ape] sicchè [p. 60 modifica]può stabilirsi che la rad. idg. bhrem denotante “movimento” prendesse il senso di “rumore” già in tempi antichissimi, quello di “rumoreggiare delle fiere” dopo la separazione delle genti, e infine quello di “desiderare” solo quando dal campo ger. fu passata nel rom., e anche qui solo in alcune delle lingue neol. Il bl. ignora questo vb., che però il Mackel suppone entrato fino dalle immigrazioni. Der.: bram-a-abile-eggiare-osamente-osia-osità-oso: disbramare, sbramare. V. Bramire.

Bramire, l’urlare delle fiere, il fischiar dei serpenti (Guittone). Evidentemente è una forma parallela del vb. precedente, col significato originario che ci è mostrato dalle lingue neol. sorelle, e dal ger. Riposa su di un ger. * bramjan. Der.: bramito.

Brandire, vibrare scuotere prendere maneggiare (Novellino, Liv. Manos.). Risp.: prov. afr. brandir, sp. blandir vibrare la lancia. L’esistenza del vb. in quistione nel sec. 13º mentre il nome compare solo nel 15º, m’induce a supporlo venuto immediatamente dal fr. e prov., anzichè a crederlo formatosi dal nome stesso in Italia; tanto più che ritengo che quest’ultimo sia anch’esso riproduzione tardiva del nome francese. La derivazione immediata da un ger. * brandjan sarebbe regolarissima foneticamente; ma esso non è documentato. Per il resto v. Brando.

Brandistocco, arma simile alla picca, ma con asta più corta e ferro più lungo (Lippi, Malm.; Neri, San Min.). Non credo col Tommasèo ad una formazione it. da brandire e da stocco, che non dà senso; ma bensì ad un imprestito dal fr. brin d’estoc che compare colà nel sec. 16º, e che è riproduzione di t. Spring-Stock bastone da saltare: riproduzione che risulta evidente da un passo del D’Aubigné il primo scrittore fr. che usa il vocabolo, il quale parla di soldati di Harlem che s’ajutavano col brin d’estoc, dove è naturale che egli desse forma fr. al nome d’un’arma da essi adoperata. [p. 61 modifica]

Brando, spada lunga e grossa che maneggiavasi con due mani (Pulci, Ariosto). Con afr. brant branc bran [sin dal sec. 12º], fr. brand, prov. bran, a. vall. brant lama della spada; ha per base ger. brant sdoppiatosi in aat. brant mat. brant[d] fiamma tizzone fiaccola, tm. Brand incendio, ags. brand brond ing. brand incendio. Ma anrd. brandr e, secondo lo Schade, anche aat. mat. brant presentavano pure il senso di “lama della spada, spada”; anzi questo nell’anrd. era esclusivo. Dunque il senso di “spada” non si sviluppò nel campo neol., come credono taluni, ma esisteva già nel ger., benchè come secondario. Però nol rom., eccetto l’it., penetrò altresì il signif. fondamentale ger.: così abbiamo prov. brandò, fr. brandon, sp. blandon fiaccola, poi vb. afr. brander essere in fiamme, prov. brandà, piem. brandé cuocere bollire, a. prov. abrandar porre nelle fiamme. La ragione del trapasso dal senso di “fiaccola tizzone” a quello di “spada” starebbe secondo alcuni in questo, che la spada maneggiata dal guerriero splende e scintilla come una fiaccola. Certissimo è, nota il Kluge, che rad. ger. bren preger. bhren, ignota alle altre lingue indeu., racchiudeva i due sensi di “ardere splendere” e “commuoversi zampillare agitarsi”, analogamente a l. mico “splendere” e “balzare”, corusco “lucere” e “saltare”, e a sp. tizon nome d’una spada da l. titio tizzone. In sostanza è chiaro che, qualunque ne sia la cagione, in molte lingue i concetti di “ardere” e “agitarsi” sono spesso riuniti sotto la stessa radice, ed espressi collo stesso vocabolo. Il signif. secondario di “agitazione vibramento” è quello che scorgesi nei vb. it. brandire e prov. brandir sp. blandir dimenare vibrare, ed inoltre fr. branler ébranler brandiller scuotere smuovere. Nel campo ger. è conservato solo nel tm. branden da ol. branden muoversi come fiamma, Brandung rifrangimento delle onde, e in tm. Brunne pozzo Born sorgente. Del resto ivi prevale di gran lunga il senso di “bruciare”, che, oltre alle [p. 62 modifica]voci ger. già allegate, appare in got. brannjan, aat. mat. brinnan tm. brennen [brante gebrannt], ags. birnan boernan ing. to burn. Il secondo n è ampliamento della rad. al presente; ed alcune lingue settentrionali non hanno che il primo: ad es. ags. bryne incendio. Del resto io credo che il nome it. che compare dapprima in due poeti cavallereschi, fosse tolto in prestito dal fr., ove figurava moltissimo nei poemi romanzeschi, e non che si fosse formato dal vb. brandire ricorrente già nel sec. 13º (Novellino). Il vb. ing. brandish si foggiò sul fr. Lo sp. brandon trescone, venne anch’esso da q. ceppo. Il bl. ci presenta brand incendio nella Lex Frisionum (verso il 700), branda tizzone nelle Glosse di Elfrico (verso il 1000). P. Azarius di Novara all’an. 1362 usa brandonus fiaccola. Ma bl. brandus spada non s’incontra, e ciò conferma la mia opinione sull’orig. immediata del nome it. dal fr. Der.: brandi-mento-re-tore.

Brandone brandello (Stor. Rin. da Montalb., M. Villani). Il Diez gli pone accanto come sorelle le voci a. sp. brahon cencio, prov. bradon brazon brahon, afr. brajon brandon [sec. 15.º] loren. bravon, ing. brawn pezzo di carne o di panno; poi a questo gruppo rom. dà per base aat. bratô, accus. braton bratun pezzo di carne morbida, da cui mat. brate pezzo di carne, ed anche “carne arrostita”, il quale ultimo senso è l’unico mostratoci da tm. Brâten. Il nome ted. secondo il Kluge risale a vb. aat. bratan got. bredan ags. braedan arrostire, da rad. preger. bhred bhret, cui spetta anche gr. πρήθω bruciare. Dal che si deduce che il signif. originario di brato doveva essere di “pezzo di carne staccato per essere arrostito”. Ma il Diez non ispiega come il senso di “pezzo di panno” offertoci dallo sp. e it. abbia potuto svolgersi da quello di “pezzo di carne”, e sarebbe davvero difficile assegnare una ragione di tale evoluzione logica. Perciò il Littré dubita se il gruppo rom. abbia veramente a fondamento il nome ger. proposto dal [p. 63 modifica]Diez, almeno pel senso di “pezzo di panno”. Quindi propende per vb. brandire. Ad ogni modo è difficile staccare queste voci da bl. brandeum brandium velo fascia, ricorrente già in Gregorio Magno, poi in Incmaro di Reims, e che dev’essere d’orig. germanica; e deriva probabilmente da brant, che racchiudendo anche l’idea di “movimento oscillazione penzolamento” (v. Brando), potè facilmente applicarsi anche a “pezzo di panno” e per la stessa ragione a “pezzo di carne”. V. Brano.

Brano, pezzo di carne o panno staccato con violenza (Dante). Il Diez fa derivare brano da brandone. A me pare che il primitivo di brano debba essere un * brando, presupposto dai derivati brandello brendolo brindello sbrendolo. Da questo * brando si potè formare brano assai meglio che da brandone. Brando rappresenterebbe aat. branto colla semplice epentesi eufonica di n; bradone e brandone rifletterebbero invece l’accus. braton bratun. Ed anche nel caso da me accennato sotto brandone che il ceppo si rannodi a ger. brant, è chiaro doversi per l’it. partire da un * brando. Ma circa questo gruppo resta ancora molta oscurità. Bl. branus ricorrente sin dal 1217 è riproduzione della voce it. Der.: branolino; sbrana-mento-re-tore.

Breccia, rottura d’un muro e conseguente apertura operata mediante cannone o mina; frantumi o pezzami di pietra da essa prodotti; sassi arrotondati (Cellini, Soderini) Risp.: sp. afr. bresche brèche fr. brèche [sin dal sec. 14º], pic. brèke, sp. bretia [Febrer nel sec. 15º ha la frase «rompre una bretia»] brecha, prov. berca ing. breach d’ug. sig. Immediatamente procede da fr. brèche, da cui anche sp. ing. e forse prov. Il fr. brèche, che il Mackel mette nel suo secondo gruppo, ossia in quello dei vocab. ger. entrati in Francia in epoca posteriore alle invasioni, riposava su aat. brechâ donde mat. breche qualche cosa di rompente, strumento da rompere, tm. Breche maciulla, m. ol. breke rottura, sv. svizz. breche caduta di pietrami rotti, ted. dial. [p. 64 modifica]breke cosa rotta. Notevole che nell’aat. s’incontra il composto murbrëchâ ariete strumento da romper muri, murbrëchô rompitor di muri. Se aat. brechâ fosse entrato direttamente in it., avrebbe dato brecca, ossia avrebbe conservato il suono gutturale, e non avrebbe preso il palatale: v. briccola e sbreccare. Il nome ger. erasi formato da vb. brëhhan [got. brikan], donde mat. tm. brechen rompere spezzare. La rad. idg. è bhreg che si riflettè altresì in gr. Fραγ ῥήγνυμι e in l. frango, secondo la legge di Grimm per cui a una f nel gr. e nel lat. corrisponde un b nel ted.; cosicchè le parole breccia frazione frammento cataratta sono riflessi fonetici della stessa radice indeu. elaborati da diversi popoli. Il tm. Bresche e ol. bres rientrarono nel territorio ger. dal fr. al principio del seicento. Il nome è perfettamente sconosciuto al bl. Der.: breccia-iuolo-re-to; breccioso; imbrecciare.

Briccola, sorta di macchina da guerra (Morelli, Capponi). Paralleli: fr. bricole, sp. brigola. Procedette immediatamente da mat. brëchel “rompitore” o meglio “ciò che rompe”. Il fatto che brëchel è ignoto all’aat. indica per se stesso che l’introduzione seguì nel medio-evo inoltrato: probabilmente nel sec. 12º o 13º, ricorrendo bricola nel bl. dello Scriba Ann. Gen. an. 1241. Il Morelli scrive «bricole, cioè mangani»; la quale spiegazione implica, secondo me, che bricola era parola nuova ed usata da poco tempo. Il Mackel crede che fr. bricole [sec. 15º] riproduca la voce it., e questa un ger. brëkel o brikil, il cui suffisso il fu reso con it. ola; ma brëkil non è documentato, e del resto tutto conferma l’orig. dell’it. dal mat. Però l’afr. presenta brich briche con signif. uguale all’it. La rad. di mat. brëchel è brek vista sotto breccia. Un composto it. notevole è combriccola che valse prima “più briccole che battono in un punto”; poi “più persone che rompono un muro”, ed infine “compagnia d’ingannatori”. Der.: briccolare. [p. 65 modifica]

Briffalda, cantoniera (Caro, lett. I, 20). Procede immediatamente dal fr. brifaut, ghiottone, brifer, mangiar come un paltone; sp. bribar, viver da vagabondo. Il trapasso dei sensi è facile a spiegarsi. Le voci suddette vengono poi ricondotte all’aat. bilibi. V. Birba.

Briga, litigio, faccenda molesta (Iacopone, Dante). Secondo lo Storm si riannoderebbe al got. brikan, rompere, lottare [tm. brechen]; e quindi avrebbe dapprima significato “trambusto, tumulto”, analogamente al l. fragor da frangere. Il senso moderno della voce it., da cui è venuto anche il fr. brique, risponde al norveg. brek, instanza, intrigo, dal vb. brecha, cercar d’ottenere. Ad ogni modo è sempre un’etim. incerta; sempre per altro più verosimile che quella dal celt. brig, cima, e quella da Brigantes, nome d’un popolo della Rezia, parole di senso lontanissimo. Deriv.: brigadiere, brigantaggio, brigante, brigantesco, brigantina-no, brigare-ta-tella, brigatina-tone-tuccia, brighella; disbrigare, disbrigo; sbrigare, sbrigatamente, sbrigativo.

Briglia, redina, freno (Villani). Viene dall’aat. britill, pritill, che può appartenere alla rad. del vb. mat. briten, tessere, ma che più probabilmente s’attiene a quella dell’aat. brettan, stringere. Il vall. ha bregle, ing. bridle. V. allotropi sotto brida. Deriv.: brigliajo, briglione, brigliozzo; imbrigliare, sbrigliare, sbrigliatura.

Brindisi, saluto fatto bevendo (Della Casa). Dalla frase t. bring dir’s “lo porto a te [il bicchiere o il saluto]”1. Il fr. ha brinde, il lor. bringue, lo sp. brindis, brindan; parole procedenti probabilmente tutte dall’it. Fra noi questa voce dovette entrare sul principio del sec. XVI, perchè il Casa (Galat. 88) scrive: «Lo invitar a bere; la qual usanza, siccome non nostra, noi nominiamo con vocabolo forestiero, cioè far brindisi». È verosimile che [p. 66 modifica]la cosa e il nome della cosa penetrassero in Italia coi soldati tedeschi, famosi per il bere (cfr. la frase «bere come un lanzo»). Deriv.: brindare, brindisevole.

Briscola, sorta di giuoco che si fa colle carte (voc. della lingua parlata). Verosimilmente dall’afr. briche, “sorta di giuoco col bastone”. Questo poi viene riportato al t. britsche, frusta, dal vb. pritschen, frustare, percuotere; tanto più che briscola significò anche “percossa”. Il mat. faceva britze. L’ital. potè anche venire da esso immediatamente, dacchè è noto che i soldati tedeschi, oltrechè per il bere, erano rinomati anche pel giuocare: quindi niuna meraviglia che introducessero questa sorta di giuoco. Deriv.: briscolare-ina-ona.

Brocca, brocco, stecco, ramuscello giovane (Crescenzi). Due etim. t. si sono proposte per questa parola, oltre a due l. ed una celt. La prima è l’aat. brocco, mat. brocke [tm. Brocken], cosa spezzata, dal solito vb. brëchan, colle forme parallele aat. bruh, pruh, pruch, mat. bruch, tm. Bruch, e questa è la più fondata, attesa la perfetta uguaglianza della forma come nel caso di bracco. L’altra, proposta dal Fritsch, sarebbe l’aat. sprozo, sprozzo, mat. sprozze, a. bt. sprute, tm. Spross, germoglio, che s’adatterebbe assai bene alle forme sbrocco, sprocco, ma poco alla più comune. Io aggiungerò che nell’aat. c’è anche sprok, fragile. Non potrebbe l’it. esser venuto di là2? Deriv.: broccare, broccato, broccatello, broccatino, broccato, brocchetto, brocchiero, broccolo, broccoloso; imbroccare, sbroccare, sbroccatura. [p. 67 modifica]

Brodo-a, acqua in cui han bollito sostanze animali (Boccaccio). Deriva da un ger. got. * brod, che si svolse da una parte nell’aat. brôt, brôth, prôt, mat. brôt, tm. Brot; dall’altra nell’as. bród, brad, bt. brôd, ol. brood, ags. bréad, ing. bread, anrd. brandh: tutte voci significanti “pane”. Il ger. got. * brod aveva il signif. generale di “preparare qualche cosa al fuoco”, e fu questo che si conservò nel tm. brodeln, brudeln, “crosciare, bollire, apprestare cibi”, Brühe, brodo; nell’ing. broth, zuppa, mlt. brodium, it. brodo, afr. breu, fr. brouet e derivati, sp. brodio (Vedi Ioret, Romania, IV, 119). Ma questo signif. si specializzò in quello di “cuocere”, che noi riscontriamo nelle tre età del t., e in molte forme del bt. Nel rom. penetrò forse mediante il got., quando cioè la specializzazione non era ancora avvenuta. Deriv.: brodacchio, brodajo, brodettato, brodetto, brodicchio, brodiglia, brodolone, brodoloso, brodone, brodosino, brodoso; imbrodolare, sbrodolare, sbrodolatura. Anche broscia, sbroscia si fanno venire di qui mediante un * brodia, sbrodia, come anche brogio, sciocco.

Brolio, bruolo, brolo, orto di verzura (Dante, Buti). Immediatamente è dal prov. bruelh, afr. bruelle, fr. breuil, mlt. brogilus, broilus, brolius. Il Diez crede che il suffisso il accusi una estrazione diretta da rad. ger. In questa ipotesi si sarebbe condotti a riconoscere per fondamentale il mat. bruel, e aat. bruil, [donde tm. Brühl], che è finale di molti nomi proprii di paesi t. Il Kluge al contrario opina che il ger. derivi dal fr., e questo dal celt. brog “gonfiamento, germoglio”. Lo Scheler, persuaso che l’idea di “palude” sia essenziale a questa parola [difatti dapprima brogilus era = pratum palustre], riannoda tutto al t. brühl, che, colle forme secondarie brögel, prugil, mediante un brüchl, vorrebbe da bruch, luogo rotto, ags. brooc, ing. brook, ol. broech.

Broglio, mescolamento, intrigo, sollevamento (Dante, Liv. M.). Alcuni, e fra essi il Diez, fanno di questa [p. 68 modifica]parola una cosa sola colla precedente, traendone il signif. dall’idea di “germoglio”, e da quella “d’intrico dei rami degli alberi del brolo”. Ma questo sembra uno stiracchiamento assai duro allo Scheler, il quale stacca addirittura il fr. brouiller, donde verisimilmente è venuto l’it., da breuil, prov. bruelh, e lo rannoda direttamente al t. brudeln, brodeln “ribollire, smuovere”, quindi “mescolare”, e da ultimo “intrigare”. Ed a questo proposito allega le frasi t. weine brudeln = mescolare i vini; l’afr. brouillas, fr. brouillard, vapore, nebbia. In questo caso broglio risalirebbe a rad. brodh, vista poco di sopra. Per la forma ricorda briglia da bridel, fr. haillon da hadel. Deriv.: brogliare, imbrogliare; imbroglione, imbrogliatore, imbroglione, sbrogliare.

Broncio, viso crucciato (Brunetto, Buti). Nell’aat. s’incontra l’agg. bruttisch, pruttisk, torvo, sdegnato; e nello svizz. abbiamo brütsch d’ug. sig. Sarebbe etim. più soddisfacente che il mlt. brocchus, “ostinato”, quanto al signif.; ma non ci dissimuliamo che la forma presenta, specialmente nell’aat., un passaggio molto forte. Deriv.: imbronciato.

Bronco1, grosso sterpo (Dante, Crescenzi). Anche questo è probabilmente un deriv. dall’aat, brocco, tm. bruch, cosa spezzata: quindi sarebbe un allotropo di brocco, coll’epentesi d’una n. Deriv.: broncone, sbronconare. Bronchi, come termine anat., è d’orig. greca.

Bronco2, nome d’una sorta di pera (Cellini). Questo agg. applicato ad un certo frutto, ci rivela il signif. primitivo dell’aat. sprok, “aspro, lazzo,”. Infatti nelle montagne moden. quella pera è chiamata anche “brusca”.

Bronzo, composto di stagno e rame (Firenzuola). Fra le molte etim. proposte per questa voce [aes brundisium, όβρυζον, l. obrussa, gr. βροντείον, l. brontium, bróntium; pers. buring, piring], il Diez ritiene che quella del Muratori da bruno per mezzo di brunizzo, brúnizzo, [p. 69 modifica]sia la preferibile. Il composto metallico avrebbe adunque tratto il suo nome dal colore. Quanto al ritiramento dell’accento, il Diez cita un passo del Glossario Trev. di Hopfen ov’è detto «Mannus ros, quem vulgo brunicum, vel brunitium vocant». Dall’ing. brass, rame, non può essere venuto, poichè l’a non si sarebbe convertita in o. Poi è difficile il supporre che l’it. [da cui provengono il fr. ing. t. bronze, sp. bronce] andasse a prendere dall’ingl. il nome d’un metallo tre o quattro secoli fa, quando quella lingua e quel popolo eran quasi ignoti in Italia. Deriv.: bronzi, bronzino, bronzista; abbronzare-ire-tura, abbronzacchiare.

Bronza, teglia infocata. È probabile che venga dal t. Brunst, vampa; molto più che l’ol. ha bronst, anche più vicino all’it. per la forma.

Brozza, bollicella pruriginosa (Mattioli: sec. XVI). Viene senza dubbio dall’aat. proz [broz], mat. broz, germoglio, bottone, e spetta al vb. briozan, brozzen, gettare, a cui nel l. corrisponde frons, frondis. Dall’aat. e mat. si svolsero pure lo sp. brota, broto, prov. brot, fr. brout, sp. prov. broton, bottone, sp. brotar, germogliare. Deriv.: brozzolo, brozzoloso.

Bruno, color oscuro che s’accosta al nero (Guittone, Dante). Dall’aat. brûn, prûn, mat. brûn, tm. braûn; ags. brûn, ing. brown, anrd. brunn, sv. brun, dan. bruun, ol. bruin. La designazione ger. di questo colore, oltre che nel romanzo [sp. port. bruno, prov. fr. brun] penetrò anche nel lit. brúnas. L’idg. è bhr-úna dalla rad. bher che appare netta nel lit. bëras e nel n. Bär, orso, e raddoppiata nell’a. ind. babhrús “rossobruno”; la quale forma aggettivale appare denominazione idg. comune d’un mammifero vivente nell’acqua, il bevero (v. questa parola). Forse appartiene a questa rad. idg. anche il gr. φρύνη, φρυνος, rospo. Deriv.: brunazza, brunetto-ino, brunezza, brunimento, brunire, brunitoio-tore-tura, brunetto; abbrunare; imbrunire. [p. 70 modifica]

Brusca, spazzola da cavalli (Buommattei). Si deriva dall’aat. burst, purst, burstà, brusta, mat. borst, porst, borste, cosa irta, tm. Borste, Bürste, setola, pettine: ags. byrst, anrd. burst, sv. borst, ol. borstel, ing. bristle. Tutte queste voci risalgono, secondo il Kluge, a un got. * baurstus, baursts. Bors è la forma ger. della rad. preger. bhers che mostrasi nell’a. ind. bhrs-ti, “punta, sporgenza” (v. ing. bur dall’ags. burr per burzu), ed a cui si può raffrontare il l. fastigium. Dall’aat. brusta, l’afr. trasse broisse, il fr. brosse, il vall. broueh, sp. broza, prov. brus, mlt. brûstia. L’ing. brush è passato pel tramite francese. La derivazione proposta da taluni delle voci rom. dal l. ruscum, pugnitopo, colla prostesi di un b, è poco probabile per il senso. Deriv.: bruscare, bruscatura.

Brusco1, festuca, pugnitopo, lima a raspa (Passavanti, Ric. Fior., Bellincioni). È il l. ruscum, “fragaria spinosa”, premessovi un b. Il fr. ne trasse brusc. Deriv.: bruschette, bruscolo-oso.

Brusco2, aspro, lazzo (Dante, Crescenzi). Quest’agg. col fr. brusque, port. brusco, fu dal Diez derivato dall’aat. bruttisch, tristo. Ma il Bugge (Romania, III, 851) riporta il fr. all’it., e questo fa venire dal l. ruscum in senso di “tuber aceris intorte crispum”; e per la connessione dell’idee ricorda il t. Knolle = nodo di legno = e = uomo rozzo, ruvido. Il t. brüsch avrebbe a fondamento il rom. brusc. Il Ferrari aveva già proposto il l. labruscus, sorta d’uva, coll’aferesi del la. Il celt. brisc, prato, non si presta a cagione del senso. Lo svizz. ci offre le forme brütsch, brüt d’ug. sig.; ma potrebbero avere orig. it. Deriv.: bruscamante, bruschezza, bruschino, bruscolino.

Brusio, rumore confuso di più persone, che parlano (neolog.). Verosimilmente dall’anrd. brûsa, sv. brusa, dan. bruse, mat. brûsen, brâs, tm. brausen, romoreggiare, mediante il rom. brugir, donde l’it. ant. bruire, fr. bruir, bruit, ing. bruit. [p. 71 modifica]

Brutto, deforme, contrario di bello (Dante). Il Muratori propose per etim. il vb. aat. brutten, mat. bruttan, spaventare. Il Diez combattè questa derivazione come inutile, essendo naturale, secondo lui, quella dal l. brutus, duro, senza sentimento. Però, con tutto il rispetto al fondatore della filol. romanza, si può osservare che il concetto di “torvo, spaventoso, orribile”, inerente all’aat. bruttisc, pruttisk [brutte = terrore], si affà all’it. assai più che quello di “duro, bestiale” del l. brutus. S’aggiunga che la forma stessa è più vicina; e che dal l. l’it. ha tratto bruto, brutale.

Bruzzaglia, marmaglia (Davanzati). Secondo lo Scheler dal fr. broussaille, cespuglio, macchione, derivato da brosse, visto sotto la parola Brusca, come virgultum, da virga: brosse poi è dall’aat. brusta. Fa però qualche difficoltà il passaggio del significato di sterpaglia a quello di marmaglia.

Buca, buco, scavatura fatta in terra; pertugio, foro (Dante). Dall’aat. bûh, bûch, pûch, mat. bûch, mt. bûk, tm. Bauck, pancia, cavità. Il m. ol. è bûc, ol. buik [bie-buyick = cavità delle api, arnia], ags. bûc, a. ing. bûc, boûk, anrd. bûkr, sv. buk, dan. bug. L’anrd. búkr = corpo, groppa. È incerto se Bauck spetti alla rad. sans. bhug [v. l. fungor] “godere il cibo”, ovvero al sans. bhuj “piegare”. In quest’ultimo caso Bauch varrebbe “luogo piegato”. Ci pare più verosimile la prima ipotesi, non essendo il ventre cosa piegata; quindi il voc. t. in origine era = “parte del corpo che prende il cibo”, affine quindi al gr. φαγεῖν, mangiare. Quindi abbiamo lo strano fenomeno che l’idea di “cavità”, non è radicalmente e fondamentalmente unita a buco o meglio al t. buck, ma gli fu annessa, perchè la parola fu applicata per altra ragione a cosa che era cava. Il Kluge ha tentato un riavvicinamento anche al gr. φύσκα [forse da φύτκα], magone, vescica, agc. bodig, ing. body, aat. botah, corpo; ma non lo dà per sicuro, [p. 72 modifica]perchè bhùtek, bhutk, bhuk non è certo che sia forma fondam. idg. Forme rom. parallele all’it. sono sp. buco, buque, afr. buc. Deriv.: bucacchiare, bucafondi, bucaneve, bucare, bucaccio, bucatura, bucherame-ticcio, bucherattola-o, bucherella-o-re, buchetto-ino, bucuccio; imbucare, rimbucare, sbucare.

Bucato, imbiancatura dei pannilini (Grad. S. Gir.; Boccaccio). Il Muratori colla sua perspicacia indicò l’etim. di questa voce nel mat. büchen, tm. bauchen, d’ug. sig. Il Diez e lo Scheler lo contradissero, menando buona la congettura del Tassoni che volle spiegare il nome dal tronco d’albero smidollato e “bucato” in cui facevasi la lissiva, e d’altri che ricordano il panno «foracchiato» per cui si fa passare il ranno. Ora tutto questo andrebbe bene per l’it.; ma non pel fr. buée, borg. buje, sp. bugada, che non sono certo venuti dall’it. Perciò il Kluge, considerata l’immensa diffusione di questo nome in tutti i paesi di lingua ger. [ags. buc, ing. buck, scozz. bouk, bouken, dan. byge, sv. byka, norveg. boukia, ren. bauche, alsaz. buke, svizz. bukâ, svev. beuke], trae il t. dalla rad. ger. bûkôn, bûkian, e dal t. le voci rom. E noi crediamo ch’egli abbia ragione. Deriv.: bucataja-o, bucatino, imbucatare.

Budriere, cintura da cui pende la spada (Salvini, sec. 17º). Immediatamente ci venne dal fr. baudrier; ma questo era derivato dall’aat. balderic, palderich, baldrich; ags. baldrick, baudrick, afr. baudré, prov. baudrat; donde anche port. boldrié. Nell’afr. c’è anche esbaudré.

Bugia, menzogna (Fior di V., Boccaccio). Questo nome col fr. bougeoir [prov. bauzia, bauza, afr. boisie, inganno; vb. prov. bouzar, boiser, ingannare] viene secondo il Diez dall’aat. bôsa, malvagità, vanità, dal vb. aat. bôsôn, mat. bôsen, boesen, diventare od essere cattivo. La forma parallela aat. e mat. bôsheit, pôsheit = malvagità, cattivo maneggio; l’agg. aat. bôsi, pósi, mat. bôse tm. bose = cattivo. Il mlt. ne cavò il vb. bausiare. Deriv.: bugiardo-accio-ello-one-uolo-eria-amente; bugietta, bugione, bugiuzza; sbugiardare. [p. 73 modifica]

Bugio, buso, apertura, foro. Sono allotropi di buco. Deriv.: bugio, agg., bugiare; bugigattolo.

Bugnola, vaso fatto di covoni intrecciati insieme per custodir paglia o crusca (Burchiello, Pulci). Il Caix crede provenga non da bugna, che ha senso molto diverso, bensi da bugno, che poi verrebbe dall’aat. büne, mat. bün, tm. Bühne, bt. bün, ol. beun, tavolato, pergolato, palcoscenico. Deriv.: bugnoletta, bugnolo-ne.

Bulino, (Cellini; Sagg. Nat. Esp.), allotropo di Borino (v.). Deriv.: bulina, bulinare.

Bulo, giovane galante ed audace: smargiasso (dial. lomb.). Dall’aat. buolo [np. Puolo, Pucalo, forse da Bugilo, Buhilo, Bûwilo], mat. buole, m. ol. boel, ol. boel, amante, amico, tm. Buhle, drudo; buhlen = fare all’amore. L’ing. bully = bravaccio, spaccone, vb. búlly = braveggiare. Il Muratori avvertì per primo questa etim. scrivendo: «Ita primum appellati meretricum amasii seu satellites, tum quicumque thrasonem agunt».

Burgravio, signore d’una città (neolog.). È titolo che si dà a certi dignitarii in Germania, dall’aat. burggrâvo, purkrâvo, mat. burcgrâve, tm. Burgraff [burg = città, castello; graff = conte]. La forma it. è più vicina all’aat. e mat. che al tm., benchè sia penetrata fra noi solo in questo secolo, forse mediante il fr. burgrave. Deriv.: burgraviato.

Burire, burrire, avventarsi. È voce usitatissima del dialetto di Montese, che presenta grandissima analogia di forma e di senso coll’aat. burren [altre forme: burian, purian, purien, purren, puren] mat. buren, bürn, anrd. byria, ol. beuren, dalla rad. bor, = commuoversi, sollevarsi: ed io credo senz’altro che venga di là. Nel mat. c’è anche bur = vento, anrd. byrr, a. slav. buria, tempesta. Nel campo idg. corrispondono qui il gr. φύρειν, mescolare, il l. furfur, e furere. Deriv.: buridone, rimprovero improvviso ed aspro. S’usa nella frase «fare un buridone». [p. 74 modifica]

Bussare, picchiare, percuotere (Am. Van., Sacchetti). Dal mat. büchsen, picchiare, ing. box, ol. buysschen, afr. buissier e forse anche busquer. Il tm. büssen = fare penitenza; ed evidentemente ha molto affinità anche di senso col mat. Il l. pulsare proposto da taluni si presterebbe pel concetto, ma non per la forma, essendo raro il passaggio della labiale tenue nella media, e più ancora quello del gruppo ls in ss. Deriv.: bussa-o-mento, bussata, bussatore.

Buttare, gettare con mano (Dante). Dal mat. bôzen, [aat. bôzan, pôzan, paozen] che significa anche “spingere” (v. bottare, botta e der.), donde sp. port. prov. botar, fr. bouter, percuotere, fr. bout. L’anrd. ha bauta, ags. beátan, ing. beat. La rad. ger. era * bautan. V. lit. badýti. pungere, e l. fodere, scavare. Deriv.: buttafuori.

Buttero, segno delle pustole del vajuolo (Sacchetti). Una delle etim. possibili e probabili di questa voce è il t. Blatter, [mat. blâtere, aat. blàttara, got. * blàedro] ing. bladder, pustola. Altri la connettono allo sp. botor, dall’ arb. bothor, bubbone. Deriv.: butterato.

Buzzo, gran ventre (Tratt. Segr. Cos.; Dial. S. Greg.). Secondo il Diez è uno dei numerosi riflessi fonetici [il più vicino per la forma] che il mat. butze, ebbe nell’it. (v. boccia e bozza). Deriv.: buzzame, buzzino, buzzone; lomb. buzzecca, donde tosc. busecchia, imbusecchiare; imbuzzirsi, sbuzzare.

Buzzurro, (neolog.). Furono così chiamati gli Svizzeri che l’inverno scendono in Italia a vendervi bruciate, pattona e simili (Pananti). Oggi = gente intrusa, di basso, affare. Viene dal t. Putzer, nettatore, spazzacamino [vb. putzen = pulire]. Questo nome che non risale più indietro del sec. scorso, ebbe probabilmente origine dal fatto che quegli Svizzeri da principio facevano gli spazzacamini.

Note

  1. B. Corsini, († 1675) nel suo Torracchione desol. 2, 71, scrive: Quello.... si caro uso Di farsi brindis, che con gran piacere, Altro non è che un invitarsi a bere.
  2. Passando in rassegna i significati degli agg. aat. sprok, sprozzo [tm. spröde] nel vocab. dello Schade, e confrontatili con quelli dei nomi broco, broccolo, broccoso, broccoloso, broccoluto, li ho trovati mirabilmente conformi. Per es. sprok = fragile, nodoso, aspro, intricato; e tale è appunto il senso dell’it. broco, broccoso, broccuto, ecc. Perciò mi persuado sempre più che sia il caso d’un’etim. ger.