Sulla crisi granaria

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Francesco Perrone

1915 Indice:Discorso sulla crisi granaria - Francesco Perrone - 25 Febbraio 1915.pdf Sulla crisi granaria Intestazione 13 aprile 2022 100% Da definire

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SULLA CRISI GRANARIA


DISCORSO

DELL'ONOREVOLE

FRANCESCO PERRONE

PRONUNCIATO

ALLA CAMERA DEI DEPUTATI

nella tornata del 25 febbraio 1915

ROMA

TIPOGRAFIA DELLA CAMERA DEI DEPUTATI


1915

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PRESIDENTE. Segue l’interpellanza dell’onorevole Perrone al Governo, «sui criteri seguìti e da seguire nella politica d’importazione ed esportazione dei derivati».

L’onorevole Perrone ha facoltà di svolgerla.

PERRONE: Onorevoli colleghi, c’è un proverbio nell’Italia meridionale che dice: chi poco ha, caro tiene. Ora, io che mi son procurato in un’altra occasione felice un poco di benevolenza della Camera, voglio gelosamente custodirla; ecco perchè sacrifico il discorso che avrei pronunciato lunedì o martedì, e ne intesso un altro fermandomi sopra tre principî che hanno creduto di enunciare gli oratori della parte estrema della Camera. Col primo si affermò, senza temperanza e senza alcun rispetto verso una delle grandi industrie del nostro Paese, che siffatta industria fosse posseduta da ladroni e da pirati. Con una seconda frase si affermò un principio, che va contro tutta la [p. 4 modifica]vita contemporanea, arrestata per poco da quest crisi sanguinosa mondiale, e si disse: l’Italia deve bastare a sè stessa, e con una terza si affermava che nel commercio granario italiano la speculazione giuoca al rialzo mercè le bollette di temporanea importazione.

Io tramo il mio discorso intorno a questi punti: avrei parlato di un terzo lato del problema granario - che incombe oggi, incombeva ieri, ed, è inutile farsi illusioni, incomberà domani sulla patria nostra - del terzo aspetto, il giuridico, intorno a codesto problema il quale entra in un altro assai più grandioso, quello del rincaro generale della vita, per cui tutto il modo si agita e cerca di indagare del fenomeno le cause.

Si tratta senza dubbio di fenomeni economici; però quando per essi ai rimedi si deve avvisare, si trapassa al fenomeno giuridico, sotto il cui aspetto li avrei riguardati, fermando il mio dire sui tre punti fondamentali: trasporti, e quindi disciplina dei mezzi di trasporto; ordinamento dei mercati, e quindi limitazione e freni che dovevano e potevano essere apposti per il trapasso dal produttore al consumatore, specialmente per il grano; ed infine disciplina del rapporto tra l’intermediario grossista e il dettaglista e tra questo e il consumatore.

Ma, come ho accennato, invece di questo discorso, vengo a qualche cosa di molto più interessante per la Camera e per il paese, di molto più vivo per noi medesimi, [p. 5 modifica]che non possiamo lasciar passare senza risposta alcune frasi gravi, le quali toccano nel cuore le industrie del nostro paese e le sue complesse ramificazioni.


L’Italia, pel grano,
non può bastare a se stessa.

Si è detto: l’Italia deve bastare a se stessa, ed è perciò che noi, rilevando la deficienza del grano, censuriamo la politica dei passati Gabinetti fino all’attuale.

Così, e questo affermò qualche iconoclasta di questa parte estrema della Camera, a cui aderì anche l’onorevole Grosso-Campana, e poi, dolciastramente, un uomo radicale, l’onorevole Patrizi, mentre altri oratori radicali da lui si allontanavano, senza contraddizioni tra le precipue finalità comuni del partito.

Tuttavia, ieri sera la Tribuna credè di trovare nel pensiero dell’onorevole Cotugno qualche cosa di opposto a quello dell’onorevole Giretti, mentre questi trovava qualche cosa di diverso tra sè ed il suo correligionario onorevole Pietravalle, il quale, parlando dell’alimentazione, credette bene di esprimere anche la sua opinione in ordine ai dazi, dichiarandosi protezionsta, senza aggiungere per lo meno un aggettivo che frenasse o limitasse il significato della parole «protezionista». Ebbene, devo dire che, se delle note alle nostre sedute continueranno a farsi, anche per me si troverà qual[p. 6 modifica]che cosa che differenzia il mio pensiero da quello dei miei colleghi.

Tutto il nostro partito ha principi fondamentali che costituiscono la grande via sulla quale percorriamo il nostro cammino politico ed a cui uniformiamo la nostra azione ed il nostro pensiero: da quei principî non ci dipartiamo, ed in essi, sovratutto quando questioni politiche e non tecnico-giuridiche si presentano, ci troverete uniti come in un fascio.

Così fummo un fascio quando il presidente Giolitti credette bene di reputare come proprio il partito radicale — per non scinderlo...(Viva ilarità) lo faceva per bene nostro... — avesse premuto sulla sua situazione politica, già esaurita, e dette a voi, signori, che dovreste essere grati a noi, quel dolce potere per cui l’amico Cottafavi ride e sorride. (Ilarità prolungata).

L’Italia deve bastare a se stessa! Questo è un principio che contrasta con tutta la civiltà contemporanea — sostata nella tragica convulsione sanguinosa di oggi, che non può durare a lungo; ed anche quando considerassimo che la Germania dovesse diventare, come la Turchia senza quattrini e senza alimenti, ed in tal caso come potenza militare continuerebbe sempre a combattere e non temerebbe mai lo strangolamento per fame; anche quando questo dovessimo opinare, senza alcun dubbio tratterebbesi di una sosta, una piccola parentesi della civiltà, che non può a lungo ostacolare le grandi leggi dell’economia e della moder[p. 7 modifica]nità. Per ciò noi censuriamo alcune teorie che già si dibattono nelle nostre riviste, giacchè sulla base dello spezzamento, o dell’illusione dello spezzamento, di codeste leggi si viene a dirci: «Occorre, o signori, che nazionalizziamo gli istituti di credito e di traffico; dobbiamo impedire l’afflusso di merce e di capitale straniero accompagnati in Italia da stranieri; dobbiamo in casa nostra pensare alla salvezza di quelle industrie che ci pongano in grado di rendere armonica l’attività italiana con la preparazione militare».

Ed al riguardo si arriva perfino al vecchio Testamento rievocando la leggenda dei filistei contro Israello, comecchè questo popolo non sarebbe stato pronto con le armi, avendone i filistei soggiogate le industrie per l’aguzzamento di zappa, di spada e di vanga: e quando venne il giorno della battaglia fu allora che si accorse il popolo degli ebrei di non avere più la sua potenza nelle mani: esso fu salvato dalla fionda di David, sì, ma, solo, più tardi potette pensare ad armarsi.

Così si vorrebbe anche dire in ordine al grano nel Regno d’Italia; si vorrebbe dire, ma reputo che se, a mente calma e serena si porterà l’esame su uno dei punti che riguardano il pernio di cotesta questione, certo si dovrà andare in avviso contrario.

E codesti signori iconoclasti vorrebbero battere tutta la scienza agraria italiana, comecchè non ci sarebbe alcuno — dal Bor[p. 8 modifica]diga al Giglioli, dal Savastano al Bizzozero; non c’è economista agrario dagli umili fino al Valenti; non c’è neanche in questa Camera alcun componente della grande Commissione di inchiesta sui contadini del Mezzogiorno, dall’onorevole Pozzi al Raineri, dal Nitti al Giusso — che si fosse apposto nel vero quando ha proclamato, ha insegnato, ha detto all’Italia; voi non dovete essere un popolo a coltura di grano superiore a quella che attualmente coltivate in ordine alla superficie.

La superficie d’Italia giunge al 16 e mezzo coltivata a frumento, mentre l’unica nazione che si avvicina a noi, la Francia, raggiunge il 12 percento, ed è la nazione che ha già quasi risoluto il problema del grano, poi giù giù si viene all’Inghilterra e all’Irlanda col 2 per cento, alla Germania, all’Austria col 4 percento, agli Stati Uniti d’America col 7 percento ed alla Russia che perviene appena al 7 percento.

Ora se così è, se l’Italia ha raggiunto il massimo della cultura a grano e gli scienziati, gli uomini avveduti della politica e gli economisti agrari insegnano col dire: fermatevi, altrimenti la produzione sarà a costo crescente, sarà ancor più cara di quanto i mezzi di costo possano consentire, voi allora, sforzando la coltura, danneggereste l’Italia nostra. Quindi il problema si deve porre in un’altra maniera: può l’Italia, data la coltura attuale, sulla base cioè della superficie già coltivata a frumento, può intensificare la produzione per produrre di più? Ecco il problema sul quale noi dob[p. 9 modifica]biamo discutere; e poichè noi veniamo a imbatterci nelle diverse regioni italiane diversamente produttive, veniamo a imbatterci nella constatazione che il dazio sul grano ha potuto giovare sì all’Italia settentrionale, ma ha giovato puranco all’Italia meridionale nei momenti in cui il grano si vendeva sul mercato internazionale appena a 15 o 16 lire, e in cui il costo di produzione era superiore a quello del mercato — così occorre studiare i termini.

Quando l’Italia settentrionale ha potuto usare il concime, i fosfati, essa ha aumentato da nove a quindici la produzione per ettaro unitario; quando ha potuto usarne il Veneto è passato anch’esso quasi al dodici e mezzo; l’Italia centrale che ne ha usato di meno è salita da 6 e 85 al 9, l’Italia meridionale è arrivata appena da 7 a 9 e la Sicilia non è passata che da 6.47 a 6.85, vale a dire ha progredito meno. E ciò sovratutto perché i concimi chimici che si consumano in Italia, toccanti i 10 milioni, si usano per 8 milioni nella Valle Padana e per solo 2 milioni nel resto d’Italia giungendo poi nel mercato meridionale gravati sul prezzo di costo di lire otto in media, da un nolo ferroviario enorme quasi proibitivo, raggiungendo, ad esempio in Basilicata, financo per quintale tre lire oltre 1.50 di più per la vettura.

Vedete dunque che il concime chimico non si può usare nel mezzogiorno, onde quando il Governo d’Italia promette nei momenti difficili alle Società concessionarie [p. 10 modifica]per costruzioni di ferrovie di dar loro sui certificati di lavoro eseguito, prescindendo da tutte le formalità, 50 milioni in anticipo, noi gli diciamo sinceramente: bravo, continuate così! Però date in proporzioni eque, e date sopratutto ai più importanti concessionari, come la Mediterranea.

Allorchè noi dobbiamo scendere ai mezzi per avviare alla soluzione il problema granario, incombente davvero sull’avvenire d’Italia, ci troviamo o ci troveremo d’accordo, trattasi solo di fondi dello Stato: si parli d’irrigazione o di bonifiche, di allacciamenti per mezzo di trasporti o di unità culturale obbligatoria, o anche di sacrifici della libertà circa la proprietà in modo che colui che abbia un fondo incoltivato per un biennio, un quadriennio, debba essere obbligato dallo Stato a consegnarlo a chi possa intensificare la coltura — considerando così la proprietà nella sua alta funzione sociale, non in quella strettamente privata ed egoistica, come il bene supremo al quale l’uomo debba tendere per lo sviluppo della sua libertà e della sua personalità — ebbene tutti possiamo su per giù consentire.

Tuttavia, quando noi si va ad esaminare la produzione del Mezzogiorno, dolorosamente ci troviamo di fronte ad elementi che possiamo poco diminuire, poichè noi non combatteremo mai la siccità la quale vien proprio nei mesi di marzo e aprile quando più il grano ha bisogno dell’umidità, e neanche vinceremo il favonio in Puglia e lo scirocco altrove i quali vengono [p. 11 modifica]più tardi quando la spiga incomincia a biondeggiare.

Se abbiamo, dunque, metereologia assolutamente avversa alla nostra coltura agraria, ditemi di quanto si può aumentare questa produzione nel Mezzogiorno, di quanto nell’Italia settentrionale, in modo che da un prodotto maggiore ci vengano i mezzi per offrire il pane quotidiano a tutti i nostri cittadini?

Quando vi imbattete nella coltura dell’Italia settentrionale trovate già che voi: o dovete sacrificare la terra posta al riposo dell’avvicendamento, o quella destinata al foraggio, o qualche altra coltura, ad esempio delle leguminose, per poter produrre più grano. E si avverta che la sostituzione renderebbe sempre poco, in modo che quando saremo arrivati nell’Italia settentrionale ad avere un aumento di un 5 per cento, sarà già assai, e non vi fate illusione su ciò.

Voi potete nella Maremma toscana e nel Lazio, pel quale già si discute, aumentare un po’ più, senza dubbio, la produzione, ed anche nelle Puglie, dove non è molto rigida la coltura, ma non potrete nel resto d’Italia, dove già si coltiva frumento a un’altimetria di 600 e 700 metri sul livello del mare, non potrete trarre gran che al di sopra delle sementi, come nell’anno passato.

Orbene, se così è, noi, in Italia, siamo stati, siamo e saremo tributari dell’estero: tal’essendo la lezione delle cose. Però mentre [p. 12 modifica]da una parte chiederemo all’estero grano, dall’altra parte noi manderemo all'estero i nostri ortaggi, i nostri vini, la nostra pasta e le nostre conserve che in dieci anni hanno raggiunto l’enorme somma di 40 milioni.

MORANDO: E lo zucchero?

PERRONE: Verremo, se mai, anche allo zucchero che addolcisce tanto la bocca del deputato Giretti.

Io appartengo a regioni dove lo zucchero, in generale, non si prende che per malattia, dove non si consumano i quattro chili per ogni abitante come accade nel resto d’Italia, bensì appena appena uno; a regioni dove se lo zucchero potesse diffondersi (e non si diffonde perché non solo le condizioni sono maggiormente disagiate, ma il consumo vi viene sostituito con le frutta) genererebbe vantaggi: il popolo sarebbe meglio alimentato e associerebbe lo zucchero al grano per dar al corpo quella sanità fisica che costituisce il patrimonio migliore della nostra gente. (Benissimo!)

Ora, se non può nell’Italia meridionale aumentarsi la produzione più del due o del tre per cento raggiungendo un reddito inferiore al cinque o al sei sulle proprie sementi, consegue: che quando in tutta Italia avremo intensificato la cultura — anche seguendo il consiglio dell’onorevole Cavasola seminando quel marzuolo resistito da elementi meteorici naturali — non avremmo che un aumento assai limitato di due o tre [p. 13 modifica]milioni di quintali mentre l’Italia ne ha bisogno di molto di più.

Negli scambi internazionali compreremo grano, compreremo carbone, finchè l’elettrico portabile non lo avrà sostituito; compreremo cotone, compreremo ferro; questa è la triste posizione d’Italia, questo è il nostro problema di ieri e di domani: chi lo sconosce non è un uomo politico, perché il politico ricerca la verità, si ferma alla realtà delle cose; il politico va alla ricerca del possibile e del contingente e non già delle fantasticherie per una produzione di là di quella che consente il suolo del nostro paese: sforzando questo, si danneggieranno le diverse culture e, per altro, reputo che il povero agricoltore resisterebbe anche alla nostra volontà e se si trattasse di un piccolo coltivatore questo ci direbbe: non posso servirvi; io debbo coltivare anche il mandorlo, la nocciuola, gli ortaggi, perchè i frutti e gli ortaggi che manderò all’estero mi renderanno di più; ma il grano no, perocchè mi renderebbe povero e stremenzito nel portafoglio e nella salute della famiglia.


Il mercato dei grani è internazionale.

Un altro punto sul quale gli avversari si sono fermati, e che è stato come il cuore della questione in cui si è tentato anche sottilmente rinvenire colpa a carico del Governo, è il rialzo dei prezzi, intorno a [p. 14 modifica]cui alcuni si sono messi ad almanaccare; alcuni altri hanno affermato contro la verità ed altri, infine, sono andati più lontano, strologando o fantasticando su elementi che non hanno comunanza nel mercato internazionale di oggi.

Ho detto mercato internazionale, perchè proprio quel piroscafo, contro il cui padrone sì è lanciata la grave accusa di pirateria e di ladroneggio, proprio quel piroscafo che allaccia le genti, quel piroscafo che va e viene come spola che trasporta da una parte e dall’altra i beni, che diffonde il benessere, che conquista il tempo e lo spazio avviando le genti verso vie migliori in quanto le accumuna e le affratella, proprio quel piroscafo che ha reso il mercato non più regionale o nazionale, ma internazionale, quel piroscafo su cui si trova il fiore della miglior gente nostra quando va di là — è proprio quel piroscafo che ha diminuito o fugata la carestia, abbassando i prezzi, consentendo a noi di vivere borghesemente e comodamente.

Orbene, questo piroscafo che dicevo ha tramutato il mercato da regionale e nazionale in internazionale, è il nostro migliore ausilio, giacchè nei dodici mesi dell’anno (nel mondo si raccoglie in tutti i mesi) trasporta dall’uno all’altro continente il grano, scema i prezzi e li livella: ond’è la produzione mondiale quella che deve essere risguardata nella formazione dei prezzi. Anzi, non si è avvertito in questo dibattito che è proprio la parte del [p. 15 modifica]prodotto più costoso quella che forma il fattore determinante il prezzo del mercato, in maniera che, per esempio, se noi abbiamo bisogno di un miliardo di quintali di grano i quali si producono con solo 15 lire al quintale, mentre i restanti 200 milioni costano 25, sono proprio questi 25 che premono su quel prezzo inferiore per cui questo tende a livellarsi e a divenire più alto.

Il collega Giacomo Ferri diceva non essere mai arrivato a 40 lire il quintale, come adesso in Italia: vi sfido in un secolo di storia, a trovarmi questo prezzo. Ebbene, accetto la sfida. Legga il libro del Tooke che tratta della storia dei prezzi del grano e troverà che il grano in Inghilterra arrivò a 120 scellini, nel 1800; a 123, nel 1801; a 53 scellini nel 1822; poi, dopo — allorchè l'Inghilterra salita alle altezze magnifiche e mirabili dell’industrialismo moderno s’imbattè in una classe aristocratica terriera, contro cui la classe industriale alleata al proletariato, battè e vinse e venne la famosa libertà e Peel trionfò — d’allora spuntò la nuova êra. E da quell’epoca i prezzi sono stati discreti fino al 1876, indi sono discesi fino al 1890 e sono risaliti poi fino al 1915.

E se il collega Giacomo Ferri avesse la storia guardato, avrebbe per l’Italia trovato il grano a lire 38.50 nel 1873, a lire 39.50 nel 1874, allorchè si diffuse nell’Italia meridionale l’espressione: «Si è ridotti a pane di carabiniere», volendosi indicare che il ricco e l’ammalato potevano solo comprare e mangiare pane fine e bianco a sì caro prezzo. [p. 16 modifica]

Ebbene, se si fosse guardata così la storia considerando come le 39.50 del 1872 corrispondono a 51.50 di oggi — tenuto conto della moneta — non si sarebbe venuti in pieno Parlamento ad affermare delle cose con tanta sicumera e a lanciare sfide come se fossimo al caffè.


La tendenza al rialzo dei prezzi:
sue cause.

Tuttavia, quel che sciaguratamente è grave, non per noi bensì per il mondo intero, viene costituito dalla tendenza al rialzo. Perchè quando un senatore, protezionista come lo vorrebbe l’onorevole Pietravalle contro Giretti, Alessandro Rossi di Schio, tentò d’approfondire la questione dell’altezza dei prezzi di questo grande, fondamentale alimento della patria nostra, volle provare come si presentasse il mercato degli Stati Uniti ed affidò il mandato ad un altro Rossi, l’Egisto, il quale andò colà, studiò, scrisse un magnifico libro e dimostrò come gli Stati Uniti d’America, in tre Stati specialmente, il Kansas, il Minnesota e il Nebrashka, avevano nel periodo dal 1870 al 1880 aumentata la produzione perfino dal 114 all’875 per cento.

Eppure erano culturati in ciascuno di questi tre Stati soltanto un milione e mezzo di acri dei 50 o 51 di cui ciascuno, su per giù, è territorialmente costituito.

Allora si disse: è un tesoro inesausto questo grano, ben venga e ci inonderà. Ma [p. 17 modifica]più tardi ci si rispose: siete in equivoco, il popolo americano cresce di continuo, siamo già a cento milioni, il popolo americano ha puranco bisogno di un consumo maggiore. Di fatti accadde che gli Stati Uniti i quali mandavano nel 1894 in Italia il 41 per cento del prodotto; più tardi fino al 1906 mandarono il 16 per cento, e in anni a noi vicinissimi, solo il 14 per cento: il resto serviva al consumo delle popolazioni americane.

Presentemente: chiuso il mercato del Danubio, chiuso il mercato del Mar Nero per effetto di un brigantaggio che auguro al mio paese ed al mondo europeo non mai più si verifichi, sui Dardanelli, era inevitabile che quei due terzi che venivano in Italia a sfamare noi medesimi ci siano venuti meno; allora che cosa doveva fare il Governo?

Prima intanto, di dare una risposta, o signori, amo dirvi come anche in questa Camera si sia affermato qualche cosa di inesatto quando si è detto che gli Stati Uniti possono rifornirci, e quando si è aggiunto che ci poteva rifornire l’America meridionale e specialmente l’Argentina. No: quivi il divieto di esportazione è durato fino al 24 dicembre del 1914; allora soltanto il decreto è stato sostituito con un altro che ha facilitato l’esportazione. Quando si è visto il raccolto dell’Argentina e si è trovato che era di 50 milioni di fronte ai 35 dell’anno precedente, allora si è detto: possiamo esportare e dare all’Italia e all’Europa tutto quella di cui hanno bisogno per sfamarsi; [p. 18 modifica]noi riceviamo gli uomini loro che lavorano la terra e la fanno produrre, orbene queste braccia produttrici abbiano da noi il modo come vivificarsi e come ritemprare la loro fibra: prendete dunque il grano che volete.

Ed allora è accaduto che il Governo ha compito un errore di metodo, come vedremo da qui ad un momento. Dicevo: la tendenza al rialzo dunque è ineluttabilmente diretta a persistere; e tale tendenza dobbiamo tener presente perchè non sarà con i nostri lagni e con i nostri lamenti che arriveremo a vincere la risultante del mercato mondiale.

Discutiamola: — è bene che anche il Paese ciò sappia; il Paese non ha il diritto di ascoltare soltanto coloro che apparentemente paiono i difensori dello stomaco suo, no; ha anche il compito di apprendere la verità se crede, e se non crede, ce ne rincresciamo continuando egualmente il nostro dovere.

La tendenza si volge al rialzo. Un problema è stato già posto nel mondo e lo ha discusso anche l’onorevole Luzzatti che in questa materia è maestro. Eccolo: è apparente o è reale questo rialzo?

Si è opinato da taluni studiosi che sia apparente perchè il rialzo dipende dall’aumento dell’oro; è poichè ogni rialzo viene dalla variazione della moneta e dal quantitativo suo, diminuendosi per effetto dello sfruttamento delle miniere, la potenza di acquisto dell’oro, ne viene di conseguenza l’aumento di ogni genere e quindi anche del grano. [p. 19 modifica]

Si è risposto: ma no, voi siete in errore; se fosse stato così noi non ci troveremmo a questo punto, perchè avremmo dovuto imbatterci in una duplice condizione di fenomeno: a) la univocità della voce mercè il salire o il discendere dei prezzi delle mercanzie a seconda della variazione della moneta; b) l’ascesa continua dei prezzi per virtù dell’oro accresciuto.

Invece troviamo articoli che aumentano e articoli i quali rinviliscono: prova ne sia il caffè che diminuisce mentre il grano cresce; il cuoio che cresce di prezzo, mentre i metalli diminuiscono, fatta eccezione per lo stagno e per il piombo.

Dunque, neppure a questo può invocarsi aiuto: anzi mi pare che proprio l’illustre maestro, l’onorevole Luzzatti, sostenesse una volta all’Accademia dei Lincei questo, proprio. Signori, l’oro che, per 21 miliardi, abbiamo raccolto nel mondo in solo dieci anni, quest’oro per 5 miliardi è preso dalle industrie artistiche, dagli abbellimenti delle nostre signore soprattutto, — e anche degli uomini, aggiungo io, perchè vedo qua tanta gente che porta catene e bottoni d’oro (Ilarità); altri dieci vanno nelle casse delle Banche di emissione come riserva, e di là i direttori, carabinieri di guardia confe Miraglia, non c’è cristi che ne facciano prelevare; infine, gli altri 6 miliardi che restano, in proporzione di 600 milioni all’anno, corrono nella circolazione. Ma che cosa è questa modesta quantità di fronte agli investimenti ferroviari, [p. 20 modifica]alle attrezzature dell’industria e del traffico moderno? È niente. Poi quando considerate, che l’argento è venuto insieme all’oro ad aumentare la ricchezza, e quando si considera che vi è nel mondo la carta e i titoli di credito che hanno facilitato le trattazioni di affari, come rappresentativo dell’oro e della medesima moneta, oh allora, s’avverte l’errore dell’apprezzamento spiegativo.

Dunque, non è per le variazioni di moneta che accade il rialzo. Perciò, sottovoce ben rispondeva, ieri, dandone la spiegazione l’onorevole Giolitti — che siede qui al mio fianco, parlando col suo amico di sinistra, come mi onoro io in questo momento... (Si ride) quando il collega Giretti parlava — dicendo: ma questi, poi, perchè non vuol tener conto del consumo? Ed aveva ragione, perchè uno degli elementi fondamentali che hanno prodotto il rialzo dei prezzi in tutto il mondo (e l’ha prodotto sempre) è l'aumento del consumo. Prova ne sia che il consumo è salito in Italia da 118 come era nel 1894 a 158 presentemente; dico presso di noi, ma del pari in altre nazioni è cresciuto il consumo.

Un’altra delle cause gravi spiegativa di siffatta tendenza al rialzo continuo del prezzo del grano si ravvisa non solo nel continuo aumento di consumo, bensì nella diffusione dell’uso di tale alimentazione. Ad esempio: nella Russia comincia a diffondersi maggiormente questo consumo, nella Germania ancor più, e dovunque prima si mangiava [p. 21 modifica]la segala, la mandioca o altro, ora ne comincia l’uso come in Asia.

Dunque tutte le nazioni, o molte, ci fanno una enorme concorrenza, pur non essendo produttrici di questa merce preziosa.

Sussistono altre cause che aggravano cotesto rialzo... (Interruzione).

Ma io sono lietissimo delle interruzioni, rassicuratevene.

Per esempio questa: aumenta, sì, la produzione del grano, ma l’aumento avviene a costo crescente, cioè che per prodursi occorre lavorare il terreno meno fertile, meno vicino ai porti, meno vicino alla stazione ferroviaria e per contro privo di capitale investito o investibile nell’attrezzatura, privo d’intelligenza, privo di meccanismi i quali già si trovano presso altri Stati avanzati e progredienti in un grado simile al nostro di civiltà.

Ebbene, se il costo è maggiore, vano è che in questo Parlamento andiamo proclamando che l’Italia possa bastare a sè stessa e che il mercato internazionale non ci debba aiutare.

Si aggiunga a ciò un altro piccolo fattore che in rincontri diviene grave: e cioè, che il punto di trasporto è diverso; ed altro è il trasporto dall’Oriente, dal Danubio, dal Mar Nero a Napoli od a Genova, ed altro è il trasporto ad esempio, del Manitoba dal Canadà. Ora, quando aggiungete l’enorme nolo che viene a gravare sui trasporti, oh, [p. 22 modifica]allora voi troverete il grano, nel mercato internazionale, ad un prezzo che non sarà mai più quello che fu nel passato.

Consegue che noi dobbiamo augurar sempre a noi stessi a che l’Italia superi difficoltà per una più alta unitaria produzione, al fine che possa intensificare gli scambi coi popoli, e con più viva lotta perforare la natura avversa e vincere gli ostacoli che si oppongono per beneficare la gente e diffondere il benessere nello Stato. (Il deputato Facta si muove presso Giolitti per uscire). E qui c’è qualche cosa che interessa proprio lei, onorevole Facta. (Ilarità).


Le speculazione sulle bollette
di temporanea esportazione.

Due socialisti, di cui credo che uno sia riformista, e l’altro ufficiale (non lo so bene ancora, per quanto io cerchi di studiare la posizione dei gruppi in questa Camera), (Si ride) l’onorevole Ferri e l'onorevole Dugoni, hanno affermato che il rialzo dei prezzi è pur dovuto alla speculazione e poi al giuoco delle bollette di temporanea esportazione.

Ecco la cosa che riguarda lei, onorevole Facta. (Ilarità).

FACTA. No: non sono al Governo.

PERRONE. Lei è uno dei validi rampicanti, e, perchè ancor giovane, lei andrà e ritornerà... (Viva ilarità).

PRESIDENTE. Onorevole Perrone, non divaghi; e continui!... [p. 23 modifica]

PERRONE. Onorevole Presidente, ella ha visto che la Camera è stata intrattenuta, per tre giorni, ad ascoltare letture di cifre e lunghi discorsi, lasci che, in questo momento, goda anche un po’ d’allegria... (Ilarità).

PRESIDENTE. Ma niente affatto!

PERRONE. Accade questo fenomeno che ancora non si è molto compreso: e cioè che, da quando si è felicitato il pubblico italiano col dazio, cresciuto da lire 1,40 a 3 lire e poi più tardi ancora a 5; e poi quando venne il grande tassatore, l’onorevole Sonnino, dicendo: occorre che il popolo paghi i due decimi sulla fondiaria, e per riparare al grande disastro della nostra finanza, deve darmi il 20 per cento sulla imposta di ricchezza mobile, ed anche il 7.50 sul grano importato, e la Commissione parlamentare accettò questo aumento con l’altro, ma soppresse i due decimi — d’allora crebbe sempre più una speculaziore curiosa.

Ecco come questa si svolge.

I pastai hanno creato in Italia una magnifica industria, benchè non siano arrivati alla perforazione dei mercati, uso tedesco per cui lavorano i consoli, gli uomini di affari, i direttori delle banche — è maraviglioso il sistema bancario, creato da quel popolo nel mondo, e di questo sistema a suo tempo potremo parlare — non siano, dico, pervenuti ai metodi tedeschi, pure hanno organizzato una bella industria quasi coeva all’emigrazione. [p. 24 modifica]

I pastai non hanno sempre quattrini. Essi per la loro industria non si rivolgono alle banche, ma si rivolgono al capitalista modesto e gli dicono: anticipate in rendita la cauzione al Governo; noi macineremo della farina, faremo maccaroni e li esporteremo all’estero, e riesportando, noi faremo il discarico sulla bolletta, ed allora vi pagheremo due soldi, quattro soldi a quintale, di guisa che questo capitalista può guadagnare ad esempio su dieci mila lire prestate come cauzione, in dieci giorni o venti, 500 lire come premio.

Questo capitalista prende la bolletta di esportazione temporanea e la consegna al pastaio, il quale si presenta alla dogana e dice: scaricate questa bolletta. Scaricando la bolletta per la quantità di grano importata si riceve la restituzione del dazio.

Senonchè, quando questo pastaio va alla dogana, accade che la dogana eleva un dubbio e dice: in questa pasta o farina c’è un po’ più della quantità prescritta di cenere o di tritello. Allora bisogna andare al gabinetto chimico di Napoli, Genova, Catania, ecc., il quale dice: No, s’è nei limiti, restituite il dazio. La dogana risponde: No, vado a Roma; e il gabinetto chimico di Roma dice che non s’è nei limiti. Allora tra la chimica di Genova e la chimica di Roma sorge un conflitto a favore del fisco, che incamera la cauzione e denunzia il reato.

Ed accade questo fatto che la legge doganale, prescindendo dalle persone, guarda [p. 25 modifica]il rapporto in sè e dice: Esportate la pasta, io vi tutelo e vi restituisco il dazio, chiunque voi siate, se siete in regola. Il capitalista vuole ritirare la cauzione e la dogana gli risponde: non posso darla perchè è sorta una questione; allora quegli, va davanti al magistrato civile citando il pastaio per la restituzione del dazio o pel risarcimento del danno e il magistrato gli risponde: Atteso che siamo in una questione di diritto pubblico; atteso che qui non c’è azione in giudizio, perchè voi, capitalista, siete entrato in un rapporto in cui non dovevate entrare, per aver ceduto la bolletta di esportazione, creata contro i fini di legge, quantunque non ci sia un’azione penale contro di voi, io dichiaro l’azione inammissibile; onde il capitalista non può rivolgersi contro il privato pastaio nè contro lo Stato.

D’altro canto viene fuori un’altra questione. Il magistrato penale, cui la finanza ha denunziato il titolare della bolletta pel reato contravvenzionale o di contrabbando, dichiara l’inesistenza del reato, perchè tra la chimica di Napoli e quella di Roma non può consentire che quella di Roma affermi sempre la verità, quantunque a Roma vi sia il Papa.

Ne consegue una duplice gravezza di rapporti d’immoralità e d’illegalità che non trovano soluzione d’uscita: perciò invito il Governo a penetrare questo fenomeno ed a porre dei freni, nel senso che si apporti modifiche alla legge: o rendendo lecita la speculazione o vietandola in modo assoluto. [p. 26 modifica]

Però, dopo questa digressione giuridica, mi si consenta di rispondere alla domanda che più interessa il nostro dibattito. Questo giuoco, come è stato chiamato, questa speculazione delle bollette di temporanea importazione, pesa sul rialzo del grano? Niente affatto: essa riguarda la pasta che si manda all’estero, non già il commercio del grano, talchè, siccome al dazio di 7.50, si aggiungono spese di cambio, statistica, carico e scarico e della trasformazione in pasta, così arriva a dieci lire al quintale, deriva: che per la restituzione del dazio, la merce diminuita di dieci lire, se ne va all’estero, nelle competizioni internazionali. Così l’industria della pasta ha potuto progredire meravigliosamente nella plaga napoletana, siciliana, genovese dando vita a una delle più belle e fiorenti produzioni industriali.

Dunque: la speculazione delle bollette di temporanea importazione grava l’estero non il mercato italiano, non pesa affatto su noi consumatori di pasta.


Il mercato dei noli
premente su quello dei grani.

Ed entriamo in un altro campo: dalla scena terrestre passiamo a quella marittima.

Voi lo avete inteso. Giacomo Ferri affermò che la nostra marina ha i proprietari pirati e ladroni. [p. 27 modifica]

Più tardi è venuto Dugoni ed anzichè ripetere la medesima frase ha affermato essere talvolta accaduto come un piroscafo costato 150 mila franchi si sia per uno o due viaggi riscattato.

Ebbene, io ho un dovere da compiere. Appartengo alla parte mediterranea dell’Italia meridionale, alla Basilicata senza mare.

Non ho alcun interesse regionale, nè tampoco personale, e ciò premetto perchè sento piena nell’anima la sensazione di un dovere, quello di difendere una delle industrie più belle e più meritevoli che abbiamo.

Io consento pienamente con coloro i quali hanno detto e dicono che i 33 o i 34 milioni che noi paghiamo alla marina (24 nel bilancio dell’anno decorso, 25 nel bilancio di quest'anno, più i 6 milioni per i compensi di costruzioni e i 2 milioni e 300 mila lire alla marina libera) non siano ben piazzati, e sopratutto non siano ben destinati. Lasciamo stare! Se dovessimo entrare in questa quistione (e forse verrà il tempo) io non so se noi non dovremmo dire che il Parlamento in alcuni momenti non è stato all'altezza della sua situazione.

In alcuni momenti esso ha voluto, per esempio, sepellire un progetto Schanzer che meritava davvero studi, e positivi; ha voluto più tardi anche demolire un progetto (io non parlo della presidenza Giolitti, perchè essa ha tanti onori... io nomino sempre i suoi luogotenenti) il progetto dell’onorevole Bettolo sui supplementi di noli; e poi [p. 28 modifica]dopo un altro di un ammiraglio; e poi un altro della Camera di commercio di Venezia. Si fece tutta una giustizia sommaria perchè il dovere parlamentare in quel momento imponeva una provvisorietà; ed ecco lì Luzzatti, l’uomo degli espedienti, l’uomo che ha nella vastità della mente e dello spirito suole risorse davvero straordinarie... e così avesse avuto o avesse pari a questa forza di mente la forza del carattere... (Ilarità) carattere politico, s'intende.

Scoppiata la guerra si è trovata la nostra marina mercantile così: quella transoceanica fortissima, agguerrita con sette possenti compagnie italiane, di cui dobbiamo davvero sentirci onorati. A queste noi non diamo un soldo, tranne, mi pare ad una per il Centro America. La guerra ha trovato potenti quelle compagnie transoceaniche; ma la potenza a quelle compagnie non l’ha data il bilancio dello Stato, l’hanno data i brandelli della Basilicata, della Calabria e delle Puglie; l’hanno data gli emigranti meridionali che costavano dal 1901 al 1905 alle compagnie 85 centesimi, mentre ad esse pagavano molte lire al giorno.

La potenza l’ha ad esse, indirettamente accresciuta, il Commissariato dell’emigrazione che — sotto il manto grandioso di tutelare gli emigranti italiani, cioè la miseria della patria nostra che andava altrove a lavorare la terra, a cavar l’oro dalle miniere, ad aumentare nel mondo la ricchezza, a crescere il benessere presso gli altri per poi rimandarne in patria una piccola parte attra[p. 29 modifica]verso le rimesse — sotto tal grande divisa sentimentale, ha protetto la marina mercantile! Malauguratamente non ha protetto la nostra marina mercantile soltanto, ma le ha protette tutte, inspirandosi a un senso di legge, di dovere internazionale e forse anche a un po’ di paura, perchè quando si negava una licenza al rappresentante o una patente a un vettore, oh allora, l’ambasciatore — non già Marshall che andava su una piccola barca quando la Turchia non voleva fare scaricare un piroscafo di materie chimiche temendo incendi e distruzione del palazzo del Sultano, non era Bülow che ora ammanta di sua grande potenza i pupilli d’Italia; no — un qualsiasi altro ambasciatore, reclamando, veniva ascoltato: per altro così è stato anche per gli ambasciatori dell’Inghilterra e della Francia, in modo che la casa nostra l'abbiamo protetta ma non quanto avremmo potuto e dovuto proteggerla.

PRESIDENTE. Veda un po’, onorevole Perrone, di non scostarsi tanto dall’argomento. Avrà tante occasioni per parlare della marina mercantile, dei vettori, degli scarichi e di tutto quello che vorrà!... Venga dunque alla questione!

Voci. Ci verrà.

PRESIDENTE. Vi arriverà, lo so, ma per una via lunga; e quando parlerà del- l'aumento dei noli.

PERRONE, No. Noi abbiamo due doveri: quello di non lasciare parole imprudenti senza risposta e l’altro di rendere all’at[p. 30 modifica]tuale Governo una modesta collaborazione, facendogli lietamente trapassare questa settimana. (Si ride).

PRESIDENTE. Non credo che il Governo voglia questi perditempo; ma sono certo che non li desidera il Paese. Negli altri Parlamenti non si scantona tanto.

PERRONE. Ciascun Paese ha la loquacità che il suo popolo porta nel Parlamento.

La guerra trovò la nostra marina mercantile disorientata e disorganizzata, quella marina alla quale diamo 25 milioni all’anno. Come poteva questa marina essere sicura di sè, quando tutto l’Adriatico era minato?

Poche ore fa, quando lei non c’era, signor Presidente, qui vi sono state varie interrogazioni sugli esplosivi che impediscono ai nostri operai di lavorare nell’Adriatico. Vi sono ancora delle mine e il Governo italiano ha dovuto ordinare la traversata in convogli con mitraglie che precedono di 50, di 100 o 200 metri per allontanare le torpedini.

L’Adriatico è stato sempre da noi trascurato, meno una sola volta che il Parlamento si manifestò sensibile verso la Società Puglia; ma abbiamo danneggiato Venezia mettendo tutto l’Adriatico in mano dell’Ungheria e dell’Austria, talchè non abbiamo linee di là dallo stretto di Gibilterra e del canale di Suez per cui solo passa la marina austriaca.

Giova però avvertire che ora il nostro Governo fa esperimenti per il Nord America. [p. 31 modifica]

Perciò, quando la navigazione si è trovata in queste congiunture ha dovuto necessariamente rintanarsi nei porti e subire le alee delle condizioni marittime: di qui l’elevazione dei noli. Ecco, come vengo a lei, signor Presidente. (Si ride).

L’elevazione dei noli non solo è dipesa da questa condizione di cose, non solo dal blocco e dalle mine che furono poste in tutti i mari e in tutte le coste dei belligeranti, ma, anche e sovrattutto, da una violazione fatta dagli inglesi a danno del libero commercio. Se un giorno la storia farà pagare assai cara al mondo tedesco la violazione dei trattati, definiti carta straccia, quel giorno anche sarà scritta una pagina contro l'Inghilterra che non aveva il diritto di esercitare la visita sui piroscafi neutrali che partivano da porti neutrali, portando merce a paesi neutrali. Era questa la legge dell'Aja e la convenzione voluta dall'Inghilterra, accettata, tacitamente, da noi e da tutti. E l’Inghilterra, che non aveva quel diritto, è andata anche più in là.

È vero che nella legge non è fissata la zona del diritto di visita; ma essa non aveva la facoltà di trascinare i nostri vapori, a Gibilterra, come la Francia non aveva il diritto di trasportarli a Tolone, e se pure avesse avuto quello di fare scaricare sulla banchina il rame — di cui il Governo italiano aveva già proibito la riesportazione — certo non possedeva l’altro di trattenere, facendo [p. 32 modifica]trasbordare i passeggieri su altre navi, e così perdere tempo e denaro.

Ecco un altro elemento che ha pesato sul costo dei noli e che inevitabilmente si è ripercosso sul commercio del grano.

Quando dal diritto di visita si passa a quello di cattura, e poi al rincaro nel mercato dei carboni e delle provviste, degli olii e dei lubrificanti; quando si passa ad osservare lo stato d’incertezza — mentre gli armatori vanno in cerca della pace — oh, ditemi voi se codesti prezzi dei noli non dovevano salire. Il tonnellaggio navale in tutto il mondo, dopo la sottrazione di quello germanico ed austriaco, è ridotto al 33 per cento, il che importerebbe da solo un aumento di due terzi sui noli; onde non c'è da meravigliarsi se i tre scellini per quintale siano arrivati ad undici o i 21 per tonnellata siano saliti a 70. Non siamo noi a fissare i prezzi specie quando gli scambî sono ridotti ed in anarchia e in paura si svolgono.


La fantasia nel rialzo dei prezzi.

Ma venne ieri l’onorevole De Felice a sbalzarne (Ilarità) una anche più grossa: i grani sono rialzati nelle Americhe perchè il generale Pagani e la sua Commissione non sapevano l’inglese. Immediatamente, perchè sotto questa grave impressione non rimanesse il Parlamento, avvenne lo scatto sensibile del ministro della guerra, il quale, onorando il posto in cui siede, si alzò, senza [p. 33 modifica]consigliarsi coi colleghi a difesa del proprio Governo. Quarant’anni, disse, di vita intemerata nel Pagani quale commissario e conoscenza perfetta o quasi dell’inglese in chi lo accompagnava, dimostrano alla Camera come sia una fiaba quella narrata dall’onorevole preopinante. (Si ride).

E io augurerei che oggi stesso altri che qui siede, o lo stesso ministro, dica altrettanto per quei contratti relativi al noleggio, che sarebbero stati rescissi dal Governo. Però notate che anche quando la rescissione non fosse seguìta per cause superiori e note, basterebbero le osservazioni che presento alla Camera per indurne l’irresponsabilità del Governo.

Un contratto di noleggio per venti piroscafi con la Federazione degli armatori avrebbe stretto e rescisso il Governo, mentre era a buone condizioni, così diceva De Felice. Però, io pensando che tal Federazione non è un ente giuridico avendo disponibilità di vapori per cui non può contrattare, ebbi un dubbio e ragionai così: ma come, il Governo fa un contratto di venti piroscafi per il trasporto del grano? Se il grano non l’ha comprato, le navi restano a Genova per un mese; poi devono viaggiare in zavorra fino all’America meridionale, e il carbone chi lo paga?, quel carbone che fa duplicare il prezzo dei noli tra l’America del nord e l’America del sud? Come, il Governo sarebbe stato così cieco? [p. 34 modifica]


Un vero errore del Governo.

È vero che il gabinetto italiano presente come ha un sacro egoismo, ha puranco un sacro terrore per un articolo del Codice di commercio, e sono dolente che l’onorevole Orlando, il quale adesso è arrivato per felicitarci (Si ride), non abbia proposto oggi alla Commissione che esamina il progetto negli Uffici proprio l’abolizione dell’articolo sette del Codice di commercio che dice «lo Stato e i comuni possono fare atti di commercio pur non acquistando la qualità di commerciante».

Nonostante questo articolo, il Governo italiano ha un sacro terrore nel fare atti di commercio: esso si chiude nella cerchia della sua burocrazia e non c’è più santi.

Il Governo possiede il potere di commerciare; però quando esso deve fare il commerciante, guidato come è dalla sua burocrazia, non può farlo perchè questa lo inceppa e lo incatena.

Ecco la ragione per cui in America settentrionale va un generale e nella meridionale va un commendatore, mentre il Governo avrebbe dovuto chiamare cinque o sei intermediari grossisti, rappresentanti delle grandi case di commercio granario, e dire loro in segreto, senza Agenzia Stefani, senza Giornale d’Italia, senza Tribuna (Ilarità), proprio così: io vi do la croce, la commenda (Ilarità), vi pago quello che voi vorrete, avrete la vostra mediazione, avrete anche la benevolenza del Governo, ma siate [p. 35 modifica]cortesi, collaborate con me per l’onore, il prestigio e la salvezza dell’Italia in questo tragico momento.

Così avrebbe dovuto fare, chiamandoli, lusingandoli, o, col potere dell’autorità, minacciandoli, e avrebbe dovuto trarre da costoro tutta la personale attività per la soluzione di questo grande problema contingente e momentaneo di deficienza nel fabbisogno odierno che gli si presentava nella crudezza e tristezza allarmante.

Qui è un suo torto, ma è da reputare che sarebbe stato lo stesso se un altro Governo si fosse trovato a quel posto. Perocchè sciaguratamente noi abbiamo questo grande polipo della burocrazia i cui tentacoli afferrano il Governo e lo soffocano e l’aggrovigliano così come s’avviticchiano nel fondo del mare le membra umane, precipitate dai piroscafi silurati e sprofondati, con i tentacoli dei grandi polipi.

Gli antichi, pare, ne sapessero più di noi: avevano raffigurato un unico Dio ai ladri e ai commercianti: Mercurio.

L’abilità, la sagacia, la finezza, la souplesse, la sottigliezza e qualche volta, anche la marioleria e la bricconeria che si sprigionano da un cervello adusato non alle battaglie dell’attività parlamentare ma alla vittoria per la conquista della lira, sono virtù, risorse e doti necessarie negli acquisti e negli scambi: esse sono possedute dai mercanti e non dai commendatori burocratici. [p. 36 modifica]

Se il Governo avesse fatta questa considerazione sugli uomini avrebbe trovato il modo di risolvere il problema, e meglio avrebbe provveduto, e non sentirebbe ora da noi l’imputazione di colpa, di tardanza, e di malfatto.


La requisizione delle navi.

La Camera parla da quattro giorni di censimento, di consorzii, d’approvvigionamenti straordinari senza riflettere alla mancanza di Silos e di magazzino, e di requisizioni di grano; ma ho sentito anche da questa parte due volte invocare la legge sulla requisizione delle navi, il che è cosa più facile a dire che a praticare con felici risultati.

Lo Statuto prima nell’articolo 29, il Codice civile dopo, e, infine, l’articolo 7 del contenzioso amministrativo, consentono l’espropriazione della proprietà e la requisizione. Anzi, voi che mi avete preceduto in Parlamento, avete votato due leggi, quella del 1908, e l’altra del 1910, con cui avete dato poteri al Governo di noleggiare e requisire navi — ciò che poi non s’è statuito per la società olandese — ebbene a che invocate leggi nuove?

La requisizione è affare delicato.

Vi sono stati armatori che hanno detto al Governo: «Se voi farete questo, le navi non torneranno più. Qualcuna dismetterà la bandiera italiana; noi siamo troppo angariati, specie noi della marina libera, da [p. 37 modifica]codesti tanti vostri provvedimenti. Noi andremo via».

Ciò nondimeno, il Governo ha fatto più tardi un decreto con cui ha parlato di requisizione e contemporaneamente di noleggio: in effetti, ora credo che esso stia facendo noleggi.

In quel decreto vi è un articolo in cui egli in fondo è venuto a dire: «Se sorge contesa, abbasso i magistrati. I magistrati vanno a lungo; non voglio arbitramenti che più tardi sono attaccati di nullità; non voglio annullamenti di questi. Il ministro di sua autorità deciderà sulle contese eventuali relativamente al prezzo di codesti noleggi o al contributo per le requisizioni.

Il Ministero assume la responsabilità e decide con decreti inappellabili ed irricorribili, perchè siamo in questione politica non in questione giuridica. Vi darò il nolo sulla base di 15 giorni anteriori al contratto di noleggio, o alla requisizione, una commissione giudicherà, e voi siete garantiti. Rassicuratevi, il Governo italiano non vorrà espropriarvi».

E ha fatto bene.


Il rialzo dei prezzi e la “Corn Association„

Però qui cade l’opportunità che io rivolga una preghiera al ministro Orlando, preghiera che ho taciuta, perchè egli prima non v’era. [p. 38 modifica]

Come è stato felice chi ha redatto questi decreti e ha pensato all’inappellabilità e irricorribilità sulla fissazione dei prezzi, così avrebbe dovuto pensarsi a questo che ora rilevo.

Il commercio internazionale dei grani è regolato non da un contratto in cui la libera volontà delle parti si esplica e si consacra nella forma scritta, ma è regolato e stilato in inglese, e vi è una clausola per cui l’intermediario o rappresentante o acquirente dei grani deve andare, in caso di divergenze, dinanzi ad una Commissione arbitrale in Londra. È quella clausola che, nella Corn Association, regola e disciplina i rapporti del contratto privato.

Questa clausola ha enorme importanza sul mercato dei grani, perchè quando il commerciante italiano, o intermediario o grossista o rappresentante riceve con la polizza generale accompagnata da questo documento, il grano, e poi lo suddivide attraverso il titolo nuovo che si chiama delivery order — il che è pratica del commercio inglese all’ingrosso, del grande commercio americano fatto nei trasporti a grandi masse, per cui le grosse quantità trasportate vengono poi così frazionate e consegnate attraverso il giro di questo titolo, che è una figliazione della polizza, — può incontrarsi in una serie di questioni sia tra venditori originali e compratori primi, sia tra questi e i successivi per qualità, quantità, prezzi. Le prime come le successive contrattazioni si riportano e richiamano la clausola d’arbitraggio. [p. 39 modifica]

Quando si verifica che la qualità non è buona, o che c’è stato errore nel pagamento dei noli, o nasce una contesa sull’aggio si deve andare alla Commissione di Londra: così di recente è avvenuto quando il grano arrivò nei nostri porti e invece dell’aggio del 5.75 per cento fissato dal decreto, si pretendeva il 12 o il 13 per cento sulla piazza di Napoli; così del pari è accaduto per lo storno dei contratti e per la deviazione del destino di alcuni piroscafi diretti in Italia prima; così per la clausola del certificate inspection relativa a qualità e condizionamento, e via. Dinanzi al magistrato, presso cui pullulano le cause, basterà sollevare la questione giurisdizionale e ne viene l’eventuale abbandono di causa. Non tutti possono andare a Londra, farsi colà difendere e, per giunta, in tempi di guerra.

Tal fatto, cioè la mancanza di legge difensiva e, più che di leggi, di Magistratura, ha effetto sul rialzo dei prezzi dei grani.

Basterebbe un ritocco alle leggi per cui si statuisse obbligatoria la giurisdizione italiana e la competenza nel luogo della consegna o dell’esecuzione contrattuale.


Appunti diversi:
Abolizione graduale del dazio — Trattati.

Ho detto che non avrei fatto un discorso e non l’ho fatto. Mi sono fermato su tre punti fondamentali, per rispondere a coloro che hanno una causa magnifica da sfruttare [p. 40 modifica]dicendo al Paese: Noi siamo andati a difendere in Parlamento la vostra pancia, il vostro stomaco. Avete sentito la voce grossa che abbiamo fatto!

Noi apprezziamo le buone intenzioni e consentiamo con essi. Però volendo, potremmo rilevare fatti concreti da cui può trasparire la responsabilità del Governo; per esempio: quando il Ministero ha diminuito da 7.50 il dazio a 3 lire non ha pensato a diminuire la farina. (Interruzione del ministro delle finanze).

Non proporzionalmente, onorevole Daneo, perchè lei l’ha diminuita a 4.60, mentre invece avrebbe dovuto diminuirla a 5.25; ella ha fatto così una protezione eccessiva all’industria molitoria a tutto danno dei cittadini consumatori.

Potremmo proseguire elevando altri piccoli appunti, ma tacciamo osservando che un problema così grave non può con un solo provvedimento essere risoluto, e in breve tempo.

Potremmo e dovremmo dire, in ultimo: Tenete a mente, o uomini di governo, confortatori di coscienze turbate, il momento del ripristino del dazio. Non lo ripristinate integralmente; iniziate l’abolizione parziale graduale. Per ogni abitante, dato il consumo italiano, il tributo del dazio raggiunge circa lire 68 — non già 44 come dice Colajanni considerando lire 11 per ogni cittadino sul consumo medio per abitante in chilogrammi di pane 156 e tanto meno 38.50 considerando il tributo a lire 9.50 — 68 lire [p. 41 modifica]all'anno per una famigliola di quattro persone. Il suffragio allargato e le attuali contingenze ciò, o altro di analogo, reclamano: pensateci.

Occorrono molti provvedimenti: occorre una politica lunga, continua per difendere la produzione italiana e sopra tutto l’agricoltura, rivolgendoci alla difesa dell’attrezzatura dell’industria e dell’agraria.

Quando andremo alle competizioni nei rapporti internazionali, quando andremo ai trattati di commercio, di cui adesso non possiamo occuparci, allora potremo rilevare le incongruenze del passato; potremo rilevare alcuni errori nostri e la sagacia della mente tedesca la quale, nel trattato del 1904, è arrivata ad infiltrare un piccolo inciso per cui è diventata padrona in casa nostra relativamente ai favori da estendersi anche ai tedeschi se fatti agli italiani in materia ferroviaria; così del pari, quando a pochi chioggiotti pescatori si è dato il diritto di esercitare il cabotaggio e di andare a pescare nelle acque dell'Austria, concedendole un cumulo di vantaggi; ma ora non è il tempo.

L’equo malcontento distribuito è quello che deve informare i trattati di commercio? No. Perchè un trattato abbia più equivalenza reale, occorre che abbia equivalenza di effetti, abbia le compensazioni nelle utilità economiche e non abbia la forma scritta soltanto, non abbia l'eguaglianza semplicemente di forma. [p. 42 modifica]


Conclusione.

Ponderiamo anche noi, ancor meglio, i rapporti del nostro commercio, collaboriamo col nostro Governo affinchè, divenendo l’attrezzatura dell’industria e della vita agraria del nostro paese animata con forme e con moltiplicazione di vantaggi e di mezzi di modernità, potessimo raggiungere quanto auguriamo al paese: il sopravvenire presto del giorno in cui l’Italia, come la Francia, produca non un quintale e mezzo per abitante, bensì 2.25. E questo otterremo qualora possiamo intensificare la nostra agricoltura, senza estenderne gran che di superficie a frumento, ed allora e così veramente l’operaio ed il borghese, il signore e l’uomo politico potranno sicuramente attraversare il loro cammino e riposare dopo la stanca giornata. (Vive approvazioni — Applausi — Commenti animati — Molti deputati vanno a congratularsi con l’oratore).