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Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. II)/Libro nono - Capo I

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Libro nono - Capo I

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Libro ottavo - Capo IV Libro nono - Capo II

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LIBRO NONO.


Storia dell’Arte presso i Greci dai suoi principj
sino ad Alessandro il Grande.


Capo I.


Introduzione — Artisti più antichi - Dedalo, Smilide, Endeo, Giziada, Bularco, Aristocle, Malade, Micciade, Antermo, Bufalo, Dipeno e Scillide, Learco, Doriclida e Donta, Tetteo ed Angelione, Batticle, Arijìomedonte y Pittodoro e Damofonte, Lafae, Damea, Siadra e Carta, Euchiro e Clearco, Stomio e Somide, Callone, Canaco, Menecmo e Soida, Egia ed Agelada, Ascaro, Simone ed Anassagora, Mendeo, Glaucia ed Elada — Scuole... di Sicione... di Corinto...e d’Egina — Circostanze della Grecia, infelici... e favorevoli all’arte - Libertà... e possanza de’ Greci — Incoraggimento delle scienze e delle arti... per la riedificazione d’Atene — Artisti e monumenti di que’ tempi.

Introduzione. Da questo Libro comincia la Storia delle Arti del disegno presso gli antichi presa nel suo senso rigoroso, poichè finora abbiamo generalmente parlato della natura dell’arte, anzi che [p. 164 modifica]della Storia. Cominceremo ad esaminarla nelle circostanze esterne della Grecia, che una grandissima influenza ebber su di essa; poiché se le scienze, e la saggezza medesima dipendono dai tempi e dalle vicende, ben maggiormente ne dipende l’arte, che per lo più mantiensi del superfluo, e vien sostenuta dall’ambizione. Ragion vuole per tanto, che io in questa Storia vada di mano in mano indicando le circostanze, in cui trovaronsi i Greci; il che farò brevemente, e sol quanto farà necessario al mio scopo. Risulteranne che l’arte debbe principalmente alla libertà i suoi progressi e la sua perfezione[1].

§. 1. Deggio avvertire che, scrivendo io qui la Storia dell’Arte, e non degli artisti, non vi si troverà la loro vita, che in molti altri libri può leggersi, ma tutte ne faranno indicate le opere ragguardevoli, ed alcune faranno esaminate secondo i principi dell’arte medesima.

Artisti più antichi §. 2. Ometterò anche di far menzione di alcuni artisti rammentati da Plinio e da altri, poiché non potrei che riferirne il nome e le opere, senza ricavarne nessuna istruzione; ma un’esatta nota cronologica darò de’ più antichi greci maestri, si perchè questi sono sovente omessi da’ moderni che la storia degli antichi artisti hanno scritta, sì perchè nell’indicar le opere loro si additano in qualche maniera i progressi dell’arte.

Dedalo. §. 3. Esercitavansi già le arti del disegno antichissimamente ai tempi di Dedalo; e Pausania, il quale vivea nel secondo secolo dell’era cristiana, scrive che a’ giorni suoi vedeansi [p. 165 modifica]ancora alcune statue di legno della mano di quest’artefice[2], le quali, malgrado la loro deformità, pareano avere un non so che di divino[3]. Coevo a Dedalo era Smilide[4] figliuolo d’Eucle[5] dell’isola d’Egina, il quale fece una Giunone Smilide in Argo, e un’altra a Samo[6], e che probabilmente è lo stesso che Schelmide mentovato da Callimaco[7], come [p. 166 modifica]uno de’ più antichi scultori, che avea intagliata una statua di Giunone in legno[8]. Endeo Uno degli scolari di Dedalo era Endeo[9], che forse accompagnollo a Creta[10]. Fiorirono quindi gli scultori di Rodi, che in molti luoghi della Grecia lavorarono delle statue, dette telchinie (τελχίνιαι) dal nome de’ primi abitatori di quell’isola, che Telchinj chiamaronsi[11].

Giziada §. 4. Sembra però che la prima epoca degli antichi artisti cominciar si debba da Giziada scultore spartano, di cui v’erano nella sua patria varie statue di bronzo[12]; poichè visse prima della guerra tra Messene e Sparta, guerra che si accese nell’olimpiade ix. Quest’anno combina col duodecimo di Roma, e vuolsi che le olimpiadi cominciassero 407. anni dopo la guerra di Troja[13]. Si rendè chiaro allora il pittore Bularco Bularco[14], di cui un quadro, rappresentante una battaglia, venduto fu a peso d’oro[15]. Fiorì a un di presso al medesimo tempo Aristocle Aristocle di Cidonia in Creta, poiché egli visse [p. 167 modifica]avanti che la città di Messene in Sicilia cambiasse l’antico nome di Zancle[16]: il che avvenne nell’olimpiade xxix. [17]. Opera di lui era un Ercole in Elide in atto di combattere coll’amazzone Antiope a cavallo per torle il cingolo. In seguito furono rinomati Malade di Chio, suo figlio Micciade, Malade, Micciade, Antermo. e suo nipote Antermo, il quale ebbe pur un figliuolo dello stesso nome, e un altro chiamato Bupalo[18], viventi nell’olimpiade lx.[19]: onde, dice Plinio, andando indietro sino all’avo, troveremo che quella famiglia esercitava l’arte sin dalla prima olimpiade. Bupalo Bupalo, architetto insieme e scultore, fu il primo che scolpì a Smirne il simulacro della Fortuna[20]. Allora pur fiorirono Dipeno e Scillide, che non possono Dipeno e Scillide essere scolari di Dedalo, quali li crede Pausania[21], a meno che non intendasi di quel Dedalo scultore di Sicione, che [p. 168 modifica]viveva ai tempi di Fidia[22]. Learco Doriclida e Donta
Tetteo ed Angelione
Furono loro scolari Learco[23] di Reggio nella Magna Grecia, Doriclida[24] e Donta[25] amendue lacedemoni, Tetteo ed Angelione, che fecero un Apollo a Delo[26], forse quello stesso di cui alla fine dello scorso secolo si vedevano alcuni pezzi nell’isola medesima colla base e colla famosa iscrizione. Essendo stata lavorata intorno a questi tempi e non prima, come più sotto vedremo, dallo scultore Batticle Batticle di Magnesia[27] la tazza d’oro, che i sette savj dedicarono in Delfo ad Apollo, dobbiamo inferirne, che il mentovato artista, scultore de’ bassi-rilievi nel trono della statua colossale d’Apollo in Amicla[28], siorisse ai tempi di Solone, cioè nell’olimpiade xlvi., in cui il legislatore d’Atene era arconte nella sua patria[29].

Aristomedonte, Pittodoro, e Pittodoro §. 5. Devono fissarsi a quest’epoca Aristomedonte di Argo[30], Pittodoro di Tebe[31], e Pittodoro di Messene[32], il quale fece ad Egio nell’Acaja una Giunone Lucina di legno, che aveva di marmo[33] la testa, le mani, e i piedi[34], [p. 169 modifica]e avea pure scolpito in legno un Mercurio ed una Venere a Megalopoli in Arcadia[35]. Intorno a quelli tempi era senza dubbio Lafae, di cui vedeasi ad Egira in Acaja un Apollo nell’antico stile[36]; e dopo di lui visse Damea che avea Lafae Damea lavorata in Elide la statua di Milone crotoniate[37]; il che dee fissarsi dopo l’olimpiade lx., come si argomenta sì dal tempo in cui vivea Pittagora[38], sì perchè avanti la lix. olimpiade non era stata eretta in Elide nessuna statua agli atleti[39], qual era Milone. Siadra e CartaFiorirono intorno a questa età Siadra e Carta, amendue spartani, celebri nell’arte loro e maestri di Euchiro corintio, il quale ebbe a scolaro quel Clearco Euchiro e Clearco di Reggio nella Magna Grecia, sotto di cui nella medesima città studiò l’arte il famoso Pittagora[40]. Stomio e Somide
Callone
Succederono a questi Stomio e Somide, che vissero avanti la battaglia di Maratona[41], e Callone d’Egina scolaro del mentovato Tetteo[42], che dev’essere campato ben vecchio, poiché sopravvisse a Fidia; e altronde era suo lavoro uno de’ tre grandi tripodi di bronzo, sotto cui, cioè in mezzo a’ cui piedi, stava la figura di Proserpina, dono fatto dagli Spartani ad Apollo, e collocato nel di lui tempio ad Amicla, dopo la vittoria riportata da Lisandro sugli Ateniesi presso il fiume Egi[43] nell’anno quarto dell’olimpiade xciii.[44].

§. 6. Poco prima dell’eginetico fiorì un altro Callone di Elide, noto principalmente per le trentasette statue in bronzo, rappresentanti trentacinque giovani messenesi, il loro [p. 170 modifica]corista e un suonator di tibia, che nel Faro di Messene naufragarono. Di tal lavoro io fisso l’epoca più indietro che far non si suole, poiché le iscrizioni di queste statue furon fatte dal celebre oratore Ippia ai tempi di Socrate, e fatte qualche tempo dopo (χρόνῳ δὲ ὕστερον), come scrive Pausania[45]. Secondo lui contemporaneo dell’eginetico Callone Canaco fu Canaco[46]; cui però Plinio colloca nell’olimpiade xcv.[47], e con molta verosimiglianza, perchè egli fu scolaro di Policleto; ma suoi coevi certamente furono Menecmo e Soida Menecmo e Soida di Naupatto[48], il secondo de’ quali lavorò la Diana d’avorio e d’oro posta nel tempio di quella dea a Calidone[49], e poscia a’ tempi d’Augusto trasportata a Patrasso[50]. Fiorirono Egia ed Agelada per ultimo entro quest’epoca Egia d’Atene, ed Agelada d’Argo[51] maestro di Policleto[52], il quale fra le altre cose rappresentò in Elide su un cocchio Cleostene, che riportata aveva una vittoria nell’olimpiade lxvi.[53]. Ascaro Ascaro suo scolaro fece in Elide un Giove coronato di fiori[54].

§. 7. Prima che Serse facesse la spedizione in Grecia erano già celebri i seguenti artisti. Simone e Anassagora Simone[55] e Anassagora[56], amendue d’Egina, il secondo de’ quali scolpi il Giove che i Greci collocarono in Elide dopo la battaglia di Platea[57]. Onata Pur d’Egina era Onata[58] di cui, oltre molti altri lavori, eranvi in Elide gli otto eroi, che eransi offerti a tirar la sorte [p. 171 modifica]per combattere in duello contro Ettore[59]. Glauco di Messene in Sicilia, e Dionisio di Reggio vivevano al tempo d Anassila tiranno di quella città[60][61], cioè fra le olimpiadi lxxi. Glauco e Dionisio e lxxvi.[62]: sulle coste d’un cavallo di Dionisio leggeavisi incisa una iscrizione[63]. Circa que’ tempi vivevano pure Aristomede e Socrate Aristomede e Socrate tebani, opera de’ quali era una Cibele, che Pindaro fece collocare nel di lei tempio a Tebe[64], Mendeo Mendeo di Peone, di cui vedeasi in Elide un simulacro della Vittoria[65], Glaucia d’Egina, che fece in Elide il Glaucia e Elada re Gelone di Siracusa[66] su un cocchio[67]; e per ultimo Elada d’Argo maestro di Fidia[68].

Scuole... §. 8. Da quelli artefici varie scuole fondaronsi in diversi luoghi, e antichissime sono le più rinomate della Grecia, cioè d’Egina, di Corinto, e di Sidone, che può chiamarsi la patria di Sidone... delle opere dell’arte[69]. Fondatori di quella scuola furono probabilmente Dipeno e Scillide[70], che in Sidone [p. 172 modifica]fissarono la loro dimora, e v’ebbero degli scolari da me pocanzi mentovati. Aristocle fratello di Ganaco[71] risguardavasi anche dopo sette età come il capo d’una scuola, che s’era per lungo tempo sostenuta in Sicione[72]. Democrito, altro scultore di Sicione, nominava cinque maestri della sua scuola, i quali uno all’altro eransi succeduti[73]. Polemone scrisse un trattato delle pitture di Sicione, ov’era un portico con molti lavori da lui similmente descritto[74]. Eupompo maestro di Panfilo, di cui fu scolare Apelle, fece sì che le due scuole della Grecia, le quali sino a quel tempo erano siate unite sotto la denominazione di elladiche, nuovamente si dividessero, in guisa che, oltre la jonica nell’Asia, scuole particolari fossero quella d’Atene, e quella di Sicione[75]. Panfilo e Policleto, Lisippo e Apelle, che andò a Sicione per meglio perfezionarsi nella sua arte[76], le diedero il maggior lustro; e sembra che ai tempi di Tolomeo Filadelfo re d’Egitto, tra le scuole di pittura, la più celebre fosse e la migliore, poiché nella descrizione della magnifica processione che questo re fece fare, si annoverano principalmente le pitture di Sicione, e son le sole di cui facciasi menzione[77].

...di Corinto... §. 9. Corinto a cagione dell’ottima sua situazione fu sin da’ primi tempi una delle più possenti città della Grecia[78], e fu perciò dai più vetusti poeti chiamata la ricca. Ardice [p. 173 modifica]di Corinto, e Telefane di Sicione, devon essere stati i primi, i quali, oltre il semplice contorno della figura, ne abbiano indicate col disegno le parti interiormente[79]; e Strabone parla de’ quadri a molte figure di Cleante corintio, che ancora ai tempi suoi esistevano[80]. Cleofanto di Corinto venne in Italia con Tarquinio Prisco avanti l’olimpiade xl., e fu il primo che insegnò ai Romani l’arte greca di dipingere: ai tempi di Plinio vedeansi ancora a Lanuvio un’Atalanta ed un’Elena da lui molto ben delineate[81].

...e d’Egina... §. 10. Se si potesse argomentare l’antichità della scuola d’Egina dal celebre Smilide eginetico, ne porteremmo la fondazione sino ai tempi di Dedalo[82]. E’ certo però che ne’ tempi antichissimi deve esservi stata in quell’isola una scuola delle arti del disegno, e lo dimostra la menzione che vien fatta dagli storici di moltissime antiche statue nello stile eginetico lavorate[83]. Certo scultore di quell’isola non ci è noto sott’altro nome, che sotto quello di statuario d’Egina[84]. L’arte trasse colà molto vantaggio dal commercio e dalla navigazione di quelle genti doriche d’origine[85], le quali, fra le altre derrate, facevano un gran traffico de’ loro vasi di terra-cotta (che probabilmente faranno stati dipinti) segnati colla figura d’un montone. Pausania parla della loro navigazione ne’ più remoti tempi[86], e dice che erano in mare superiori agli Ateniesi[87], sebbene avanti la guerra persica sì gli uni che [p. 174 modifica]gli altri non avessero che navi di cinquanta remi, e senza coperta[88]. La reciproca gelosia di quelle due nazioni finì in una guerra aperta[89], la quale però svanì quando Serfe invase la Grecia. Egina, che molta parte ebbe nella vittoria di Temistocle contro i Persi, ne riportò pure de’ considerevoli vantaggi, perocchè il ricco bottino fu colà trasportato e venduto; onde al riferire d’Erodoto[90] ricchissima divenne. Si mantenne in fiore quest’isola sino all’olimpiade lxxxviii. in cui scacciati ne furono gli abitatori dagli Ateniesi perchè si erano alleati ai Lacedemoni. Gli Ateniesi allora mandarono colonie a popolar Egina, e gli Egineti andarono ad abitare nel paese argolico presso Tirea[91]. Ritornarono essi in seguito di tempo al possesso della loro patria, ma non risorsero mai alla primiera grandezza e possanza. Coloro i quali hanno vedute delle monete d’Egina, colla testa di Pallade da una parte, e dall’altra col tridente di Nettuno[92], giudicar potranno se nel disegno di quella testa si scorga uno stile particolare dell’arte.

Circostanze della Grecia infelici... §. 11. Dopo l’olimpiade l. cominciarono le calamità della Grecia, che da varj tiranni fu assoggettata, e durò quello per lei infelice tempo ben settant’anni. Policrate si fece padrone di Samo, Pisistrato d’Atene, e Cipselo fece passare al figlio Periandro il dominio di Corinto, sostenendo la sua autorità coll’allearsi e strignersi anche in vincolo di parentela con que’ potenti, che aveano saputo opprimere la libertà delle loro patrie Ambracia, Epidauro, e Lesbo. Di quest’isola eran tiranni Melancro e Pittaco, l’Eubea soggiaceva a Timonda, Ligdamide coll’appoggio di Pisistrato dominava in Nasso, e Patroclo nella città di Epidauro. Tutti però non erano giunti all’autorità suprema colla forza e colle armi: alcuni [p. 175 modifica]v’erano stati portati dalla propria eloquenza[93], altri coll’aver saputo condescendere al popolo[94]: e questi, come Pisistrato[95], riconosceano superiori a sè le leggi de’ loro cittadini. Il titolo di tiranno era tra loro onorevole[96]; e Aristodemo, tiranno di Megalopoli in Arcadia, seppe meritarsi il soprannome di χρηστὸς[97] che uom retto significa. Le statue de’ vincitori ne’ giuochi più solenni, delle quali ripiena era Elide anche avanti che l’arte fosse in fiore[98], rappresentavano per lo più altrettanti difensori della patria libertà; i tiranni non potevan impedire la giustzia che volea rendersi al merito; e l’artista ebbe in ogni tempo il diritto di esporre le opere sue agli occhi di tutta la nazione.

§. 12. Allorché feci la prima edizione di questa Storia io credea di poter rapportare a quelli tempi un basso-rilievo in marmo di due figure, delle quali una rappresenta Giove sedente, e l’altra un giovane atleta col nome Manteo[99]. Fondavami sulla scrittura fatta a solchi, detta da’ Greci βουστροφηδὸν, che è la maniera di scrivere presso di loro antichissima; e sapeva altronde che prima dell’olimpiade l. non s’era colà cominciato a lavorare in marmo[100]. Avvisai fin d’allora che non potea portarne un fondato giudizio sulla stampa in rame; e seppi in appresso che questo lavoro, esistente oggidì nella galleria del conte di Pembrok a Wilton, viene dai conoscitori riputato una moderna impostura[101]. L’urna sepolcrale col [p. 176 modifica]nome di Alcman, che si vede a Venezia nel palazzo Giustiniani è stata da taluno creduta la tomba dell’antichissimo poeta Alcman[102], il quale fioriva nell’olimpiade xxx., ma essa è lavoro di molti secoli più tardi. Il sepolcro di quel poeta era a Sparta[103].

§. 13. Di questi tempi pur sarebbe, secondo l’opinione d’alcuni antiquarj[104], la più antica moneta d’oro, che credesi di Cirene in Africa; e farebbe stata coniata durante la minorità di Batto IV. per ordine di Demonace di Mantinea reggente di Cirene[105], contemporaneo di Pisistrato. Demonace vi è rappresentato in piedi, cinto il capo d’un diadema, da cui spuntano de’ raggi, con un corno di montone al di sopra dell’orecchia: tien nella destra una Vittoria, e nella sinistra uno scettro. E’ più credibil però che tal moneta sia stata coniata posteriormente in memoria di Demonace[106].

.. favorevoli all’arte. §. 14. Finalmente nell’olimpiade lxvii., e circa a quel tempo in cui Bruto liberò dai Tarquinj Roma, la Grecia si sottrasse al giogo de’ tiranni, mettendo a morte o mandando Libertà... in esiglio i sigli di Pisistrato, e que’ soli risparmiando che secondo le leggi equamente reggevano Sicione[107]. Essa allora sollevò il capo, e parve che un nuovo spirito tutta penetrasse la nazione. Le repubbliche, le quali furon in appresso sì celebri, erano piccoli stati di nessuna considerazione e appena noti, sino a che i Persi non vennero ad inquietare i Greci nella Jonia, devastando Mileto, e conducendone schiavi gli abitatori. A quello disastro furono sommamente sensibili i Greci, e sopra tutti gli Ateniesi, i quali, anche alcuni anni dopo, quando Frinico rappresentò loro in una tragedia la [p. 177 modifica]presa di Mileto, si sciolsero in lagrime per la compassione. Questi misero in piedi tutte le loro forze, ed essendosi alleati cogli Eretrj, vennero in ajuto de’ loro fratelli nell’Asia jonica, e presero l’ardita risoluzione d’andare ad assalire il re di Persia ne’ proprj suoi stati. Inoltraronsi nell’olimpiade lxix. sino alla città di Sardi, cui devastarono e misero a fiamme, tanto più facilmente quanto che le case n’erano in parte di canne[108], o di queste almeno n’erano i tetti; e nell’olimpiade lxxii., cioè vent’anni dopo che fu messo a morte Ipparco tiranno d’Atene, e discacciatone Ippia suo fratello, ottennero la portentosa vittoria di Maratona.

... e possanza de’ Greci. §. 15. Per Questa vittoria gli Ateniesi sollevaronsi sovra tutte le altre città della Grecia; siccome i primi furono ad incivilirsi, e a deporre le armi[109], senza le quali anticamente, nemmeno in tempo di pace, nessun Greco mai compariva in pubblico; così Atene, che andava estendendo la propria autorità e crescendo in forze, divenne la sede principale delle scienze e delle arti e, come dicea Pericle, si fece la maestra della Grecia intera[110]. Quindi fu detto che i Greci avessero comuni fra di loro tutte le cose, tranne la strada dell’immortalità, che a’ soli Ateniesi era nota[111]. A Crotona e a Cirene fioriva la medicina, e la musica in Argo[112]; ma in Atene adunate si erano le scienze tutte e le arti[113].

§. 16. Benché quelle però colà fiorissero, non erano men coltivate a Sparta; anzi in questa città furono esercitate da [p. 178 modifica]tempi assai più remoti. E per tacere delle figure di legno vetustissime collocate in uno de’ suoi tempj, e di quella statua di Giove in bronzo mentovata da Pausania come il più antico lavoro in tal materia[114], molto prima di quell’epoca gli Spartani aveano spedito a Sardi in Lidia per comprar l’oro, con cui formare una statua d’Apollo, o piuttosto per vestirnela[115]. Lo spartano Giziada anteriore alla guerra messenia, non solo era celebre poeta, ma eziandio chiaro artista; e come noto era il suo inno a Pallade, così era famosa la statua di quella dea da lui formata in bronzo, la cui base rappresentava le fatiche d’Ercole, le figlie di Leucippo rapite dai Dioscori, e altri favolosi avvenimenti[116]. Lavoro dello stesso artefice erano que’ due tripodi in bronzo che nell’olimpiade xiv. dagli Spartani furono posti ad Amicla non lungi da Sparta, sotto l’uno de’ quali stava Venere, e sotto l’altro Diana[117]; cioè erano fatti in guisa che la tazza del tripode s’appoggiava sulle figure delle dee poste in mezzo ai tre piedi[118]. Facemmo di sopra anche menzione di Doriclida e di Donta, di Siadra e di Carta antichi scultori lacedemoni.

§. 17. Ritorniamo da Sparta ad Atene, e dai più antichi tempi discendiamo nuovamente a quelli di cui parlavamo pocanzi. Dieci anni dopo la vittoria di Maratona Temistocle e Pausania[119] tali sconfitte diedero presso Salamina e Platea ai Persi, che quelli presi dallo spavento rifuggiaronsi nel centro dell’impero; ma nel tempo stesso, affinchè i Greci [p. 179 modifica]avessero sempre sott’occhio i funesti monumenti del pericolo a cui era stata esposta la loro libertà, non vollero mai restaurare i tempj che dai Persi erano stati distrutti[120]. Comincia da quest’epoca quel mezzo secolo della greca storia che farà sempre memorabile, cioè dalla fuga di Serse sino alla guerra del Peloponneso[121].

Incoraggimento delle scienze e delle arti... §. 18. E’ questo il tempo in cui parvero tutte mettersi in azione le forze della Grecia, e tutti svilupparsi i talenti di questa nazione. Gli uomini straordinari e gli spiriti sublimi i quali aveano cominciato a formarsi nei primi movimenti che l’amor della libertà avea destati in quelle contrade, tutti comparvero a un tempo stesso. Erodoto nell’olimpiade lxxvii. andò dalla Caria in Elide, e al cospetto della Grecia tutta ivi adunata lesse la sua storia[122]: non molto avanti di lui Ferecide era stato il primo a scrivere in prosa[123]. Eschilo espose al pubblico le prime tragedie regolari in istile sublime, poiché quelle dall’invenzione della scena nell’olimpiade lxi. sinallora non erano state che balli di persone cantanti; e riportonne il premio nell’olimpiade lxxiii. S’incominciò circa questo tempo a cantare i poemi d’Omero, e nell’olimpiade lxix. Cineto siracusano ne fu il primo rapsodista[124]. Allor pure Epicarmo filosofo e poeta diede le prime commedie, Simonide immaginò l’elegia, Gorgia di Leonzio in Sicilia diede una forma scientifica all’eloquenza[125], e a’ tempi di Socrate Antifonte mise in iscritto le orazioni e le arringhe[126]. Le scienze medesime furono allora per la prima volta insegnate pubblicamente in Atene da Anassagora che v’aprì [p. 180 modifica]la nell’olimpiade lixv.[127]. Non erano molti anni che Simonide ed Epicarmo aveano perfezionato l’alfabeto greco, e le lettere da loro aggiuntevi cominciarono ad usarsi anche nelle pubbliche scritture all’olimpiade xciv.[128]. Tali furono a così dire i gran preparativi alla perfezione dell’arte, a cui essa a gran passi s’avvicinava.

.... per la riedificazione di Atene. §. 19. Trasse quella vantaggio dai disastri medesimi che la Grecia avea sofferti, dal devastamento che v’aveano fatto i Persi, e dalla distruzione d’Atene. Dopo la vittoria di Temistocle si pensò a restaurare i tempj, ed a rimettere in piedi i pubblici edifizj[129]. I Greci portati da un vivo amore per la patria, che avea costata la vita a tanti eroi, e che era omai sicura da ogni nimico insulto, pensarono ad abbellirla, e ad ergere edifizj e tempj sontuosi e magnifici, che servir dovessero di monumenti eterni per la mirabile vittoria di Salamina. Vedeasi questa rappresentata nel fregio d’un pubblico portico a Sparta, fabbricato colla preda de’ Persi, e detto perciò persiano[130] [131]. Questi grandi monumenti rendevano necessarj gli artisti, e davan loro occasioni di tutti spiegare i [p. 181 modifica]talenti. Malgrado le innumerevoli statue degli dei non obbliavansi que’ degni cittadini, che sparso aveano il sangue combattendo per la patria; anzi in questa specie d’immortalità ebbero parte le donne steffe che da Atene erano fuggite coi loro figliuoli a Trezene, e se ne viddero le statue in un portico di quella città[132].

Artisti e monumenti di que’ tempi. §. 20. I più celebri scultori di questo tempo furono Agelada d’Argo, maestro di Policleto, e Onata eginetico autor della statua di Gelone re di Siracusa[133], posta su un cocchio, i cui cavalli erano di Calamide[134]. Agenore s’è immortalato per le statue dei fidi amici e liberatori della lor patria, Armodio ed Aristogitone, scolpite nell’anno primo dell’olimpiade lxxvii.[135], dopo che erano state depredate da’ Persi le statue di bronzo erette loro quattr’anni dopo la morte del tiranno[136]. Glaucia pur d’Egina fece la statua del famoso [p. 182 modifica]Teagene di Taso, che avea riportate 400. corone nei giuochi della Grecia[137].

§. 21. Una delle più antiche statue di Roma, lavoro greco di questi tempi, è una Musa del palazzo Barberini, che tiene una così detta lira. Ha una grandezza al doppio del naturale, e porta tutti gl’indizj d’una sì remota antichità. Potrebbe questa ben essere una delle tre Muse lavorate da tre gran maestri; la prima, lavoro di Canaco sicionio, teneva due tibie; l’altra, opera d’Aristocle fratello di Canaco, aveva una lira, chiamata χέλυς e la terza, con una di quelle lire che diceansi βάρβιτος, era stata scolpita dal mentovato Agelada. Abbiamo queste notizie da un epigramma d’Antipatro [138], il quale può credersi quello nativo di Sidone, come rilevasi da un altro epigramma sulla statua di Bacco, che stava presso alla statua di un Pisone[139]; e siccome è altresì probabile che questa fosse in Roma, si argomenta che ivi egli vivesse, e ivi pur fossero le Muse, che gli hanno fornito il soggetto del mentovato epigramma[140]. Parlando de’ loro stromenti musicali, ho dato loro il nome di lira per mancanza di termini più proprj, tanto più che gli antichi stessi confondeano λύρα e χέλυς, e sì di questa che di quella dicean inventore or Mercurio, ed ora Apollo. E’ certo però che λύρα e χέλυς, ove lo stesso stromento non fossero, esser doveano almeno due stromentì molto somiglievoli. Fra le [p. 183 modifica]pitture ercolanensi v’è una Musa con questa iscrizione ΤΕΡΨΙΧΟΡΗ ΛΥΡΑΝ[141], e tiene in mano una piccola lira; questa forse è quella stessa cui inventò Mercurio, e formolla col guscio d’una testuggine, onde venne detta χέλυς di tal forma è la lira che vedesi appiè d’una statua di questo dio nella villa Negroni. Arato[142] χέλυς chiama la piccola lira, forse per distinguerla dalla più grande, detta βάρβιτος, e non già perchè avesse poca fronte come opina lo Scoliaste di questo poeta. La lira della Musa Barberini è della specie più grande, simile a quella che tiene Apollo au un’altra pittura d’Ercolano[143]. Quello stromento, detto βάρβιτος, da Polluce vien chiamato eziandio βαρύμιτον[144], cioè a grosse corde, βαρυτέρας ἔχον τὰς χορδὰς[145], onde dirsi potrebbe una specie di salterio[146]. Quindi siccome la Musa d’Aristocle tenea la piccola lira χέλυς, quella d’Agelada il βάρβιτος, possiamo congetturare che sia quella seconda la Musa Barberini. Suida chiama Gelada, in vece d’Agelada, l’artista di tale statua, e Kuster non ne ha nemmeno avvertito l’abbaglio nell’ultima edizione della di lui opera[147].

§. 22. Io non deciderò qui se le statue di Castore e Polluce scolpite da Egesia, e poste innanzi al tempio di Giove Tonante[148], siano quelle stesse figure colossali che veggonsi ora in Campidoglio; ma è certo almeno che esse trovate [p. 184 modifica]furono nel luogo stesso[149]. Si può anche fondare qualche congettura sulla durezza di lavoro che si scorge in quelle parti che fono veramente antiche, e che era propria d’Egesia[150]. In tal supposizione apparterrebbono quelle statue al più antico stile, avendo quello scultore probabilmente vissuto prima di Fidia[151].

§. 23. Dell’arte di questi tempi fanno fede eziandio le monete di Gelone re di Siracusa, fra le quali una d’oro è delle più antiche monete di quello metallo a noi pervenute[152]. Non può determinarsi l’età delle monete ateniesi, ma basta lo stile del lavoro per confutare Arduino, secondo il quale non è stata da loro coniata nessuna moneta prima del re Filippo il Macedone; poichè abbiamo delle monete ateniesi d’un impronto mal disegnato ed informe. La più bella moneta d’Atene, che io abbia veduta, è un così detto quinario in oro, esistente nel museo Farnese a Napoli, e basta questa a confutar Bose, che pretende non esservi nessuna moneta ateniese in oro[153]. Il nome ΙΕΡΩΝ che leggesi sul petto d’un busto giovanile in Campidoglio[154], creduto per ciò il busto di Jerone re di Siracusa, è indubitabilmente cosa recente.



Note

  1. È un principio favorito del sig. Winkelmann che la libertà abbia sempre avuta una grandissima influenza sulla perfezione delle arti; ma il ragionamento, e la storia provano sovente l’opposto. Il sig. Heyne, prendendo ad esaminare le epoche degli antichi artisti fissate da Plinio e dal nostro Autore, ne rileva gli abbagli: fa vedere che da tutt’altro principio partirono coloro che a certe date epoche nominarono gli artisti celebri: confuta principalmente Winkelmann intorno ai pretesi vantaggi apportati dalla libertà alle arti, e avverte alcuni suoi anacronismi. Daremo un breve estratto della sua dissertazione alla fine del Libro X.
  2. Paus. lib. 2. c. 4. p. 121. [ Ved. Tom. I. pag 11. e segg.
  3. Il sig. Winkelmann, il quale si è qui proposto d’indicare le opere più insigni degli antichi artisti, di quelle di Dedalo l’ateniese, che pur son opere del padre della statuaria, dà appena un leggerissimo cenno. Noi la scorta seguendo degli antichi scrittori, suppliremo in qualche modo a tal mancanza. A’ tempi di Pausania lib. 9. c. 40. pag. 703. delle opere di Dedalo aveasi un Ercole a Tebe, e un Trofonio a Lebade, e altrettante statue di legno in Creta, cioè una di Britomarte ad Olonte, e una Minerva presso i Gnossi. Conservavano i Delj una piccola Venere, pure di legno, la quale verso i piedi andava a terminare in una base quadrangolare: a tale statua il tempo avea consunta la destra. Tra le opere di Dedalo rammenta altresì quella statua dedicata dagli Argivi a Giunone in Onface, che Antifemo nel sacco della città prese, e trasportò a Gela in Sicilia; ma quella a’ giorni suoi più non esisteva, siccome forse più non esistevano quegli altri due Ercoli di legno del medesimo artista, l’uno de’ quali fu esposto in Corinto, e l’altro ai confini dell’Arcadia, Paus. lib. 2. cap. 4. pag. 121., lib. 8. cap. j. pag. 670. Benché attesti il succennato scrittore aver i Gnossi posseduta pure l’opera famosa di Dedalo, rappresentante una danza, e da lui donata ad Arianna questa tuttavia non doveva esserne l’originale, sì perchè la danza de’ Gnossi era scolpita in marmo bianco, laddove Dedalo non avea fatte che statue di legno, sì perchè la danza suddetta era stata da lui comporta in guisa che le figure moveansi da sé stesse: lo che era impossibile nell’opera posseduta dai Gnossi. Di altre figure semoventi industriosamente congegnate da Dedalo fanno menzione Calistrato Statuæ, n. 8. oper. Phlostr. pag. 899., Platone in Menone, oper. Tom. iI. pag. 97. E., Aristotele De Republ. lib. 1. cap. 4., Luciano in Philopseude §. 19. op. Tom. iiI. pag. 48., Dion Grisostomo Orat. 37. pag. 457. A., e più altri. Vogliono alcuni che abbia egli comunicato ad esse i movimenti coll’argento vivo, ed altri con suste, ruote, e molle occulte. Da queste ingegnose invenzioni nacque presso i posteri la favola, che abbia il medesimo formate statue, dalle quali tutte le funzioni si eseguissero dell’uom vivente. Diodor. Sic. lib. 4. §. 78. p. 321.; siccome dalle vele, di cui egli forse il primo corredò la nave del suo figliuolo Icaro, venne la favola delle ale attaccategli alle spalle per passar il mare a volo. Non solamente fu Dedalo il primo a sistemar la statuaria, ma fece lo stesso coll’architettura. Molte opere architettoniche di sua invenzione riporta Diodoro da Sicilia loc. cit. pag. 322. fra gli antichi, Francesco Giunio Catal. archit. &c. pag. 69. 70., e l’abate Gedoyn Hist. de Déd. Acad. des Inscript. Tom. IX. Mém. pag. 177. seqq. fra i moderni. Un tempio d’Apollo, opera di Dedalo, vantava anche l’Italia fabbricato da lui in Capua, Virg. Æneid. l. 6. v. 19., Sil. Ital. l. 12. v. 102., & Auson. Idyl. 10. v. 301. Plinio altresì lib. 7. cap. 56. sect. 57- con altri scrittori gli attribuisce l’invenzione di molti strumenti spettanti alla meccanica, come la sega [ Seneca Epist. 90.], l’ascia, il filo a piombo, il succhiello, e per sino la colla di pesce. La sega però più comunemente si attribuisce a Talo figlio di sua forella, Diod. Sic. loc cit., Ovid. Metam. l. 8. v. 244:, detto da alcuni Perdice, a cui per invidia della bella scoperta Dedalo tolse la vita, Serv. ad Virg. Georg. lib. 1. v. 143. [ Tzetze Chil. 1. hist. 10. vers. 493. lo chiama Attalo.
  4. Paus. lib. 7. cap. 4. pag. 531.
  5. Il padre di Smilide da Pausania loc. cit. e da altri chiamasi Euclide; anzi pretendono alcuni che egli pure fosse statuario. Appoggiansi questi a un testo di Clemente Alessandrino Cohhort. ad Gent. n. 4. oper. Tom I. p. 41. l. 15., ove si legge σμίλῃ τῇ Εὐκλείδευ (collo scarpello d’Euclide). Il testo però è guasto, a cui sostuir si deve Σμίλιδι τοῦ Εὐκλείδευ, da Smilide cioè figliuolo d’Euclide. Vedasi Giunio Catal. archit. mech. pict. pag. 86.
  6. Atenagora Legat. pro Christ. pag. 292.
  7. in Fragm. num. 105. Tom, I. p. 358.
  8. È per tanto probabile che debba leggersi Smilis in vece di Skelmis. Vedasi nelle note di Bentley a questo passo di Callimaco quante congetture siano fatte da lui, e da altri intorno a tal nome.
  9. Paus. lib. 1. cap. 26. pag. 62. lin. 28.
  10. Di lui Atenagora loc. cit. rammenta tra le figure celebri una statua di Minerva sedente, un’altra parimente di questa dea, e la statua di Diana in Efeso; e lo dice anche scolare di Dedalo.
  11. Diod. Sic. lib. 5. §. 55 pag. 374.
  12. Paus. lib. 3. cap. 17. pag. 250.
  13. Euseb. De Præp. evang. lib. 10. cap. 11. in fine, pag. 496. B. [Dice Eusebio, che questa è l’opinione di Taziano. Egli cap. 9. pag. 484. secondo la cronologia de’ commentarj greci crede più giusto, che fosse l’anno 408. Roma secondo la cronologia di Porcio Catone, che Dionisio d’Alicarnasso Antiq. Rom. lib. 1. cap. 74. pag. 79. princ. crede la più giusta, fu fondata nell’anno i. dell’olimpiade vii. Altri però la vogliono fondata qualche anno prima, ed altri qualche anno dopo. Vegg. Boivin il vecchio Epoque de Rome, ec., Acad. des Inscript, Tom. iI, Mém. pag. 490, e segg.
  14. Plin. lib. 35. cap. 8. sect. 34.
  15. Non meno sorprendente di questo ci riesce il prezzo, a cui sono state comperate, per testimonio dello stesso Plinio lib. 35. c. 7. sect. 32., altre antiche pitture. Egli ebbe a dire che per un buon quadro bastavano appena le ricchezze d’una città. Diffatti un Ajace ed una Venere pagati furono da Marco Agrippa dodici mila sesterzj, id. ibid. cap. 4. sect. 9.; sei mila fu valutato un quadro d’Aristide, id. ibid sect. 8., e Augusto sborsò cento talenti per la Venere d’Apelle, idem lib. 35. cap. 10. sect. 36. §. 15. Ricusò Nicia di vendere al re Attalo la sua necromanzia d’Omero per sessanta talenti; ma volle piuttosto farne un liberal dono alla propria patria, id. ibid. cap. 11. sect. 40. §. 18. Altri simili esempi di quadri prezzati a somme che a noi sembrano esorbitanti riporta il Winkelmann al Cap. III. di questo Libro. In eguale stima si ebbero ancora le opere di scultura. Per sessanta mila sesterzj fu da Lucullo ordinata ad Arcesilao una statua della Felicità; ma per la morte d’amendue rimase questa imperfetta, id. ib. csp. 12. sect. 45. La statua di Policleto, rappresentante un coronato garzone, fu venduta cento talenti, id. lib. 34. cap. 7. sect. 19. §. 1.; e Nicomede re della Bitinia era disposto a pagare tutt’i debiti dei Gnidj, che pur erano moltissimi, sol che gli cedessero la loro statua di Venere, opera di Prassitele; ma tal proposizione fu da loro rigettata, id. lib. 7. c. 38. sect. 39., & lib. 36. c. 5. sect. 4. § 5.
  16. Paus. lib. 5. cap. 25. pag. 445.
  17. id. lib. 4. cap. 23. pag. 337.
  18. Plin. lib. 36. cap. 5. sect. 4. §. 2.
  19. È stata opinione d’alcuni, Acr. in Hor. ep. od. 6., & Anthol. l. 3. cap. 25. n. 25. v. 3. che siensi amendue questi fratelli [lo dicono del solo Bupalo] tolta da disperati la vita con un capestro per le mordaci satire contro di loro scritte dal poeta Ipponatte, la cui grottesca figura aveano eglino espressa al naturale ed esposta al pubblico. Plinio però lib. 36. cap. 5. sect. 4. §. 2. dimostra la falsità di siffatta opinione dalla data posteriore d’alcune statue da loro scolpite in Delo e altrove. L’imperator Augusto in tutte quasi le fabbriche da lui erette in Roma vi pose statue di questi due valenti scultori.
  20. Paus. lib. δ. cap. 30. pag. 355. [Abbiamo dal Bocchi Symbol. quæst. num. LXIII. p. 136., e dal Malvasia Marm. Felsin. sect. 1. c. 6. pag. 47., che nel 1548 fosse trovata in Bologna una statuetta di bronzo, colla iscrizione alla base, che combina con ciò, che dice Pausania di Bupalo, e della di lui statua della Fortuna, cioè: ΒΟΥΠΑΛΟΣ ΣΜΥΡΝΑΙΟΙΣ ΑΓΑΛΜΑ ΕΡΓΑΖΟΜΕΝΟΣ ΤΥΧΗΣ ΠΡΩΤΟΝ ΕΠΟΙΗΣΕΝ Bupalus Smyrnæis signum Fortunæ primum fecit. Il Maffei Art crit. lapid. lib. 3. cap. 1. can. 3. col. 77., per questa ragione dà per un’impostura questa iscrizione. Io direi piuttosto, che avendo qualche artista più moderno fatta simile figura ad imitazione di quella di Bupalo, vi abbia apposto il di lui nome, come autore di quella forma, che aveva data alla Fortuna. Vedi appresso al Capo iiI. §.4. Negli anni scorsi nella tenuta di Salone a destra della via prenestina fu trovata una base colla iscrizione ΒΟΥΠΑΛΟΣ ΕΠΟΙΕΙ Bupalo faceva, che stava vicina ad una bellissima statua di Venere, in atto di uscire dal bagno, collocata nel Museo Pio-Clementino. Osserva il sig. abate Visconti nella descrizione di questa Venere Tav. 10. pag. 17., che per quanto sia verisimile che ad essa spettasse la base, non è probabile, che una statua di lavoro così elegante, e gentile sia opera di Bupalo; ma che il di lui nome vi sia stato apposto dall’ignoranza, o dall’avarizia: se pur non è altro Bupalo.
  21. idem lib. 2. cap. 15. pag. 143. [Se potessimo prestar fede a Cedreno Compend. hist. cap. 120. pag. 322. C. non potrebbe dubitarsene: perocchè narra questi, che la statua di Minerva Lindia, della quale ho parlato nel Tomo I. pag. 41. not. a., lavorata da questi due artisti, fu mandata da Sesostri re d’Egitto al tiranno di Lindo Cleobolo. Del tempo, in cui vivea Sesostri, ne ho parlato nello stesso Tomo I. pag. 78.
  22. Dipeno e Scillide, secondo il calcolo di Plinio lib. 6. c. 4. sect. 4. §. 9., nacquero in Creta circa l’olimpiade l. A giudizio del medesimo furono essi i primi che siensi renduti celebri nello scolpire il marmo. Opere eccellenti dei loro scarpello surono le statue d’Apolline, di Diana, di Minerva, di Castore e Polluce, e di più altre divinità, Plin. l. cit., & Clem. Alex. Cohort. ad Gent. n. 4. p. 42., tutte lavorate in marmo pario, Plin. lib. cit. cap. 5. sect. 4. §. 2. Portatisi amendue a Sidone, città che per lungo tempo è stata la patria della scultura, ebbero da que’ cittadini la commissione di fare alcune statue de’ loro dei. Non era peranco terminata l’opera che, per un torto ricevuto, ritiraronsi presso gli Etolj. Non molto dopo una fiera carestia con altri mali venne a travagliare i Sicionj, i quali in tale frangente ebbero ricorso ad Apolline Pitio, implorandone ajuto e consiglio. Seppero i due offesi scultori far parlare a loro vantaggio l’oracolo, il quale perciò rispose che non avrebbe egli abbandonati i Sicionj, se Dipeno e Scillide avessero terminate le incominciate statue degli dei. Tanto bastò, perchè fossero i medesimi non solamente risarciti nell’onore, ma ezandio rimeritati con ampia mercede.
  23. Questo Learco da alcuni, presso Pausania lib. 3. cap. 17. pag. 251. in fine, fu creduto scolaro di Dedalo, ed autore di quel Giove di bronzo presso gli Spartani, composto di vari pezzi uniti insieme sì fortemente con chiodi da non potersli i medesimi in verun modo staccare, [come già Winkelmann ha notato sopra pag. 34.princ. ]. Tale statua vantavasi per la più antica di quante siensi formate in quel metallo.
  24. Paus. lib. 5. cap. 17. pag. 419.
  25. idem lib. 6. cap. 19. pag. 500. in fine.
  26. idem lib. 2. cap. 2. pag. 32. lin. 30.
  27. V. Freret Recherch. sur l’ancienneté & sur l’orig. de l’art de l’équit. des anc., Acad, des Inscript. Tom. VII. Mém. pag. 296.
  28. Paus. lib. 3. cap. 18. pag. 255.
  29. Scalig. Animadv. in Eus. chron. p. 87. Laerzio lib. 1. segm. 62., Meursio in Solone, cap. 10. over. Tom. iI. col. 266.
  30. Paus. lib. 10. cap. 1. pag. 801.
  31. idem lib. 9. cap. 34. pag. 778. lin. 26.
  32. Paus. lib. 7. cap. 2. pag. 582. in fine. [ Vedi Tomo I. pag. 30. n. 1.
  33. ibidem.
  34. Le parti di legno di questa statua tenevansi coperte con un sottilissimo velo, come ci avvisa l’istesso Pausania, che fa menzione lib. 4. cap. 31. pag. 357., & l. 8. c. 31. p. 665. di altre opere da Damofonte eseguite in marmo, quali furono, tra le altre, una Cibele ed una Venere. [Di questa scrive Pausania cit. pag. 665., che avesse le mani, la testa, e le punte de’ piedi di marmo; il resto di legno. Nel cap. 37. p. 675. descrive un gruppo rappresentante Cerere, ed era in marmo tutto di un pezzo, opera dello stesso scultore.
  35. Paus. lib. 8. cap. 31. pag. 665.
  36. id. lib. 7. cap. 26. pag. 592. lin. 25.
  37. id. lib. 6. cap. 14. pag. 486. princ.
  38. Bentley’s Diffen. upon the ep. of Phal. pag. 72. seq.
  39. Paus. lib. 6. cap. 18. pag. 497. [ Ved. Tomo I. pag. 26. n. 1.
  40. id. lib. 6. cap. 4. pag. 461. [ Di cui si parlerà qui appresso al Capo iI. §. 23.
  41. ibid. cap. 14. pag. 488.
  42. id. lib. 2. cap. 32. pag. 187.
  43. id. lib. 3. cap. 18. pag. 255. princ.
  44. Diod. Sic. lib. 13. §. 105. pag. 627. Tom. I.
  45. Paus. lib. 5. cap. 25. pag. 443.
  46. id. lib. 7. cap. 18. pag. 570. princ.
  47. lib. 34 cap. 8. sect. 19. princ.
  48. idem ibid.
  49. Secondo Pausania loc. cit. concorsero amendue a formar quella statua. Plinio l. 34. c. 8. sect. 19. §. 18. rammenta un vitello d’oro di Menecmo, e gli attribuisce un libro sulla statuaria. Quest’opera, siccome tutte le altre degli antichi scritte sopra l’arte, le quali per attestazione di Filostrato il giovane Icon. in exord. oper. Philostr. Tom. iI. pag. 862. furono molte, tutte sono perite.
  50. Paus. lib. 7. cap. 18. pag. 569.
  51. Paus. lib.8. cap. 42. pag. 688. princ.
  52. Scrive Plinio lib. 34. c. 8. sect. 19. aver vissuto Agelada nell’olimpiade lxxxvii., ed Egia nella lxxxiv. Otto opere d’Agelada novera Pausania l. 6. 7. 6 10., parte in marmo e parte in bronzo; e Plinio l. cit. quattro ne rammenta di Egia. [ V. appresso al §. 20.
  53. Paus. lib. 6. cap. 10. pag. 476.
  54. id. lib. 5. cap. 24. pag. 439.
  55. id. lib. 5. cap. 27. pag. 448. lin. 7.
  56. Vitruvio præf. ad lib. 7. attribuisce ad Anassagora un trattato di prospettiva, in cui ebbe parte anche un certo Democrito. Dal breve estratto che ne dà ben si scorge aver questo versato sul metodo di bene disporre e dipingere le scene de’ teatri.
  57. Paus. lib. 5. cap. 23. pag. 437.
  58. id. lib. 5. cap. 25. pag. 445.
  59. Questi vien riputato il più eccellente tra gli allievi della scuola di Dedalo. Tutte le opere di lui, delle quali trovasi fatta menzione, erano in metallo- Paus. lib. 5. cap. 25. pag. 445., cap. 27. pag. 449., lib. 6. cap. 12. pag. 479., Anthol. lib. 4. c. 12. n. 6. v. 1.7. La Cerere di Onata, che serbavasi a Figalia, era assai celebre; e Pausania per vederla ne intraprese a bella posta il viaggio, lib. 8. cap. 42. pag. 688. [ Egli dice in quello luogo che Onata era contemporaneo di Egia, e di Agelada, de’ quali ha parlato Winkelmann nel §. antecedente.
  60. Paus. lib. 5. cap. 26. pag. 446.
  61. Sì Glauco che Dionisio, secondo Pausania loc. cit., erano argivi; e opere pregevoli di loro vedeansi in Elide, delle quali fa l’enumerazione il citato storico.
  62. Bentley’s loc. cit.
  63. Paus. lib. 5. cap. 27. pag. 448.
  64. id. lib. 9. cap. 25. pag. 758.
  65. id. lib. 5. cap. 26. princ. pag. 446.
  66. id. lib. 6. cap 9. pag. 473. seq.
  67. Non sono stati d’accordo gli antichi intorno al soggetto rappresentato da Glaucia sul cocchio. Hanno preteso alcuni essere questi stato Gelone re di Sicilia, che lo abbia poi mandato in dono a Giove in Elide; ma, secondo l’opinione di altri, seguitata da Pausania loc. cit., il quale ne reca le ragioni, fu innalzata quella statua a Gelone, o piuttosto a Geloo, uomo privato, che nell’olimpiade lxxiii. riportò là palma ne’ giuochi olimpici. Presso il cocchio di Gelone un’altra statua vi era, opera di Glaucia, rappresentante Filone uscito vittorioso dal pugilato. Paus. ib. pag. 474. in fine.
  68. Schol. Aristoph. in Ran. v. 504.
  69. Plin. lib. 35. cap. 11. sect. 40. §. 24., lib. 6. cap. 4. sect. 4. §. 1.
  70. La scuola di Sidone, come da Plinio lib. 35. cap. 11. sect. 40. §. 24. raccogliesi, è stata soltanto di pittura, ed ebbe la medesima per fondatore il rinomato Eupompo, pittore di tanta autorità che arrivò a dividere in tre le due antiche scuole della Grecia. Fiorì, egli è vero, nella stessa città anche la statuaria, ed alcune belle opere del loro scarpello vi lasciarono Dipeno e Scillide; ma che essi vi abbiano in oltre fondata una scuola di scultura, nessun antico autore, che io sappia, lo lasciò scritto, siccome nemmeno che le città di Corinto e d’Egina abbiano avuto scuole, la prima di pittura, l’altra di statuaria, come qui appresso scrive l’erudito nostro storico. [ Se gli autori di quella nota non avessero tolta dalla loro edizione milanese la citazione di Plinio lib. 36. cap. 4. sect. 4. §. 1. darà da Winkelmann qui avanti nella lettera (h), e l’avessero esaminata, avrebbero veduto con qual fondamento si possa stabilire in Sicione una scuola anche di scultura, di cui possono credersi autori Dipeno, e Scillide. Riguardo a Corinto, ed Egina vedremo nel §. 9. 10. qui appresso, che Winkelmann non ha pensato male. ] Piuttosto alle tre greche scuole di pittura accennate da Plinio aggiugnersi potrebbe la scuola attica di scultura fondata da Dedalo, della quale Pausania fa menzione l. 5. c. 25. p. 445. in fine, [ e lib. cap. 37. pag. 804. in fine.] Tale division di scuole osserva il conte di Caylus Reflex, sur quelq. chep. du 35. livre de Pline, iiI. part. Acad. des Inscript. Tom. XXV. Mém. p. 191. essere cessata nella Grecia, allorché vi si moltiplicarono i maestri dell’arte. Formatasi allora da ciascheduno una maniera propria, non più si parlò di scuole, ma soltanto di maestri in particolare, e de’ loro allievi.
  71. Paus. lib. 6. cap. 9. pag.472.
  72. id. lib. 6. cap. 3. pag. 459. princ.
  73. idem ibid.
  74. Athen. Deipn. lib. 6. c. 14. p. 253. B.
  75. Plin. lib. 35. cap. 18. sect. 35. §. 7.
  76. Plut. in Arato, op. Tom. I .p. 1032. C.
  77. Ath. lib. 5. cap. 6. pag. 196. E.
  78. Thucyd. lib. 1. cap. 13. pag. 12.
  79. Plin. lib. 35. cap. 3. sect. 5.
  80. Geogr. lib. 8. pag. 528. B. [Strabone molto chiaramente ci dice lib. cit. p. 587. B. che in Corinto, egualmente che in Sicione, fiorisse la pittura, e la statuaria, ed altre arti affini a queste; e che in esse città avessero avuto un maggior accrescimento: Corynthi, ac Sycione pingendi, ac fingendi, aliæque id genus artes aucta sunt. Paolo Orosio Hist. lib. 5. cap. 3. scrive, che Corinto fu per molti secoli l’officina di tutti gli artisti, e di tutte le arti: Per multa retro sæcula velut officina omnium artificum, atque artificiorum fuit.
  81. Plin. lib. 35. cap. 3. sect. 5. 6.
  82. Paus. lib. 7. cap. 4. pag. 531. princ.
  83. Come tra gli altri ne fa distinta menzione Pausania lib. 7. cap. 5. pag. 533. in fine, lib. 8. cap. 53. pag. 708. in fine, lib. 10. c. 36. pag. 891. princ.
  84. Ægynetæ fictoris. Plin. lib. 35. c. 40. §. 41. [ Egineta è piuttosto nome proprio, che di patria, come ivi ha bene osservato l’Arduino n. 112.
  85. Paus. lib. 10. princ. pag. 798.
  86. lib. 8. cap. 5. pag. 608.
  87. id. lib. 2. cap. 29. pag. 178.
  88. Thuc. lib. 1. cap. 14. pag. 13.
  89. Paus. lib. 1. cap. 29. pag. 72.
  90. lib. 9. cap. 80. pag. 728.
  91. Thuc. lib. 2. cap. 27. pag. 114.
  92. Paus. lib. 2. cap. 30. pag. 182.
  93. Arist. De Republ. lib. 5. cap. 10.
  94. Dion. Hal. Ant. Rom. lib. 6. cap. 60. pag. 372. [ Riferisce solamente un’orazione di Appio Claudio, in cui dice che i tiranni si facevano anche coll’adulare il popolo.
  95. Arist. loc. cit. cap. 12., Paus. lib. 1. c. 3. pag. 9. princ.
  96. V. Barnes ad Hom. hymn. in Mart. v. 5.
  97. Paus. lib. 8 cap. 28. pag. 656. lin. 29.
  98. V. Herod. lib. 6 cap. 127. pag. 497. [ Parla degli agonoteti, o presidenti ai giuochi, non di statue.
  99. De Bimard la Bastie not. ad Marm. &c.
  100. Ved. Tomo I. pag. 31. not. d.
  101. Il marchese Maffei è quello, che dà, per quanto io sappia, di falsità a quello monumento nel Mus. Veronen., pag. CCCCX. Ma non sono mancati scrittori, che dopo di lui lo hanno dato per antico, come Corsini Append. ad not. Græc. pag. XIII., Dissert. agonist. pag. 53., e Spiegaz. di due antiche iscriz. pag. IV"., Court de Gebelin Monde primitif, origine da langage, lib. 5. sect. 3. c. 4. pag. 475.., e gli autori del Nouveau traité de diplom. Tom. I. par. iI. sect. iI. cap. X. pag. 631. Vedi il dotto P. Fabricy Diatribe, qua bibliogr. antiq. ec., pag. 288.
  102. Astor. Comm. in Alcm. mon.
  103. Paus. lib. 3. cap. 15. pag. 244. princ.
  104. Hard. Mém. de Trev. an. 1727. août, art. 72. pag. 1444.
  105. Herod. lib. 4. cap. 161. p. 353, Constant. Porphyr. Excerpta Diodori p. 233.
  106. Così pensa anche Wesselingio nella nota al luogo citato di Erodoto, e Bouherio Dissert. Herod. cap. 12. pag. 112.
  107. Arist. De Republ. lib. 5. cap. 12., Strab. lib. 8. pag. 587. B.
  108. Herod. lib. 5. cap. 101. pag.428.
  109. Thucyd. lib. 1. cap. 6. pag. 6.
  110. id. lib. 2. cap. 41. pag. 122.
  111. Ath. Deipn. lib. 6. cap. 15. p. 250. F.
  112. Herod. lib. 3. cap. 131. pag. 264.
  113. Giusta l’osservazione di Diodoro da Sicilia lib. 12. princ. quasi nello stesso periodo di tempo, in cui videsi in Atene per opera di Fidia portata la scultura al grado sommo di perfezione, vi si vide altresì fiorire la filosofia, l’eloquenza, l’arte militare con tutte le altre scienze ed arti; talchè Atene l’oggetto diventò siccome dell’ammirazione, così dell’invidia universale. Se a tal segno di gloria crebbe la nominata città per la perfezione di esse, vi crebbero però queste per esser ella stara una delle grandi, floride e popolate città della Grecia. Tali città solamente possono ammettere ed alimentare nel proprio seno tutt’i rami delle arti e delle scienze, le quali abbisognano d’un vasto campo per prodursi tutt’insieme. Negli spazj più ristretti delle piccole e meno popolose città qualche ramo appena di esse vi può allignare, e questo ancora più facilmente v’isterilisce.
  114. Paus. lib. 3. c. 17. pag. 251. [ Ved. qui avanti pag. 34. princ. e pag. 168. n. 2.
  115. Herod. lib. 1. cap. 69. pag. 34. V. Geinoz Observ. & correct. sur le texte, & la vers. du prém. livre d’Herod. Acad. des Inscr. Tom. XXIII. Hist. pag. 118.
  116. Paus. loc. cit. pag. 250. seq.
  117. id. lib. 3. c. 18. pag. 255. princ., lib. 4. cap.14. pag. 313.
  118. Tanto qui, che sopra pag. 166. §. 4. Winkelmann mette Giziada in tempi sì remoti senza darne veruna prova. Pausania lo fa certamente posteriore d’assai; perocchè parlando di questi tripodi lib. 3. c. 18. p. 255. dice, che furono fatti colle spoglie acquistate per la vittoria al fiume Egi, che lo stesso nostro Autore sopra pag. 169. §. 5. in fine, ha notato bene essere stata riportata nell’olimpiade xciii.
  119. Nell’olimpiade lxxv. anno iiI., avanti Gesù Cristo anni 478.
  120. Paus. lib. 10. cap. 35. pag. 887.
  121. Thuc. lib. I. cap. 118. pag. 75., Diod. lib 12. princ. pag. 478.
  122. Vedi sopra pag. 90. not. a., e Dodwello Appar. ad Thucyd. pag. 14.
  123. Dodwell. loc. cit. pag. 4.
  124. Schol. Pind. Nem. 2. vers. 1. [ Cineto era di Chio, ora detta Schio, e il primo cantò i poemi d’Omero in Siracusa nella detta olimpiade. Eustazio Comment. in Iliad. princ. e ivi Politi n. 2. pag. 16. Ved. Tomo I. pag. 249.
  125. Diod. Sic. lib. 12. §. 53. pag. 514.
  126. Plut. Vitæ X. Rhet. in Antiph. oper, Tom. iI. pag. 832. D.
  127. Meurs. Lect. att. l. 3. c. 27. op. Tom. iI. col. 1141.
  128. Corsin. Fast. att. olymp. xciv. T. iiI. pag. 277.
  129. Non potendosi ammettere una contradizione manifesta tra questo luogo, e l’altro qui avanti nel §. 17.. in cui dice bene Winkelmann secondo Pausania, che i tempj non furono mai più restaurati; diremo, che col tratto di tempo dopo quella devastazione fosse pensato a restaurarli, ma che poi ciò non fosse effettuato. Infatti Pericle, al dire di Plutarco nella di lui vita. pag. 162. D. op. Tom. I., vi pensò, e inviò a tale effetto legati a tutte le città della Grecia affinchè mandassero del’inviati ad un concilio da tenersi in Atene su tal punto; ma nessuna città gli prestò orecchio, essendosi opposti, per quanto si diceva, gli Spartani. Così rimasero i tempj distrutti, e Pausania alcuni ne aveva veduti ancora a’ suoi giorni.
  130. Paus. l. 3. cap. 11. pag. 232.
  131. Così intendo Pausania quando dice ἐπὶ τῶν κιόνων, cioè sopra le colonne; e senza dubbio mal s’appongono coloro i quali lo spiegano in guisa che le figure de’ Persi, del duce loro Mardonio, e d’Artemisia regina della Caria, la quale accompagnò Serse in quella spedizione, fossero singolarmente rappresentate, avendo ognuno di essi una statua particolare posta su una colonna; [ come credo anch’io che fossero rappresentate veramente. Pausania non parla di bassi rilievi, ma di statue, e di determinate persone. Erano soliti i Greci di mettere le statue sopra colonne; e lo stesso Pausania lib. 5. cap. 24. pag. 440. princ. parla di una piccola statua di Giove, e cap. 26. pag. 446. princ. della statua della Vittoria, opera di Mandeo nominata sopra pag. 171. §. 7., poste sopra colonne. Ved. anche Tomo 1. pag. 7. not. i. Ma qui toglie ogni difficoltà Vitruvio lib. 1. c. 1., ove dice espressamente, che erano statue le figure di quei Persiani, e che reggevano il tetto del portico a guisa di Cariatidi.
  132. Paus. lib. 2. cap. 31. pag. 185.
  133. Sopra alla pag. 170. not. 2. si e notato, che Plinio mette Agelada nell’olimpiade lxxxvii. Winkelmann qui pare che voglia avvicinarlo a quella epoca, e che non si sia ricordato di aver alla citata pagina posto lo stesso artista molti anni avanti. Là era forse stato ingannato dall’olimpiade lxvi., in cui vinse Cleostene, la cui statua fece Agelada. Pausania pare che si accordi a Plinio; poiché lib. 8. cap. 42. pag. 688. fa appunto Agelada contemporaneo di Onata; e dice che questi lavorò alla statua di Gelone molti anni dopo la di lui morte, e lungo tempo dopo la spedizione di Serse contro la Grecia. La statua di Cleostene sarà stata eretta molto dopo la sua vittoria; come di altre consimili si è veduto nel Tom. I. pag. 252. Se il sig. Falconet avesse fatte queste riflessioni non avrebbe nelle sue note a Plinio lib. 34. cap. 8. sect. 19. œuvr. Tom. iiI. pag. 69. tacciato questo scrittore da meno esatto, e meno bene informato di Pausania; aderendo, che questi scriva aver Agelada fatta la statua di Cleostene nell’olimpiade lxvi.
  134. Pausania lib. 6. cap. 12. pag. 479.
  135. Non so donde il nostro Autore abbia tratta questa notizia. In vece di Agenore volea forse dire Antenore, che Meursio Ceram. gemin. cap. 10. oper. Tom. I. col. 483., e Giunio Catal. archit. ec. pag. 14. fanno autore delle statue di que’ due personaggi. Essi però mostrano di non aver letto bene Pausania, che citano al lib. 1. cap. 8. pag. 20. Numera questi diverse statue, e in ultimo luogo quelle di Armodio, e di Aristogitone; quindi soggiugne, che le più antiche di esse le avea fatte Antenore, le più recenti Crizia. Non vuol dire con questo, che tali artisti abbiano fatto in diversi tempi le statue di que’ due soggetti, come lo intendono i detti scrittori; ma bensì, che Antenore avea fatte le più antiche delle numerate; e Crizia le più recenti, fra le quali erano le statue d’Armodio e del compagno, nominate in ultimo luogo. Infatti, che le abbia lavorate Crizia ce lo attesta anche Luciano in Philophs. §. 18. oper. Tom. iiI. pag. 45. È qui da osservarsi, che questo Crizia da Luciano è cognominato nesiota, probabilmente per distinguerlo dall’altro Crizia attico più antico, menzionato da Pausania lib. 6. cap. 3. pag. 457.; e così dovrebbe emendarsi Plinio lib. 34. c. 8. sect. 19. princ., ove scrive Crtias, Nestocles, facendo di un solo due diversi artisti, come ben osserva Giunio loc. cit. pag. 57, Vedi appresso pag. 192. not. c.
  136. Lydiat. Redintegr. annot. ad chron. marm. oxon. ep. 46. pag. 49., ep. 55. p. 62. Prideaux Notæ hist. ad id. chron. ibid. p. 213. & 220. [ Questi fa offervare alla citata pagina 213., che Ipparco era un ottimo principe, e che non fu ucciso per liberare la patria, la quale sempre onorò la di lui memoria.
  137. Paus. lib. 6. cap. 11 . pag. 478.
  138. Anthol. lib. 4. cap. 12. n. 69.
  139. ivi num. 32.
  140. Dal nominare la statua di Pisone in quell’epigramma non inferirei così facilmente, che Antipatro vivesse in Roma; poichè con eguale facilità da un altro epigramma fatto da lui a Lucullo in nome degli abitanti di Tessalonica, per ringraziarlo di averli liberati da certi ladroni, potrebbe inferirsi, che vivesse in quella città. Questo epigramma è riportato dallo Scaligero Animadv. in Euscb. chron. ad ann. mdccccxli., pag. 152., ove osserva, che Antipatro viveva al tempi della guerra mitridatica. Si potrebbe piuttosto argomentare, che non stesse in Roma, dall’aver in quell’altro epigramma aggiunta al nome di Pisone la di lui nazione, o patria, chiamandolo ausonio; il che non pareva necessario per uno, che scrivesse in quella città. In secondo luogo mi farebbe credere, che stesse fuor di Roma, il dono, che mandò allo stesso Pisone, di una candela di forma particolare, della quale parla in altro epigramma inserito nella stessa Antologia lib. 6. cap. 10. num. 3.
  141. Pitt. d’Ercol. Tom. iI. Tav. 5.
  142. Phænom. vers. 268.
  143. loc. cit. Tav. I.
  144. Poll. Onomast. lib. 4. cap. 9. segm. 59.
  145. Schol. Eurip. in Alcest. vers. 345.
  146. A mio parere, mal s’appone Hunt, il quale, nella prefazione alla nuova edizione di Hyde De religione Persarum, pretende che la voce barbiton derivi dal persiano. Egli ne prende argomento da certo racconto spettante a Cofroe; e non riflette che a tempi di questo monarca già da lungo tempo noti erano i Greci ai Persi, ond’è probabile che questi nell’adottare un greco istromento ne abbiano insieme adottato il nome.
  147. Tanto Suida, che Tzetze Chil. 7. hist. 154. v. 2., e Chil. 8. hist. 192. v. 376. scrivono Gelada, e lo dicono maestro di Fidia, non di Policleto; e sarà lo stesso, che lo Scoliate d’Aristofane in Ran. vers. 504., chiama Elada, nominato da Winkelmann sopra alla pag. 171. §. 7. infine. Crederei più probabile, che avesse errato quello Scoliaste nel dire Elada per Gelada, e che questi, maestro di Fidia, sia diverso da Agelada, maestro di Policleto: e però non saprei accordarmi a Meursio, il quale nel suo Piræus, sive de Piræo Athenien. portu, cap. 4. oper. Tom. I. col. 554. vuol che si emendi Agelada in tutti quegli scrittori, senza darne buone ragioni.
  148. Plin. lib. 34. cap. 8. sect. 19. §. 16.
  149. Ha già osservato il signor ab. Visconti Museo Pio-Clem. Tom. I. Tav. 7. pag. 73. n. b., che Winkelmann qui cade in due errori. Il 1. nel supporre i Dioscori di Egesia in marmo, quando Plinio loc. cit. li dice in bronzo. Il 2. nell’asserire che quelli del Campidoglio siano stati trovati nel luogo stesso, mentre abbiamo da Flaminio Vacca nelle sue Memorie, n. 52., che furono trovati nel Ghetto degli Ebrei. Ved. appresso al Lib. XI. Capo iiI. §. 14.
  150. Quint. Inst. Orat. lib. 12. cap. 10.
  151. Crederei che ciò si potesse dire con tutta sicurezza se riflettiamo, che Quintiliano, il quale fa loc. cit. la serie di varj artisti per far vedere come si è andato migliorando lo stile, per primi conta Calone ed Egesia, de’ quali dice, che i loro lavori erano dei più duri, e simili agli etruschi; quindi mette Calamide, i di cui lavori erano meno duri; e in ultimo Mirone, che si era distinto con una maniera più morbida. Duriora, & Tuscanicis proxima Colon, atque Egesias; jam minus rigida Calamis; molliora adhuc supradictis Myron fecit.
  152. Hard. Mém. de Trév. 1727. août, art. 72. pag. 1449.
  153. Reflex. sur les méd. de Crotone, Acad. des Inscript. Tom.I. Hist. pag. 235.
  154. Mus. Capitol. Tom. I. Tav. 33.