Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo V/Libro III/Capo IV

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Capo IV – Gramatica ed Eloquenza

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Capo IV.

Grnmntica eE’Eloquenza.

I. Quanto maggiore fu in questo secolo il numero delle università e delle altre pubbliche [p. 928 modifica]<>28 LIBRO scuole in Italia, tinto maggioro ancora fu il numero de* professori clic in esse insegnavano gli elementi della gramatica e della rettorica. Il magistero di queste arti era spesse volte affidato ad un sol professore; talvolta divideasi in due, o in più ancora. Ma comunemente gli stessi professori di gramatica erano uomini che sapeano ciò che allora solea sapersi , di rettorica e di eloquenza; e insegnavano a scrivere e a ragionare non solo correttamente, ma ancora con quella facondia di cui a que’ tempi aveasi idea; e davano que’ migliori lumi che poteano ritrovare, alf intelligenza degli antichi scrittori. Noi perciò ragioneremo qui degli uni e degli altri , ristringendoci però, secondo il nostro costume, a quei soli dei quali ci è rimasta più chiara fama. Quindi tratteremo di quelli i quali, benchè non si trovi memoria che tenessero pubblica scuola, ci lasciarono ciò non ostante qualche saggio della loro eloquenza. IT. Il sig. Domenico Maria Manni ha pubblicato l’anno 1735 colle stampe di Firenze Boezio della Consolazione volgarizzato da Maestro Alberto Fiorentino co’ motti de’ Filosofi, ec., la qual traduzione , come f opera l’originale, è mista di prosa e di. versi. Da un codice di essa, citato dall’ab. Mehus (Vita Ambr. camald, p. 188), raccogliesi che questo traduttore fu soprannomato dalla Piagentina; e che a questa versione egli si accinse l’anno 1332, essendo prigione in Venezia, e che ivi finì i suoi giorni, perciocchè vi si leggono questi versi, ne’ quali Alberto é introdotto a ragionare così: [p. 929 modifica]TERZO 929 In sono Alberto della Pi agemina, Di che Firenze vera Donna fue ^ Che nel mille trecento trentadue Volgarizzai questa eccelsa Dottrina, Et per larghezza di grazia divina Ne chiosai due libri et piue% Anzi che morte coIV opere sue In carcere mi desse disciplina. E son contrito, e fra’ Romitani Nella Città di ‘Vi ne già seppellito. Onde gli venisse il suddetto cognome, si scuopre da un altro codice citato dal medesimo Mehus, che ha nel titolo: volgarizzato per Ser Alberto Notajo della.contrada detta Piagentina da Santa Croce detta de’ Frati Minori della Città di Firenze. Il Manni congettura che Alberto, oltre l’esser notaio, fosse ancor professore di belle lettere; e io sospetto che quell’Albertino da Piacenza, che dall’Alidosi (Dottori forest di Teol., ec. p. 2) si dice professor di gramatica in Bologna l’an 1315 , fosse appunto il nostro Alberto, da lui, con errore facile a commettersi, creduto piacentino. Più codici ancora si hanno in Firenze delle Eroidi d’Ovidio tradotte da un Alberto fiorentino, che il Manni pretende che fosse diverso da quello di cui ragioniamo} e l’opinione di lui è stata seguita dall’Argelati (Bibl. de’ Volgarizz. t 1, p. 169) e dal co. Mazzucchelli (Scritt ital t. 1, par. 1, p. 325). Ma a me non sembra che essi ne arrechin ragioni bastevoli a provarlo, e io inclino anzi al parere dell’ab. Mehus che attribuisce al medesimo Alberto amendue le versioni. E qui non è da ommettere che frequenti furono in questo secolo le traduzioni degli [p. 930 modifica]y3o LIBRO antichi scrittori latini nella nostra lingua volgare. Così troviamo l’Eneide di Virgilio tradotta in prosa italiana da Meo di Ciampolo Ugurgieri sanese (Delizie toscane, t 1, p. i o5), e un’altra traduzione pure abbiamo dello stesso poema fatta da Andrea Lancia, il quale più altre opere antiche traslatò similmente. Di ciò veggasi l’abate Mehus (Vita Ambr. camalli p. i83), il (piale ragiona ancora di altre traduzioni verso questo tempo fatte da Filippo Ceffi, da Matteo Bellebuono, da Nicola Ventura e da altri. ili. Poco ancora possiam dire di alcuni altri professori di gramalica,* de’ quali solo sappiamo che ottenner gran nome. Giovanni da Strada, padre del poeta Zanobi, da noi mentovato nel capo precedente, tenne per più anni scuola di gramatica in Firenze, come ci narrano gli scrittori delle Vite di Zanobi e del Boccaccio, i quali ne furon discepoli. Il ch. dottor Lami crede probabile (Novelle letter. 1748, p. 218) eli’ ei sia quel Giovanni Mazzuoli che fu fatto prigionier da’ Lucchesi nella battaglia dell’Altopascio, l’anno 1325. Era al tempo stesso in Firenze un cotal maestro Filippo professor di gramatica, di cui nelle biblioteche di quella città conservasi un’opera di elementi della lingua latina. E convien dire ch’ei superasse nel sapere gramaticale tutti i suoi colleghi, perciocchè ei dicevasi per eccellenza maestro Filippo della Gramatica, come pruova l’ab. Mehus (l. cit p. 186) da un Necrologio di Santa Maria Novella, in cui se ne segna la morte all’anno 1340. Più celebre ancora è il nome di Bruno fiorentino per l’elogio che ne ha lasciato [p. 931 modifica]TERZO 931 Filippo Villani. Bruno9 die1 egli (Vite d ili. Fior, p. 60) 7 figliuolo di Casino cimatore, di quell’arte maestro? industrioso uomo 7 se lo (amore, col (quale gli fui congiunto 7 non ni inganna, fu a ingegno eccelso, nè so se per natura o per arte più potente. Conciossiacosaché le sue gentili stelle Ì avessero a somma eloquenza inclinato; e i arte al bene della natura aveva aggiunto, che non solamente emulatore e imitatore deli arte, ma inventore et ordinatore di quella pareva. Fecelo la natura alla Rettorica accomodatissimo: i arte quello7 che la natura mancava , v aggiunse. Questi pubblicamente a Firenze insegnò Rettorica7 imitando le scuole degli antichi, nelle quali s9 usavano le declamazioni secondo la facoltà dello ingegno di ciascuno , acciocchè quindi per Vesercizio delV arte 7 che molto giova 7 gT ingegni diventassero acuti 7 e i moti e i gesti del corpo all Orazioni e alla materia appartenenti si apparassero. e i vizii degli erranti correnti nelle scuole andassero poi e ne’ consigli e nell altre adunanze pubbliche emendati. Questo uomo degno (d’essere compianto nella sua gioventù, da acerba morte prevenuto, le gran cose 7 che nella Rettorica avea cominciato, a chi venne dopo lui lasciò interrotte 7 lasciando solamente un libretto , il quale avea intitolato: Delle figure e modi del parlare; nel quale dimostrò 7 quanto nella Rettorica fosse valuto 7 se passato avesse i termini della giovanezza. Perì costui di pestilenza nell anno della grazia MCCCXLVIII a fatica avendo tocco il trentesimo anno. Di quest1 opera, clic qui viene attribuita a Bruno, non [p. 932 modifica](pa unno trovasi più, ch’io sappia, codice alcuno. Ben abbiamo una lettera del Petrarca a lui scritta (Famil. l. 7, ep. 14); la quale benché nelle edizioni di Basilea sia indirizzata trentino, nell’originale però, come ci assicura l’ab. Mehus (l. cit.), è indirizzata Scr Bruno de Florcntia ainwo atijuc sno. In essa il Petrarca risponde a una lettera che aveagli scritta Bruno, il quale gli avea insieme mandati alcuni suoi versi, e ne loda altamente T ingegno tanto più ammirabile, dice, quanto è più densa la nube della comune ignoranza fra cui risplende. Nè vuolsi qui tacer di Bandino, padre di Domenico d’Arezzo, tante volte da noi nominato, il figlio , nella sua Fonte di cose memorabili f ci ha lasciata onorevol memoria del suo genitore nei diversi passi che ne ha prodotti l’ab. Mehus (ib. p. 130), ne’ quali lo chiama uomo per F eloquenza e per lo studio delle lettere e delle belle arti famoso, e narra ch’egli nato in Arezzo di padre mercatante, tutto nondimeno si rivolse a’ buoni studj , e che, essendo in essi eccellente, si diè a giovare agli altri col tener pubblica scuola, e ciò, come a me sembra probabile, nella sua patria. Domenico aggiugne che niuno a que’ tempi avea fama d’uomo eloquente al par di Bandino, e ne cita in pruova le lettere che ancora esistevano, scritte in uno stile leggiadro, sentenzioso e grave, e perciò piacevolissime a leggersi; e alcune orazioni ancora clic egli aveaue lette, in cui Bandino parea avere in se stesso raccolte le virtù tutte degli antichi romani oratori. Possiam però credere, a [p. 933 modifica]TERZO 933 buona ragione, che il figliale affetto facesse qui esagerar non poco a Domenico le lodi paterne. Egli morì, come lo stesso suo figlio racconta, nella crudel pestilenza dell’an 1348. Delle epistole e delle orazioni da lui composte io non credo ch’esista più cosa alcuna. Alcune rime di un Bandino d’Arezzo, che è probabilmente il nostro, trovansi in un codice che era già di Francesco Redi, e di cui parla il conte Mazzucchelli (Scritt ital t. 1, par. 2, p. 1021). Noi abbiamo già avvertito (t.4,p.5&8) l’error del Quadrio che ha confuso Bandino d’Arezzo con Brandino da Padova; nè minore è quel del Ciacconio che a Bandino attribuisce le opere di Domenico di lui figliuolo (BibL p. 133). E io credo pure che diverso dal nostro sia quel maestro Bandino teologo, autor di un Compendio del Maestro delle Sentenze, di cui in altro luogo abbiam ragionato (t. 3). IV. L’università di Bologna, che avea a’ que’ tempi il vanto d’antichità e di fama sopra tutte le altre, nel numero ancora e nel valore de’ professori di gramatica e d’eloquenza non dovette rimaner addietro ad alcuna. Fra essi ottenne gran nome, al principio di questo secolo , Giovanni de’ Buonandrei bolognese, il quale, secondo il Ghirardacci, era ivi professor di rettorica fin dal 1312 (Stor. di Bol t. 1 , p. 56i), e mori l’anno 1821 (ib. t. 2. p. 17) (a). (a) Il conte Fantuzzi, presso cui si posson veder le notizie di questo professore (scritt, bologn. t. 2.p.375, ec.), dice solo ch’egli era professore nel 1317 # e die mori nel i3ai. [p. 934 modifica]q34 Liuno Nc abbiamo alle stampe alcune poesie italiane che si annoverano, dopo altri, dal conte Mazzucchelli (Scritt. ital. t 2, par. 4, p. 2328). Nella Riccardiana in Firenze si ha una Istruzione per iscriver lettere di Giovanni Buonandrea da Bologna, sul cui principio si leggono questi versi: Di Bologna natio questo autore, Nella Città studiando, dove è nato , Con allegrezza e maestrale amore Ai giovani scolar questo trattato Brievemente compose, il cui tenore Conci e de a chi l’avrà ben i studiato Saprà quel, che V Epistola addimanda , E sufficientemente in lei si spanda. Lami, Catal. Bibl. riccard, p. 79, 212. E io non so su qual fondamento il co. Mazzucchelli creda questo Giovanni di Buonandrea esser diverso dal poeta or mentovato. Di lui pur fa menzione Benedetto da Cesena, autor del secolo xv, chiamandolo (De honore Mulierum , l. 4 > ep. 2) Giovanni Buonandrea de’ tempi autore; colle quali parole sembra indicarci qualche opera gramaticale da lui composta, e forse la stessa che quella dello scriver lettere, come pare che ci persuada il passo del Ghirardacci. Or ritrovandosi, dice egli, (l. cit. t. 2, p. 17), citandone in pruova i pubblici monumenti, per la morte di Giovanni Buonandrea famoso ed inclito Dottore lo studio della Rettorica quasi abbandonato, il Consiglio, acciocchè la Città restasse col suo primo onore di essere tenuta per vera alunna e madre degli studj, elesse, in luogo del defunto, Bartolino figliuolo di Benincasa da Canullo, che era [p. 935 modifica]TERZO 935 stato già ripetitore e discepolo del detto Giovanni Buonandrea, il quale sì onoratamente si portò j che mantenne in piedi con glorioso grido lo studio della detta Rettorica, e fece maraviglioso proposito. Egli leggeva Tullio due volte l anno, cominciando dopo la festa di S. Luca, ed il finiva alla Pasqua di Risurrezione. E dopo la detta festa di nuovo principiava di leggere il detto libro, e gli dava fine a S. Michele di Settembre. Leggeva parimenti due volte l anno V arte del formare i Latini e l’Epistole (opera dal detto Giovanni composta) cominciando a Quaresima, dando nell’istesso tempo e Latini ed Epistole, e finendo innanzi Pasqua. Di maniera che tanto i Latini come anche i Volgari erano dai Discepoli a pieno intesi. La qual lettura fu assegnata di leggerla sopra il Palazzo de’ Notari, dandogli il salario parte al Natale, e l altra parte a Pasqua. Questo passo ho io qui voluto riportare distesamente, perchè ci spiega il metodo che da’ professori di rettorica allor si traeva. La lettura di Tullio, che qui si accenna , era , a mio credere , la spiegazione de’ libri ad Erennio a lui attribuiti, ovver di que’ de Inventione, poichè i libri de Oratore appena erano allor conosciuti. Tre anni dopo l’elezione di Bartolino all’impiego di professor di rettorica, ad istanza degli scolari, che lo aveano in altissima stima , fu in essa confermato, come si ha negli atti pubblici citati dal Ghirardacci (ib. p. 49). Di lui troviam menzione anche all’anno 1321 (ib. p. 83), benchè ivi per errore ei chiamisi col nome dei padre , non Bartolino , ma Benincasa. Ma dopo [p. 936 modifica]C)3G LIBRO quell’anno io non ne veggo memoria alcuna. L’Orlandi, seguito dal co. Mazzucchelli (Scritt ital t 2, par. 2, p. 852), gli attribuisce l’Arte di formare i Latini e l’Epistole citata dal Ghirardacci. Ma questi, come abbiamo veduto, afferma ch’ella era opera di Giovanni di Buonandrea. V. Ma niuno, tra’ professori bolognesi di questo secolo, superò in fama e in onore Pietro da Muglio. L’ab. de Sade, di lui favellando, dice (Mètn. pour la vie de Petr. 13, p. 631) ch’egli era bolognese di patria, ch’erasi ammogliato a Venezia, e che in questa città facea scuola di rettorica, dopo averla tenuta per alcuni anni a Padova. E quanto alla patria di Pietro, è certissimo ch’ei fu bolognese, come vedremo da più monumenti che si dovranno accennare. Ch’ei prendesse in moglie una Veneziana, sembra,ugualmente certo, poichè abbiamo una lettera che il Petrarca scrissegli da Venezia (Senti. I. ep. 3), intitolata Petro Bononiensi, in cui gli significa il suo dispiacere, perchè essendo ivi venuta per ritrovarlo in casa la suocera dello stesso Pietro, i suoi servidori aveanla rimandata, dicendo che il Petrarca dormiva. Ma quanto alla scuola da lui tenuta in Venezia, non so qual pruova possa addurne l’ab. de Sade. Anzi è certo che appunto nell’anno 1363, in cui egli dice che era maestro in Venezia , questi trovavasi a Padova. Così raccogliam da una lettera che il Petrarca scrisse ragguagliandolo delle feste che in quell’anno si erano celebrate in Venezia per le vittorie riportate sopra i ribelli di Candia. Benchè, gli [p. 937 modifica]TERZO 937 scrive egli (ib. ep. 2), tu presente coir animo e vicino di corpo, possi quasi udire lo strepito, e veder la polvere de’ solenni giuochi, e se pure alcuna cosa ti rimane a sapere, possa a ciò supplire il continuo passaggio de’ viaggiatori , credo nondimeno che riceverai volentieri dalle mie lettere il ragguaglio di ciò che più volentieri avresti veduto, se la malattia non te V avesse vietato. Era dunque allora Pietro in Padova, ed eravi probabilmente professor di gramatica, o di rettorica, benchè gli storici di quella università non ne facciano menzione alcuna. Passò poscia a Bologna; e io credo che egli vi fosse poco dopo il 1368, poichè il Petrarca in un’altra sua lettera a lui scritta, e intitolata Petro Rethori Bononiensi (ib. L 14 ep. 10), parla della peste che già da cinque lustri (cioè cominciando dal 1348) facea strage in Italia, e dice ch’ella allora travagliava Bologna , unde tibi origo, ubi nunc mora est. Nella stessa lettera mostra il Petrarca, in quale stima avesse Pietro, perciocchè avendogli questi scritto che troppo spiacevagli di esser da lui lontano, e di non potere perciò apprendere più da lui cosa alcuna, come prima soleva, no, gli risponde il Petrarca , non tu dalla mia conversazione, ma io anzi dalla tua avrei potuto apprender molto, se non mi fosse mancato o V ingegno, o la diligenza. E forse in quel tempo medesimo scrisse il Petrarca un1 altra lettera in cui ben dà a vedere quanto Y amasse, pel timor che mostra a cagion della malattia da cui avea udito che Pietro era compreso (ib. I. i3, ep. G). Essa [p. 938 modifica]9^8 LIBRO però non fu a Pietro fatale, poiché troviamo che l’anno i3-8 egli era in Bologna nel Consiglio de’ cinquecento (Ghirard. t. 2, p. 314)7 e nell’anno stesso il reggiani nominato professor di gramatica (ib. p. 359)). Il Boccaccio non cedeva punto al Petrarca nella stima che avea per Pietro; e una lettera ch’egli scrisse, mentre era in Padova, e che è stata pubblicata in parte dalf ab. Mehus (Vita Ambr. camald! p. 250), ci dà a vedere che la fama di Pietro era giunta fino in Toscana, e ne avea sparsa si grande opinione, che alcuni partiti erano da Firenze sol per conoscerlo di presenza: L’illustre tuo nome, gli scrive egli, che dapprima è stato racchiuso tra’ confini veneti e tra f Emilia, or, superati i gioghi dell A pennino, b fino a noi pervenuto, e si è reso celebre fra gli eruditi. Quindi alcuni giovani scolari sì ardentemente bramano di vederti e di udirti, che , abbandonata la patria , gli amici e i parenti, già si son posti, per quanto io odo, in viaggio per venire costà. Un di essi è Giovanni da Siena, che già da lungo tempo tenea presso noi scuola di gramatìca; che in quest* arte a mio parere è assai bene istruito, come tu stesso potrai conoscere. Egli è giovane modesto, piacevole , di egregi costumi, e sommamente inclinato allo studio della rettorie a c alla lettura de’ buoni autori; V altro b Angelo Priore della canonica dei SS. Michele e Jacopo di Certaldo... il quale siegue spontaneamente il suo maestro... Io non so ancora se verrò presto a Padova, ma se verrò, non mancherò al certo di rendetti [p. 939 modifica]TERZO 93() visita. Giovanni da Siena talmente si strinse a Pietro, che seguillo poscia a Bologna , e prese ad aiutarlo nelle fatiche scolastiche. Ma poco appresso morì di peste, come abbiamo da una lettera di Coluccio Salutato al medesimo Pietro , in cui si duole con esso che perduto abbia un sì valoroso compagno, e un sì dolce sostegno nel gravoso suo impiego (Epist. t. 1, p. 167). E qui è ad avvertire che questo Giovanni da Siena è certamente diverso dal medico da noi altrove nominato, come dalle cose che dell’uno e dell’altro abbiam dette, è abbastanza palese. Pietro morì in Bologna l’anno 1382, e nell’antica Cronaca italiana di questa città se ne fa al detto anno onorevol menzione, dicendo: Morì Maestro Pietro da Moglio, il quale era Dottore in Gramatica, e fu uno de’ grandi valentuomini, che fosse gran tempo stato in queste parti per la sua scienza (Script. Rer. ital. vol 18, p. 524). Abbiamo ancora due lettere del mentovato Coluccio, scritte a Bernardo figliuol di Pietro (t 2, p. 99, 102), in cui ne dice gran lodi, e fra l’altre cose, eh e finche Bologna sarà madre degli studj, il nome di Pietro sarà celebre sopra quello degli altri retori tutti. Ma di un professore sì valoroso non ci è rimasta, ch’io sappia, nè opera nè frammento alcuno che ce ne mostri il sapere e la eleganza dello stile. VI. Fra’ suoi amici ebbe ancora il Petrarca più altri di cotai professori, che da lui si esaltano con gran lodi nelle sue lettere. Rinaldo da Villafranca teneva scuola in Verona verso l’an110 1343, quando il Petrarca inviato a Napoli 5 [p. 940 modifica]94o libro e con grandi preghiere invitato da’ dotti uomini che ivi erano, a (fissar soggiorno tra loro, propose loro in sua vece Rinaldo , e gli scrisse perciò una lettera in versi (Carm. l. 2, ep. 15), rappresentandogli quanto più dolce vita avrebbe ivi condotta lungi dallo strepito della scuola e dalla noiosità de’ fanciulli. Ma convien credere, dice T ab. de Sade (Mètri, pnur la vie ile Pctr. t. 2 , p. 177), che quella Galatea, da cui dice il Petrarca ch’erasi Rinaldo lasciato allacciare, non gli permettesse di scioglier la rete fra cui trovavasi avvolto. Ei dunque fermossi in Verona; e il Petrarca circa l’anno 1345 affidogli a istruir nelle lettere il suo figlio Giovanni (ib. p. 228). Quindi tre anni appresso, inviando Giovanni a Parma, il diede a scolaro a Gilberto da Parma maestro di gramatica in quella città, a cui ancora scrisse una lettera, nella quale caldamente gliel raccomanda, e gli addita la più sicura maniera a ben istruirlo (Famil. l 7, ep. 17). Ma l’an 1352 di nuovo mandollo a Verona, e il pose di nuovo alla scuola di Rinaldo con una sua lettera pubblicata dall’ab. de Sade (l. cit. t 3 , p. 220). Così questo scrittore ordina le epoche di diversi maestri a cui fu Giovanni da suo padre affidato. Ei però non ci reca tal pruove che mostrino non poter essere ciò accaduto in altri anni. E certo il seguente epitafio di Rinaldo, pubblicato dal marchese Maffei (Ver. ill. par. 2), ci mostra ch’egli morì nell’anno 1348, e conviene perciò anticipare di alcuni anni le lettere poc’anzi accennate. [p. 941 modifica]TERZO Epitapliium Magistri Raynaldi de Pago libero Grammaticae Professoris. Hic cubo Raynaldus, fueram qua parte favilla, Qua mens orta fuit, patria requiescet in illa. Promerui nomen, licet ortus stirpe pusilla: Grammaticam docui: genuit me libera Villa: Milleque trecentos sex octo pergerat illa Hora sol gyros, cum vite diruta fila. L’ab. de Sade ha certamente veduta la Verona Illustrata del marchese Maffei, e ha veduta in conseguenza questa iscrizione. Perchè dunque non ha egli seguita quest* epoca? o almeno perchè non ha egli sciolta la difficoltà che dalT iscrizione medesima nasce contro l’ordin de’ tempi da lui seguito? Lo stesso Maffei fa menzione di alcune opere da Rinaldo scritte, e ne produce un epitafio da lui composto per Antonio da Legnago consigliere degli Scaligeri. Di Gilberto da Parma, al contrario, non so che ci sia rimasta cosa alcuna. Due lettere parimente abbiam del Petrarca, indirizzate la prima Pollino Gramatil o Piacentino , la seconda Sanino Grammatico Piacentino (Semi. i5, ep. 6, 7), e forse questi due sì poco diversi nomi convengono a un uomo solo. Nella prima lo esorta a non atterrirsi dal riflettere al poco che finallora avea appreso; nella seconda esortalo similmente a non abbandonare gli studi per timore di non ricavarne quell’onore che ad essi è dovuto. Ma a chiunque sien queste lettere indirizzate , non abbiam alcun lume per saperne più oltre. Gli scrittori bolognesi e, dopo essi, il Mazzucchelli (Scritt ital. t 1, pars, 1:p. 1280), ci parlano di Pietro Azzoguidi rettorico in [p. 942 modifica]94a LIBRO Bologna, e amico pur del Petrarca, di cui dicono che gli scrisse più lettere. Ma io temo che questi non sia altri che quel Pietro da Muglio da noi già nominato poc’anzi. VII. Più frequente ancora e più amorevol commercio di lettere passò tra ’l Petrarca e Donato dal Casentino, che da lui vien detto comunemente A pennini gena ossia generato sulf Àpennino, a cui la provincia del Casentino appartiene, e che dicesi ancora da Pratovecchio luogo del Casentino, onde era natio. L’abate de Sade (Mèm. pour la vie de Petr. t. 3, p. 631), seguendo l’ab. Mehus, gli dà il cognome di Alban/,ani, il quale io non so su qual monumento sia fondato. Il soggiorno che fece in Venezia il Petrarca, gli diede occasion di conoscer Donato, e il conoscerlo fu lo stesso che amarlo. Scrivendo di colà al Boccaccio fanno i3(33, e invitandolo a venire a Venezia e a stabilirvi il suo soggiorno, tra i motivi che arreca per allettarlo, Qui è9 dice (Senil. l. 3, ep. 1), il nostro Donato dall Apennino, il quale, abbandonati i colli Toscani, già da più anni abita alle spiagge dell Adriatico... successore nella professione ancora, non che nel nome, a quell’antico Donato, e uomo, di cui non v ha il più dolce , il più amabile, che più ti ami e che più siati conosciuto. Queste parole ci mostrano che Donato era allora già da più anni professor di gramatica in Venezia, e pare che per più anni ancora continuasse ad abitarvi. Le molte lettere che il Petrarca gli scrisse (ib. l. 5, ep.5,67q)l.87ep.6) l.9, ep. 4, 5; l i^7ep.ep)9 son testimonio della vicendevole tenerezza clic [p. 943 modifica]tebzo C)/|3 passava fra P uno e P altro. Donato, il quale; dal Boccaccio vien detto (Geneal. Deor. l. 15, c. 13), uomo povero, ma onorato e suo grande amico, confessava di dovere al Petrarca quella qualunque miglior fortuna in cui ritrovavasi (Petr. Senil. l. 8, ep. 6), e ne mostrava al Petrarca la sua riconoscenza con inviargli a quando a quando qualche piccol presente, di che quegli amichevolmente con lui si duole in una sua lettera (ih. /. i4>?p- 9)- Quando Francesca, figliuola del Petrarca e moglie di Francesco da Brossano, diede alla luce in Venezia un figlio , volle il Petrarca che Donato lo levasse al sacro fonte. Ma fra non molto ebbero il dispiacere amendue di perdere, l’an 1368, il Petrarca il nipote, Donato un suo figlio detto Solone, nella qual occasione quegli gli scrisse un’assai lunga e patetica lettera (ib. l. 10, ep. 4)* In essa il Petrarca dice che Solone era, quando morì, nell’età stessa in cui morì il giovin Marcello nipote d’Augusto, cioè in età di diciotto anni, dal che raccogliamo ch’egli era nato nel 1350, e che Donato perciò dovea esser nato verso il 1330 al più tardi. Questa riflessione mi fa sospettare che un’altra lettera del Petrarca a lui indirizzata (ib. l 13, ep. 5), in cui lo chiama col nome di figlio, e lo esorta a rispettare suo padre , dicendogli che benchè per la troppo tenera età non sia in istato di ben conoscere le virtù e l’ainor che g!i porta , dee nondimeno persuadersi di esserne teneramente amato; mi fa sospettar, dico, che per error de’ copisti, come spesso è accaduto, sia a lui diretta, ma che ella fosse dal Petrarca [p. 944 modifica]944 LIBRO indirizzata ad altri. Perciocché sembra da ciò che si è detto, che il Petrarca non conoscesse Donato se non in Venezia, quando rt’avi già da più anni professor di gramatica, e non perciò più in istato di ricevere cotali avvisi. Oltreché, in ni un1 altra lettera fa menzione il Petrarca del padre di Donato. A lui indirizzò il Petrarca il trattato De sui ipsius et multorum ìgnorantia; e di lui pure fece menzione nel suo testamento, ove egli è nominato da Pratovecchio: Magistro Donato ile Prato ve ieri Grammaticae praeceptori mine Vcnetiis 1 min tanti, si quid debet ex mutuo , quod quantum sit nescio, sed utique parum est, remitto et lego, nec volo? quod haeredi meo hanc ob causam ad aliquid iene ali ir. Egli era amico ancor del Boccaccio, come si è detto, e questi, nell’ultima delle sue egloghe, lo introduce a parlare sotto il nome di A pennino, come egli stesso dice nella sua lettera a f Martino da Segni, pubblicata dal P. Gandolfi (De CC. Script. augustin.) e dal Manni (Stor. del Decam, par. 1 , c, 20): pro Apennino amicum meum, ad quem mitto , intelligo , quem ideo Apenninum voco , quia in radicibus montis natus et altus sit Coluccio Salutato ancora ebbe in grande stima Donato; e come il Petrarca gli avea già scritto per consolarlo della morte del primo di lui figlio Solone, così Coluccio gli scrisse nella morte delf altro, che solo gli era rimasto, detto Antonio (Colucc. Epist. t. 2, p. 137). In questa lettera mostra Coluccìo in qual concetto avesse Donato, scrivendogli che da lungo tempo bramava di aver con lui commercio di lettere per la fama che [p. 945 modifica]TERZO f)4-r> udita avea del profondo sapere di cui egli era dotato, e per cui veniva creduto uno degli uomini insigni di quella età, e fra essi ancora un de’ primi. L’ab. Mehus accenna ancora Vita Ambr. camald. p. 252) alcune lettere inedite da Coluccio scritte a Donato, e una tra l’altre, in cui con lui si rallegra che sia stato eletto alla dignità di cancelliere del marchese Niccolò III d’Este, di cui prima era stato maestro. In fatti di questi due onorevoli impieghi da Donato avuti, si fa menzione negli Annali Estensi di Jacopo Delaito, pubblicati dal chiarissimo Muratori, affanno i3j)8 (Script Rer. itaL vol. 18, p. 933): Item officio Cancellieratus loco Bartholomaei de la Mella praefecit Magi strimi Donatimi de Casentino, qui pracceptor suus fiwrat. In qual anno Donato, abbandonata Venezia, si recasse a Ferrara per istruirvi nelle lettere il marchese Niccolò, non trovo chi ne faccia menzione (a). Solo sappiamo, e il pruova il P. degli Agostini (Scritt venez. t. i , p. 4) colf autorità di un codice a penna che si conserva presso i PP. Riformati di Trevigi, che per ordine di questo principe ei recò (a) Donato era in Ferrara almen fin dall’anno sotto il qual anno, in una carta de’ 9 di giugno, egli è nominato Magis ter Ponalu* de Casentino Doctor Gramaticae, e annoverato con alcuni altri tra’ famigliari del marchese Niccolò III. Anche in un1 altra de1 9 di settembre del 1397 abbiamo un contratto fatto in Ferrara presente circumspectu et bon. viro Magistro Donato de Casentino professore in Grammaticali bus «1frascripti D. Marchionis (cioè del suddetto Niccolò III) cive et habitatore Ferrane in contrata bare banali uni, et*. Questi due documenti conservansi nel segreto archivio Estense. [p. 946 modifica]<)K> libro dal latino nella favella italiana il libro degli Uomini illustri dal Petrarca composto. A lui pure dedicò egli la traduzione in lingua italiana del libro del Boccaccio delle Donne illustri, di cui due codici a penna si conservano nella real Biblioteca di Torino (Cat Bibl. taurin. t 2 , p 446); e al fine di un de’ quali si legge: Finito libro de famose donne compilado per Messer Zi urne Boccaccio ad petition della famosissima Reina Zuana de Puglia. Poi fo stralatado in idioma volgar per Maestro Donato di Casentino al magnifico Marchese Niccolò da Este Principe e Signor di Ferrara. Fin quando vivesse Donato, e se altro saggio ei lasciasse del suo valor negli studj, non ne abbiamo notizia alcuna. E io avrei di lui parlato più in breve, se non avessi creduto che meritasse da me più distinta menzione il primo che si ritrovi essere stato chiamato all istruzion* letteraria di uno de’ principi Estensi. Vili. Tutti questi gramatici erano o uguali, o di non molto inferiori in età al Petrarca. Un altro ve n’ebbe che, essendo ancor giovinetto, fu da lui conosciuto ed amato, e ne ebbe direzione ed aiuto per giungere a quella fama che poscia ottenne. Fu questi Giovanni da Ravenna, uno de’ più famosi gramatici di questa età, e che comunque toccasse ancora più anni del secol seguente, dee nondimeno aver qui luogo, perchè la storia di lui troppo è connessa con quella del Petrarca. Ma sono sì inviluppate e sì oscure le cose che di lui ci narrano gli autori antichi, che appena è possibile lo stabilir con certezza ciò che abbiasene a credere. Il Petrarca [p. 947 modifica]TERZO y/|7 assai lungamente ci ragiona di lui in alcune sue lettere? e prima in una scritta al Boccaccio; ch’è stata data alla luce dall’ab. Mehus (Vita Ambr. caniald. p. 349), poscia dall’ab. de Sade (Meni, pour la vie de Petr. t. 3, p. 700): Un anno dopo la tua partenza (cioè Tanno 13(34) mi è venuto in casa un giovane et indole generosa, di cui mi duole che tu non abbi cognizione, benchè egli ben ti conosca, avendoti spesso veduto in Venezia e in casa mia, e in quella di Donato, e avendoti secondo il costume di quell’età attentamente osservato.... Egli è nato alle sponde dell’Adriatico circa quel tempo, se non tri inganno, in cui tu ivi eri (cioè verso l’an 1347 presso il signor di quella città (Ravenna) avolo di colui che or ne ha il dominio. È nato di povera e sconosciuta famiglia, ma è fornito di sobrietà e di gravità senile, cf acuto ingegno, di veloce e ferma memoria. In undici giorni ha apprese a mente le mie dodici egloghe, e me ne ha recitata una ogni giorno, e all’ultimo due9 con tal franchezza, qual se avesse il libro sottocchio. Egli ha inoltre, ciò che a questa età è sì raro9 il genio dell’invenzione # e molto estro e grande inclinazione alla poesia.... Il volgo non è si avido delle ricchezze, quanto ei ne è nemico... appena riceve ciò che è necessario al vitto: nell’amor della solitudine2 nella temperanza di cibo e di sonno gareggia meco, e spesse volte mi vince. Che più? Co’ suoi costumi mi ha rapito talmente j che mi è caro al pari di un figlio. Già son due anni che è presso di me. e fosse egli venuto prima; ma la sua età appena gliel avrebbe permesso. Così prosiegue il Petrarca [p. 948 modifica]a dirne gran lodi, e ad esaltare singolarmente la felice disposizione che sortito avea alla poesia ,per cui aggiugne che sperava un giorno di vederne riuscimento non ordinario. Ma un anno appresso, qual mutazione v.d’cgli in questo giovane di cui avea fatti pronostici sì felici! Due lettere del Petrarca scritte a Donato, stato gi,\ maestro di Giovanni, e che, pe’ sentimenti di tenerezza paterna di cui son piene, meriterebbero di esser qui riportate distesamente, se F eccessiva lunghezza loro non mel vietasse, ci narran tutta la serie delle vicende che agli accaddero (Senil l.5, ep 6, 7). Il Petrarca avea preso ad amarlo talmente, che tratta vaio non altamente che tìglio, o amico. Avealo fatto entrare nello stato clericale 9 raccomandandolo perciò alf arcivescovo di Ravenna, il quale niun’altra cosa avea più caldamente inculcata a Giovanni, che l’amare e il rispettare il Petrarca; e questi aveagli ancora data sicura speranza di un beneficio ecclesiastico. Or mentre ei compiaceasi nel venir formando alla virtù e alla scienza questo tenero allievo, Giovanni, per una cotal capricciosa incostanza, annoiatosi della vita che conduceva, e desideroso di viaggiare pel mondo, chiese congedo al Petrarca. I discorsi che questi gli tenne per distoglierlo da sì pazza risoluzione, e che da lui stesso si riferiscono, sono una nuova testimonianza del bel cuore e dell’amabile indole di questo incomparabil uomo. Ma nulla valse a rattenere il giovane impetuoso. Partì dunque da Padova, e fra continue piogge valicò l’Appennino e recossi a Pisa, ove aspettò per qualche tempo una nave su cui imbarcarsi [p. 949 modifica]TERZO 949 per Avignone. Ma non offrendosi ella , annoiato e: ciò che per lui era peggio, privo omai di denaro, diede addietro, ripassò l’Appennino, e credendo di trovare il Petrarca in Pavia, colà si rivolse. Ivi allora non era il Petrarca, ma sol Francesco da Brossano, da cui fu accolto amorevolmente; e quando seppe che il Petrarca si accostava a Pavia, gli fu da lui condotto all’incontro. Il Petrarca lo accolse con più dolci maniere, che Giovanni non si pensava: ma già a me pare, dic’egli, di vedermelo venire innanzi di nuovo a prender congedo. Io già gli ho apparecchiato altro denaro pel viaggio; e perchè egli non si adiri incontrando qualche ostacolo alla partenza, troverà il denaro pronto, la porta aperta e me in silenzio. E il Petrarca previde il vero. Perciocchè sembra evidente che di lui intenda egli di favellare in una sua lettera a Ugo da S. Severino generale della reina Giovanna, in cui gli raccomanda un giovane stato in sua casa alcuni anni, che mosso dal desiderio di apprendere la lingua greca, e nulla atterrito dall’infausto successo di un altro viaggio poco prima intrapreso, avea risoluto di trasportarsi nella Calabria, ove il Petrarca aveagli detto che agevolmente avrebbe potuto istruirsene (ib. l. 11 ep. 9). Di lui ancora deesi intendere un’altra lettera del Petrarca a Francesco Bruni segretario apostolico in Roma ib. ep. 8), in cui gli raccomanda un giovane stato in sua casa oltre a tre anni, e impaziente di aggirarsi pel mondo. E F ab. de Sade congettura (Mcm. pour la vie de Petr. t 3, p. 708) che allo stesso Giovanni sia indirizzata un’altra lettera del Petrarca Tiraboschi, Poi. VI. 28 [p. 950 modifica]g5o libro intitolata vago cuidam \Senil. l. \f\, ep. ia), m cui con lui si rallegra che sia giunto in Roma e abbia trovato ricovero nella casa di un suo caro amico, cioè, per quanto sembra, dell1 istesso Bruni, e lo esorta a por fine una volta a tanti viaggi. IX. Queste son le notizie che di Giovanni da Ravenna troviamo nelle opere del Petrarca, E da esse, e singolarmente dalla lettera al Bruni, veggiamo ch’egli avealo tenuto seco oltre tre’anni. Ma Coluccio Salutato, in una lettera a Carlo Malatesta signor di Ravenna, in cui gli raccomanda Giovanni, afferma ch’egli era vissuto presso il Petrarca quasi quindici anni: Hic autem fuit quondam familiaris atque discipulus Celebris memoriae Francisci Petrarcae, apud qm m (pumi ferme trilustri tempore manseri t, ec. (V. Me bus, l. cit. p. 251). Il Coluccio era amico egli ancor del Petrarca; e alla testimonianza di lui sembra che non possa farsi eccezione, Ma come conciliare ciò che egli dice, con ciò che dice il Petrarca? Questi afferma , come si è detto, che Giovanni eragli venuto in casa l’anno 1364 E quindi, ancorchè volessimo dire che questi, tornato da’ suoi viaggi, di nuovo con lui vivesse, potrebbe ciò stendersi al più allo spazio di dieci anni, essendo morto il Petrarca nel 1374 (<*)• (a) Non so intendere come il sig. Landi affermi eli’ io nulla dico per combattere l’autorità di Coluccio , il quale narra che Giovanni da Ravenna fu per quindici anni scolaro del Petrarca, mentre questi afferma di averlo avuto a discepolo per tre anni soli. A me pare di essermi su ciò steso forse più ancora che non facesse bisogno. [p. 951 modifica]TERZO 951 Questa riflessione, congiunta ad alcune altre che ora riferiremo, ha fatto credere al ch. P. aliale Ginanni, che due Giovanni da Ravenna vissuti al tempo medesimo si debbano ammettere (Scritt. ravenn. t. 1, p. 214), uno de’ quali vivesse tre anni, P altro quindici presso il Petrarca. Veggiamo prima quali altre ragioni ci possan render probabile questa opinione, e poi esamineremo se ella veramente sia tale. Poichè fu morto il Petrarca, Giovanni prese a tenere scuola di belle lettere in Padova. Ne abbiamo una indubitabile testimonianza in un passo delP opera inedita di Secco Polentone, citato dall’ab. Mehus (l. cit), ove egli dice di se stesso, che mentre in età giovanile studiava la rettoriea, U gge va in questa città di Padova, nutrice delle lettere, Giovanni da Ravenna, uomo e per santità di costumi, e per lo studio della eloquenza eccellente, e, se è lecito il dirlo, degno di esser preferito a tutti coloro che professaron in Italia, e furono avuti in conto di dottissimi uomini Perciocchè da questo maestro non solo apprendersi V eloquenza, eli ei veniva ordinatamente spiegando, ma i costumi ancora e l’onestà della vita, in cui egli istruiva coi precetti non meno che con V esempio. È certo dunque che Giovanni da Ravenna fu maestro in Padova j c io mi stupisco che il Papadopoli e il Facciolati non ne abbian fatta parola tra’ professori di quella università , benchè questo secondo scrittore ne abbia fatta menzione come di cancelliere di Francesco da Carrara, che così ei trovasi nominato in una carta del 1399 da lui citata (De Gymn. patav. synt 12, p. 167): Magi ster Joannes [p. 952 modifica]9^2 TJUP.O de Ravenna Cancellar. Magnif. D. Francisci de Carraria Paduae Magi Magistri Convertini Egli continuò ancora più anni dopo a tenere ivi scuola. Perciocchè il P. degli Agostini, colla testimonianza di un codice ms., pruova Scritt venez. t 2, p. 25)che Francesco Barbaro , nato circa il i3c)8, ebbe a suo maestro il nostro Giovanni, il che perciò dovette accadere circa il i {io, o anche più tardi. Il Volterrano (AnthropoL Luì) non parla di Padova, ma dice sol che Giovanni tenne scuola in Venezia, nel che è stato seguito da molti moderni scrittori. Ma a me non sembra che l’autorità di uno scrittore vissuto molti anni dopo possa aver forza a confronto de’ monumenti da noi citati. Or al tempo medesimo che Giovanni da Ravenna insegnava in Padova, veggiamo un Giovanni da Ravenna insegnare in Firenze. L’ab. Mehus ci assicura (l. r.it p. 348) che nell1 archivio pubblico fiorentino si conserva il decreto con cui egli fu da quella Repubblica chiamato ad insegnarvi le belle lettere f anno 1397, e che in esso egli è detto figliuol di Jacopo. Da una lettera di Coluccio Salutato pruova questo scrittor medesimo, che Giovanni era ancora in Firenze l’anno 1404 e il canonico Salvino Salvini ha pubblicato inoltre il decreto con cui l’anno 1412 fu di nuovo destinato alla lettura di Dante (pref. a’ Fasti consol,), dal quale! ricavasi che già da più anni egli era professore in Firenze. Quum vir doctissimus D). Johannes de Malpaghinis de. Ravenna hactenus in C ivi fate Floivnliae pluribus annis legerit, et diligentissime docuerit Rhetoricam, et auctores majores, et ali(/uando lì bruni Vantis, et multos inslruxerit m [p. 953 modifica]TERZO 953 praedictis in non modicum decus civitatis, ec. è egli possibile il conciliare insieme il lungo soggiorno di Giovanni da Ravenna in Firenze col lungo soggiorno del medesimo allo stesso tempo in Padova? Aggiungasi che il professor di Padova si dice figliolo di Convertino, quel di Firenze si dice figliuol di Jacopo. Il fiorentino dicesi ancora della famiglia de’ Malpaghi ili; e quindi il P. ab. Ginanni riflettendo che Giampietro Ferretti, scrittor ravennate del xvi secolo, afferma che Giovanni da Ravenna fu della sua stessa famiglia, si conferma nella sua opinione che due professori dello stesso nome si debbano ammettere , uno de’ Malpaghini, Y altro de1 Ferretti, Io confesso che appena si può sperare di conciliare insieme le diverse cose che di Giovanni da Ravenna veggiamo narrate, senza ricorrere a tal distinzione. Ma confesso ancora che non so indurmi ad asserirla qual certa. Il Petrarca non parla che di un solo Giovanni, e un solo Giovanni ci nominano tutti gli scrittori di que’ tempi, e niuno ci dà un cenno che due celebri professori di questo nome vivessero al medesimo tempo. Giovanni non poteva certo al tempo medesimo essere in Firenze e in Padova. Ma io non so se si possa additare alcun anno, in cui precisamente da qualche scrittor contemporaneo si affermi ch’ei fosse in Firenze, e da qualche altro che fosse in Padova, e potrebbe perciò credersi ch’egli cambiasse spesso soggiorno. La diversità che si trova nel nome del padre, poichè quel di Padova si dice figliolo di Convertino. di Jacopo quel di Firenze, sarebbe una pruova evidente di tal distinzione, [p. 954 modifica]i)54 libro Ma si rifletta. L’abate Mehus cita più lettere scritte al professor di Firenze (Leti.), in cui egli è detto Giovanni Conversano da Ravenna. Io non credo ch’ei potrà render probabile ad alcuno la spiegazione ch’ei reca di questo nome; cioè che Giovanni fosse così nominato pel lungo conversar che fece in Firenze. E a me pare evidente che Conversano sia lo stesso che Convertino, due voci facili a cambiarsi l’una coll’altra per errore o de’ copiatori, o de’ lettori; e quindi dovrebbe dirsi che il professor di Firenze fosse figliuolo di Conversano o di Convertino, e perciò non diverso da quel di Padova. L’ab. de Sade, che si vanta di voler correderò <iY infiniti

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errori dagli scrittori italiani, commessi nel ragionar di Giovanni (l. cit. p. 700), non fa parola alcuna di sì intralciate questioni, e se ne spedisce superficialmente col dire che Giovanni tenne scuola in Firenze, e che vi ebbe a scolari gli uomini più famosi che fioriron nel secolo xv. Io vorrei poterle sciogliere e sviluppare felicemente; ma mi veggo privo della luce di tali documenti che mi servan di scorta a dissipare le tenebre fra cui questo punto di storia è involto. X. Ciò che è certo, si è che Giovanni da Ravenna fu uno de’ più celebri professori de’ suoi tempi. Coluccio Salutato nella lettera da noi già accennata a Carlo Malatesta, in cui gliel propone perchè prendalo a suo maestro, gli dice ch’egli non sa se in tutta quanta è l’Italia si possa trovare dltr’uomo a lui eguale: alle quali espressioni abbiam veduto che son somiglianti quelle con cui ne ragiona Secco Polentone. A questi elogi se ne posson aS8u,Sner [p. 955 modifica]terzo g55 più altri, clic dall1 abate Melius e dal padre abate Ginanni sono stati raccolti, ne’ quali Giovanni è esaltato come uno de’ più eloquenti e de’ più dotti professori che mai fosser vissuti. Alcuni però hanno esagerate troppo tai lodi, dicendo eh1 ei fu il primo a richiamare la tersa e colta latinità in Italia 5 il qual vanto ad assai maggiore diritto si dee al Petrarca. Fra Jacopo Filippo da Bergamo (Suppl. Chron. L 14) fa una lunga enumerazione degli uomini illustri che Giovanni ebbe a scolari j e sono Leonardo aretino, Paolo Sforza, Roberto Rossi, Pierpaolo Vergerio, Ognibene da Vicenza, Guarino veronese, Carlo aretino, Ambrogio camaldolese, Poggio fiorentino, Francesco Barbaro, Francesco Filelfo e Jacopo d1 Angelo, di alcuni de’ quali però sarebbe difficile il dimostrare come potessero essere scolari di Giovanni. E qui è ad avvertire che alcuni di questi furon natii di città vicine a Padova, altri furon toscani , e perciò o debbonsi essi dividere fra due Giovanni, o affermare che un solo tenne scuola più anni in Padova, e più anni in Firenze. Il Volterrano accenna generalmente (L cit) il gran numero di scolari che ebbe Giovanni, dicendo che dalla scuola di lui, come dal cavallo di Troia, uscirono i più famosi uomini che fiorissero in Italia. Lo stesso confermasi da Biondo Flavio (Ital. illustr. reg. 6), il qual però, citando Y autorità di Leonardo aretino, dice che Giovanni, se non potè istruire i suoi discepoli in ciò in che 11011 era egli stesso a pieno istruito, giovò nondimeno assai coll’accendere in essi gran desiderio dello studio delle [p. 956 modifica]I y56 libro belle lettere e delle opere di Cicerone. Le quali parole a me non sembrano sì contrarie agli altri elogi fatti a Giovanni, come sono sembrate al P. ab. Ginanni, il quale di esse si vale a stabilir sempre più la sua opinione de’ due Giovanni. Perciocchè Leonardo e Biondo vissuti molto tempo dopo Giovanni, quando più lieti progressi già si erano fatti nello studio della lingua latina, potean conoscere che quella che ne’ tempi addietro diceasi eloquenza ed eleganza di stile , era ben lungi dall’aver diritto a tal nome. Ma erra il Flavio nello stesso luogo , dicendo che niuna opera ci ha lasciata Giovanni. Alcune se ne conservano manoscritte j ed esse appunto ci fan vedere clf ei 11011 fu scrittore molto più colto di quelli che al suo tempo ebbero in ciò maggior fama. Il Vossio rammenta un codice ms. di più opere di Giovanni, che conservavasi in Padova presso Lorenzo Pignoria (De Histor. lat. l. 3). Io non so se esso ancora vi si conservi j ma trovo che le stesse opere esistono in un codice della Biblioteca del re di Francia: Joannis de Ravenna Dragmalogia, sive Dramatologia; idest Dialogus Venetum inter et Paduanum deeligibili eligibili vitae genere: ejusdem conventio podagram inter et araneam: Liber rerum memorandarum eodem auctore: Historia Ragusii eodem auctore: Historia familiae Carrariensis eodem auctore (Cat. mss. Bibl. reg. Paris, t. 4, p 249, cod. 6494)- M qual codice si dice scritto l’anno 1404. Più altre opere si trovano in un codice della biblioteca del Collegio di Ballior in Oxford, e sono: Jo: de Ravenna Ratiocinarium vi tue: De consolatione in obitum filii: Apologia ejus: [p. 957 modifica]TERZO C)5y De introitu eius in aulam: De fortuna aulica: De dilectione Regnantium: De lustro Alborum in Urbe Padua: Narratio violatae pudicitiae: Dialogus cui titulus: Dolosi Astus (Cat. Codd. mss. Angl, et Hibern. t 2 in Codd Coll, balliolens. p. 8, cod. 290). Il Cardinal Quarini da un codice della Vaticana ha dato in luce i proemii di due opere di Giovanni , che ivi conservansi (Dec. 7, ep. 9, p. 13), una intitolata Historia Elisiae, che è la stessa che la nominata poc’anzi Narratio violatae pudicitiae, l’altra Historia Lugi et Conselicis. E questi sono i due soli frammenti dell’opere di Giovanni, che abbian veduta la luce. Alcune di quelle da noi or nominate trattan di cose appartenenti alla storia di Padova e de’ Carraresi. E perciò se il Giovanni da Ravenna professore in Padova fu diverso da quello che tenne scuola in Firenze, esse debbono attribuirsi al primo. Il P. degli Agostini rammenta un codice (Scritt venez. t 2, p. 29) che contiene una specie di comento sopra V alerio Massimo, composto da Giovanni, al fin del quale si legge: Expliciunt feliciter recollecte Valerii Maximi sub reverendo viro Magistro Johanne de Ravenna olim digno Cancellario Domini Paduanij ec. Il P. Ginanni fa menzione di alcuni altri libri che diconsi da Giovanni composti 7 ma che ora più non si trovano. L’ab. Mehus (l. cit p. 353) congettura eli’ ei morisse verso l’anno ì.jao, e si posson ancor vedere presso questo scrittore emendati alcuni errori che altri han commesso nel favellarne. Io mi son trattenuto, in ragionare di questo gramatico, forse più a lungo [p. 958 modifica]958 LIBRO che non convenisse; ma desidero che l’incertezza e l’oscurità in cui ho mostrato che siamo su questo punto, ecciti alcuno a rischiararla con più felice successo che a me non è riuscito (*). (*) L’eruditissimo sig. D. Jacopo Morelli t custode della biblioteca di S. Marco, mi ha avvertito che nella libreria di S. Antonio in Padova conservasi una copia ws. dell* opera sull’o ieine della famiglia Carrarese t scritta da Giovanni da Ravenna. Precede ad essa una lettera di Giovanni, Egregio Militi Bidulpho (de Carraria senioris Francisci nato, in cui afferma che il detto Francesco, allor già morto, grandemente lo amava, cui, die egli, ohm de sua e genti* ortu opusculum praesens edidi tum sublimibus atque doctissimts viris Joa.itic de Dondis et Paganino (Sala), se quoque annuente, probantibus. Quindi, dopo avere aggiunto ch’ei gli offre fjnell operetta in contrassegno della sua stima Aro/;que, prosieguo, octo prope lustris atrii verna Carrigerum nuspiam in occasione avaritiae aut in sermone adulationis , ut Apostoli dicto me jactem , fui.... Ego juvenis et pauper aulam adii: quid dico adii? immo altro vocatus fui! Queste parole , 11 Ile quali Giovanni afferma di aver quasi per quarant’anni servito a’ Carraresi , mi fanno omai credere con certezza che il cancelliere di Francesco da Carrara sia diverso dal professore di Padova, di Firenze e di altre città; che del professore possa esser vero ciò che Biondo da Forlì afferma , che ni un’opera scrisse , e che solo formò molti valorosi discepoli; e che le opere che van sotto nome di Giovanni da Ravenna, debbansi attribuire al cancelliere , tra le quali, di quella che ha per titolo Narratio violatae pudicitiae, ha copia il soprallodato signor D. Jacopo. Questi mi ha ancora comunicato un monumento curioso intorno a Giovanni da Ravenna il professore, che conservasi negli Atti pubblici di Belluno, a lui trasmesso dal ch. sig. canonico Lucio Doglioni. Ivi, all’anno si legge 2 Mag. Joannes de Ravenna l; centi am habuìt ’a Communi, eo quod esset nini inni vaiali^ et iti multa majo ti bus qnam Professor [p. 959 modifica]TERZO ()5c) XI. Verso i) line di questo secol medesimo era professore di belle lettere in Firenze Antonio piovano di Vado, il quale abbiamo altrove veduto che l’anno 1381 fu destinato alla Grammaiicae , et non bene aptns ad docendunt pueros; e dagli stessi Atti raccogliesi eh’egli e ra stalo colà condotto circa il t 3y5. È probabile che Giovanni di là partendosi, si andasse poi aggirando per le altre città , nelle quali abbiamo veduto eh* ei iti professore , e die avesse in quelle più felice successo che in Ilelluno. « Giovanni da Ravenna, congedato dalla città di Belluno come uom troppo dotto, passò a Padova, ed ivi a’ 22 di marzo del 1382 nominò suo procuratore un certo Raimondo da Valcamonica , abitante in Belluno, per vendere i beni che in quella città e in quel territorio avea colle sue fatiche acquistati Nell’atto pei ciò stipulato, che dall’erudito sig. abate Francesco Doriglieli o mi è stato indicato, egli vien detto maestro Giovanni da Ravenna professor di rettorie» , ligi o del già Conversino fisico di Fregnano presentemente abitante in Padova nella contrada di Sant’Agnese. Imltennesi egli in Padova fin circa l’an 1388, nel qual tempo fu chiamato a sostenere il medesimo impiego in Udine. I documenti udinesi, trasmessimi dal più vo’ te lodato sig. abate Ongaro , ci dimostrano che il primo di ottobre del 1389 Giovanni, che già da qualche tempo dovea ivi tenere la sua scuola , fece sapere a quel pubblico Consiglio , che se si voleva eh5 ei proseguisse nel suo impiego , si spiegassero i patti co’ quali egli dovesse farlo. Il motivo principale di tal dimanda era la rivalità di Giovanni con un certo prete Gregorio che da più anni teneva ivi scuola, e che, benchè più volte gli fosse stato intimato di chiuderla , voleva nondimeno continuarla, e toglieva gli scolari a Giovanni. Fu perciò decretato, a’ 28 di gennaio del 1390, che si mantenessero i patti a Giovanni promessi, 1 he gli fosse pagato lo stabilito stipendio, e che Gregorio dovesse tosto chiuder la scuola. Ma non era ancora soddisfatto il nuovo maestro. A’ 21 di aprile de IP auno stesso [p. 960 modifica]1)6° LIBRO lettura di Dante. A lui scrisse quel Francesco sopraunoniato Organista, da noi già mentovato , un suo poemetto latino in lode del famoso Occamo, e nel titolo di esso così lo portò nuove doglianze al Consiglio, perchè , quando egli era venuto in Udine, gli era stato promesso che avrebbe avuto gran numero di scolari, dai quali avrebbe raccolto un ampio stipendio; che la faccenda andava molto diversamente; e che perciò ei non voleva continuar nell’impiego, se non gli veniva assegnato un onorevole e (fisso stipendio. Il Pubblico, a cui premeva il trattenere un sì valente professore, di buon animo determinò , attenta ejus plurima virtute et prò fumi itale famose sue scienti e, che gli si dovesser pagare ogni anno ottantaquattro ducati. Egli era ancora in Udine nel 1392, e pare che in quell’anno avesse risoluto di andarsene, ma che poi cambiato pensiero vi si trattenesse; perciocchè nei registri delle pubbliche spese, sotto i i* di aprile del detto anno, oltre gli ottantaquattro ducati , si trova che un altro ducato d’oro gli fu pagato causa faciendi reducere libros suos , quos miserat Aquilejam occasione recedendi. Ma poscia dovette egli in quell’anno stesso partir veramente; perciocchè troviamo altri maestri ad esso sostituiti. Sì onorevol memoria nondimeno rimase in Udine di Giovanni, che l’anno 1402, il primo di decembre, un’altra volta determinossi nel pubblico Consiglio di nuovamente invitarlo. Ma convien dire che egli non accettasse l’invito, poichè non trovasene alcun altro indicio. Giovanni dunque partito da Udine dopo il 1392, dovette passare a Firenze, ed ivi trattenersi tutti quegli anni ne’ quali abbiam veduto cb’egli ivi fu professore. Par dunque indubitabile che due Giovanni da Ravenna si debbano ammettere , un de’ quali la sua vita impiegasse nel tenere scuola di belle lettere , l’altro la passasse quasi interamente al servigio de’ Carraresi. E a me sembra assai più difficile V unire in un sol personaggio le cose che dell’uno e dell’altro si pruovano con autentici documenti, che lo scioglier le difficoltà che s* incontrano nel distinguerli *>. [p. 961 modifica]TERZO t)(>I chiama: Ad Dominum Antonium Plebanum de Vado , Grammaticae , Loycae. Rectoricae optimum in stria tonni (Mehus: l. cit p. 3:>/j). E a lui pure scrisse Coluccio una sua lettera pubblicata! dall’ab. Mehus (ib.), da cui raccogliesi di’ egli era professor di gramatica insieme con Domenico d’Arezzo, di cui ci riserbiamo a parlare nel tomo seguente; perciocchè in essa Coluccio lo esorta a non gareggiar con Domenico , e a deporre perciò il pensiero di spiegar le Tragedie di Seneca , cosa già cominciata dal suddetto gramatico. Nel Necrologio di Santa Maria Novella della stessa città di Firenze, si fa un grande elogio di f Guido da Reggiolo domenicano, ivi morto a’ 25 di marzo del 1394, e di lui si dice che era già stato nel secolo Gramatico massimo e Oratore e Retore perfettissimo , e che teneva la scuola presso la chiesa d’Ognissanti; che fattosi poi religioso, fu sì rispettato in Firenze, che avendo i Fiorentini ricuperata la terra di Reggiolo, patria di Guido, lor ribellatasi, e avendo dannati a morte circa dugento di que’ terrazzani, egli ottenne loro il perdono; e che nel suo convento medesimo ei tenne scuola di gramatica, finchè visse, lasciando in disparte gli altri studj, ne’ quali pure avea fatti grandi progressi, e lasciò dopo di sè molti dotti ed eruditi discepoli (ib), p. 331). Convien dire però, che niuna opera ci abbia egli lasciata, poichè di lui non fanno menzione alcuna i PP. Quetif ed Echard A questa classe appartengono ancora e Benvenuto da Imola , che per più anni tenne scuola di lettere umane in Bologna , e singolarmente [p. 962 modifica][)(y2 LITVtlO fu destinato alla lettura di Dante, come altrove abbiamo mostrato; e quel Francesco da Buti da noi pur nominato tra’ pubblici interpreti di Dante, che in Pisa sostenne per più anni con sommo onore F impiego di professore di belle lettere, e di cui si posson vedere l’esatte notizie raccolte dal ch. Fabbrucci (Calogerà Opusc. t. 15), dalle quali raccogliesi ch’egli finì di vivere nella stessa città l’anno 1406. A questi si posson aggiugner parecchi altri, de’ quali sappiamo che furono professori di gramatica e di rettorica nelle altre pubbliche scuole d’Italia; ma de’ quali poco più potremmo produrre che il solo nome, e crediam più opportuno il passarli sotto silenzio. In fatti non doveavi essere o città , o castello di qualche nome, che non avesse uno 4 o più professori di gramatica; e per tacer di altri, ci basti l’annoverar qui alcuni ,’ de’ quali nelle carte di questo secolo si trova memoria, e che veggonsi stabiliti in Bassano col titolo di Dottori in gramatica. Io ne debbo la notizia al diligentissimo e già da me altre volte lodato sig. Giambattista Verci. In una carta adunque di quell’archivio, del 1292, si trova nominato Magister Paganinus Doctor Grammaticae; in altra, del 1314 -» Magistri Simeonis Doctoris gramaticae de contrata Domi; il quale pure trovasi nominato in una carta del 1315, e in altra del 1317. Questo titolo stesso vedesi dato, come abbiam detto altrove, al poeta Castellano: e non v’ha dubbio che i nomi di moltissimi altri si potrebbon per simil modo annoverare; come quelli che si nominano da Albertino Mussato, il quale scrive una sua [p. 963 modifica]TERZO C)(>3 lettera ad Joannem Gramaticae Professorem docentem Venetiis; un’altra ad magistrum Bonincontrum Mantuanum Grammaticae Professorem , e un’altra ad magistrum Guizzardum Gramaticae Professorem (ep. 4, 13, 14 }• Ma qual frutto trarremmo noi da una sì lunga serie di più nomi? XII. Non così vuolsi tacere un altro non dispregevole onore eli* ebbe in questo secol f Italia , e clic a questo luogo in qualche modo appartiene , cioè di dare più segretarii a’ romani pontefici che allora vissero. Che essi si prendessero fra gli Italiani, mentre la corte pontificia trovavasi in Roma, non è a stupirne. Ma che anche i papi francesi , o che risiedevano in Francia, volessero comunemente valersi di segretarj italiani, non è picciolo argomento di lode per la nostra Italia, poichè questo ci mostra ch’era allora comune opinione non potersi trovare altrove chi scrivesse con quella gravità ed eleganza di stile, che a cotai personaggi si conveniva. E deesi ancora aggiugnere a gloria della Toscana, che da essa per lo più furono in questo secol trascelti coloro che vennero destinati a sì onorevole impiego. Il chiarissimo monsignor Filippo Buonamici ci ha data una elegante ed erudita sua opera, in cui ragiona di tutti coloro che hanno occupata tal carica (De clar. pontificiar. epistolar. Script.). Ella è stata stampata in Roma nel 1753, e un’altra nuova edizione se n’è fatta nel 1770. Ma a que’ segretari clf ei nomina, appartenenti al secolo xiv , alcuni altri se ne debbono aggiugnere, la notizia de’ quali deesi singolarmente [p. 964 modifica]9^4 Licito alle Lettere del Petrarca. Io non so se tra essi si debba annoverar quel Giovanni fiorentino , di cui egli ragiona (Senil. l. 15 ep. 6), dicendo che conobbelo nei primi anni del suo soggiorno in Avignone, che era uomo per venerabil canizie, per integrità di costumi e per sapere degnissimo di rispetto, e che da lui era stato esortato a continuar con coraggio negl1 intrapresi studi, da’ quali ei sentiva quasi distogliersi da un cotal timore di non riuscirvi felicemente. Ma il Petrarca non gli dà il nome di segretario, ma quello sol di scrittore del papa; anzi aggiugnendo chetai sorta d’uomini eran comunemente laboriosi più che ingegnosi, pare che lo escluda dal numero dei primi. Il Petrarca, come abbiamo veduto, fu più volte e da più pontefici invitato a questo impiego. Ma egli era troppo amante della sua libertà per non ricusarlo, come fece costantemente. Ei fa menzione di un Francesco da Napoli (V. Além. pour la vie de Petr. t. 3, p. 501), che in vece sua fu da esso trascelto; del quale però non abbiamo alcun1 altra notizia. Poichè questi fu morto, gli fu dato a successore Zenobi da Strada, di cui abbiam parlato tra’ poeti latini, e clic è rammentalo anche da monsignor Buonamici. Egli ivi finì di vivere due anni appresso; e il Petrarca pressato di nuovo ad accettar quell1 impiego, di nuovo se ne sottrasse; e propose invece due suoi amici ad esso opportuni , Giovanni Boccaccio e Francesco Nelli priore de’ SS. Apostoli, da lui comunemente detto Simonide (ib. p. 586). Ma niun di essi lo ebbe, anche perchè Innocenzo VI morì prima [p. 965 modifica]TERZO 965 tli farne la scella. Urbano V, che gli succedette , chiamò a suo segretario Francesco bruni, amico del Petrarca, di cui abbiamo più lettere a lui scritte (Senil. l. 1, ep 5, 6; L 2, cp. l. G, ep. 2; Z.9, ep;. 2; l. 11, 3, ec.), e dalle quali raccogliesi che non già a Roma, come ha affermato monsignor Buonamici (l. cit. p. 154); ma ad Avignone fu chiamato Francesco a sostener quell impiego. Intorno a lui alcune altre notizie si posson vedere presso f ab. Mehus (Vita Ambr. camald. p. 282). Di Coluccio Salutato, che fu dato per compagno al Bruni, abbiam già ragionato nel capo precedente, e ne ragiona ancora monsignor Buonamici (p. 155), il quale però troppo lungo tempo gli fa occupare quel posto, dandolo per segretario a Innocenzo VI, a Urbano V, a Gregorio XI, mentre noi abbiam dimostrato ch’ei fu solo presso il secondo di questi pontefici. A questi finalmente aggiugne monsignor Buonamici un Giovanni bolognese (p. 157) segretario di Bonifacio IX, di cui niun1 altra memoria ci è rimasta (*). (*) Secretano «li Bonifacio IX fu parimente Venerab. Vir Magister Franciscus q. Vend rat ni ni d<> Lanzanico Canonicus Tarvisinus ipsius Domini nostri Segretarius , di cui in Trevigi conservasi il testamento fatto in Roma a’ 9 di febbraio del \\oo. « Anche Antonio Pancera de Protogruaro nel Friuli in quelf impiego servi allo stesso Bonifacio IX, e fu poi vescovo di Concordia, imli patriarca d1 Aquileia , c finalmente cardinale. Di lui parla lungamente il Liruti (Notizie de’ Letter. del Friuli, t. 1, p. 334) Tiraboschi, Voi. VI. 29 [p. 966 modifica]I 966 unno XIII. Di eloquenza oratoria questo secolo ancora ci porge assai scarsi, nè troppo felici modelli. Le Orazioni da Albertino Mussato inserite nella sua Storia, la Invettiva del Petrarca, e alcune sue lettere che meglio dovrebbon dirsi orazioni, e alcune altre cose di tal natura, che trov iamo negli scrittori di questa età, benchè abbiano una forza e un’energia maggiore assai di quella degli scrittori di lle età precedenti, e sembrino per questa parte seguii* no 1 troppo da lungi gli autori classici e originali, son nondimeno troppo da essi lontane nell’eleganza e nella precision dello stile. I sermoni latini di argomento sacro, che abbiamo di questi tempi, son somiglianti’ a quelli de’ quali altrove si è detto, cioè tessuti di passi della sacra Scrittura e de’ SS. Padri, e misti di riflessioni ascetiche , allegoriche, mistiche , per lo più senz’ordine e metodo, e senza eloquenza di sorta alcuna. Di prediche in lingua italiana non abbiamo alle stampe, che quelle di f Giordano da Rivalta pisano domenicano, da lui dette al principio di questo secolo, come da’ titoli delle stesse prediche si raccoglie. Egli morì in Piacenza nel 1311 , ove era stato chiamato da Amerigo general del suo Ordine , per inviarlo professor di teologia a Parigi. Il signor Manni ne ha pubblicate le Prediche , e ad esse ha premesse le poche notizie che della vita di lui ci sono rimaste. Ne parlano ancora i PP. Quetif ed Echard (Script Ord. Praed. t 1, p. 512, 513), i quali però hanno, ma senza ragion bastevole, dubitato che due Giordani si dovessero ammettere, uno detto da Rivalta, l’altro da Pisa. Or [p. 967 modifica]TERZO 967 queste Prediche, quanto sono pregevoli per la purezza della lingua toscana, altrettanto son prive di quella forte e robusta eloquenza che era propria degli antichi oratori, e che in questi ultimi secoli è stata da alcuni con si felice successo tradotta dal foro al pergamo/