Sextarius Pergami saggio di ricerche metrologiche/Capitolo II
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CAPITOLO II.
Le Misure dei Liquidi.
§ 1. Coeva alla riforma, o, per meglio dire, allo stabile assetto delle misure degli aridi dev’essere stata anche la riforma delle misure dei liquidi. Per un’epoca anteriore al secolo undecimo noi non abbiamo alcuna notizia nei nostri documenti, e la menzione di «tres anforas vini», che si trova nella donazione inter vivos del vescovo Tachimpaldo fatta nel 806, cade appunto in un tempo, in cui non possiamo dire con tutta certezza (v. Nota 31), se qui si tratti ancora dell’antica anfora romana della capacità di litri 26,26 (v. Introd. § 1.), oppure di un’anfora riformata secondo il nuovo sistema introdotto da Carlo Magno in tutto il suo impero1. E neppure migliore luce si può avere dai documenti dei vicini contadi, perchè da essi non possiamo trarre altra indicazione, se non che si erano, almeno fino al secolo decimo, scrupolosamente mantenuti gli antichi nomi romani (v. Nota 32), sebbene, e la contenenza, e le suddivisioni di quelle misure avessero potuto subire non lievi modificazioni. Ma nel 1129, in una sentenza pronunciata da due Cardinali legati di papa Onorio II sulle controversie fra il vescovo Ambrogio ed i Canonici di S. Alessandro, troviamo quanto segue: «Producti sunt ex parte Canonicorum tres idonei testes Petrus Bertane Wilielmus Degastaldio Oddo de Crotta, quorum primus de tempore Ambrosii Attonis et Arnulfi, secundus de Attonis et Arnulfi tempore, tertius de tempore tantum Arnulfi testimonium protulerant se vidisse in vinea donica que est de iure episcopatus s. Alexandri duos Congios ad mensuram pergamensem a Canonicis pro sacrificio exigi2.» Le date qui segnate per la esistenza della «mensura pergamensis» del vino ci trasportano indietro di oltre un secolo, poichè il primo vescovo Ambrogio coprì la sede episcopale dal 1023 al 1057, Attone dal 1058 al 1075, Arnolfo dal 1078 al 10963, per cui il primo dei testimonii chiamati in causa, colla sua deposizione a favore dei Canonici di S. Alessandro, ci serbava anche la preziosa notizia che, prima della metà del secolo undecimo, pei liquidi s’era già stabilita una misura propria a questa città. Per conseguenza non è a meravigliare se nei documenti posteriori troviamo espressioni identiche a quelle, che abbiamo vedute in uso per le misure degli aridi, e quindi nel 1181 abbiamo: «anno mclxxxi die xv intrante Augusto in claustro s. Vincentii Adelardus Archidiaconus investivit in presentia et cum consensu fratrum suorum inter quos Arricus de Carceribus de Verona Rugalinum filium Petroboni Rugali de vinea posita ubi dicitur in Fontana Bertelli — ad reddendum fictum tempore vindemiarum Concia quatuor vini ad Sextarium Civitatis Pergami4:» in due investiture inedite del 1251: «Sextarios tres et Quartarium unum musti — mensurati ad Sextarium Comunis Pergami; Sextarios duos musti — mensurati ad Sextarium Comunis Pergami5:» nella costituzione di una enfiteusi perpetua a favore del monastero di Astino fatta nel 1263 era stabilito che a questo si dovessero annualmente consegnare «Sextaria septem musti ad Sextarium Comunis Pergami6.» Qui ci arrestiamo perchè, come vedremo (v. sotto § 4), intorno a questo tempo si diede un’altra base alle misure di capacità del vino: ad ogni modo risulta dai citati documenti che il Congius del vino, al pari del Modius dei grani, era fondato unicamente sul nuovo Sextarius introdotto nel secolo undecimo.
§ 2. La analogia dovrebbe lasciarci ammettere a tutta ragione, che come pei grani fu preso a fondamento delle misure un recipiente, che contenesse esattamente un dato peso di frumento di buona qualità, così si debba aver proceduto anche col vino, ponendo il suo peso come base della capacità dei vasi, coi quali doveasi misurare. Quest’era stato il sistema romano fino dall’epoca del plebiscito Siliano (v. Introd. § 2), e che un tale sistema fosse conosciuto anche nelle età di mezzo, basterebbe a provarlo il Glossario od Elementario del lombardo Papias, il quale compì quest’opera appunto nel 10537, più, l’esempio di Modena, dove nel 1249 troviamo già in pieno uso il Quartarium vini di 333 libbre di vino8. Sfortunatamente, per il periodo che abbraccia l’undecimo, il duodecimo e, per lo meno, la prima mela del decimoterzo secolo, noi non abbiamo alcuna prova diretta per istabilire quale fosse il peso di una almeno delle misure del vino: crediamo tuttavia che la induzione, tratta dalle scarsissime notizie che ci fu dato di raccogliere, varrà a gettare qualche luce anche su questa oscurissima epoca. A Roma l’olio si misurava col Congius, col Sextarius e così via9, anzi erasi introdotto l’uso di un corno trasparente, segnato con dodici cerchi corrispondenti alle dodici once metriche in cui esso era diviso, e la cui contenenza era pari a quella della Emina10. Per quanto tempo siasi continuato questo costume, non sappiamo; certamente però all’epoca langobarda l’olio si pesava, poichè nella convenzione commerciale del 730 fra re Liutprando e quelli di Comacchio troviamo: «oleo libra una11;» poco dopo quell’epoca, in una carta milanese del 777: «oleum libras duocenti, — ut inluminentur ibique ex ipso oleo per cotidianas noctes cecendelas quatuor, et omnibus diebus cecendele uno12,» in una nostra carta di precario del 828 un certo Agemundo di Tagliano si obbliga ogni anno nella festa di S. Alessandro di dare «oleo libras tres13.» Tutto lascia presumere però, che quando nel secolo undecimo si stabilirono le nuove misure pei liquidi, anche l’olio vi venisse compreso, e se per la corrosione del documento non possiamo sapere, se l’olio si misurasse, oppure ancor si pesasse nel 103214, in un atto però di donazione all’altare di s. Silvestro posto nella Cattedrale di s. Vincenzo, che fu scritto nel 1086, è stabilito che «persolvant — Sextarium unum de oleo datum et positura in labello posito prope in altario15.» Nè questo è esempio isolato, poichè nello Statuto del 1204-48, dove si tratta dei dazii, si prescrive che non ne vada esente «oleum ultra Minam unam16;» in un testamento del 1227, riportato in una quitanza inedita del 1304, certo Verdello Villano avea lasciato ai suoi eredi l’obbligo di pagare ogni anno ed in perpetuo all’ospitale di s. Lazzaro «Minam unam oley linosse17.» Fino al 1304 le quitanze di questo legato nominano sempre una Mina, ma nella quitanza del 1305 vi ha: «dederat et solverat libras viginti olei linose fictuales;» nel 1306 vi ha identica espressione; nel 1308, siccome si era lasciato passare il 1307 senza pagare questo canone, così vi hanno «libras quatraginta oley linose fictuales18.» È troppo evidente che questa riduzione non sarà stata arbitraria, chè vi si opponeva l’interesse dell’una e dell’altra parte, ma avrà avuto per fondamento il peso, che era attribuito a ciascuna delle misure dei liquidi. Infatti, la notizia rivelataci da questi documenti, posta a confronto con quanto abbiamo già trovato per le misure degli aridi (v. sopra c. I. § 5), ci porge il modo di determinare anche il valore delle misure del vino. Che queste fossero fondate sul peso, non vi può essere dubbio, ma che in pari tempo la Mina o Sextarius dell’olio servisse anche a misurare il vino, non è credibile, poichè la differenza di peso che vi ha fra l’uno e l’altro è troppo evidente19, e se vedremo nel secolo decimoterzo basarsi il volume delle misure di contenenza del vino unicamente sul peso dell’acqua, appunto perchè si era già scorta una troppo notevole differenza di peso fra gli stessi vini20, con tutta ragione deve ammettersi, che l’apertissima differenza, qual è fra l’olio ed il vino, non fosse punto passata inosservata nell’epoca precedente. Piuttosto è a ritenersi, che a quel modo che 20 libbre, o 2 Pesi, di buon frumento ed altrettanti di sale servirono a costituire le rispettive Staja dei grani e del sale, così per riguardo ai liquidi 20 libbre di vino debbono aver costituita la Mina del vino, alla stessa guisa che 20 di olio formarono la Mina dell’olio, e così dicasi in proporzione di tutte le altre misure. Questa induzione si conferma con ciò, che quando il peso del vino non servì più di fondamento al volume dei vasi nei quali dovea essere misurato, ma gli si sostituì l’acqua, si cessò di misurare anche l’olio, e quindi si tornò a pesarlo come ne’ secoli anteriori al mille, poichè invero, con questa riforma, l’antico sistema legale veniva ad essere abolito, e dovea quindi cadere in disuso. E questo era naturale, perchè, come vedremo (v. sotto § 5), le misure di capacità stabilite dopo quest’epoca dal nostro Comune servirono unicamente pel vino (e per l’aceto), e non per l’olio, ed il diverso modo di determinarne la capacità, sia per essersi introdotto un peso differente, sia per essersi usata l’acqua invece del liquido stesso, che voleasi misurare, dovea togliere ogni ragione di essere anche alle misure speciali dell’olio, sì che la legislazione punto non se ne occupò, nè nei privati documenti dopo il 1304 non se ne fece più cenno. Queste induzioni assai ovvie, che, dedotte dal confronto dei fatti, dimostrano l’unico principio dal quale partirono i nostri avi nel determinare le misure di capacità dei liquidi e dei grani (il che prova anche più apertamente quanto esse induzioni sieno fondate), ci permettono di affermare, che il Sextarius dell’olio e del vino pesasse 40 libbre di olio o di vino, la Mina 20 libbre, il Quartarius 10 libbre. Ciascuna di queste misure veniva a contenere un numero di libbre di vino o d’olio doppio di quello di frumento o di sale, contenuto nelle misure degli aridi: e questo fatto lo vedremo anche confermato da posteriori ragguagli (v. sotto § 6).
§ 3. Il multiplo del Sextarius era il Congius. In un testamento inedito di Giovanni Camerario, scritto nel 1162, troviamo: «Ecclesie s. Salvatoris Congium unum vini in vinea mea de Canale omni anno relinquo et dono21;» in una carta d’acquisto fatto nel 1202 di un pezzo di terra in Corno abbiamo: «dare debebat nomine mercati et solutionis unuis congii vini22;» in altra di affitto del 1211: «reddendo fictum omni anno ipsi monasterio duos congios musti purati23.» Che il Congio di quest’epoca non contenesse sei Staja, come l’antico Congius romano (v. Introd. § 1), è un fatto che fortunatamente possiamo stabilire coi nostri documenti; e a quella guisa che, dopo la riforma del secolo undecimo, vediamo per alcun tempo conservarsi l’antico nome di Modius, quantunque la primitiva capacità di questa misura fosse totalmente alterata, poi poco a poco entrare in campo nell’uso comune quello di Soma, poichè effettivamente sul peso di questa erano fondate le nuove misure, così vediamo pure pei liquidi mantenuto il nome di Congius, sebbene anch’esso verso la seconda metà del secolo decimoterzo fosse destinato a ritrarsi davanti a quello di Brenta, che presentava un concetto di gran lunga più determinato e nello stesso tempo più popolare. Mentre infatti nella definizione di certe questioni fra il vescovo Ambrogio ed i Canonici di S. Alessandro si sentenziò aver questi diritto per antica consuetudine di ricevere dal vescovado «duos Congios vini ad mensuram pergamensem (v. sopra § 1), «centrentott’anni di poi, cioè nel 1267, essendosi ridestate le identiche controversie, si ritrasse in campo la sentenza del 1159, ma non vi si parlò più di due Congi, sibbene di due Brente24: il che indica ad evidenza che, rispetto al valore, la diversità fra il Congius e la Brenta stava solo nel nome. Nella prima metà del secolo decimoterzo non abbiamo una diretta menzione della Brenta, ma bensi dei Brentatori in questa ordinanza dello Statuto più vecchio: «Item stat. quod Rector teneatur facere iurare officiales qui super erunt officio faciendi iurare Beccarios et Tabernarios quod facient iurare omnes Brentatores Civitatis et Burgorum Pergami quod recte et iuste et bona fide mensurabunt vinum quod venerint ad mensurandum tam a parte vendentis quam a parte ementis ad veram et iustam mensuram sibi datam pro Comune Pergami. Et mensuram sibi datam postea non rumpent25.» Esisteva già adunque quell’alto e stretto vaso di legno, che mediante due cigne portavasi sulle spalle dell’uomo e che era detto Brenta, d’onde Brentatori erano chiamati coloro che misuravano il vino e lo portavano ne’ luoghi a loro destinati. E siccome la Brenta era appunto il vaso che conteneva esattamente un Congius, perciò il suo nome prevalse su quest’ultimo, pigliando il suo posto fra le misure26. Ma la perfetta equivalenza fra il Congius e la Brenta dimostra anche che essi non doveano contenere più di due Sextarii. Lo prova il fatto che nella Valle Brembana, malgrado le varie riforme delle quali parleremo in seguito, e dopo un intervallo di oltre otto secoli, si calcola tuttodì che 80 libbre di vino formino una Brenta27, come pure lo prova l’analogia con altre misure. Il Cavallo di vino corrisponde a due Brente28: ora, due Brente di quest’epoca da due Staja ciascuna corrispondono esattamente a libbre 160 o Pesi 16, e, come vedremo (v. § 6), di poco, e se non per una necessità di ragguaglio, si discostano due Brente dello Statuto del 1331. Il carico di 16 Pesi è quasi normale da noi per esprimere quella quantità, che può essere portata a schiena di cavallo; la Soma di frumento è di 16 Pesi (v. sopra c. I. §§ 2, 3): quella della carta pure di 16 Pesi (v. sopra c. I § 2 e Nota 56): il cavallo di sabbia, secondo lo Statuto del 1453, dovea essere appunto di 16 Pesi29, e se da questo peso normale se ne scostano le Some delle coti, del ferro, del rame, abbiamo procurato darne altrove una probabile ragione (v. Append. I § 4). — Oltre al Cavallo di vino vi era anche il Carro di vino. Nello Statuto più vecchio, dove si stabilisce il dazio sulla vendita del vino al minuto, la tariffa porta due soldi imperiali «de quolibet Carro vini30.» Questo nome è sopravvissuto fino ad oggidì per indicare il carico di 6 Brente, ed infatti nello Statuto dei dazii del 1431 il «Carrum seu Planstrum vini» (che si fanno sinonimi) si trova ragguagliato a 6 Brente, nè più nè meno di quello che lo sia oggidì31. Probabilmente esistevano vasi di una speciale forma, e di questa esatta contenenza, che servivano al trasporto del vino su carri32: ma a questo punto basti aver accennato, restando posto in sodo, che già a quest’epoca risale il Carro di vino, composto di 6 Congii o 3 Cavalli33. — Come poi si suddividesse il quartarius da 10 libbre, non lo sappiamo: verisimilmente quando troviamo nello Statuto del 1331 che 16 Bozzole entravano nel quartarius (v. sotto § 4), non si fece che ripetere una vecchia divisione. Il nome di Bozzola era quello che prevaleva a quest’epoca anche in contadi vicini34, e la partizione sedicesimale la vediamo introdotta anche nelle misure dei grani dopo la riforma del secolo undecimo (v. sopra C. I § 6). In questo caso la Bozzola avrà contenuto Once 18 3/4 di vino. — Forse a quest’epoca nel commercio del vino al minuto esisteva un vaso, di non grande, ma indeterminata capacità, detto Stopa: la sopravvivenza di questo nome nel nostro dialetto ce ne offre una prova35. Abbiamo già veduto come a quel tempo si usava dare il calmerio agli osti (v. Nota 125), e mentre ora la contenenza dei vasi è inalterabile, o solo il prezzo varia col variare delle condizioni del mercato, fin dopo la metà del secolo decimoterzo invece mentre il prezzo restava fisso, si mutava per contro, il peso del vino ogniqualvolta occorresse, precisamente come col Calmerio del pane (v. App. IV). Ora, è probabile che la Stopa fosse il vaso col quale si distribuiva questa variabile quantità di vino, o che appunto per questo costume si trasmettesse di generazione in generazione il ridevole detto, averne addosso una buona Stopa, che equivale ad aver trincato più del dovere. Si vede di qui che, secondo questo sistema, le suddivisioni del Quartarius doveano avere una importanza affatto secondaria ed essere impiegate soltanto in quei rarissimi casi di smercio di vino all’ingrosso, in cui si fosse dovuto tener calcolo delle più piccole frazioni, mentre per lo smercio al minuto le relative misure non potevano per questi ordinamenti avere una contenenza fissa: una volta poi tolto il Calmerio del vino, la Stopa cadde in disuso (almeno come vaso da vino), e se non la consuetudine, la legislazione almeno si volse, a nuova guarentigia, poichè era stata abolita quella del peso, a determinare esattamente la contenenza e la forma delle Bozzole e dei Claudi, come vedremo più innanzi (§ 4). — Coerentemente alle cose che abbiamo premesso, daremo il prospetto delle nostre misure di capacità del vino durante i secoli undecimo e duodecimo e per lo meno durante la prima metà del secolo decimoterzo. Per la riduzione dei pesi conosciuti nelle attuali misure metriche di capacità sono da aver presenti due avvertenze. E primamente, che non si può andare lungi dal vero nel tenere il peso del vino identico a quello dell’acqua distillata36: in secondo luogo, che siccome i corpi crescono o diminuiscono di volume a seconda della più o meno alta temperatura, e siccome a quell’epoca le nostre misure saranno state verificate in qualunque stagione dell’anno, così non si può andare errati nel tenere la temperatura media di 13 gradi Centigr.37 come quella che possa darci il più approssimativo volume dell’acqua distillata e conseguentemente anche del vino38. Ritenendo quindi la libbra grossa pari a grammi 812,822139, su questa base furono calcolate le misure di capacità del vino a quest’epoca: il Sextarius vini venne così trovato di litri 32,5321. — Rispetto alle misure degli olii ci siamo valsi delle Tavole pubblicate sul rapporto tra il peso ed il volume degli stessi a differenti temperature40. Noi abbiamo dato il ragguaglio a 13 gradi C. tanto dell’olio di lino, quanto di quello di oliva, perchè sebbene la differenza non sia molto rilevante, tuttavia il lettore possa avere i due estremi sui quali fondare i suoi calcoli. Abbiamo ammesso il Congius anche per gli olii, perchè, quantunque i nostri documenti non ci dieno questa misura di conto, nullameno vediamo che anche a Brescia alla stessa epoca il prezzo dell’olio era basato sulla maggiore misura, il Modius (v. Nota 133). Come poi fosse suddiviso il Quartarius dell’olio, neppure la induzione potè lasciarcelo supporre. Così abbiamo trovato pel Sextarius dell’olio di oliva litri 35,4017, e per quello dell’olio di lino litri 34,7211. Le riduzioni saranno date nella Tavola IIFonte/commento: Pagina:Sextarius Pergami saggio di ricerche metrologiche.djvu/256.ª, A, B, C. Ecco ora il prospetto delle misure del vino:
Congius | 1 | |||
Sextarius | 2 | 1 | ||
Mina | 4 | 2 | 1 | |
Quartarius | 8 | 4 | 2 | 1 |
Bozzola | 128 | 64 | 32 | 16. |
§ 4. Dopochè fu introdotto intorno al 1237 anche nella nostra città il Marco o la Marca a pesare i metalli preziosi (v. Append. II), si diede un novello assetto alle nostre misure di capacità del vino. Nello Statuto del 1331 troviamo prescritto quanto segue: «Item ad eternam rei memoriam declaratur quad Sextarius Comunis Pergami qui est et a longo tempore stetit penes Bollatores est et esse debet Bozzolarum sexagintaquatuor, et Mina tregintaduarum, et Quartarius sedecim et Brenta nonaginta sex Bozzolarum seu Claudorum. Et Bozzola sive Claudus facto computo de aqua serena fontis Vaginis est et esse debet de ipsa aqua serena oncie vigintidue et tres quarterii pro qualibet Bozzola ad uncias argenti . seu cum quibus ponderatur argentum41.» Tutti gli Statuti posteriori, fino a quello del 1453, non solo riportano letteralmente questa ordinanza, ma in certo modo la riconfermano, riducendo anche a peso di Marca il numero delle Bozzole e Chiodi ivi dato per ogni singola misura. Infatti vi leggiamo: «Item quod sedecim Claudi dicte aque faciunt et sunt unius Quartarius. Et sic onus Quartarius dicte aque Vazeni pensat seu poderat unzias trecentas sexaginta quatuor qui faciunt et sunt Marche quadragintaquinque et media ad dictam unziam, cum quelibet Marca sit et esse debeat unziarum octo42. Et sic quelibet Mina dicte aque est et esse debeat Marche nonaginta una ad suprascriptam mensuram unziarum et Marcharum argenti . et sic ad ipsam rationem reperitur et est et esse debet quilibet Sextarius Marche centum octuaginta due ad dictam pensam. Et sic quelibet Brenta est, tres Mine et que tres Mine que faciunt Brentam sint et esse debeant Marche ducente septuaginta tres ad suprascriptam rationem et pensam argenti. Et sic quelibet Brenta est et esse debet Unziarum duomille centum octuaginta quatuor ad suprascriptam pensam et racionem. Et mensura vini debet esse secundum quod est et ascendit in plenitudine vasorum et impleret et ascendere aqua Vazeni ad predictas mensuras et pondera supra declarata . cum aqua Vazeni sit naturalis per se et non mixta cum aliis aquis. Et propterea non est habitus respectus ad pondus seu mensuram vini quoniam vinum seu visa sunt diversi ponderis unum ab altero43.» Gli Statuti, che vengono dopo, ripetono questo speciale conteggio, non perchè dal 1331 al 1353 si fossero cambiati i pesi dell’argento, ma unicamente per facilitare il computo. Se si toglie il Quartarius in cui entravano Marche 45 1/2, in tutte le altre misure, come la Mina, il Sextarius, la Brenta, le Marche entravano con numeri perfettamente intieri. Lo Statuto del 1331 definiva soltanto il peso della Bozzola, e le altre misure erano basate sul numero delle Bozzole, che entravano a formarle: negli Statuti posteriori si sentì la necessità di definire anche il peso delle misure superiori alla Bozzola, col che ammisero la verifica diretta delle stesse, anzichè la indiretta mediante la misura di infimo peso e d’infima contenenza. La riduzione poi fatta dagli Statuti in peso di marca di tutte queste misure prova che l’oncia dell’argento, sulla quale fondava i suoi calcoli lo Statuto del 1331, non era altro che l’oncia di Marca, della quale ci siamo occupati a parte (v. Append. II) perchè nell’un caso o nell’altro il computo torna sempre lo stesso44.
§ 5. Naturalmente i nostri avi prescelsero l’acqua del Vasine per istabilire la base delle loro misure di capacità, perchè essa godette sempre la reputazione di una sorprendente leggerezza. Infatti il nostro poeta, che tra il 1112 ed il 1120 cantava le lodi della sua città natale, osava asserire: «quest’acqua, priva com’è di gravità, s’infiltra per le viscere, ricrea le stanche membra, risana i corpi languenti. Ma perchè tu non pensi che queste cose sieno dette a caso, potrai colla esperienza persuaderti che non sono prette invenzioni. Prendi quattro vasi ripieni di quest’acqua, tre di altra, poni gli uni e gli altri sopra una giusta bilancia e vedrai questa pendere, cosa meravigliosa! dal lato in cui si trova la minore quantità di acqua. Che se brami lenire i furori di Bacca, piglierai due vasi d’ineguale capacità. Nell’uno verserai tre misure di altr’acqua, nell’altro quattro di quella del nostro fonte, e ti accorgerai che perde maggiormente del suo sapore quel vino, che fu unito alla minore quantità45.» Naturalmente in queste asserzioni bisogna lasciare una larghissima parte alla immaginazione del poeta, che nella lontana Bisanzio richiamava al suo pensiero i giovanili ricordi del luogo natio46: nullameno esprimeva un concetto non guari diverso anche lo Statuto quando notava, essersi prescelta l’acqua del Vasine «cum sit naturalis per se et non mixta cum aliis aquis47.» — Questa riforma poi delle misure di capacità era stata fatta unicamente pel vino e conseguentemente per l’aceto48, mentre per gli altri liquidi, a cagion d’esempio gli olii, si tornò all’antico sistema del peso: lo prova il fatto che l’olio fino al 1305 si misurò colla Emina e poi si pesò (v. sopra § 2), lo prova poi la stessa rubrica del capitolo dello Statuto del 1331 dove è scritto: «de modo et quantitate Sextariorum vini, brentarum et bozzolarum seu claudorum49.» A quale epoca sia avvenuta questa riforma, non si può dire con certezza: con molta verisimiglianza si continuò abusivamente a misurare l’olio con qualche vecchia Mina, od a chiamare con questo nome il peso ad essa corrispondente, senza che si possa ugualmente dire che fino a quell’anno perdurasse il sistema dello Stajo da quaranta libbre anche pel vino, poichè la espressione dello Statuto: «Sextarius qui est et a longo tempore stetit penes Bollatores (v. sopra § 4)» rimanda ad un’epoca un po’ più remota di quella che darebbero i soli 26 anni corsi dal 1305 alla redazione dello Statuto del 133150. D’altra parte non si può ammettere che sia dato far risalire quella riforma alla prima metà del secolo decimoterzo, perchè il nostro Comune solo tra il 1217 ed il 1237 aveva riconosciuta la esistenza legale del peso di marco e nel 1254 in parte per la monetazione usava ancora l’oncia comune (v. Append. II § 2), e nel 1227 si trattava senza dubbio per l’olio di una Mina in pieno vigore (v. sopra § 2), se la vediamo durare ancora per quasi settant’anni. La riforma dev’essere succeduta nella seconda metà del secolo decimoterzo, e verisimilmente dopo il 1263, perchè nello Statuto di quell’anno, ora perduto, non si sarebbe mancato di farne cenno, mentre tutto lascia presumere che su questo punto mantenesse il silenzio più assoluto51. I dati forniti dallo Statuto sulla base nuovamente stabilita per le nostre misure di capacità del vino, per quanto sieno precisi, non sono tuttavia sufficienti per dare un esatto ragguaglio delle misure di capacità d’allora colle attuali. In primo luogo, per quanto pura sia stata l’acqua del Vasine, non avrà mai raggiunta la purezza dell’acqua distillata, o per lo meno della piovana: e questo non sarà difficile ad ammettersi quando si consideri, come in generale sieno cariche di sostanze minerali le acque, che nascono su questi colli, e come in particolare l’acqua di questo fonte sgorghi sotto la città e sotto di essa corra per un certo tratto52. In secondo luogo non lievi divarii potevano essere portati dalle differenze di temperatura, dalla imperfezione delle arti nel costruire e i vasi, e le bilance colle quali se ne verificava la capacità53, per cui si può agevolmente supporre, che il valore delle misure d’allora non sarà stato più prossimo al vero di quello lo possa essere per avventura il valore, che a noi è ora concesso di attribuir loro. E se consideriamo che quelle misure erano sempre fondate sovra un determinato peso di acqua, e che col mezzo di questo si procedeva alla loro verifica, e non già col mezzo di un campione costrutto con tutte quelle precauzioni e con tutta quella diligenza, che a quei giorni non si immaginava neppure che fossero per riuscire più utili all’uopo, crediamo non si commetterà un errore, che abbia a condurci appena sensibilmente discosto dal vero, nel ritenere, che la impurità dell’acqua del nostro fonte cittadino abbia potuto controbilanciare, e il peso dell’aria spostata, e insieme l’accrescimento del volume dell’acqua stessa dovuto alla temperatura54: per il che, partendo dalla presupposizione, la quale sembraci abbastanza ragionevole, che ad un chilogrammo di acqua del Vasine abbia corrisposto il volume di un litro, noi assegniamo senza esitare al Sextarius il valore di litri 42,769344, basando sopra di questo il ragguaglio anche delle altre misure nella Tavola II.ª D, E. Ecco ora il prospetto dei reciproci rapporti delle misure del vino fra loro quali risultano dallo Statuto del 1331:
Brenta | 1 | |||||
Sextarius | 1 | 1/2 | 1 | |||
Mina | 3 | 2 | 1 | |||
Quartarius | 6 | 4 | 2 | 1 | ||
Bozzola o Claudus | 96 | 64 | 32 | 16 |
§ 6. Tutto lascia supporre, che in questa riforma, avvenuta sulla fine del secolo decimoterzo, venissero coordinate fra loro le misure di capacità dei grani e quelle del vino. Come nell’epoca precedente 20 libbre di frumento di buona qualità costituivano il Sextarius dei grani, e 40 libbre, o il doppio, di vino costituivano il Sextarius del vino, così è a supporsi che ora si verificasse mediante l’acqua del Vasine lo Stajo dei grani, e sul raddoppiato peso di acqua in esso contenuto venisse costituito quello del vino. È impossibile ammettere che sia affatto fortuita la corrispondenza che vi ha fra le une e le altre misure, e siccome lo Stajo del frumento, secondo il ragguaglio che ne abbiamo dato più sopra (c. I §§ 3 6) dovea contenere a un bel circa marchi 91 di acqua del Vasine55, così fu stabilito che lo Stajo del vino contenesse il peso di 182 marchi, e su di esso vennero regolate anche le altre misure. Probabilmente poi in pari tempo al Sextarius vini di forma cilindrica fu data la base del diametro di Once 9 ¼ e l’altezza di Once 13 del Cavezzo (d’onde il nome volgare di Solio, che ebbe in seguito, v. sotto § 8). La capacità veniva in tal modo ad esser doppia di quella dello Stajo dei grani (v. sopra Cap. I § 3), vale a dire, che, atteso il modo imperfetto con cui si costruivano questi vasi, il mastello di legno, che rispondeva al Sextarius vini, avrà avuto una contenenza non minore di Once cubiche 874 del nostro Cavezzo, ed in ogni caso sempre superiore a questa cifra, non foss’altro che in conseguenza della alterazione che la temperatura poteva portare sul volume dell’acqua, colla quale se ne verificava la esattezza. Con ciò si spiega anche la particolarità di vedere la Brenta formata da uno Stajo e mezzo, invece di due Staja, come il Congius dell’epoca precedente (v. § 3), o di sei come quello di Como (v. Nota 143) e l’antico romano (v. Introd. § 1). In questa riforma si era preso per unità fondamentale lo Stajo, e ne era stata aumentata la capacità in corrispondenza al peso di circa 40 marchi: ma per la Brenta un tale aumento non potevasi fare senza andar contro a pericoli, perchè trattandosi del vaso col quale si misurava, ma insieme si portava attorno il vino, vi dovea essere un limite alla sua capacità ragguagliato alle forze dell’uomo, che dovea servirsene. Ora, l’antica Brenta da libbre 80 corrispondeva a poco più di marchi 276 once 5 di acqua del Vasine: lo Stajo e mezzo di questa riforma a marchi 273; colla lieve riduzione di quasi 4 marchi venivasi a mantenere l’antica Brenta, con una alterazione quasi incalcolabile, la quale non dovea portare verun rilevante sconcerto nelle usuali contrattazioni, e, quel che è più, nella esigenza di canoni o diritti stabiliti nell’epoca precedente56. Il silenzio assoluto che regna in tutta la nostra legislazione statutaria e nei molteplici documenti, che ci fu dato di compulsare, riguardo alle misure degli aridi, permette di credere, come già abbiamo ammesso, che rimanessero inalterate, e che quindi il campione municipale, sul quale si basò il nuovo Sextarius del vino, avesse la identica contenenza di quello costrutto nel secolo undecimo, e il quale durò fino ai giorni nostri.
§ 7. La stabilità non fu uno dei pregi delle nostre misure del vino, che anzi, pare che nella prima metà del secolo decimoquinto vi sia entrata la massima confusione: ma in tanta scarsezza di documenti a noi non riesce agevole ricercarne le cagioni. Gli Statuti del 1353, del 1391 e del 1422 non danno notizia di alcuna alterazione57, ma in quello del 1430, dopo essersi riportate alla lettera le due disposizioni, che riguardano le misure del vino (v. sopra § 4), vi ha questa aggiunta: «Salvo quod mensura consueta non diminuatur nec diminuta esse intelligatur per aliquod contentum in suprascriptis (capitulis alias) statutis58.» Dunque, di fianco alla legale, sussisteva un’altra misura consecrata dall’uso, e noi non mettiamo dubbio che questa non fosse ancora la misura stabilita nel secolo XI, dal momento che l’abbiamo veduta sopravvivere fino a questi dì nelle nostre valli (v. sopra § 3 e Nota 144). Ciò si conferma col fatto, che lo Statuto ordina che questa misura consueta non venga diminuita al fine di farla concordare con quella stabilita nello Statuto del 1331; il che indica, che dovea essere a questa superiore, appunto come abbiamo precedentemente avvertito (v. sopra § 6), ma che in pari tempo la differenza non dovea essere molto grande, se la legislazione sancì la tolleranza di quell’antico modo di misurare il vino (v. Nota 173). — Un’altra variazione ci si presenta nello Statuto dei Dazii del 1431, dove trattando della vendita del vino al minuto, richiama le più antiche disposizioni riguardo alla forma delle misure colle quali effettuavasi quella vendita, ma aggiungendo: «et ipsis et aliis mensuris et eiusdem capacitatis utatur ad vendendum et non aliis sub pena soldornm viginti imper. pro quolibet et qualibet vice qua utetur alia mensura quam Claudo et Claudino ligni suprascripte forme, et tames sit mensura solum onziarum viginti et quarterum trium ut nunc sunt59.» Il Claudus di questo Statuto non era più di once 22 3/4, ma sibbene di sole once 20 3/460. Noi non possiamo dire come abbia potuto formarsi questa misura, che si scosta completamente per la sua capacità, e pel suo peso, dalle Bozzole, Claudi o Boccali, che furono in uso in tutti questi secoli fino a noi61: probabilmente ciò avvenne per la identica causa, per la quale, come vedemmo, si trovò che coll’andare dei secoli il Boccale di Bologna avea diminuita la sua contenenza rispetto alla Quartarola, sì che ne era rimasto in effetto alterato quel rapporto, che tuttavia si credeva comunemente esistesse fra queste due misure (v. Nota 170): ciononostante il Claudus del 1431 deve esser stato quello che determinò l’ultima e definitiva riforma delle misure del vino. Se, come non vi ha luogo a dubitare, la contenenza della Brenta fu in questo tempo mantenuta ferma entro i limiti ad essa assegnati nel secolo undecimo e nel decimoquarto, era naturale che dovesse aumentare il numero di questi Claudi rimpiccioliti, che entravano a formarla. Quindi, mentre prima 16 Bozzole o Claudi formavano il Quartarius, 32 la Mina, 64 il Sextarius, 96 la Brenta, è assai verisimile che ora siasi fatto un ragguaglio approssimativo, il quale, se veniva ad alterare di alcun poco il valore della Brenta legale, nullameno ciò era entro limiti quasi affatto incalcolabili, sicchè nella legislazione daziaria, i cui ordinamenti, perchè fossero efficaci, non potevano fare astrazione dalla realtà dei fatti, si dovette riconoscere questa misura e in certo modo sancirla, nel medesimo tempo che negli altri Statuti si continuava ad ordinare che il Claudus dovesse contenere Once 22 3/4, come se una diversa misura non fosse già entrata in pieno uso. Il prospetto dei dati forniti dallo Statuto del 1331 e dei dati forniti da quello dei Dazii posti di fronte gli uni agli altri chiarirà in qual modo siasi potuto ottenere un rapporto quasi esatto fra la Brenta fondata sulla Bozzola o Claudus da Once 22 3/4, e quella basata sul Claudus da Once 20 3/462, e in pari tempo mostrerà d’onde abbia preso le mosse la riforma del 1453. Ecco ora il prospetto:
STATUTO DEL 1331
Misura legale
1 | Bozzola | Marchi | 2 | Once | 6 3/4 | |
16 | Bozzole | = 1 Quartarius | » | 45 | » | 4 |
32 | » | = 1 Mina | » | 91 | ||
64 | » | = 1 Sextarius | » | 182 | ||
96 | » | = 1 Brenta | » | 273 |
STATUTO DEI DAZII
Misura abusiva
1 | Claudus | Marchi | 2 | Once | 4 | Den. | 18 | |
17 2/3 | Claudi | 1 = Quartarius | » | 45 | » | 6 | » | 14 |
35 1/3 | » | 1 = Mina | » | 91 | » | 5 | » | 4 |
70 2/3 | » | 1 = Sextarius | » | 183 | » | 2 | » | 8 |
106 | » | 1 = Brenta | » | 274 | » | 7 | » | 12 |
La Brenta abusiva, fondata sul numero di 106 Chiodi da once 20 3/4 ciascuno, veniva a superare di once 15 1/2 la Brenta stabilita dallo Statuto del 1331 (v. Nota 179): ma qui vediamo un altro fatto, che ha una certa importanza nella nostra Metrologia: la Brenta, come l’unica misura nella quale entrava un numero esatto di Chiodi, dovea essere quella che pigliava il sopravvento e che dovea tendere a diventare l’unità fondamentale, sulla quale si formerebbero le inferiori misure, a scapito del Sextarius vini, di cui si perdette persino il nome fra noi63. Questo avvenne più decisamente colla riforma delle nostre misure che ci è rivelata dallo Statuto del 1453. In esso leggiamo: «item ad eternam rei memoriam declaratur, quod Sextarius vini Comunis Pergami est et esse debet Claudorum septuaginta et duarum partium trium partium unius Claudi. Et Mina trigintaquinque et tertii unius. Quartarius decemseptem et medii et medii tercii unius Claudi. Et Brenta centum sex. Et Claudo facto computo de aqua serena fontis Vazeni est et esse debet de ipsa aqua Onciarum vigintiduorum et trium Quartariorum pro quolibet Claudo ad oncias argenti seu cum quibus ponderatur argentum64.» Colla riforma segnata nello Statuto del 1453 si ritornò il Claudus al suo antico valore di once 22 3/4, ma si mantenne per la Brenta e per le sue suddivisioni il numero di Claudi che già fino dal 1431 era stato verisimilmente stabilito dalla consuetudine per far entrare nelle antiche misure il nuovo Chiodo di once 20 3/4. La Brenta poi venne ad avere aumentata la sua capacità, perchè questa fu portata da 96 a 106 Claudi. Ecco ora il prospetto delle misure del vino secondo lo Statuto del 1453:
Brenta | 1 | |||||||
Sextarius | 1 | 1/2 | 1 | |||||
Mina | 3 | 2 | 1 | |||||
Quartarius | 6 | 4 | 2 | 1 | ||||
Claudus | 106 | 70 | 2/3 | 35 | 1/3 | 17 | 2/3 |
Colla riforma del 1453 il Sextarius vini perdette ogni importanza, e perché nuovi abusi non avessero ad introdursi, da quel punto la legislazione volle che ogni Comune del contado avesse una Brenta debitamente bollata, e in pari tempo si prescrisse che la misura del vino si effettuasse mediante la Brenta, escluso ogni altro vaso65. D’altra parte si può tener per certo che d’allora le nostre misure del vino non abbiano più subita alcuna alterazione. La Brenta venne a contenere in peso di acqua del Vasine chilogrammi 70,8367: la stessa dalla Commissione creata per l’introduzione del sistema metrico fu trovata contenere di acqua distillata, alle note condizioni di temperatura e di pressione atmosferica, chilogrammi 70,690566. La differenza è quasi incalcolabile, e noi basandoci su quest’ultimo valore, e tenendo presente che il Claudus era la 106ma parte della Brenta del 1453, crediamo di potergli attribuire la capacità di litri 0,66689 e su questo ragguaglio di calcolare nella Tavola IIª, G, H le altre misure date dallo stesso Statuto del 1453. — Quanto a quelle dello Statuto dei Dazii, teniamo per base, come per le misure del secolo undecimo, il peso del vino. È vero che lo Statuto dice soltanto che la Bozzola o Claudus dovea avere il peso di once 20 3/4, senza indicare se di vino o di acqua67, ma in altri luoghi dello stesso Statuto vi ha: «quod vinum et stalathia (acquavite?) intelligatur esse venditum ad minutum cum fuerit venditum ad Claudum et Claudinum vel alio pondere Claudorum decem68;» «vendent ad Claudum et Claudinum ad minutum vel ad aliud pondus69;» dal che si scorge quale rapporto si persistesse nella pratica a mantenere fra il peso ed il volume del vino, malgrado gli ordinamenti della legislazione municipale. Ma rispetto alla Brenta stabilita nel 1453, noi crediamo più ragionevole attenerci al ragguaglio della Commissione del 1801. D’allora il peso divenne parte secondaria nella verifica, perché l’aver disseminato un campione della Brenta in tutti i Comuni del contado, indica che si riteneva la capacità legale del vaso come la più sicura guarentigia contro le frodi d’ogni sorta. Se quindi per indagare i valori delle misure precedenti, delle quali non un solo esemplare sopravvisse, dovemmo anche preoccuparci delle condizioni in mezze alle quali furono costrutte, la Brenta del 1453 costituisce per contro di fronte a noi uno stato di fatto, dal quale non possiamo dipartirci. Quali che fossero le condizioni dell’atmosfera o della temperatura quando fu costruito il campione ufficiale, il vaso rimase sempre lo stesso fino ai nostri dì, ed il volume solo fu quello che decise della esattezza dell’altre misure, quand’anche il peso esattamente non fosse raggiunto. Sulla base adunque da noi stabilita per le misure del secolo undecimo noi assegniamo al Claudus dello Statuto dei Dazii la contenenza di litri 0,60988, e su di esso verrà dato il ragguaglio dell’altre misure di maggior capacità nella Tavola IIª, F.
§ 8. Le suddivisioni del Sextarius vini o della Brenta si spingevano fino al Claudinus70. Per quella tendenza che vi ha a sostituire ai nomi legali dei nomi popolari nelle nostre misure, si può tener per certo che il Claudinus, salvo la piccola differenza di capacità, corrispondesse al Mezzo, il cui nome ci compare per la prima volta nel 1487, e che durò fino ad oggidì ad indicare la metà del Boccale71. Così l’antico nome di Bozzola nell’uso comune intorno al 1342 dovea aver già cessato di esistere, e vi si era sostituito quelle di Claudus72, la piccola misura forse così chiamata, o dal cappello del chiodo che indicava fin dove avesse a giungere il vino nello smercio al minuto73, o più probabilmente dai chiodi che all’interno del Quartarius segnavano le sue suddivisioni, e ciascuno dei quali corrispondeva alla sedicesima parte dello stesso, che è a dire alla Bozzola o Claudus. Ma già verso la metà del secolo decimoquinto accanto al Claudus vediamo pigliar piede il Boccale ed ottenere una legale esistenza mediante il bollo74. Una ulteriore riduzione nelle suddivisioni della Brenta deve aver servito a conservare fino ad oggidì il Boccale con esclusione di tutte le altre misure. La incomoda divisione delle misure inferiori alla Brenta in numeri frazionarii di Claudi, come si era voluto mantenerla nella riforma fatta collo Statuto del 1453, dovea cadere, e cadde effettivamente, di fronte alla necessità di un più spedito conteggio: ai Claudi, che entravano per 17 2/3 nel Quartarius, per 35 1/3 nella Mina, per 70 2/3 nel Sextarius, si sostituì il Boccale, il quale mediante una leggera modificazione nella sua contenenza (= litri 0,65454 invece di litri 0,66689, che era la capacità della Bozzola o Claudus), entrò con numeri interi di 18, 36, 72 nelle precitate misure, e la Brenta per conseguenza, pur mantenendo inalterata la sua capacità, venne a contenere 108 Boccali invece di 106 Claudi75. — Una misura, della quale non rimase più traccia fra noi, è il Solio. Questo nome non è forse che un’alterazione dell’antico Dolium, che era un vaso di grande capacità nel quale si riponevano grani e liquidi76: esso sopravisse anche nel nostro dialetto ad indicare un vaso di legno, più alto che largo, di grande ma indeterminata contenenza (Sòi mastello) e di uso affatto domestico77. Nella tariffa dei Bollatori data dallo Statuto del 1353 subito dopo la Brenta vi ha il Solio, pel quale è stabilito un identico diritto di verifica78, e collo Statuto del 1453, mentre si prescrisse a tutti i Comuni del contado l’obbligo di avere una Stadera, uno Stajo ed una Brenta, che fossero stati sottoposti a bollo, si proibì anche di misurare il vino mediante un mastello in questi termini: «quod mensuratio vini quod vendetur non possit mensurari nisi cum Brenta bollata et non cum aliquo Solio79.» Qui parrebbe che il nome sia stato usato genericamente, come lo è tuttora nel nostro dialetto, e si potrebbe presumere che nel nostro contado si fosse introdotta l’abitudine di usare misure di legno nè verificate, nè bollate, e che avessero una contenenza supposta a un di presso uguale a quella delle misure legali. Tuttavia il vedere nelle tariffe di bollo posteriori mantenuto il Solio80, lascia ammettere con molta verisimiglianza che quella prescrizione fosse una conseguenza delle modificazioni introdotte nel 1453 nelle nostre misure di capacità dei liquidi, per le quali la Brenta, come vedemmo (§ 7), divenne la unità fondamentale delle stesse. Quindi, essendosi introdotta la Brenta in tutti i Comuni rurali, si volle che con questa, e con nessun altro vaso, si avesse a misurare il vino, tanto più che si avrà avuto cura di segnare all’interno di essa con cappelli di chiodi, o con altro consimile mezzo, le sue principali suddivisioni81. Quale delle nostre misure fosse poi indicata col nome di Solio, non ci fu dato rinvenirlo in alcun documento: resterebbe la scelta fra la Mina ed il Sextarius, ma a favore di quest’ultimo starebbe il fatto, che essendo stato per lunghissimo tempo la base delle misure di capacità del vino, a tutta ragione dobbiamo attenderci, che più a lungo ne sia durato anche l’uso appunto sotto la veste di un nome affatto volgare82. — Così della Secchia, come misura del vino, troviamo una legale menzione per la prima volta nella tariffa dei bollatori del 161383: la sua capacità era uguale a quella del Quartarius84, e se vi sono documenti per dimostrare che anche nei tempi più remoti la Sicula (d’onde il nostro nome) era una misura del vino85, non manca neppure una prova per ritenere che già nel 1342 il popolo indicasse col nome di Secchia (Sègia come oggidì) quella misura che la legislazione persisteva a chiamare Quartarius86. — Non si può dire alcunchè di positivo rispetto alla Pinta, che forma la cinquantaquattresima parte della Brenta e della quale non abbiamo trovata alcuna menzione nei documenti dei secoli ai quali si riferiscono queste ricerche. La Pinta, a cagion d’esempio, la troviamo nominata negli Statuti di Novara del secolo decimoterzo come misura bensì, ma non come misura di unica capacità, poichè vi leggiamo: «qui vendunt et vendere volunt vinum ad minudulum teneantur et debeant habere et tenere pro mensuris ad mensurandum ipsum vinum Pinctas vitreas signatas signo Comunis Novarie, videlicet Pinctam de quartino sive pinctam de medio quartino et pinctam de terciolo et non alias mensuras87.» Forse una tradizionale consuetudine, forse il bisogno di avere per gli usi quotidiani una misura che fosse di maggior contenenza della Bozzola, del Chiodo o del Boccale, fe’ introdurre anche da noi un vaso, che ebbe nome di Pinta ed al quale si attribuì la capacità di due Boccali. — Resta finalmente di accennare alla misura del vino che si mantenne fino ad oggidì nei Mandamenti di Zogno e Piazza: essa è fondata ancora sul peso della libbra grossa, come le nostre misure del secolo undecimo. Il vaso, che contiene due libbre grosse di vino, ora ha nome di Pinta, quello che ne contiene una sola ha nome di Boccale, e così si spinsero le divisioni di quest’ultimo fino alla mezza Zaina, precisamente come nel più recente sistema frazionario della nostra Brenta. Ma, quali che fossero i nomi portati da questi vasi, è certo che, calcolandovisi tuttora la Brenta in 80 libbre di vino (v. sopra § 3), la Pinta avrà rappresentato la 40ma, il Boccale la 80ma parte della Brenta stessa. Quindi è chiaro che 20 Pinte avranno formato il Sextarius o Mastello, 10 la Mina, 5 il Quartarius o Secchia, divisa probabilmente in 10 misure da una libbra di vino ciascuna. Il ragguaglio della Pinta e Boccale e delle minori suddivisioni sarà dato sulla base delle misure del secolo undecimo (v. sopra § 3), perchè noi dobbiamo rapportarne la origine a quell’epoca remota, sebbene i nomi siano più recenti (v. Tavola IIª, I). — Così abbiamo veduto che, mentre la legislazione manteneva accuratamente i nomi di Claudus, Quartarius, Sextarius, il popolo usava quelli Boccale, Secchia, Solio, Pinta, i quali alfine prevalsero, come aveano già prevalso in epoche più lontane quelli di Soma e di Brenta sui classici nomi di Modius e di Congius. La Tavola IIª, L in fine di questo scritto darà anche la divisione delle misure del vino e il loro ragguaglio quali sono pervenute fino a noi.
Note
- ↑ [p. 100 modifica]È appena necessario avvertire, che quanto abbiamo detto nella Nota 31 sull’epoca della introduzione di questo [p. 101 modifica]sistema fra noi non va accettato in via assoluta, ma solo come una probabile interpretazione di una espressione, che potrebbe lasciar campo ad altre spiegazioni, ma che, malgrado le molte eccezioni alle quali potrebbe andare soggetta, in mezzo a tanta incertezza ed oscurità più o men bene si presta anche a questa.
- ↑ [p. 101 modifica]Lupi 2, 941.
- ↑ [p. 101 modifica]Lupi 2, 508, 511, 513 seg., 647 seg., 655, 697 seg., 701 seg., 795 seg. Per Arnolfo le nostre Tavole cronologiche danno l’anno 1096 come l’ultimo del suo episcopato unicamente perchè d’allora il suo nome più non compare nei nostri documenti, quantunque solo nel 1098 venisse esautorato dal Sinodo milanese. Ma questa questione ha pel nostro argomento una importanza affatto secondaria: piuttosto è da avvertire che, onde il testimonio Pietro Bertane si ricordasse di una circostanza di sì lieve entità, qual era il contributo di due Cogna di vino da parte del vescovado alla chiesa di S. Alessandro, bisogna che avesse vissuto per lo meno negli ultimi 15 o 18 anni del vescovado di Ambrogio, sicchè si potrebbe ritenere che già nel 1039 o 1042 fosse in uso la mensura pergamensis, come alla stessa epoca fosse già stabilito il Sextarius pei grani, poichè non v’è una sola ragione che permetta di credere che l’una riforma andasse scompagnata dall’altra.
- ↑ [p. 101 modifica]Lupi 2, 1339.
- ↑ [p. 101 modifica]Pergam. in Bibl. n. 445.
- ↑ [p. 101 modifica]Pergam. in Bibl. n. 481.
- ↑ [p. 101 modifica]Tiraboschi, Stor. della Lett. It., 3 p. 340. La guida principale di Papias, per non dire che delle sole misure, è Isidoro, uno degli scrittori più studiati nel medio evo (Bahr, Stor. della letter. rom. § 401): tuttavia non doveangli essere sconosciute altre tavole metrologiche. A cagion d’esempio, Papias ha: Cyatus unciam retinet et tres (meglio sex) scrupulos: pondus X drachmas appendit: a quibusdum dicitur Cafatus (v. Isidor. Etym. in Metr. Script. 2 p. 116, 12; 140, 17); Acetabulum quarta pars Eminae dictum, quod aceti ferat duas uncias et sex scrupulos (Cfr. Isidor. ibid. p. 116, 16; 140, 17). Isidoro però attribuisce all’Acetabulum il peso di 12 dramme, od una oncia e mezza: il peso invece attribuitogli da Papias sarebbe di dramme 18 od once 2 1/4. Galeno infatti (Metr. Script. 1 p. 239, 16) attribuisce un identico peso all’Acetabulum, ma [p. 102 modifica]quando però sia a verificarsi coll’olio, perchè altrimenti col vino, che si riteneva di peso uguale all’aceto (Metrol. Script. p. 241, 5; 250, 21), sarebbe salito a 20 dramme; Emina appendit libram unam, quae geminata Sertarium facit: habet drachmas centum. Anche qui la fonte principale è sempre Isidoro (Metr. Scr. 2. 117, 1; 140, 23). La aggiunta però che la Emina pesasse cento dramme è un puro malinteso di Papias. A ragione di otto dramme per oncia (Carm. de Pond. vv. 9, 14 in Metr. Scr. 2 p. 99) la Emina avrebbe dovuto pesare 96 dramme; ma vi è luogo a sospettare che Papias abbia preso la Mina, misura di peso, per la Emina (corrottamente in questi secoli detta Mina), misura di capacità: infatti in Isidoro troviamo: Mina in ponderibus centum dragmis appenditur et est nomen Graecum (Metr. Ser. 2 p. 115, 1). Da ultimo noteremo che Papias s. v. Sextarium ha: Sextarium duarum est librarum. — Sextarium vini habet libras duas et octo uncias: Sextarium olei habet libras duas: Sextarium mellis habet libras tres. Anche Isidoro ha: Sextarium duarum librarum est (Metr. Ser. 2 p. 117, 3), ma per il resto Papias ha attinto ad altra sorgente, sebbene vi sia evidentemente incorso un errore nel peso del vino rapporto a quello dell’olio e del miele; tuttavia abbiamo voluto notare questi pochi punti per dimostrare che l’antico sistema di verifica delle misure era tutt’altro che sconosciuto all’epoca della quale ora ci occupiamo.
- ↑ [p. 102 modifica]Murat., Ant. it. med. aev. 2 col. 822: Anno 1249 Ind. VII die Martis X intrante mense Augusti regnante d. Imperatore Frederico. Hec est ratio qualiter vinum vendi debeat ad minutum. Vinum, quod constat X Solidos Mutinenses Quartarium, debet fieri mensura de XXXIII unciis et una drama. Item mensura vini de XI solidis Mutinensibus, debet esse de triginta uncis et una drama. cet. Nota quod Quartarium vini est in summa CCCXXXIII libras. Questo brano dimostra più cose. E primamente che le misure del vino erano fondate sopra un determinato peso: qui il Quartarium è di 333 libbre. Che questo peso fosse di vino, lo dimostra il rapporto in cui è posto il Quartario stesso colle minori misure che variavano in peso col variare del valore del vino stesso. In secondo luogo si chiariscono perfettamente le espressioni del nostro più vecchio Statuto sulla mensura data vel danda Tabernariis (13, §§ 24, 26; v. sopra Nota 93). Se la variazione nelle minori misure, colle [p. 103 modifica]quali smerciavasi il vino al minuto, succedeva nel peso, è indizio evidente che anche le maggiori e stabili misure aveano per base il peso e non altro: in altri termini la mensura agli osti sarà stata data sul valore del Sextarius di vino, ma per quanto questo fosse ridotto ad una misura di capacità, tuttavia si sapeva (o si pretendeva sapere v. sotto § 3) esattamente che, affinchè non fosse falso, dovea contenere appunto una determinata quantità di vino, e, per lo meno entro certi limiti, il campione cittadino avrà risposto a questa condizione. In ultima analisi, il modo identico con cui si dava il Calmerio agli osti e da noi, ed a Modena, indica anche che nello stabilire le misure cittadine i nostri vecchi erano partiti da un identico concetto. A Brescia alla stessa epoca questo Calmerio del vino pare fosse già caduto in dissuetudine, perchè ivi ai venditori di vino al minuto è prescritto che giurino de vendendo et fatiendo vendi vinum bene mensuratum et cum recta et iusta bozola (Stat. Brix. saec. XIII in Hist. P. M. 16, 2 col. 1584, 178), il che indica che alla guarentigia del Calmerio s’era sostituita quella delle misure, il che da noi non avvenne che in un’epoca posteriore (v. Nota 95).
- ↑ [p. 103 modifica]Catone, R. R. 58: Oleum dato in mensem unicuique Sextarium unum; Liv. 25, 2: et congii olei in vicos singulos dati L e così di seguito.
- ↑ [p. 103 modifica]Hultsch, Metrol. p. 86, 93 seg.; Proleg. in Script. Metrol. 1 p. 79 seg.
- ↑ [p. 103 modifica]Hist. Patr. Mon. 13 col. 18 a.
- ↑ [p. 103 modifica]Hist. P. M. 13 col. 108 a.
- ↑ [p. 103 modifica]Lupi 1. 673.
- ↑ [p. 103 modifica]La mancanza del peso o della misura dell’olio è indicata nel Lupi (2. 571) da alcuni punti: videlicet... de oleo pro fisco seu pro servicio annuatim abere possit.
- ↑ [p. 103 modifica]Lupi 2. 751.
- ↑ [p. 103 modifica]Stat. an. 1204-48, 14 § 10. Nel 1128 l’olio a Genova si misurava: phialam unam olei (Hist. P. M. 7 col. 34): nel 1135: et papiensi ecclesie barile unum olei in pasca (ibid. col. 49). Negli Statuti di Brescia del secolo decimoterzo è nominata una speciale misura di capacità per l’olio, detta bazeta olei (Hist, P. Mon. 16, 2 col. 1584. 119) e così anche negli Statuti del 1313 (2 § 272, ibid. col. 1721), nei quali anche troviamo: [p. 104 modifica]accipiantur — de modio olei IIII soldi imper. (2 § 254, ibid. col. 1716 seg.); item statuunt correctores quod modius olei extimetur de tempore preterito XL soldi imper. (3 § 100, ibid. col. 1747; 3 § 181, ibid. col. 1766).
- ↑ [p. 104 modifica]Pergam. in Bibl. n. 432, Riportiamo quasi per intero questo inedito documento perchè è la base delle nostre ricerche sulle misure del vino in questi secoli: Die quintodecimo exeunte Marcio millesimo trecentesimo quarto ind. secunda sub. palacio Comunis Pergami. — Ibi frater Finettus de Mocho — fuit confessus ad postulacionem Venturini fil. quondam Villelmi de Manduca civit. Pergami quod ipse Venturinus eidem fratri Finetto dederat et solverat Minam unam oley linose legate et relicte ipsi hospitali (s. Lazari) occasione illuminandi infirmos et infirmas ut continetur in testamento d. Verdelli Villani rogatum per Guillelmum de Almine not. die Veneris duodecimo intrante Marcio millesimo ducentesimo vigesimo septimo — per judicerium seu prastationem ipsius judicerii anno currente millesimo trecentesimo tercio cuius fuit terminus in s. Martino prox. preterito. La casa gravata da questo canone era posta entro la città, nel luogo detto Sub Plazzis, cioè in contrada S. Giacomo.
- ↑ [p. 104 modifica]I due rotoli n. 391, 432 in Bibl. portano alcune di queste quitanze scritte le une di seguito alle altre. Essi andrebbero uniti, il che si potrà fare quando a quei cataloghi di Pergamene si potrà dare una più razionale disposizione, il che fu impossibile a farsi prima pel disordine con cui quei documenti pervennero alla Civica Biblioteca.
- ↑ [p. 104 modifica]Tutti gli olii vegetali hanno una densità inferiore a quella dell’acqua (Selmi, Encicl. chim. 8 p. 297), e sarebbe certamente un far torto ai nostri maggiori il pensare che non si sieno accorti di questo fatto, che la esperienza quotidiana poteva porre ad ogni momento sotto i loro occhi. La densità varia col variare della temperatura: noteremo soltanto che a 12 gradi C. quella dell’olio di lino è di 0,939 e quella dell’olio d’olivo è di 0,919. D’altra parte gli esempi che abbiamo estratti da Papias dimostrano che a quell’epoca si conoscevano i risultati dell’esperienza grecoromana su questo argomento (v. Nota 124): che anzi, se ciò che questo autore scrive rispetto al Sextarius fu estratto esattamente da qualche Tavola metrologica in quel tempo relativamente abbastanza diffusa, sarà forse stato [p. 105 modifica]sufficiente ad indurre nell’opinione che il rapporto fra il peso del vino (o che è quasi lo stesso dell’acqua distillata) all’olio fosse come 32:24, ovvero 100:75, il che a niun conto potrebbesi ammettere: ma che ad ogni modo serve a dimostrare, non solo che in quel tempo aveano mezzo di conoscere la differenza di peso fra il vino e l’olio, ma che erano sì persuasi di questo, che non s’accorgevano quando all’olio veniva attribuito un peso di gran lunga inferiore a quello che avea effettivamente.
- ↑ [p. 105 modifica]Questo veramente non è detto nello Statuto del 1331, che troppo seccamente espone la base delle riformate misure del vino, ma sibbene in quello del 1353 (8, § 11) ove si legge: Et propterea non est habitus (respectus) ad pondus seu mensuram vini quoniam vinum seu vina sunt diversa ponderis (unum ab) altero. Le intercalazioni qui fatte sono giustificate e dal senso e dagli altri Statuti. Si vegga la stessa opinione espressa nel Carmen de Ponderibus, il cui brano è recato alla Nota 19.
- ↑ [p. 105 modifica]Pergam. in Bibl. n. 1185 (Schede Tiraboschi).
- ↑ [p. 105 modifica]Pergam. in Bibl. n. 2036 (Schede Tiraboschi).
- ↑ [p. 105 modifica]Pergam. in Bibl. n. 1346 (Schede Tiraboschi).
- ↑ [p. 105 modifica]Ronchetti, Mem. stor. 4 p. 130 seg.
- ↑ [p. 105 modifica]Stat. an. 1204-48, 13 § 31; Stat. 1331, 8 § 47.
- ↑ [p. 105 modifica]Questo fatto è dimostrato pure dagli Statuti Comaschi. In quelli del secolo decimoterzo (2 § 397 in Hist. P. Mon. 16, 1 col. 235) a chi non si assoggetti a certe condizioni nel condurre il vino per il lago è comminata la pena di sessanta soldi nuovi pro quolibet Congio e la perdita del vino: in quelli del secolo seguente si dice che il Congio conteneva sei staja (ibid. col. 357), ma appunto il vaso della capacità del Congio era detto Brenta in qua sunt punctata Staria sex (ibid. col. 354). Negli Statuti di Valsolda del 1246 è prescritto quod quelibet vicinantia diete Vallis debeat habere brentam unam et quartarium unum que sint equata ad mensuram comunem Comunis dicte Vallis (c. 84 in Barrera, Stor. della Valsolda p. 385), e qui si tratta del vaso con cui si misurava il vino, ma la quantità di vino contenuta in quel vaso era detta Congius, perchè poco dopo è detto (c. 87 pag. 386): item statutum est quod illud vinum quod dare debent in festo Pasche resurrectionis Christi — pro vinea de sancto Mamete — ad ecclesiam s. Mametis — est [p. 106 modifica]et esse debet Contium unum quolibet anno. Il processo di trasformazione di questi nomi avvenne uniformemente in tutti questi contadi. Il vaso col quale si determinava la capacità del Congius era volgarmente chiamato Brenta: per alcun tempo la distinzione si mantenne e nella legislazione e nella consuetudine, perchè con un nome si indicò una data quantità di staja di vino, coll’altro il vaso che conteneva quel vino, ma poi, come era naturale, il nome popolare prevalse, e con quello di Brenta si indicò e il vaso e la quantità del vino in esso contenuta.
- ↑ [p. 106 modifica]Questo lo udimmo asserire da alcuni abitanti di quei luoghi senza che neppure ne fossero interpellati: il che accresce forza alla loro dichiarazione.
- ↑ [p. 106 modifica]Tiraboschi, Vocab. dei dialetti Berg. s. v. Forse a quest’epoca si diceva cavalata. V. Nota 146.
- ↑ [p. 106 modifica]Stat. an. 1453, 3 § 124: quod quelibet persona que vendet sablonum ad cavalatam teneatur dare ad computum pensium sedecim sabloni pro qualibet cavalata. Forse quello che noi chiamiamo ora Cavallo di vino ne’ secoli andati si chiamava Cavalata, o Caballata. In una carta del 1234 (Bibl. Sebus. p. 51 ap. Du Cange s. v.) abbiamo: ego Rodulphus de Thoria pro remedio anime mee — concessi una caballatam vini puri.
- ↑ [p. 106 modifica]Stat. an. 1204-48, 14 § 14: Statuimus quod quilibet vendens vinum ad minutum debeat dare Comuni Pergami solidos duos imper. de quolibet carro vini quod vendiderit.
- ↑ [p. 106 modifica]Stat. Datior. Berg. fol. 37 r.: vinum quod esset valloris librarum quinque vel abinde infra soldos tres imper. pro quolibet carro intelligendo carrum quo ad solutionem suprascripti datii Brentas sex. — Solvat soldos quatuor imper. pro quolibet plaustro seu carro. fol. 37 v.: item quod carrum vini intelligatur sex Brentarum ad Brentam Comunis Pergami.
- ↑ [p. 106 modifica]Il nostro amico prof. Tiraboschi ci comunica il seguente brano del Regolamento de’ Corpi e dell’Economico della Comunità di Clusone, stampato a Bergamo nel 1793 ove si legge: «Per togliere qualunque mala interpretazione sopra la misura del vino così bianco come nero, dovranno considerarsi sempre li Carrari il carico di tre Cavalli di vino, e il Cavallo per Cavallo.» Qui per Carraro s’intende una di quelle Botti, dette ancora Carér, che servono pel trasporto del vino, e le quali, al contrario dell’altre usate a conservare il vino nelle [p. 107 modifica]cantine, hanno un fondo piano col quale poggiano sul carro, evitando così i pericoli di trabalzamenti e di scosse. Il suo nome deriva evidentemente dal Carro (Car) ed in origine dovea essere un aggettivo passato poi a sostantivo con senso assoluto, e si connetteva precisamente colla contenenza che doveano avere queste botti, cioè di sei Brente od 1 Carro di vino. Il Regolamento di Clusone non definisce veramente il valore del Carro di vino, perchè questo era già stabilito da una secolare consuetudine, ma siccome, a quello che si vede, allora, come ora, si chiamava Carér ogni botte che avesse la speciale forma precitata, così credette bene stabilire, che per Carraro intendeva unicamente quel vaso che, coerentemente al suo nome, contenesse un Carro o tre Cavalli di vino, equivalenti a 6 Brente. Dai Milanesi queste botti chiamansi Bonze (Istruzione sui Pesi e Mis. della Rep. Cisal. (Oriani), p. 69 seg.). Se poi, quando i nostri Statuti parlano del Carro, si debba intendere unicamente una misura di conto, o se esiste anche un recipiente di quella capacità, come lo troviamo ne’ secoli posteriori, è cosa che non possiamo affermare con qualche sicurezza. Siccome però qui appiedi delle Alpi la costruzione de’ vasi di legno per contenervi il vino risale all’epoca romana (Plin. Nat. Hist. 14, 27: Circa Alpes ligneis vasis (vinum) condunt, circulisque cingunt), e siccome sappiamo che verso la metà del nono secolo i vasi vinarii qui da noi aveano forma identica agli attuali (Andr. Presb. Chron. in Lupi Cod. Dipl. 1, 790: et vinum intra vascula glaciavit, ut etiam per foramen spinarum nihil exiret.), così non è a credersi, che solo in questi ultimi secoli si fosse pensato dare a questi vasi una forma sì adatta pel trasporto del vino su carri. Poteva il Carro restare una misura di conto risultante dalla effettiva di 6 Brente, ma nulla esclude che anche in pari tempo esistesse un vaso di quella contenenza.
- ↑ [p. 107 modifica]V. sopra Note 145, 146 dalle quali pare non possa rimaner dubbio che la misura del Cavallo o Caballata non potesse esser in uso anche a quest’epoca. Sebbene non ne abbiamo documenti, non è tuttavia improbabile che il cavallo di vino possa esser stato chiamato anche Soma. Il peso ad esso attribuito, che viene ad essere di 16 Pesi, ed il nome stesso di questa misura (v. sopra Nota 50) ce ne offre qualche indizio. Accresce probabilità a questa supposizione il fatto, che ancora [p. 108 modifica]in alcune città della Romagna, come, a cagion d’esempio Ancona, Ascoli, Rimini, Castelfidardo, Faenza (Malavasi, Metrol. ital. p. 129, 130, 135, 139, 155), la maggior misura del vino si chiama tuttodì Soma: nè mancano esempi medievali che confermino questo fatto. Ughelli, Ital. sacr. 7 p. 1321: debet octo Salmas vini; Fontanini, Hort. illustr. Append. p. 404: duas Salmas musti mundi; Falc. Benev. ad an. 1124: Tanta fuit fertilitas vini quod — centum Saume pro triginta denariis vendebantur; Nov. Gall. christ. 2 col. 323: unam Saumam vini ad Missas cantandas; Fontan. Hort. illustr., Append. p. 406: item petit ut compellatis dictum episcopum ad restitutionem. viginti Saumarum vini; Chron. Estens. in Murat. rer. italic. Script. 15 col. 468: largitus est Sommam unam vini in duabus lagenis. Noi crediamo, che, se in alcuno dei documenti nostri di quest’epoca avessimo a trovare indicata la Soma del vino, si debba senz’altro ritenere che si tratti del peso di 2 Congi o Brente, ossia di un Cavallo di vino.
- ↑ [p. 108 modifica]Ad esempio in Stat. Brix. (Hist. P. M. 16, 2 col. 1584, 178): quod nulla persona possit vel debeat vendere — vinum ad minutum nisi primo — iuraverit — de vendendo et fatiendo vendi vinum bene mensuratum et cum recta et iusta bozola. Questo nome si trova usato anche negli Statuti di Vicenza, lib. 3. V. Du Cange s. v.
- ↑ [p. 108 modifica]Il Tiraboschi nel suo Vocabolario dei dialetti Berg. la voce Stopa volge con ubbriachezza: pone a confronto il toscano Stoppa e l’inglese tope trincare. Ma nella nostra espressione dialettale che, tradotta letteralmente, suonerebbe: averne adosso una Stopa, averne in corpo una Stopa, si include già l’idea di misura, e questo si rafferma con esempi medievali, in cui Staupus, Stopus e Stopa hanno il significato di coppa, tazza da bere il vino e in pari tempo misura dei liquidi (Du Cange ss. vv.), Ludewig, Reliq. mss. 1 p. 354: nos Gevehardus nobilis de Quermode — donavimus et donamus domino abbati et conventui Monasterii in Eylverstorph tynam musti XVIII Stopas capientem; Buschius, de Reform. Monast. 3, c. 44 p. 945: singuli capsam cum speciebus confectis et Stopam vini pretiosi ei propinantes. Da altri esempi poi (v. Nota 111) si vede che in generale lo Staupus era un vaso da bere, e che quindi non dovea essere di una grande capacità. Christian. Rer. Mogunt. 2 p. 534, [p. 109 modifica]in signum fraternitatis Staupum vini et panem album eidem exhibemus, prebendale unius diei vel duorum, Tract. de Convers. Boior. vel Carent.: Servis autem Staupis deauratis propinare jussit; Christ. Rer. Mogunt. 2 p. 668, item quolibet die anni tocius Staupum vini; Consuet. Eccl. Colon., quando dyaconi et sacerdotes minuunt sanguinem, tunc unus Stopus vini melioris datur unicuique.
- ↑ [p. 109 modifica]La maggior parte dei vini più conosciuti ha un peso inferiore a quello dell’acqua distillata (v. un piccolo prospetto in Malavasi, Metrol. ital. p. 408), altri sono superiori, ma devesi tenere quasi come una eccezione, a cagion d’esempio, lo Scandianese bianco il cui peso specifico giunge ad 1,0673 (Malavasi, a. l. c.) Nel determinare il volume delle nostre misure dei liquidi dal secolo XI alla seconda metà del XIII abbiamo seguito il metodo usato da Hultsch (Metrol. p. 98 seg.) per determinare la capacità delle misure romane come l’unico che possa dare i risultati più prossimi al vero.
- ↑ [p. 109 modifica]Bianchi, Geol. ital. in Somerville, Geogr. Fisic. 2 p. 469, 470, 473 della vers. ital. dà la temperatura media di Milano in 12,81 gradi C., aggiungendo che un po’ maggiore è a Brescia ed a Verona. Siccome la nostra città non può scostarsi di molto dalle condizioni climatologiche della vicina Brescia, così crediamo che il calcolo di 13 gradi C. ci dia una media pienamente accettabile anche per l’epoca della quale ora ci occupiamo.
- ↑ [p. 109 modifica]Hällström, che profondamente e con accuratezza studiò la legge di dilatazione dell’acqua da 0 a 30 gradi centigradi, ne porge altresì una Tavola nella quale grado per grado è segnato questo accrescimento di volume: essa è data da Pouillet, Élémens de Physique, 1 p. 288, e fu riprodotta con alcune correzioni dal Belli, Corso di Fisica, 2 p. 248 § 623. Il Despretz ha riveduto gli studi precedenti: ha verificato che si commette un errore incalcolabile prendendo l’acqua a 4 gradi C. come al suo massimo di densità (Annales de Chimie et de Physique, 63 p. 296; 70 p. 5), ed ha costrutto al pari di Hällström una tavola di dilatazione dell’acqua a diverse temperature. Nel nostro ragguaglio ci siamo attenuti ai risultati di Despretz che attribuiscono al litro d’acqua distillata a 13 gradi C. il volume di 1,00059.
- ↑ [p. 110 modifica]Tavole di Ragguaglio della Rep. Ital. p. 272. V. Appendice I. Noteremo qui soltanto a conferma di questo ragguaglio, che la nostra libbra grossa essendo formata da libbre sottili 2 1/2, le quali derivano dall’antica libbra romana, quando questa avesse mantenuto esattamente il peso normale corrispondente a grammi 327,453, quella pure avrebbe dovuto risultare di grammi 818,6325. La differenza non è grande quando si pensi quanti secoli abbia dovuto attraversare questo nostro peso: anzi possiamo dire che rappresenti ancora fin nelle più minute frazioni il valore della libbra nella decadenza dell’Impero romano. Infatti, per fare questo computo sui pesi citati in Nota 26, quelli di serpentino del Museo di Napoli ci avrebbero dato una libbra grossa di grammi 821,25, gr. 815, gr. 814,5, gr. 808; quelli di Cuenca in Spagna gram. 813,5 e gram. 812,65; la libbra dell’epoca di Teodosio gram. 810 e quella dell’epoca di Giustiniano gram. 808,775. Questi sono i limiti estremi entro i quali sta la nostra libbra grossa, e conseguentemente la sottile, che ne è il fondamento, e i quali confermano pienamente quel ragguaglio. Quando poi il Cristiani (delle. Misure ant. e mod. p. 119) attribuisce alla nostra libbra piccola Grani parig. 5685, ed alla grossa Grani parig. 14212, o prese errore ne’ suoi computi, o ricevette men che schiette informazioni, perchè all’una verrebbe ad attribuire grammi 301,96, all’altra grammi 754,89: il che non può stare, perchè il ragguaglio della Commissione del 1801Fonte/commento: Pagina:Sextarius Pergami saggio di ricerche metrologiche.djvu/256 è troppo vicino a quello del Cristiani per credere che nel periodo di circa 40 anni i nostri pesi abbiano subita questa sì notevole alterazione. Quindi si dovrà ammettere per la libbra sottile il peso di Grani parig. 6121, e per la grossa di Grani parig. 15303. V. anche Nota 116.
- ↑ [p. 110 modifica]Selmi, Encicl. chim. 8 p. 322 seg.
- ↑ [p. 110 modifica]Stat. an. 1331, 8 § 48.
- ↑ [p. 110 modifica]Lo Statuto qui ha trium invece di octo, e questo errore è comune a tutti gli Statuti fino a quello del 1422, nel quale sta scritto trium, corretto poi in octo. Non fa bisogno tuttavia di dimostrare, non solo che una Marca da tre once non ha mai esistito, nè da noi, nè altrove, ma anche che, onde 364 once formassero Marche 45 1/2 (e lo stesso si dica per tutte le altre misure) era necessario che la Marca fosse di 8 once. Lo Statuto del 1453 (1 § 191) ha giustamente octo.
- ↑ [p. 111 modifica]Abbiamo dato il brano quale si trova nello Statuto del 1391 (1 § 67 fol. 14 r.), perchè in quello del 1353 si trovano alcune varianti, una delle quali assai essenziale. In esso si legge (8 § 11): item quod sedecim Bozzole seu sedecim Claudi dicte aque (Vazeni) eciam cuiuslibet aque faciunt et sunt unum Quartarium. Lo Statuto del 1353 in generale (quale ora lo possediamo in un unico testo) è pieno di scorrezioni (v. sopra Nota 137), per cui è difficile a definirsi se l’aggiunta, eciam cuiuslibet aque, sia, per così esprimerci, officiale, o se invece non sia che una semplice chiosa passata nel testo di questo esemplare. Questa sembra la cosa più certa, perchè quella osservazione sarebbe in contraddizione con tutto il resto dell’ordinanza, dove non si parla ancora che di acqua del Vasine. Il silenzio di tutti gli Statuti posteriori viene in conferma di questa induzione. Tuttavia si comprende che s’era introdotto l’uso di verificare le misure anche con altra acqua, che non fosse quella del Vasine, perchè in effetto era quasi impossibile che, coi mezzi impiegati in quel tempo, si trovasse una appariscente differenza di peso fra le acque della nostra città. E questo si conferma con altri argomenti. Lo Statuto del 1353, ora posseduto dalla Civica Biblioteca, fu trascritto nel secolo decimoquinto: ora si vede che in questo secolo la prescrizione dello Statuto sull’impiego dell’acqua del Vasine per la verifica delle misure dovea essere poco meno che lettera morta. Infatti nello Statuto dei Dazii del 1431 è ordinato che il Claudus sit mensure solum onziarum viginti et quartorum trium (Stat. Dat. fol. 38 v.), ma non si aggiunge punto se questo peso sia in acqua, od in vino, e meno ancora fra le acque quale debba essere la prescelta. Ma questo non basta: nello Statuto del 1493 troviamo espressamente ordinato (7 c. 135) quod iustificantes praedictas mensuras teneantur eas justificare cum dicta aqua Vazeni pura, et non cum alia aqua, dal che si vede che, malgrado l’insistenza della legislazione su questo punto, era omai entrata l’abitudine di lasciar da parte l’acqua del Vasine in siffatta operazione, appigliandosi a qualunque altra: la chiosa introdotta nello Statuto del 1353 riceve da questi fatti una piena conferma. Dobbiamo notare inoltre che in questo Statuto era stata ommessa la osservazione et propterea non est habitum (respectus) ad pondus cet. certo per dimenticanza del copista, [p. 112 modifica]poichè l’aggiunta sembra della stessa mano, sebbene l’inchiostro sia più chiaro e il carattere più minuto. Altra inesattezza propria di questo Statuto è quella di attribuire alla Brenta il peso di once II centum octuaginta quatuor invece di II mille centum octuaginta quatuor, come d’altra parte è comune a tutti gli Statuti l’errore troppo evidente di far corrispondere queste once a Marche 263, anzichè a Marche 273.
- ↑ [p. 112 modifica]Lo Statuto del 1331 determina in 64 Bozzole la contenenza del Sextarius, in 32 quella della Mina, in 16 quella del Quartarius: la Bozzola poi deve avere il peso di once dell’argento 22 3/4, o, che è lo stesso, di marchi 2 once 6 3/4. Ora il 22 3/4 moltiplicato per 64, 32, 16 dà appunto 182, 91, 45 1/2 Marchi da 8 once; la Brenta poi, che comprende 96 Bozzole, contiene esattamente in peso once 2184 o marchi 273, il che torna a dire che gli Statuti posteriori a quello del 1331 ripetono sotto altri termini ciò che era già stato detto in quello Statuto.
- ↑ [p. 112 modifica]Moys. Pergam. vv. 245 seg. Mosè del Brolo narra, naturalmente a suo modo, come i Galli raccogliessero quest’acqua, e la conducessero a sboccare nel luogo che si vede tuttodì (ibid. vv. 205-262). Ivi era un vasto bacino ove gli abitanti dei contorni andavano ad attingerla con brevi corde e coi loro secchi: questo bacino restava coperto dalle mura cittadine, che qui erano fatte ad arco (v. le mie Indicaz. sulla Topogr. di Berg. p. 93 seg.). Ancora nel secolo seguente l’aspetto di questo nostro fonte non dovea essere mutato, poichè lo Statuto del 1204-48 (10 § 11) dispone che sulla fronte di esso sia messa una cancellata (sprangata, così venivasi a chiudere un arco della mura cittadina) con porta a chiave, più sieno posti in opera quattro verricelli (curli) con altrettante secchie (situle), probabilmente di rame, per attingere l’acqua. Identiche ordinanze erano fatte anche pel vicino fonte del Lantro (ibid. § 16), ma questi bacini così aperti erano esposti certamente agli sconci dispetti di ogni malnato. È bensì vero che si voleva che il custode di questo fonte fosse della stessa contrada del Vasine: che il cancello si chiudesse la sera e non si aprisse che al mattino: che ivi non si lavassero panni e che fino alla distanza di un Cavezzo (Metri 2,627) non si ponessero immondezze (ibid. § 11): ma già fino dai tempi Mosè del Brolo [p. 113 modifica]mandre di pecore e di veloci destrieri fuggivano le correnti acque per dissetarsi a questo fonte (Moys. vv. 229 seg.): e non era certo con tal mezzo che potessero venir conservate limpide e pure queste tanto decantate acque. Quando abolisse l’incommodo e non sempre conveniente sistema dei secchi del Comune: quando venissero chiusi questi bacini e provveduti di una bocchetta a chiave, è fatto sì piccolo nella vita di una città, che è già molto se noi possiamo con tutta sicurezza stabilire che ciò sia avvenuto sul principiare del decimoquarto secolo, che anzi, da una frase dello Statuto del 1331, appare che intorno a quest’anno si mandasse ad effetto una così utile innovazione. Un primo indizio di questo fatto sta in ciò, che quello Statuto non ripete più la ordinanza, nè riguardo ai verricelli, nè riguardo alle secchie, alla cancellata e così via: che lascia già supporre un cambiamento nel modo di estrazione dell’acqua da questi serbatoi. In secondo luogo vi hanno queste dirette testimonianze; Stat. cit. 15 § 32: quod nulla persona rumpat vel guastet seu deterioret aliquo modo aliquem ex ipsis fontibus neque aliquod guastum vasum caniculum vel aqueductum vel bochetas vel aliqua instrumenta vel utensilia ipsorum fontium; § 39: item statutum et ordinatum fuit quod postquam fuerint conzate fontes civitatis Pergami et bochete que ordinate fuerunt debere fieri et conzari pro Comuni Pergami et ad expensas Comunis Pergami designentur ipsi fontes et bochete consulibus Civitatis et Suburbiorum Pergami in quibus sunt ipsi fontes. Et quod ipsi Vicini debeant ipsos fontes seu ipsas bochetas perpetuo tenere et manutenere suis expensis. La bocchetta, com’è naturale, perchè desse sempre acqua dovea essere portata a livello, o quasi, del fondo del bacino; ed ecco quindi che la discesa al luogo, ove ora si cava l’acqua del Vasine sotto un arco dell’antica mura cittadina, deve risalire al 1331, cioè all’epoca in cui furono introdotte le bocchette a chiave ed in cui fu abolito l’uso di attinger l’acqua direttamente colle secchie del Comune. Non abbiamo creduto fuor di proposito l’indugiarci alquanto su questo nostro fonte, che ha tanta parte nella nostra legislazione, come nelle nostre tradizioni.
- ↑ [p. 113 modifica]Infatti, se in due vasi di identica capacità ad un peso, supponiamo, di 100 di acqua del Vasine si faceva corrispondere il peso di 133 di altr’acqua, o bisogna supporre che per [p. 114 modifica]far risaltare l’eccellenza di quella si ponessero a confronto acque al tutto diverse certamente da quelle, che con tanta cura erano state condotte entro la città dai nostri avi, o bisogna supporre che il nostro poeta abbia lasciato libero il freno alla sua fantasia, punto preoccupato delle incongruenze alle quali andava incontro l’entusiastico suo racconto. Queste asserzioni però servono a spiegare chiaramente perchè, circa due secoli dopo, siasi presa l’acqua del Vasine come base delle nostre misure di capacità del vino.
- ↑ [p. 114 modifica]Stat. an. 1353, 8 § 11; Stat. an. 1391, 1 § 67, fol. 14 r. ecc.
- ↑ [p. 114 modifica]Stat. Datior. fol. 58 v.: quod vinum, acetum vel stalathia intelligatur esse venditum vel vendita ad minutum cum fuerit ad Claudum et Claudinum vel etiam ad maiorem mensuram tenentem usque ad Claudos septem. Le identiche misure servivano adunque pel vino, per l’aceto e per la Stalathia, che non sappiamo che fosse.
- ↑ [p. 114 modifica]Stat. an. 1331, 8 § 48 e così tutti i posteriori Statuti.
- ↑ [p. 114 modifica]Questo Statuto chiama già Statutum vetus (8 § 34) quello del 1263, sibbene non fosse compilato più di sessant’otto anni innanzi, per cui si vede che anche l’arrecata espressione con molta verisimiglianza non può rimandarci ad una grande distanza di tempo. E si deve ascrivere alla più decisiva ingerenza che la città esercitava sul contado, e non all’essersi soltanto allora introdotte le nuove misure, negli Statuti di Vertova del 1308 è prescritto che il giorno di S. Giovanni si faccia giurare ogni uomo che non comprerà vino se non misurato sulla misura di Bergamo (Rosa, Stat. di Vert. p. 46). Ciò è tanto vero, che solo cinque anni prima era ordinato che non si comprasse biada o vendesse fieno se non alla misura del Comune (Rosa, o. c. p. 45).
- ↑ [p. 114 modifica]Se lo Statuto del 1331 avesse tolto questi suoi dati sul peso d’acqua delle nostre misure di capacità da uno Statuto antecedente, p. e. da quello del 1263, non l’avrebbe taciuto, come non lo tace in altre circostanze, p. e. 2 § 52; 8 § 34 ecc.
- ↑ [p. 114 modifica]V. le mie Indicaz. sulla Top. di Berg. p. 141. Si aggiunga che nel secolo decimoquinto le verificazioni non si facevano quasi più neppure coll’acqua del Vasine (v. Nota 160), e quest’uso sarà andato prevalendo, malgrado la legislazione tentasse di porvi un argine.
- ↑ [p. 115 modifica]Vi sono altre avvertenze da fare. Poteva darsi che nella verifica delle misure e persino dello stesso campione municipale, il peso venisse raggiunto mediante il colmo dell’acqua, il quale per quanto insensibile o inavvertito, nullameno è sufficiente, quando si voglia entrare in minutissimo calcolo, a non dare più l’esatto rapporto fra peso e volume. Lo Statuto infatti prescriveva (Stat. an. 1353, 8 § 11): et mensura vini debet esse secundum quod est et ascendit in plenitudine vasorum et impleret et ascenderet aqua Vazeni ad predictas mensuras et pondera. Una delle condizioni perchè succeda il colmo è che il vaso sia bene orizzontato (Belli, Corso di Fis. 1 p. 166 § 255), e questa condizione si sarà sempre procurato di ottenerla nella verifica delle misure di capacità dei liquidi, come in tutti i casi la si richiedeva anche per le misure degli aridi (ipsis mensuris stantibus planis, Stat. an 1204-48, 13 § 43); l’altra delle condizioni, e non meno essenziale, è che gli orli del vaso sieno, per quanto possibile, asciutti (Belli, a. l. c.; Daguin, Traité de Phys. 1 p. 202), e non parci fuor di luogo l’ammettere che anche questa si sarà verificata nel maggior numero dei casi. Ora è provato che il colmo può innalzarsi fino al sessantesimo del totale per l’acqua misurata nel litro di stagno (Martines, Metrol. p. 119). Non vogliamo dire che tutte le volte si sarà raggiunto l’esatto peso mediante il colmo, ma sibbene, che, quando si verificava un’ampia misura come il nostro Sextarius, un colmo, per quanto impercettibile, non avrebbe potuto a meno di recare delle differenze, per cui, quando si ricerchi un esatto ragguaglio non basti solo affidarsi al peso dell’acqua, ma sia necessario procedere alla misura del vaso mediante le regole geometriche: questo fu possibile alla Commissione del 1801 (Tav. di Ragg. della Rep. Ital. p. IV; Istruzione sui nuovi Pesi ecc. (Oriani), p. 68 seg.), la quale procedette nel suo lavoro con questo doppio metodo. Per evitare la influenza del colmo, colla introduzione del sistema metrico si dovette prescrivere che le misure dei liquidi avessero un’altezza doppia del diametro (Istruz. cit. p. 62): e questa prescrizione fu mantenuta anche da noi (Regol. 13 Ottobr. 1861 N. 320 art. 44), è la ragione sta in quanto abbiamo già detto riguardo alle misure della calco nella Nota 94. Quando in Francia si introdusse il nuovo sistema di misure, si trovò che il boisseau valeva litri 13,008: [p. 116 modifica]ma questo non fu che un ragguaglio poco più che approssimativo, perchè dovette eseguirsi sopra vasi assai rozzamente costrutti (Saigey, Métrol. p. 113; Martines, Metrol. p. 81). Abbiamo già parlato della influenza che ha la temperatura sul maggiore o minore volume dei corpi (Nota 155); basti dire che, secondo le Tavole di Despretz, alla nostra temperatura media di 13 gradi C. un vaso, che contenesse 100 litri di acqua distillata alla massima densità, dovrebbe aver aumentata di più che mezzo litro la sua capacità perchè potesse contenere la stessa quantità di acqua. Le stesse misure andavano soggette a continue alterazioni all’insaputa di coloro stessi che le usavano. L’Oriani assicura che due o tre campioni di una stessa misura rare volte si trovarono fra loro perfettamente uguali, benchè tutti fossero autenticati col pubblico Bollo (Istruz. sui Pesi e Misure p. 92 seg.). La Mina modenese, unità fondamentale delle misure di capacità degli aridi, dovea avere forma cilindrica ed il diametro uguale all’altezza, cioè di otto once del braccio lineare, ma coll’andare dei secoli rimase sì alterata, che da essa non saprebbesi ritrarre l’antica misura lineare, come colle misure lineari attuali (sebbene non risulti che state in alcuna guisa modificate) non saprebbesi ricostituire l’antica Mina (Malavasi, Metrol. p. 270, 372, 376). L’Oriani poi nota (Istruzione cit. p. 83), che molte volte gli è accaduto di trovare discordanza fra le grandi e le piccole misure di una stessa città. A cagion d’esempio, a Bologna si riteneva generalmente che il Boccale contenesse 40 once, ossia libbre 3 1/3 di acqua; ma il quarto della Corba di vino, ossia la Quarterola composta di 15 Boccali, invece di pesare 50 libbre bolognesi, si trovò che pesava un poco più di 54, e la Commissione ragionevolmente si attenne a quest’ultimo risultato per ricavare il valore della Corba. Le bilance grossolanamente fabbricate: i campioni dei pesi, che difficilmente saranno stati costruiti con quella uniforme precisione e conservati con quella attentissima cura, che sole possono renderli atti alle più sottili esigenze della scienza, sono tutte cause che avranno portato delle differenze da campione a campione, per quanto leggerissime si vogliano immaginare. Nella impossibilità nella quale ci trovammo di avere anche solo in via approssimativa almeno il peso specifico dell’acqua del Vasine, crediamo tuttavia che il ragguaglio [p. 117 modifica]da noi dato qui sotto si abbia a ritenere come il più prossimo al vero.
- ↑ [p. 117 modifica]Saigey (Métrol. p. 23) partì dallo stesso principio nel determinare il peso del talento mediante la capacità del bath degli Ebrei (v. sotto Nota 173).
- ↑ [p. 117 modifica]Esattamente lo Stajo del frumento dovrebbe contenere marchi 90 once 0 denari 20 grani 18,065 di acqua distillata: ma possiamo agevolmente ammettere che, trattandosi di acqua comune, il peso sarà stato di alcun poco maggiore.
- ↑ [p. 117 modifica]Se poniamo mente ai valori da noi trovati per il Congius del secolo undecimo e per la Brenta dello Statuto del 1331 (Tavola II A, D), vediamo che la differenza di volume fra queste due misure si riduce a ben poca cosa, e che quello supera questa di una quantità inferiore al litro, cioè di litri 0.910. Anche prendendo il semplice peso come un valore assoluto, prescindendo dai liquidi impiegati per la verifica, ma tenendo la sola acqua distillata alle note condizioni di temperatura e di pressione atmosferica, il Congius avrebbe dovuto pesare chilogrammi 65,026, la Brenta chilogrammi 64,154: la differenza si ridurrebbe ancora a chilogrammi 0,872, e quindi inferiore di una quantità inapprezzabile alla differenza tra i volumi: il che conferma anche il metodo da noi seguito per ottenere i valori approssimativi di queste nostre misure (v. sopra §§ 3, 5). La circostanza di questa esigua differenza fra il Congius e la Brenta va notata, perchè è quella che ci spiega, come le misure del secolo undecimo ancora nel 1430 venissero dalla legislazione tollerate di fianco a quelle stabilite sulla fine del secolo decimoterzo (v. sotto § 7): nelle parti più riposte del nostro territorio sopravissero fino ad oggidì (v. sopra Nota 144).
- ↑ [p. 117 modifica]Stat. an. 1353, 7 §§ 10, 11; Stat. an. 1391, 1 §§ 66, 67 fol. 14 r.; Stat. an. 1422, 1 §§ 71, 72.
- ↑ [p. 117 modifica]Stat. an. 1430 collat. 1 fol. 25 v. Il Codice unico di questo Statuto ha la lezione per aliquod contentum in suprascriptis Statutis. Abbiamo creduto di poterla completare a tutta ragione, perchè più chiara, con tre codici dello Statuto del 1453, il primo dei quali in quei Cataloghi porta erroneamente la data del 1468 (Gabin. Δ fil. VIII. 10) perchè fu finito di trascrivere in quest’anno, il secondo ha la posizione Sala Iª D Fil. 11; il terzo porta la generale indicazione di Statuto del secolo XV° [p. 118 modifica](Sala Iª D Fil. v. 9), sebbene esso pure non sia che una copia di quello del 1453. Parci non sia bisogno di dimostrare come la espressione per aliquod contentum in suprascriptis capitulis alias statutis, essendo la più completa, ed indicando esplicitamente i due capitoli, nei quali si trattava delle misure del vino, sia anche la sola ammissibile.
- ↑ [p. 118 modifica]Stat. Datior. fol. 38 v.
- ↑ [p. 118 modifica]Non avendo lo Statuto dei Dazii aggiunto altro, è giocoforza ammettere che qui s’intendano le once del marco e non altre. Anche la espressione, et tamen sit mensura solum onziarum cet., accenna direttamente alla mensura che avea due once di più, cioè a quella stabilita nello Statuto del 1331.
- ↑ [p. 118 modifica]Le Tavole da noi date in fine di questo scritto dimostrano, che la Bozzola dal secolo XI° alla seconda metà del XIII° avea la capacità di litri 0.508: la Bozzola o Claudus da once 22 3/4 litri 0,668, il Boccale, che durò fino ad oggidì, litri 0,655. Il Claudus da once 20 3/4 dovea avere la capacità di litri 0,6099, che non combina con quella di alcuna delle precedenti e delle susseguenti misure.
- ↑ [p. 118 modifica]Il ragguaglio, come vedremo dal seguente prospetto, può dirsi quasi esatto, perchè la differenza tra l’una e l’altra Brenta veniva ad essere di litri 0,494, e quindi circa un mezzo litro. V. Tavola II, D, F. Se altri poi volesse sostenere che la mensura consueta non è quella creata nel secolo undecimo, ma sibbene quella che compare nello Statuto del 1453, che durò fino ad oggi, e la quale è superiore effettivamente di 10 Claudi alla misura data dallo Statuto del 1331 (v. il Prospetto al cap. II § 7), confessiamo che non avremmo nulla ad opporre, perchè, forse per colpa nostra, non sapemmo trovare un argomento che valesse a farci decidere in modo assoluto per l’una piuttosto che per l’altra congettura. Ci trovammo sempre nel campo delle supposizioni, e nulla più, quindi ci fu giocoforza limitarci a dire quello che ci sembrava più probabile.
- ↑ [p. 118 modifica]Lo Statuto dei Dazii fol. 37 v. ha già la espressione ad brentam Comunis Pergami invece della più antica ad Sextarium Comunis Pergami (v. sopra § 1).
- ↑ [p. 118 modifica]Stat. an. 1453, 1 § 190. La lezione, et Claudus facto computo de aqua serena fontis Vazeni est et esse debet onciarum vigintiduarum et quarteriorum trium era importante a stabilirsi, [p. 119 modifica]perchè si trattava di decidere se dopo il 1453 la nostra Brenta non abbia più subito alcuna modificazione. Sotto questo rispetto possiamo accertare, che tutti i Codici a penna degli Statuti, che ci fu dato consultare, come i due Statuti a stampa mantengono fermo per il Claudus il peso di once 22 3/4. Quindi in testa a tutti va notato il bel codice di Statuto che in Biblioteca porta l’anno 1453 (Sala I.ª D. Fil. V. 8), due altri che portano la data, l’uno del 1461 (Gabin. M. Fil. 8. 16), l’altro del 1468 (Gabinetto Δ Fil. 8. 10) e i quali non sono che una copia di quello del 1453: altra copia pervenuta alla Biblioteca per dono Camozzi (Sala Iª D. Fil. 5, 11), due altre, una di provenienza Mangili, non ancor posta a catalogo, ed una che nei cataloghi porta la data generica del secolo XV° (Sala Iª. D. Fil. V. 9), altro Codice dello Statuto pure del 1453 pervenuto alla Biblioteca per dono Sozzi (G. 4, 22), ed infine una copia manoscritta dello stesso, che si trova presso di noi. Con questi concordano perfettamente lo Statuto del 1491, edito a Brescia lo stesso anno (5 § 134), e quello corretto nel 1493 ed edito a Bergamo nel 1727, sicchè resta dimostrato che nella nostra legislazione municipale si continuò a considerare il Claudus come un recipiente che contenesse once 22 3/4 di acqua del Vasine. Può darsi, e qui non possiamo contraddire, che corressero dei Claudi abusivi di minore contenenza; ma questo non altera punto le nostre induzioni, perchè dal momento che nella prima metà del secolo decimoquinto la Brenta fu tenuta come la base di tutte l’altre inferiori misure, poteva anche avvenire che il Claudus della prescritta capacità non fosse che una misura di conto e non effettiva: ciò che dovea importare era che la Brenta fosse esatta, ed esatta l’avessero tutti i Comuni del contado (v. sotto Nota 182).
- ↑ [p. 119 modifica]Stat. an. 1453, 1 § 22: item quod quodlibet Comune districtus Pergami teneatur et debeat manutenere unam Brentam bullatam — penes Consulem dicti Comunis. — Et quod mensuratio vini quod vendetur non possit mensurari nisi cum Brenta bullata et non cum aliquo Solio (v. sotto § 8).
- ↑ [p. 119 modifica]Tavol. di Ragguaglio della Rep. Ital. p. 210.
- ↑ [p. 119 modifica]Stat. Datior. fol. 38 v. V. anche sopra II, § 7.
- ↑ [p. 119 modifica]Stat. Datior. fol. 38 r.
- ↑ [p. 119 modifica]Stat. Datior. fol. 41 r.
- ↑ [p. 120 modifica]Stat. an. 1331, 8 § 46: quod quelibet persona vendens vinum ad minutum debeat vendere et mensurure ad iustos Claudos et Claudinos; ibid. § 49: et d. Vicarius inquiri faciat per eius familiam — si Clodi et Clodini — sint justi; Stat. an. 1353, 8 § 42: et nihilominus d. Potestas inquiri faciat — si Claudi et Claudini cet. Di qui si vede che, sebbene lo Statuto del 1331 abbia ragguagliato la Bozzola al Claudus nello stabilire la base delle misure del vino, tuttavia il nome più comunemente usato a quest’epoca era quello di Claudus. Questa parola, con un tale significato, manca in Du Cange.
- ↑ [p. 120 modifica]Negli Statuti di Taleggio ed Averara del 1487 dove si tratta del bollo delle misure vi ha, c. 67: e de ogni quartino over bochal e de uno mezzo ecc.: dove trattano della vendita del vino al minuto, c. 68: soto pena e bando de Sol. X de mezani de zeschadun giodo (Claudus) over bochal, e soldi V de mezani per cadauno mezo. Quando si introducesse da noi la divisione del Boccale in quattro Zaine, non abbiamo documenti che ce lo dicano. La Zaina si trova nominata sulla fine del secolo decimoquarto in quella ordinanza dello Statuto del 1391 dove è detto (1 § 85): quod nulla persona presumat accipere de aliquo ciato misi denarium unum, nec de aliqua zaina nisi tres medianos. Sebbene il Cyathus fosse la minore delle misure nel sistema grecoromano (v. Hultsch, Metrol. p. 82 seg., 91, 95), tuttavia a quest’epoca non entrava punto nel novero delle nostre misure, sibbene era un recipiente usato ne’ banchetti per bevere il vino, come il nostro bicchiero. Quindi, accennandosi al compimento de’ riti nuziali in un contratto di matrimonio del 1372, troviamo: bibendo ipsa domina Donina de vino qui erat in uno ciato (Ronchetti, Mem. stor. 5 p. 153). Lo stesso deve dirsi anche della zaina, e dalla posizione stessa di questa ordinanza nello Statuto si comprende troppo evidentemente, che qui si tratta del prezzo di questi recipienti, non del valore del vino in essi contenuto.
- ↑ [p. 120 modifica]In un inventario del 1342 (Arch. capitol. Filz. Z in GG 3) abbiamo: et duos Flaschonos qui possunt tenere Claudos quatuor. Questo Inventario, che ci ha conservato altri nomi affatto volgari (p. e. et unum vezolum de brentis duabus; v. anche sotto Nota 200), ci dimostra che allora nell’uso comune della bozzola non si faceva più parola (v. Nota 184).
- ↑ [p. 121 modifica]Stat. an. 1331 8 § 46: ita quod vinum vadat ultra clodum mensure, e così in tutti gli Statuti posteriori, dove si vede apertissimamente non trattarsi qui della misura, sibbene del segno oltre il quale dovea andare il vino perchè il consumatore non fosse defraudato. Le prescrizioni degli Statuti e due esemplari, che potemmo procurarci, ci permettono di dire quale fosse la forma della Bozzola, del Claudus e del Boccale. Nello Statuto del 1331 abbiamo (a. l. c.): ud iustos Claudos et Claudinos et mensuras consuetas strictas in summitate more solito scilicet quod quatuor digita sufficiant ad introitum summitatis ipsarum mensurarum. Gli Statuti posteriori ripetono questa ordinanza: quello dei Dazii aggiunge: item fiant Claudi et Claudini ad formam hactenus consuetam. forma consueta est et esse debeat talis cet. dove ripetono le identiche prescrizioni dei precedenti Statuti (Stat. Datior. fol. 58 v.): lo Statuto poi del 1453 ridusse l’apertura della Bozzola o Chiodo alla larghezza di tre invece di quattro dita (1 § 189). Si comprende già da questa ordinanza che le nostre misure, colle quali si vendeva il vino al minuto, doveano avere la forma di un tronco di cono, ed infatti tale è la forma di due misure di ferro, che possono appartenere al secolo passato, e che trovammo rappresentare il Boccale ed il mezzo Boccale. Invece del cappello di chiodo, per indicare fin dove avesse a giungere il vino, in queste vi ha un foro triangolare colla base parallela alla base della misura. È caratteristico il fatto che fino al 1431 queste piccole misure doveano essere di legno, poichè nello Statuto dei Dazii di quell’anno (fol. 38 v.) troviamo: qualibet vice qua utetur alla mensura quam Claudo et Claudino ligni suprascripte forme: di legno era pure la galeda, piccola misura del vino e dell’olio sul Comasco, che si usò fin verso la fine dello scorso secolo dai ricchi alle loro mense (Nota in Hist. P. M. 16, 4 col. 353), mentre gli Statuti di Novara del secolo decimoterzo prescrivono già per misure le Pintas vitreas (§ 427 in Hist. P. M. 16, 1 col. 795). Nel nostro Statuto però del 1453 (1 § 189) sono prescritte bozzole capacitatis unius Claudi vel unius Claudini de vitreo vel de stagnio: le bozzole dello Statuto dei Dazii (fol. 40 v.) sono di rame, le bozzole della capacità di un boccale dopo quel tempo si costruirono anche di ferro. Una enumerazione dei vasi nei quali si riponeva, o si trasportava il vino [p. 122 modifica]in piccole quantità, la troviamo nello Statuto dei Dazii (fol. 39 r.), dove vi ha: in bochalibus, flasconis, galetis vel zuchis vel aliis vasis vinum exportare, dove si comprende che la galeda o galeta era in uso anche da noi. Non parliamo delle zucche, dalle quali ne traggono tanto profitto tuttodì gli agricoltori per trasportare ne’ campi il vino o l’acqua con che dissetarsi.
- ↑ [p. 122 modifica]Stat. Datior. fol. 40 v.: Quod Tabernarii possint mensurare vinum ultra Claudum et Claudinum cum buzolis rami vel vitrii vel cum bochalibus, et debeant habere omnia bochalia et mensuras iusta cuiuscumque capacitatis sint; Stat. an. 1453, 1 § 189; et mensurato vino — possit fundere vinum de ipsis Bozolis in altis Bochalibus vel aliis vasibus etiam non bullatis. Anche questo Statuto ammette pienamente che vi fossero Boccali bollati: cfr. Stat. Datior. fol. 41 r.
- ↑ [p. 122 modifica]La lieve modificazione delle misure inferiori alla Brenta dovea essere già pienamente compita nel 1613, perchè nella Tariffa dei Bollatori stabilita in quest’anno dal Consiglio Comunale (Calvi, Effem. 1 p. 224 seg.) si vediamo già indicate le misure, che furono in uso fino ad oggidì, la Brenta, la Secchia, il Boccale.
- ↑ [p. 122 modifica]Rich. Diz. delle ant. gr. e rom. 1 p. 247 della vers. ital. Si cfr. tuttavia anche Solium ibid. 2 p. 293, 6, e Forcellini s. v.
- ↑ [p. 122 modifica]194. Tiraboschi, Vocab. dei dial. berg. s. v.
- ↑ [p. 122 modifica]Stat. an. n. 1353, 8 § 146: de quolibet Solio den. sex, e la stessa tariffa per la Brenta. Evidentemente si dovette trarre questa denominazione dal linguaggio del popolo, perchè non nascessero confusioni collo Stajo del frumento, per la verifica del quale si esigeva un minore diritto, cioè di soli 4 denari. Il nome di solio si trova già in carta bresciana del 1191 ap. Odorici, Stor. Brescian. 5 p. 16: octo sojos de uva fullata — XXXII sojos vini in gratis.
- ↑ [p. 122 modifica]Stat. an. 1453, 1 § 22.
- ↑ [p. 122 modifica]Oltre a tutti gli Statuti v. Calvi, Effemer. 1 p. 39, 224 seg.
- ↑ [p. 122 modifica]I nostri documenti non lo dicono, ma che fosse in uso pienamente in quell’epoca, lo attestano gli Statuti di Como del 1335 ove leggiamo: Brenta, in qua sunt punctata Staria sex (Hist. Pat. M. 16, 1 col. 354). Una prova indiretta di questo [p. 123 modifica]fatto ci è fornita dalla stessa Tariffa dei bollatori (Stat. an. 1353, 1 § 146). Mentre infatti le misure dei grani sono tutte soggette al bollo, cioè lo Stajo, la Mina, il Quartario, il Sedecino, per quelle dei liquidi non lo sono che la Brenta, il Solio e il Claudo e Claudino: indizio aperto che la Mina ed il Quartario erano segnati mediante alcune punte nel Solio sì che, colla verifica dell’una misura, restavano implicitamente verificate anche l’altre due. Nella Brenta poi vi saranno stati i segni dei 6 Quartari o Secchie, come si continuò fino ad oggidì, in modo che avendo la legislazione ordinato che la misura del vino si eseguisse mediante la Brenta, riuscì facilissimo a considerar questa come divisa in sei secchie, ed a dimenticare le precedenti divisioni del Sextarius e della Mina. Ed ecco come lo Statuto del 1453 ci indica chiaramente il passaggio dall’antico al nuovo sistema di suddivisione delle nostre misure.
- ↑ [p. 123 modifica]Sarebbe infatti strano che, dopochè per secoli si continuò a considerare il Sextarius Pergami come la base delle misure del vino, di esso non fosse rimasta traccia nel secolo decimoquarto e nei susseguenti, sibbene della Mina, che è a tenersi più come una misura di conto, che come una misura effettiva. V. anche cap. I § 3 pag. 25 e cap. Il § 6 pag. 56.
- ↑ [p. 123 modifica]Calvi, Eff. 1 p. 224.
- ↑ [p. 123 modifica]Le Tavole che noi diamo, dimostrano che tanto il Quartarius che la Secchia dopo la riforma del 1453 venivano ad avere la identica capacità di litri 11,78.
- ↑ [p. 123 modifica]Papias Element. s. v. Sicula vas aptum ad vinum vel aquam; altri esempi reca Du Cange, che qui giova riferire, ad indicare l’antichità di questo nome. Lex Alamannor. tit. 22: Servi Ecclesie tributa sua legitime reddant 15 Siclas de cervisa; Capitul. de Villis, c. 9: volumus ut unusquisque judex in suo ministerio mensuram modiorum, Sextariorum, et Siculas per Sextaria octo, et corborum eo tenore habeat, sicut et in palatio habemus. Acta Murensis Monast. p. 59: cum autem venerit tempus vindemiæ — post vindemiationem et uvarum calcationem in cellarium nostrum mustum importare (debet) sextam aut Siculam sibi habera, quae Siculae signatae debent esse ad constitutam mensuram; s. v. Iochus: triginta seglas cervisiae.
- ↑ [p. 123 modifica]Archiv. Capit. Filz. Z in GG. 3: una sedella de ramo [p. 124 modifica]de media segia, dove è esattamente indicata la contenenza di questa Situla di rame, come si farebbe oggidì.
- ↑ [p. 124 modifica]Stat. Novar. § 427 in H. P. M. 16, 1 col. 795. V. anche Stat. Novocom. 2 § 238 ibid. col. 187, dove quasi identiche espressioni vi hanno rispetto alla galeda, che però era di legno: v. Nota 187.
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