Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VI/Libro II/Capo III

Da Wikisource.
Capo III – Medicina

../Capo II ../Capo IV IncludiIntestazione 9 aprile 2019 25% Da definire

Libro II - Capo II Libro II - Capo IV

[p. 653 modifica]STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA Dall’unno jucccc fino all’unno no. CONTINUAZIONE DEL LIBRO SECONDO Capo III. Medicina.

I. Se i progressi delle scienze corrispondessero sempre al numero de’ loro coltivatori, la medicina dovrebbe credersi in questo secol salita alla maggior perfezione a cui essa possa arrivare; tanti furon coloro i quali in quest’arte s’esercitarono, e cercarono d’illustrarla co’ loro li ri. Nondimeno, se vogliam giudicarne sinceramente, ci è forza di confessare che le cognizioni degli uomini in questo genere di scienza non si stesero molto oltre a que’ confini a cui ne’ secoli precedenti altri eran già pervenuti.63


Qualche nuova scoperta però si fece, e qualche nuova luce si aggiunse alle ricerche già Tiraboschi, Voi. VllL 1 [p. 654 modifica]654 LIBRO fatte. E que’ medesimi che altro non fecero che compilare le osservazioni de’ lor maggiori, debbonsi ciò non ostante lodare, perchè in tal modo le renderon più note, e stimolarono altri a tentar cose nuove. Noi verrem qui ragionando non già di tutti coloro che o professaron quest’arte, o in essa scrissero qualche libro; che troppo lunga, e, per riguardo a questa Storia, troppo inutil fatica sarebbe questa. Ci basterà lo scegliere quelli de’ quali veggiamo farsi più grandi elogi, e quelli le cui opere sono ancor di qualche vantaggio a’ professori di questa scienza.

II. Michele Savonarola, nel suo opuscolo più volte da noi citato De laudibus Patavii, da lui scritto circa il 1440 novera alcuni medici che in quella università al principio di questo secolo furono illustrati (Script Rer. ital. vol. 24, p. 165, ec.); e il primo di essi è Antonio figlio di Cermisone di Parma condottiere delle truppe venete, e nato in Padova di madre padovana; di cui dice solo generalmente che fu famosissimo, e che nella pratica superò tutti i medici de’ suoi tempi. Più precise notizie ce ne dà il Facciolati (Fasti Gymn. patav. pars 2 ì p. 122), citando i monumenti di quella università, da’ quali raccogliesi ch’ei fu ivi professore di medicina dal 14 k 3 fino al 1441? Cl,‘ ^,ni di vivere. Prima però egli era stato professore di medicina nella università di Pavia, come raccogliam dal catalogo di quei che ivi leggevano l’anno 1399, quando essa era stata trasportata a Piacenza (Script. rer. ital. vol. 20, p. 940). E da Pavia è probabile ch’ei facesse passaggio [p. 655 modifica]SECONDO 655 a Talliva. Il Facciolati accenna alcuni decreti per riguardo a lui fatti dal senato veneto, tra’ quali degno è di considerazione quello del detto anno in cui si ordina che, poichè Antonio erasi per alcuni giorni assentato senza licenza, non gli si conti lo stipendio che a proporzione del tempo in cui avea soddisfatto al suo dovere. Bartolommeo Fazio lo annovera tra’ medici illustri del suo tempo con questo elogio. Antonio Cermisone (così ivi si legge) fu annoverato tra’ pochi medici illustri de’ miei tempi. Lesse assai lungamente in Padova gli scrittori di medicina in pubblica scuola, e nondimeno attese ancor a curar molti de’ più ragguardevoli. Più che gli altri stati in addietro , ei seppe ridurre alla pratica il suo sapere, nè ciò per guadagno, o per avarizia; perciocchè nulla riceveva per mercede. Nulla egli scrisse, dicendo che abbastanza era già stato scritto da altri. De Viris ill p. 37'). Il Facciolati osserva che, ove il Fazio scrive non aver Antonio lasciato alcun libro, lo Scardeone afferma che scrisse alcune opere che ebber gran plauso. Se altra autorità non si potesse opporre al Fazio che quella dello Scardeone, il primo come contemporaneo dovrebbe essere creduto più che il secondo da lui lontano. Ma anche il Savonarola, che non solo fu contemporaneo, ma viveva in Padova insieme con Antonio, e dovea perciò essere assai meglio istruito che non il Fazio, accenna i Consigli da lui scritti: post se autem Consilia quaedam reti quii magno in honore habita. E di fatto se ne ha un’antica edizion fatta in Brescia da Arrigo da Colonia [p. 656 modifica]656 LIBRO l’anno 1476. Aggiugne il Facciolati, che a ciò che dal Fazio si afferma della medicina gratuitamente esercitata da Antonio, si oppongono altri, dicendo ch’ei consumò tutte le ricchezze colla sua arte acquistate; e che in fatti è certo per un decreto del senato, che nel settembre del 1422 egli ottenne di avere anticipatamente lo stipendio di un anno , per pagare i debiti ond’era aggravato. Ma forse quei debiti avea egli contratti appunto per la sua troppo filosofica indifferenza nel non esiger mercede da’ suoi infermi. Il marchese Maffei lo annovera tra’ Veronesi (Ver. illustr. par. 2, p. 246, ed. in 8), perchè i discendenti di Antonio conservavano in Verona le loro scritture. Ma parmi che ciò pruovi soltanto che questa famiglia passasse poscia da Padova a Verona. 111. Soggiugne il Savonarola Jacopo de’ Zantini, o de’ Zanettini, come lo dice il Facciolati (Fasti Gymn. patav. pars 1, p. 48), ch’ei dice suo padrino e uomo di dottissimo ingegno e pratico famoso, e di cui accenna un pregevol Comento sopra Avicenna; Guglielmo e Daniello da Santa Sofia, figliuoli del famoso Marsiglio, del primo de’ quali dice che in età ancor giovanile fu medico dell’imperador Sigismondo, e con lui visse molti anni, e alla corte di esso morì; del secondo afferma che dopo la morte del padre fu professore ordinario di medicina alla mattina nell’università di Bologna, privilegio non conceduto ad alcun medico forestiero; che fu uomo famoso, dottissimo, splendido, liberale, e riputato l’onor de’ medici de’ suoi tempi; che fu medico di due pontefici Alessandro V [p. 657 modifica]SECONDO 05^ e Giovanni XXIII, c da essi sommamente onorato; e che fu sepolto presso suo padre. Prima però che in Bologna, egli era stato professore nell’università di Pavia circa il 1399, come raccogliam dal catalogo testè mentovato. Di Daniello dice il Facciolati (l. cit. p. 102), che fu professore di filosofia collo stipendio di duecento ducati l’an 1400, e che morì nel 1410. Il che se è vero, convien dire che assai poco tempo ei fosse medico di Giovanni XXIII, eletto pontefice in quell’anno stesso. L’Alidosi ancora non fa menzione alcuna di questo professore dell’università di Bologna, e par nondimeno che la testimonianza del Savonarola possa bastare a persuaderci el11 ei vi tenne scuola di medicina (a).


IV. Qualunque ragione avesse il Savonarola di dare ai medici or nominati la preferenza sopra gli altri, è certo che l’università di Padova n’ebbe in questo secolo più altri ugualmente e più ancora famosi. Il Facciolati nomina fra gli altri Pietro Tommasi veneziano, di cui dice (a) La morte di J laniello da Santa Sofia dee certamente fissarsi alfanno 14’o, come con un documento autentico ha provalo 1’ab. Marini (Degli Archiatri pontif. t. i, p. 13o). Il celebre sig. ab. Giuseppe Gennaii, versatissimo ne’ documenti padovani, ini ha avvertito che, oltre Guglielmo e Daniello, ebbe Marsglio anche un altro fìgliuol detto Giovanni; che Daniello succedette nella cattedra a Marsiglio suo padre, e che Guglielmo nvea preso la laurea nel 13o insieme con Galeazzo suo cugino e figlio di Giovanni fratei di Marsiglio; del qual Galeazzo trovasi indicata un’opera intitolila Lrcfura Aphorismorum in un catalogo di libri posseduti dal celebre medico Antonio Ccmiisonc. [p. 658 modifica]f58 LIBRO (l. cit. p. 122) che era stato professore di medicina a’ tempi de’ Carraresi, e che continuò fino al 14o(j. Da Padova ei dovette passare a Venezia sua patria. ove ei visse ancora per molti anni. Egli era uno de’ più stretti amici di Francesco Filelfo, e ne son pruova le moltissime lettere, che ne abbiamo, a lui scritte; fra le quali osservo che 1 ultima è de’ 5 di giugno dell’anno 1456 (l. 13, ep. 27); e credo perciò, che non molto dopo egli ponesse fine a’ suoi giorni. Egli era ancora grande amico di Francesco Barbaro, tra le cui Lettere molte ne abbiamo a lui scritte Barbar. Epist. p. 27, 145 e Append p. 34, 35, 39, 4^, cc*) e alcune parimente del Tommasi al Barbaro. Fu ancora carissimo al celebre general veneto Carlo Zeno, ed è perciò nominato da Jacopo Zeno tra quelli ch’egli distintamente onorava: Petrum Thomasium artis eximiae Medicum, humanitatis quoque praeditum studiis (Vita Car.Zeni, Script. rer. ital. vol. 19, p. 264). Il Sansovino gli attribuisce un’opera De foetu mulierum, et de facultate plantarum {Venezia, 1.* ed. p. a44)* Di lui parla più a lungo il eli. P. abate Ginanni, che lo annovera tra gli scrittori ravennati (Scritt. ravenn t. 2, p. 412)? e 1o dice non Tommasi, come da tutti i suoi contemporanei egli è appellato, ma Tomai. A provarlo poi natio di Ravenna, si vale di una lettera di Gasparino Barzizza che, scrivendo al Tommasi, fa menzion di Guglielmo medico e concittadino di esso. E questo Guglielmo, secondo il detto scrittore, è Guglielmo Ghezzi, medico ravennate, a cui abbiamo una lettera del Petrarca da me altrove [p. 659 modifica]SECONDO G5o citata (t• 404)- 1o lascio che ognuno esamini qual forza abbia questo argomento, e ne decida come meglio gli piace (a). Poco dopo il Tom masi, cioè circa il 1422, era professore di questa scienza nella stessa università di Padova Bartolommeo Montagnana, il quale continuava in quell’esercizio nel 1441 {Facciol. I cit.), c, secondo il Papadopoli (Hist. Gymn.patav. t. 1, p. 288), visse fino verso il 14Ó0. Quest’ultimo autore ne cita alcune opere mediche, che si hanno alle stampe, e singolarmente i Consigli, e tre trattati sopra i bagni di Padova, a’ quali è premessa una lettera di Gherardo Boldiero stato già scolaro del Montagnana, e poi professore esso ancora in Padova verso l’anno 1455, come osserva il marchese Maffei Ver. illustr. par. 2, p. 246), il quale però lo dice Montagna , e non Montagnana. M. Portal ha trattato di questo medico, ma con molti errori. Ei parla dapprima di Pietro Montagnana (Hist.de l’Anotom, ec. t. 1 , p. 242), e dice ch’ei fiorì verso il 1440, e che pubblicò un trattato d’Anatomia. Ma Pietro Montagnana l’anatomico fiorì verso la fine del secolo susseguente (V. l. padop. I. cit. p. 3a4) (ò). Àggiugne ch’egli stu(/7) Il Tommasi adoperossi con sommo impegno a metter pace fra’ due famosi ni mici Poggio e Ideilo; c per breve tempo 1’ottenne , come raccogliesi da una lunga lettera a lui scritta da Ferrara il primo giorno del da Guarin veronese, in cui!o ringrazia di si buon ut lì ciò prestalo alla letteraria repubblica. Essa conservasi ms. in quel codice veduto da] P. lettor Varani, da me ricordato nel parlare dell’università di Ferrara. (^) Due furono dello stesso nome e cognome di Pie[p. 660 modifica]GGo LIBRO dio in Verona sotto Gherardo Boldoio; nel che travisa il cognome di questo medico. Dice finalmente che scrisse Consigli medici, de’ quali io non veggo che alcuno faccialo autore. Parla poi (l. cit. p. 2.53) di Bartolommeo Montagnana, e lui pure fa autore de’ Consigli medici; dice che fiorì verso il 144^j c C*1C da immatura morte rapito nel fior degli anni: la qual circostanza non so onde abbia egli presa; nè si può certamente asserire di chi, essendo professore fin dal 1422, visse fin verso il 1460. Paolo Cortese parla egli ancora del Montagnana con lode, e rammenta un certo antidoto da lui trovato pe’ naviganti, e detto perciò antidotum nauticum (De Cardinalata, 2 , p. 80).


V. Quel Michele Savonarola, che abbiam poc1 anzi e più altre volte citato, è degno egli pure di aver qui luogo. Ei fu per più anni professore di medicina in Padova sua patria, e se ne trova menzione ne’ documenti di quella univ ersità dal 1433 fino al 1436 (V. Papadop. l. 1, p. 286; Facciol. l. cit p. 1 a5), nei quali egli è ancora onorato col titolo di cavaliere (a). tro Montagnana, uno sulla fine ilei secolo xv, di cui si hanno le opere mediche e chirurgiche stampate prima in Venezia nel 14$7 f e poscia altrove; e di cui ancora si hanno tradotti in italiano alcuni trattati in una raccolta di operette mediche intitolata Falcidilo de Medicina vulgnrizzato per Sebastiano Manilio Romano stampato due volte nel 14o^: 1’■hro anatomico e chirurgo verso la fine del secolo xvi, di cui parla nel citato luogo il Papadopoli. (a) Gli Atti del Collegio medico di Padova cominciano a far menzione di Michele Savonarola allora studente [p. 661 modifica]SECONDO (3(5 I Fu poscia chiamato a Ferrara dal march. Niccolò III, ove, secondo i detti scrittori, a’ quali si aggiugne il Borsetti (Hist. Gymn. Ferrar, t. 2, P-17)17 non solo esercitò la sua arte, ma ne fu ancora in quella università professore. Il che se è vero, non dovette durar molti anni, perchè nel Catalogo de’ professori del 1450, pubblicato dallo stesso Borsetti (ib. t. 2, l. 5(5), noi troviam nominato. Il Papadopoli lo dice morto verso il 1440 ma il Muratori osserva (Script. rer. ital. vol. 24, p. 1135) che Gianfrancesco Pico della Mirandola, nella Vita del famoso F. Girolamo Savonarola nipote di Michele, racconta che quegli per opera di Michele suo avolo fu istrutto negli studj gramaticali; ed essendo nato Girolamo nel 1452, convien dire perciò, che Michele vivesse fin circa il 1462, o qualche anno ancora più tardi. I suddetti autori e i compilatori delle Biblioteche mediche annoverano parecchie opere di tale argomento da lui date alla luce, e che si hanno in istampa. Alcune altre si accennano dal Muratori, e quella singolarmente de Laudibus Patavii da lui pubsotto Tanno 1408. Prese la laurea in medicina nel 14*3, e sotto il r4-3 f si legge eh1 eru stato scelto alla lettura ili medicina ne’ dì festivi; e nel 1436 pass11) a f[iiella del terzo libro di Avicenna. L’ultima volta eie egli è nominato in quegli Atti, ò sotto i 23 di giugno del 144o. Di fatto nel segreto archivio Estense conservasi l’ordine dato da! marchese Niccolò 111 a’ 7 di settembre dell’anno stesso, acciocché sia posto nel ruolo degli stipendiali maestro Michele de la Savunarola ili Padova , qitent prefittili Donimiis conduxit ad suum servitium prò phisico, e che gli si paghino ogui anno quattrocento ducali d’oro. [p. 662 modifica]GGa libro blicata (ib.). Ma di quelle di’ ei cita come esistenti in questa biblioteca Estense, io non trovo che quella De aqua ardente in Medicinae usu. Ben ne ho trovato due altre dal Muratori non mentovate, e sono un trattato de vera Republica, et digna sæculari militia, e un altro de felici progressu Illustrissimi Borsi Estensis ad Marchionatum Ferrariæ, diviso in tre parti e pieno di giusti elogi dovuti a quel gran principe non meno, che a Leonello di lui fratello. Nella libreria Farsetti conservasene un opuscolo ms. che ha per titolo: Ad Civitatem Ferrariae de praeservatione a peste et ejus cura (Bibl. MS. Farsetti p. 155) (*). Insieme col Savo(*) One bei monumenti, e sommamente onorevoli a Michele Savonarola, conservansi in questo ducale archivio, il secondo de’ quali ancora ci mostra ch' ei fu cavaliere gerosomilitano, e inoltre ch’ei visse almeno fin verso la fine del r.461. 11 primo è un diploma del marchese Leonello de’ 30 di giugno del concepillo in questi magnifici termini: Leonellus Marchio Estensis, ec. Delectabantur prisci illi excellent issimi et Reges et Principes, ut quisque magis poterat, apud se clariores, et in quoqumque virtutum, disciplinarum et bonarum Artium genere praestantiores viros habere, quorum consiliis et artibus non solum ad res Imperii gerendas , sed ad sanitatem corporis recuperandam conservandamque uterentur. Alexandro Magno Praeceptor Aristoteles Philosophus, Medicus vere familiaris Philippus fuit. Gallum Astrologum et Geometram celeberrimum Paolus Aemilius habuit. Dionisius major Architam Philosophum; Augustus Caesar Artoxium Medicum; Archimedem Geometram , ut de ceteris taceamus, Hieron Siciliae Rex; qui non minus ipsi suis Regibus et Principibus, quam Principes ipsi eis usui et honori fuerunt. Eos imitatus felicis et recolendae memoriae illustris excellens Dominus Genitor noster, cum Civitas [p. 663 modifica]SECONDO 663 parola era professore di medicina in Padova tra ’1 1434 e ’1 1440 Cristoforo Barzizza bergamasco figliuolo di Jacopo, e nipote del celebre Gasparino, di cui diremo tra’ professori Patavium plurimorum excellentissimorum virorum parens de more suo clarissimum quemdam philosophum et naturalem et moralem Michaelem Savonarolam peperisset, multosque annos educas set, qui suo ingenio singulari, sua in curandis humanis corporibus providentia et arte, suti que voluminibus et libris, quos plures condidit, medicinae disciplinam maxime illustravit, qumque summe et admirande virtutis et ingenii ejus fan,a universam Italiam complevisset, hunc sibi sanitatis auctorem conservatoremque delegit, ac cum deinde Genitor ipse noster moriens nobis filio et heredi qum ipso omni statu reliquit; quem huc usque nobis et Curiae nostrae carum et jucundum Medicum habuimus, non minus hac fuit patri, sicque cum de cetero habere decernimus , sed longe aliter quam hactenus. Nam cum vir ipse et spectatissimus et optimus jam etate ingravescat , danda a nobis est opera, at tam excellens / ir, quam diutius possit, conservetur: ut et aliquod nobile opus, sicut optat, ad usum delectationemque posteritatis edere possit. Volumus igitur, et per has literas declaramus, ut in futurum nullius curam in medendo, preterquam corporis nostri, Illustris Domini Borsii Fratris nostri, hac alliorum utriusque sexus nostrae domus Estensis, et si quando sibi jusserimus, nonnullorum nobis preclarissimorum suscipere teneatur. Nam alterum Medicum ingegno et arte preclarum delegimus, qui etiam nobis et reliquis omnibus Curiae nostrae inserviet. Et quamvis ipse Magister Michael satis amplam in menses pecunie provisionem habeat a nobis constitutam, tamen cum majorini honori m et t. mollimentum summa ejus virtus et scientia et singularis hac precipua erga nos fides et observantias a nobis exposcat, ec. E siegue accordando a lui e a’ figliuoli di esso per dieci anni le decime di alcuni beni che i principi Estensi avevano in Este. L1 altro è un decreto del duca Borso, con cui [p. 664 modifica]664 LIBRO di gramatica. II conte Mazzucchelli ci ha dato intorno a lui un assai esatto articolo (Scrittiteli. t. 2, par. i , p. 496), in cui confuta i moltissimi orrori che aliti han commesso nel ragionarne, c mostra fra le altre cose, che è assai probabile ch'ci 11011 sia punto diverso da Cristoforo Barzizza gramatico ed oratore, c a* 20 di ottobre del detto anno ordina ch’ei sia investito insieme co’ suoi discendenti maschi a titolo di feudo di alcune possessioni in Medelana nel distretto di Ferrara. Ecco l’elogio che in esso si fa di Michele: Quamquam venerandi Equitis hierosolimitani et eximii excellentisque artium et medicinae doctoris domini Magistri Michaelis Savonarola physici nostri preclarissimi, fidesf virtus, et merita erga nos et omnem Estensem domum non vulgaria jure suo sibi vindicant, ut ad alia beneficia , quae a felicis recordationis illustribus et excelsis dominis domino Genitore et domino Germano nostro nobisque consequntus est, etiam ampliorem erga se et suos intelligat sentiatque liberalitatem nostram , tamen cum omnia posse non liceat, quae cupiantur, si pro suorum magnitudine meritorum ea sibi non contulerimus , que meritus est, ea in partem satisfactionis et signi cujusdam nostre gratidudinis accipiet, que, quanti fecerimus faciamusque virtutem et probitatem suam , facile declarabunt. Quid enim conferre dareque possumus tanto viro de nobis optime meritoquo in diesque merenti , ob incorruptam ejus erga nos fidem et placitas ac memorabiles operationes suas clarius demonstrare queat? quam quod vere fidelibus et officiosis diris tribui consuevit, i de st constituere eum feudatarium nostrum super aliqua digna re quae sibi et suis honori et commodo sit, et bene conducat? Harum ergo tenore, ec. Nell’atto poi dell’investitura il fattor camerale lo dice: Venerandum militem Hierosolimitanum virum humanissimum et celeberrimum physicum dominum Magistrum Michaelem Savonarolam Patavinum prelibati Domini Ducis Medicum acceptissimum et civem Ferrariae de Contrata Sanctae Mariae de Vado. [p. 665 modifica]SECONDO 665 credulo bresciano di patria. Non giova ch’io mi trattenga a ripetere ciò ch’egli ha detto, poichè nulla potrei aggiugnere alle belle ed erudite ricerche che presso lui si possono leggere. Ivi ancora si ha il catalogo di tutte le opere di Cristoforo sì stampate che inedite, la maggior parte delle quali appartengono a medicina, altre son di argomento di amena letteratura. Per la stessa ragione io non farò che accennare il nome di Sigismondo Polcastro professore nella stessa università di Padova or di filosofia, or di medicina, dal 1419 fino al i |'3, in cui finì di viverej perciocchè, oltre ciò che ne hanno scritto il Papadopoli (l. cit. p. a85) e il Facciolati (l.cìt.p. 102, 125), di lui ha eruditamente trattato in una sua lettera il sig. Girolamo Zanetti (Calogerà, Raccolta, t. 46, p. 155), il quale ha ancora dati al pubblico gli autentici monumenti che a lui appartengono , e che pruovuno f altissima stima in cui egli era presso quella università non meno che presso il senato veneto. Uno di essi fra gli altri dimostra che Sigismondo era di origine vicentino j perciocché nell’alto con cui Giovanni da Castiglione vescovo di Vicenza gli diede nel 1407 l’investitura del feudo di Trimignone, egli è detto Sigismundus de Porcastris quondam D. Jeronimi de Vicentia Civis et habitator Paduae. E mi stupisco perciò, che di lui non si sia fatta menzione dall’autore della recente Biblioteca degli Scrittori vicentini. Delle opere da lui composte, delle quali però non so se se ne abbia alcuna alle stampe, parla il Papadopoli. Egli ebbe un figlio di nouic [p. 666 modifica]G(16 LIBRO Girolamo Antonio, che fu egli pure professore di medicina e di filosofia nella stessa università, e di cui ci dà alcune notizie il medesimo sig. Zanetti nella lettera sopraccitata. Di moltissimi altri che da’ due mentovati storici della università di Padova vengono nominati, io non fo qui distinta menzione, per non condurre questa mia opera a una soverchia e noiosa prolissità 5 e lascio perciò di parlare di Bartolommeo da Noale (FaccioL l. cit. p. 126), di Giovanni d’Arcoli veronese, che fu anche professore in Ferrara , e di cui si hanno alcune opere (ib. p. 128, Mazzucch. Scritt. ital.)) di Baldassarre da Perugia, dopo la cui morte, avvenuta nel 1474 fa) ì credette il senato che in tutta 1 Italia non si potesse trovare chi degnamente gli succedesse (Facciol. ib. p. 13o)j di Giannantonio da Lido, che all* insegnare congiunse il curare nelle lor malattie molti dei principi italiani (ib. p. 131) j di Alessandro Sermonetta sanese, che fu professore anche in Pisa (ib. p. 132), di Corradino da Bergamo (ib. ec.); di Francesco Benzi (ib. p. 133) (*), (a) 11 sig. abate Dorigliello mi Im avvertito che non sembra esatta l’epoca della morte di Baldassare da Perugia dal Facciolati fissata al 1474i e ch’egli nelia trovato il nome nell’imbussoiaziou de’ priori fatta a’ 6 di giugno del 1477* (’) Quel Francesco Benzi qui da noi accennato fu figlio di Ugo, di cui parliamo più a lungo. Due lettere se ne conservano in questo ducale archivio segreto, amendue scritte da Ferrara, ove egli era professore di medicina, una al duca Borso a’ di marzo del 1470, in cui gli chiede soccorso, perchè non gli viene pagato il promesso stipendio; e a piè della lettera [p. 667 modifica]SECONDO (07 di Antonio Trapolino, che fu insieme filosofo e medico e matematico (ib. p. 135), e di altri che lungo sarebbe il sol nominare. Fra tutti ne scelgo quattro a ragionare alquanto più stesamente, perchè e chiamati furono a molte università, e furono tra’ più illustri di questo secolo, cioè Ugo Benzi sanese, Matteolo da Perugia, Pietro Leoni da Spoleti, IX Gabriello Zerbi veronese. VL Di Ugo Benzi, detto sovente Ugo da Siena, molle notizie abbiamo presso il conte Mazzucchelli (Scria, ital. Li. par. 1, p. 790), alle quali nondimeno si può far qualche aggiunta. Sull’autorità delfl gurgieri egli afferma si logge il presente rescritto ducale: Dicant Factoribus, ut ver bis efficacissimis, ut provideant ad satisfactionem scribentis, et non amplius retardent; l’altra è de’ 17 dr agosto 1479 a Costanzo Sforza signor di Pesaro, in cui!lo ragguaglia della malattia di madonna Antonia di lui sorella venuta allora a Ferrara. « Più altri documenti intorno a Francesco Benzi trovansi in questo archivio camerale. Egli è nominato in un catalogo de’ professori dell’università di Ferrara all’anno 1450 collo stipendio di duecento lire di marchesini. Nel settembre del 1464 il duca Borso comandò che fosse pagato il prezzo di un cavallo da lui comperato Spectabili ed eximio artium et medicinae Doctori Magistro Francisco Bentio. Nel 1483 la duchessa Leonora moglie del duca Ercole I ordinò al primo di marzo che fosse sborsato a lui il necessario denaro pro eundo versus Cremonam ad 1i lustri ssimum Pi vici peni nostrum cum duobus famulis et tribus equis. Convien dire che 1 anno seguente ei passasse a soggiornare in Bologna; perciocchè a’ 22 di maggio la duchessa medesima comandò che si pagasser le spese necessarie per condurlo da Bologna a Ferrara, e alla fine di luglio U lece ricondurne a Bologna » [p. 668 modifica]668 LIBRO clic fu figliuolo di Andrea Benzi e di Minoccia Panni nobili sanesi, e che fatto da loro istruire nella filosofia e nella medicina conseguì in esse la laurea dottorale. Parlando poi delle cattedre da lui sostenute , dice di’ ei fu prima professore in Siena, poi in Firenze, indi in Bologna dal i.’joa fino al 1427? ,nel frattempo, cioè fra ’l 1409 e ’l 14I0 ancor medico di quel legato; che poscia andò a Padova, ove lesse dal 1420 lino al 1428 che di là fu chiamato a Perugia e a Pavia; e che indi passò in Francia. Ma in questa enumerazione vi ha a mio parer qualche fallo. È verisimile che, prima che altrove, ei fosse professore nella sua patria. Ma certamente fin dal 1399 egli era nell’università di Pavia, quand1 essa era trasferita a Piacenza, come abbiamo nel più volte accennato catalogo (Scritt. Rer. ital. vol. 20, p. 940): M. Ugoni le genti ut supra, cioè la Filosofia di Aristotele, e vi si aggiugne il mensuale stipendio (l.6. 13, 4) e la tenuità di esso ci pruova di’ era Ugo allora giovane, e non ancor pervenuto a quella gran fama che poscia ottenne. Quando leggesse in Firenze, non ne trovo indicio, o memoria alcuna j ma di’ ei vi leggesse , ne abbiamo la testimonianza di Bartolommeo Fazio , che addurremo tra poco. Da essa pure raccogliesi di’ ei fu professore in Bologna, e ne parla con molta lode Benedetto Morando da noi altrove rammentato; ma ch’ei vi stesse, come afferma l’Alidosi (Dott. forest. p. 82), dal 1402 fino al 1427 non ci permetton di crederlo i monumenti dell’università di Padova citati dal Facciolati (Fasti Gjntru [p. 669 modifica]SECONDO 6fk) paUiv. pars 2 , p. 124), secondo i quali egli era ivi fin dal 1420 Ne partì poscia con licenza del senato l’anno 1428, e nel 1430 era già di ritorno, ed era professore ordinario di medicina insieme con Antonio da Cermisone, e ne partì poscia l’anno seguente chiamato a Ferrara. Prima che in Padova, ei fu professore in Parma; ove abbiam veduto che Niccolò III, marchese di Ferrara, avea l’anno 1412 istituita una nuova università. Ne abbiamo la pruova nella dedica da lui fatta dei suoi Comenti sugli Aforismi d’Ippocrate al medesimo Niccolò: tua enim indulgentia et magnifici viri Ugonis veri amici diligentia, tam multos praeclaros homines literarumque Magistros in Civitatem Parmensem convocasti pro studio, ut sit indignum nihil ad tantae rei memoriam reliqui posteris , ec. E qui si avverta che l’anno 1420 Niccolò III cedette Parma al duca di Milano (Murat. yJtm. iC /tal. ad h. a.), e perciò troviam la ragione per cui Ugo, lasciata quella università, che forse allor venne meno, passasse circa quel tempo a Padova. Della lettura di Bologna e di Padova parla ancora il Fazio; ma egli non fa menzion di Perugia, e non parla pure della gita di Ugo in Francia. Ch’ei però fosse professore in Perugia, è certo per testimonianza del medesimo Ugo, il quale lo a (Ter ma su’ principj del suo trattato Del conservare la sanità; e forse ciò avvenne ne’ due anni in cui egli fu assente da Padova. Che poi ei fosse chiamato dal re di Francia a Parigi, e che in quella università leggesse con lauto stipendio la medicina , vorrei che se ne potesse allegare autorità Tiràuoschi, Voi. Vili. 2 [p. 670 modifica]6jO LiBRO più sicura di quella ilelP Ugurgieri. Soggiugne il conte Mazzucchelli, che Ugo chiamato da Niccolò III a Ferrara, fu da lui inviato a leggere medicina nelP università di Parma da sè già fondata, e che poscia da Parma passò a Ferrara. Ma questo per altro esatto scrittore ha qui confusi in un solo i due inviti el11 ebbe Ugo da Niccolò III, il primo circa il 1412 all’università di Parma, come già si è detto, il secondo nel 1431, non già a Parma, che non era più soggetta al marchese Niccolò, ma a Padova , ove di fatti ci mostrano i monumenti dell’università di Padova el11 ei fece passaggio nel detto anno (a). Ivi è probabile che fosse 11011 solo medico di Niccolò, ma ancor professore, benché il Borsetti non ne rechi alcun autentico documento (llist Grmh. ferr. t 2 , p. 20). Ed egli vi era ancora nel 1438, quando vi si diede principio al generale concilio , e in quella occasione ei fece conoscere a1 Greci il suo profondo sapere. 11 fatto viene accennato da molti scrittori contemporanei; e io il recherò qui, come ci vien narrato da un tra essi gravissimo, cioè da Pio II nella sua (a) Secondo i documenti indicatemi dal sig. ab. Dori? hello, Ugo Benzi trattennesi in Padova anche nel 1422. .L’opinione poi di quelli che ne differiscon di più anni oltre al 1439) la morte, vien confutata da un altro documento dal medesimo indicatomi, cioè da una supplica che a’ cinque di gennajo del 1442 porse al collegio degli artisti Antonio Rosselli, per esservi ricevuto nel modo e forma con cui era stato accettato il già di buona memoria Ugo da Siena; sicchè al più tardi egli era certamente già morto nel 1441 [p. 671 modifica]SECONDO (I7I Descrizione dell1 Europa, secondo la traduzion di Fausto da Longiano 5 il qual passo riporto ancora più volentieri, perche è congiunto con un magnifico elogio dei principi Estensi. Eu~ genio Papa, dice egli (Descr. dell Eur. c. 5 2), facendo in Ferrara un Concilio co’ Greci, Hugo Sanese, tenuto ne’ suoi tempi principe de’ Medici, invitò seco a disinare tutti que’ philosophi Greci, che erano venuti a Ferrara; e dopo il splendido apparato venuto al fine a poco a poco, pian piano cominciò a tirargli piacevolmente in disputa, sendo già presente il Marchese Niccolò, e tutti i philosophi, che si trovavano in quel Concilio. Addusse in mezzo tutti i luoghi de la philosophia , sopra quali par che fieramente contendino , e siano tra loro discordanti Platone et Aristotele, e disse, ch’egli voleva difendere quella parte, che oppugner hbono i Greci, seguissero o Plotone o vero Aristotele. Non ricusando la contesa i Greci, durò molte ore la disputa; alfine havendo Hugo patrone del convito fatto tacere i Greci ad uno ad uno con I’ argomentazione, c con la copia del dire, fu manifesto a tutti, che i Latini, come già avevano superato i Greci con la gloria delC armi, così nell- età nostra e di lettere e d’ogni specie di dottrina andavano a tutti innanzi. Fu sempre la Casa d’Este, amica agli uomini dotti. Non solamente di questa età nostra attrasse con gran prendi II Ugo, ma molti huomini famosi ne le Leggi. A ss aissimi n ha onorati ne f altre facoltadi. Ne’ studii de la Eloquenza hanno arricchito Giovanni Aurispa Siciliano dottissimo ne le Grecite e [p. 672 modifica]LIBRO ne le Latine Lettere, e famoso ne’ versi e nelle prose , et hannolo fatto loro familiare. Guarino Veronese quasi di tutti, che oggidì sanno Lettere greche, padre e maestro, vecchio ammirabile e degno d ogni honore, qual ha consumato tutta la sua etade in lettere, in iscrivere, et in insegnare, ha ritrovato appresso agli Estensi r unico rifugio della sua vecchiezza, et honesto e degno ile li suoi esercitii e virtudi. Quando Ugo morisse, non è ben certo , poichè non ne abbiamo precisa memoria. L’Ugurgieri, citato dal conte Mazzucchelli , il dice morto in Ferrara nel 1439 e aggiugne che a’ io di settembre dell1 anno seguente gli furono celebrate in Siena solenni esequie, di che s’egli ha tro- i rato, come è probabile, qualche documento in quella città, ei dev* esser seguito nell epoca della morte. E certo quelli che la differiscono di più anni, e che la dicono seguita in Roma, nè sono scrittori di molta autorità, nè ne adducono pruova alcuna. Lo stesso conte Mazzucchelli ci ha dato un esatto catalogo delle opere mediche che di lui si hanno alle stampe,! che presso lui si può leggere insieme con altre 1 circostanze appartenenti a questo celebre me- I dico. Io terminerò con accennare l’elogio che ne fa Bartolommeo Fazio (De Viris. ill. p. 3y), I il quale lo dice uomo di grande ingegno , di I singolare memoria, perfettissimo nella dialettica e in tutte le belle arti , professore in Siena , in Bologna, in Pavia, in Padova, in Firenze, ] e sempre udito da gran numero di scolari;! aggiugne che in età giovanile attese più ad in- I segnare, clic ad esercitare la medicina, e che 1 [p. 673 modifica]SFCONTtO Cl73 poi fatto vecchio più spesso si incaricava della cura degl’infermi; e conchiude narrando ciò che gli avvenne in Siena con una sua nipote, a cui mentre altri medici davano speranza di guarigione , egli gli fé’arrossire mostrando loro che non ne avevano conosciuto il male, e predicendo che fra quarant’ore ella sarebbe morta, come in fatti avvenne (a).

VII. Più scarse son le notizie che negli scrittori di quei tempi troviamo intorno a Matteolo da Perugia, e maggior fatica perciò ci è forza di usare per ricercarne f epoche della vita. Anzi diversi sono i giudizj che diversi uomini dotti di quella età ce ne hann£dato, mentre se alcuni lo esaltano come uomo divino, altri ce lo dipingono come impostore. Esaminiamo senza spirito di partito i loro detti, e veggiamo ciò che debba di lui pensarsi. Di esso ci parlano i due storici perugini Pompeo Pellini (Stor. di Perug, t. 1, p. 698) e Cesare Crispolti (Perug. augusta, p. 364), e affermano ch’egli era della nobil famiglia Mattioli. Io temo pero, che quo(n) Figliuol di Ugo fu Socino Renzi medico egli pure assai rinomalo e alla corte di Ferrara. come si c dimostrato urli,» Biblioteca modenese (l. 6, p. 3T), eolia pontificia, ove fu medico stipendiato di lJio il, come ha dimostrato il sig. ahate Marini (Degli Archiatri pontif. t. 1, p. 167; l. 2, p. 34o. ee.), il quale n ragione si maraviglia che il dottor Gianna mirra Uni-otti abbia potuto dubitare dell1 esistenza di questo medico (\Jcm. degli Archiatri. pontif, t. 1, p. f»8), di cui ci parlano tanti autentici monumenti. « Anche in una carta del segreto archivio Estense del primo giugno 14f3 si nominano Socino Renzi e i fratelli figli ed creili ilei fu Ugo ». [p. 674 modifica](74 unno sta genealogia non sia fondata che sulla testimonianza del nome, argomento troppo poco valevole a renderla abbastanza probabile. Il Facciolati afferma (Fasti Gymn. patav. pars 2, p. 127) che fin dal 1449) egli era professore di medicina nell1 università di Padova, e che vedesi annoverato in quell’anno tra’ promotori alla laurea. Io trovo memoria di Matteolo due anni prima in una lettera a lui scritta nel dicembre del 1447 (da Francesco Filelfo (l(6, ep. 30), in cui rispondendo all’accusa che Matteolo aveagli data di negligenza non so in qual cosa, coll’usato suo stil pungente il rimprovera come uomo sopra tutti negligentissimo , trattone in ciò che appartiene al guadagno nel che, dic’egli, tu siegui il costume de’ medici, cioè o di uccidere prontamente l’infermo, o di prolungarne a più mesi la guarigione. Ma ognun sa quanto convenga credere alla maldicenza di questo scrittore. In fatti con più stima ei ne parla in un’altra lettera scritta nel marzo del 1451 a Pier Tommasi, in cui così gli scrive: Docet Patavii Medicinam Matthaeus Perusinus vir egregie doctus idemque disertus (l. 9, ep. 4); 1o prega a farsi da lui rendere due libri di Ippocrate, che aveagli più anni addietro prestati. La stessa preghiera rinnova egli al Tommasi in altra lettera scritta nel maggio del 1453, e in essa parimente dice: Legitpracterea Patavii Medicinam Matthaeus Perusinus vir non philosophus solum sed et disertus (l. 11, ep. 21). In questo frattempo però, se crediamo all’Alidosi (Dott. forest. p. 53), passò Matteolo per un anno, cioè nell’anno 14^2, a leggere [p. 675 modifica]SECONDO G?!) medicina nell’università di Bologna, il die io non so se comprovisi con autentici documenti, i Perugini frattanto chiamarono Matteolo a leggere in patria; e i Padovani, ai quali rincresceva il perdere un uom sì dotto, ricorsero a Francesco Barbaro, perchè ottenesse da’ Perugini , che Matteolo si rimanesse tra loro. Abbiamo la lettera ch’ei perciò sci isse (Barò, ep. 219) nel novembre del 1453 a Pietro del Monte vescovo di Brescia e governatore di Perugia. Il Barbaro in essa dice che Matteolo era suo medico ed amico, e prega il governatore che faccia intendere a’ Perugini, che, poichè la lor patria è tanto famosa per valore nell’armi , per eloquenza e per gli studj legali, permettano almeno a Padova che nella filosofia o nella medicina conservi l’antica sua fama. Ma la risposta non fu quale il Barbaro desiderava; perciocchè Pietro dal Monte gli scrisse (ib. ep. 220) che rallegravasi con esso lui che avesse sì gran concetto di Matteolo uomo rinomatissimo» ma che i Perugini non potevano in alcun modo permettere ch’egli continuasse a starsene in Padova; ch’egli stesso avea istantemente pregato d’esser chiamato a Perugia, e che aveane chiesta e ottenuta licenza dal senato veneto; eli’ essi sospettavano che Matteolo non fosse pago de’ patti con loro stabiliti, ma che non avrebbero permesso eli’ ei mancasse di fede , e che perciò o si risolvesse a venire, o fosse certo che mai più non sarebbe stato dalla sua patria invitato. Il Cardinal Querini parlando di queste lettere, dice (Diatriba ad Epist. Barbar. p. 95) eli’ ci 11011 sa se.Matteolo passasse [p. 676 modifica]676 LIBRO /11 veramente a Perugia. È verisimile però, circi si trat-y I tenne per qualche tempo ancora in Padova, li 4 Filelfo scrivendogli nel maggio del ifò-j (l- »2, 1 ep. 11) gli ricorda di nuovo que’ due libri d*Ip- I pocrate, c gl1 ingiunge che diagli a Bernardo | Giustiniani, ove questi glieli richieda, Il che ci dimostra ch’egli era in luogo ove il Giusti- 1 ìiiani da Venezia potea chiedergli facilmente que’ libri. Il Facciolati inoltre afferma che avendo egli nell’an 1453 quattrocento ducati d’ar- 1 genio di suo stipendio annuale, sette anni ap- I presso gliene furono aggiunti altri cento. Sem- J bra nondimeno che non possa negarsi che almeno per qualche tempo tornasse Matteolo a Perugia. Giannantonio Campano in una sua I lettera di colà scritta a un certo Trebano de- I scrive assai lungamente (l. 2, ep. 7) la disputa I poco felice ch’egli vi ebbe con Niccolò da Sul- I mona. AV giorni scorsi, egli dice, essendo I tornato in patria con grande espettazione di ognuno Matteolo da Perugia, uomo nella medicina e nella filosofia per comun giudizio assai bene istruito, cominciò prima in segreto, I poscia in pubblico a sparlare del nostro Sul- J monese. Siegue poscia a narrare che Malleolo 1 malgrado de’ più ragguardevoli cittadini volle I ad ogni modo venire a pubblica disputa col I Sulmoncse, dicendo fra le altre cose, che uomo,Il com’egli era, dottissimo e onorato delle catte- I dre di tolte le università italiane, non dovea sofferire di essere riputato da meno del suo I avversario, che altro non era finalmente che noni guerriero. Quindi descrive la solenne tenzone I a cui vennero amendue, e come il Sulmoncse I [p. 677 modifica]SECONDO G’'] avviluppò e strinse così il povero Matteolo, che questi ne partì svergognato, e perduta ormai la stima di tutti, appena osava di comparire in pubblico. La lettera non ha data; ma ella dev’essere scritta fra ’l 1450, verso il qual tempo, come altrove vedremo, il Campano passò a Perugia, e ’l 1459, quando ei ne parti (a). Il Campano in questa lettera ci rappresenta Matteolo come uomo il cui solo merito era la franchezza e l’ardire; est cnim omnium, quos vidi, lingua, quarn impudenti, absolutissimus. Ma è qui ad avvertire che il Sulmonese, oltre l’essere natio dello stesso regno di Napoli, ond’era il Campano , avealo ancora mollo beneficato, come vedremo ragionando di questo secondo scrittore; e non è perciò a stupire che questi prendesse a sostenerne le parti, e screditarne il rivale. Ma è certo che diversamente parlano altri; e un bell* elogio ne abbiamo, per nominar questo solo, nella Cronaca di Armanno Schedel statogli già per tre anni scolaro in Padova , eh1 io riferirò colle parole medesime del(a) Gli Alti del Collegio degli Artisti di Padova esaminati dal sig. abate Dorighello dimostrano che Matteolo da Perugia fu laureato a’ 17 di dicembre del 1432, e che d’allora in poi egli stette costantemente in quella università fino agli 8 di ottobre del 14^8, trattine alcuni mesi del e t/^?, nc’ quali ne fu assente, e furon forse que’ mesi ne’ quali trovossi in Perugia. Non sappiamo se dopo il 1458 ei ne partisse; ma certo eravi nuovamente nel 1463 ^ in cui avendo egli con alcuni altri professori chiesto a’ rettori della università e ottenuto il suo congedo, perchè non pagavanli i pattuiti stipendj , la Repubblica si oppose alla sua partenza, e ri votò il congedo dai rettori accordato. [p. 678 modifica]678 rntno 1’qutore, anclie pcrchi ci «Imi notizia delle opcro da lui composte: Malleolus Perusinus, cosi egli (Chron. Nuremberg. p. 252 vers.) , Medicus doctissimus hoc tempore Medicorum et Philosophorum Monarcha, omniumque liberalium artium cunctarumque scientiarum facile princeps preceptor meus eruditissimus. Quem ego J lar mannus Schedel Nurembergeensis Doctor Patavinus tribus annis ordinarie legendum auscultavi, a quo demum praehabita per eum oratione elegantissima insignia Doctoratus Paduae accepi. Ne sua memoria pereat, pauca de ejus vita et doctrina huic operi adjuncsi. Qum enim saepius mecum animo cogito, quam maximus et singularis in omnes amor suus extiterit, quis est adeo imperitus , qui non putet od incredibilem virtutem suam, singulare ingenium , summam rerum experentiam eum perpetua memoria complectendum? Cui enim ignota fuit verborum suorum integritas, suavissimus sermo, decora faces? qui et artis poeticae et oratoriae summam conitionem habuit, qui multum Ciceronis opus aut Mantuani vatis aliorumque poetarum dimisit intactum. In Astronomia vero. Geometria, Arithmetica, et Musica opera a veteribus edita totis viribus perscrutatus fuit. Verum nec Philosophia et Medicina contentus , demum sacris litteris delectatus in eis tamquam mel in favis dulcedinem abditam sensit. Reddidit ingitur suos auditores auscultando dociles, benevolos, attentos ac disertos ipso orante. In eo namque maxima f ierunt omnia, sive artis peritiam , sive rationis elegantiam commoditatemque considero. Reliquit autem post [p. 679 modifica]SECONDO 6'1) se orationes lepidissimas, Commentaria in Hippocratem, Gallienum et Avicenna tu, et arguta consilia in Medicina. Tandem senio deficiens Paduae sepultus fuit Di queste opere però non so se alcuna se n’abbia alle stampe, trattone un tratto latino intorno all1 aiutar la memoria con alcune regole e con alcune medicinali bevande , di cui avea copia di antica edizione il sopraccitato Cardinal Querini. Non si può accertare quand’ei morisse; e chi il fa giugnere fino al 147 * » chi fino al 1480 Comunemente però si crede, come si afferma ancor dallo Schedel, ch’ei morisse in Padova, ov’egli forse tornò dopo 1* infelice sua contesa col Sulmonese. Vili. Di Pietro Leoni da Spoleti poche notizie ci danno gli storici dell’università di Padova. Alquanto più stesamente ne ragiona il Fabbrucci nella più volte mentovata sua Storia di quella di Pisa (Calogeni, Rare, d Opusc. t. 40, p. 102, ec.). Ch’ei fosse di patria spoletino, e non fiorentino, come per errore ha scritto Pietro Valeriano (De Infelic. Literator. l. 1), è certo, oltre altre prove. per le molte lettere a lui scritte da Marsiglio Ficino, delle quali diremo appresso, e ove sempre gli si aggiunge il nome di Spoletino. Il Fabbrucci in un documento dell’archivio pubblico di Firenze ha trovato menzione di Leonardo che gli fu padre. Egli aggiunge che Pietro esercitò la medicina, e ne fu professore in Venezia, in Bologna, in Roma, in Pisa, in Firenze, in Padova. E quanto a Pisa e a Padova, la cosa è certa. Ma per riguardo all’altre città, non so [p. 680 modifica]G8o unno quai monumenti se ne adducano in prova. A Pisa ei fu chiamato. come da’ documenti di quella università pruova il Fabbri.cci, f anno 147? collo stipendio di 400 fiorini, il qual poscia gli fu accresciuto fino a 700. In questo impiego continuò egli, benchè con qualche interrompimento, secondo il detto autore, almeno fino al 1487 Avea Pietro rivolti i suoi studj non alla medicina soltanto, ma ancora alla filosofia, e alla platonica singolarmente, che regnava allor nelle scuole. Quindi ne venne la stretta e confidente amicizia tra lui e ’l Ficino. Molte lettere abbiamo da questo famoso filosofo scritte a Pietro (Op. t. 1, p. 801, 860, 874? 890, Gi)5, 900,903, ec. ed. Basil 1561), dalle quali ben si raccoglie in quanta stima lo avesse. E altrove di lui parlando, dice: IsVz/mdeni esse sententiam nostri Petri Leonis Spoletini. qui Platonica Peripateticis praeclarissime junxit (l)e Jrnmortal. Animor. I. 6, c. 1). Da Pisa convien credere eh1 ci passasse a Roma , se è vero ciò che affermasi dal Facciolati (Fasti Gymn. pat. pars 2,p. 134), che l’anno 1490 da quella città fosse chiamato a Padova, e che ivi insegnasse per due anni collo stipendio di 1000 ducati 5 pruova ben chiara della gran fama di cui Pietro godeva. Il Fabbrucci annovera alcune opere mediche che da lui si credon composte; ma accenna insieme che vi ha luogo a dubitare se a lui veramente, o a qualche altro medico dello stesso nome si debbano ascrivere. Il Giovio esalta con somme lodi (E log. p. 23, ed. ven. 1546) il profondo sapere di cui Pietro era in medicina fornito, dicendo che fu [p. 681 modifica]SECONDO 681 quasi il primo a porre in gran concello Galeno, e che insegnando nelle più famose scuole d’Italia mostrò il diritto sentiero per giugnere all’acquisto di questa scienza, traendone i precetti non già dalle fecciose lagune degli Arabi, ma da’ puri fonti de’ Greci. Più giusto però, perchè più moderato, mi sembra l’elogio che ne fa Ita (hello Volterrano, dicendo (Comment. Urbana, l. 21) che egli era anzi saggio ed attento discernitore in ogni genere di dottrina , che dotto e felice medico: doctrinarum omnium magis curiosus ac sobrius judex, quam doctus Medicus aut fortunatus. E veramente s’ei morì in quel modo che narrasi comunemente , ei non fu certo medico molto felice, almen per riguardo a se stesso. Ecco come in breve raccontasi il fatto, dopo le già recate parole, dal medesimo Volterrano ch’è il più antico storico che di ciò faccia menzione: Quod ille animadvertens relictis curis, Romae. quiescere coeperat. Verum per inconstantiam diu non licuit. Sed cum in morbum exitumque simul Laurentii rogatus incideret, omni successu desperato dicitur (quod sane plerisque non credibile) in puteum se praecipitasse, maneque mortuus inventus. Correva dunque allora voce, ma comunemente non si credeva , o non pareva credibile, che Pier Leoni chiamato a curare l’anno 14f)2 Lorenzo de’ Medici, non essendo in ciò riuscito, si fosse disperatamente gittato in un pozzo, e vi si fosse affogato. Or che il Leoni perisse sommerso da un pozzo, da niuno revocasi in dubbio. Ciò che non credeasi in molti, era ch’ei vi si fosse gittato [p. 682 modifica]G82 libro spontaneamente. Altri di fatto scrivono eli’ ei vi fosse da altri sospinto; c di tal sentimento fra gli altri è il Saunazzaro , che allor vivea , di cui abbinino su ciò un1 elegia italiana piena di encomj di Pier Leone, e di cui però piacemi di dar qui un estratto. Ei finge (Rime [. 413? C(’?• Comin. 1725) di aver veduto il Genio dell’Arno, il quale fattoglisi innanzi lo avvisa di fuggirsene da Firenze: Indi rivolto a me. disse: che fai? Fuggi le mal fondate ed empie mitra: Orni’ io lutto smarrito mi destai. Le quali parole par che ci mostrino che il Sanazzaro fosse allora in Firenze. Scosso a tal voce ei sorge ed esce, e dopo essersi lungamente aggirato, incontra uno spirito, il qual vedendosi osservato fugge. e si nasconde in un bosco; ma il poeta pur lo ravvisa: Non mi tolse il veder quell’aer fosco , Che ’l lume del suo aspetto era pur tanto, Che bastò ben per dirli: Io ti conosco, O gloria di Spoleto; aspetta alquanto: E volendo seguire il mio sermone , La lingua si restò vinta dal pianto. Allor voltossi; ed io: o Pier Leone , Ricominciai a lui con miglior lena, Che del Mondo sapesti ogni cagione, ec. Gli chiede poi il poeta, per quale ragione, essendo egli uomo sì saggio, abbia voluto togliersi furiosamente la vita; e Pietro così gli risponde: Ogni riva del Mondo, ogni pendice Cercai, rispose, e femmi un altro Ulisse Filosofia, che suol far l’uom felice. [p. 683 modifica]SECONDO C83 Per lei le sette erranti e C altre fisse Stelle poi vidi; e le fortune e i fati, Con quanto Egitto e Babilonia scrisse; E più luoghi altri assai mi fur mostrati Ch’Apollo ed Esculapio in la bell’arte Lasciar quasi inaccessi ed intentati. Volava il nome mio per ogni parte: Italia il sa , che mesta oggi sospira, Bramando il suon delle parole sparte. Dunque da te rimuovi ogni sospetto E se del morir nuo P infamia io porto, Sappi che pur da me non fu ’l difetto. Che mal mio grado io fui sospinto e morto Nel fondo del gran pozzo orrendo e cupo , Nè mi valse al pregar esser accorto: Che quel rapace e fam aleuto Lupo Non ascoltava il suon di voci umane, Quando giù mi mandò nel gran dirupo. Siegue indi a narrare ch’egli avea ben preveduto di dover morire in somigliante maniera, e che perciò partendo da Padova era venuto a Firenze presso Lorenzo de’ Medici? ma che ivi appunto avea incontrato il suo infelice destino j e conclnudc predicendo le più funeste sventure a chi l’avea sì barbaramente trattato: Sappi, crudel, se non purghi ’l tuo fallo , Se non ti volgi a Dio, sappi cip io veggio Alla ruina tua breve intervallo; Che caderà quel caro antico seggio C Questo mi pesa) e finirà con doglia La vita, che del mal s’elesse il peggio. Il Sanazzaro non nomina l’autore di questo misfatto. Ma è chiaro abbastanza eli’ ei parla di Pietro de’ Medici figliuol di Lorenzo e se il poeta scrisse quest’elegia alcuni anni dopo [p. 684 modifica]la morte di Pier Leoni, gli era facile il profetare, quando già era avvenuta la fatal rovina di Pietro. Il Giovio sembra persuaso (l. cit.) che da Piero fosse quel misero medico gettato nel pozzo. Pietro Valeriano al contrario afferma (l. cil.) di’ ei gellovvisi da se medesimo. Ma deesi riflettere che egli scriveva a’ tempi di Clemente VII, cugino di Pietro, e 11011 era perciò opportuno il far motto di tal delitto. Scipione Ammirato accenna il dubbio che allor ne corse, ma non osa deciderlo: Cavossi fuori voce, che egli vi si fosse gittato da se medesimo... ma si rinvenne... esservi stato gittato da altri, secondo dice il Cambi, da due famigliari di Lorenzo; ma se con il consentimento di Pietro, o no, nè egli il dice, nè io ardisco approvarlo (Stor. fiorent. t. 2,p.187). A me sembra però, che l’autorità del Sanazzaro debba avere un gran peso, finchè almeno non si produca altro più autorevole monumento che la distrugga; molto più ch’essa è confermata da uno storico sanese contemporaneo, cioè da Allegretto Allegretti che così ne lasciò scritto: Maestro Pier Leone da Spoleto, che lo medicava (parla di Lorenzo) fu gittato in un pozzo, perchè fu detto, che /* haveva avvelenato; nientedimeno per molte ragioni si concludeva per molti non esser vero (Script. Rer. ital. vol 23) (*). (/) Quando io scriveva queste ricerche sulla morte del medico l’ierleone, non mi era ancora giunta alle mani F opera del eli. sig. canonico Bandini intitolata Collccliu vetcrum Muiiuincnluruni, ec. stampata in Arezzo

*1

684 Liimo [p. 685 modifica]SECONDO G85

IX. Più infelice ancor fu la morte di Gabriello Zerbi medico veronese. Egli è probabilmente quel Gabriello da Verona, clic secondo f Alidosi (Dott./orasi, p. 35) nel 1453 leggeva logica nell’università di Bologna, e fu poi ivi professore di filosofia fino al »4(3; e pare perciò, che non debba distinguersi da Gabriello Zerbo cbe dal medesimo Alidosi si dice (l. cit. p. 38) professore di medicina dal 14;5 fino al 14-;-, quindi di logica, e poi di filosofia lino al 1483. 11 Facciolali però ci assicura (Fasti nel 1752. Vedesi ivi una lettera di Domenico Calcondila f p. 23) scritta ai 4 di maggio dell’anno 1492 poco dopo la morte di Lorenzo de’ Medici, in cui a lungo discorre della morte di Pier Leone , e mostra di non essere punto persuaso di ciò che fin da: allora si volea far credere, eh* ei si fosse gittato in un pozzo, e accenna non oscuramente che i più saggi credevano ch’ei vi fosse gittato per ordin di Pietro dei Medici; il che pure s’indica, benchè più oscuramente. nella Storia ms. del Cambi citata nelle note dall’erudito editore. « Ciò non ostante il ch. monsignor Fabroni (Vita Laur. Med. t. 1, p. 213; t. 2, p. 307) pensa che la caduta del Pieileoni fosse volontaria e spontanea, e si appoggia singolarmente all’autorità del Poliziano , che così afferma nella celebre sua lettera sulla morte di Lorenzo de’ Medici. Egli però produce ancora un altro Diario di que’ tempi, da cui sembra raccogliersi ch’ei fosse da altri gitlato nel pozzo; e questa, esaminata attentamente ogni cosa, a me sembra ancora la più fondata opinione; perchè dal Poliziano non era a sperarsi che volesse pubblicare il delitto di Pier de’ Medici, a cui era troppo attaccato. Del Pieileoni ha pari ito anche il sig. aliate Marini (Degli Archiatri pontif. t. 1, p. 197), ed ha osservato che non vi è argomento a provare ciò che il Mandosio ha alleluialo, eh ci tosse medico d Innocenzo Vili. [p. 686 modifica]686 LIBRO Gjrmn. pat. pars 2, p. 107, 13/j) che nel 147a egli era stato in Padova professore di filosofia (a). Inoltre Marino Brocardo in una sua lettera scritta al Zerbi l’an 1502, quando questi diede alla luce la sua Anatomia, a cui ella è premessa, parlando della dottrina di Gabriello , dice: Quam Patavium in te adhuc adolescente mirari coepit, Bononia in juvene stupit, Roma in adulto venerata est; ac rursus in sene Patavium summis in coelum laudibus effert. Par dunque certo che prima che in Bologna, fosse Gabriello in Padova j e clic non possa ammettersi un sì lungo soggiorno da lui fatto in Bologna, donde probabilmente passò a Roma. Aggiugne poi il Facciolati, che nel 1492 trovandosi Gabriello in Roma, fu invitato alla cattedra medica della stessa università di Padova collo stipendio di 400 ducati, ma ch’ei ricusò tale offerta; che accresciuto poi lo stipendio fino a 600 ducati, tre anni appresso, egli colà si condusse, e prese a sostenervi la cattedra di teorica. Ivi era ancora, quando Rafaello Volterrano pubblicò i suoi Comentarj, cioè ne’ primi anni di Giulio II; perciocchè in essi lo annovera tra i medici più illustri che allor vissero: Vivit et Gabriel Veronensis hujus artis Decurio, qui magno Paduae profitetur (l. 21). Ma poco appresso, cioè fanno 15o5, come (a) Gli Atli delf Università di Padova ci mostrano che il Zerbi fece ivi il suo primo tentativo nelle arti a’ 15 di luglio del 1467* Ri dunque dehb’esser diverso da quel Gabriello da Verona, che secondo l’Alidosi leggeva in Bologna fin dal 14^3. [p. 687 modifica]SECONDO O87 pruova il Facciolati (l. cit p. I3-), ei fini miseramente i suoi giorni. Piero Valeriano ce ne ha lasciata memoria nella sua opera poc’anzi citata (De Infelic. Liter. l. 1). In essa dice dapprima che trovandosi Gabriello in Roma a’ tempi di Sisto IV, cioè tra’i ’l 1474 e ’l 1484 in una numerosa adunanza di teologi e di filosofi egli ebbe l’ardire di tacciar d’ignoranza lo stesso pontefice, e che temendone perciò lo sdegno, fuggissene a Padova (a). Soggiugne poi, che essendo caduto gravemente infermo uno de’ principali tra’ Turchi, questi mandò chiedendo ad Andra Gritti, che fu poi doge di Venezia, qualche valoroso medico che andasse a curarlo. Fu scelto Gabriello, ed egli lieto della speranza di gran tesori, andossene con un picciol suo figlio, e intrapresa la cura. gli venne felicemente fatto di risanare l’infermo. Carico dunque di preziosissimi donativi d’ogni maniera tornossene in Italia; quando frattanto il Turco (a) Se è vero ciò che deila disputa tenuta dal Zei bi in Roma, in cui tacciò d’ignoranza il pontefice Sisto IV, narrasi dal Valeriano, convien dire che il latto accadesse dopo il perciocché in quest’anno ne fu stampata in Rologna la Metafisica, e nella copia m pergamena, che luttor ne conserva la Vaticana, vedesì una miniatura in cui 1’autore offre a quel pontefice il suo libro. E s’egli fuggì allora da Roma, certo vi fece poscia ritorno, e nel 14&) pubblicò ivi un suo libro intitolato Gcrontocomia, in cui espone il includo di vita che tener debbono i vecchi, e dedicato ad Innocenzo \ III. Anzi ei dovea già da qualche tempo esser professor di medicina in Roma , perciocché l’anno i^qo allo stipendio che come professore di medicina egli avea di 15o fiorini, se ne aggiunsero altri 100 (Marini Degli Archiatri pontif. t. 1, p. 3io; t. 2, p. 238). [p. 688 modifica]688 LIBRO tornato alle antiche dissolutezze ricadde più gravemente infermo, e morì. Di che sdegnati i figli di esso, e mal volentieri soffrendo che il medico italiano seco avesse portati sì gran tesori, gli spediron dietro, e raggiuntolo, sotto pretesto di veleno dato al lor padre, gli fecer prima soffrire l’inumano spettacolo di vedere il picciolo suo figlio segato vivo tra due tavole, e poscia lui ancora uccisero collo stesso crudel! tormento. Di questo fatto parla anche il Giovio (Elog.p. 37'); ma ei ci rappresenta il Zerbi come un impostore ucciso perchè non avea attenuta la parola da lui pazzamente data al Turco di risanarlo. Deesi però avvertire che il Giovio fa qui f elogio di Marcantonio dalla Torre medico veronese stato suo maestro in Pavia, e che avea impugnata con qualche asprezza l’opera anatomica del Zerbi, di cui ora diremo. Ed è perciò assai probabile che da lui apprendesse il Giovio a parlare con disprezzo di questo medico. Il marchese Maffei accenna alcune opere mediche e filosofiche di Gabriello, che si hanno alle stampe (Ver. illustr. par. 2, p. 248), fra le quali la più celebre è quella di Anatomia stampata in Venezia nel 1502. M. Portal ne ha dato un estratto (Hist. de l’Anatom Anatemi. 1,p. 247, ec.) in cui rileva alcuni errori da lui commessi, ma riflette insieme che alcune osservazioni anatomiche sono state prima che da altri fatte da Gabriello. Ei poteva però ommettere la riflessione che fa sul titolo di medicus theoricus, preso in questa opera da Gabriello. Questo titolo, dice egli, pruova c/i ei si vantava del suo talento nel ragionare. Ma chi sa [p. 689 modifica]SECONDO 68l) un pocolino lo stile a que’ tempi usato, intende tosto che medico teorico altro qui non vuol dire che professore di medicina teorica, quale era appunto, come si è detto, Gabriello (*). E qui, poiché si è parlalo di un autore d1 anatomia, aggiugneronne un altro pur veronese, e non meno famoso, cioè Alessandro Benedetti da Lcgnago, il quale servì ancora nel campo de’ Veneziani nella guerra contro Garlo Vili re di Francia, e della guerra medesima scrisse poi un racconto che si ha alle stampe. Io non fo che accennare questo celebre medico, perchè non ho che aggiugnere a ciò che esattamente ne hanno scritto Apostolo Zeno (Diss. voss. t. 2, p. 43, ec.) g il conte Mazzucchelli (*) A.«ni poco onorevol memoria di Gabriello Zerbi ci ha lasciata il celebre Jacopo Berengario ne’ suoi Comenti sull’Anatomia di Mondino t. sdegnato contro di lui, perchè il Zerbi in una sua opera avea parlato male de’ Bolognesi, citando un detto ad essi ingiurioso di Pietro d’Abano: Sed Zerhus, dice egli (Anat. Boti, p. 17), clypeo alie no qua r rii se ipsum teegere, dicens hoc auctoritate Conciliatoris. FI ir. certe propria et sua solita malienitate increpat Bonienses, quia ipse malis moribus plenus Bononiae sacrilecus habitus est, et homo pessimi nominis. Quid dicam? Nonne et publice Romae in apoteca illorum de Bonadies in sinu ipsius reperta fuere duo vasa argentea , quae furatus erat cuidam Episcopo , dum eum visitaret aegrum , et ibi vituperosissime coram populo coactus est arripere fugam.* aliter adscendisset pulpita moesta trium liguorum? Etiam ipse correxit ita suos filios, quod tandem Romae Julii Ponteficis tempore duo eorum intra mensem tranquam publici latrones fuere laqueo suspensi, et hoc propiis oculis vidi. Hujus etiam signum est, quod ipse Zerbus ferro terminavit vitam suam. [p. 690 modifica]690 LIBRO (Scritt itaL t. 2, p. 811), il quale secondo scrittore ci ha dato ancora il catalogo delle molte opere mediche e anatomiche di Alessandro più volte stampate. Ne ragiona con molta lode ancora M. Portal (l. cit. p. 2.45, ec.) che commette qui alcuni falli, da lui poi emendati nelle correzioni alla sua opera (t. 6, part. 2, Suppl. p. 3).

X. Io non so qual funesto influsso, se così mi è lecito di ragionare, travagliasse in questo secolo i medici, sicchè molti di essi si vedesser finire di morte crudele, o immatura. Più altri ne annovera il sopraccitato Valeriano, e due fra essi che non si debbon passare sotto silenzio, perchè uno è stato sconosciuto finora agli storici dell’università di Padova, dell’altro non hanno segnato il vero tempo a cui visse. Il primo è Andrea Mongaio da Belluno (l. cit.), di cui racconta che dopo avere studiata diligentemente la medicina, veggendo le opere di Avicenna essere troppo guaste e scorrette, navigò per ciò solo fino a Damasco, e appresa ivi la lingua ebraica, e trovati alcuni antichi codici di quell’autore, gli venne fatto di ripulirne ed emendarne e insieme dichiararne le opere più felicemente che non erasi fatto in addietro; che tornato poscia in Italia, e mandato professore nell’università di Padova, pochi mesi appresso, essendo bensì vecchio, ma senza incomodo alcuno, morì improvvisamente. Il secondo è Giulio Doglioni parimente bellunese, e di esso narra che dopo avere insegnata la medicina nella stessa università , andò col console de’ Veneziani in Aleppo, e dopo due [p. 691 modifica]SECONDO (X)l anni chianato da un altro console a Tripoli, per viaggio fu da’ ladroni assalito e spogliato da essi di quanto avea, e malconcio di ferite fu ivi lasciato qual morto; che nondimeno riavutosi a grande stento, e tornato ad Aleppo, dopo esservi stato tre anni, mentre pensava di tornarsene in patria, morì miseramente di peste. Del primo, come ho accennato, non fanno gli storici di quell’università menzione alcuna. Il secondo dal Facciolati si dice professore alr anno 15l5. Ma è certo dalla prefazione al dialogo del(Valeriano, da cui abbiam tratte queste notizie, che questo fu tenuto mentre ancor viveva Clemente VII, e che allora era il Doglionigià morto. E poichè il Valeriano di amendue ragiona, senza indicare a qual tempo vivessero, e pare anzi che parli di cose già da qualche tempo avvenute, così io credo che la morte di amendue debba riferirsi a’ primi anni del scolo xvi.

XI. Nell’annoverare i più celebri medici che tennero scuola nell’università di Padova, abbiam veduto che molti furon chiamati anco ad occupare altre cattedre; poichè durava ancora la gara tra le università italiane nell’allettare e nel rapirsi a vicenda i professori più rinomati , nè (questi eran troppo ritrosi ad abbandonare una città, se in un altra sperar potevano più copiosa mercede. Non giova dunque che noi andiamo scorrendo per ciascheduna delle altre università, affine di ricercare chi ivi fosse professore di medicina, o chi l’esercitasse con fama non ordinaria; Gli storici di esse ce ne danno la serie, e molti ce ne offrono, de’ quali non [p. 692 modifica]692 li uno giova rinnovar la memoria. Continmremo perciò ragionando di alcuni altri citi ne sono singolarmente degni, e terremo tjtell’ordine che ci parrà più opportuno all’idea di questa Storia. Non \ ebbe lorse tra1 prìncip di questo secolo, chi tanto credesse a1 medici,pianto Filippo Visconti duca di Milano. Pier Gndido Decembrio, che ne ha scritta la Vita ci narra il capriccioso contegno che con essi teneva Script, rer. ital. vol. 20, p. 1011).Ne voleva sempre alcuni al suo fianco, o si a si desse alla mensa, o stesse nelle sue camere, o uscisse alla caccia, acciocchè gli dessero gli opportuni consigli. Ed ei gli udiva, ma in modo che non distoglievasi punto da ciò che avea determinato di fare; e se essi instavano con fermezza, li cacciava di corte. Che se talvolta sentiva qualche piccol dolore, chiamavali tosto in fretta per saper da essi che fosse. Nomina acora il l)ecemhrio que’ che gli furon più cari Essi sono Matteo Vitoduno, che fu poi da lui fatto suo consigliero, Stefano Spalla, Gianfrancesco Baldi, Giuseppe Castelnovate, celebre, dice quest’autore autore, il suo ardire, Luchino Bellogio e Filippo Pelliccione; niun dei quali però è.famoso per opere in questa scienza date alla luce. Il Pelliccione qui nominato è forse quel Filippo da Bologna, di cui parla ne’ suoi Comentarj Pio II, dicendo di se medesimo, che essendo caduto infermo in Milano, il duca mandavjogni giorno quel medico a visitarlo, e eh’eglfu poi medico ancora di Niccolò V (Comment l. 1) (a). (a) Quel Filippo Pelliccione ossia Filippo da Bologna [p. 693 modifica]SECOMJO (KJ.) Altri però furono a questi tempi in Milano, che diedero migliori prove dello studio da essi fatto in quest’arte5 e tra essi non si dee tacere Giovanni da Concorreggio, il quale, secondo l’Argelati (Bibl- Script, mediol. t. 1, pars 2, p. 451), fin dall1 anno iq 13 fu ascritto al collegio de’ medici di quella città, e visse poi fino al 1438, come egli altrove avverte correggendo l’errore da se commesso (ib. t. 2, pars 2, p. 1978) nel segnar l’anno 1488. Ma le parole con cui Giovanni finisce la prefazione di una sua opera intitolata Lucidarium, mi fanno credere ch’ei fosse laureato alcuni anni prima del 1413. Inchoatus fuit iste liber posi anntim xx2.1v nostrac lectnrae per prius in studio Bononiensi inchoatae, et per posterius in plerisque aliis studiis Jtaliae continuatele, et ultimo in praeclaro studio Papiensi, et completus fuit currente anno Domini MCCCCXXXVIII. Avea dunque Giovanni dato principio a questo libro nel xxxiv anno di sua lettura, e l’avea finito nel 1438. Or concedendo ancora che nello stesso anno in cui lo condusse a fine, l’avesse pur cominciato, ne segue che il primo anno della sua lettura era stato il 1404; ed è perciò verisimile che fin da allora avesse egli ricevuto l’onor della laurea. qui nominato è quegli di cui poco appresso facciam menzione sotto il nome di Filippo da Milano professore in Iiologna. Egli era veramente milanese di patria , ma avea anche avuta la cittadinanza bolognese, e ne’ rotoli di quella università egli è «letto or de Mediolann, or de liononia. Yeggansene le pruove nella più volte citata e non mai abbastanza lodata opcia del sig. ab. Marini (Degli Archiatri poufif. 1.1 p. 128, ec.). [p. 694 modifica](9| LIBRO E io dubito ancora che non sia abbastanza provato l’anno della morte. Queste parole stesse ci pruovano che Giovanni dalle primarie università italiane fu a gara richiesto. E quanto a quella di Bologna. l’Alidosi lo annovera (Dott. forest. p. 30) tra’ professori di medicina appunto all’anno 1404 Ma nella storia delle altre università non trovo di lui menzione. M. Portal cita (Hist de l’Anat. t. 1, p. 241) un autore a me sconosciuto, secondo il quale Giovanni fu professore nella università di Montpellier. Ma di ciò non vi ha cenno tra gli scrittori più degni di fede. Di lui si ha alle stampe un opuscolo intorno le febbri; e innoltre l’opera poc’anzi accennata, intitolata Praxis nova totius fere Medicinae, Lucidarium, et flos florum Medicinae vulgo nunc.upata, nella (quale ei tratta molte questioni d’anatomia (a). L’Argelati di quest’opera ne fa due diverse; e pare ch’ei non abbia saputo che essa ancora è stampata, e va unita al trattato sopra le febbri nella edizion veneta del 1521. Qualche altra opera non pubblicata vien citata dall’Argelati.

XII. Maggior numero di opere, e queste ancor più pregiate, ci ha lasciato Giammatteo Ferrari de’ Gradi medico milanese. M. Portal nel parlarne (ib. p. 238) è caduto in tanti e sì gravi falli, che io non so se sia possibile trovare altrove i maggiori in sì breve tratto di penna: (o) Pi questa operetta di Giovanni da Concorreggio inerita di esser veduto l’estratto che ha fatto il signor cavalier Brambilla (Stor. delle Scoperte fisico-med. t. 1, p. 129, ec.). [p. 695 modifica]SECONDO ()tp Matteo (le Gradibusj dice egli, nacque in Grado città del Friuli presso Milano: egli era della illustre famiglia dei Conti di Ferrara, dal nome, della sua patria. Un Milanese adunque si dice nato in Grado nel Friuli? E il Friuli è presso Milano? Chi sono poi i Conti di Ferrara? Che avea con essi a far questo medico? Nè ciò basta ancora. Aggiugne che ei fu il primo medico della duchessa di Mantovaj e non v’ha chi non sappia che sol nel secol seguente i marchesi di Mantova ebbero il titol di duca. Giammatteo fu medico della duchessa Bianca Maria moglie del duca Francesco Sforza, come si afferma dall’Argelati (l. cit. t. 1, pars 2, p. 608), il quale ancor dice ch’egli ebbe la laurea in Milano l’anno 1436, e che fu per molti anni professore di medicina all’università di Pavia. In fatti ci diede pruova del suo amore a quelle celebri scuole nel suo testamento fatto I1 anno 1472, e citato dal medesimo Argelati, che dice di averne veduto il transunto in un’antica Cronaca inedita di Girolamo Bossi pavese. In esso ei dichiarò erede lo spedale di quella città, a condizione però, che nella propria sua casa si aprisse un collegio in cui fossero mantenuti alcuni giovani agli studj della medicina, della teologia e de’ sacri Canoni, e non già a quelli del Diritto Cesareo, della poesia, o dell’eloquenza, contro dei quali studj non so perchè fosse cotanto sdegnato questo medico valoroso. Secondo la stessa Cronaca, egli morì nel dicembre dello stesso anno 1472; il che convince d’errore e que’ che ne hanno anticipata la morte al 1460, c M. Portai clic l’ha [p. 696 modifica]6y6 libro differita fino al 1480. L’Argelati ne annovera le opere mediche che ne abbiamo alle stampe, fra le (quali la più pregiata sono i comenti sul nono libro di Almanzor. In esse, come osserva M. Portal, il quale ne giova credere che sia più esatto nelle osservazioni mediche che nelle storiche, ei tratta molte questioni d’anatomia, ed è stato egli il primo a fare qualche osservazione che poi i medici più recenti han pubblicata come lor propria. Deesi però qui correggere ancor l’Argelati, che a Giammatteo attribuisce un trattato intorno alle febbri, che è di Antonio de’ Gradi, milanese esso ancora, e medico a questi tempi, di cui parla poco appresso lo stesso Argelati, e insiem colle altre accenna quest’opera ancora (ib. p. G())). Ma qui pure egli cade in un altro fallo affermando che Marsiglio da Santa Sofia , da lui detto medico francese, stampò in Lione questo trattato delle febbri di Antonio de’ Gradi nel 1517, mentre già abbiamo osservato che Marsiglio era morto al principio di questo secolo, e quella edizione altro non debb’essere che l’unione del trattato di Marsiglio con quel del de’ Gradi, e di altri.

XIII. Non solo nella medicina, ma nella mattematica ancora e nella filosofia era profondamente istruito un altro medico milanese di questi tempi, cioè Giovanni Marliani. Secondo l’Argelati (l. cit. t. 2, pars 1 , p. 866), ei fu ascritto al collegio de’ medici milanesi l’anno 1440. Quando sette anni appresso si eresse in Milano l’università altrove da noi mentovata , Giovanni fu nominato professore di [p. 697 modifica]SECONDO medicina collo stipendio di 200 fiorini, a patto però, che ne’ dì festivi tenesse scuola d’astrologia (V. Corte, Notizie de’ Medici milan. p. 282). Da Milano ei passò poscia a Pavia, e in quella università lesse per molti anni, unendo però alla lettura l’assistere nelle lor malattie a’ duchi di Milano. Quindi Giangaleazzo Maria Sforza con suo editto de’ 22 dicembre del 1482 , pubblicato in parte dal Corte (l. dtp. 3i) gli concedette alcuni emolumenti nella pieve di Gallarate. Questo editto è un magnifico elogio del Marliani, perciocchè in esso egli è detto egregio e insigne professore di medicina, filosofo e matematico sommo , medico ducale ’f e si aggiugne che pel frutto che dalla scuola di esso traevasi, era egli sì celebre per tutto il mondo, che chiunque bramava di essere ben istruito in medicina, in filosofia e in matematica , a lui ne veniva da’ paesi ancor più lontani; ch’egli era riputato un altro Aristotile in filosofia , un altro Ippocrate in medicina , un altro Tolommeo in astronomia 5 che chiamato poscia ad assistere al duca Galeazzo suo padre , benchè allora e prima i Veneziani, i Bolognesi , i Ferraresi, i Sanesi e i Perugini, e più principi e signori italiani F avessero invitalo con ampie promesse e con premj maggiori ancora di quelli di cui godeva , ei nondimeno avea a’ suoi vantaggi antiposto l’amor pe’ suoi principi e per la sua patriaj e che dopo la morte del duca suo padre avea a sè pure prestata sì amorevole e sì premurosa assistenza, che più non avrebbe potuto, se avesse avuto a curare un suo proprio figlio. Questo [p. 698 modifica]C)v) 8 LIBRO editto medesimo fu confermato, e steso ancora agli eredi di Giovanni con altro editto de’ 26 di settembre dell1 anno 1483, pubblicato pure dal Corte, e fatto all1 occasione di una grave malattia di cui allora era aggravato Giovanni. E questa appunto il tolse la vita; perciocchè a quest’anno ne fissa la morte Donato Bossi scrittor milanese contemporaneo (Chorn. ad an. 14$3). Se però nella data dell’or mentovato editto non è corso errore, convien dire el11 esso sia corso nella Cronaca del Bossi, in cui si dice el11 ei morì a’ 21 di settembre; mentre, secondo l’editto, a’ 26 egli era ancor vivo, benchè gravemente infermo. Testimonianza anche migliore del saper di Giovanni sono le opere di diversi argomenti da lui lasciateci. e delle quali si può vedere il catalogo presso f Argelati, che ne cita le diverse edizioni. Alcune appartengono a matematica e a fisica generale, come quella De proportione motuum in velocitate, da lui dedicata a Benedetto Reguardato da Norcia medico del duca Francesco Sforza e senator di Milano, e quella De Reactione contro Gaetano Tiene professore di filosofia, da noi nominato altrove. Amendue si hanno alle stampe, e della seconda inoltre accenna f Argelati un codice ms. in cui essa si dice composta nel 144^; e v* si aggiungono alcune altre operette di somigliante argomento non mai pubblicate. Il Corte accenna ancora un1 opewi manoscritta De Algebra (l. dtp. 3o), di cui l’Argelati non fa menzione. Alcune altre delle opere di Giovanni appartengono a medicina, e singolarmente la sposizione sopra qualche [p. 699 modifica]SECONDO (jl)9 parie di Avicenna , e alcune dispute contro Giovanni d’Arcoli, Jacopo da Forlì, e Filippo Adiuta medico veneziano, ed altri simili. Mi spiace di non aver potuto vedere alcuna delle opere di questo celebre medico insieme e matematico , per meglio accertare in qual pregio esse debbansi avere.

XIV. Se minore è il numero delle opere che ci ha lasciate, non son minori gli elogi di cui è stato onorato Ambrogio Varese da Rosate, che sarà l’ultimo de’ medici milanesi da me qui annoverati distintamente. Egli , secondo 1 Argelati (l. cit t. a, pars i, p. 1572), nacque nel 1437, e fu figliolo di Bartolommeo medico esso pure e decurione nella sua patria, da cui Bonifacio Simonetta, mentovato da noi tra’ teologi, confessa d’avere avuto non picciolo aiuto negli studj dell’amena letteratura (De Persecut l. 6 ad fin.). Egli esercitò la sua arte presso i duchi di Milano Giangaleazzo Maria , Lodovico, e i lor successori. Lazzaro Agostino Cotta , in una sua lettera aggiunta alle opere del Corte intorno a’ medici milanesi, afferma (p. 263, ec.) che a’ 20 di maggio del 1483 egli ebbe in dono dal primo de’ detti duchi la signoria di Corticella nel Parmigiano. Ma egli non ne ha pubblicato il documento, come ha fatto il Corte parlando dell investitura del feudo di Rosate, che lo stesso duca concedette ad Ambrogio , oltre alla carica di senatore e ad altri amplissimi privilegi. agli 11 di novembre del 14j)3. I11 questo editto (ib. p. 38, ec.) dice fra le altre cose quel duca, clic essendo il suo zio Lodovico Maria alcuni [p. 700 modifica]7^0 LIBRO anni addietro mortalmente infermo, e non osando alcuno de’ medici italiani di sperarne o di tentarne la guarigione, Ambrogio solo la intraprese, e felicemente la conseguì. I suddetti privilegi gli furon poscia confermati con più altri decreti che si accennan dal Corte. Il Cotta aggiugne ib. p. 264) che da Lodovico Maria egli ebbe ancora l’an 1497 la cittadinanza di Novara. Amendue questi scrittori , e dopo essi l’Argelati (l. cit.) f producono le testimonianze di molti autori piene di elogi del sapere di questo medico , e accennan le dediche di molti libri a lui fatte sul fine di questo secolo. Io sceglierò sol qualche tratto di quella con cui Giulio Emilio Ferrari gli offre la sua edizione di Ausonio fatta in Milano nel 1490 che di nuovo è stata pubblicata dal Sassi (Hist Typogr. mediol. p. 499)- Tu solo, dic’egli, o Ambrogio, eminentissimo fra tutti i filosofi , mi sei sembrato degno di questo dono, tu che per ingegno , per dottrina , per vigilanza , per fedeltà, vai innanzi a tutti i medici e a tutti gli astronomi non solo della Lombardia , ma ancora , sia detto con loro pace, di tutta Italia. Chi più ingegnoso e più destro di te nello scegliere le quistioni filosofiche? Chi più di te veritiero nel predire e nell’accertare le cose avvenire? Chi più famoso di te per fedeltà e per vigilanza? Quindi, dopo aver rammentata la guarigione di Lodovico Sforza, che tutta a lui si doveva , lo loda ancora perchè col suo sapere astrologico lo ha saputo difendere e preservare dall’insidie de’ nemici. Venendo poscia a cose migliori: Nòti mancano. dice , sii [p. 701 modifica]SECONDO -OI ornamenti delle altre scienze. Tu versatissimo nella poesia e nella storia: tu fornito di una grave e colta eloquenza, il che ben mostreranno i tuoi monumenti d astronomia e di filosofia, che presto darai alla luce. Nè debbo tacere la protezione che accordi agf innocenti oppressi, e singolarmente a’ dotti; ed io stesso ne ho fatta la pruova, perciocchè tu mi hai spesse volte sottratto da gravi sciagure, e mi hai ottenuta la grazia del sovrano, il quale ancora mi ha di recente conferita la carica di professore con assai onesto stipendio. Degno ancora di riflessione è ciò che si legge nella dedica del Comento di Gregorio da Rimini sul Maestro delle Sentenze a lui fatta da Francesco Busti dell’Ordine de’ Minori 1’anno i e citata dall’Argelati, in cui si dice che Lodovico Sforza avea ad Ambrogio commessa la general soprantendenza di tutte le scuole de’ suoi Stati. L’opera sopraccennata di Ambrogio fu in fatti , secondo l’Argelati c il Sassi, pubblicata in Venezia l’an 1494 col titolo: Monumenta Philosophiae et Astronomiae. Mi giova il credere ch’essi abbian veduta questa edizione; il che non solo non è a me riuscito, ma non ho pur potuto trovare chi ne faccia menzione. Ei visse fino al 1522, come affermasi, non so su qual fondamento, dull’Argclati.

XV. Il favore prestato a’ professori di medicina da’ Visconti e dagli Sforzeschi moltiplicò il loro numero in Milano, e ne rendette celebre il nome. Ne abbiam già nominati altrove pai cechi altri che vissero presso luru, e Tjraboschi, Voi Vili. 4 [p. 702 modifica]'JO’ J LJBKO più altri ancora se ne potrebbono nominare, se il farlo potesse recare qualche vantaggio. Fuori della lor patria ancora andavano alcuni a far pompa del loro sapere, come quel Filippo da Milano , che dall’Alidosi (Dott. forest. p. 24) si dice professore di medicina nell’università di Bologna dal 1447 ^n0!4^7* La morte però nonne avvenne che il 1459, come abbiamo negli Annali del Borselli (Script. rer. ital. vol. 23 , p. 891), ove si aggiugne ch’ei fu sepolto nel primo chiostro di S. Michele in Bosco. Ei dev’essere quel medesimo a cui il Filelfo scrisse nel gennaio del 1449 da Milano (l. 6, ep. 54), che ricordavasi di avere ivi veduto presso di lui, mentre vivea il duca Filippo Maria, un codice che conteneva le opere di parecchi medici antichi, cui perciò il prega a volergli mandare in prestito. Negli stessi Annali troviam menzione di altri medici morti in Bologna, i quali poichè furono creduti degni che se ne tramandasse a’ posteri il nome , convien credere che fossero avuti in conto di uomini di non ordinario sapere. Così si narra ivi la morte di Pietro Zannetti , o Giovannetti, avvenuta nel 1443 (l- cit p. 881), e non solo egli è appellato dottissimo medico, ma ci si rappresenta ancora come profeta , perciocchè narra il Borselli, che essendo iti, mentre era infermo, a visitarlo i principali de’ Canedoli, ei disse loro: Se voi sarete uniti coi Bentivogli, viverete felici: altrimenti sarete miseri fino alla quarta generazione. L’Alidosi afferma (Dott. bologn. di Teol. ec. p. 156) ch’egli era nel collegio di filosofia e di medicina [p. 703 modifica]SECONDO 703 fin dal 1383, e che lesse filosofia, astrologia e medicina fino all’anno della sua morte. Ma una lettera di Francesco Filelfo ci mostra eh* ei fu ancora per qualche tempo in Siena. Il Filelfo partito da Siena, come si dirà a suo luogo , sulla fine del 1438 scrive a Enea Silvio da Bologna a’ 28 di marzo deli* anno seguente (l. 3 , ep. 4) y e gli narra le insidie che alla sua vita avea tese in Siena un sicario, il quale venuto là, e non trovandosi il Filelfo ito allora a’ bagni, ne chiese al Giovannetti, che ivi allora leggeva: adiit praeclarum in philosophia viriun y ac medicum prudentissimum Petrum Ioannettum, qui ex patria Bononia pule he rrimis pracmiis accersitus medie inani docebaty ut nunc etiam docet in ejus urbis pubblico studio. Ma Pietro venuto in sospetto di ciò che tramavasi, ne diè prontamente avviso al Filelfo y il quale potè perciò premunirsi. Era dunque il Giovannetti in Siena nel 1438 e nel 1439), ed egli vi era ancora nel dicembre di questo secondo anno, come raccogliesi da due altre lettere dello stesso Filelfo (l. 3, ep. 22 , 23). Ma è probabile che presto ei ritornasse alla patria. Negli Annali medesimi troviam menzione di Gabriello da Siena (l. cit p. 915), di cui ivi si narra che per le molte eresie e bestemmie che andava spargendo, fu incarcerato l’anno 1497 dall inquisitor di Bologna, ma poi alle preghiere di molti dopo una salutar penitenza fu liberato. Di esso parla ancor l’Ali dosi (Dott. forest p. 38), che gli dà il cognome di Galluzzi , e altro non dice, se non che nel 1488 era rettore degli Oltramontani, e professore di medicina ne’ dì festivi. [p. 704 modifica]704 Linno

XVI. Per la stessa ragione io accennerò qui i nomi di due professori dell’università di Ferrara, che nel 1459 furon fatti cavalieri dall iniperador Federigo III, e tanto più volentieri li nomino a questo luogo, perchè non li veggo rammentati nella Storia di quella università. Essi furono Maestro Baptista da Zeno va leggente in Ferrara in Medicina, e Maestro Bernardo Philosopho et Phisico da Sena leggente in Ferrara (Diario ferrar. Script Rer. ìtal. voi. 3 41 P- 2 *8). In Ferrara ancora ebbero fama di medici valorosi Girolamo Castelli e Lodovico Carri (a), de1 quali troviamo onorevol menzione nelle Poesie di Ercole Strozzi (Carni, p. 17,31, 33, 63), e di Batista Guarino (Carni, p. 137, 138, ed. Mutin. 1496), e che veggonsi ancor registrati tra’ professori di quella università dal Borsetti (Hist. Gjmn. Fcrr. t. 2, p. 34, 58). E per riguardo al Castelli, negli Atti di questa Computisteria di Ferrara si conserva un decreto del duca Borso (*) de’ 21 d’ottobre del 1488, in (a) Di Lodovico Carri conservasi una memoria in questo archivio camerale. La duchessa Eleonora a’ 22 di maggio del 14$4 l*tce pagare le necessarie spese per condurre a Modena Magistrum Ludovicum a Carris Physicum una cum Medico Illustrissimi Domini Ducis Calabriae pro restituenda valetudine Illustrissimae Dominae Isabellae Estensis de praesenti infirmae. (*) Un altro decreto del duca Borso diretto a’ fattori camerali agli 11 d’agosto del 1451, con cui concede a Girolamo figlio di Lodovico Castelli onori e premj non ordinarj, e pieno di (tali elogi di questo medico , e ci dà insieme una tale idea della munificenza e delle grandi idee di questo immortale sovrano, che sarà grato, io spero , che qui ne riporti il principio [p. 705 modifica]SECONDO ^OD cui come a suo medico ed uomo dottissimo gli assegna 1’annuo stipendio di cinquecento lire; e da altri monumenti raccogliesi ch’ei fu ancora dallo stesso duca investito di alcuni tratto Ha’ monumenti di questo ducale arcliivio segreto. Dilectissimi nostri. Juvat nos plurimum de omnibus benemereri. Sed tunc animo maxime gaudemus, cum cuipiam excellenti viro benefecisse videmus. Horum enim perrarum est genus; et ob id beneficia in eos nostra novis jucundiora sunt; quoniam non solum de hominibus , sed etiam de ipsa virtute nos benemeritos esse arbitrarum. Si quidem hodierno die liberales fuimus in unum hujusmodi virum , cui donasse eo etiam letiores et hilariores sumus, quod cibis noster est et Ferrariensis. Is est Hieronymus Castellus vir ingenio , doctrina , et omnium bonarum artium usu insignis. Nostris eum ab ipsis , ut ita dixerimus, cunabulis; qui ut primum ei per aetatem licuit modestissimus puer Latinas Grecasque litteras apprime didicit. Deinde in adolescentia cum studia humanitatis diligentissime percurrisset , ad moralis naturalisque philosophiae precepta perdiscenda se contulit; in quibus ad paucos usque annos ita profecit suo solerti ingenio et tenaci memoria, ut, cum etiam eloquentiam obierit, eum eruditissimum virum, suavissimum Oratorem et acutissimum philosophum, cum alii, tum maxime Ugo ille Bentius Medicorum sue etatis Princeps, apud quem potissimum de se periculum facerat , judicarint. Quo autem pacto huc usque perrexerit, testis locuples est Bononia atque Ferraria, in quibus et publice utramque philosophiam docuit, et usui Medicinae operam dedit cum ingenti laude atque gloria. Nimirum (sic) ergo , si felicis recordationis Illustris et Excelsus Dominus Dominus Leonellus Marchio Estensis germanus noster honorandus eum sibi Medicum familiarem assumpsit -9 si nos subinde ipsum nobis retinuimus , sique ei benefecisse tantopere gaudemus. Concessimus ei in feudum, ec. Segue poscia l: investitura , con cui a Girolamo e a’ figliuoli e discendcuti masclii di esso si coacedono i [p. 706 modifica]joG libro feudi. Ancor più celebre è il nome di Francesco degli Ari osi i detto ancor Pellegrino, nobile ferrarese, figlio non già di Rinaldo, come si afferma dopo altri dal! co. Mazzucchelli (Script. ital. t. 1, par. 2, p. 1058), ma di Princivalle, come pruovasi ad evidenza da più documenti allegati nelle Notizie della famiglia Ariosti compilate con singolar diligenza dall’eruditissimo dottor Antonio Frizzi prosegretario e custode dell’archivio pubblico di Ferrara, il quale ad istanza del sig. conte Gneo Ottavio Boari mi ha gentilmente comunicata non poca parte di questa sua opera inedita (a). Ivi ancora si pruova che la Paola moglie di Francesco non fu già della famiglia Strozzi, come si crede, ma figlia di Filippo Geri. Francesco fu al tempo medesimo filosofo, medico e giureconsulto. Fu podestà di Bagnacavallo nel 1449? poscia di Castellarano nel territorio di Reggio nel 1460, e di Montecchio nel 1462. Essendo in Castellarano, vide il celebre olio che scaturisce alle falde del monte Zibio presso Sassuolo, e ne canoni di lutti i livelli che la Camera di Ferrara avea nel territorio di S. Felice sul Modenese, i quali in jjran numero si annoverano distintamente. « Un’ 01 azione delta dal Castelli in occasione della venuta a Ferrara dell’imperador Federigo III è stata pubblicata per opera di monsignor Lucio Dogiioni (Rare. ferrar, di 0/ti*r. t. 1 , p. 45). L’editore non osa decidere clfei ne sia 1’autore; ma esaminata ogni cosa, a me non sembra che rimanga luogo a dubitarne ». {a) L’operetta del sig. dottor Frizzi, al presente segretario della città di Ferrara , sulla famiglia Ariosti è stata poi pubblicala nella Raccolta ferrnrese di Opuscoli , ec. (t. 3 , p. 498, ec.). [p. 707 modifica]SECONDO fj scrisse un trattato in latino, cui nel 1462 indirizzò al duca Borso, e che fu stampato in Copenaghen nel 1690, e ristampato in Modena nel 1698 (a). Di alcune altre opere a lui attribuite veggasi il co. Mazzucchelli. Ad esse debbonsi aggiugnere alcune lettere, ed altri opuscoli che ne ha pubblicati monsignor Mansi (Miscell. Baluz. t. 3, p. 169, ec.), da’ quali raccogliesi ch’egli era zio del celebre canonista Felino Sandeo. Egli morì non dopo il 1492 come il conte Mazzucchelli dopo altri ha creduto, ma, come pruova il sopraccitato dottor Frizzi, nel 1484 Dovea parimente aver molto nome Geremia de’ Simeoni natio della villa di Raspano del Friuli, il quale dopo fatti i suoi studj, e ricevuta la laurea in Padova, esercitava in Udine e in altri luoghi di quella provincia la medicina verso la metà di questo secolo. Di lui ragiona colla consueta sua esattezza il sig. Liruti (Notizie de’ Letterati. del Friuli, t. 1, p. 369), il quale rammenta alcune opere mediche, che se ne conservano manoscritte nella pubblica biblioteca di S. Daniello, e fra le altre un Consiglio da lui scritto in Udine nel 1444 (a) Come 1’A ri osti do’ b igni di Monte Zibio, cosi di que’ di Trescore nel Bergamasco scrisse circa questi tempi medesimi Bartolommeo Albani medico della città di Bergamo, la cui operetta però 11011 fu pubblicata che nel 1513, e attribuita per errore a Guglielmo Grat» taroli. Veggasi intorno a ciò la Vita del Grnttaroli scritta dal sig. conte cavaliere Giarnbatista Gallinoli, e stampata in Bergamo nel 1788 (p. 70, ec.), e il tomo I degli Scrittori di Bergamo del P. Barnaba Vaerini domenicano (p. 47 , ec.). [p. 708 modifica]78 LIBRO per una malattia di Alberto duca d’Austria. L’elogio che fa l’Alidosi di Leonello Vittori (Dott. bologn. p. 129), dicendo ch’ei tenne per lungo tempo il primato fra tutti i medici di Bologna, non ci permette di passarlo sotto silenzio. Egli lo annovera tra’ Bolognesi, e con ciò ci fa credere ch’ei ne avesse avuta la cittadinanza, ma insieme lo dice già (da Faenza, e ce ne indica in tal modo la vera patria. Aggiugne che fin dal 1473 era nel collegio di medicina, e che fu lettore di logica, di filosofia e di medicina fino al 1520, nel qual anno morì, e fu sepolto in S. Domenico. Quindi il cavalier Marchesi, appoggiato all’autorità di questo scrittore, che per altro non è grandissima, dice (Monum. Galliae Tog. p. 83) che per quarantasei anni egli spiegò i principj della medicina in quella università, il che pure si ripete dal ch. P. Giambenedetto Mittarelli abate camaldolese nella recente sua opera degli Scrittori faentini (De Litter. favent p. 183). Alcune opere mediche se ne hanno alle stampe, che dal medesimo P. abate Mittarelli si annoverano, insieme con alcune altre che rimaste son manoscritte. Lo stesso onore della medesima cittadinanza ebbe Baviera, ossia Baverio, di Raghinardo Bonetti natio d’Imola, registrato perciò tra’ medici bolognesi dall’Alidosi (Dott. bologn. di Teol.y ec. p. 29). In due lettere del Filelfo del 1446 una scritta a lui stesso (l. 6, ep. 7), l’altra a Bornio Sala (ib), ep. 20), egli è detto filosofo e medico dottissimo, e di lui pure si parla in due lettere del Cardinal.Jacopo degli Ammanati (ep. 118, 119), alla cui corte avea [p. 709 modifica]SECONDO un suo figlio. L’Alidosi ci dà l’importante notizia ch’egli era uomo lungo, magro c negroche fu vicerettore degli scolari delle arti l’anno 1429 che fu professore di logica, di filosofia, di medicina, di filosofia morale fino al 14795 e che morì l’anno seguente, e fu sepolto in S. Domenico. Ne parla anche il co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 1, p. 559), e accenna agli elogi che ne han fatto alcuni scrittori contemporanei, etra essi Benedetto Morandi, che scrivendo di lui ancor vivo, dice (Oratio de’ Bonon. Laudib. p. 36) ch’egli è di tanto valore nella sua arte, che sembra non un uomo, ma un Dio, e afferma ch’egli era nato in Imola, ma che avea avuto per suo avolo un Bolognese. Ne abbiamo alle stampe i Consigli medicinali, e innoltre il suddetto Morandi aggiugne di averne vedute più opere appartenenti a dialettica, a medicina e a filosofia [a).

XVII. Ma noi coll’andare in traccia di que’ professori di medicina, che sopra gli altri sono esaltati dagli scrittori di questo secolo, siamo entrati in un vastissimo campo, cui troppo lungo c faticoso sarebbe il correre e ricercare paratamente. Un medico, che riuscisse felicemente nella cura di qualche difficile malattia, (a) Più copiose notizie del medico Baviera, che fu figlio di Raghinardo de’ Bonetti d* Imola, ci han date dopo la pubblicazione di questa Storia il sig. conte Giovanni Fantuzzi (Scritt, bologn. t. 1, pag. 392, ec.) e il sig. abate Gaetano Marini (Degli Archiatri pontif. t. 1 , p. 145, ec.; t. 2, p. 338, ec.) , ed hanno fra le altre cose osservato ch’ei fu medico del papa Niccolò V. 1 1 [p. 710 modifica]7*0 LIBRO o che stampasse un tomo in foglio appartenente a medicina , era tosto riconosciuto come uom singolare, e credevasi di fargli ingiuria col non uguagliarlo ad Ippocrate e a Galeno. Lasciamo dunque stare in disparte tutti questi allora sì accreditati oracoli, e ci basti l’accennare di passaggio Ugolino di Montecatino natio del luogo di questo nome presso il territorio di Pistoja, professore prima in Perugia , poscia per venticinque anni in Pisa e altrove sulla fine dello scorso secolo, e nel cominciare del, XV trasferitosi poscia a Lucca, di cui si può vedere il Fubbrucci (Calogcrà, JRacc. d Odusc. t. 29), che parla ancora dell1 opera de Balneis, che ne abbiamo alle stampe (u); Mengo Bianchelli medico e filosofo fiorentino, rammentato dal conte Mazzucchelli, che ne annovera le opere (Scritt. ital. t. 2 par. 2, p. 1124); Antonio Guainerio, o Guernerio pavese, che fiorì verso la metà del secolo, e di cui parla con molta lode Sinforiano Champerio (De Medic. Script, p. 33), che ne accenna ancora le opere stampate, rammentate più distintamente insieme con le inedite dal Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin, t. 1, p. 126) (ò)j (a) Intorno al Montecatini , c a un’altra sua opera inedita sull’Acque termali della Toscana e singolarmente su quelle di Montecatini, si puh vedere un erudito Bagionamento del eh. sig. canonico Angelo Maria Bandini stampato in Venezia nel 1789. (b) Delle opere di Antonio Guainerio ci ha data una diligente analisi il sig. cavalier Brambilla (Stor. delle. Scoperte fisico-med. ec. t. 1, p. 115, ec.), e poscia di esse e della vita del loro autore più copiosamente ha trattato il sig. Vincenzo Malacarne (Delle Opere de’ Med. e de’ Cerus. ec. t. 1 , p. 42, ec.) , il qual [p. 711 modifica]SECONDO J | | Albertino chi Cremona professore in Ferrara nel 145o (Borsetti. t. i,p. 33), indi in Bologna verso il 1455 (Mitiosi Dott foresi, p. 5), e poscia in Pisa, di cui parla più esattamente di tutti i! Fabbrucci (Calogeri, t. 27,/L 14? ^c-) correggendo alcuni errori dell1 Arisi, e annoverando lo opere modiche da esso lasciateci j Sebastiano dell1 Aquila, intorno al quale si può vedere il diligente articolo del co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 2, p. t)o3), a cui perù deosi aggiugnere cl/ei fu ancora professore in Pavia, come raccogliesi da una delle opere da lui pubblicate, accennata dallo stesso co. Mazzucchelli al nutn. iv, e riferita ancor dal Fabricio (L cit. / 6, p. 154); Sante Arduino pesarese medico in Venezia verso il 143o, di cui pure ragiona il co. Mazzuccbelli (l. cit. p. 987), accennandone ancor le opere, e del quale inoltre fa un breve elogio il sopraddetto Cliamperio (l.cit.)j Antonio Gazio padovano lodato da questo medesimo autore (il), p. 35), e dopo lui dal Papadopoli (flist. Gjnm.patav. t. 2, lo crede natio, o almeno oriundo da Chieri. E eli’ ei ne fosse oriundo, non ho fondamento a negarlo; ma certo egli era nato in città soggetta al duca di Milano; perciocchè nella dedica del suo trattato della Peste (di cui abbiam parlato nelle note al tomo precedente , mosti andò che il Guaincrio ne è l’autore) al duca, ei si dice fedelissimo di lui suddito: me ejus subditum fidelissimum Antonium de Guaineriis; ed egli stesso in alcune lettere dedicatorie si dice Papiensis. Alle edizioni di alcune opere del Guainerio dai detti autori indicate doveva aggiugnersi una che ne contiene parecchie , fatta nel 1474 senza data di luogo, ma sembra che debba assegnarsi a Pavia. [p. 712 modifica]7*3 LIBRO p. 191, ec.); Antonio Benivieni fiorentino e autore d’un’opera De abditis nonnullis ac mirandis morborum et sanationum causis (V. Mazzucch. l. cit. t. 2, par. 2, p. 856, ec.); Antonio Cittadini da Faenza ,• detto comunemente Antonio da Faenza, che tradusse in versi gli Aforismi d’Ippocrate, e di cui già abbiam parlato nel capo precedente. Ai quali potremmo aggiugnere non pochi altri, se volessimo fare una lunga serie di medici valorosi, o almeno creduti tali. Ma noi paghi di aver dato questo qualchessiasi saggio della copia che allor ne ebbe l’Italia, passiamo a ragionare alquanto più stesamente di due che per le loro fatiche, e pe’ frutti che ci hanno lasciato del loro ingegno, meritano di non essere cogli altri confusamente annoverati, cioè di Alessandro Achillini e di Niccolò Leoniceno.

XVIII. L’AchilLini potrebbe forse a ragione esigere di essere rammentato insiem co’ filosofi, perciocchè più assai di filosofia egli ha scritto, che di medicina. Ma ei sarà pago che noi dimentichiamo le sue opere filosofiche, nelle quali non troviam cosa che ora ci possa essere di qualche vantaggio, e che ne ricordiam con lode le mediche, nelle quali ci ha egli lasciata qualche pregevole discoperta. Il conte Mazzucchelli ci ha dato intorno a questo scrittore un esatto articolo (Scritt. ital. Lì, p. 101, ec.), da cui io sceglierò accennando in breve ciò di clic egli reca opportuni argomenti, e aggiungerò solo qualche cosa da lui non toccata. Alessandro figliuol di Claudio Achillini nato in Bologna a’ 29 di ottobre nel 1463 fece dapprima i suoi [p. 713 modifica]SECONDO 7 13 sludi tra le mura della sua patria, poscia, se crediamo al Gaurico (Tract. Astrolog. p. 58 vers.), passò a Parigi, e ivi li continuò per tre anni. Presa la laurea, non sappiam dove, cominciò in età di soli ventidue anni, cioè l’anno 1485, a leggere filosofia e poi medicina in Bologna, e proseguì in questo impiego per oltre a vent’anni, finchè l’anno 1506 fu chiamato all’università di Padova. Così il co. Mazzucchelli seguendo P Alidosi. E quanto al recarsi eh’ ci fece a Padova nel 1506, in ciò essi concordano cogli storici di quella università, e col Facciolati singolarmente, che aggiugne (Fasti Gymn. pat. pars 2, p. 112) ancor lo stipendio di 250 ducati, che gli fu assegnato. Ma questi aggiugne che ventidue anni innanzi, cioè fin dal 1484 egli era stato ivi professore straordinario di filosofia; anzi altrove afferma (ib. p. 108) che ivi era tuttora l’anno 1488, quando fu colà condotto Pietro Pomponazzi, perchè gli fosse antagonista. Io non ho lumi bastevoli per decidere se maggior fede si debba agli scrittori padovani, ovvero a’ bolognesi (a). (a) Le notizie che dell’Achillini ci ha date il ch. signor conte Fantuzzi (Scritt. bologn. t. 1 , p. 50, ec.) sembrano assicurarci ch’ei sempre soggiornasse in Lo» logon tino al 1506, e che allora solamente ei si trasferisse a Padova, forse all’occasione della caduta de’ Bentivogli. Al catalogo ch’egli ci ha dato dell’opere dell’Achillini conviene aggiugnere che per mezzo di lui furono pubblicati i Comenti del celebre Egidio Romano sopra la rettorica d’Aristotele, stampati in Venezia nel 1515, a’ quali si premette una lettera dell* Adulimi j e questa edizione , che sembra indicarcelo ancor [p. 714 modifica]7*4 Liuno Ciò in che tutti si accordano, si è che l’Achillini chiamato a Padova nel 15o(5, due anni soli vi si trattenne, e il Facciolati cita il decreto fatto nell’ottobre del 1508, con cui si comanda che dovendo egli partire, gli si paghi ciò onde egli era ancor creditore. È dunque falso ch’ei partisse da Padova, come narra il Giovio (Elog. p. 36), per lo scioglimento di quella università accaduto l’anno 1509), e più probabile è il racconto dell’Alidosi (Dott bologn. di Teol., ec. p. 7) eli’ ei fosse a ciò costretto dal comando e dalle minacce di chi comandava in Bologna. In amendue i soggiorni ch’ei fece in Padova, ebbe, come si è accennato, per suo emulo il celebre Pomponazzi, di cui direm tra’ filosofi del secolo susseguente; anzi, secondo il Giovio, non solo l’ebbe emulo, ma ancor nemico; perciocché il Pomponazl.i ne sviava i discepoli e ne disertava la scuola. Era l’Achillini uom semplice e senza fasto; anzi, benchè stimato pel sapere, destava nondimeno le risa fra gli scolari, singolarmente allor quando ponevasi a passeggiare ondeggiando qua e là con una toga lacera indosso, con maniche strette e senza strascico di sorta alcuna. Egli inoltre col suo grossolano parlare dava occasione di esser creduto o sciocco, o distratto. Ma quando il suo avversario veniva con lui a pubblica disputa e cercava di eccitargli contro le risa degli uditori, colla forza del suo sapere di gran lunga lo superava. vivo in «jnell* anno , potrebbe larci nascer quali In* sospetto che non l’ostro abbastanza sicuri i monumenti che ne fissau la molle all’anno 15ia. [p. 715 modifica]SECONDO ^l5 Tutto ciò dal Giovio. Tornato a Bologna, ripigliò ivi la cattedra filosofica, e la continuò fino al 1512, nel qual anno, secondo l’Ali dosi e il Gaurico , egli finì di vivere a’ 2 agosto; e il primo di essi aggiugne gli onori che dopo morte gli furon fatti, e recita alcuni epigrammi onde ne fu onorato il sepolcro e la memoria. Gli scrittori padovani, e anche il Facciola ti, senza recarne alcun fondamento, il fanno vivere sino al 1525. Ma i Bolognesi in ciò sono assai più degni di fede. Pare che nel detto anno 1512 ei dovesse interrompere la sua lettura per l’assedio che ne’ primi mesi di esso sostenne Bologna dalf armi spagnuole. Dettava egli allora i suoi Comenti sopra la Fisica d’Aristotele, ed avea appena cominciato il libro secondo, quando dovette cessare. Aggiunse perciò questa nota che ancor si legge nell’edizione del 1551: Hucusque nos prosecuti sunt audientes. Quod si amplius duras sent, noster labor longior fuisset, et haec postea recognoscent, quae fragmenta esse voluissem; sed fractionum fragmenta sunt; quoniam ei comminutiva fractio supervenit, Hispanis Bononiam armis impetentibus, et moenia machinis dejicientibus. Gratiae igitur Altissimo referantur eam custodienti

XIX. Gli elogi poc’anzi accennati, ne’ quali egli è paragonato ad Aristotele, ci fan conoscere in quanta stima egli fosse; e ne è pruova ancora il proverbio che dice l’Alidosi usato in Bologna a spiegare un forte e invincibil disputatore: aut Diabolus aut magnus Achillinus. Egli era gran seguace d’Averroe, come si afferma dal Giovio, e come le stesse di lui opere [p. 716 modifica]7*0 libro ci dimostrano. E falso però ciò che dal conte Mazzucchelli si osserva, ch’ei fosse uno de’ primi a seguir le dottrine di quel filosofo arabo; perciocchè abbiamo veduto quanto esse fossero conosciute ed abbracciate in Italia fin dal secolo xiv. Molte son le opere che ne abbiamo alle stampe, delle quali si può vedere il catalogo presso il conte Mazzucchelli. Esse appartengono in gran parte a fisica generale e a dialettica, e vi ha ancora un trattato della Chiromanzia e della Fisonomia. Ma più d’ogni cosa è pregevole il trattato d’Anatomia stampato in Bolo gna nel 1520, e poscia l’anno seguente in Venezia, e che è probabilmente lo stesso stampato poscia altre volte col titolo di Note sull’Anatomia del Mondino. Io confesso che mi è nato qualche sospetto che l’autore dall1 Anatomia sia diverso dal nostro Achillini: e due ragioni me ne facean dubitare. La prima il vederlo bensì lodato come seguace d’Aristotele c d1 Averroe, ma non mai come anatomico; la seconda il vedere che essendo stato questo trattato dato alla luce nel 1520 e nel 1521, come si è detto , pur nondimeno non è stato inserito nella raccolta di tutte 1’opere dell’Achillini stampate più volte posteriormente in Venezia, cioè negli anni 1545, 1551 , 1568. Nondimeno il comun consenso degli scrittori nell’attribuirlo alf Achillini, e il dedicare che Gianfiloteo Achillini fece questo trattato di suo fratello a Panfilo del Monte medico bolognese nel detto anno 1520, non mi permette f allontanarmi dalf altrui opinione. Or in quest’opera F Achillini ha fatto prima di ogni altro molle [p. 717 modifica]SECONDO 717 belle scoperte intorno all’orecchio, al cervello, agl’intestini e ad altre parti. M. Portal le va annoverando distintamente (Ili st. de l’Anat t. 1, p. 270, ec.), e concliiude eli’ei si mostra nell’anatomia più versato che molti di quegli ancor più famosi che gli vennero appresso. Fra le altre cose è stato egli il primo a nominare i due ossicelli dell’orecchio, detti incudine e martello, de’ quali però non dice di essere egli stato il primo discopritore. Intorno a ciò è degnissimo d1 esser letto ciò che il ch. dottor Morgagni osserva in una delle sue Epistole anatomiche (Epist anat. 6, n. 1 , ec.), ove ancora conferma la nostra opinione intorno all’epoca della morte dell’Achillini. Questi fu ancor poeta italiano, benchè non molto felice; e alcune rime se ne accennan dal Quadrio (Stor.. della Poes. t. 2, p. 67 4)*

XX. Ancor più celebre è il nome di Niccolò Leoniceno. Di lui, dopo più altri scrittori, ha trattato a lungo il P. Angiolgabriello da Santa Maria carmelitano scalzo (li ibi. degli Scritt. vie e ut. t. 2, p). 188), il quale impiega più di quattro pagine a provare che Niccolò non fu già detto Leoniceno, perchè fosse natio del castel! di Lonigo, ma perchè era della nobil famiglia di tal cognome di Vicenza. Intorno a che io son ben lungi dal voler con lui contrastare. Ei nacque nel 1428. Antonio Musa Brasavola , stato già discepolo di Niccolò, di cui scrisse la Vita, racconta che in Vicenza ebbe a suo maestro Ognibene da Lonigo , di cui diremo tra’ gramatici di questo secolo; e aggiugne che in età di (liciotto anni ei sapeva a Tiraboschi, Voi Vili. 5 [p. 718 modifica]LIBRO memoria alcuni poeti greci e latini, e innoltre Demostene , Cicerone , Seneca, e , se ciò non basta , ancor qualche filosofo. Nel che però possiam credere con fondamento che F amore pel suo maestro ne abbia fatto esagerare alquanto allo scolaro le lodi. Trasferitosi poscia a Padova, e fatti ivi gli studj di filosofia e di medicina, presi in essi la laurea, dopo la quale, se crediamo al Brasavola , andossene in Inghilterra , e trattenutosi qualche tempo, fece ritorno a Padova. Il Papadopoli afferma (Hist Gymn. pat. vol. 1, p. 297) che Niccolò fu ivi professore, e ne reca in pruova una lettera di Battista Egnazio a lui scritta, in cui raccomandagli Giovanni Planerio. Il P. degli Agostini (Vita di B. Egnaz. Calogerà Racc. t. 33 , p. 151) ha rilevato f equivoco del Papadopoli, il quale ha preso Niccolò Leonico Tommasi per Niccolò Leoniceno, e basta il riflettere che questa lettera è scritta nel 1530, quando il Leoniceno già da sei anni era morto. Nondimeno il P. Angiolgabriello si sforza di difendere il Papadopoli almen quanto alla cattedra padovana da lui assegnata al Leoniceno, e avverte eli’ egli non solo lo afferma fondato su quella lettera , ma ancora su’ monumenti di quella università, ne’ quali dice che si vede il nome di Niccolò dal 1462 fino al 1464 E veramente a me ancora sembra probabile che così fosse; poichè essendo certo che il Leoniceno non passò da Ferrara che nel 14f4 men' tre egli avea già Irentasei anni di età, non par possibile che finallora non avesse ei sostenuta alcun’altra cattedra, se non vogliam dire che [p. 719 modifica]SECONDO JIC) fino a quell’anno ei si fermasse in Inghilterra, o che tornatone, esercitasse bensì , ma non insegnasse la medicina. Qualche dubbio però ne muove il parlare del Facciolati (Hist Gymn. pat pars 2 , p. 105), il quale accennando i monumenti veduti dal Papadopoli, dice: fides sit penes ipsum, e ci mostra con ciò che ne’ monumenti da sè veduti ei non ne ha trovata menzione. Checchessia di ciò, l’an 1464 si trasferì a Ferrara: epoca comprovata dall’iscrizion sepolcrale in cui si dice ch’ei morì l’anno 1524, dopo avere per sessanta anni vissuto in quella città. Quindi è falso ch’ei fosse colà chiamato dal duca Ercole I, come si afferma dal P. Angiolgabriello; perciocchè questi non giunse al ducato che l’anno 1471 Ivi egli si stette tenendo scuola prima di matematica, poscia di filosofia morale, almeno fino al 1510, e continuò ivi a vivere, come si è detto, fino al 1524, in cui in età di novantasei anni finì di vivere; e si può vedere presso il Borsetti (Histor. Gymn. ferr. L 2, p. 62) e più altri scrittori l’onorevole iscrizione che ne fu posta al sepolcro. L’Ali dosi nondimeno sostiene (Dott. forest. p. 57) che l’anno 1508 egli era in Bologna professore di medicina alla sera, e di filosofia in lingua greca ne’ dì festivi. Ma se non vogliam rigettare del tutto il racconto dell’Alidosi, conviene almeno confessare che ciò non fosse che per brevissimo tempo. XXL L* amicizia che il Leoniceno contrasse co’ più dotti uomini del suo tempo, e gli elogi , con cui essi ne parlano, posson dimostrarci 1 [p. 720 modifica]7 20 LIBRO abbastanza di’ egli era veramente uno de’ più valorosi coltivatori della seria non meno che della piacevole letteratura. Ei possedeva primieramente al par d’ogni altro la lingua greca, e perciò l’an 1522, come narra il Borsetti, citandone in pruova i registri pubblici (l. cit t. 1 , p. 152), gli fu dato da Antonio Costaboli giudice dei savj in Ferrara T incarico di recar dal greco in latino le opere di Galeno, assegnandoli a tal fine 400 lire annue di stipendio. Ma egli era allora decrepito, nè potè condurre a fine la troppo difficile impresa. Abbiamo però alcune opere di Galeno da lui tradotte prima ancora dell’ordine or mentovato, che si annoverano dopo altri dal P. Angiolgabriello. Anche in lingua italiana tradusse egli alcuni de’ greci autori, come la Storia di Dione Cassio, e i Dialoghi di Luciano, che si hanno alle stampe, e la Storia della Guerra Gotica di Procopio, che conservasi manoscritta (V. lì ibi. de’ Volgarizz. t. 1, p. 315, 316; t. 3 , p. 297; t 4, par. 2,p. 471, 559, 740). Nè minor fu lo studio con cui venne da lui coltivata la lingua latina. Ei fu il primo tra’ medici e tra’ filosofi che si allontanasse dalla barbarie scolastica, e ardisse di spiegare con eleganza ciò che prima vedeasi involto tra profondissime tenebre. Allo studio delle lingue congiunse quel delle scienzej e in questo, lungi dal seguir ciecamente le orme degli antichi scrittori , fu un de’ primi che non temessero di chiamarli all’esame , e di condannarli , ove paresse loro che avessero errato. Frutto di questo suo • [p. 721 modifica]SECONDO ^21 coraggio fu l’opera che pubblicò colle stampe nel 14j)1 i e c^,e P*“ a^re voIle fu poi riprodotta. in cui prese a combattere molte opinioni di Plinio e d’altri medici antichi intorno la medicina , e intorno a’ semplici singolarmente , col titolo: Plinii et aliorum plurium Auctorum, qui (de simplicibus Medicaminibus scripserunt, errores notati, ec. Questa opera fu origine di lunghe contese al Leoniceno. Ermolao Barbaro, di cui altrove diremo , stava allora scrivendo le sue Castigazioni Pliniane, che stampò quasi al medesimo tempo, ed essendo in alcune cose di parer diverso, il Leoniceno prese a difendersi j ma mentre si difendea, sopraggiunse la morte del Barbaro, ch’ei perciò pianse, facendo di lui grandi elogi al fin della lettera stessa che scritta avea per difendersi; come continuò a fare nel secondo trattato sullo stesso argomento da lui poi pubblicato, in cui però mostra sempre grande rispetto pel suo defunto avversario. Pandolfo Collenuccio ancora scrisse contro di Niccolò, il quale non trovo che gli rispondesse. Ma per lui gli rispose Virunio Pontico con una forte invettiva che si ha alle stampe. Finalmente egli ebbe in ciò a suo avversario il Poliziano j ma la lor contesa fu degna di amici. Aveagli già quegli mandati in dono i suoi Miscellanei, e il Leoniceno rendendogli grazie di sì cortese dono, erasi con lui rallegrato di opera cotanto erudita (Polit. Epist. l. 2 , ep. 3). Nella qual lettera è degno di riflessione che Niccolò mostra gran desiderio e speranza di passare a soggiornare in Firenze: .Si facultas daretur. vobiscum vivere , vobhcttm [p. 722 modifica]7^2 LlllRO emori vellem... sed erit (ut spero) ut reliquum jam ingravescentis aetatis meae vobiscum traducami e insieme accenna di essere stato altra volta in Firenze: Magnifico Petro tuo, in cujus olim pueri, dum Florentia essem, me gratiam insinuasti... me plurimum commendabis. Il viaggio del Leoniceno a Firenze qui mentovato dovette essere quel medesimo di cui parla Giovanni Pico in una lettera a lui scritta dalla Mirandola nel luglio del 1482 (Op. p. 363, ed. Basil. 1572), nella quale si duole che avendoli inviata un’altra lettera a Firenze, il corriere l’avesse trovato di già partito , e gli manda questa a Bologna, ove sa lui essere allora , e lo invita insieme a venirsene per alcuni giorni alla Mirandola. Avendo poi il Leoniceno mandato al Poliziano il suo libro sugli errori di Plinio e degli altri medici, questi gli scrisse lodando al sommo lo scoprir di’ ei faceva i falli d’Avicenna e degli altri medici più recenti 5 ma quanto a Plinio ei dichiarossi sinceramente di diverso parere, e fra gli altri il difese in un passo da Niccolò criticato (l. cit ep. 6). Questi con altra lettera bella ugualmente e rispettosa rispose al Poliziano, e dopo avere esaltato con somme lodi lui non meno che Lorenzo de’ Medici, entrato nella causa recò nuovi argomenti a provare l’error di Plinio (ib. ep. 7); nè tra essi andò più oltre cotal contesa. A me non appartiene il decidere se il Leoniceno sia sempre stato felice nel rilevare gli errori di Plinio. Questi certamente non ne è esente; ma quando il Leoniceno scriveva, la storia naturale non era ancora sì nota, che si potesse in [p. 723 modifica]SECOSDO 723 essa camminare sicuramente senza pericol d’inciampo. Anche questa gloria però deesi a questo medico valoroso, cioè eh1 egli fu un de’ primi a darle qualche principio di nuova luce, e» ne fan fede , non dirò già f opera De herbis et fructibus, animalibus, metallis, ec. che dal P. Angiolgabriello si descrive come opera diversa da quella degli errori di Plinio, ma che realmente è la stessa, ma bensì quella De Cassia fistula, de Manna, ec. in cui esamina alcuni passi di Dioscoride , e quella De Hipsade et pluribus aliis serpentibus, e finalmente quella De Tiro seu Fi pera, che si hanno alle stampe. Lo studio della storia naturale dovette giovargli non poco per quello della medicina, e in questo ancora abbiamo alcuni opuscoli del Leoniceno, fra’ quali è da osservarsi quello De Morbo Gallico. Fu egli forse il primo che scrivesse intorno a un tal male, il quale solo l’anno 1494 cominciò ad esser conosciuto in Europa (a). Il libro del Leoniceno fu stam(a) Ella è stata fino a’ nostri giorni opinione comune, che il morbo gallico non prima dell’epoca da me indicata fosse conosciuto in Europa. Alcuni più recenti scrittori han cominciato a combatterla , come si può vedere nell’opera su quella malattia, del celebre Astruc, il qual per altro sostiene I antica sentenza. A me par nondimeno , che oltre alcuni de’ documenti recati da quelli che la combattono , sieno una troppo evidente pruova a mostrare che più secoli prima era quella malattia conosciuta, due passi dell’opera di chirurgia di Guglielmo da Saliceto prodotti dal ch. sig. Vincenzo Malacarne { Velie Opere de’ Med. e de’ Cerus. t. 1, p. 18), e da lui attribuiti a M. Giovanni da Carbondala, come altrove si è detto , in cui descrive chiaramente la [p. 724 modifica]7^4 LIBRO pato da Aldo nel 14*77 i e avendo Laluno impugnata r opinione di Niccolò, Antonio Scanaroli modenese stampò l’anno seguente in Bologna una difesa di essa , come osserva f Orlandi (Orig. della Stampa. p. 404). E io non so come, leggendosi chiarissimamente in questo autore che il libro dello Scanaroli fu stampato nel i j)8, il P. Angiolgabriello abbia ivi letto l’anno 14^4 e abbia perciò affermato che un’altra edizione del libro di Niccolò dovea essersi fatta prima di quella di Aldo. Nè qui è da tacere che altri Italiani a questo tempo scrissero di quel male, come Corradino Gilino, Bartolommeo da Montagnana il giovane e Antonio Benivieni e Alessandro Benedetti già da noi mentovati, ed altri , intorno a’ quali si può vedere F Astruc (De Morbis vener. l. 1, c. 5). Finalmente oltre qualche altra opera filosofica, e qualche apologia delle sue opinioni, delle quali ci dà il catalogo il detto P. Angiolgabriello , egli ci lasciò ancora saggi del suo valore nel poetare; perciocchè fra le altre sue doti egli era ancor felicissimo nel verseggiare all’improvviso , come racconta Giglio Gregorio Giraldi di avere da lui medesimo udito (De Poetis nostri temp. dial. 2.). Una elegia scritta con ovidiana facimalattìa medesima, e la cagione ond’essa deriva. Avverte 1’editore che questo autor non prescrive a quel male i rimedi mercuriali, ma che li prescrive nondimeno per altre malattie. Convien dunque dir che più raro fosse in addietro quel morbo, e che lo straordinario infierire che fece nel 14q4 e negli anni seguenti desse occasione di crederlo malattia nuova e non mai conosciuta. [p. 725 modifica]SECONDO 7^5 lilà ne l,a pubblicata il Borsetti (Hist. Gymn. ferrar. t. 2, p. B3), mandata a Daniello Fini cancelliere dell’università di Ferrara, in cui scherzevolmente lo prega a inviargli il danaro, onde pagare la pigion della casa; e qualche altro componimento inedito ne ha questa biblioteca Estense fatto in morte del celebre Lodovico Casella referendario di Ferrara, da noi mentovato altrove con lode. Il P. Angiolgabriello attribuisce a lui pure i tre libri di Varia storia , i quali veramente sono opera di Niccolò Leonico Tomeo, o Tommasi. Presso lo stesso scrittore si posson leggere molti elogi fatti al Leoniceno, e fra gli altri un breve di Leon X pieno di stima e di espressioni onorevoli a lui diretto , da cui ancor si raccoglie che Niccolò era stato maestro di Pietro Bembo. Lorenzo de’ Medici innoltre, che dal P. Angiolgabriello è detto con grave anacronismo gran duca di Toscana , avea in grandissima stima il Leoniceno , come dalle poc’anzi citate lettere del Poliziano raccogliesi chiaramente. Il Giovio per ultimo nel formarne l’elogio, dopo aver detto (Elog p. 43 vers.) che niuno tra’ professori di medicina spiegò più chiaramente i dogmi di quella scienza, niuno con eloquenza e con forza maggiore confutò gli errori de’ verbosi Sofisti, aggiugne che ei fu uomo parchissimo di sonno e di cibo, d’illibati costumi, spregiatore delle ricchezze, e che non conosceva pur le monete, tale in somma che sarebbe stato creduto uno Stoico, se non avesse sempre mostrato un sembiante lieto e piacevole j e conchiudc narrando che avendolo egli [p. 726 modifica]73(5 LIBRO interrogato un giorno, con quale segreto si fosse egli conservato sì vegeto sino all’estrema vecchiezza , poichè era tuttora diritto della persona e con tutti i sensi sanissimi, Niccolò gli rispose che I1 innocenza della vita aveagli finallora conservate le forze dell animo, e la temperanza quelle del corpo.

XXII. Dopo questi medici che si renderon celebri in Italia pel lor sapere, dobbiamo or ragionare di un altro assai men conosciuto, e che pur nondimeno ebbe allor fama di medico valoroso non solo in Italia, ma in Francia ancora. Ei fu Pantaleone da Vercelli, di cui tra gli scrittori di quei tempi niuno ci ha lasciata menzione, fuorchè Sinforiano Champerio. Pantdcone da Porcelli, dice egli (De cl. Medic, p. 3 { vers)y uomo nella medicina erudito, venendo dalle parti della Lombardia e della Savoia nella Gallia Turonese, fu avuto dai Francesi in gran pregio. Egli contro il costume di questa nazione insegnò ne’ suoi libri a usare ogni giorno, in qualunque età e in qualunque malattia, certe pillole secotulo l'indole del male stesso; e quindi niuna cosa pareva loro sì utile ad aver lunga vita che 1 uso di colai pillole, coni egli mostra negli egregi suoi libri, pe’ quali ha ottenuta eterna memoria. Il Champerio ove dice che Pantaleone fu vercellese, aggiugne in margine: aliquibus placet fuisse de Confletia. E perciò alcuni, seguiti poi dal Marchand, che di questo medico ha formato un articolo nel suo Dizionario (t. 2, p. 133), hanno creduto che ei fosse natio di Coblentz in Allemagna. Ma se essi avesser meglio studiata la geografia d’Italia, ed esaminate [p. 727 modifica]SECONDO 73H le pi» esatte carte del territorio di Vercelli, avrebbero veduto che in esso appunto è una terra della Confienza, e che essa fu la patria di Pantaleone, il quale perciò or dicesi vercellese, or de Confluentia. Questo nome medesimo ha fatto commettere equivoci ad alcuni compilatori de’ catalogi, come al Maittaire che cita così un’opera di questo medico: Pantaleon de Vercellis de Confluentia Lacticiniorum, Taurini 1477 Ann, typogr. c. 1, p. 382); e al P. Orlandini: Pantaleonis de Confluentia Lacticiniorum, et Tractatus varii de butyro, de caseorum variorum gentium differentia, ec. Taurini 1477 (Orig. della Stampa, p. 378). Il Lipenio più esattamente ci ha dato il titolo delle due opere mediche che abbiamo di Pantaleone: Pantaleonisde Con/lentia Pillularium: Summa Lacticiniorum completa, ec., Lugduni 1525 (Bibl. med. p. 237). Due opere in somma ha egli alle stampe, una sopra le pillole tanto da lui pregiate, l’altra sopra i latticinj! ed altri cibi di tal natura. Un’altra opera di assai diverso argomento ci ha lasciata Pantaleone, cioè una raccolta di Vite de’ Santi, che il Marchand si vanta di avere prima d’ogni altro scoperta, ma che fu nota anche al Maittaire (l. cit. I. 5, pars 2, p. 542). Essa è intitolata: Pantaleonis Vitae Sanctorum. E al fine si legge: Per Clarissimum Medicum et Philosophum Dominum Pantalionem, perque Joannem Fabri Gallicum egregium artificem. De Vitis Sanctorum Patrum volumina in Casellarum Oppido feliciter impressa sunt anno Domini MCCCCLXXV. Heroys Calydonei luce penultima mensis Augustini U Marchaud, [p. 728 modifica]L1LR0 che ha cercala nell1 AUcmagna la patria di Panta leone, va ancor più lungi a cercare il luogo ove quest’opera fu stampata, e ci vuol persuadere che quell’oppi do Cascllarum significa Casbe l città delf Irlanda. Ma noi non faremo sì lungo viaggio, e più vicino a noi troverem le Caselle in Piemonte non molto lungi da Torino. In fatti lo stampatore Giovanni Fabri era in Torino nel 1474 quando vi stampò il Breviario Romano (Maitt. l. cit. t. 1, p. 333), e vi era nel *477 ne^ fll,a^ anno pubblicò colle sue stampe i Decreti de’ Duchi di Savoia (ib. p. 373); e non è perciò a credere che in questo frattempo ei fosse andato in Irlanda, e ne fosse tornato; altrimente tai viaggi gli avrebbero divorato qualunque frutto ei potesse avere raccolto colla sua arte. Che cosa sieno queste Vite dei' Santi, il Marchand che le ha vedute, nol dice; e molto meno dirollo io, che non le ho vedute (*). E dell’autor di esse ancora nul11 al(*) L’eruditissimo sig. barone Giuseppe Vernazza di Freney, che ha vedute copie delle opere di Pantaleone da Vercelli, ossia da Confienza, qui da me indicate, me ne ha gentilmente trasmessa la descrizione. E quanto alle Vite de’ Santi, che sono in somma le antiche de’ Santi Padri , pare che Pantaleone non altra parte vi avesse che quella di unirsi collo stampator Fabri per procurarne 1 edizione. Della mia congettura, che questa stampa si facesse in Caselle terra del Piemonte presso Torino , una nuova pruova ha egli trovata, osservando la carta in essa adoperata, perciocchè ella è la stessa che il Fabri usò nel 1477 stampando in Torino gli Statuti di Savoia, e nel 1478 la Somma rolandina. Veggasi su ciò la Lezione sopra la Stampa dello stesso stg. barone Yernazza , ove e di questa e [p. 729 modifica]SECONDO 739 tro io trovo die uggitigli ere, poiché, come ho «letto, ei.sarebbe forse sconosciuto elei tutto, se il Champerio e le opere da lui stampate non ce ne avesser lasciata memoria. Solo dall1 uno e dall’altre noi raccogliamo elici visse sugli ultimi anni del secolo di cui scriviamo (a).

XXIII. Se io volessi seguir la scorta di M. Portai , più altri medici italiani dovrei qui rammentare. Fi nomina Niccolò Niccoli, che viveva, dice, a Firenze (Hist de IAnat. t. 1, p. 236). Ma qui ei confonde, come bau fatto ancora altri Italiani, e come altrove abbiamo osservato (t. 5, p. 237), Niccolò Falcucci, che fu veramente medico, con Niccolò Niccoli, che fu tuli’altro che medico, e da noi è stato rammentato piò volle nel decorso di questo tomo. Io non rileverò l’altro error piò grave in cui egli qui cade, distinguendo Venceslao re di Boemia dall’imperadore di questo nome, poiché io ha riconosciuto ed emendato egli stesso ili altre antiche stampe del Piemonte ci dà esatte notizie (p. 27). « Dell’autor medesimo, che fu archiatro di Lodovico duca di Savoia , e viaggiò molto anche oltremonti, ha parlato poscia più a lungo il sig. Vincenzo Malnca rne (Delle Opere rie’ ’ Mcd. e de’ L’eros. ec. t. 1, p. 136, ec.), che ci ha dato inoltre un diligente ed esattissimo estratto degli opuscoli medici da lui scritti, e da me qui accennati ». (a) Mattia Corvino re d’Ungheria ebbe alla sua corte un medico italiano , cioè Giambattista Canani detto il \ eccliio, a distinguerlo dal giovane, di cui si ragiona nel tomo settimo. Egli fu ancora medico di Alessandro VI, come ha osservato l’accuratissimo sig. abate Gaetano Marini (Degli Archiatri pontifici , tomo. 1, p. 247). [p. 730 modifica]73o LIBRO (Supplém. p. 3), e perciò ancora passerò sotto silenzio i due gravissimi anacronismi da lui commessi e poi ritrattati nel fissare l’età di Alessandro d’Afrodisia e di Egidio Colonna (Hist t 1, p. 257; t. 5, p. 588; t. 9, supplem. p. 3) al principio del secolo xvi. Ei parla qui ancora di Rolando Cappelluti (t. 1, p. 243), che non è altri che quel Rolando da Piacenza da noi mentovato nella storia del secolo XIII, e lo stesso M. Portal mostra di dubitarne. Io non so chi sia quell’Antonio Leone veneziano, ch’ei dice (ib.p. 245) vissuto a’ tempi di Federigo III, di Massimiliano I e di Alessandro VIj nè trovo chi ce ne dia alcuna distinta notizia. Jacopo da Forlì da lui dicesi morto nel 1439) (ib. p. 239)) Ma noi già abbiamo mostrato (t. 5, p. 241, ec.) ch’ei morì circa il 1413. Le quali inesattezze troppo più spesso s’incontrano, che non sarebbe a bramare, in un’opera la quale io odo encomiarsi assai da alcuni intendenti in medicina , come assai utile agli studiosi di quella scienza. Lasciando dunque in disparte que’ che non appartengono a questo secolo, aggiugnerò alcuni chirurghi, e uno principalmente da M. Portal nominato, cioè Leonardo Bertapaglia, acciocchè alla storia della medicina congiungasi quella ancora della chinirgia.

XXIV. Di Leonardo ragionano gli scrittori tutti dell’università di Padova, e singolarmente il Facciolati (Fasti Gymn. pat. pars 2, p. 193), e dopo essi il co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2 , par. 2, p. 1023). Ma le lor notizie a ciò sol si riducono, ch’egli fu professore di chirurgia [p. 731 modifica]SeCOKDO ^3i in Padova verso il »429 (*) con gl ande concorso di uditori; che esercitolla ancora con molto nome in Venezia; e che per essa ei si arricchì in tal modo, che e nella città e nel territorio di Padova innalzò magnifiche fabbriche. Un trattato di chirurgia, intitolato ancora Recollectae super quartum Canonis Avicennae, se ne ha alle stampe in più edizioni, oltre qualche altra opera inedita che dal co. Mazzucchelli si accenna (b). Due altri chirui gi, da niun altro scritta) Dai documenti comunicatimi dal sig. abate Dorigliclln raccoglie*! che Leonardo Bertapaglia, figlio di Bartolommco Rufo, era già professore di chirurgia nel 14’24(b) Al Bertapaglia dee congiungersi Pietro di Argelata celebre chirurgo in Bologna ne’ primi anni del secolo xv, di cui sappiamo che fu trascelto a imbalsamare il corpo di Alessandro V, quando egli nella stessa città diè fine a’ suoi giorni. Il Garzoni (Orat, de dignit. urbis Bonon. Vol. XXI Script. Rer. ital. p. 1162), e dopo lui l’Alidosi rammentano un’opera di chirurgia, che di lui abbiamo alle stampe, e che doveagli perciò ottener qualche luogo nella Biblioteca del Fu brino , in cui è stato dimenticato. Il Freind osserva (Hist. Medic.p. 202) che Pietro è stato il primo tra’' moderni medici a prescrivere per mezzo della chirurgia la cura della spina ventosa. Ne parla anche M. Portal (Hist. de l’Anat. et de la Chir. t. 1 , p. 240) e ne loda le belle e ingegnose osservazioni nella sua opera da lui inserite. Più copiose notizie ce ne ha date il ch. sig. conte Giovanni 1‘ antuzzi (Scritt. bologn. t. 1, p. 1 7.4 , ee.), e poscia ne ha anche ragionato il sig. abate Marini (Degli Archiatri pontif, t. 1, p. 130) che mi ha fatto avvertire un errore da me preso nella prima edizione di questa Storia , in cui , fidato ad un passo di Guido da Gauliac, che parevami doversi intendere di Pietro d1 Ai-gelata, e che veramente appartiene a Pietro d’Argenteria, o de A’ gemina, ho annoverato l’Argelata tra gli scrittori del secolo xiv. [p. 732 modifica]LIBRO tor nominati, padre e figlio, amendue Branca di nome e siciliani di patria, veggiamo esaltarsi con somme lodi da Bartolommeo Fazio, principalmente per la maravigliosa destrezza nel supplire al naso, alle orecchie, o alle labbra mutilate. Ma il passo in cui questo autore ne ragiona, o per difetto del medesimo autore, o per error de1 copisti, è sì inviluppato ed oscuro, che io non giungo a ben rilevarne il senso. Io recherollo qui dunque colle stesse parole del Fazio, e lascerò che i medici e i chirurgi, se credono di potei gli prestar qualche fede, lo spieghino come lor sembra meglio: Singulari quoque memoria, dice egli (De Viris ill. p. 38), dignos putavi, et in hunc numerum referendos Brum am patrem et jilium Siculos ClUrurgicos egregios, ex quibus Branca Pater admirabilis ac prope incredibilis rei inventor fuit. Js exeogitavi t, quonam modo desectos mutilatosque nasos reformaret, suppleretque, quae omnia mira arte componebat. Ceterum Antonius ejus filius pulcherrimo patris invento non parum adjecit. Nam praeter nares, quo nam modo et labia et aures mutilatae resarcirentur, excogitavit. Praeterea quod canis Pater secabat pro sufficiendo naso, ex illius ore, qui mutilatus esset, ipse ex ejusdem lacerto detruncabat, ita ut nulla oris deformitas sequeretur, in secto lacerto, et in eo vulnere infixis mutilati nasi reliquiis usque arctissime constrictis adeo, ne mutilato commovendi quopiam capitis potestas esset, post quintum decimum, interdum vicesimum, diem carnunculam, quae naso cohaeserat, desectam paulatim, postea cultro circumcisam in nares [p. 733 modifica]SECONDO 7 33 reformabat tanto artificio, ut vix discerni oculis junctam posset, omni oris deformitate penitus sublata. Multa vulnera sanavit, quae nulla arte,aut ope medica sanari posse videbantur (30). Il P. Lyron nel dar Vestratto delle opere di Elisio Caìenzio poeta latino di questa medesima età, osserva (Siugular, littér. L 3, p. 417) che (•n|i ancor fa menzione di questo Branca, e dell’arte malavitosa da lui ritrovata di rifare i nasi) e che anzi aggiugne che il chirurgo soleva talvolta valersi a tal line della carne tolta dal braccio di qualche schiavo. E Ambrogio Pareo, medico francese a’ tempi di Carlo IX, parla egli pure di un chirurgo italiano che operava colai prodigi (l. aa, c. a). Per ultimo lo (’) Il eh. sig. d Jacopo Morelli mi ha avvertilo che F oscurità «lei passo da me qui recato del Fazio nasce dalla scorrezione con cui esso è stato pubblicato, e che con qualche cambiamento si può facilmente rendere intelligibile. Ecco com’egli crede che debba esso leggersi: Nam praeter nares$, quonam modo et labia et aures mutilatae resarcirentury excogitavit. Praeterea quod canus pati r secabat, pro sufficiendo naso, ex illius ore , qui mutilatus esset, ipse ex ejusdem lacerto detruncabat; ita ut nulla oris deformitas sequeretur; et in eo vulnere infixis mutilati nasi reliquiis iisque arctissime constrictis, adeo ut mutilato commovendi quopiam capitis potestas esset, post quintumdecimum , interdum vicesimum diem carnunculam , quae naso cohaeserat, dissectam paulatim, postea cultro circumcisam in nares reformabat tanto artificio, ut vix discerni oculis juncta posset. Nella storia della chirurgia del secolo xvi vedremo che non solo) fino a que’ tempi, ma anche fino a non picciola parte del secolo susseguente si stese e durò l’arte di restituir le membra troncate, o in altro modo perdute. Tira boschi , Voi. VJJL 6 [p. 734 modifica]7^4 LIBRO storico genovese tìurtoloinraeo Senarega ci ha lasciata menzione ne’ suoi Annali di un chirurgo da lui conosciuto, e morto nel 1510, di cui però tace il nome, e descrive distintamente il modo con cui tagliava la pietra. E questo passo ancora io riferirò colle parole medesime dell’autore, e conchiuderò con esso ciò che appartiene alla medicina e alla chirurgia di questo secolo: Moritur hoc anno, dice il Senarega (Script Rer. ital. voi 2.j, p. 605, ec.), Chirurgus praecellentis simus JEscidapio profecto aequandus, si quo tempore illeJloruit, hic natus fuisset; arte quippe ea docuit salutaria remedia ac praesidia, quae natura ipsa detegere et docere non potuisset Hic vir insignis ingenio et institutione tantum valuit, ut laborantes calculo mira industria liberaret; lapides namque longo ovo et dimidio majores ex utero extrahebat; ut jam jam morituros prae animo dolore vitae restitueret Curatio autem ipsa horrida, gravis et periculosa admodum habita est. Horret sane animus hujus tam acerbae curationis recordatione. Sed quae possunt acerba videri remedia, quae in certo vitae periculo positis salutis spem afferant? Ligabatur languens pedibus reductis post nates , fascia medium corpus cingente (nam periculosum erat, si aeger moveretur) manus etiam ligabantur; coxae, quantum fieri poterat, late patebant. Novacula vulnus longum circiter quatuor digitis aperiebatur ad ea parte, qua calculus aegrum acrius infestabant, paululum ab inguine, ita ut vulnus medium esset inter inguen et podicem. Ferrum subtile inter ipsum membrum immittebatur, quod [p. 735 modifica]SECOHDO ^35 intra corpus penetrabat, quasi quaerens aliquid, donec perquisitus lapis tangeretur. Erat et aliud ferrum tortum in unci modum, quod missum per vulnus fractum calculum apprehendebat. Insuper quo citius ac minori dolore evelleretur, digitum in anum immittebat, a quo ferrum premebatur. Tres aliquando ab uno aegroto vidi ego aut duos evulsos lapides ovo majores, saxo duritie aquales, qui sub aere et coelo positi statim obduruerunt lapidibus non dissimiles. Curatio tamdiu longa fuit, donec vulnus sanaretur. Qui autem curabantur, etsi senes essent, juventae vires resumsisse videbantur. Questa descrizione parmi a un di presso la stessa che quella che prima d’ogni altro è stata pubblicata da Sante Mariano da Bari, e che chiamasi il grande apparecchio. Egli ne fece la descrizione nella sua opera De lapide renum stampata in Roma nel 1535, e dice di averla appresa da Giovanni de’ Romani, che esercitava la medicina e la chirurgia in Cremona, e che era stato suo maestro. Questi dovette essere coetaneo del medico genovese, di cui parla ilSenarega; e benché si dia comunemente a Giovanni la lode di questo ritrovamento, converrebbe esaminar nondimeno se il Genovese l’avesse per avventura in ciò preceduto. Ma troppo scarse son le memorie che abbiamo per giudicarne (a). (a) Iteli, sig. Vincenzo Malacarne congettura, e parmi con qualche probabile fondamento (Delle Op. dei Med. e de1 Cerut, t. 1, p. 128, ec.), che il ch.rurgo genovese qui accennato sia quel Battista da Rapallo (luogo della Riviera di Genova) che (fin dal 1473 era al servigio de’ marchesi di Saluzso, de1 quali tu consigliere,