Dal tuo al mio/III

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III.

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II
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III.


Com’era già sera, e il barone non tornava ancora dal paese, Nina usciva ogni momento a guardare nel sentiero. Non si vedeva anima viva, tutt’intorno. La campagna sembrava un deserto, e faceva paura, a quell’ora, colle voci che correvano.

Poichè Rametta, il quale aveva adesso il peso della zolfara sulle spalle, non voleva saperne di crescere le paghe, mentre gli zolfi andavano giù a rotta di collo, e perciò [p. 146 modifica]gli operai avevano piantato lui e la sua zolfara, e s’erano messi a non far nulla — una cosa nuova che la chiamavano sciopero — i padroni senza più un soldo da riscuotere e i lavoranti senza pane. Allora, si capisce, la fame porta consiglio — un cattivo consiglio sta volta.... Alla Salina, a Goramorta, in altre miniere del circondario era successo quel ch’era successo. Il barone appunto era andato al paese per far sapere a Rametta che così non finiva bene. Egli, poveretto, non avea più voce in capitolo, e non poteva farci nulla. Dacchè gli avevano messo il coltello alla gola (tutti quanti, anche Lisa, il sangue suo, che gli avevano messo il coltello alla gola e in cuore!) ed era stato costretto a firmare quella carta che lo spogliava della zolfara, don Nunzio s’era fatto il letto [p. 147 modifica]nell’alcova dei Navarra e comandava di lassù. Lui, il barone, era sceso giù, col servitorame, Sidoro e donna Barbara che non avevano avuto cuore di voltargli le spalle nella disgrazia, come aveva fatto sua figlia Lisa — lui e quell’altra sua figlia martire, che l’aspettava adesso come un’anima del Purgatorio.

Tramontò il sole, giunse anche dal paese il suono dell’avemaria, sul ponente fresco, e il barone non giungeva ancora. Nina sentiva stringersi il cuore mano mano che le ombre della valletta le si stringevano intorno. Sidoro, ch’era andato incontro al padrone sin lassù alla Rocca, tornò frettoloso, voltandosi indietro tratto tratto, quasi l’inseguissero.

- Non viene ancora? — domandò. Nina, inquieta suo malgrado.

— Non si vede nessuno in cima [p. 148 modifica]al sentiero. Par d’essere in un deserto — brontolò Sidoro a mezza voce.

Donna Barbara, che stava sbucciando le fave a piè della scaletta, borbottò:

— Lo dissero e lo fecero d’andarsene tutti via.

— La gente muore di fame. Tre settimane che non si lavora nella zolfara! Comare Grazia ha chiuso bottega per non far più credito.

— Bè, che pretendono ora?

— E chi lo sa che diavolo macchinano?

Nina ch’era stata zitta e pensierosa riprese un momento dopo, quasi parlando fra di sè:

— Aveva detto che sarebbe tornato prima di sera.... Sa che siamo soli....

— Chetatevi — rispose donna [p. 149 modifica]Barbara vedendola così turbata. — Chetatevi, che vostro padre non viene più a quest’ora.

Le parole stesse cascavano di bocca nel gran silenzio. Si udiva solo il canto dei grilli, all’infinito. Poi un chiù, lì vicino, fra gli olmi del torrente, cominciò a singhiozzare.

Nina chiese sottovoce, quasi avesse paura:

— Che ora sarà adesso?

— Ecco, la stella dell’avemaria! Ora accendo il lume, se volete — rispose Sidoro.

— No, ci si vede ancora.

Per fare qualcosa, in quell’attesa, si mise a sedere accanto a donna Barbara, aiutandola a sbucciare le fave della minestra. La vecchia, indovinando forse quel che mulinava dentro la povera signorina, disse dopo un po’:

— Il padrone avrà tardato perchè [p. 150 modifica]ha da combattere con Rametta. Quello ha la testa dura.

— Finchè gliela rompono, sentite a me — scattò su allora Sidoro. — Vedrete come va a finire questa faccenda dello sciopero!

Nina non rispose: ma uscì fuori di nuovo a vedere. Le buche delle zolfare, lì di contro, coi calderoni spenti e i mucchi di minerale abbandonati, sembravano tane di lupi. Dietro le colline, in fondo, vedevasi un chiarore rosso, quasi fosse il tempo che si dà fuoco alle stoppie.

— Oppure non avrà trovato don Nunzio in paese — disse rientrando.

— È sempre in faccende di qua e di là come il brutto demonio, quel cristiano! — donna Barbara fece anche il segno della croce — per far dannare il prossimo!

— Vedrete quel che succede! — [p. 151 modifica]riprese Sidoro. — Laggiù, al casamento vecchio, pareva come una fiera oggi, in casa di donna Lisa.... Vostro cognato Luciano che predicava in mezzo a una folla d’operai!

Nina guardava sempre quel rosso d’incendio, tra le colline nere, in fondo al portone spalancato. A un tratto le sembrò di vedere un altro chiarore simile laggiù dietro la Rocca, e poi un altro, più vicino, fra gli olivi che parvero agitarsi, simili a fantasmi.

— Almeno sapessi che mio padre non è per via a quest’ora! — sospirò stringendo le mani, col cuore stretto.

— No, no, vi dico! Lo sa meglio di noi che non è tempo d’andare in giro di notte.

Essa trasalì vedendosi accanto Sidoro, che si era affacciato al [p. 152 modifica]portone anche lui, e spiava inquieto di qua e di là.

— Io a buon conto direi di chiudere — propose a un tratto, risolutamente.

— Un momento, aspettiamo ancora un po’.

— Potete chiudere, don Sidoro — disse invece la vecchia. — Il padrone, se viene, darà la voce, al solito, quand’è giunto alla Rocca, lassù.

Ma al vedere la signorina così pallida, con quegli occhi che luccicavano nella penombra degli occhi che facevano pena soggiunse:

— Piuttosto accendiamo il lume alla Madonna. Un po’ d’olio ci dev’essere ancora.

— Sì, Vergine Santissima! — rispose Nina vivamente.

Sidoro sbarrò il portone, e donna Barbara andò ad accendere la [p. 153 modifica]lampada dell’immagine bizantina ch’era sul muro della chiesuola.

— Se proprio non veniva l’avrebbe mandato a dire! — balbettò Nina, sempre con quella spina in cuore.

— Chi mandava a dire? — rispose Sidoro. — Don Nunzio non gli tiene staffieri al suo comando.

— Ah, quello! — aggiunse donna Barbara sullo stesso tono.

Altro che staffieri e paggi! Chissà dove s’arrabattava a quell’ora, povero vecchio, in quali angustie e fra quali pericoli? Dell’antica signoria non rimanevano che lo scudo di sasso, lì sul portone, e i merli scalcinati sul muro di cinta, come tanti corvi appollaiati contro quel sinistro chiarore d’incendio. In alto il cielo nero formicolava di stelle.

— Che aspettare, stasera! — sospirò Nina con voce sorda. [p. 154 modifica]

— Povera signorina, cercate di distrarvi. Volete che recitiamo il santo rosario intanto? — propose donna Barbara...

Essa non rispose, seduta accanto a lei, coi gomiti sui ginocchi, e il mento sulle mani. La Madonna, dipinta lì sul muro, pareva che guardasse e dicesse anche lei: “Sì, sì!...„

Ave Maria, gratia plena.

Donna Barbara le teneva dietro con un borbottìo quasi, indistinto, mentre continuava a sbucciare le fave: “Pregate per noi peccatori....„ Ma Sidoro quando fu alle parole “Ora e nell’ora della nostra morte„ scappò a dire:

— Dio ce la mandi buona, con questo diavolo di sciopero! Magari se la prendono poi con chi non c’entra!...

— Ssst! Vi caschi la lingua! — interruppe a un tratto donna Barbara. [p. 155 modifica]

— Perchè? Non dico per farvi la iettatura, donna voi!

— Gente!... Gente a noi! Udite?

Nina si rizzò in piedi di botto, tutta tremante.

— Sì! è lui!

Donna Barbara la fermò quando già stava per correre ad aprire, dicendo sottovoce:

— No!... Come camminassero in punta di piedi! Udite?

In quel momento si udì bussare di fuori.

Sidoro fece un salto dalla paura. Poi domandò minaccioso, ingrossando la voce — la voce gli tremava un poco, è vero:

— Ehi? Chi è là? Sangue di!... Corpo di!... O vi fo fare una vampata!...

Si udì rispondere umilmente, di fuori: [p. 156 modifica]

— Son io, Lisa, aprite.

— Donna Lisa!... qui!... a quest’ora!... Che vuol dire, Vergine santissima? — osservò donna Barbara.

Nina, senza ascoltar più alcuno, corse a spalancare il portone.

— Guarda! Proprio donna Lisa! — esclamò Sidoro vedendola entrare.


*

Lisa pallida, ancora ansante, balbettò dalla soglia, volgendo intorno gli occhi stralunati, senza osare di entrare:

— Son io... un momento solo.... Sono venuta un momento solo perchè è cosa grave... Dopo me ne vado subito....

— Oh Lisa! Lisa mia! — disse Nina avvincendosi fra le braccia. Ma essa resisteva, tiravasi [p. 157 modifica]indietro, a capo chino, ripetendo umilmente:

— Un momento solo.... Dov’è il papà? dov’è?

— Il padrone non c’è, è andato al paese — rispose donna Barbara.

— Signore, vi ringrazio! — disse Lisa cadendo a sedere sugli scalini della cappella, quasi le mancassero le gambe. — Come ho fatto quella strada.... dal casamento vecchio sin qui.... col fiato ai denti!...

— Ma perchè? Che avviene, Dio mio? — domandò la sorella sempre più sbigottita.

— Quelli dello sciopero!... Si sono ribellati!... Vogliono fare sacco e fuoco! Vogliono farsi giustizia colle sue mani!

— Ah! giustizia! giustizia! — esclamò Nina amaramente.

— Hanno quasi ammazzato il [p. 158 modifica]soprastante perchè mandò a chiamare la forza.

— Ma che sono, cristiani o lupi? — interruppe donna Barbara.

— Peggio dei lupi, la gente quando ha fame! Non ascoltano più nessuno, neanche mio marito....

— La testa dovrebbero averla tagliata quelli che hanno soffiato nel fuoco prima! — rispose allora Sidoro.

Lisa si rivoltò, cogli occhi accesi:

— Dite bene, voi che non vi manca nulla nella casa di mio padre!

Povera Lisa, povera sorella che parlava in tal modo! Nina vide tante cose in quel viso duro e in quelle mani annerite che stringevano il misero scialletto sul petto scarno. La vecchia serva borbottava tentennando il capo: — Non ci manca nulla! [p. 159 modifica]sentite? — Essa le chiuse la bocca colle mani tremanti.

— Tacete! tacete!

— Sì, che voglio dirla l’amara verità.... Povero padrone!... e anche voi che non vi lagnate mai!...

— Tu pure, sorella mia! Quanta amarezza devi averci in cuore!

— No! — riprese Lisa asciugandosi gli occhi nervosamente. — Non parlo per me.... Di me non mi importa.... Ma ecco a che siam giunti!... a mangiarci fra di noi proprio come i lupi!

Sidoro di risposta andò a prendere la cesta delle fave che era tutta la loro cena, e gliela mise sotto gli occhi a donna Lisa!

— Nella casa di vostro padre.... ecco come si sciala!

— No, no! — ripetè Nina scostandolo e asciugandosi gli occhi. [p. 160 modifica]Il peggio è quel che gli costa il duro pane che ci dà, povero padre! Fu questo il suo destino, sempre, sempre, povero padre sfortunato! Ti rammenti, quando non c’erano denari in casa!... e ad ogni sonata di campanello!... E quando la mamma ci conduceva alla messa dell’alba la domenica, perchè non ci vedessero vestite come le serve!... Quella è la miseria! Povera mamma, almeno ha finito di penare, lei!

Lisa scoppiò a piangere col viso fra le mani.

— E vero.... Ho l’anima piena di fiele.... Perdonatemi.

— Povera Lisa! disgraziata tu pure!...

— Ho sofferto tanto, tanto!... Non voglio dirtelo! Non dir nulla neppure a nostro padre!... Gliene ho dati tanti dispiaceri anch’io, povero padre! [p. 161 modifica]

Singhiozzava così forte che lo stesso Sidoro n’ebbe compassione.

— Che fa colpa vostra? Fu la mala sorte che avete addosso tutti quanti.

— Dite piuttosto la volontà di Dio! — aggiunse donna Barbara.

— Ah! Dio, Dio! — imprecò Lisa levando il viso al cielo.

Nina le chiuse la bocca.

— Non bestemmiare in questo momento, che chissà cosa ci si prepara di lassù....

— Sì, correte!... Fuggite almeno voialtri. Non vi fate trovar qui, per carità!... Ora sono alla Salina, ma fra poco verran qui!...

— Madonna del Pericolo! — strillò Sidoro.

— Io rimango a guardarvi la casa.... Non temete.... — soggiunse Lisa arrossendo e chinando il capo [p. 162 modifica]umile. — Come fosse ancora la mia casa....

— No, non ti lascio, Lisa!

— Io devo restar qui, con mio marito.... se succede quel che Dio avrà destinato.... In mezz’ora sarete al paese.... Pregalo tu, nostro padre.... e anche don Nunzio.... Che Dio gli tocchi il cuore a quell’uomo! Pregali tu, Nina, che sai! Digli la gran disgrazia che sta per succedere.... Digli ch’è la fame....

— No, non ti lascio. Sarà quel che Dio vuole.

— Almeno che ce la mandi buona! — borbottò donna Barbara.

Sidoro, ch’era uscito fuori a vedere quel che Dio mandava, tornò indietro di corsa, gridando:

— Io dico che viene il padrone invece! Conosco il passo della cavalcatura! — Stette ancora un po’ in [p. 163 modifica]ascolto: — E anche la voce di don Nunzio, udite?

— Papà! papà!...


*

Prima comparve don Nunzio, il quale era in giro pei suoi affari dacchè Dio aveva fatto giorno, e capitava in quel bel punto, stracco morto e arso dal sole:

— Eccoci, siamo venuti alla festa. Lasciategli governare la cavalcatura, al papà.

— Sia lodato Iddio! — disse allora la vecchia serva all’udire che era arrivato pure il padrone.

— Davvero sia lodato! — C’è proprio di che!

Il barone entrò scuro in viso anche lui di polvere e di cattivo umore, brontolando: [p. 164 modifica]

— Son qua.... vivo e sano, grazie a Dio....

Nel posare il fucile accanto all’uscio vide Lisa, sua figlia, lì proprio, in casa sua, che gli stava davanti a capo chino, senza profferir parola.

— Non sono ancora morto, grazie a Dio! — ripetè voltandole subito le spalle.

Donna Barbara incominciava:

— Si credeva che non veniste più, vossignoria, a quest’ora....

— Lo vedo! — egli interruppe bruscamente. — Tanto che trovo la casa piena di gente!

— Me ne vo, papà.... Stavo per andarmene.... — balbettò Lisa.

La sorella cercò d’interporsi, supplichevole:

— Papà.... era venuta ad avvertirci, povera Lisa.... [p. 165 modifica]

— Quelli dello sciopero! — aggiunse Sidoro. — Vogliono fare il diavolo!

— Padroni, padronissimi; sono tutti padroni in casa mia.

— Lasciateli fare — disse Rametta. — Poi verranno i soldati.

Lisa, sempre più smarrita, tornava a balbettare:

— Me ne vo.... Subito me ne vo....

Ma Nina la trattenne:

— No, adesso! Dove vai? Dove vuoi andare adesso che succede.... chissà, Dio mio!...

Il padre lui pure, che era commosso suo malgrado e non voleva dimostrarlo, urlò, ricacciandola dentro minaccioso:

— Verranno i soldati, hai inteso?

— Papà.... i soldati perchè la gente muore di fame? — esclamò la poveretta colle lagrime agli occhi e [p. 166 modifica]aprendo le braccia, così desolata, così disfatta che il barone tornò a gridare furioso:

— Disgraziata! Disgraziata, come sei ridotta!... Anche tu che mi pianti i chiodi della croce e mi attossichi il pane che metto in bocca!

Egli stava per sfogarsi finalmente, e dire tutte le amarezze che gli aveva dato quella ingrata, quando pensava ch’era nelle mani di un operaio, lei, la sua creatura, il sangue suo, a fargli il letto e la minestra — quando c’era, la minestra!... Don Nunzio, che aveva la testa a tutt’altro che alle tenerezze in quel punto, volle sapere:

— La paglia ce l’hanno le cavalcature?

L’altro si asciugò gli occhi di nascosto, e rispose:

— Sì, sì. [p. 167 modifica]

— Hanno lavorato, povere bestie, come ho lavorato io.... tutto il santo giorno.... Io non fo scioperi....

Cavò fuori di tasca un pezzo di pane, tale e quale come l’ultimo dei suoi operai, e s’avviò su per la scala dicendo: — Vo a mangiar la mia biada.

— Allora chiudiamo il portone? — propose Sidoro.

Lisa si mosse per andarsene.

— No — le disse Nina risolutamente, stringendola fra le braccia. — Non ti lascio andare. Non ci lasciare in questo momento....

Suo padre invece parve prendersela con Sidoro:

— Chiudi! chiudi! Comando io ancora qui! Lo senti ciò che vogliono fare perchè non possono mangiarsi la roba altrui?

— Pover’uomo, non gli voltate [p. 168 modifica]le spalle anche voi in questo momento.... — soggiunse donna Barbara, aiutando a tirare in casa lei pure la signorina, ch’era venuta proprio come il Figliuol Prodigo. — Piuttosto venite a mangiare un boccone.

— Chiudo, sissignore — gridò Sidoro, correndo al portone.


*

Sopraggiunse in quel punto don Rocco, che veniva a chiamare aiuto dal suo poderetto lì vicino, e quasi si prendeva il battente sul naso, entrando di furia, come uno spiritato, strillando:

— Che mi lasciate fuori, perdio!

— Oh, siete voi, don Rocco? — fece il barone sorpreso.

— E chi volete che sia adesso? Chi avete messo in quest’imbroglio? Avete voluto lo sciopero?... [p. 169 modifica]

— Io?

Don Rocco, senza dargli retta, continuò a gridare verso il terrazzino, prendendosela anche con Rametta:

— Don Nunzio? Sarà andato a letto, quell’animale!

Poi tornò a sfogarsi col barone:

— Avete messo il paese intero sottosopra col vostro sciopero! Per non spendere qualche soldo di più....

— Bravo, e i denari? — volle dire Sidoro.

— Non ve li cercano a voi, don coso!

— Tu vai in cucina — gridò il barone esasperato, prendendo Sidoro per le spalle.

— Me ne vo. Non m’importa....

— Mancassero i denari a quel ladro di Rametta — riprese don Rocco [p. 170 modifica]sempre più eccitato. — Quando v’arricchite....

— Io non mi sono arricchito di certo! — brontolò il barone.

— Voi no; ma intanto chi ne va di mezzo sono io.

— Ed io?

Al sentirsi rispondere a quella bella maniera don Rocco non seppe più frenarsi, e inveì contro il barone, schizzando fuoco e fiamme:

— Ne avete voi grano nell’aia e seminati da raccogliere, eh?... Ne avete roba in pericolo di vedervela sfumare in un batter d’occhio, così.... — e la spazzò via tutta d’un colpo, soffiando sul palmo della mano. — Che quei manigoldi con un fiammifero vi danno fuoco alle messi di tutto il circondario e in un momento vi trovate povero in canna?...

Rametta si era affacciato alle sue [p. 171 modifica]grida, e allora don Rocco potè gridargli in faccia:

— Con voi parlo, don come vi chiamate! Ci avete scatenato addosso un nugolo di affamati, col vostro sciopero! Avete rovinato un paese, per non volere aumentare le paghe!

Il barone alla fin fine si mise a gridare anche lui:

— Come si fa ad aumentare le paghe quando gli zolfi ribassano sempre?

— Voi siete un minchione! Per questo vi hanno preso la zolfara per niente.

— Voi che non siete un minchione però non state meglio di me.

L’altro lo guardò un momento con certi occhi che volevano mangiarselo, e poi si voltò di nuovo a Rametta coi pugni stretti e la schiuma alla bocca:

— Sono ridotto colla sola camicia [p. 172 modifica]addosso! E ora tirate a farmi togliere anche quella!... per la vostra avarizia! Avete ridotto la gente colle spalle al muro! e quelli minacciano di mettere il paese intero sottosopra! Sono giunte notizie d’inferno al delegato.... Il capoccia, il capobanda.... — strillò rivolgendosi al barone coll’indice teso, — è Luciano, vostro genero, quel viso di forca!

— Andate al diavolo voi e lui! — rispose il barone.

Rametta invece si strinse nelle spalle.

— Ci pensi il delegato. Per questo pago le tasse.

— Andate a contarla alla gente che ha fame, questa delle tasse! Adesso parlate così perchè siete diventato ricco e avete la pancia piena!

— E voi parlate così perchè non avete più nulla. [p. 173 modifica]

— Fanno benone se v’incendiano la zolfara! — urlò don Rocco esasperato.

Il barone, più furioso di lui, gli diede una manata sulla bocca.

— Ma state zitto, che ci avete la vostra quota anche voi nella zolfara!

Don Rocco si calmò di botto:

— Non me ne importa. L’ho venduta a lui.... per un pezzo di pane, è vero....

Al ripensarci però si sentì bollir di nuovo dentro contro quel ladro di Rametta.

— M’avete preso fino i peli della barba, per quei quattro soldi che vi dovevo!... per ringraziarmi anche dell’aiuto che vi ho dato!... che vi ho tenuto il sacco, ladrone che siete!... Non mi resta che quel po’ di seminato che ci ho lì, in pericolo!... in [p. 174 modifica]causa vostra!... con quattro figli e la moglie da mantenere, avete capito?

— A me la contate?

— A voi! Finiamola con questo sciopero! Pagatela meglio la gente!

— Come si fa a pagarla meglio, vi dico? — interruppe di nuovo quella bestia del barone.

Don Rocco allora parve che volesse mettergli le mani addosso.

— A voi che importa? — Chi doveva pensarci era Rametta. — Accontentateli per ora! — disse rivolto a quell’altro. — Almeno, finchè avremo messo al sicuro il raccolto. Dopo rompetevi il collo.

— Il collo rompetevelo voi, — rispose don Nunzio. — Io faccio venire la forza.

— Ma che forza! Non potete mettere un soldato ogni palmo di terra.

— Io li metto alla mia zolfara. [p. 175 modifica]


*

In quel momento tornò donna Barbara, spaventata.

— Signor barone! Signori miei! Correte tutti! Venite a vedere....

Don Rocco, quasi sapesse già quel che avrebbe visto, salì invece di corsa ad investire Rametta, come fuori di sè:

— No! Finiamola, com’è vero Iddio! Vado a prendere un lenzuolo dallo stesso vostro letto e l’appendo alla finestra, com’è vero Iddio! Pace, pace, bandiera bianca! Accontentiamola la povera gente. Voi attaccatevi alla campana perchè vengano qui a sentire.... — ordinò a Sidoro. — Che poi parlo io, perbacco! — E si picchiò sul petto.

— Ma se siete ubbriaco a [p. 176 modifica]quest’ora! — gli rispose don Nunzio respingendolo brutalmente.

Lisa, colle mani nei capelli, accorse pure strillando: — Il fuoco! il fuoco!... — E Nina dietro di lei: — Papà! papà! — Don Rocco scese giù colle gambe che gli si piegavano, bianco come un cencio lavato, chiedendo: — Dove? dove?

— Sarà il fienile che ha preso fuoco, — disse donna Barbara che era già fuori dal portone.

— O la legna della zolfara, — aggiunse Sidoro.

— La zolfara! la zolfara! — urlò allora il barone strappandosi i capelli.

— Gnornò, è dietro il casamento vecchio, vedete?

Sembrava che ne andasse in fiamme la valletta intera adesso. Il cielo era tutto rosso, sopra le colline che [p. 177 modifica]parevano vicine da toccarsi colle mani. Rametta, che stava a vedere anche lui dal terrazzino, osservò tranquillamente:

— Ma che zolfara! Son quattro spighe laggiù.

— Ah! i miei covoni! — strillò don Rocco scappando a precipizio.

Nessuno aveva più fiato di dire una parola. Stavano lì fuori a guardare, costernati.

— Ma che non ne mangiano pane di Dio benedetto, quei scomunicati? — scappò a dire donna Barbara.

— Però chi rompe paga — rispose Rametta di lassù.

Il barone, intontito, balbettò poco dopo:

— Ora che vogliono fare?

Si udì chiamare da lontano — una voce che sembrava lugubre a quell’ora e in quel silenzio. Tutt’a un [p. 178 modifica]tratto un altro grido rispose più vicino, nel buio fitto della Rocca. Erano certo segnali d’allarme e richiami che facevano agghiacciare il sangue nelle vene.

— Volete sapere che faranno? — scattò a dire Sidoro concitato. — Io direi di metterci le gambe in spalla, sentite a me, signori miei! Pensiamo a salvare la pelle finchè c’è tempo.

— Che ne fo della pelle, se non mi resta altro? — gli rispose il povero padrone suo che si vedeva sull’orlo del precipizio.

— Almeno chiudiamo il portone?

— E la mia zolfara ch’è lì fuori, bestia?

— Ah, per me.... se vengono.... — brontolò Sidoro.

Rametta fu il solo che non perdesse la testa in quel trambusto.

— Lasciateli venire — disse [p. 179 modifica]fresco come una rosa, scendendo giù in cortile. — Sentiamo ciò che vogliono.

— Vogliono il fatto nostro! — gli gridò in faccia il barone disperato. — Vogliono la mia rovina completa!...

— Pel fatto mio son qua io. Voi badate al fatto vostro.

Nina gli rispose indignata:

— Se glielo avete preso il fatto suo! Che può fare mio padre? Che altro volete da noi?

— Voi solo potete scongiurare il pericolo, don Nunzio! — esclamò Lisa giungendo le mani. — Pensate a quel che sta per succedere! Pensate che rovina!... quante lagrime!... Una sola parola vostra!.... Voi solo potete fare il miracolo!

— Il miracolo! — borbottò lui. — Non sono un santo, figliuola mia. Adesso vogliono anche il miracolo da me! [p. 180 modifica]

— Eccoli! Vengono qua! — esclamò a un tratto Sidoro.

— Luciano! Luciano! — gridò Lisa facendo per correre. Ma suo padre la ricacciò indietro, cieco d’ira, afferrando il fucile.

— Ci sono io per Luciano!...

— Che siete pazzo? — gli disse Rametta togliendogli il fucile di mano. — Lasciate che si pieghino. Parole dicono essi e parole diciamo noi.


*

Comparvero sulla porta Matteo, Nardo e Bellòmo, senza neanche cavarsi il berretto, tanto i tempi eran mutati, con certe facce che vi toglievano il rispetto soltanto a guardarvi, e il barone strinse i pugni, andando loro incontro minaccioso. Rametta, [p. 181 modifica]piuttosto che badare a simili sciocchezze, li accolse sorridendo:

— Signori miei, la buona sera a tutti. Mi piace di vedere che siete giudiziosi e venite colle buone.

Quelli rimasero un po’ a codesta uscita, che non se l’aspettavano. Però Matteo, che ci vide sotto la minchionatura, rispose bruscamente:

— Colle buone e colle cattive! Come volete voi!

— Ma badate a quel che fate! C’è la legge! C’è la giustizia!

— Vogliamo giustizia, sissignore! — gridò Nardo inferocito.

Don Nunzio lo prese subito in parola:

— E chi non la vuole, amico caro? La vogliamo tutti la giustizia! Tu che ti lagni della tua mala sorte.... Io che ci ho addosso la iettatura.... E me l’ha attaccata lui! — aggiunse indicando [p. 182 modifica]il barone. — Vedetelo, lì, che non sa nemmeno che rispondere!... Ma parlate! Dite qualche cosa anche voi!...

— Prima levati il berretto quando entri in casa mia! — disse il barone minaccioso, prendendosela con Matteo.

— Me lo levo!... e vossignoria mi sentite! — rispose costui cavandosi realmente il berretto, ma con un’aria di sfida, ch’era meglio non se lo fosse tolto.

— Ah, se non sapete dir altro! — sbuffò allora don Nunzio alzando le spalle, — Lasciateli parlare. Siamo qui per questo. Sono venuti a contarci le loro ragioni e quelle dei compagni, non è vero? Siete, come direbbesi, i deputati?

— Siamo colle spalle al muro — rispose Nardo. — Siamo come quelli che succede quel che succede! [p. 183 modifica]

Bellòmo, più domato dalla miseria e dai malanni, si mise a guaire allora:

— Ma che si deve andare in galera, sangue di Giuda ladro? Ma che si deve morir di fame o andare in galera?

— L’avrai questa soddisfazione! l’avrai!

— Papà!... — fece Nina supplichevole. Poi si rivolse a coloro, con quel suo viso d’Addolorata: — Noi pure non sappiamo come fare a tirare innanzi.... Lo vedete qui!... Siamo cristiani, siamo fratelli vostri. La vita è dura per voi e per noi....

E quante cose non diceva ancora, povera Nina!... della sua vita triste e scolorita, tutta di dovere e di sacrifizio, senza lagnarsi mai, nemmeno con suo padre, che pure le leggeva in viso in quel momento, e ne aveva la stretta al cuore, pur ribattendo: [p. 184 modifica]

— Anche le donne adesso? In quanti siamo a parlare?...

— Parlate voi don Nunzio, che sapete prenderli — disse allora donna Barbara

— So prenderli e lasciarli, secondo quel che vogliono.

— Vogliamo aumentate le paghe, don Nunzio! — rispose risolutamente Matteo.

— Ma io vorrei coprirti d’oro e di pietre preziose, anima mia. È che non posso rovinarmi per la tua bella faccia. La miniera dà sempre meno, e voi volete aumentato il salario!

— Fate crescere il presso degli zolfi e vedrete che le paghe aumentano — aggiunse il barone.

— A questo dovete pensarci voi.

— Per questo siete il padrone.

— Bravo. contàtela a lui, — disse ridendo Rametta. [p. 185 modifica]

Nina gli rispose fremente:

— La contano a lui, dopo che l’avete messo in croce come Gesù Cristo?

— Bel guadagno ci ho fatto colla vostra zolfara! Io non ho più danari da buttarci dentro.

— Vi mancano i denari adesso! — osservò Bellòmo.

— Mi mancano e non mi mancano. Ecco, vi porto una parabola: — Rametta si rivolse a Matteo che era il più riottoso. — Tu sei all’osteria per berne un mezzo. Dici: Quanto questo mezzo? Dice: Tre soldi. Ma tu hai in tasca soltanto due soldi. Allora posi il bicchiere.

— Quest’altra del bicchiere adesso! — borbottò Matteo accigliato e diffidente.

— Non mi capisci. Non ti conviene! — ribattè don Nunzio [p. 186 modifica]soffiando e scrollando il capo. Guardò intorno, cercò, chinossi a raccattare un sasso da terra, e lo mostrò intorno, tenendolo con due dita, come fa il giuocatore di bussolotti: — Ecco, tu hai questo sasso. Io so che lo vorrebbe lui — e accennò col sasso a Nardo che ascoltava a bocca aperta — Spèculo; vediamo, di prendere il sasso a Matteo per guadagnarci qualche cosa rivendendolo a Nardo. Così è il negozio della zolfara, figliuoli miei. Allora gli domando: Compare Nardo, quanto lo pagate questo? Lui risponde: tre soldi....

A quel punto alzò la voce, che era stata sino allora tutta dolce e persuasiva, quasi andasse ora in collera davvero:

- Ma se tu ne vuoi quattro dei soldi, figlio mio, io te lo lascio il tuo sasso! [p. 187 modifica]

E glielo cacciò di fatto in mano, guardando intorno trionfante. Matteo, ch’era stato a vedere dove andasse a parare colla storia del sasso, al vedersi rimasto con quello in mano, scattò, facendo pure l’atto:

— Ora ve la tiro in faccia la parabola!

— Questo non si chiama discorrere — rispose don Nunzio voltandogli le spalle,

Bellòmo ricominciava a gemere e a lagnarsi, con quella faccia gialla, quegli occhi lagrimosi e quelle mani sudice che volevano impietosire la gente:

— Ma io ve l’ho dato il mio lavoro, la mia salute!

— Vent’anni che scavo zolfo sotto terra, e son più povero di prima — strillava pure Nardo, sfoggiando i cenci e la miseria.

— Ma che pretendete infine? Che [p. 188 modifica]m’andate cantando? — gridò alfine don Nunzio perdendo la pazienza. — Sono stato operaio anch’io, come voi. Ho lavorato sino adesso. Ho dato la mia vita e l’anima mia per guadagnarmi quel che ho. Il mio denaro l’ho cavato con queste unghie, sottoterra! E la notte non ho dormito per pensare a farlo crescere! E non ho guardato in faccia a moglie e figli per badare al mio interesse! Un soldo per un sigaro non l’ho mai speso! All’osteria non mi hanno visto....

Stavolta l’avevano fatto uscire dai gangheri davvero! Agguantò Nardo e Matteo pel petto scotendoli, mangiandoseli quasi dalla bile.

— E ora che tu ti sei bevuto il tuo guadagno all’osteria.... e tu te lo sei mangiato con le donnacce... Ora allungate le mani alle mie tasche.... [p. 189 modifica]


*

— Ora ci andate contando la storia del lupo, voi! — disse in quel punto Luciano entrando.

Lisa gettò un grido:

— Luciano! Luciano!

Il barone disse pure, irritato:

— Entra chi vuole oggi in casa mia!... come fosse una piazza!...

— Lo so che non devo metterci piede — rispose Luciano. — Non ci sono mai venuto a chieder nulla....

— Se abbiamo fatto il male.... se vi abbiamo offeso.... adesso perdonateci, padre mio! — aggiunse Lisa nell’angoscia di quell’ora, proprio come se gli parlasse in punto di morte, con un pallore di morte in [p. 190 modifica]viso, e lo smarrimento dell’ultima ora negli occhi sbarrati.

Suo marito la scostò per dir tutto il fatto suo a Rametta:

— Parlo con lui, che prima si è arricchito nella zolfara e ora ci viene a contare le storie.

— Voialtri contatela a lui la storia delle paghe — rispose don Nunzio indicando il barone. — È lui il padrone della zolfara.

— Per ora siete voi che la godete....

Il barone, esasperato, lo interruppe, senza però guardarlo in faccia:

— Vengono i capipopolo a dettar legge in casa mia!

— Rametta ci mangia vivi tutti quanti, vossignoria!

— Vengono a dettar legge se mi piace di farmi mangiare da chi mi pare!... [p. 191 modifica]

— Buon prò vi faccia. Ma anche la roba di mia moglie ha da mangiarsi quel ladro?

— Lascia andare, Luciano, sarà quel che Dio vuole — supplicò la povera Lisa.

— Piuttosto vi appicco il fuoco con le mie mani stesse!

— Sì, sì! — gridarono gli altri di fuori.

— Sono un ladro perchè non ho più denari da farmi mangiare? — rimbeccò Rametta.

— C’è lo zolfo, se non c’è denari.

— Vendetelo, se vi riesce.

— Se non si può vendere lo bruceremo! Bruciamo la zolfara!

— Servitevi — rispose don Nunzio rimasto solo calmo in mezzo alla baraonda. — Io vo alla finestra a godermi la vista.

Stavolta fu il barone che inveì [p. 192 modifica]contro di lui, andandogli addosso coi pugni levati:

— Ah, così la pigliate, don Nunzio?

— Come volete che la pigli, caro barone? Qui c’è cascato l’asino, a voi e a me. Voi tenetevi la vostra zolfara che non dà quello che vorrebbero costoro. Io, per fortuna, ho anche l’ipoteca sul fondo.... Vi lascio la miniera e mi tengo il fondo. Vedremo se bruceranno anche quello.

E buonasera a tutti. Voltò le spalle e se ne andò di sopra nelle sue stanze, chiudendosi dietro l’uscio a catenaccio.

A quest’altra di don Nunzio i rivoltosi si guardarono in faccia l’un l’altro.

— Sentite questa ora!

— Ci giocano alle boccette!

— Ci mandano da Erode a Pilato! [p. 193 modifica]

Nardo gridò infuriato:

— Basta colle chiacchiere!

— Bruciamo la zolfara! — rispose Matteo che dicea per davvero, e si mosse.

Ma Luciano lo agguantò pel petto:

— Ehi? Che fate? Dite sul serio?

— Come, sul serio? Se l’hai detto tu stesso!

— Ho detto di bruciare la zolfara di mia moglie? — gridò Luciano inferocito.

Matteo si svincolò con una stratta, più furioso di lui. Gli altri, che non avevano ne moglie nè zolfara, gli rinfacciavano:

— Volti faccia anche tu? — Tradisci i tuoi fratelli?

— Ma che fratelli! — rispose Luciano afferrando il fucile. — Colla roba mia!

Successe un parapiglia. Le donne [p. 194 modifica]che strillavano, Sidoro che scappava di sopra, Nardo e Bellòmo che vedendo la mala parata, uscivano fuori continuando a vociferare. Matteo gridò a un tratto: — Aspetta! Aspetta — e partì correndo per andare a chiamare i compagni.

— T’aspetto — rispose Luciano piantandosi col fucile sull’uscio; — ma di qui non passa nessuno per arrivare alla zolfara.

— Bravo! — esclamò il barone concitato. — Datemi un fucile anche a me. Sidoro?...

Sidoro stava picchiando e tempestando dietro l’uscio di Rametta:

— E quel poltrone di don Nunzio che si è chiuso dentro!

Il chiarore maledetto dell’incendio tingeva di rosso anche il cielo. E un silenzio di morte in quella rovina. A un tratto si udì una [p. 195 modifica]schioppettata, vicino al burrone, e irruppe un gran clamore minaccioso.

— Ora ci ammazzano tutti quanti! — strillò donna Barbara.

Il barone era sulla soglia del portone, pallido e stravolto in viso, accanto a Luciano — senza parlargli però. Poichè Lisa, spaventata, faceva come una pazza, gridando: “Papà mio!... Luciano!„ egli la respinse ruvidamente, ricacciandola dentro.

— Via di qua! via di qua, tu!

Ma Nina che era lì, accanto a lui, nel pericolo di morte, e diceva di no di no col capo, che voleva restar lì, con suo padre, sclamò con una voce che strinse il cuore a tutti quanti in quel punto:

— No, papà! Non scacciate vostra figlia! Non la scacciate anche in questo momento che è forse l’ultimo per noi! [p. 196 modifica]

— Vuol farsi ammazzare anche lei! — urlò il padre irritato e commosso.

— Non m’importa! È mio marito!


*

La pace venne poi naturalmente come il pericolo incalzava di fuori, e li buttava fra le braccia l’uno dell’altro, stringendoli a difender roba e vita. Luciano, primo allo sbaraglio sulla porta, disse risolutamente, mentre si udiva crescere e avvicinarsi il rumore della folla minacciosa:

— Via! via di qua, vossignoria.

— Tu piuttosto! Pensa a tua moglie! Mettiti almeno al riparo, qui dietro il pilastro.

In quella vera stretta d’ansia e di confusione, quando Sidoro, come un [p. 197 modifica]angelo dal cielo annunziò di lassù: “La forza! Ecco i soldati!„ padre e figli si strinsero nelle braccia gli uni degli altri, don Mondo, tornato da morte a vita, balbettando:

— Figli! figli miei!





fine.