Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VI/Libro III/Capo II

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Capo II – Lingue straniere

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Libro III - Capo I

[p. 1154 modifica]LIBRO Capo II. Lingue straniere.

I. Benchè i greci e i latini antichi scrittori fossero in questo secolo l’oggetto delle ricerche e delle fatiche de’ dotti, e al confronto di quelle due lingue poco venisser curate le altre, non fu nondimeno priva l’Italia di studiosi e diligenti coltivatori delle lingue orientali. Il Concilio di Basilea avea decretato (sess. 19) che in tutte le università dovessero esse insegnarsi pubblicamente. Io non trovo però, che, almen per riguardo all’Italia, ciò si conducesse ad effetto. Non fu dunque che un lodevole desiderio di stender sempre più le proprie cognizioni, che indusse alcuni a volgersi allo studio di queste lingue; e tanto più ò a pregiarsi questo loro disegno, quanto maggior fatica dovette ad essi costarne l’esecuzione per la mancanza in cui erano di mezzi opportuni a soddisfare la loro brama. Facciamoci ad annoverare alcuni di quelli da’ quali sappiamo che coltivate furono le. lingue orientali; e se scarso ci sembrerà il lor numero, esso però sarà tale, che muli’ altra nazione , s’io non m’inganno , potrà produrne altrettanti.

II. Parlando nel capo precedente dello storico Andrea Biglia agostiniano, abbiam provato colla testimonianza di Fra Jacopo Filippo da Bergamo, corrcligioso e quasi contemporaneo di Andrea, eh’egli era uomo dotto nella greca [p. 1155 modifica]TERZO |I55 e nell* ebraica favella; benchè di questa seconda non ci abbia dato alcun saggio. Abbiam parimente fatta altrove (l 2, c. 1, n. 30) menzione di Pietro Rossi sanese, che verso la metà di questo secolo stesso rivoltosi agli studj biblici , premise loro quello della lingua ebraica, e se ne valse a scrivere sopra i sacri libri ampj ed eruditi comenti. La stessa lode abbiam parimente (l. 1, c. 4; n 12 l. 2, c. 1, n. 28) osservato attribuirsi dagli scrittori di que’ tempi a Vespasiano fiorentino e a Pietro Bruto veneziano autor di qualche opera contro gli Ebrei. Anzi questo studio som lira che in Venezia più che altrove fiorisse felicemente. Perciocchè il P. degli Agostini colle testimonianze di autori di que’ tempi dimostra che Marco Lippomano, Daniello Rinieri, Paolo Albertini servita, e Sebastiano Priuli arcivescovo di Nicosia erano in essi versati (Scritt. venez. t. 1, pref. p. 42), e oltre di essi Lauro Querini (ib. p. 226), Paolo Morosini (ib. t. 2 , pr 179), e Paolo da Canale (ib. p. 549). Firenze ancora furono questi studj in onore. Poggio fiorentino trovandosi al concilio di Costanza si diede ad apprendere la lingua ebraica (Ejus Op. p. 297). Dello studio fatto da Giovanni Pico dalla Mirandola delle lingue ebraica, caldaica ed arabica abbiam già favellato a suo luogo. Negli Annali forlivesi pubblicati dal Muratori si fa menzione di un Palmieri (Script. rer. ital. vol. 22, p. 239), di cui si diceche ne’ lunghi e diversi suoi viaggi apprese le lingue greca, ebraica, caldaica e arabica; e che per frutto di tale studio scrisse una dottissima [p. 1156 modifica]II56 LIBRO opera sopra l’Incarnazione del Figliuolo di Dio:Palme riunì nostrum maria transeuntem , Graecosque et Hebraeos, Chaldeos, Arabes consules (l. consulentem) eorum linguas didicisse le gì mas. Jlinc cniin de incarnato Deo elegantissimum opus contra Hebraeos laude dinium compilavit, et eruditissimis rationibus comprobavit. Ma chi è questo Palmieri? Due ne abbiam nominati nel parlar degli storici, JMatteo e Mattisi 7 fiorentino l’uno, l’altro pisano; di niun de’ quali si dice che o viaggiasse nell’ 0riente, o che scrivesse opera alcuna intorno all’Incarnazione. Chi sia questo Palmieri da Forlì, io non ho lume a conoscerlo, e molto più che niuna menzione ne fa il cavaliere Viviani Marchesi nella sua opera de’ celebri Forlivesi. Jacopo Volterrano nel suo Diario all’anno 1481 racconta (ib. vol. 23, p 230) che nelle sacre funzioni del venerdì santo tenute in Roma nel Vaticano recitò un’orazione sopra la Passione del Redentore un cotal Guglielmo siciliano , uom dotto nelle lingue greca , latina ed ebraica, e che molte testimonianze addusse degli scrittori ebrei ed arabi nella propria lor lingua; e aggiugne che questi era già stato ebreo, e riputato gran maestro tra essi; che quattordici anni prima rendutosi cristiano, avea giovato non poco a convincere l’ostinazione giudaica; c clic f orazion da lui detta , benchè durasse due ore, piacque nondimeno assai al pontefice e ai cardinali. Abbiam veduto innoltre che Andrea Mongaio si trasferì a Damasco per apprendervi la lingua ebraica , e che di questa si valse a correggere ed illustrare le opere [p. 1157 modifica]TERZO II5^ cTAvicenna; il che pur fece Girolamo Ranusio medico veneziano, che verso’ ’l 1483 recatosi a Damasco nella Siria, e studiata quella lingua, tradusse poscia in latino quasi tutte V opere d’Avicenna; intorno a che e ad altre opere di Girolamo veggasi il ch. P. degli Agostini (Scritt. venez. t’ 2 , p. 433 , ec.). Finalmente il marchese Maffei parlando di Virgilio Zavarisi giureconsulto e poeta veronese, pruova eli egli oeenpossi nello studio della lingua ebraica c delf arabica (*) (Ver. ill. par. 2 , p. 211).

III. Nii.»;o però andò tanto innanzi in questi difficili studj, quanto Giannozzo Ma net li, uno de’ più dotti uomini di questo secolo, e uno de’ più chiari ornamenti della città di Firenze. Naldo Naldi, da noi mentovato nel precedente capo , ne ha scritta lungamente la Vita, la quale è stata data alla luce prima nella collezion del Burmanno, poscia in quella del Muratori (Script. rer. ital. vol. 20, p 527), e noi ne trarremmo in breve le più importanti notizie. (*) Fra i ctoni nelle lingue straniere decsi anche annoverare Giulio Campagnola padovano, e con lode lanlo maggiore, ipianio p.ù tenera era l’età in cui egli le apprese. Il celebic Malico Bosso in una sua leilrra scritta a Girolamo «li Ini padre, che glielo nvpa dato ad ammaestrare, ne fa grandi elogi direi.do (Epist. poster, p. 86) ehe in età di soli tredici anni possedeva e parlava le l.ngue greca e latina; c clic indi a non mollo apprese sì pei fellamente 1’ 1 braica. «he pareva che essa eli fesse natia; rammenta anioni il raro talento che avea per la pittura; e dice che grandi co^e sene aveano a sperare, «piando egli avesse avuta lungu vita. Ma o egli non l’ebbe, o a sì liete speranze non corrisposero poi i frutti. [p. 1158 modifica]Ii 58 LIBRO Nacque Giannozzo in Firenze a’ 5 di giugno ld 13t)6 da Bernardo Manetti di antica e nobil famiglia, e da Piera Guidacci. Destinato dal padre alla mercatura, non fu dapprima istruito che nella lingua italiana e nell* aritmetica; e in età di dieci anni fu posto presso un banchiere , da cui vennegli confidata la cura de’ libri. Ma annoiatosi presto di tali impieghi, tutto si volse alle lettere ed alle scienze, e non ve n’ebbe alcun genere che non fosse da lui coltivato. Istruitosi in poco tempo nella gramatica e nella rettorica , si applicò alla dialettica; e di gran vantaggio gli furono in questo studio le dotte adunanze che , come altrove abbiamo detto , soleansi allora tenere nel convento de’ Romitani di S. Spirito. Nell’etica ebbe a suo maestro Vangelista da Pisa , nella fisica e nella melalisi ca Girolamo da Napoli. Studiò ancora la teologia , e gran piacere prendeva singolarmente nella lettura di S. Agostino) e apprese innoltre la geometria sotto un certo Giovanni, che in Firenze tenea scuola d’aritmetica. Finalmente alla scuola d’Ambrogio camaldolese s1 istruì sì bene nel greco, che presa f Etica d’Aristotele, la tradusse sul campo in latino, leggendola sì velocemente, che un altro , il qual leggevala già tradotta, non potea seguirlo, In questi studj passò nove anni con tale applicazione, che essi formavano l’unico suo pensiero e ’l suo solo trastullo. Prese poscia a dar saggio del suo profitto in alcune pubbliche dispute; e parlando di Leonardo Bruni, abbiam veduto ciò che in v una di essa con lui gli avvenne. Ei volle finalmente sapere ancora la lingua ebraica) e [p. 1159 modifica]TERZO I! condottosi perciò in casa un Ebreo, per due anni se gli diede a scolaro. Si avanzò ancora maggiormente nello studio di questa lingua sotto un certo Manuello, con cui cinque ore ogni giorno andavasi esercitando. Per ultimo presi in sua casa due Greci e un Ebreo, patteggiò con loro clf essi gli parlassero sempre nella natia lor lingua; e in tal maniera si rendette egli amendue quelle favelle sì famigliari, che ne usava parlando non altrimente che se gli fosser natie. La fama d’uomo dottissimo, ch’egli con ciò ottenne, il fece sceglier da’ Fiorentini a spiegare pubblicamente nelle loro scuole l’Etica d’Aristotile, nel qual esercizio egli ebbe molti scolari, che furon poscia celebri per dottrina , e fra gli altri Angiolo Acciainoli.

IV. Giunto all’età di trentacinque anni, ad istanza de’ suoi parenti ed amici prese in moglie , Alessandra Giacomina Tebalducci, e n’ebbe tre femmine e quattro maschi, tra’ quali Angiolo singolarmente imitò gli esempj paterni, e si rendette egli ancora famoso nello studio delle lingue latina, greca ed ebraica. Fu poscia Giannozzo dalla Repubblica onorato di ragguardevoli cariche. Egli deputato più volte a presiedere al pubblico Studio, il quale sotto di lui fu più che in altri tempi fiorente ed illustre; egli mandato più volte in solenni ambasciate a’ Genovesi, al re Alfonso, a Francesco Sforza, ad Eugenio IV, a Niccolò V, a Giovanni Carvajal legato pontificio , a Sigismondo Malatesta , a Federigo duca d1 Urbino, a’ Sanesi, a’ Veneziani, a Napoleone degli Orsini, aH’iinperador Federigo III; e in tutte queste occasioni ei [p. 1160 modifica]11 (3o LIBRO diede tal saggio e di destrezza nel maneggiare gli affari, e di eloquenza nel ragionare, che fu l’oggetto della comun maraviglia) e il re Alfonso fra gli altri ne fu sorpreso, e ricolmollo di grandissimi onori, come abbiamo altrove veduto. Egli per ultimo sollevato in Firenze a’ più onorevoli magistrati , e inviato al reggimento di altre città, e di Pistoia singolarmente, fece a tutti ammirare la sua integrità non meno che la sua prudenza. Un uom sì raro, in cui tutte le più belle virtù vedeansi mirabilmente congiunte , pareva che esser dovesse l’idolo della sua patria. E nondimeno ei non fu esente da quella invidia che con tanto maggior furore si scaglia contro gli uomini dabbene, quanto più essi nimici son d* ogni vizio. Sotto pretesto di una tassa da imporsi a’ cittadini, Giannozzo fu così aggravato, eli’ ei si vide costretto ad uscir da Firenze, e a ritirarsi in Roma presso il pontefice Niccolò V, da cui ebbe quell’onorevole accoglimento che un uom sì dotto poteva da un tal pontefice aspettarsi. Citato a tornare in Firenze sotto pena di esilio, e inviatovi per maggior sicurezza da Niccolò col carattere di suo ambasciadore, ei rapì talmente gli animi di tutti, che venutovi quasi a guisa di reo, fu di unanime consenso eletto a uno de’ più ragguardevoli magistrati. Finito il tempo della sua carica, e ottenutane licenza dalla Repubblica. tornossene a Roma, ove dal pontefice Niccolò V fu dichiarato suo segretario colf annuale stipendio di 600 scudi d’oro. Morto poi Niccolò, Callisto III gli confermò lo stesso impiego e lo stesso stipendio. Ma Giannozzo recatosi [p. 1161 modifica]TERZO ll6l a Napoli per suoi affari , il re Alfonso non volle di’ ei più ne partisse, e non sol gli assegnò 900 annui scudi d’oro, ma giunse perfino a dirgli che se un sol pane gli fosse rimasto, ei l’avrebbe con lui diviso. Tre anni stette Giannozzo in Napoli, e fu questo il tempo in cui compose la maggior parte delle sue opere, delle quali ora diremo. Rivide in questo tempo una volta la sua patria e i suoi e di nuovo partitone fra ’l comun pianto, e tornato a Napoli, ivi finì di vivere a’ 26 d’ottobre del 1 ^* uomo veramente grande, e per maturità di senno, per innocenza di costumi, per amabilità di maniere , per ampiezza d’erudizione non inferiore ad alcuno de’ suoi contemporanei, ca cui pochi eguali si troveranno ancor nella storia di tutti i secoli.

V. Lo studio della lingua ebraica fu quello per avventura che, essendo allora assai raro, rendette più f.mioso il Manetti. Ei ne diede pruova fra le altre occasioni in una solenne disputa , come racconta il Naldi, da lui tenuta alla presenza di Sigismondo Malatesta signor di Rimini con alcuni Ebrei, i quali ricorrendo per lor difesa a’ libri originali della sacra Scrittura , e dolendosi che le versioni latine non fosser fedeli, Giannozzo leggendo e interpretando i libri medesimi, confutò le loro opinioni , e gli strinse per modo, che fu lor forza l’arrendersi e darsi vinti. Più bella testimonianza ancora egli diede della sua perizia nella medesima lingua col traslatare dall’ebraico in latino tutto il Salterio. Nel che essendo egli ripreso, perchè si fosse accinto a una inutil fatica % [p. 1162 modifica]I LIBRO dopo le traduzioni che già si aveano (de’ Settanta e di S. Girolamo, egli a mostrare qual diversità passasse tra la sua e le altrui versioni , divise l’opera in tre colonne, ponendo nella prima la version dei Settanta, nella seconda quella di S. Girolamo, la sua nella terza; e aggiunse inoltre un’apologia in cinque libri divisa di questa sua traduzione. Essa fu da lui dedicata al re Alfonso, e dobbiamo dolerci eli’ essa nè sia mai stata stampata, nè alcuna copia, ch’io sappia, se ne conservi. Un' opera finalmente in dieci libri egli scrisse contro gli Ebrei, che conservasi manoscritta nella Laurenziana (a). Non meno che nell’ebraico, era Giannozzo dotto nel greco, e il fece conoscere nella versione del Nuovo Testamento, e di alcune opere d’Aristotele e d’altri antichi filosofi. Di queste versioni parla minutamente Apostolo Zeno (Diss. voss. t. i , p. 170, ec.), il quale ci ha dato un esatto catalogo di tutte le altre opere del Manetti. Fra queste abbiamo alla stampa la Storia di Pistoia, e la Vita di Niccolò V da noi già mentovata, le Vite di Dante, del Petrarca e del Boccaccio date in luce dal1’abate Meluis, 1’Orazion funebre di Leonardo Bruni, premessa dal medesimo alle Lettere di (a) Nella Vita del Manetti pubblicata dal Muratori si dice che ai dieci libri scritti contro i Giudei, due altri poscia egli ne aggiunse. Anzi egli stesso, nella sua Vita di Niccolò V data in luce dal medesimo Muratori, afferma (Script. Rer. ital. t. 3, pars 2, p. yi’ j) che un’opera in veuti libri avea preso a scrivere contra i Giudei e i Gentili: Primum erat in'ens (fuoddam xx librorum Volumen quod adversus Judaeos et Gentes pro Catholica fide.,. institueramus.

questo dotto scrittore, quattro libri intitolati De dignitate et excellentia hominis, alcune orazioni , oltre più altre opere che dallo stesso Zeno si annoverano, le quali si hanno sol manoscritte , o più non si trovano. Bartolommeo Fazio, che a ragione gli ha dato luogo nel suo Dialogo degli Uomini illustri (p. 19), gli attribuisce ancora un’altra opera, di cui niuno fa motto, cioè De Religione libros viginti quatuor. Francesco Filelfo, che pur non era l’uomo il più liberale di lodi verso gli altri eruditi, di Giannozzo nondimeno ebbe altissima stima, come danno a vedere parecchie lettere che egli scrisse (l. 5, ep. a5, l. 7 , ep. 3 ,• l. 13, ep. 51). Un bell’elogio ne fa ancora Paolo Cortese , benchè insieme saggiamente rifletta che l’aver lui voluto abbracciare ogni sorta di scienza, non gli permise l’essere perfetto in alcuna; e che perciò non ne era rimasto presso dei posteri sì gran nome, quanto pareva convenirglisi (De Homiu. doctis, p. 19). Sed multum duo doctrina praestiterunt, Jannotius Manettusj et Baptista Albertus, quorum alter unus omnium doctissimus putabatur, alter etiam in Architectura disertus fuit Sed in Jannotio admirabile quoddam studium omnium doctrinarum fuit.; sed nescio quo pacto sit hujus sumni viri quam aliorum paullo ante dictorum nomen obscurius. Ex quo profecto intelligi potest, plus valere ad famam et celebritatem nominis unius simplicis generis virtutem absolutam, quam multa annexa genera virtutum non perfectarum (*). (*; 11 eli. P. abate Mitlarelli ha data in luce l’orazione [p. 1164 modifica]

    • 84 LIBRO

VI. Ma assai maggior numero di coltivatori ebbe fra noi in questo secolo la lingua greca. Il Petrarca e il Boccaccio avean già tentato di rinnovarne lo studio, e Barlaamo e Leonzio Pilato avean cominciato a farla conoscere come nel secolo precedente si è veduto. Ma la breve dimora da essi fatta in Italia aveane bensì risvegliata in molti la brama, ma non avea permesso ad alcuno di soddisfarla. Era dunque necessario di trasportarsi fin nella Grecia a chi voleva apprendere quella lingua; e perciò vedremo a suo luogo che Guarin veronese, Francesco Filelfo, Giovanni Aurispa, e più altri navigarono a tal fine a Costantinopoli. Ma troppo lungo e dispendioso era tal viaggio; e molti che avrebbero volentieri appresa la lingua greca, se ne avessero avuto agio nella lor patria , eran costretti a deporne il pensiero, non avendo mezzi a intraprendere cotale navigazione. Ebbe finalmente l’Italia la tanto bramata sorte di aver pubbliche cattedre di questa lingua; ed ella ne fu debitrice alle venture de’ Greci, che indussero alcuni di essi ad abbandonare l’infelice lor patria , e a ritirarsi tra noi, ove speravano, e ritrovaron di fatti, sicuro ed onorato ricovero (a). Il primo tra essi fu Manuello Grisolora, che Ginnnozzo Manetti recitò ni pontefice Niccolò V, quando fu ad esso mandato , insieme con altri ambasciadori, dalla Repubblica di Firenze; e ci dà insieme notizia di alti e opere del Manelti , cbe si conservano mss. nella biblioteca di S. Michele di Murano. (liibt. AISS. S. Midi. Vene!, p. 71‘i). (a) Un bel passo intorno al fervore degli Italiani del secolo xv nel coltivare la greca letteratura, e a‘ Greci [p. 1165 modifica]I TER*o 1165 a cui propriamente si dee la lode di aver fatto rifiorire in Italia lo studio di questa lingua; che in ciò furono loro maestri, abbiamo nel proemio premesso da Costantino Lascari a un codice della sua Grammatica greca, che si conserva nella real biblioteca di Madrid, c che è stato pubblicalo dall emditiss. D. Giovanni Iriarte custode della medesima (R. Bibl. Matrit. Codd. graec. t. 1, p. 186, ec.). Ed esso merita di essere qui riportato parte a conferma , parte ad illustrazione delle cose in questo capo affermate. Dopo avere il Lascari ragionato delle antiche Gramatiche greche, e di quella singolarmente di un certo Moscopulo, così continua: Manuel vero Chrysoloras vir studiosus relicta patria in Italiam venit, primusque Italos nostra edocere aggressus Epitomen amplitudine mediam composuit, qua Italos non paucos Florentiae instituit, Leonardum nempe illum et Carolum A reti nos, pium Ambrosium , Ugarinum (forse dee leggersi Guarinum), Philelphum aliosque plurimos , qui tantum e Graecis litteris fructum perceperunt, ut non modo didicerint docuerintque, sed etiam multa nostra in Romanam lingua converterint. Anni autem circitet octeginta sunt (il Lascari scriveva nel 1488) cum Itali Graeco sermone ile gustato , Graecis litteris, et amplius ac diligentius Latinis operam navare, non desistunt. Nam post Graecum sermonem suam ipsi linguam jam olim incuria deperditam utilibus libris denuo emendatis instaurarunt. Mirifice vero Florentia tamquam Metropolis, ex quo habitum ibi Concilium, eluxit , cum Graecis Bibliothecis constituendis, tum doctis scriptoribus pacta mercede afficiendis. Quam plurimae Italorum urbes imitatae Graeci sermonis partecipes factae sunt, plurimis etiam Graecis hominibus disertis propter calamitates eo profugientibus , litterasque ibi docentibus, sapiente videlicet Joanne Argyropulo Magistro meo Patavii primum , deinde post patriae expugnationem Florentiae sub clarissimo Viro Cosma Medice , item sub Petro Laurentioque, tum optimo Theodoro Gaza in multis Italorum Tihaboscii! , Fui. FIII. 33 [p. 1166 modifica]1166 LIBRO e di lui perciò dobbiani rjiu cercare diligenleuieuLe. Molto ne hanno scritto molti scrittori 7 e fra gli altri monsignor Domenico^Giorgi nella Vita Hi Manuello (Calcg. Rate, d Opiisc. L 25, p. 243, ec.), il Bocmero (De tlocL Homin. graec. p. 1, ec.), l’abate Mebus (Vita A udir, camalli. p. 353, ec.), e più diligentemente di lutti il eh. abate Francescaiitonio Zaccaria (Bibl. di Stor. leder. t. 3, par. 2, p. 440 » ec.). Ma forse non si è ancor rischiarato abbastanza ciò che a lui appartiene, e io mi riputerò felice se alle ricerche di tanti uomini dotti mi verrà fatto di aggiugnere qualche nuovo lume. VIL Era il Grisolora nato in Costantinopoli verso la metà del secolo xiv di nobile e antica famiglia, come afferma Guarin veronese in Civitatibus , ac demum Romae tempore sapientis Ressa» ionis Cardinalis, ubi Grammaticam in IV libros distributam optime concinnavit, Franculio vero Venetiis, Andronico Callisto in multis a;que etiam Bononiae , Demetrio Castreno Ferrariae, et Chalchondyla Patavii ac Florentiae, aliisque alias urbes incolentibus Graecus effloruit sermo, non Graecis modo sed Italis eum edocentibus, adeo ut nostra nescire pudor esset, magisque eorum sermo in Italia quam in Graecia ob continuas gentis calamitates vigeret. Et ni sciolorum invidia et potentium illiberalitas prohibuisset, omnia Graecis: litteris plena aevo nostro veluti veterum longe mirabilium Romanorum temporibus evasissent. Ragionando poi nuovamente delle Grammatiche e de’ compendj di esse e di quella di Moscopulo , di esso dice: quam ipse a Creta Mediolanum venisset sub Principe Sfortia. a quo etiam ego mercede donatus sum. E poscia: per Epitomas autem semper docui tum Mediolani tum Neapoli et Messanae in Sicilia, multos adjuvans et Graecos et Latinus [p. 1167 modifica]TEUZO ^ I 167 una lettera pubblicata dal detto monsig. Giorgi (l.cit.p. 298). Sembra probabile ch’ei tenesse scuola nella suddetta città , e ivi certamente ei fu maestro del suddetto Guarino, come a suo luogo vedremo. Più difficile è a definire quando ei passasse in Italia-, nel che discordano molto i citati scrittori, affermando altri che ciò avvenne nel 1393, e differendolo altri al 13t)(3, o ancor più tardi, per tacere dell’anacronismo gravissimo di coloro che il fanno partire da Costantinopoli, dappoichè quella città cadde in mano de’ Turchi. Io non entrerò in un noioso esame delle diverse opinioni 5 ma dopo aver proposto la mia, e confermatala, per quanto a me sembra, co’ più autentici monumenti, lascerò ad ognuno il decidere come meglio gli piaccia. Io penso dunque che Manuello due volte venisse in Italia, e la prima fu nel 1393 all’occasion dell’assedio che i Turchi posero a Costantinopoli, secondo il Leonclavio (Ana. Sultan. l. 5). Venne allor Manuello a Venezia , e vi venne inviato dall” imperador Manuello Paleologo per chieder soccorso a’ principi cristiani a difesa del vacillante suo impero; giacchè di questa prima venuta sembra che debba intendersi ciò che dice Andrea Giuliano nell’Orazion funebre del Grisolora pubblicata da monsignor Giorgi (l. cit. p. 330): Quanta fide, (pianta iute grifate mtionis pecnniam ex Europa ex ac tafn, qua/n totani pene illustravit, cum ex Bysantii obsidione legatus ad i/sius Prìncipes mi ss us esse/, Imperatori suo designavit! E continua dicendo che invitato allora da molti principi italiani a trattenersi con loro, rigettò le [p. 1168 modifica]1168 libro loro offerte, e volle far ritorno alla patria. È certo dunque che.Manuello fu dalf imperadore mandato in Italia, e agli altri principi d’Europa, e che. eseguita la sua commissione, tornossene a Costantinopoli; e deesi perciò questo viaggio necessariamente distinguere dall’altro ch’ei poscia intraprese chiamato da’ Fiorentini. In questa occasione venne Manuello a Venezia , e con lui vennevi quel Demetrio Cidonio nel precedente tomo da noi mentovato (p. (375), Così raccogliesi da una lettera di Coluccio Salutato allo stesso Demetrio, pubblicata dall’abate Mehus (L cit. p. 356), dalla quale ancora apprendiamo che Roberto Rosi fiorentino trasferissi a Venezia per apprendere da sì valorosi maestri la lingua greca. Colà recossi al medesimo fine Jacopo d’Angiolo, natio della Scarperia nella valle di Mugello, il qual poscia, tornando i due Greci a Costantinopoli, unissi con loro, ed andossene in Grecia. E questi è quel Jacopo d’Angiolo che fu poscia competitore di Leonardo Bruni nella carica di segretario apostolico, e che vinto allora dal suo emolo , fu poi nondimeno onorato del medesimo impiego, e di cui abbiamo più traduzioni dal greco annoverate con altre opere del medesimo dall’abate Mehus (Vita Jac. Ang. ante Ep. Leon. Dathi) e dal conte Mazzucchelli (Scritt, ital. t. 1 , par. 2 , p. 764 , ec.). Questo secondo scrittore, seguendo il comun sentimento degli altri, crede che il viaggio di Jacopo in Grecia seguisse verso il 1399. Ma egli è certissimo che Jacopo era in Costantinopoli, quando il Grisolora fu inviato a Firenze; ed [p. 1169 modifica]TERZO I) (x) è certissimo che questo invito fu fatto al Grisolora nel 13f)G. Amendue queste asserzioni comprovansi ad evidenza da alcune lettere del sopraddetto (Coluccio pubblicate dall1 abate ÌMehus (l. cit). Perciocchè questi scrivendo al Grisolora, e pregandolo ad accettare l’invito fattogli di recarsi da Costantinopoli a Firenze, scrisse insieme a Jacopo, perchè a ciò determinasse il Grisolora; e che amendue fossero allora in Costantinopoli, ricavasi chiaramente da molti passi, e da quello fra gli altri, in cui scrivendo al Grisolora così gli dice: quum tanto maris tractu, tamque vastis dirimamur ferrar uni excursibus, quod vix bis in anno possimus 7ws li.teris visitare. Che poi queste lettere appartengano al marzo del 13t)G, pruovasi dal medesimo abate Mehus con altri passi delle lettere stesse, e più chiaramente ancora da quella di formale invito scritta da Coluccio al Grisolora, pubblicata da monsig. Giorgi {l. cit. p■ 15o), e che è segnata ai 28 di marzo del detto anno. In essa vien invitato il Grisolora a tener cattedra di lingua greca in Firenze per dieci anni colf annuale stipendio di 100 fiorini J e insieme viene avvertito che , se non troverassi in Firenze nel primo di gennaio seguente, questa elezione si avrà in conto di nulla. Vili. Verso la fine adunque del 13(^6, o al cominciar dell* anno seguente fu il Grisolora in Firenze, e cominciò a tenervi pubblica scuola di lingua greca; e la gloria di averlo colà condotto dovettesi singolarmente a Coluccio, a Jacopo d1 Angelo, a Roberto Rossi mentovato poc’anzi, a Niccolò Niccoli, a Palla Strozzi c [p. 1170 modifica]i 17 LIBRO ad Antonio Corbineili, come pniova l’ab. Meliti* (l. rii. p. 36o). Alcuni han differita la venuta di Manuello a Firenze lino all1 anno 13v)tj, o al precedente. Ma qualunque pruova da essi se ne adduca, è troppo forte in favor nostro l’autorità di Giannozzo Manetti scrittore contemporaneo e fiorentino, il (quale nella Orazion funebre di Leonardo Bruni afferma (praef. ad Epist Leon. aret. p. 94) che circa tre anni ei si trattenne in Firenze, e che ne partì per andarsene al suo imperadore che era venuto a Milano: Quum itaque in hujusmodi Graecarum litterarum studiis (alla scuola di Grisolora) tres circìter annns conlrivisset— Chrysoloras ìpse e Fiorenti a Mediolatium ad Imperato rem snum, qui e Graecia in Italiam profectus ibidem commorabatur, se contulisse dicitur. Or la venuta dell’imperador Manuello a Milano accadde al principio del 1400 (Corio, Stor. diMil. ad li. a.; Gin lini, Contiti, delle Mem, milan. t. 3, p. \ 5), donde passato poi oltramonti, e trattenutovisi lungamente, e tornato in Italia, venne a’ 22 di gennaio del 1403 a Genova, come abbiam negli Annali di Giorgio Stella (Script. rer. ital. vol. 17, p. 1196). La qual epoca della partenza da Firenze del Grisolora confermasi ancora più chiaramente dal passo da noi recato nel favellare di Leonardo Bruni (V. cap. 1, n.24). Battista Guarino, figliuolo di Guarin) veronese, in una sua lettera citata da monsig. Giorgi (l. cit p. 280) , afferma che Giangaleazzo Visconti bramoso da lungo tempo di aver presso di sè un uom sì celebre, si prevalse del favorevole incontro che gli offerse la venuta dell’imperadore [p. 1171 modifica]ìtmo i 11*1 a Milano, e che per mezzo di lui ottenne che il Grisolora da Firenze colà si recasse. Se crediam nondimeno a Leonardo Bruni, quello stesso Niccolò Niccoli che tanto erasi adoperato per averlo in Firenze, fu egli medesimo che divenutogli mortal nimico, il costrinse a partirsene (V. Mehus, l. cit. p. 32). Già abbiam veduto nel parlar del Niccoli, che il Bruni e il Filelfo gli rimproverarono e questa ed altre somiglianti azioni indegne d’uomo onesto e di buon cittadino; ma abbiamo insieme veduto che le loro accuse non sono abbastanza fondate. Qualunque fosse il motivo per cui il Grisolora partì da Firenze molto prima che si compiessero i dieci anni stabiliti, è certo ch’ei venne a Milano, ed ivi tenne scuola di lingua greca, come dimostra il Sassi colla testimonianza di Francesco Filelfo De Studiis mediol. c. 8), il quale essendo in Milano, e avendo avuta in moglie una nipote di Manuello, dovea in ciò essere ben istruito. Altri scrivono ch’ei fu professore in Pavia, e pare ch’egli vi fosse, poichè il Parodi ne fa menzione, benchè per errore ciò si assegni al 1370 Elench. Act. Gymn. ticin. p. 135). Breve però fu ancora il tempo che il Grisolora passò in Milano, o in Pavia. Una lettera da lui scritta nel dicembre dell’anno 1404 al pontefice Innocenzo VII, citata dal P. degli Agostini (Scritt. venez. t. 2, p. 35), ci pruova ch’egli era allora in Venezia ambasciadorc dell1 imperador ManueUo, e di là poscia dovette passare collo stesso carattere a più altre corti. E prima che in Venezia par ch’ei fosse in Roma; poiché il Lanibccio [p. 1172 modifica]1 *73 LIBRO dimostra (De Bibl. Caes. l.6.p.2~C) eli ei vi venne la prima volta a’ tempi di Bonifacio IX, morto nell ottobre deiranno 1404. Una lunghissima lettera da lui scritta a Giovanni figliuolo dell* imperador Manuello è stata pubblicata il;iT suddetto Lambecio (Ad calcem Codin, de Antiq. CP. ed. Paris. i(355), in cui ei fa il confronto di Roma con Costantinopoli, e in essa ei dice che due anni prima era stato in Londra Londini in Britannia... ante biennium me hac comitatu meo praesente et spectante. Questa lettera non ha data, e sol si vede ch’ella è scritta da Roma5 ma monsignor Giorgi cita una lettera di Guarin da Verona al Grisolora (l. cite p. 276) de’ 4 di ottobre del 1.^08, in cui risponde al suddetto confronto che il Grisolora gli avea mandato, e ci persuade con ciò, che questi non molto prima lo avea scritto; e che il viaggio da lui fatto in Inghilterra dovette essere nell’anno 1406, o nel precedente. Al principio del 1408 egli era in Italia, e in Venezia. perciocchè abbiamo una lettera di Leonardo Bruni a Piero Miani (l. 2, ep. 15), che, benchè non abbia data, fu certamente scritta nel gennajo del 1408, perciocchè in essa dice che in quel giorno erasi determinato che il pontefice Gregorio XII passasse da Siena a Lucca; e ciò accadde appunto nel tempo sopraccennato. Scrive adunque Leonardo al Miani, cli’ei gli invidia la sorte di esser già da gran tempo in Venezia insieme col Grisolora, il quale perciò è costretto a differire la sua venuta alla corte del papa: Vix tamen est, ut non invideam felicitati tuae, qui Manuelem Chrjsoloram virimi [p. 1173 modifica]TERZO n«3 optimum tamdiu Venetiis distineas, ejusque adventum in curiam retardes. Un codice che si conserva nel monastero- di S. Dionigi presso Parigi, citato dal Montfaucon (Palaeograph.graec. p. 56) , sembra persuaderci che nello stesso anno 1408 il Grisolora fosse a Parigi; perciocchè al fin di esso si legge: Hic liber missus est a celsissimo Imperatore Romanorum Domno Manuello Palaelogo in Monasterium S.‘ Dionjrsii Parisiis in Francia si ve Gali in ex Costantinopoli, per me Manuelem Chrysoloram missum Oratorem a praefato Imperatore anno a Creatione Mundi 6916, ab 1ne amai ione Domini 1408, qui dictus Imperator ante annos quatuor Parisios venerat. Ma in questa data io sospetto d’errore. L*imperador Manuello giunse a Parigi a’ 3 di giugno del 1400, e vi si trattenne due anni (V. Hist. de l’Eglise de France par le P. Berthier, t. 36, p. 44)- I,‘mi modo adunque potevasi dire nel 1408 che quel sovrano fosse venuto a Parigi quattro anni prima; e io credo perciò, che debba leggersi il 1405, o il 1406, il che concorda ottimamente con ciò che poc1 anzi abbiati! detto.

IX. È assai verisimile che da Venezia il Grisolora passasse a Roma, ove in fatti abbiam veduto che in quest’anno egli scrisse la detta comparazione, e ove ancora per testimonianza di Bartolommeo Fazio (De T ir. ili. p. 8) ei tenne scuola. Ma un’altra ambasciata affidatagli dal pontefice non gli permise di fare ivi pure lungo soggiorno. Ei dovette per essa tornarsene a Costantinopoli con lettere del papa a quel patriarca Matteo, nelle quali probabilmente [p. 1174 modifica]1 1 74 LIBRO trutta vasi della riunione L)i questa ambasciata abbiamo espressa menzione presso Demetrio Sguropulo, il quale afferma (Hist Conc. Florent. sect. 2, c. 7, p 5) che Manuello venne perciò a Costantinopoli gli ultimi giorni della vita del mentovato patriarca, e che nell’archivio di quella chiesa si conservano ancora le lettere del papa da lui recate, e le risposte del patriarca Matteo, il quale, secondo il Lambecio Bibl. caes. l. 8,/;. 5 28), morì nel 1408. Ma il P. Banduri (Imper. orient t. 2, p. 589) e il P. le Quien (Oriens christ. t. 1, p. 305) sostengono che ciò avvenne nel 1410, alla qual sentenza si mostra favorevole anche il P. Cupero (Ifist. Putriti refi. CP. ante t. 1 A et. SS. Aug. p. 174). E seni- ‘ bra perciò, che questa ambasciata debbasi attribuire ad Alessandro V che fu pontefice dal giugno del! 1409 fino al maggio dell' anno seguente. Poichè il Grisolora fu tornato in Italia, parmi probabile el11 ci proseguisse a vivere nella corte di Roma presso Giovanni XXIII, il quale inviando nel 1413 due cardinali legati all’imper ad or Sigismondo per determinare ove tener si dovesse il concilio generale, diede loro il Grisolora a compagno (V. Raynald. Ann. ccc.l. ad an. 1413, n. 22). Dallo stesso pontefice fu poi inviato al sinodo di Costanza, ove a’ 16 di aprile del 1415 finì di vivere, e fu ivi sepolto con un1 onorevole iscrizione di Guarino da Verona, la quale si può vedere presso gli scrittori quasi tutti che ragionano del Grisolora. Degne ancor sono d’essere lette e le Epistole dello stesso Guarino, in cui ragiona della morte di Manuello, e l’Orazione funebre che [p. 1175 modifica]TERZO i|-5 in Venezia ne recitò Andrea Giuliano; i quali monumenti sono stati pubblicati dal sopraccitato monsignor Giorgi. Egli ebbe un figlio detto Giovanni, nel che grave è stato l’errore del Boernero che ha affermato (l.cit. 18) niun figliuolo aver avuto il Grisolora, e Giovanni essergli stato solo parente. La lettera che Guarino gli scrisse per consolarlo della morte del padre, è troppo evidente argomento a distruggere tale opinione. l)i lui, come pure di Demetrio Grisolora, parente di Manuello, parla il Fabricio (Bibl. graec. t.10, p. 3i)3), il quale accenna innoltre le opere del medesimo Manuello. Di queste ancora ragiona il Boernero, e assai più esattamente il soprallodato ab. Zaccaria. Poche però se ne hanno alle stampe, e la più nota è una Gramatica greca da lui composta. Si conservano ancora manoscritte non poche lettere, e un trattato da lui composto sopra la Processione dello Spirito Santo, in cui egli si scruope fedele seguace de’ dogmi della Chiesa romana (a).

X. Io mi sono alquanto diffuso nel ragionar del Grisolora, poichè mi è sembrato degno di più distinta memoria un uomo che si può dire a ragione il primo ristoratore della lingua greca tra noi. Molti illustri scolari egli ebbe, dai quali (7) Di Mannello Grisolora e degli altri Greci che in questo e nel seguente secolo promossero lo studio della lor lingua singolarmente in Italia, molte notizie si hanno ancora presso \’ Hody nella sua opera De Graecis Illusiribus Lingitae Graerne Literarumque humuniorum instauratoribus, ec. stampata in Londra nel 1742. [p. 1176 modifica]questo stesso studio fu poscia felicemente propagato per tutta 1 Italia. Fra essi si annoverano Leonardo Bruni, Poggio fiorentino, I ierpaolo Vergerio e Giannozzo Manetti, dei quali abbiam ragionato. Di Guarino, che gli fu pure scolaro in Costantinopoli, direm tra’ gramatici. Alcuni gli danno ancora a scolari Francesco Barbaro e Leonardo Giustiniani; ma il P. degli Agostini ha dimostrato l’insussistenza di questa opinione (Scritt, venez. t. 1, p. 138; t. 2, p. 31, ec.). Qui dunque ci restringeremo a dir di due soli che furono tra’ più famosi, cioè di Palla Strozzi e di Ambrogio camaldolese. Del primo scrisse la Vita quel Vespasiano fiorentino da noi nominato più volte; e io non posso a meno di non dolermi che gli scrittori fiorentini non l’abbiano pubblicata per illustrar la memoria di uno dei più grandi uomini che nascesser tra loro. Alcuni frammenti ne ha prodotti l’ab. Mehus, de’ quali qui ci varremo, aggiugnendo quelle altre notizie che ci verrà dato di raccogliere altronde. Frequente menzion di Palla, che era figliuol di Nofri o Onofrio, di antica e nobil famiglia in Firenze, troviam nelle Storie di Scipione Ammirato. Nel trattato per la presa di Pisa nel 1406 ei fu un degli statichi dati dai Fiorentini a’ Pisani (Stor. fiorent. t. 1, p. t)31). Molte ambasciate veggiamo a lui confidate, come a Lodovico d’Augiò nel 1411 a Jacopo della Marche re di Napoli nel 1415, nella qual occasione ei fu fatto da quel re cavaliere, ad Alfonso re d’Aragona nel 1423, a’ Veneziani nell’anno 1425 e nel 1434, a Eugenio IV nel [p. 1177 modifica]TERZO I|77 al Congresso ili Ferrara nel 143q (*), a Siena nel 1433 * e il vergiamo ancora onorato di ragguardevoli cariche nella Repubblica (ib.p.gGi, y-3,1)^5, 980, ec.)u In mezzo a si gravi affari occupavasi egli continuamente nel coltivare e nel promuovere i buoni studj. Già abbiamo altrove veduto quant’egli si adoperasse per rimettere in maggior fiore l’università di Firenze, e per raccogliere una copiosissima biblioteca in Santa Trinità, il qual secondo disegno però non potè da lui condursi ad effetto per le rivoluzioni , delle quali ora diremo. Abbiam parimente veduto che Tommaso da Sarzana, che fu poi papa Niccolò V. fu per qualche tempo alloggiato nella casa di Palla, e fu da lui aiutato nella continuazion de’ suoi studj. A lui in gran parte dovettesi la venuta a Firenze del Grisolora, di che ragionando Vespasiano fiorentino citato dall’ab. Mehus (f ita Ambr. camald. p. 360) dice: Essendo in Firenze notizia delle Lettere Latine, ma non delle Greche, determinò), che avendo notizie delle Lettere Latine, l’avesse ancor delle Greche, e per questo fece ogni cosa, che potè, che Manuello Grisolora Greco passasse in Italia, et adoperassi (*) Nella libreria Nani in Venezia si conservati gli Alli ilei! ambasceria dello Strozzi insiem con Cosimo de.Medici al Congresso di Ferrara nel i.\h (Codici mss. detto Libreria Nani, p. 1 cn) , e d eh. sig. don Jacopo Morelli, autore dell erudito ed esatto Catalogo di quella libreria, ci avverte ((’udiri mss liibt. frani, p. 2) che quella di Santa Giustina di Padova fu dallo Strozzi arricchita di molli codici, il Catalogo deT quali in essa ancor si conserva. [p. 1178 modifica]1 1liuro a fare ogni cosa col favore suo , et con pagare buona parte deli ispesa t. perche egli passasse in Italia, come passò per la sua diligenza — fu tanto il frutto che seguitò il alla venuta di Manuello in Italia, che fino al presente dì se ne colgono de’ frutti, della (quale venuta fu cagione Messer Palla, il (quale meritò grandissima lode e commendazione di tutte l’opere sue per la generosità ileli animo suo. ec... f enuto Mannello in Italia nel modo detto col favore di Messer Palla, mancavano i libri, non si poteva far nulla. Messer Palla mandò in Grecia per infiniti volumi tutti alle sue ispese. La Cosmografia di Tolomeo colla pittura fece venir infino da Costantinopoli, le vite di Plutarco, le opere di Platone, e infiniti libri degli altri. La Politica di Aristotele non era in Italia, se Messer Palla non! l’avessi fatta venir lui da Costantinopoli; e quando Messer Lionardo la tradusse, ebbe la copia di Messer Palla. I n uoin.sì grande e sì benemerito della sua patria era degno di miglior sorte. Le rivoluzioni seguite in Firenze all occ&sion dell’esilio di Cosimo de* Medici furono a lui funeste. Egli era del partito contrario a Cosimo; e perciò non sì tosto questi fu di ritorno a Firenze l’anno 1435, che lo Strozzi ne fu cacciato, e confinato a Padova, ove passò il rimanente della sua vita. Come ivi si occupasse, udiamolo dal medesimo Vespasiano (ib.p. 19, ec.): Venuto Messer Palla ai confini a Padova, come innanzi è detto, si voltò alle Lettere, come in un tranquillo porto di tutti i suoi naufragi, e tolse in casa con bonissimo salario Messer Giovanni [p. 1179 modifica]TERZO 1 1 Arginatolo a fine che gli bggessi più libri Greci, di che lui aveva desiderio di udire, et insieme con lui tolse un altro Greco dottissimo il simile a salario a fine di udire più lezioni. Messer Giovanni vi leggeva opere di Aristotele in Filosofia Naturale, della quale egli aveva bonissima notizia. Da quell’altro Greco udiva certe lezioni straordinarie. secondo che gli veniva voglia, benchè Messer Palla fussi dottissimo in quella lingua per avervi dato luogo tempo opera, e lette le lezioni non perdeva mai tempo, ma attendeva a tradurre C opera di Sancto Giovanni Grisostomo di Greco in Latino. Gli scrittori fiorentini di fatto, e il P. Negri singolarmente (Script Florent p. 443)? accennali più opere di S. Giovanni Grisostomo, di Plutarco, di Platone ed altri Greci da Palla recati in latino; ma non ci dicono ove esse conservinsi. L’aliale Mehus parla ancor di una Cronaca manoscritta l. cit. p. d.\6) di Lorenzo di Francesco direttor della chiesa di S. Michele di Castello, che si conserva in Firenze, nel proemio della quale dice l’autore di averla data a correggere ed ad emendare a Palla, di cui fa un grande elogio. Un altro encomio di Palla detto da Timoteo Maffei veronese ha pubblicato il medesimo ab. Mehus (ib.p. 280), a’ quali io aggiugnerò due altri che ci fanno il carattere di questo dottissimo uomo ed ottimo cittadino. Il primo è di Paolo Cortese, che così cel descrive (De Homin. doct.p. 21, ec.): Tum etiam ex eo genere numerabatur Pallas Strozzas, quem cum natura tum studio doctrinae sapientem feriali. Ex celiait e nini is unus in omni genere [p. 1180 modifica]1 I^0 LIBRO doctrinae. Nemo domi condor fide, nemo jucundior; nemo foris constantior, nec: gravior, nec fortior. L’altro è di Ercole Strozzi poeta ferrarese, che piangendo la morte di Tito Vespasiano suo padre, e annoverando gli uomini illustri della famiglia Strozzi, nomina fra essi Palla, e ne fa questo elogio (Carm. p. ,40, ed. ald. 1513). Cecropiae nemo niarum Pallanta Minervae Nescit: Arioniam non tantum coerula vocem , Aut tantum mirata chelym Florentia, (quantum Consilia eloquiumque sui laudavit alumni. Ille dipartita dum saevit Erynnis in Urbe, Saepe trucis populi discordia pectora junxit; Et iHitnquiun patriae pro libertate tuenda Effugit quoscumque dedit sors dura labores. Heu nihil ingratae fas quewquam fi Iere plebi! Pro meritis tulit exilium , Patavinaque venit Arva, ubi tranquillam phoebaea per otia vitam Duxit opum dives patrii et securus honoris Ei morì in Padova in età di novantanni nel 1462; e vuolsi da alcuni che Francesco Filelfo ne recitasse ivi f oraziou funebre; ma gli scrittori che con più diligenza hanno trattato della vita e dell’opere del Filelfo, di questa orazione non dicon motto; e il Filelfo era allora non in Padova, ma in Milano. È certo però, che il Filelfo gli fu sempre amicissimo, grazia clf ei fece a ben pochi degli uomini dotti della sua età, e ne son pruova le molte lettere che ne abbiamo a lui scritte (l. 1, ep. 39, 41 ^ 3? cp. 2; l. 5, ep. 29; l. (6, ep. 12; l. 12, ep. 8, ec. ec.), piene di stima e di amore per lalla. [p. 1181 modifica]TERZO Il3,

XI. Ambrogio camaldolese fu l’altro de’ discepoli del Grisolora, che in questo studio ottennero non ordinaria fama. Dopo ciò che hanno scritto moltissimi autori, e singolarmente l’abate Mehus Vita Ambr. camald p. 3(ì4, ec.), gli Annalisti camaldolesi Ann. camald, t. 6, p. 210, ec), il P. D. Rudesindo Cateni camaldolese {Elogi degli ili. Tose. t. 2, elog. 16), il P. Ginanni Scritt. ravenn. t. 2, p. 44?)? e Apostolo Zeno Diss. voss. t. 1, p. '4) 3 è inutile ch’io ne dica qui lungamente. Portico, castello nella Romagna sotto l’Appennino, non molto lontano da Forlì, fu la patria di Ambrogio. Era questo castello soggetto una volta a Forlì, e ciò a memoria dei padri di Biondo Flavio, che di ciò ci assicura (Ital. illustr. reg. 6). Fu poi libero per qualche tempo, e compilò allora l’anno 1384 i suoi proprj Statuti, che or si conservano nell’archivio delle Riformagioni in Firenze, e in tale stato dovea essere quando vi nacque Ambrogio nel 1386. Passò finalmente sotto il dominio de’ Fiorentini , in cui anche al presente è compreso. I monumenti prodotti dal suddetto P. Cateni pruovano chiaramente ch’ei fu della illustre famiglia Trnversari, e che Belici venni di lui padre era de’ principali di quel castello , e non già uomo ignobile, come affermasi da Vespasiano fiorentino. Anzi ella è opinione di molti, non comprovata però, ch’io sappia, da autentici monumenti, ch’ei fosse di quella stessa famiglia che avea già signoreggiata Ravenna. In età di quattordici anni entrò nell’Ordine camaldolese nel monastero degli Angioli in Firenze Tira boschi, Voi. Vili. 34 [p. 1182 modifica]1 *8* LIBRO l’anno 14oo. Ivi si volse con tale ardore allo studio, che divenne tra poco un de’ più dotti uomini di quell’età. 1 ’auate Mehus combatte ciò che abbiam poc’anzi asserito, cioè di’ ei fosse nel greco scolaro del Grisolora, ma a me sembra che gli argomenti recati a provarlo dagli Annalisti camaldolesi, e singolarmente la testimonianza di Bartolommeo da Montepulciano contemporaneo e amico di Ambrogio, abbiano più forza che le difficoltà opposte in contrario [a). In questo studio però fu ajutato ancora da Demetrio Scarani da Costantinopoli, che venuto a Firenze prese l’abito camaldolese nel 1417 Fino al 1431 ei non ebbe commissione od impiego che dalle lettere lo distogliesse. Conversare coi dotti ch’erano allora in Firenze, aver commercio di lettere cogli assenti, raccoglier libri da ogni parte, ed esortare altri a somiglianti ricerche, tradurre molti antichi scrittori di greco in latino, e comporre più altre opere , furono in tutto quel tempo l’unica sua occupazione. Carissimo perciò a Cosimo dei Medici, a Niccolò Niccoli, a Francesco Barbaro, a Leonardo Giustiniano, e a tutti i letterati di quell età, coltivò costantemente la loro amicizia, e ne meritò i più onorevoli elogi. Ma tratto dalla solitudine l’anno 1431 per essere sollevato alla carica di general del suo Ordine, fu poscia sempre impiegato in gravissimi affari, fra’ quali ciò non ostante trovò pur qualche (a) Alle testimonianze arrecate per provare*be Ambrogio tosse scolaro del (ìrisolora , aggiungasi il passo di Costantino I » scari poc’anzi prodotto. [p. 1183 modifica]TERZO fI83 agio per non cessare dai diletti suoi studj e de’ viaggi medesimi che per la visita del suo Ordine dovette intraprendere, si valse per comporre il suo Hodaeporicon, ossia la descrizion de’ detti suoi viaggi, e delle cose in essi vedute; opera che molti lumi ci somministra singolarmente per la storia letteraria di que’ tempi (a). L’anno 1435 inviato dal pontefice Eugenio IV al sinodo di Basilea, si adoperò con zelo al pari che con destrezza per impedire i disordini che da quella adunanza si poteano temere, e per ricondurre a sentimenti migliori il Cardinal Cesarini, che n’era il principale ornamento. Da Basilea passò in Allemagna alla corte dell’imperador Sigismondo a nome dello stesso pontefice. Tornato in Italia, fu da Eugenio mandato al principio dell’anno a Venezia a ricevere l’imperadore e il patriarca de’ Greci venuti pel general concilio, e a condurli a Ferrara. A quella grande adunanza, anche dappoichè ella fu trasportata a Firenze, intervenne Ambrogio, e vi diè saggio del.suo vasto sapere, e della perizia che avea nelle lingue greca e latina, per cui dopo Niccolò Sagomi ino egli era creduto il più dotto e il più pronto interprete. Ebbe il piacere di veder conchiusa la riunione tra le due Chiese; ma poco poi sopravvisse, rapito da morte immatura a’ 20 di ottobre del 1439- Tutti gli scrittori di (a) L’ITndtirportcon di Ambrogio camaldolese fu «rampato in Lucra nel 1681 per oprn» del P. Aiccnlò Bartolini della Congregazione della Madre di Dio; ma 1 edizioue ne riuso» mancante c scorretta. [p. 1184 modifica]1 1 $4 LIBRO que tempi ne esaltano con somma lode la dottrina non meno che la insigne pietà. Poggio fiorentino e Leonardo Bruni furono i soli che il tacciarono d’ipocrisia. Ma gli scrittori da noi sul principio citati lo hanno da questa accusa bravamente difeso, ed essi ci han dato ancora un esatto catalogo di tutte 1 opere di Ambrogio. Sono queste in gran parte traduzioni dal greco j c tra esse abbiamo le Vite dei Filosofi di Laerzio, e molte opere di S. Giovanni Grisostomo, di S. Basilio, di S E freni, di Palladio , di Giovanni Climaco, di S. Atanasio, e di più altri autori greci singolarmente sacri. Oltre l’Hodaeporicon mentovato poc’anzi, ne abbiamo ancora alle stampe una gran copia di lettere pubblicate prima dal P. Martene (Collect. vet. Monum. t. 3), e poscia assai più accresciute dal P. Cali netti camaldolese e dall’abate Melius , e parecchie orazioni da lui dette nel sinodo di Basilea, e in altre occasioni; per tacere di altre opere, e di quelle principalmente che o son perdute, o non sono ancor pubblicate (*). Lo stile di Ambrogio non è mollo colto , e le versioni non son sempre esattissime , come in quel cominciamento doveva accadere; e saggio perciò è il giudizio che ce ne ha lasciato Paolo Cortese nell’atto medesimo che ne fa un magnifico, elogio, dicendo (De Honiin. doct. p. 17): Ejusdem etiam aetatis fuit (*) Intorno alle opere inedite di Ambrogio camaldolese molte notizie si posson vedere nella Biblioteca dei MSS. di S. Michele di Murano pubblicata di fresco, ove anche ne è stata inserita una lettera (/;. 4«j ec-)■ [p. 1185 modifica]terzo 1185 Ambrosius Monachus, Graecis litteris doctus. Scribebat facile, et naturalem quemdam dicendi cursum habebat oratio, sed admodum incultum. Erat in hoc homine inexhaustus quidam legendi amor: nullum enim patiebatur esse vacuum tempus. Quotidie aut scribebat, aut aliquid ex Graecis Latinis litteris mandabat. Plura tamen orsus est, quam absolverit. Nemo certe plus studii quam ille ad eruendos ex adyto priscorum libros adhibuit.

XII. Fra gli scolari del Grisolora si annovera ria V espasiano anche Leonardo Giustiniani fratello del santo Patriarca Lorenzo. Ma, come abbiamo osservato, negasi ciò dal P. degli Agostini , il quale pruova el11 egli ebbe in quella lingua a suo maestro Guarino. Ei però dee qui essere nominato, perchè fu un de’ primi a coltivarne e propagarne lo studio: e noi il faremo in breve colla scorta del suddetto P. degli Agostini , che esattamente ne ha ragionato (Scritt. venez. t. 1, p. 135, ec.). Nato in Venezia circa il 1388, e applicato agli studj sotto la scorta del mentovato maestro, fece in essi sì felici progressi, che in età ancor giovanile fu destinato a fare l’orazion funebre in morte di Carlo Zeno, e ottenne in quell’occasione plauso non ordinario. A persuasion di Guarino tradusse dal greco alcune Vite di Plutarco, cioè quelle di Cimone, di Lucullo e di Focione, la qual ultima per errore è stata attribuita a Lapo da Castiglionchio il giovane; e l’anno 14 j3 venuto di Grecia l’imperador Giovanni Paleologo, il Giustiniani e Francesco Barbaro a ciò destinati dalla Repubblica il complimentarono in greco [p. 1186 modifica]1l$6 unno con (ali? eleganza, che parve r nati in scn della Grecia. Tradusse ancora dal greco la Vita di S. Niccolò, tutte le quali versioni si hanno alle stampe. Coltivò insieme la poesia italiana e la musica, ed esercitossi dapprima in rime amorose 5 poscia ad esortazione del suo santo fratello cambiò argomento, e prese a scrivere le Laudi spirituali, e le une e le altre più volte sono state stampate. Fu instancabile raccoglitore di codici, e poche biblioteche erano a quei tempi che a quella di Leonardo potessero paragonarsi. Abbiamo altrove veduto i lamenti che di lui fece il Filelfo per certi libri involatigli dal Giustiniani, intorno a che è degna d’esser letta l’apologia che il P. degli Agostini ne ha fatta. Fra i continui suoi studj non lasciò di aver parte al governo della Repubblica, e fra le altre onorevoli cariche ebbe quella di luogotenente del Friuli; e nell’anno.1443 fu eletto procurator di S. Marco. Qualche tempo innanzi alla morte divenne cieco, e finì poi di vivere tra le braccia del santo patriarca a’ 10 di novembre del 1446 Oltre le opere già mentovate, ne abbiamo l’orazion suddetta in morte di Carlo Zeno, e alcune epistole stampate insieme con quelle di Bernardo di lui figliuolo. Intorno alle quali e ad alcune altre opere di Leonardo veggasi il P. degli Agostini. Questi reca ancora gli elogi che di lui han fatto molti scrittori di que’ tempi, presso i quali ei fu avuto in conto di uno de’ più eloquenti oratori che allor vivessero , e reca insieme la giusta critica che ne ha fatta Paolo Cortese, il quale scrivendo a tempi migliori riconosce bensì in [p. 1187 modifica]TERZO 1 I87 Leonardo qualche eloquenza, ma priva di quel1 arte e di quell’eleganza che allor per anco non conoscevasi (l. cit. p. 18).

XIII. A questi primi coltivatori della lingua greca si dee principalmente lo spargersi ch’ella fece rapidamente per tutta l’Italia, sicchè appena v’ebbe in questo secolo uomo erudito che non fosse in essa versato. Noi abbiamo già parlato di molti che ne diedero pruova, benchè la maggior celebrità da essi ottenuta in altre scienze ci abbia determinati a dar loro altro luogo. Tra essi sono Francesco Barbaro, Ciriaco d’Ancona, Niccolò Niccoli, Vespasiano fiorentino, Aldo Manuzio, Paolo Toscanelli, Paolo dalla Pergola, Niccolò della Fava, Giannantonio Vespucci, Federigo e Guidubaldo duchi d’Urbino, il B. Alberto da Sarziano, Bonino Mombrizio, Lauro Querini, Lorenzo Lorenziano, Marsilio Ficino, Giovanni Pico, Leonbattista Alberti, Ugo Benzi, Pietro Leoni, Niccolò Leoniceno, Francesco Accolti, Pietro dal Monte, Andrea Fiocchi, Annio da Viterbo, Matteo e Mattia Palmieri, Leonardo Bruni, Poggio fiorentino, Francesco Contarini, Marcantonio Sabellico, Bernardo Giustiniani figliuolo di Leonardo, Pier Paolo Vergerio, Andrea Biglia, Pier Candido, Uberto e Angiolo Decembrj, Leodrisio Crivelli, Giorgio Merula, Bartolommeo Fazio , Antonio Panormita, Antonio Galateo, Antonio Bonfini e più altri; e dovremo ancora in questo tomo parlare del co. Matteo Maria Boiardo, di Ercole Strozzi, di Giovanni Aurelio Augurello, di Guarino e di Battista di lui figliuolo, di Giorgio e di Lorenzo Valla, di Giampiero [p. 1188 modifica]LIBRO ila Lucca , di Ogni bene ila Lomgo, di Carlo Marsuppini, di Antonio Urceo, di Angiolo Poliziano, di Filippo Beroaldo, di Domizio Calderino , di Niccolò Perotti e di moltissimi altri. Qui dunque direm solo di quelli che in ciò singolarmente furono illustri. E prima di tutti dobbiam rammentare alcuni altri tra’ Greci che furono in Italia dopo il Grisolora maestri del loro linguaggio. Nè io ripeterò qui ciò che si è già detto, trattando de’ filosofici studj, intorno a Giovanni Argiropolo, a Giorgio Gemisto Pletone, al Cardinal Bessarione, a Giorgio da Trabisonda e a Michele Apostolio. Ma cominceremo da due, de’ quali ivi non abbiam fatto che un cenno, e sono Teodoro Gaza e Andronico Callisto.

XIV. Teodoro nato in Tessalonica , e costretto ad abbandonare la patria occupata da’ Turchi l’anno 1430, venne in Italia. Quando ciò accadesse, se tosto dopo la caduta di Tessalonica , ovvero alcuni anni dopo, non è sì facile a definire. L’autor della Vita di Pietro Ranzano da noi mentovato nel capo precedente (Opusc. Sicil. t. 6, p. 76), il quale l’ha compilata dalle opere inedite di quello stesso scrittore, afferma che questi venne col Gaza dalla Sicilia in Italia; e poichè il Ranzano nato nel 1428 tragittò in Italia ancor giovinetto, così possiam credere che ciò avvenisse verso il 1439 E certo il Gaza era in Pavia fin dall’ottobre del 1440 , come raccogliamo da alcune lettere di Francesco Filelfo a Catone Sacco e a Jacopo Cassiani, che ivi erano professori (/-4? CP’ 20y 34, a5), e da una lettera greca del Filelfo [p. 1189 modifica]1TCHZO | jfìy medesimo a Teodoro {linee, milan. 17O7). Nò io so come l’Hody, citato e seguito dal Boernero (De doctis Homin. gr. p. 122), da quelle lettere tragga che il Gaza fosse in Siena, mentre è certissimo che que’ due professori erano in Pavia. Ma queste lettere medesime sembran render dubbiosa l’epoca ora accennata della venuta in Italia del Gaza; perciocchè da esse raccogliamo che il Filelfo bramava di vedere il Gaza fissato o in Milano o in Pavia nell’impiego di pubblico professore, benchè ciò non seguisse. Per altra parte è certo che il Gaza fu per tre anni scolaro di Vittorino da Feltre, come ora diremo; e par verisimile che ciò accadesse prima ch’ei fosse creduto abile ad occupare una cattedra, e che perciò ei fosse in Italia almen tre anni prima che il Filelfo scrivesse le lettere sopì accennate. Così non possiamo determinare precisamente quando il Gaza venisse tra noi. La scuola di Vittorino da Feltre in Mantova fu quella ch’egli trascelse per apprendervi la lingua latina; e quel valoroso maestro, che del Gaza ben volentieri si valse per istruir sempre meglio i suoi discepoli nella lingua greca, gli fece in tre anni apprender la lingua latina per modo, eli’ ci fu avuto in conto di uno de’ più eloquenti oratori che allora vivessero. Di ciò ne fa fede Francesco Prendilacqua scolaro e scrittor della Vita di Vittorino: Theodorum The ss a lori irensern natura sitimi et summa praeceptoris diligi alia in primis ornavit. Ilo man ac, enim dictionis penitus ignarus vix consumpto apud Victorinum triennio tantus evasit ut, pauci postea dictiores Oratores inventi sint (Vita Vici. [p. 1190 modifica]1 ’90 LIBRO / eltr. p. ~o). Il Papadopoli pensa che Teodoro fosse scolaro di Vittorino, mentre questi teneva scuola in Padova, e il conferma con una lettera del Cardinal Bessarione, nella • piale sembra affermare eli egli fosse in quella università professore (Hist Gymn. pat. t. 2. p. i']5). Ma. Vittorino fin dal i {aS era passato a Mantova, ove visse fino alla morte seguita nel j 447? e Teodoro non venne in Italia, come si è detto, che al più presto dopo il) 1430; e la lettera del Bessarione non può avere gran forza, perchè da essa potrebbe raccogliersi che anche il Crisolora fosse ivi professore, il che certamente da niuno si è detto. In fatti il Prendilacqua nella Vita di Vittorino afferma bensì (p. 70) ch’egli ebbe a suo discepolo Teodoro, ma dice che ciò fu in Mantova. È bensì certo eli ei fu professore in Ferrara a’ tempi di Leonello, cioè tra ’l 1441 e*l *450, il che provasi da Giglio Gregorio Giraldi (De Poetis suor, tei tip. dial. u) colf autorità di Lodovico Carbone in un’orazion da lui detta al medesimo Leonello. Alla qual pruova io posso ancor aggiugnerne uu* altra tratta da due lettere dell1 ab. Agliotti, dalle quali raccogliesi che Teodoro, esaltato in esse con grandissime lodi, era professore in Ferrara nel 1448 (Aliott. Ep. l. 3, cp. 20). Anzi il Giraldi aggiugne che il Gaza fu da quel principe nominato primo rettore della stessa università, (quando ella fu riformata (a). Da Ferrara passò (al Teodoro Gaza l’anno 1447 fu invitato anche a Firenze; ma egli con sua lettera scritta da Ferrara a’ 5 di luglio del detto anno, e pubblicata da monsignor [p. 1191 modifica]terzo i irji al servigio del pontefice Niccolò V, presso il quale egli era fin dal 1451 j perciocché in quest1 anno il pontefice di lui si valse per iscrivere una lettera all1 imperador Costantino (Georg. Vita Nicc. V, p. 99). In Roma ei fu carissimo ancora ai Cardinal Bessarione, che il prese a suo domestico*, e quanto ei ne stimasse la probità , cel mostra ciò che racconta Paolo Cortese (De Cardinal, p. 36), cioè che avendogli il cardinale data a custodire una gran somma di denaro, e richiesto da taluno, perchè-tanto si fidasse di Teodoro, perchè, rispose, ei suole far più conto della dottrina che del denaro. Aggiugne il Boernero che, morto Niccolò, ritirossi il Gaza presso il re Alfonso a Napoli, che, poichè questi ancora fu morto, fece ritorno a Roma; che il Cardinal Bessarione gli ottenne un ricco beneficio nella Calabria, ossia nella Magna Grecia, ma el11 ei non perciò volle partirsi da Roma, e che anzi con ima troppo filosofica indolenza lasciando ogni cosa in mano d1 infedeli agenti, ei non ne trasse alcun frutto. Di questo passaggio del Gaza a Napoli abbiam sicura notizia presso Bartolommeo Fazio, che era a quei tempi alla corte medesima, il quale aggiunge che Alfonso, accoltolo con onore, gli assegnò un annuale stipendio (De Viris. ill. p. 27). Ma io penso ch’ei non tornasse a Roma se non più anni dopo; perciocchè troviamo che da Paolo II, eletto nel 1464 il Gaza fu Fnbroni (Vita Cositi. Atrd. t. 2, p. f18) se ne scusi), ndducendone per ragione la risoluzion die avea presa di tornar fra non inulto in Grecia;*il che però non lu da lui eseguito. [p. 1192 modifica]1 M)2 MURO dalla Calabria richiamato a Roma , come raccogliesi da una lettera del Filelfo (Epist. l. 28), il che sembra indicarci che veramente si fosse egli colà ritirato, e che vi stesse; fino a’ primi anni di Paolo. Ei fu ancora in Roma a’ tempi di Sisto IV; ma , se crediamo a Gian Piero Valeriano (De. infelic. Literat. l. 2) e al Giovio (in Elog.), non ebbe molto a lodarsi di questo pontefice; perciocchè avendogli offerta la traduzione dell opera d1 Aristotile sopra gli Animali da lui già fatta per ordine di Niccolò V, e poi riveduta e corretta, e sperandone ampia mercede, poichè videsi donar solo 50 scudi, sdignato altamente gittolli nel Tevere , e ritirossi di nuovo al suo beneficio in Calabria. Anche il Volterrano (Comm. urbana. l. 21) afferma che Teodoro non ebbe in Roma ricompensa uguale al suo merito, e pare che a ciò alluda lo stesso Gaza in una sua lettera a Cristoforo Persona riferita dal Zeno (Diss. voss. t. 2, p. 139), in cui si duole che i principi di quel tempo sien troppo inferiori a quelli che gli avean preceduti nel protegger le lettere. Egli è ben vero che f Jacopo Filippo da Bergamo, scrittore egli ancora contemporaneo, narra (Suppl. Chron. l. 16) che il Gaza pel suo sapere fu carissimo a Sisto. Ma ciò non ostante il vedere ch’egli, a’ tempi appunto di questo pontefice, morì in Calabria , ci pruova che il Gaza 11011 ne era abbastanza contento. Prima però di ritirarsi in Calabria, par el11 egli ritornasse per qualche tempo a Ferrara; perciocchè tutti gli scrittori della Vita di Rodolfo Agricola ci raccontano che , essendo questi nella detta città [p. 1193 modifica]TERZO **93 Fanno 1476, vi ebbe a suo maestro nello studio della filosofia di Aristotele il Gaza. Ritirossi poco appresso nella Calabria, e a questo tempo appartiene probabilmente quell1 elegia che a lui scrisse Gioviano Pontano, in cui Fra le altre cose così gli dice: Te quoque Turcaicae fugientem vincla catenae Ejecit patrio Thessalonica tuo* Jactiituin|iie diu diversa per aequora tandem Agnovit Phrygio condita Roma duce. Nunc eodem quo me fato Campania tellus Deliciis pascit terra beata suis. Amor. l. 2, el. 1. Alcuni il dicono morto in Roma, ma è assai più probabile eh1 ci morisse nel sopraddetto suo ritiro, come ci mostrano parecchi epigrammi composti ad onorarne il sepolcro, e riferiti dal Boernero. Questi tra gli autori della contraria opinione annovera Mattia Palmieri. Ma questo storico espressamente lo dice morto in Lucanis (Script. rerum. ital. Florent vol. 1 ,p. 269) (a)) (a) E questa è la più certa opinione. Il beneficio dato dal Cardinal Bessarione al Gaza era quello della badia di S. Giovanni a Piro che è appunto nella Lucania, ossia nel Principato Citra, e nella diocesi di Policastro, e perciò impropriamente è detta Calabria e Magna Grecia. Questa badia, che fu poi unita da Sisto V alla sua cappella del Presepio, era allora del Cardinal Bessarione, e questi tenevasi per suo procuratore o amministratore il Gaza. Così raccogliesi dagli Statuti mss. di quella terra , il cui titolo si riporta nella Storia della Badia medesima scritta dal dottor Pietro Marcellino, e stampata in Roma nel 1700. In essi si legge: Capitoli fatti ed ordinati per lo Magnifico Messer Teodoro Greco Procuratore et Fattore generale in lo Monasterio di [p. 1194 modifica]1 *94 LIBRO benché forse prenda errore nell’anno, clic da lui si dice il 14'(), mentre sembra più veri simile che ciò fosse al più presto nel 1

XV. Il Gaza non fu contento d’insegnar colla viva voce!a lingua greca, ma ne scrisse ancora le Istituzioni gramaticali, t. hè furono per la prima volta stampate da Aldo nel insieme con un picciol trattato ilei medesimo autore intorno a mesi de’ Greci. Mollo inoltre occupossi nel tradurre dal greco in latino, e ne abbiati! le versioni de’ Problemi e de’ libri intorno agli Animali di Aristotile , della Storia delle piante di Teofrasto, de’ Problemi di Alessandro d’Afrodisia, del Modo di ordinare le schiere d1 Ebano, de’ Precetti di Dionigi d’Alicarnusso intorno alle Orazioni nuziali e natalizie, delle giù citate Omelie di S. Giovanni Giisostomo, e di alcune altre opere, delle quali ragiona minutamente il Boernelo. Abbiam giù veduto qual parte egli avesse nella contesa intorno alla filosofìa platonica e aristotelica, c abbiamo ancora osservato el11 ei soppresse e »V. Giovanni rie Pira nomine et pro parte dello Rev. Monsignore lo Cardinal Greco..., sub anno Domini 1465. Questo dunque era il ritiro in cui stavasi il Gaza , e questo fu pure il luogo ove morì , come ci mostra l’iscrizione sepolcrale che ne riporta il medesimo autore postagli molti anni dopo, cioè nel 1542, da Tommasso Tomassi allora abate commendatario della stessa badia. E questa iscrizione fu poi trasportata dalla chiesa abaziale a quella della Terra medesima. A questo luogo della morte del Gaza allude Costantino Lascari in un epitafio greco pubblicato dall’Iriarte (R. matrit. Bibl. Codices graee. t. i, p.) ■’Urbs parva vi rum tantum tumulo cominci. [p. 1195 modifica]TERZO JIt5 diede al fuoco spontaneamente alcune altre versioni che avea intraprese, affine di non togliere la gloria a Giovanni Argiropulo, il quale si era accinto a tradurre i medesimi libri. Nè solo ei tradusse di greco in latino, ma di latino ancora in greco, facendo conoscere per tal modo, quanto versato egli fosse in amendue le lingue. Abbiam di fatto alle stampe il libro di Cicerone sulla Vecchiezza, e il Sogno di Scipione, e anche i due libri di Michele Savonarola sui Bagni d’Italia da lui recati in lingua greca, oltre la lettera già mentovata di Niccolò V all’imperador Costantino. Di queste e di alcune altre opere di Teodoro, delle quali io lascio di dire per brevità, veggasi il più volte da me citato Boernero, il quale anche accenna gli elogi che di lui han fatto molti scrittori di que’ tempi. Ad essi debbonsi aggiugnere quelli di Bartolommeo Fazio (l.cit.) c di Paolo Cortese De Homin. (doct. p. 41, de’ quali recherò io qui solo il secondo, perchè ci forma il vero carattere non solo del vasto sapere e della varia erudizione, ma ancora delle virtù e della pietà di Teodoro: Ego vero sic existimo, Theodorum unum e multis laudandum essef et in eo primum cum summa philosophia summam eloquentiam conjunctam: nec erat is in eorum numero, qui usurpatione disciplinae verbis magis quam vita Philosophiae studia persequuntur. Ut enim ei ingenii et eloquentiae, sic humanitatis, innocentiae, ac omnium virtutum primae deferebantur. Erat in scriptis summa gravitas, erat profluens sine molestia ubertas, candor autem Latini sermonis et splendor tantus, [p. 1196 modifica]119^ LIBRO ut non modo ac aere, industriam, sed edam uh re quibusdam ora donis nutrimentìs ìngcnium poti tis set; pire igitur totius Italiae consensu, a doctis est prìtu eps judicatns.

XVI. Più tardi venne in Italia Andronico soprannominato Callisto, natio egli ancora di Tessalonica, benchè detto talvolta da Costantinopoli y C forse ei partì dalla Grecia dopo la caduta di Costantinopoli. Non abbiam però monumento che cel mostri in Italia prima del i 46-j , nel qual anno da una lettera del Filelfo raccogliesi ch’egli era professore in Bologna (l. 2.\, cp. i); perciocché egli scrive che si maraviglia che i Bolognesi, avendo tra loro un uomo sì dotto, sembrino non curarsi di apprenderne la lingua greca ,• e clic se Andronico fosse stato in addietro in Italia, ei non avrebbe viaggiato in Grecia per imparar quel linguaggio. Un’altra lettera del Filelfo (l. 29, ep. 31) ci mostra che nel 1469 Andronico era in Roma alla corte del Cardinal Bessarione, e abbiam già veduto qual parte egli prendesse nella famosa contesa intorno alla filosofia di Aristotele e di Platone. Era egli, dice Rafaello Volterrano (Comm. Urbana, l. 21) dopo Teodoro il più famoso nella greca letteratura e forse ancora nella sua lingua materna più di lui dotto; perciocchè tutti ne. avea letti gli autori, ed era uomo universalmente erudito e versato ancora nell aristotelica filosofia. Vivea in Roma presso il cardinale Bessarione, e teneva scuola, ma con frutto non corrispondente al suo merito. Quindi, come quasi tutti gli altri di tal professione, costretto dalla povertà a partire da Roma, recossi a [p. 1197 modifica]TERZO 1 i(yi Firenze, ove a grati numero di scolari, tra quali fu il Poliziano, insegnò per alcuni anni la lingua greca. Passò indi, sperando maggior vantaggio, in Francia, ove poco tempo dopo in età assai avanzata finì di vivere. Egli era per altro poco felice nella pronuncia, e fuor delle lettere inetto ad ogni altra cosa (a). Questo è ciò solo che della vita di Andronico ci è giunto a notizia. Poche ancor sono le opere da lui lasciate, ed esse ancora sono inedite per la maggior parte. Se ne può vedere il breve catalogo presso il Boernero (De doctis Homin. graec. p. 169) (b).

XVII. Il medesimo Volterrano annovera (l. cit.) tra’ greci professori in Roma della lor lingua verso i suoi tempi Sofiano e Giorgio Alessandro vescovo nell’isola di Candia, uomini, dice egli, da non venire a confronto coi precedenti in ciò che appartiene a sapere, ma forse a lor superiori nell’onestà de’ costumi. Troviamo ancora menzione di un certo Demetrio da Creta, che certamente è diverso da quel Demetrio Cidonio già da noi mentovato, il quale venne in (a) Andronico tornò in Grecia nel 1476* e * libri da lui raccolti, che formavano sei cassette, furono comperali in Milano pel prezzo di dueento ducali di’oro larghi da Gianfrancesco dalla Torre, come egli stesso scrive a Lorenzo de’ Medici in uua lettera pubblicata da nmnsig. Labbroni (Ctla Laur. Medie, t. 2, p. 297), nella quale egli all’erma che la sua bibliotheca è cussi ben fornita, come pochissime siano in Lombardia. (b) Alcuni opuscoli «li Andronico conservanti ancora mss nella reale biblioteca di Madrid { R. Matrit. Bibl. Codd. graec. t. 1, p. 13ò). Tira boschi, Voi. Vili. 35 [p. 1198 modifica]1 LI ORO Italia sulla fine del secolo precedente. Quegli di cui ora parliamo, era in Milano nel i \~ti, come ricavasi dalla lettera da lui premessa alla (Gramatica greca di Costantino Lascari ivi pubblicata in quell’anno (Sax. Hist, typogr. mediol. p. 461). Nel 1488 sembra ch’ei fosse in Firenze, ove ebbe parte nell’edizione di Omero ivi fatta nell’anno stesso (ib. p. 4-‘4)* Ma non ne abbiamo altra notizia. Assai più celebre è il nome di un altro Demetrio soprai montato Caicondila. 11 Boernero non ci ha date molto copiose nè molto esatte notizie intorno a questo celebre uomo, e noi perciò le raccoglieremo con quella maggior diligenza che ne sarà possibile. Demetrio era ateniese di patria, e venne in Italia circa il i {4; e dopo essere stato qualche tempo a Roma, passò a Perugia, ove era circa il 145o. Tutto ciò raccogliamo da due lettere di Giannantonio Campano (l. 2, ep. 9,10). Questi era nato, come vedremo di lui parlando, nel i.jay, e attendeva agli studj in Perugia essendo allora in età di ventitré anni: tres e n ini et viginti annos natus sum. Or giunto colà il Calcondila, prese l’occasion favorevole d’istruirsi nel greco: È qua venuto, dice egli, un Greco da quella recente accademia, il quale quanto sia versato nella greca e nella latina letteratura, e quanto sia insieme uomo saggio e cortese, ti scriverei io volentieri, se non isperassi che presto tu dovessi da più altri intenderlo. Egli ha cominciato con molto impegno ad istruirmi; ed io ne odo i precetti con incredibil piacere; perchè è greco, perchè è ateniese, e ancora perchè è Demetrio; e sembra che in sè rappixsentì [p. 1199 modifica]TERZO I i)^ la sapienza, i costume e l’eleganza di que’ sì celebri e illustri Greci. Ti parrebbe vedendolo di veder Platone, ma più ancora udendolo. E nell1 altra lettera: Non son che tre anni eli egli c venuto in Italia, e viaggiando quasi sempre per terra è giunto a Roma, non so se fuggendo la vicina rovina di Costantinopoli e del rimanente della Grecia, o la presente tirannia di que’ barbari, ec. Gianpierio Valeriano aggiugne, che nel fuggir dalla Grecia furono innumerabili i disagi ch’ei dovette soffrire, aggirandosi in diversi paesi prima di trovar certo e sicuro riposo (De infelic. Litterat l. 2). Non sappiam quanto tempo si trattenesse Demetrio in Perugia. Solo troviamo ch’ei fu poscia chiamato a Firenze da Lorenzo de’ Medici (Valor. Vita Laur.Medic, p. \7) j il che perciò dovette al più presto accadere nel 1469, quando Lorenzo sottentrò a Pietro suo padre nel reggimento de’ pubblici affari. Certo egli vi era tra ’l 1476 e ’l 1480, quando Bernardo Bembo colà trovavasi ambasciadore de’ Veneziani j perciocché Marsiglio Ficino, nel ragionar di un banchetto fatto in casa del Bembo, tra gli eruditi convitati nomina Demetrio ateniese: Cum superioribus diebus apud Bernardum Bembum tuum clarissimum Equitem, atque hoc tempore Senati is Oratorcm, convivio discumberenius, memini sii, ut arbitror, idem Antonio Cronico Veneto, ac Demetrio Attico di sputato ribus argutissimis visum fuisse (Theol. Platon. l. 6, c. 1). Quindi è probabile che Demetrio fosse chiamato a Firenze l’an 1471 quando, come [p. 1200 modifica]1200 LIBRO abbiamo veduto altrove, ne partì Giovanni Argiropulo (*). xvia Grandi cose ci narra il Giovio (in Elog.) delle contese che furono tra’ ’l Poliziano, professore esso ancora di lingua greca, e Demetrio e il Menckenio assai lungamente si è trattenuto (yita Poli ti ani, p. 65) in esaminare i diversi racconti che dopo il Giovio di ciò ci han dato il Boissard, il Varillas, il Bullard, il Bayle e altri moderni scrittorij fatica , a mio parere, del tutto inutile. Cotali autori sentano come lor piace; che la loro autorità non mi muove, se non la veggo appoggiata ad autorevoli pruove. E il Giovio ancora non è scrittore così accreditato, che basti egli solo a persuaderci. Di tali gare io non trovo menzione negli scrittori di que’ tempi-, anzi una pittura fatta a que’ tempi e rammentata dal ch. canonico Bandini (Specimen Literat. florent. t. 2, p. 34), in cui si veggono il Ficino, il Landino, il Poliziano e Demetrio trattenersi in amichevole conversazione, sembra indicarci che essi fossero tra loro amici. Checchè sia di ciò, il Calcondila, lasciata Firenze, passò a Milano (’*); e (*) Da Perugia dovette il Calcondila passare a Padova, ove il Facciolati ci assicura (Fasii Gymn. pnt. pars 1, p. 55) ch’ei fu condotto nell’anno 14^3 collo stipendio di quaranta fiorini; e che ivi era ancora nel 14%), raa che poscia non gli pineendo il costume che ogni anno si sottoponessero i professori alla ballottazione, se n’andò. Anche il Lascari nel passo più sopra recato afferma che Calcondila insegnò in Padova. (•*) Il Calcondila era in Milano fino da* 4 di maggia [p. 1201 modifica]TERZO 1201 ciò è probabile che avvenisse, come si narra dal Giovio, dopo la morte di Lorenzo de’ Medici seguita nell’aprile del 1492. Egli era certamente in Milano nel corso di quest’anno medesimo. Perciocchè a’ 24 di gennajo dell’anno seguente si pubblicarono ivi le opere di Isocrate da lui stesso emendate (Sax. Hist. typograf. mediol. p. 5t)2). In Milano continuò Demetrio per più anni il consueto suo esercizio d’insegnare la lingua greca non solo a quei cittadini, ma a molti stranieri ancora, che tratti dalla fama di sì illustre maestro a lui ne venivano. Tra essi fu Giovanni Reuclino tedesco, che in Firenze e in Milano frequentonne la scuola, come dalle parole di lui medesimo pruova il Boernero (l. cit. p. 142). Demetrio oltre la stima che presso tutti ottenne pel suo sapere, a tutti ancor fu carissimo per l’amabil suo tratto, e per le virtù d’ogni genere che lo adornavano. Nulla ne abbiamo alle stampe, fuorchè la Gramatica greca pubblicata in Milano nel corso di questo secolo, ma senza data di anno, e qualche edizion da lui fatta di autori greci, di che veggasi il Boernero. Ei morì in Milano l’anno 15i 1 in età di ottantasett*anni, e Giangiorgio Trissino di lui scolaro gli fece porre nel tempio di Santa Maria della Passione un’onorevole iscrizione, che ancor vi si legge, c che é riferita dallWrgelati (Bibl. Scrip. mediol. del anzi prima della morte di Lorenzo de’ Medici, come ci mostra una lettera che ne ha pubblicata l’eruditissimo sig. canonico Bandini (Colccl. vet. Mouum. p. m). [p. 1202 modifica]1 202 LIBRO l. j, pars 2, p. aoya) e dal Boernero. Gianpierio Valeriano (l. cit.) ragiona ancor di tre figli tutti infelici che ebbe Demetrio; Teofilo , mentre era professore in Pavia, assalito di notte nella pubblica strada e ucciso; Basilio giovane di grandissima aspettazione morto nel fior dell’età in Roma, ove Leone X l’aveva chiamato .a insegnare la lingua greca; una figlia per ultimo data in moglie a Giano Parrasio, di cui diremo nel secol seguente, e ancor essa travagliata dalla povertà e da più altre sventure.

XIX. Due Greci finalmente dell’antica e nobil famiglia de’ Lascari ebbe in questo secol l’Italia, Costantino e Giovanni. Ma il secondo visse ancor molt’anni al secol seguente, e noi perciò riserberemo ad altro tempo il parlarne. Costantino nato in Costantinopoli, e venuto i:i Italia dopo la rovina della sua patria, fu amorevolmente accolto dal duca Francesco Sforza. Avea questi una figlia sua primogenita di nome Ippolita, che in età di dieci anni l’anno 1455 promessa in isposa ad Alfonso, che poi fu re di Napoli secondo di questo nome, fu con lui maritata l’anno 1465, e della quale diremo altrove più a lungo. Volle il duca ch’ella frattanto fosse istruita nelle lettere greche e latine, e per le prime la confidò a Costantino, il quale per essa compose la sua Gramatica greca stampata poscia in Milano nel 14765 e che fu il primo libro che in tal lingua si stampasse in Italia. Dello studio da Ippolita fatto sotto tal direzione del Lascari parla Bonino Mombrizio in alcuni suoi versi pubblicati dal Sassi (Hist. typogr. mediol. p. 151). Alcuni scrittori, citati [p. 1203 modifica]TERZO! 203 dal Boernero (l. cit. p. 172), affermano clic da Milano ei passò a Firenze invitato da Lorenzo de’ Medici, e che fu ancora per qualche tempo in Francia (a). Ma lo stesso Sassi il nega, e ha ragionej perciocchè nel soggiorno da lui fatto in Firenze non si ha alcun indicio, e molto meno di alcun viaggio da lui fatto fuor dell’Italia. Più probabile è che per qualche tempo ei vivesse in Roma alla corte del Cardinal Bessarione, che era f uni versai rifugio de’ miseri Greci, e che di là passasse a Napoli a tenervi pubblica scuola di lingua greca, inviatovi dal re Ferdinando con sue lettere accennate dallo stesso Boernero (*). Il medesimo Lascari nell1 introduzione al suo opuscolo (a) Le Noie cronologiche aggiunte dal Lascari a molle de* rodici da lui copiali , de’ quali diremo Ira poro , e diligentemente descritti dal sig. Iriarte , ci mostrano rii* egli era in Milano negli anni 1460 (fi. fifa/rit. JBìbl. Codd. gr. I. I, p. 223), 14.62 (ib. p. 28, 44f) e 1464 (ib p. 86, /p8, 429)i e(l é probabile elregli vi stesse fino al 1462, in cui Ippolita Sforza andò a maiilo. Il troviam poscia in Messina negli anni 14'o (ìh. p. 122, 384)i ,4r4 (fh. p. 43’. 436), 460 (ib. p. 138), 1486 (10. p.:g2 , 47 j). 1487 (ib. p. 13i, 13a), 1488 (ib. p. 82, 101, 383) e anche nel 15no (ib. p. 3qi); fino al qual anno almeno dovette ri prolungare la vita. Forse nell’intervallo ira ’1 146*) e ’1 14-0 ei fu in Napoli. Certo non in altra città che in Milano, in Napoli e in Messina ei dire di avere insegnato nel passo che ne abbiaui riferito poc1 anzi. Ei fu ancora per qualche tempo, ma non sappiani quando precisamente, in Rodi, ove pure vegg amo che trascrisse due codici (ib. p. 156, 35'). (*) La lettera con cui il re Ferdinando invitò Costantino Lascari a Napoli, si può vedere intera presso TOriglia (S.’or. dello Stud, di Nap. (. 1, p. a63). [p. 1204 modifica]iao4 LIBRO degli Scrittori greci nati in Sicilia, che è stata pubblicata dal P. Priore d). Vito Maria Amico monaco casinese (Mem, letter. di SiciL t. 1, par. 4? p- 3), annoverando le città nelle cui ha insegnato, dice: Docui Mediolani, docui Neapoli, et in aliis Italiae Civitatibus, multis audientibus Graecas literas , di di eie/uè, quantum meae vires valuere, latinas. Ma quali fossero queste altre città, nol sappiamo. Siegue egli poscia a narrare, che bramando di vivere in un onesto riposo, determinossi ad andarsene in qualche città della Grecia; e che postosi in viaggio, e giunto a Messina, fu ivi sì caldamente pregato ad arrestarsi, e sì onorevoli e vantaggiose furono le condizioni profertegli, che non potè a meno di non arrendersi. Ivi continuò Costantino a vivere e ad insegnare, finchè visse, onorato da’ Messinesi che gli concederono la loro cittadinanza, e grato ai medesimi. di che diede lor prova nel dono fatto al senato de’ la sua copiosa biblioteca, la quale fu dopo molti anni dopo trasportata in Ispagna (ib.). La fama del Lascari trasse colà molti ad udirlo , e fra gli altri il celebre Pietro Bembo, come pruova il Boernero, il quale arreca ancora alcuni passi delle Lettere di questo illustre scrittore, in cui parla con somme lodi non sol del sapere, ma della pietà ancora e delle virtù del Lascari. Congettura il Boernero, ch’ei morisse circa il 14l)3; nia certo ei viveva ancora a’ 17 di novembre di quest1 anno, come raccogliesi da una lettera del Bembo (l. 1 Famil. ep. 7). Egli era però già morto da alcuni anni, quando il Volterrano [p. 1205 modifica]TERZO | 2o5 scriveva: Costantinus, dice egli, (Comm. Urbana, l. 21), patria Costantinopolitanus Messanae docuit, ubi jam senex proximis annis extinctus est. Oltre la Gramatica greca, già mentovata, si hanno ancora di lui alcune altre operette, parte stampate, parte inedite (*), intorno alle quali si può vedere il Boernero y ed il eli. abate Zaccaria, che di questo Greco ancora e delle opere da lui composte ha esattamente trattato (Bibl. di Slor. letler. t. 3, par. 2, p. 4^9). Io accennerò solamente i due opuscoli intorno a’ siciliani e a’ calabresi scrittori greci pubblicati prima dal Maurolico l’anno 1562, poscia più altre volle. Il primo di essi è stato di nuovo dato alla luce con più correzioni e giunte l’anno 1^56 dal sopradelto P. Amico, che si è giovato di un antico codice da lui ritrovato (l. cit.), e poscia un1 altra volta insiem col secondo dal sopraccitato abate Zaccaria (l. cit. p! 4 * 7 ec.) (a). (*.) Moltissimi sono i codici scritti per mano di Costantino Lascari, alcuni de’ quali contengono opere di lui stesso che si conservano nella real biblioteca di Madrid , come si può vedere nell’esattissimo Catalogo, pieno di belle e diligenti ricerche, che ne ha pubblicato il dottiss. sig. don Giovanni Iriarte. Alcune lettere greche del Lascari ha pubblicate fra le altre cose quell’erudito scrittore (t. 1, p. 290, ec.), dirette a’ suoi amici, e tra essi a Giorgio Valla, a Teodoro Gaza, al Cardinal Bessarione , a Giovanni Lascari suo fratello, ec. (i) A? professori greci venuti in Italia deesi aggiugnere ancora Manuello Moscopulo, di cui il Lascari nel passo poc* anzi prodotto dice che venne a Milano sotto il duca Francesco Sforza. Alcuni opuscoli greci se ne citano dall’eruditissimo Iriarte, i cui codici trovausi [p. 1206 modifica]1 ao6 Limo

XX. Al 11 limerò e al valore di sì illusiti inae.stri corrispose il numero e il valore degli Italiani loro discepoli. Noi però ne sceglieremo, come già abbiam detto, alcuni solo de’ più illustri: a Uri nienti quando mai questa.Storia giungerebbe al suo compimento? Cominciam da tre Fiorentini, che più copiose prove ci diedero del loro studio di questa lingua. E ci si fa innanzi dapprima Lapo da Castiglioncliio, detto anche Lapo Birago, nipote di quello che nel tomo precedente abbiam rammentato tra’ canonisti (*). Ei fu scolaro in Firenze di Francesco Filelfo; c alcune lettere dello stesso Filelfo ci mostrano in quanta stima egli avesse questo suo scolaro, e quanto a Lapo fosse caro il suo maestro (l. 2, ep. 2G, 33, 43, 44). (Coltivò 1’amicizia di Ambrogio camaldolese (Amb. camald. I. 13, ep. 2), di Francesco Barbaro, a cui abbiamo una lettera da lui scritta, pubblicata dal Cardinal Querini (Diate, ad Ep. Barb. p. 124), del Cardinal Cesarmi, a cui pure si ha una lettera di Lapo fra quello del suddetto Ambrogio (l. 25, ep. 36), e di altri uomini dotti di quell’età. A lui dobbiamo le nella reale Biblioteca di Madrid, cioè alcuni Scolli sopra Esiodo, (he sono stampati, alcuni trattati di Oramalica scritta l’anno 1422 , un opuscolo su i Dialetti e alcuni Lomenti sulle Poesie di Pindaro (R. Matrit. Bibl. Codd. grette, t. 1, p. i), 270, 427, ^76, 44^)• (*) Ho qui confusi insieme Lapo da Cnstighon hio c Lapo o I nmpo Birago, che sono due personaggi 1 un dall’altro diversi. Del secondo, che fu di patria milanese , si posson vedere distinte notizie presso il co. Mazzucchelli (Scritt, ital. t. 2, par. i, p. 12*9)• [p. 1207 modifica]TERZO 120** traduzioni delle Antichità romane, ossia della Storia di Dionigi d’Alicarnasso, e di alcune delle Vite di Plutarco. Scrisse inoltre un trattato della maniera di combattere contro de’ Turchi da lui dedicato a Niccolò V, e intitolato Strategeticon, che conservasi nella \ alicana, e di cui monsignor Giorgi ha pubblicato il proemio (Vita Nic. V, p. 199, 214). Una lunghissima lettera di esortazione agli studj ne abbiamo tra quelle di Ambrogio camaldolese (l. 25, ep. 21). L’abate Mehus ne accenna ancora alcune opere che in Firenze si conservano manoscritte (Vita Ambr. camal, p. 14-?) e un’orazione fra le altre (ib. p. 413) da lui detta in Bologna , ove fu professore prima di belle lettere, poi di filosofia morale) benchè l’Alidosi non ne faccia menzione alcuna. Ei dovette morire in età giovanile, poichè il Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin, t. 4, p 244) » 0 piò altri scrittori riferiscono un discorso di Ugolino Verini, in cui ne piange la troppo immatura morte. Negli studj medesimi esercitossi con molta sua lode Alamanno Rinuccini nato nel 1426, e, dopo aver sostenuto le più onorevoli cariche della Repubblica, morto nel 1504 Le copiose ed esatte notizie che ce ne ha date Apostolo Zeno (Diss. voss. t. 2, p. 199, ec.) mi dispensano dal dirne qui lungamente, e mi basterà l’accennare, che oltre alcune Vite del Plutarco, abbiamo avuta da lui la versione latina della Vita di Apollonio Tianeo scritta da Filostrato. Di alcune altre opere di Alamanno ragiona il suddetto autore, il quale ancora esamina a [p. 1208 modifica]12t)8 LIBRO questo luogo le diverse opinioni di più scrittori intorno a’ traduttori diversi di dette V ite (a)f e parla inoltre di quel Rinuncio o Rimicio di Arezzo traduttore anehe esso di alcuni autori greci. Finalmente Donato Acciaiuoli figliuol di Neri e di Maddalena Strozzi figlia del celebre Palla fu egli pure uno dc: p.ù esperti nel greco, in cui era istruito, come anche il Rinuccini , da Giovanni Argiropulo (b). Io mi compiaccio che qui ancora si possa da me rimetter chi legge alle notizie che già ce ne ha date con molta esattezza il conte Mazzucchelli (Scritt. ital t. 1, par. 1, p. 40), ove si potranno vedere le dignità e gli onori a cui Donato fu sollevato, le ambasciate che confidate gli vennero , le epoche de’ principali avvenimenti della sua vita, e quella fra le altre , su cui molto discordano gli scrittori, della sua morte, che con indubitabili monumenti da lui si fissa nel 1478, contandone Donato cinquanta di età. Aneli* egli si adoperò a tradurre alcune Vite di Plutarco , e alcune altre ne aggiunse (a) Veggasi intorno a ciò anche un articolo delle Novelle letterarie di Firenze (1790, n. 8). (b) Bellissimo, e non so se più all’Acciainoli già morto , o «Ha Repubblica fiorentina glorioso , è il documento pubblicato da monsig. Fabbroni (Vita. Cosm. Medie, t. 2 , p. 191, ec.), con cui la Repubblica stessa , udita la morte di esso, ordinò il primo di settembre del 1478, che attese le rare virtù che in lui si eran vedute riunite, e gli importanti servigi alla Repubblica stessa prestati, ne fossero a pubbliche spese celebrate le esequie; che dal pubblico erario si som mini slrasser le doti alle figlie , c die quattro cittadini fossero deputati ad aver cura de; fiyli da lui lasciati. I [p. 1209 modifica]TERZO *2C9 da se medesimo scritte, benchè per errore si dican da alcuni da lui solo tradotte; intorno a che veggansi le diligenti osservazioni del soprallodato conte Mazzucchelli. Ei coltivò ancora i filosofici studj, e ne abbiam in pruova i Comenti sopra i Libri Morali e Politici d’Aristotele più volte stampati, i primi de’ quali confessa egli stesso di aver tratti in gran parte dalle lezioni dell’Argiropulo suo maestro. La Storia fiorentina di Leonardo Bruni fu da lui recata in lingua italiana, come altrove abbiamo avvertito, e più altre opere se ne conservano manoscritte, fra le quali molte sue lettere originali sono nella Strozziana in Firenze, che potrebbon recar molto lume alla storia di quell’età , se venissero pubblicate (a). XXL Per la stessa ragione io non mi tratterò lungamente a parlare de’ due Ermolai Barbari, amendue singolare ornamento della veneziana letteratura di questo secolo, e amendue nipoti del celebre Francesco Barbaro, il primo perchè figlio di Zaccaria fratel di Francesco, uomo dotto esso ancora e assai amante di codici antichi (V. Mazzucch. Scritt ital. t. 2, par. 1, p. 264 5 nota 10), il secondo, perchè nato da un altro Zaccaria figliuol dello stesso Francesco. Amendue questi dottissimi uomini han già avuta la sorte che la lor vita venisse illustrata da due scrittori diligentissimi, il primo dal P. degli Agostini (Scritt venez. t. 1 229, ec.), (a) Un’orazion di Donalo Acciainoli in onor di Cosmo de’ Medici è stnta pubblicata da monsig. Labbroni (Vita Cosm. Med. t. 1, p. 360). [p. 1210 modifica]1310 LIBRO il secondo da Apostolo Zeno {Diss. voss t. 2, p. 348, ec.), e sulla loro scorta ne ha ragionato più in breve il co. Mazzucchelli Scritt ital. t. 2, par. 1, p. 253, ec., 256.ec.) (a). 11 primo nato circa il 14 10 istruito nel greco da Guarin da Verona con sì felice successo, che in età di soli dodici anni tradusse in latino alcune favole d’Esopo, studiò poscia le leggi in Padova, e ne ottenne la laurea nel 1425. Eugenio IV il volle alla sua corte, e dichiarollo protonotario apostolico, donandogli ancora alcuni beneficj ecclesiastici. Ma perchè il pontefice, dopo avergli promesso il vescovado di Bergamo, il conferì a un altro, Ermolao abbandonò per qualche tempo la corte, e viaggiò per l’Italia, finchè tornato ad Eugenio ne ebbe nel 1443 il vescovado di Trevigi, benchè non senza gravi ostacoli frapposti dalla Repubblica. Trasferito nel 1453 alla chiesa di Verona, la resse fino al 1471 in cui finì di vivere in Venezia. Nulla se ne ha alle stampe, tranne qualche lettera, ma più opuscoli manoscritti se ne hanno in alcune biblioteche, e fra essi la traduzione della Vita di S. Atanasio scritta da Eusebio di Cesarea. Assai più celebre è il secondo, uomo in cui, se da una parte si abbia riguardo al breve tempo che visse, e alle cariche nelle quali fu occupato, e dall’altra alle opere e per numero e per ampiezza d’erudizione grandissime che ci lasciò, ci parrà quasi (v) Aleuni bei documenti intorno ad Ermolao barbaro il giovane ha poscia pubblicati inonstg. I abitini (t’ita Coiiii. Mcd. t. 1, p. 487, ec.). [p. 1211 modifica]TERZO I a | 1 impossibile che in un sol uomo si potessero tante cose congiungere felicemente. I primi anni della sua vita furon tutti rivolti agli studj, ch’ei fece parte in Verona sotto il vescovo Ermolao suo zio, e colla direzione ancora di Matteo Bosso canonico regolare, che dice gran cose dei lieti progressi che fin d’allora in essi egli fece (Epist. famil, sec. ep. 34) parte in Roma sotto Pomponio Leto, ove secondo alcuni in età di soli quattordici anni fu coronato poeta nel 1468 dalf imperador Federigo. parte in Padova , ove nel 1477 laureato nelle leggi e nella filosofia. In età di soli diciannove anni intraprese la version di Temistio, cui pubblicò sette anni appresso. Tornato in patria, e ammesso a’ consueti gradi d’onore, non perciò interruppe i suoi studj; e estendendo ancora le sue fatiche ad altrui giovamento, prese a spiegare privatamente in sua casa or Teocrito, or Demostene, or Aristotele; e il concorso ad udirlo si fece poscia sì numeroso, che quella casa parve cambiata in una solenne università. Cominciò indi in età di trentadue anni ad avere l’incarico di onorevoli ambasciate, inviato l’anno 1486 all’imperador Federigo in Bruges, da cui fu creato cavaliere, l’anno 1488 a Lodovico il Moro, e l’almo seguente mandato ambasciatore ordinario al pontefice Innocenzo VIII. Ma quest’ultimo onore gli fu occasione di non leggera amarezza. Morto nel 1,491 il Cardinal Marco Barbo patriarca d’Aquileia, il pontefice, che avea in molta stima Ermolao, lo destinò a quella chiesa e il Barbaro accettò il profertogli onore. Di cbe sdegnati! [p. 1212 modifica]

I. * iaia libro la Repubblica, le cui leggi vietavano a’ suoi ministri il ricevere dignità alcuna senza il consenso del Pubblico, il dichiarò esiliato. La rinuncia che Ermolao fece tosto del suo patriarcato, ma che dal pontefice non fu accettata, e i maneggi di Zaccaria suo padre e di altri parenti e amici non ebber forza a calmar la procella; e Ermolao dovette continuare a vivere in Roma, finchè la pestilenza il tolse immaturamente di vita in età di soli trentanove anni nel luglio del 1493 in una villa ove erasi ritirato. Molte e di diversi argomenti sono le opere di Ermolao che han veduta la luce. Lasciamo stare tre orazioni da lui dette in diverse occasioni, alcune epistole, molte prelazioni, alcuni epigrammi latini, e qualche altro opuscolo, de’ quali si può vedere il catalogo presso i detti scrittori. Oltre la traduzion di Temistio da noi già mentovata, ei recò ancora di greco in latino gli otto libri della Materia medica di Dioscoride, e i tre libri della Rettorica d1 Aristotile, di cui ancora fece un compendio così de’ Libri Morali, come della Scienza naturale; anzi egli pensava di tradurne tutte le opere; ma o egli non l’ha eseguito, o certo non è uscito in luce che ciò che ora abbiamo accennato. Ma l’opera in cui più chiaramente si scorge la vastissima erudizione di Ermolao, sono le correzioni da lui fatte alla Storia di Plinio. Due opere scrisse su questo argomento, mentre trovavasi in Roma, la prima nello spazio di ventinove mesi, che fu pubblicata nel 1492 col titolo: Castigationes Plinianae; e la seconda in poco più di un mese [p. 1213 modifica]TERZO I 2I3 e mezzo, che venne alla luce l’anno seguente col titolo: Castigationes secundae, alle quali egli aggiunse le correzioni a Pomponio Mela, e la spiegazione delle voci più oscure di Plinio. Ei si vanta di aver corretti lino a cinquemila errori , che per negligenza de’ copisti eran corsi in quella grand’opera, trecento in quella di Mela, ed altrettanti in altri antichi scrittori. Già abbiam veduto che Niccolò Leoniceno impugnò in alcune cose l’opinione del Barbaro, il quale da altri ancora fu criticato, come uomo che troppo facilmente si abbandonasse alle sue congetture. Ma altri hanno più giustamente osservato eli’ è cosa di maraviglia, come in que’ tempi tanto ancor tenebrosi potesse il Barbaro gittar sì gran luce su quel grande scrittore. Egli è perciò altamente lodato , come osserva il Zeno, da Erasmo, e qualche lode ancor non gli nega il P. Arduino, il quale però ancora lo biasima, come troppo ardito nelle sue congetture; biasimo, dice il medesimo Zeno, che tutt’altri che il P. Arduino dovrebbe opporre al Barbaro, e molto più ch’egli stesso in moltissimi luoghi non si vergogna di seguirlo, e spesso senza pur nominarlo. E ciò basti del patriarca Barbaro, di cui e di altre opere inedite da lui composte io lascio che si veggano più ampie notizie presso i soprallodati scrittori.

XXII. Io non parlerò qui di Marco Lippomano dotto nella lingua ebraica, come già si è detto, e dotto ancor nella greca, come pruova il P. degli Agostini, che di lui e di qualche opuscolo da lui pubblicato ha scritto colla consueta sua esattezza (Scritt. venez. Li ,p. 487, ec.). Tiraboscui, Voi Vili. 36 [p. 1214 modifica]I 3 I 4 LIBRO Questo scrittoi’ medesimo lia esposta diffusamente la \ ita di Girolamo Donato (ib. t. 2, p. 201, ec.) nobilissimo patrizio veneto, il quale, benchè occupato continuamente in varie e difficili legazioni, che il tennero in un quasi continuo movimento fino al:1511, in cui finì di vivere in età di circa cinquautasette anni, nondimeno coltivò con sì indefesso studio le scienze e le belle arti, che fu avuto in conto di uno de’ più dotti uomini di quel secolo. La lingua greca fu uno degli oggetti a cui rivolse il suo studio, e ne abbiamo per saggio le traduzioni de’ Comenti di Alessandro d’Afrodisia sopra i libri di Aristotile intorno F anima, e di un’ 0melia di S. Giovanni Grisostomo, che sono uscite alla stampa, e quella delle opere attribuite a S. Dionigi Areopagita, e di qualche opera di S. Giovanni Damasceno, che si han manoscritte. Benchè secolare e ammogliato coltivò ancora gli studj teologici, come ci mostrano l’Apologia contro de’ Greci del primato del papa, e una lettera al Cardinal Oliviero Caraffa sullo stesso argomento, che più volte ha veduta la pubblica luce, oltre un trattato della Processione dello Spirito Santo, che conservasi manoscritto nella Vaticana. Scrisse innoltre una lunga e forte Apologia de’ Veneziani contro Carlo VIII re di Francia, di cui ci ha dato l’estratto il suddetto P. degli Agostini, il quale finalmente ragiona di qualche altra opera inedita dello stesso Donato. Antonio Beccaria veronese scolaro di Vittorino da Feltre viene annoverato dal march. Maffei Ver. illustr. par. 2, p. 217) e dal co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 2, [p. 1215 modifica]TERZO i U15 p. 5$3) tra1 coltivatori di questa lingua. ed essi ne rammentano alcune opere. Assai migliori notizie ne abbiamo nella Vita di Vittorino scritta dal Prendilacqua. Questi (p. 66) il loda altamente, perchè avea in se stesso congiunte l’eloquenza e la poesia; fa grandi encomj di alcune poesie da lui composte in età giovanile; rammenta le traduzioni da lui fatte dal greco de’ Morali di Aristotele, e de’ libri delle Cose mirabili, e delle Virtù e dei Vizj dello stesso autore, della Cosmografia di Dionigi, di undici Vite di Plutarco, e di più opere di S. Atanasio, e un’eloquente apologia da lui scritta degli studj dell’amena letteratura. Quindi racconta che Antonio recatosi nell’Inghilterra, vi ebbe onori e ricchezze in gran copia dal duca di Glocester grande protettor delle lettere; me che, poichè questi fu ucciso, cercato a morte anch’egli, appena potè salvarsi fuggendo ignudo; e che allora vivea tranquillamente in Verona presso il vescovo Ermolao Barbaro. Antonio Pasini da Todi sua patria, detto comunemente Antonio Tudertino, tradusse egli ancora alcune Vite di Plutarco, delle quali e del loro traduttore si posson vedere le notizie presso Apostolo Zeno (Diss. voss. t. 1, p. 358, ec.). A questo scrittor medesimo io mando chi brami saper distintamente della vita e dell’opere di Giovanni Tortelli (ib. pag. 146, ec.) aretino, arciprete della cattedrale della sua patria , suddiacono della Chiesa romana, custode della biblioteca di Niccolò V, e morto nel 1466, di cui pure abbiamo alcune traduzioni dal greco, un trattato dell’Ortografia latina, e alcuni altri [p. 1216 modifica]13l6 libro opuscolij e di Cristoforo Persona (L 2 fp. 134) malamente da altri appellalo Porsena , priore de’ Monaci guglieminiti di Salila Balbina in Roma, e da Innocenzo VIII dichiarato nel 1484 prefetto della biblioteca Vaticana, e morto due anni appresso, di cui abbiamo moltissime traduzioni dal greco, come la difesa della Religione cristiana scritta da Origene contro di Celso, la Storie di Procopio e di Agatia, i Comenti di Teofilatto attribuiti già a S. Giovanni Grisostomo sulle Pistole di S. Paolo, e alcune altre inedite (a). Scipione Fortiguerra natio di Pistoia, che travolgendo in lingua greca il suo cognome, volle dirsi Carteromaco, fu egli pure un de’ più dotti nello studio di quella lingua, e ne son pruova alcune versioni, e un’orazione sulle lodi della stessa lingua, che ne abbiamo alle stampe. Monsignor Fontanini ne ha scritta la Vita (Giorn. de’ Letter. d’It. t. 20, 26), che è poi stata inserita, colf aggiunta di alcuni opuscoli inediti del Carteromaco, dall’ab. Zaccaria nella sua Biblioteca pistoiese (p. 248). E maggior frutto avrebbon tratto le lettere dagli studj di Scipione, s’egli, dopo essere stato professore di lingua greca in Venezia, e poscia nella corte del cardin Francesco Alidosio, e in quella del’ Cardinal Giovanni dei Medici, non (a) Di Cristoforo Persona ci ha dato più esatte notizie il eh. sig. abate Gaetano Marini, il quale ha anche provato el11 ei inori verso la fine del 1485 (Pegli strchiatri pontif. t. 1, p. 271; t. 2, p. 224, cc., 35o). Delle traduzioni da lui fatte dal greco ha parlato esattamente il P. M. Audifredi (Catal. rom. Ed. sacc. xrt p. 217, 25o, 3bo, 448). [p. 1217 modifica]TF.RZO I U I 7 fosse stalo rapito da immatura morte in età di poc’oltre a quarnnt’anni, otto mesi dopo l’elezione al pontificato del Cardinal suo protettore. Il celebre Erasmo, che nel primo suo viaggio in Italia avealo conosciuto in Bologna, e poi in Roma, ne avea non ordinaria stima; ed egli afferma che era il Cartcromaco si lontano da ogni ostentazione, che se non veniva quasi a forza provocato a dar saggio del suo sapere, sarebbe stato creduto uom senza lettere (Epist. t. 1, ep. 671) (*). Stefano Negri cremonese discepolo e amico di Demetrio Calcondila, e successor del medesimo nella cattedra di lingua greca in Milano, diè egli ancora più saggi del molto che in quella lingua sapeva. Di lui veggansi V Arisi (Crem. liter. t. 1, p. 396) e l’Argelati (Histar, typogr. mediol. p. 277, ec.), che ne parlano a lungo, e descrivono ancora 1: infelice fine ch’egli ebbe. Il Zeno ancora ci ragiona della versione di Omero fatta da Orazio romano (t. 1, p. 210). Già se ne aveano alcune altre versioni, delle quali si è da noi trattato nel precedente tomo. Pier Candido Decembrio aveane recati in prosa (*) 11 Tortelli debb’essere annoverato tra gii tintinni die per amore di studio navigarono a Costantinopoli. IN’arra egli stesso di aver veduto in quella città un bellissimo codice dell1 opera di Dioscoruie (Comnient. de Orthogr. ad 1*. Hippocrales) -, e Gioa chimo Camerario racconta che in Basilea conservasi un esemplar greco della Storia di Tucidide, che nella stessa città era stato donalo al medesimo Tortelli (Praef. ad Thucyd. Gracc. Kdit- Basii. 154o). Tiraboschi, Voi Vili. 3G’