L'anthropologia di Galeazzo Capella secretario dell'illustrissimo signor duca di Milano/Libro Primo

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Galeazzo Capella al lettore Libro Secondo
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IL PRIMO LIBBRO DELL'ANTHROPOLOGIA DI GALEAZZO
CAPELLA SEGRETARIO DELL'ILLVSTRISS. S. DVCA
DI MILANO.


N
ON E’ DUBBIO di tutte l'altre cose mortali esser l'huomo il piu' degno, come quello che solo di vero giuditio et ragione e' dotato; senza la quale indarno la Natura havrebbe pigliato fatica di fare tante varie forme di terreni animali, di pesci, d'uccelli, si gran coppia d'acque, si ampio spatio di terra, opra si maravigliosa come sono i cieli, se non vi fosse, chi la nobilta' et la bellezza di tanto artificio conoscesse. Per la qual cosa quelli sono sempre stati pregiati et sovra gli altri istimati; che hanno speso il tempo nella contemplatione et dottrina, et che in cio hanno rapportato qualche frutto; lo quale io giudico consister massimamente nello scrivere, et in fare altrui e suoi concetti palesi. Percioche la scienza avegna che sia di grandissima sodisfattione, et in molte cose giovi a' gli animi de dotti, nondimeno, se con altri non si partecipa, con la vita de gli huomini manca senza veruno acquisto di laude; et non possono quei che la tengono occolta, il biasimo dell'avaritia fuggire. Ma coloro a' quali o' con viva voce, o' colla scrittura e' piacciuto altrui portare giovamento; oltra il nome et la gloria hannosi ancora maggior loda ch'e donatori delle ricchezze guadagnato, conciosiacosa che quanto di quelle e' piu' degna la virtu'; [p. 3v modifica]tanto è di più utilita' il fare parte altrui della scienza, che della robba; et piu etiandio giovano gli scrittori, che coloro i quali solamente con viva voce insegnano, durando il beneficio di questi un tempo picciolo; dove la utilita' da quelli recata sara' eterna. Sopra le quali cose pensando, m'e' venuto in animo di scrivere alcuni non meno utili, che dilettevoli ragionamenti; che per dimostrare qual sia maggiore o' la degnita' dell'huomo, o' quella della femina, o' la loro miseria, ritrovandomi per aventura gia sono molti anni in casa d'una gentildonna in Milano, udi fare da tre huomini molto scientiati l'uno de quali si chiamava il Musicola, non dalla Musica, avegna ch'in quella fosse eccellente, ma dalle muse cosi allui amiche, come se fosse stato nodrito nel grembo loro; l'altro maestro Girolamo Segazzone medico, che dalla prontezza di comporre versi di qualunque maniera havea acquistato nome di Poeta; il terzo era messer Lancino Curtio, nella poesia, et in tutte le buone arti tanto famoso, quanto altri a' suoi tempi ne fosse. Hora usando ciascuno di loro alla casa di questa gentildonna; la quale tacendo il nome di lei sara' in questo libbro da me detta Iphigenia; avenne che trappassando d'uno in altro ragionamento, vennero a' parlare d'alcune giostre; che in que giorni si facevano per dare piacere a' molte gentildonne della citta'. Il che ragionevolmente il Poeta diceva farsi, come per quelle che sono degli huomini piu degne. Allhora il Musicola maravigliandosi che questo presumesse egli di dire; niuna cosa, rispose, piu agevolmente si puo' dimostrare, che l'eccellenza [p. 4r modifica]dell'huomo; al quale tanto cede la femina, quanto la notte al giorno, la Luna et l'altre stelle al Sole. Anzi disse il Poeta, la degnita' delle donne è maggiore: et tra l'altre ragioni, l'amore che le portiamo, ne fa chiarissima fede; il quale non puo' altronde procedere, che dal valore in esse compreso: et questo specialmente si conosce, percioche gli huomini savi piu' sovente che gli altri ne lacci d'amore incorrono. Voi dite, disse il Musicola, che gli huomini savi incorrono ne lacci amorosi; et io dico che niuno puo' esser savio, che si lassi avviluppare a' seguire uno, che in continovi errori e suoi seguaci mantiene; facendogli parere il mal bene, il dolce amaro, noiosa la vita, et gioconda la morte; di che niente meno appartiene al savio: il quale se veramente è savio, deve tenere le cose in quel conto, et non altramente, che da Dio furono fatte. Questo bramo intendere, disse il Poeta, piu' chiaramente. Tutte le cose, soggionse il Musicola, fece Iddio a' qualche fine; le ricchezze per sovenire a' bisognosi; le forze per aiutare i deboli; la sanita' per potersi affaticare nell'opre necessarie; i figliuoli per fargli tali, quali essere noi disideriamo; la femina per aiuto alla conservazione humana, et non perche', secondo il costume degli stolti, i ricchi gettassero le faculta'; i forti stessono a' dormire ne pericoli; i sani ociosi; i figliuoli fossero negletti; le donne havessero imperio sopra di noi. Et cosi credo che 'l detto di quell'antico philosopho. Conosci te medesimo, fosse il primo precetto dell'humana vita; accio' che conoscendo l'huomo la sua degnità, e 'l fine per cui principalmente è creato, usando [p. 4v modifica]la ragione, et l'intelletto allui conceduto, se ne facesse degno. Non meno ancora, disse madonna Iphigenia, vale questo ammaestramento per le donne. Cosi è , rispose il Poeta, et però, poscia che altro affare non habbiamo, sara bella cosa parlare alquanto di questa materia. Bella materia in vero, disse il Musicola, fie il parlare dell'eccellenza dell'huomo, et della singolare sua industria et ingegno; per lo quale egli piu che la femina merita lode infinita. Ne men bello, rispose il Poeta, sarà il ragionare della degnità et virtù del sesso femminile; il quale quantunque nelle parole il più delle volte da gli huomini sia tenuto per vile; non dimeno negli effetti appo loro medesimi è di stima grandissima. Ne voi Messer Lancino, soggionse madonna Iphigenia, che piu vecchio et savio siete istimato, è convenevole tacere; essendo messo in campo si bel soggetto di ragionare, et rare volte, per quello che mi sia accaduto intendere da altri trattato. Anzi io non potrei, rispose egli, tacere, udendo dire che la Natura humana sia di tanta eccellenza; la quale da ogn'uno di sano giuditio è sempre stata riputata misera, et piena d'infinite angoscie. Ma prima che piu avanti io dica; il Musicola, se non gli è grave la fatica, dirà de gli huomini; et il Poeta seguirà, si come ha gia proposto, delle lodi delle donne. Allhora il Musicola, à cui la prima parte del ragionamento appartenea, tenuti alquanto come pensoso gli occhi fissi verso il cielo, cosi fece principio. Io fra me spesse volte la infinita provideza del sommo Iddio, et della maestra del tutto Natura considero; che habbia creato il mondo unico, perpetuo, [p. 5r modifica]immenso; fuora del quale, oltra il cielo empyreo et la sedia de beati, niente altro sia; et gli habbia dato questa forma rotonda, come più capace di tanta varietà, et numero di cose; et accio che in se stesso con tanti et si diversi movimenti si volga. Et contemplo etiandio il mutabile artificio de cieli, il supremo de quali in ventiquattro hore con maravigliosa velocità si volge dal levante in ponente, gli otto inferiori trahendosi dietro; che in diversi et più lunghi tempi fanno e suoi rivolgimenti incontro à quello. Et miro il cielo stellato si tardamente compire il suo corso; che se l’ingegno più avanti non considerasse; il senso non potrebbe discerner essere in quello alcun moto oltra il primo. Poi veggio tante stelle render nel cielo incredibile splendore, delle quali benche solamente mille ventidue siano state da nostri maggiori conosciute; pur si comprende che sono innumerabili; et sotto à quelle n’è un’altra in un cielo particolare; che in trenta anni intorno gira, chiamata Saturno, nontia de futuri danni, et significante à chi sotto essa si nasce noia, maninconia, et angoscie. À questo è prossimo Giove, più lucido et favorevole à chi egli nel suo nascimento si truova guardare con buono aspetto; et come minore, in dodici anni compie il suo giro. Seguita adietro Marte, che in due anni torna al grado, onde fece partita; stella focosa et ardentissima, et di morti, et di guerre minacciosa. Tra le tre gia dette, et tre altre che di sotto stanno, tiene il luogo di mezzo il Sole, cagione della vita di tutti gli animanti, la cui faccia è tanto luminosa, che si chiama fontana di lume, et dà luce [p. 5v modifica]universo, se non quanto all'ombra della terra in questo nostro hemispero al notturno tempo e suoi raggi ci nasconde; et col movimento suo hor al sommo del cielo verso noi innalzandosi doppò la lieta primavera ci adduce la state; hor da noi rimovendosi et inchinandosi all'altro polo, ne fa il fruttifero autonno, et poscia l'arido et aggiacciato verno; et in questi quattro tempi finisce l'anno. Al girar del Sole due altre stelle s'accompagnano, l'una è Venere piacevole, gioconda, et fortunata; che hora innanti al Sole caminante à noi si mostra il mattino; hora adietro seguendo la sera luce ne rende: non perciò tanto lontanandosi mai, che in breve spatio à congiongersi con lui non ritorni; l'altra è Mercurio ingenioso et savio, il qual secondo la compagnia dell'altre stelle, piu che per se stesso fa gli huomini hor buoni, hor rei: l'ultima tra tutte è la Luna, che quasi in ventotto giorni adempie il suo svolgimento come più breve, et minore di tutti gli altri cieli, et hora appressandosi al Sole si nasconde; et come hanno favoleggiato i poeti, va nel regno infernale à starsi col marito Plutone; hora partendosi comincia à mostrare le sue corna verso oriente; infino che fattaglisi dirimpetto mostra la faccia sua piena: indi tornando à rappressarglisi, un altra volta dirizza le corna verso ponente; et poscia di nuovo da noi si nasconde. Contemplo da poi sotto i cieli quattro elementi principio d'ogni cosa mortale et prima il foco, che come più lieve, et puro, quando si divise l'antico Chaos, il più alto luogo elesse, nel qual credesi il loro albergo haver le comete, futuro annontio delle morti de Prencipi, et di null'altri casi humani, le stelle [p. 6r modifica]cadenti dal cielo; et molti altri fuochi, delle ruine nostre manifesti segnali. Seguita l'aere più che gli altri, secondo la volgare openione, alla vita necessario; senza il quale non potrebbono gli animali terreni, et gli uccelli vivere; il quale entra (tanto è sottile) per tutte le cose, non lasciandone alcuna di se vuota; et come tutto questo luogo circostante al sommo della terra di se stesso empie, cosi cede à tutti i corpi, à quali poi lo spatio suo accade esser mossi; et è da philosophi diviso in tre parti; la sovrana per la vicinanza del fuoco è stimata continovamente essere calda; la infima hor calda, hor fredda, secondo che la terra per l'altezza et bassezza del Sole aggiaccia, ò bolle, et gli imprime le qualità di lei; la mezzana come più lontana dal raggio principale et dal reflesso è di perpetuo freddo ingombrata; et perciò più atta à deprimere i vapori della terra, hora in pioggia, hora in nievi, quando in ruggiada et brine, et quando in grandini si tramuta; di se generando venti, terremoti, folgori, et tuoni spaventevoli à mortali. Intorno alla terra d'ogni lato, se non quanto è mistiero per la vita degli animanti lasciarne scoperto, sin l'elemento dell'acqua solamente creato per la vita de pesci, et per porgere humore, et nodrimento alle cose dslla terra prodotte; se l'ordine humano non havesse poi tentato le vie à noi vietate, et con l'aiuto d'un legno frale commesso la vita à tempestosi mari. La terra come gravissima l'ultimo et più basso luogo tiene; et in essa sono tante spetie d'animali, tante selve, monti, valli, città, ville, et copia innumerabile di frutti per beneficio dell'huomo. Come [p. 6v modifica]disse il Poeta, non sono queste cose tanto per uso degli altri animali quanto degli huomini create? conciosiacosa che le selve per habitacolo delle fere paiono fatte; i prati per cibo de buovi, de cavalli et dell'altre bestie, le ghiandi de porci, et molte cose similihanno apparenza d'esser fatte più per altre forme d'animali che per l'huomo. Io cio non nego, disse il Musicola; ma come in un superbo et magnifico palagio quantunque le cucine, le stalle, et gli altri luoghi somiglianti habbiano più da esser habitati da servi, et famigliari di casa, che dal padrone et signore; nondimeno il palagio non per quelli, ma per lo padrone, esser fatto si dice. Cosi questa opera dell'universo, nella quale la somma providenza d'Iddio, et l'infinito poter di Natura si dimostra, non è da credere che sia stata formata per le fere et per gli animali bruti, i quali non hanno conoscimento delle cose, ch'in essa sono. Anzi io oso dire che più per li maschi che per le femine sono fatte. Percioche nel principio essendo creato l'huomo per governare, et reggere tutte queste cose; la donna fu puoi fatta come aiuto allui. Et percioche poco senza le attioni fora conosciuta la eccellenza dell'humana spetie, la Natura puose in noi tre stimoli, che la ragione, il consiglio, et l'ingegno datone all'operare eccitassero; l'uno fu di utilità; l'altro di piacere; il terzo d'honore. Il primo adunque indusse à trovare l'agricoltura, il vestire, l'architettura, il navigare, à ricercare le ricchezze, la sanità, le forze, la destrezza, l'amicitie, et altre cose alle sopradette somiglianti. Il secondo, che fu di piacere, si come dovrebbe esser minore della utilità, cosi dalla moltidudine indotta è più [p. 7r modifica]prezzato. In questo molti gentilhuomini et prencipi hanno riposto la caccia, altri il gioco, altri il pronto motteggiare, molti la musica, alcuni la pittura, et la scoltura, infiniti la gola, et tutti principalmente l'atto carnale et avegna che molte altre cose habbiano dilettatione; non dimeno per fuggire il fastidio, le dette basteranno come universalmente più conosciute. Il terzo stimolo che fu dell'honore, è proprio et particolare dell'animo, percioche essendo immortale, disidera lasciare qua giu fama et gloria perpetua; la quale, per conchiudere brevemente, specialmente con l'arme, et con le lettere s'acquista; vero è che molte di queste cose sono mescolate insieme. percioche delle utili alcune sono dilettevoli; et alcune dilettevoli sono anchora utili; et parimente le honorevoli non sono senza utilità, et piacere. Ma per venire alle utili, et primeramente all'agricoltura: dico che quantunque senza veruna differenza sia da maschi, et dalle femine trattata, nondimeno più al sesso de gli huomini appartiene; et se Trittolemo ò chi si sia stato non ci havesse insegnato mettere il giogo a buovi, romper le zolle della terra, se Baccho, come dicono i Poeti, ò Noè secondo la scrittura del vecchio testamento non havesse la vite piantata, et insegnatoci di trarre di quella il liquore; non sarebbe la vita humana mai salita in tanto pregio; anzi da poco più fora stata che la selvaggia, et quella degli animali brutti, costretta à vivere di cio che senza industria nostra la Natura ci havesse messo inanti, et è questa arte di tanta stima, che gli Re del popolo hebbreo haveano tutte le lor ricchezze in armenti et pecore; et gli [p. 7v modifica]antichi Romani quasi ogni suo studio in essa ponevano; et da gli aratri si conducevano i senatori, et Capitani alle Dittature, et suppreme degnità; et guadagnati i triomphi, la sera à volgere le rape nel fuoco, et à suoi lavori incominciati tornavano; da quali etiandio molti il nome pigliavano, come i Serani, i Fabii, i Ciceroni, i Lentuli, i Pisoni, et altri simili che da varii loro studi et frutti rusticani erano cosi nominati. Et nel vero qual cosa è di più dilettevole aspetto, che la verdura d'uno ben colto prato, ove i correnti ruscelli egualmente discorrono con le rive di diversi alberi vestite? qual è più gioconda che mirare le folte viti ordinatamente poste, ornate di pampini, et di uve carche? che più ci puo aggradare che negli spatiosi campi vedere le mature biade ondeggiare? che più diletta, che uno adorno giardino pieno di molta varietà di frutti? di che Cyro il minor Re di Persia non hebbe cosa più degna da mostrare à Lysandro Lacedemonio, quando maravigliandosi delle limpide acque, della vaghezza de fiori di tante, et di si diverse maniere, cosi allui rispose. Quanto più ti sie maraviglia sapendo tutte queste cose non da altri, che da me esser fatte; et molti di questi alberi con le mie mani esser qui posti? Per la qual cosa fu dal Greco ambasciatore più, che per gli ampissimi regni, istimato felice. Vedete adunque non solo la utilità, ma ancora il piacer dell'agricoltura; alla quale se la donna solamente ponesse cura, in vano si potrebbe attendere il frutto dell'aratro, de [p. 8r modifica]prati, del piantare, et innestare gli alberi; et di molti simili uffici che tutti sono degli huomini. Se pur cosi volete, disse maestro Girolamo, contento sono questa lode dell'agricoltura concedervi; concedendo voi però la inventione del vestire cotanto all'humana vita necessario alla donna, come più amica dell'honestà, per celare quelle parti che hanno aspetto men che honorevole. Anzi io credo, rispose il Musicola, che l'huomo ne fosse l'inventore. Percioche quantunque la femina paia più disiderosa di stare nascosa; nondimeno fugge à gli falci (come dice Vergilio) et vuole essere dall'amante veduta. Et veramente non è cosa al mondo più baldanzosa, che la femina; la quale tosto che si ha preso alquanto di licenza, et libertà; niuna vergogna, niuno freno è che la possa ritenere. Quanto meno è da credere che cotesti impedimenti di panni da lei fossero giamai ricercati, la quale è assai più cupida de carnali congiungimenti, che l'huomo. Come disse Thyrresia nella giusta sua sentenza sopra cio da Giove, et da Giunone addimandato. Per che dall'irata Dea, che ricoprire forse intendeva il pane, che per schiacciate al marito rendeva, fu fatto d'ambidue gli occhi privo. Qual cagione adunque credete, disse il Poeta, che movesse i primi huomini à coprire le lor carni? I disagi, rispose il Musicola, che ogn'hora pativano, et i maschi più che le femine; i quali ò per recare il vivere à figliuoli, ò per altra opportunità, [p. 8v modifica]partendosi dall'amato nido secondo le stagioni hora noioso freddo, hor a troppo caldo sentivano; et primeramente con le pelli delle fere da loro uccise à farsi scudo contra la state, et contra il verno cominciarono; come anco hoggidì intendo che alcuni popoli di Scotia versi la tramontana si fanno. Dapoi l'arte à poco à poco più avanti è gita: tal che huomai niuna cosa è al mondo da veder più vaga che il colto et vestire dell'uno et l'altro sesso, ì chi considera con quanta sottigliezza si tosa la lana; et quanta industria vi si mette per ridurla in panno: come da si piccolo vermicello sia conosciuta la via di trarne la seta, et mandarla per tante mani, anzi che siano fatti i drappi di mille colori contesti, et di si diversi prezzi et paragoni; come l'oro si sodo, et ponderoso metallo sia potuto stendersi tanto che niuna altra cosa è più sottile; et cosi farne pretiosissimi artificii; le quali cose da nulla sarebbono, se la medesima industria non si fosse ingegnata di usarne in foggie di vestire si convenevoli; et perciò che l lana sovraposta alla carne, massimamente dalle parti vergognose in su dove il cibo più scalda, havria potuto generare qualche cosa men che netta; et la seta et l'oro incitano per l'asprezza loro fastidio, et prurigine; si è trovato via di trarre dal seme del lino si picciolo un panno, che si puo lavare; nel quale s'avolge il corpo, et sovra si mettono gli altri vestimenti; senza l'ornamento de quali pare che la persona sia poco prezzata; et con quelli si aggiunge tanto di gratia, che non solamente belli più belli paiono; ma anco si copre il difetto de difformi et schiancati. Che dirò dell'architettura, nella quale [p. 9r modifica]in ogni parte del mondo solamente gli huomini si transmettono? et quale è di tanta necessità, et beneficio, che pare haver dato principio alla congregatione, et compagnia humana, et se pur gli huomini per naturale istinto si sono prima ridotti à vivere insieme, non hanno almeno potuto la compagnia senza agiato albergo conservare. Percioche contra l'offesa del freddo, et del caldo era poco rimedio il coprimento del vestire nelle tarde notti del verno, et nella lunghezza del giorno estivo; se non si fosse trovato qualche cosa, che ci havesse tenuti si aspri nemici lontani. Percioche lasciandogli troppo à corpi nostri approssimare, le ponture del freddo in poco spatio di tempo havrebbono penetrato non ch'e panni, ma la carne et le viscere; et finalmente i raggi del Sole non tanto havrebbono scaldato, ma arso le membra humane. La onde l'huomo dotato di ragione, et consiglio prese partito di fabricar case, che non solamente le pioggie, et le nievi, ma anchora l'aer notturno, et l'ardore del Sole ci tenessero da lunge. Et è da credere, che havesse etiandio consideratione alla ferocità, et rabbia d'infiniti animali, i quali non amando viver d'herba, ne di biade, ò d'altri frutti della terra, con caccia, et preda degli altri animali cercano la fame satiare et perciò essendosi mostrati nemici all'huomo; è stato necessario con le mura far riparo alla fierezza loro. Ha puoi il desiderio humano del dominare l'odio delle fiere imitato perché oltre le piccole case, che qua, et la si dificavano, secondo che a ogn'uno era piu desiro, coltivare le terre, onde il vivere trahevano; s'incominciarono à fabricar ville et città cinte di [p. 9v modifica]mura, et rocche, et castella bastanti à sostenere l'empito degli stromenti di guerra, che gli antichi usavano; et in esse, per meglio contenere gli huomini, furono fatti i tempii; et dato à credere alle genti, che Giove tuonasse et fulminasse contra i delitti de mortali; la quale paura non essendo bastante à reprimere l'iniquità de molti, ne quali potea piu la cupidigia, che il timore, furono da coloro, che haveano le città fondate, scritte le leggi; et stabilite le pene contra li disubidienti; et cosi la prima bellezza degli edifici fu fabricata in honore degli dei immortali. Dapoi quelli, che havevano piu ricchezze, cominciarono affar superbi palagi, come di Lucullo, di Sylla, di Pericle, di Cymone, et d'altri infiniti si legge; et à cotal modo si dedicarono gli ingegni de sottili architetti. Si che questa arte è homai pervenuta al sommo; senza che le donne possano di cio veruna lode vendicarsi. Et perciò che poco era à gli huomini veder le ville, et le città da loro dificate, se etiandio quello, che in altri paesi era da altri fatto non vedevano; et non partecipavano insieme l'arte, et l'industria loro per cio trovandose ne viaggi di terra trasposte immense solitudini, senza agio di ripararsi le notti al coperto, infiniti torrenti, fiumi profondissimi, pericoli di fiere selvaggie, et d'huomini non men che fiere crudeli, per fuggir simili disagi fu l'ardimento di Iason, il quale primo con navi passò da Grecia in Cholco da molti in diversi paesi imitato; et da principio con legni rozzamente lavorati appena osavano gli huomini navigar lungo i liti, dapoi fatte piu salde navi, apoco apoco di mettersi piu avanti presero ardire; infino che passate [p. 10r modifica]all'altre rive, et conosciuto le stelle esser ferma guida à naviganti, andarono à portare in ponente le ricchezze di levante, et affar partecipi de frutti delle fatiche nostre i popoli di Soria, et d'Egitto, et non solamente si posero affare à certi tempi tai viaggi, ma ancora à cangiare le habitationi; la qual cosa tanto di utilità ci ha apportata, che piu ricchezze sono hoggimai in una città marina che in dieci dentro terra poste. Lascio l'altre commodità de passaggi, di difendersi contra nemici, et dell'abbondanza del vivere. Per cotal ragione fu Corintho anticamente in Grecia; Syracusa in Sicilia di tanta stima; fu appresso Romani Rhodo in tanto pregio, et à nostri tempi contra la rabbia de Turchi à Christiani fortissimo feudo: Marsiglia altre volte cosi amica à Roma, et hora stimata appò gli Re di Francia; Ancona et Genova si famose in Italia; ma in Italia, et fuora di più pregio Vinegia, la qual città sola al mondo ha sempre commandato; et non mai ad altri ubidito, delle cui lode meglio è non parlare che dirne poco. Non tacerò di Portoghesi; i quali novellamente hanno havuto ardire di cercar l'altro polo; et passare la zona, la quale gli antichi non conoscendo, istimarono per la vicinità del Sole esser dishabitata, non meno in cio arditi, et fortunati che gli Argonauti, per lo viaggio più lungo, et piu pericoloso da lor tentato; et per le ricchezze indi rapportate maggiori, le quali, secondo l'opeione d'alcuni, non sono da essere sprezzate. Percioche quantunque all'huomo necessarie non siano; pur sono utilissime, et di grandissimo ornamento. Et [p. 10v modifica]Aristotile volle non solamente alla felicità humana appartenere i beni dell'animo, et la virtù; ma ancora le facultà, che sono beni della Fortuna; le quali ogn'uno disidera; et pare che non per altro la industria nostra, che per quelle s'affatichi. Come si vede ne fanciulli; i quali tosto che sanno parlare, et cominciano à farsi capaci di ragione, sono messi da lor padri alla scuola accio che indi habbiano piu spedita via alla mercantia, et al guadagno. Con le ricchezze etiandio le famiglie si mantengono. le degnità, et gli honori si conservano, le commodità del viver si truovano; et senza quelle la vita non ha alcuna giocondità; anzi à molti è pegio che morte. Quanta contentezza ha l'huomo ricco? che non solamente à se et à suoi provede; ma anco verso i forastieri puo mostrare liberalità, et donare i bisognosi, la quale cosa à mio giuditio è il principale, anzi il solo frutto delle ricchezze. E' laudata appresso Greci la liberalità di Cymone; che in tutti quelli della fattione sua fosse largo; si che ogn'uno di loro che ad Athene, ò alle ville sue venisse, poteva in casa di esso haver albero. Non meno è celebrata la liberalità di Lucullo, di Cesare, di Alessandro, et di molti altri Prencipi. Et nella città nostra, et altrove veggiamo che senza robba (se qualche eccellente virtù non ci dà fama) niuno può haver nome; et quelli che possono sovenire à bisogni d'altri, et volentieri lo fanno, si truovano per bocca degli huomini infinitamente lodati; et rade volte accade che la povertà soglia à grado di degnità. Anzi come le facultà fanno l'huomo splendido, cosi la inopia lo fa vergognoso, et timido à farsi conoscere; [p. 11r modifica]et quelli che sprezzano la robba, et che per transcuragine, ò per altra cagione la gettano, sono dal piu delle genti sciocchi istimati. Non altrimenti sarete voi Musicola riputato, disse messer Lancino, con cotesto vostro vestire alla philosophica, dispregiatore delle ricchezze, et del mondo. Anzi iole stimo, rispose egli, ma in due cose la Fortuna incolpo: che non l'ha à me per heredità concedute, ne formata la volontà per guadagnarl; nel resto ho perciò da lodarmene; che m'ha fatto sano et robusto (come vedete) ch'io tiro il palo, giuoco alla lotta, et alla palla; et gli altri essercitii della persona mi sono di pochissima fatica; la qual cosa à gratia singolare mi stimo. Percioch'io veggio tanti gottosi, tanti con doglie di fianchi et con si diverse infermità, che niuna cosa credo esser maggior bene della sanità; la quale avegna che appò gli sani non paia di molta stima, nondimeno da chi giace infermo, sopra ogn'altra è disiderata. Et nel vero che piu grato all'huomo esser deè, che potere ad ogni suo volere andare, correre, saltare, cavalcare, da se stesso vestirsi, et spogliarsi, et pigliare que cibi che piu gli aggradano, senza temere che noia gli facciano? Et con tal prosperità trappassare infino alla età piu grave; la quale se per aventura viene col medesimo agio; niuna maggior contentezza gli Dei all'huomo concedono; et poco vagliono al ricco le facultà, dove la sanità manchi, et con tanta cura è stata ritruovata l'arte della medicina; et come cosa degnissima riputata inventione degli Dei; che piu quasi non si stima altra dottrina: et oso dire, che non meno alle volte il render la sanità à gl'infermi aggrada, che à morti la vita. [p. 11v modifica]Percioche l'huomo non sano, dove i rimedi non giovano, sovente la morte piu che la vita apprezza: et colui assai ricco si persuade, che può aiutarsi da se stesso. Con la sanità sono congiunte le forze corporali; le quali hanno cotanto essaltato Hercole, Theseo, Achille, Aiace, Hettore, et molti altri; à quali in battaglie hanno dato molte vittorie, tal che la fama loro, ancora che dall'ingegno si possa dire essere aiutata, pur senza le forze del corpo non havria havuto luogo. Et non solamente le forze hanno guadagnato eterno nome ad infiniti huomini; ma senza esse non si sarebbe difesa Troia dieci anni contra la furia de Greci, ne Greci senza esse doppò dieci anni l'havrebbero ispugnata; i Romani non havrebbono all'universo dato leggi; non si manterrebbono tante città contra il furore de barbari; et non sarebbe chi si mettesse in forse di morire, per salvare la patria. La destrezza è di grandissimo ornamento et ne pericoli spesse volte è di piu profitto, perciò che sanza quella l'huomo di forze dotato quasi da nulla è stimato; ma chiunque si truova leggiero, et isnello, agevolmente può vincere tutte le pruove; et i lottatori non con altro aiuto gli avversari vincono; et ne duelli, et nelle sanguinose battaglie più vittorie rapportano quei che sono presti, et ispediti, ch'e forti. Conciosiacosa che à ferire il nemico, ì schermare il vegnente colpo con l'occhio et con la prudenza si antivede; et con la destrezza si mette in opra. Cosi lauda Homero nella sua poesia Achille, non di smisurata forza, ma di velocità di piedi. Lascio i balli et le feste che si fanno i molti luoghi, et piu che altrove in Milano (mercè dell'ocio et delle [p. 12r modifica]ricchezze sue) ove è di grandissima dilettatione il veder gli salti, et la prestezza de giovani, et delle donzelle che co'l suono si ben s'accordano. Non tacerò de giocatori di palla; il cui piacere tiene molti intenti à mirargli. Ma acciò non credesse che io mi voglia stendere in queste lodi; che forsi vi paiono picciole; perché io ne sia di voi piu vago; et mi senta gagliardo, et destro della persona; lasciate questa parte vegnano à dire delle amicitie non mai à bastanza lodate. Conciosiacosa che senza quelle la vita fora una perpetua noia, et malinconia, et meglio che vita si potria chiamar morte. Percioche non è huomo che ne travagli non rimanesse dalla Fortuna abbattuto, se non fossero presto gli amici, che lo rimovessero da tristi pensieri, et nella prosperità non sentirebbe piacere senza compagnia; essendo naturalmente la compagnia da tutti ricercata. Tal che si può dire colui esser veramente nemico di Natura, che abhorrisce le amicitie, le quali chi del mondo togliesse egli rimarrebbe piu oscuro, che se il Sole ci fosse levato; et que che piu degli altri ne sono stati vaghi, in mille luoghi sono celebbrati, Pylade et Oreste, Damone et Pythia; Theseo et Pirithoo; Achille et Patroclo; Tideo et Polynice; Eurialo et Nyso; Scipione et Lelio; de quali la fama non sarà estinta mai; insino ch'e poeti, et gli huomini dotti havranno nome. Le amicitie piacciono à Prencipi, et senza gran numero d'amici non possono governare gli stati loro; difendersi da nemici; salvare la vita contra l'insidie degli invidiosi. Piacciono à ricchi, i quali ociosi, ò negotiosi che si siano, non possono il tempo giocondamente [p. 12v modifica]trappassare senza compagnia. I poveri ancora nelle loro fatiche hanno compagni, et amici, et le feste, che cessano, et attendono à ristorare la noia di tutta la settimana, stanno per gli alberghi et per le piazze giocando, et dandosi con gli amici buon tempo. Ne si legge d'altra persona se non di Timone Athenise, à cui spiacesse haver amicitia; et perciò fu chiamato odiatore dell'humana generatione. Ma quantunque le amicitie à tutti piacciano; nondimeno in esse maggior nome, et fama hanno rapportato gli huomini, et quelle coppie d'amici, de quali ho detto, et alcuni altri che ne libbri si leggono, tutti furono de maschi, ove di femina non si truova essempio, come di cosa incostante, et che per ogni picciola cagione è pronta à lasciare l'amore, il che nelle vere amicitie non accade. Anzi Damone rimaso ostaggio presso Dionysio perdonò al reo; et pregò loro, che l'accettassero per terzo nell'amicitia, et Pilade, dovendo morire Oreste, affirmava se Oreste essere, per liberare l'amico, et se stesso condannare. A cotal modo, disse Madonna Iphigenia, non si truoverà hoggi cosa, in cui le donne vagliano. Poche credo se ne truoveranno, rispose il Musicola, delle utili; essendo, come uno gia disse, cosi nominate perché danno diano; ma nelle dilettevoli havranno piu favore; in alcune delle quali forsi gli huomini vincono, che è grandissima, ha in se utilità maravigliosa. Percioche altrimenti non si potria [p. 13r modifica]mantenere l'humana spetie; et se non è il primo istinto, che la Natura ci habbia dato, almeno è il prossimo; et acciò che dall'appetito sospinti, à guisa delle fiere in esso non trabocchiamo, la christiana et tutte l'altre leggi hanno ordinato il matrimonio, perché sia piu la certezza de figliuoli; et con piu riverenza si vada à questa santa opra, nella quale non negarò che le donne maggior piacere sentano. Ma quanto alla consideratione dell'intelletto, l'huomo è assai piu eccellente, percioche egli è agente, et la donna patiente, et è piu degno chi fa, che chi patisce. Percioche il fabbro che di un pezzo di quercia con suo stromenti fa una figura, da piu è che la statua; et il fuoco che abbrugia la paglia, piu degnità ha in se abbrugiando, che la paglia che si lascia abbrugiare. Similmente nelle regole di Grammatica ch'io imparai quando andava a scuola, mi diceva il maestro mio, che il verbo attivo era prima che il passivo. Prima era quanto all'intelletto amare, leggere, et scrivere, che esser amato, letto, et scritto; et quantunque l'uno non possa senza l'altro essere, pur nel discorso dell'intelletto cotal conoscenza d'amare è prima fatta, che laltra d'esser amato, et le cose che sono prima, sono ancora piu degne, si come i frati che prima entrano ne monasteri, sempre sono superiori à piu nuovi; i primi cardinali nel concistoro; i primi ufficiali ne lor magistrati sempre tengono i piu honorati luoghi. Negli studi degli huomini è ancora un altro diletto grandissimo della caccia; il quale spesse volte ci rende men grati molti altri piaceri, di mangiare di bere, et di cercare al tempo caldo le fresche ombre; et [p. 13v modifica]quando i raggi del Sole inchinandosi all'altro polo, rimenano à noi la fredda stagione, et i campi et monti sono di nieve coperti, ci fa le chiusecamere, et delicati letti obliare. Fa ancora à mariti scordare le tenere mogli tanta è la vaghezza di seguire le selvatiche fiere, et l'amor della preda. Ne solamente la caccia piacere et diletto all'huomo rende; ma in molte cose gli giova. Perch'e cacciatori per lo molto essercitio gli humori soverchi consumono; et vivono lungo tempo. Fa etiandio scordare gli affanni, et le cure de mortali; et niuno hebbe mai la mente si da passione occupata, che qual'hora glie' accaduto cacciando truovare la disiata fiera, non dimentichi ogni noia et ogni spiacevole pensiero. Io quantunque non sia cacciatore; pur mi ricordo esservi stato molte volte; et haverne sentito maraviglioso piacere; il quale molto piu stimo essere in coloro, che in ciò il piu del vivere trapassano. Et questo piacere è tanto, che gli Re, et Signori in esso molto tempo, et molte facultà dispensano; ne d'altra cosa quasi piu si rallegrano. Et pur tutto questo studio è particolare degli huomini. Conciosiacosa che le femine non siano atte à correre, ne à saltare, ne forti per combattere con un cinghiale, ò lupo, od orso, se avenisse farlesi incontro; ne la donnesca honestà patisce che per boschi, et monti vadano scorrendo. Ha un'altra dilettatione l'huomo del giuoco; il quale fu ritrovato per fuggire l'ocio; come quello de scacchi; che Palamede à Greci insegnò, accioche dimorando si lungo tempo à Troia senza negotio, non [p. 14r modifica]divenissono pegri, et sonolenti, et essendo egli dell'arte della guerra bon maestro, lo compose in guisa, che di guerra somiglianza havesse. Molti altri giuochi di palla, di lotta, et di cesti furono truovati; acciocche la varietà levasse il fastidio, et di molti huomini valorosi si legge, che sono stati in giuco eccellenti. Lelio il quale per l'amicitia di Scipione è tanto nelle historie celebbrato, giuocava ottimamente alla palla. Augusto poi che hebbe l'universo fatto tranquillo, sovente co suoi famigliari di tavole, et di scacchi pigliava trastullo; et se volesse estendermi in questo, potrei dirvi di molti altri valenti huomini ottimi giocatori; i quali per essere breve lascierò. Lascio etiandio i giuochi della zara; ne quali mercatanti, gentil'huomini, et prencipi non meno che le genti piu vili mettono grandissima cura; et trapassano lunghi spatii di tempo, lo quale studio poco dalle donne si stima. Perioch'e faticosi giuochi alla natura, et delicatezza loro non convengono, et quelli della zara, che possono esser molto dannosi per paura di perdere, non le piacciono. Grandissima dilettatione oltre à cio' parmi esser nella Musica, la quale ben che sia commune all'uno et l'altro sesso; pur, o' che da Mercurio, o' d'Apolline, o' da Pythagora primeramente fosse truovata, hebbe principio da gli huomini, et credesi piu molti, che fosse ritruovamento delli Dei; i quali non sdegnandosi anticamente di habitare la terra, cotal dolcezza portassono qua giu dal concento, et suono dolcissimo, che rende il moto de cieli; per darne [p. 14v modifica]qualche conoscenza de beni dila suso. Si conosce anco la virtù della Musica, perché le selvatiche fiere con canti si fanno domestiche; i sassi et le solitudini alla voce rispondono perché Orpheo cantando hebbe potere di trarre a' se gli animali selvaggi et le selve, et Amphione con la lyra di movere etiandio le insensate pietre. Lascio che il canto, et la Musica leva la fatica a' naviganti; et à coloro che ne campi all'ardente Sole s'essercitano; et fa non solamente à robusti, ma a' deboli parere dolce la fatica ne lunghi balli, et eccita gli animi de mortali all'ardore del combattere, et indi gli ritrahe medesimamente. Ne solamente nelle sopradette cose la virtù sua dimostra, ma in noi desta l'ira alle volte; et alle volte ne muove à compassione; giova à gl'infermi; et fa le fiere, et gli uccelli troppo volenterosi di seguire il canto, e 'l suono cascar nelle reti; et credono alcuni che Giove non habbia in cielo altro diletto, che di Muscisa; et gli angeli che per le nostre chiese si dipingono, non con altra cosa secondo l'opinione del volge, si crede che diano piacere all'anime de beati in paradiso; et perciò si veggono ne muri con cethere, liutti, et organi dipinti, cosi consente ogn'uno nel piacer della Musica. Virgilio nel sesto libbro della aeneida Orpheo, et Museo ne campi elysi induce cantare; et havere nelle sedie de beati gli più honorati luoghi. Lungo sarebbe il dire, se io volessi le laudi della Musica ad una ad una raccontare, ma niuno al mondo e' si inhumano et de piaceri nemico, che in tutto la Musica sprezzi. L'huomo de lettere studioso non puo' far che leggendo non canti, et componendo alcuna cosa e' costretto proferere [p. 15r modifica]cantando è suoi componimenti. Parimente l'huomo indotto, et di grossa pasta, lavorando, caminando, ò altramente trappassando in otio i noiosi tempi, se stesso, et la noia cantando molte volte inganna. Ne solamente la Musica diletta i vivi, ma ancora i morti sono accompagnati alla sepoltura con canti; con credenza, che essendo l'anima nostra venuta dal cielo, nella morte al suo principio della Musica celeste ritorni; et le laudi a Dio cantando nelle chiese si dicono; come che più grata cosa non si possa da noi rendergli della Musica; la quale dal cielo cè data per alleviamento delle cure et delle fatiche nostre continove, et come cosa prossima alla beatitudine. Non è senza gran piacere etiandio la Pittura imitatrice della Natura; gli inventori, et artefici della quale hanno in ogni luogo, et appò ogni Prencipe sempre truovato honorati premii, et non solamente vivendo, ma ancora doppo' morte hannosi guadagnato fama immortale Zeusi, Apelle, Parrhasio, et molti altri. E' nota l'historia di colui, che dipinse l'uve si alle vere somiglianti; che gli uccelli ingannati ad esse volarono, la qual cosa essendo da molti infinitamente commendata; quell'altro che nell'arte non era men perfetto portò si ben dipinto il lenzuolo, che il dipintore dell'uve richiese che fosse levato, per veder la pittura c he sotto credeva esser nascosa. Che dirò di Alessandro? il quel veggendo che da infiniti l'immagine sua ogni giorno era dipinta; et molti per ignoranza non sapevano isprimere la gratia, et la maesta' che in se teneva; fece comandamento, che niuno fuori che Apelle di dipingerlo, Polycleto di scolpirlo, et Lisippo di [p. 15v modifica]metallo formarlo presumesse; per non bruttare in lui l'arte, che à quei tempi era in tanto pregio appresso Greci. Perciò che quasi d'altro non si legge, che delle statue, et tavole di Corintho; quando da Mummio Romano fu distrutto; della preda di Syracusa da Marcello fatta; delle rubberie di Verre, mentre in Sicilia tenne il governo. Et quasi per altro non fu visitata Roma, che per vedere le antiche reliquie de marmi, et gli archi triomphali, et theatri; i quali non con tanto studio Sylla, Lucullo, Crasso, Pompeo, Cesare, et gli seguenti prencipi di Roma à perpetua memoria posti havevano; con quanto i Gotthi ruppero; et se doppo' molti anni la sottigliezza degli ingegni non si fosse affaticata in rinovare cotal arte già perduta; non havriamo dipintori, ne scoltori sofficienti affar molto altrui somigliante, che à quei de Baronci. Ma et da Paulo II et da Sisto IIII Pontefici, et da diversi Cardinali, et massimamente da Lorenzo Medici Fiorentino essendo stata quest'arte sommamente prezzata; molti incominciarono in essa essercitarsi; da quali poi sono discesi Leonardo Vinci, Raphael d'Urbino, Michel Angelo, il Mantegna, Christophoro, et Andrea Gobbi Milanesi, et alcuni altri, se non pari, almeno porrismi à quegli antichi. Tal che per molte altre citta', et specialmente nella Italia, si veggono tempii, et palagi ornatissimi di dipinture, et di bellissime statue; et oltre à cio infiniti lavori antichi,, che sotto terra, et in luoghi nascosi in Roma, et altrove giacevano, sono stati con piu cura, che non si suoleva al tempo de nostri maggiori ricercati, et messi [p. 16r modifica]in publico, come quel Laocoonte da tre fratelli Rhodiani sotto l'imperio di Tito ad essempio de versi Vergiliani fabricato si famoso; et da tante persone in Belveder di Roma visitato. Che cotal arte sia di grandissimo trastullo, si può etiandio comprendere; che quasi non si truova huomo dotto, et di gentile ingegni, che non ne sia intendente, et vedesi ch'e fanciulli tra gli loro studi volentieri con la penna dipingono alcuna figura d'huomo, ò d'altro animale, prendendo piacere d'imitare, in quanto gliè concesso, l'artificio di Natura. Grandissima recreatione ancora si truova tra le brigate degli huomini scientiati, negli arguti, et pronti motti; i quali sono bastanti a' rallegrare ogni tristo, et maninconioso cuore; et spesse volte da gl'irati giudici hanno guadagnato la vita di molti rei; et nelle corti de Prencipi quasi con altro trastullo i cortigiani non trappassano piu giocondamente le lunghe dimore, et quei motteggiatori che le maggior risa muovono rapportano maggiori guidardoni. Con le donne amate parimente non è cosa di cui più s'acquisti gratia; et colui è stimato piu savio et accorto, che piu prontamente sa proponere, et risponder cosa, che diletti à gli ascoltanti. Ne solamente da pronti motti si rapporta utilità, et piacere; ma se ne guadagna ancora fama immortale; la quale non fu poco prezzata da Cicerone padre della latina eloquenza; il quale in scrivere, et in ogni sua attione fu si pieno di motti, che in cio à molti parve degno di riprensione. Nella medesima openione fu Plutarco; il quale da Greci, et da romani raccolse quanti bei detti truovo' scritti; et ne compose un volume, che si [p. 16v modifica]leggerà con sommo piacere infino che la Greca, et la Latina lingua saranno al mondo in pregio, et que sette savi di Grecia, et gli antichi philosophi, le cui opere la lunga età ha perduto (avegna che molti di loro mai non habbiano scritto) per null'altra cosa hanno appò noi tanto nome, che per le belle sentenze, et pronti motti da loro detti, i quali et da Laertio Diogene, che raccolse cio che puote saper delle vite loro; et da alcuni altri furono scritti. Et avegna che si leggano etiandio motti pronti di femine Lacedemonie; nondimeno al paragone di quelli degli huomini sono pochi; et per honestà la licenza del motteggiare alle donne non è conceduta. Restami à dire dei piaceri della gole, i quali quanqunque io non prezzi, et siano appo' valenti huomini di niuna stima; paiono percio grandi; et dal senso tra gli altri sono pregiati; appropinquandosi tanto alla vita, della quale cosa piu grata, et piu cara non habbiamo, et come essa si conserva principalmente nel caldo et nell'humido, cosi le cose con humore, et caldo temperate al gusto piacciono, et incontrario le secche et fredde non hanno sapore. Et percio che la Natura molte cose di eccessiva humidita parate inanti ci havea; ma per altro al gusto accommodate, l'ingegno dell'huomo truovò modo di risolverne parte col fuoco, et cosi quelle che la debolezza dello stomacho nostro crude non potea comportare; come le carni, le biade, et l'altre cose simili; fecele in pane, et in altre vivande piu convenevoli, et alcune che crude sconvenevoli non erano come rape, pomi. et molte maniere d'herbe, cocendole l'humana industria fece [p. 17r modifica]migliori. Ne il piacere suo ha da esser sprezzato; poi che ha congionta seco la necessità, et ha truovato huomini eccellenti, che gia' di le scrissono, et tanti discepoli, et seguaci, quanto altra al mondo ne sia. Oltra l'utilità, e 'l piacere cè stato, spetialmente à gl'ingegni eccellenti, un altro stimolo di gloria; la quale (come diffinisce M. Tullio) è un consentimento di tutti, ò del piu degli huomini de meriti d'alcuno ò verso la patria, ò verso la compagnia humana. Et quali meriti sono, disse il Poeta, che cotal gloria ci acquistano? Tre cose principalmente, rispose il Musicola, sono degne di lode et di gloria: l'una è l'inventione dell'arti utili, et necessarie, delle quali già è detto; l'altra è la difesa, et l'aumento della patria, e 'l vendicare dell'ingiurie; la terza è la dottrina. Ma per dichiarare d'onde la gloria sia primeramente proceduta, e' da credere (secondo l'openione di Platone, et secondo la fede nostra) ch'el mondo habbia havuto principio; et quando era di nuovo creato, gl'ingegni degli huomini fosser rozzi, et soffrissero disagio di molte cose, che poscia dall'humana industria furono ritruovate, la quale mossa dalla necessità, et dall'amor de figliuoli in molti luoghi accrebbe, et cosi à poco à poco le arti vennero in luce; et aperti i viaggi di terra, et di mare quei dell'uno le parteciparono con l'altro paese, dandone loda et gloria à gl'inventori; infino à tanto che non parendogli à bastanza la fama, hebbero ardire quelli huomini, che le maggiori utilita' ci recarono, consacrare quegli Dei, come Baccho, Trittolemo, Cerere, Pallade, Hercole, et molti altri, et non bastandogli cotal honore et laude, i prencipi et gli Rè [p. 17v modifica]invitarono cò amplissimi premi gli industriosi ad habitare le lor città et paesi. La onde seguendone à gli artefici infiniti guadagni, è pervenuta à tanta perfettione l'humana industria; che quasi niuna cosa si può disiderare, che l'arte non faccia. Ma perché l'inventione, et la lode non poteva esser di molti, e 'l numero de viventi è infinito; un disiderio ch'in tutti regna d'essere a' gli altri superiore; et la discordia che per la vicinanza suole nascere in quei che non vogliono cedere, diede principio tra ville et ville, città et città, paesi et paesi, di suscitare le guerre, nelle quali à coloro che maggiore animo dimostravano, era da suoi attribuita lode grandissima. Perché invitati gli animi de mortali incominciarono a' cercar la larghezza de confini, et come prima da pochi à pochi si guerreggiva, cosi poscia le genti, et le città si raunarono, et con maggior moltitudine si moveano contra nemici. Et oltre à confini, per altre cagioni in processo di tempo guerre si fecero. In modo che à Thebe fu giusta cagione la pattuita vicenda del regno à Polynice dal fratello negata; à Greci la rapina d'una donna; ad Enea in Italia la moglie Lavinia allui promessa, et ad altri conceduta; à Sabini la forza da Romolo nelle lor donne usata, et altre cose infinite in altri luoghi; et le guerre non prima haveano fine, che moltre nuove cagioni nascevano, per le quali radissime volte s'è poi trovata pace. Et è l'arte del guerreggiar sempre stata in tanto pregio, che niuna cosa al mondo si truova al suo paragone. Ne d'altro quasi si parla che di coloro, i quali in cotale studio hanno rapportato qualche nome, de quali brievemente ricorderò famosi nelle historie, et [p. 18r modifica]farò principio da Cyro il maggior Re di Persia; la vita del quale scritta da Xenophonte ad essempio d'ottimo imperadore Scipione Africano sempre portava seco. Grandissimo è il nome di Xerse, che con seicento migliaia d'huomini passò in Grecia; et con un ponte havendo infinite navi congiunse l'Asia all'Europa; la cui perdita diede à gli Atheniesi fama immortale; et principalmente à Themistocle; il quale abbandonata la patria seguita la voce dell'oraculo, i suoi cittadini nelle navi ridusse: et con poche genti mise in fuga de Persi l'innumerabile moltitudine, aggiunta l'astutia d'insegnargli la strada per fuggire; accioche ripigliando animo dal pericolo, non racquistassero la perduta vittoria. Non fu minore la gloria di Leonida, che con trecento huomini scielti del fiore della grecia havea tentato chiudere il passo à Xerse; et puote essere dal numero oppresso, ma non vinto. Milciade hebbe grandissima gloria ne campi di Marathona, et Cymone, et Arystide, et molti altri Atheniesi, i quali rapportarono tante vittorie, che fecero la patria loro, quantunque piccola, sopra tutta la Grecia triomphante. La nobiltà d'Athene essaltò tanto più Lysandro, et Lacedomonii; i quali nella contesa dell'imperio del Peloponnesso soggiogarono Athene; et benche pochi fossero, nondimeno fecero fatti grandissimi. Talche di queste due città uscirono tanti valorosi capitani quanti mai d'altronde. Non men degno di laude fu Epaminunda Thebano massimamente nella morte; quando gravemente ferito dimandò se in mano de nemici fosse lo scudo suo pervenuto; et intesto esser salvo, morì lieto, [p. 18v modifica]lasciando la patria libera la quale havea truovata serva. La fama di queste due città di Grecia invito' Philippo re di Macedonia à movervi guerra; per essaltare il nome con l'imperio di quella. Dapoi stimolato Alessandro dalla paterna gloria volse l'animo alle cose dell'Asia, à cio invitato dalle ricchezze degli Re di Persia; contra li quali, essendo stati cacciati per avanti dagli Atheniesi soli tenne per fermo la vittoria, et cosi tre volte rotti et disfatti gli esserciti di Dario, et lui ucciso nella battaglia, non contento di tanta grandezza passò in India, et ivi fece cose, delle quali mai non mancherà la memoria. La quale cosa a' Giulio Cesare passando à Gade in Ispagna acutissimo stimolo d'acquistarsi nome immortale percioche veggendo ivi posta la lui imagine, et conoscendo che la fama di tanto huomo era passata dal levante insino à gli ultimi paesi dell'occaso, et che nell'età ch'era morto Alessandro, esso non havea ancora fatta alcuna cosa egregia, piangendo di dolore, et d'invidia deliberò tornarsene à Roma; ove poi fatto da suoi cittadini capitano contra Francesi, in dieci anni che durò la guerra, non più volte gli vinse; ma primiero gl'insegnò ubidire à Romani; et non bastandogli il triompho, et l'honore acquistato, contra alla patria mosse l'arme; et guadagnatone l'imperio, hebbe della vittoria gran nome, ma della liberalità et clemenza verso molti usata maggiore. Prima di lui erano stati gloriosi Re, il fondatore di Roma, poi Numa Pompilio tanto piu giusto, et santo, quanto l'altro figliuolo di Marte attese piu ad allargare i confini; et con la rapina delle donne Sabine [p. 19r modifica]ad ampliare Roma. Venne adietro Tullo hostillio imitatore piu di Romolo che di Numa; et Anco Martio troppo disideroso del favor de popoli. Poscia Tarquinio prisco, et Servio, ne altro di loro fu dishonorato fuor ch'el Superbo, per l'intolerabile libidine del figliuolo da Roma con tutti e suoi cacciato, Lungo sarà il dire se vorrò di Bruto la simulata follia tanto giovevole raccontare, l'ira di Coriolano; l'aiuto di Camillo verso l'ingrata patria, la pietà de duo Decii; la virtuosa poverta' di Curio, et di Fabritio. Ne mi bisognerà scordare di Duillio, primo di loro vittorioso nella guerra navale, Paulo Emilio, Fabio Massimo, M. Marcello, et molti altri, che nella guerra contra Carthaginesi tanto fecero; et Scipione che ultimamente con si grande honore vi pose fine. Che dirò di Tito Flaminio? de duo Catoni? de minore Africano? di Mario? di Sylla? di Crasso? di Lucullo? di Pompeo? et degli altri innumerabili in una sola città nati? la virtù de quali quando io considero; à me paiono le loro opre non essere state humane, ma divine; et e' tanta la gloria da essi acquistata; che infiniti (ccome io credo) allora imitatione sono stati stimolati di guadagnarsi, et lasciare doppo' se perpetuo nome; il quale se non havessono pregiato piu, che le ricchezze, ò il dominare de paesi, come sarebbe credibile che Regolo mandato à Roma per trattare il cambio de prigioni, fosse ritornato à Carthagine à si certe pene? che Mummio in tante ricchezze di Corintho da lui ispugnato fosse rimaso si povero? che l'essercito Romano, il qual pur dovea esser raccolto piu d'huomini [p. 19v modifica]indotti, che di scientiati, tante volte all'indubitata morte si fosse esposto? Ne solamente la gloria et l'honore ha potuto ne Romani; dove se non appo' tutti, almeno appo' la nobiltà erano in pregio le scienze, ma appò quantunque barbare nationi questo disiderio con loro si nasci. Gli Elvetii, accadendogli andare à combattere, fra loro vengono à contesa, quali debbano essere primi ad assalire gl'inimici, et ad andare incontro all'artegliaria; dove'è il piu certo, et maggior pericolo; non per tanto non è da dire, che lo facciano considerando alla brevità del vivere; al quale possono poco tempo scemare, ne etiandio perché habbiano speranza di premio, che gli ne habbia à seguire doppò morte che per Christo et guadagnare la felicita' d'eterna; avegna che siamo nella sua legge nodriti; non sarebbe perciò à nostri giorni uno tra mille, che fosse contento non che per lui morire, ma perdere uno solo dito, dove per un non so che appetito d'honore, le migliaia ogn'hora ad ogni rischio si mettono, et non solamente ne fatti d'arme, ove pare che la compagnia toglia parte della paura; ma contra qualunque sia detta una minima parola, che ad ingiuria si possa reccare, è forza combattere (come si dice) à tutta oltranza; et meno istima ogn'huomo valoroso il morire, ch'el sopportare ingiuria. Questo honore delle arme è stato non solamente molto pregiato da Persi, da Greci, et da Romani; i quali tra mano hebbero imperio grandissimo, ma da gli [p. 20r modifica]Africani et Carthaginesi ancora, che tante volte posero in forse, chi dovesse in Europa tener lo scettro. E' stato etiandio pregiato da Tedeschi, et da altri popoli verso la tramontana; i quali per la ferocità, et moltitudine loro non solamente al tempo antico, ma etiandio al nostro come troppo a' noi vicini paura spesse volte ci mettono. E' stato medesimamente stimato da Spagnoli, il che anticamente dimostrarono; che come furono de primi, co quali Romani fuora dell'Italia guerreggiassero, cosi furono gli ultimi che potessero domare; et nuovamente l'hanno fatto conoscere, con l'haver cacciato Mori di Granata, et di molti altri luoghi della Spagna, et con l'acquisto del regno di Napoli. Et e' stato sempre in grandissima stima appo' Francesi, che al tempo di Carlo il magno, et di Pipino, per la gloria di liberar la chiesia, vennero due volte con esserciti innumerabili nella Italia, et oltre a' cio' Carlo istesso in Ispagna, et in altri paesi fece fatti maravigliosi, et (come fra il volgo si legge) con l'aito de Paladini molti popoli, et Prencipi infideli vinse, et costrinsene molti a' conoscere il vero Iddio, le vestigia de quali seguendo Carlo VIII. et Lodovico XII. che hora in Francia, et qui regna, hanno un tanto disiderio di gloria et d'honore eccitato ne loro popoli, et piu nella nobiltà; che d'altro quasi in Italia non si parla hoggidi che dell'arme Francesche. Dhe lasciate, disse il Poeta, il parlare de tanti popoli, et ditemi qualche [p. 20v modifica]ragione, perché le donne non siano cosi honorate et famose, come gli huomini conciosiacosa che mi ricordo haver gia letto lunghi volumi delle donne Illustri; come delle Amazoni, et di molte altre che gia guerreggiarono, et furono dotate di maravigliosa fortezza. Io no 'l nego, disse il Musicola, che alcune non siano state forti negli antichi tempi, ma da indi in qua hanno perduto tanto della fama loro; che quasi per altra cagione piu sovente ne di nostri non si combatte, che per donne, come che appo' ciascuno esse siano stimate di niuna forza, et perciò à gli huomini disiderosi d'honore appartiene il combattere per li deboli; et quelle donne antiche, delle quali se tiene memoria, piu sono da noi ricordate, acciò che siano uno stimolo d'accendere l'altre alla virtù, che percioche Camilla, ne Penthesilea, ne Iudith, ne alcune altre famose havessono gran valore nell'arme, ne etiandio perché Sappho, ò Corinna mai leggiadri versi componesse. Veramente lo credo, disse messer Lancino, et cotali prodezze di donne, à me paiono sogni somiglianti alle fole di Tristano, et d'Isotta, et ad alcune altre favole, di cui molti libbri sono pieni. Cosi è à mio parere, soggiunse il Musicola, la fama et la gloria delle donne non men caduca, et vana degli sogni. Ne ancora lungamente quella degli huomini durarebbe; se per conservare quello, che pochi anni ci havrebbono tolto, non fossero state ritruovate le lettere, le quali ò che da Mercurio, ò da Caldei, ò da gli huomini d'Egitto habbiano avuto principio, quasi dir si puo' che sole siano honorate et degne di loda. Percioche la fama, e 'l nome de [p. 21r modifica]Prencipi, de capitani, de vincitori, de domatori de mostri non si stenderebbe oltre à cinquanta, ò cento anni, se le lettere non gli conservassero immortali. Primieramente adunque furono ritrovate per conservare quello, che la memoria non era bastante à mantenere lungamente, dapoi l'intelletto, e 'l giuditio degli huomini tra 'l parlare degli uni, et degli altri grandissima differenza conoscendo, compose le regole del parlar correttamente, et conseguentemente dello scrivere, et questa scienza la chamarono Grammatica da gli elementi dell'Alphabeto, senza quali non si puo' cosa alcuna in parole, ò in scrittura isprimere. Et avegna che sia dottrina de cominciantiù, pur e' di grandissima utilita' et gioconda percioche senza essa non si potrebbe apprender la cognitione dell'altre cose. Et sono stati molti che hanno consumato lunghi tempi negli studi di detta dottrina; et ne hanno famoso nome rapportato, Prisciano, Diomede, Asconio, Catone, Varrone, i quali hanno scritto della lingua latina et cose pertinenti à grammatici. Et quelli che hanno pigliato cura di dichiarare gli oratori et poeti, Donato, Servio, Acrone, Porphyrio, Vittorino, Cornuto, Terentiano, et molti altri, che hanno dato luce alle buone lettere, si sono resi contenti del nome di grammatici. Doppo' questa segue la Rhetorica, la quale come che dalla predetta scienza habbia havuto principio, cosi ha il fine piu degno, et piu fruttifero, percioche ricercando i grammatici solamente il parlare, et scrivere correttamente, i rethorici hanno havuto piu degna et migliore consideratione, cioe' ch'el suo parlare appò gli ascoltanti sia [p. 21v modifica]grato; et con quest'arte Demosthene, Cicerone, et gli altri antichi rhetorici credono che la rozza antichita' insieme si raunasse; dificasse le città; persuadesse à popoli la utilità delle leggi; gli eloquenti si usurpassero i prencipati; come si legge di Pisistrato, la Tyrannia del quale per la eloquenza gli Atheniesi alla bontà di Solone preposero. Con cotal arte etiandio, oltra il persuadere nelle città, et ne popoli quello che si havesse affare, et come si dovessono governare le c ose pubbliche, fu introdotta usanza di lodare i valenti huomini; et quelli che per la patria facevano qualche fatto egregio; et massimamente quelli, ch'a beneficio d'essa non rifiutavano d'andare alla morte, et cosi per lo contrario cominciarono à biasimare i scelerati et dannosi. Parve dapoi à molti esser cosa grandemente all'humanità conforme il difendere i rei; et esser grande acquisto d'honore, et di benivolenza il conservare la vita à chi per qualunque caso ne stesse in forse. Ma perché si facevano molti argomenti, et da molti erano proposte ragioni per dimostrare esser vero cio, che da loro era detto, il che si trovava sovente lontano dalla verità; un'altra arte o' scienza fu messa in luce dagli humani ingegni chiamata Loica; che meglio sa discernere il vero dal falso; et con piu giuditio ne viene in cononscenza; et come la Rhetorica ricerca gran campo di dire, et con empito di parole sforza quasi gli ascoltanti à credere cio che l'oratore propone, cosi il loico con pronte interrogationi, et ragioni piu gagliarde che di parole abbondevoli, induce l'huomo à trovare gl'inganni, che il vero [p. 22r modifica]ascondono et con tale scienza gli antichi philosophi pervennero in notitia delle cagioni naturali, senza la quale quei, che prima philosopharono, in errori grandissimi furono avvilupati. Oltre à queste tre scienze, cene sono altre quattro chiamate Mathematiche, comprese nelle sette arti liberali, cioè degne d'huomo libero. L'Arithmetica che ce' insegna i numeri, dalli popoli di Phenicia (come alcuni dicono) ritruovata per utilita' de traffichi et mercatantie loro, et per tenere giusta ragione di cio che gli huomini hanno insieme affare, percioche niuno sarebbe che volesse oltra il bisogno suo particolare affaticarsi; se non sapesse l'utile, che infine dell'anno delle fatiche sua gli avanzasse. Lacio il sodisfacimento che l'intelletto si piglia, conoscendo che questo principio di numero cioè uno, è fatto ad imitatione di un solo Dio, di un mondo, di un Sole: dui ad essempio della giusticia, et della compagnia humana: tre della prima perfettione poiche ha in se cominciamente, mezzo, et fine: quattro di perfettione perfettissima. conciosiacosa che 1.2.3. et 4. aggiunti insieme fanno 10. il quale numero è componimento di tutti gli altri, et sono quattro virtu', quattro tempi dell'anno, quattro elementi principio d'ogni cosa mondana. Molte altre qualità potrei dire di questa scienza, se non dubitasse di scostarmi troppo dal cominciato ragionamento. La Geometria dimostra la quantità delle cose secondo la continovanza, come l'Arithmetica secondo la divisione; et fu pria (come si crede) per aumento del Nilo in Egitto ritrovata; il quale havendo nel crescimento suo confuso i termini delle possessioni; per rimuovere le controversie, che di ciò nascevano, furono fatte le misure delle terre da ciascuno [p. 22v modifica]coltivate: et cosi piantati piu saldi termini negli anni seguenti tornando a' crescere il fiume si provide che non seguissono simili errori. Et in procedere di tempo conoscendosi la terra havere somiglianza col 'l cielo; et pigliare da quello le qualita' del freddo et del caldo, di temperanza et d'asprezza; a' poco a' poco si pervenne in notitia della grandezza et dell'altezza de cieli; et furono fatti sopra cio' da dotti molti stromenti, atti non meno a' misurarli, che qualunque altra cosa terrena; et anco se ne fecero altri per dificare alberghi; per fabricare machine d'abbattere et difendere citta' et castella: come si legge di Archimede, che tratenne lungo tempo Marcello dalla presura di Siracusa; il quale per tal opra non solamente non fu da lui odiato; ma fece commandamento, che solo nel prendere la citta' fosse conservato. Dalla Geometria ha preso fondamento l'Astrologia, scienza de cieli et delle stelle; la maraviglia de quali induse prima l'huomo a' cercare le cagioni di tanti, et si diversi movimenti, et di tanti effetti: che qua giu da essi procedere si vedevano. Et cosi a' poco a' poco prima da Soriani et da Caldei i quai per loro ampie pianure haveano più agio di contemplare, furono conosciute le vie de pianeti et del cielo. Credesi ancora che Atlante antichissimo astrologo in Mauritania molte cose di detta scienza trovasse; si come fu la sphera; et da Hercole gli ne fossero alcune insegnate. Per la qual cosa i poeti hanno favoleggiato Atlante haver il cielo sostenuto; et disiderando mutare la stanca spalla, havere in loco suo Hercole sottoposto. Et non fu bastante sapere la cagione della [p. 23r modifica]lunghezza et della brevita' de giorni et delle notti; dell'accostarsi e del lontanarsi del Sole da noi, de congiongimenti de pianete, et del loro alzarsi, et appressarsi alla terra; dello scemare et screscere della Luna; et le cagioni perché ne freddi paesi siano piu lunghi i giorni, et ne caldi piu brievi; perché le stelle verso la tramontana mai non entrano come l'altre sotto l'Oceano; ma hanno ancora voluto investigare con lunga isperienza gl'influssi di esse in queste cose terrene; et qual sia benigna, quale malvagia, et sotto quale ciascuno sia nato, et quel che debbia di qualunque avvenire; le quali cose, che nel vero sono degnissime, et molte altre l'Astrologia ci insegna. Dalla Arithmetica e' poi discesa la Musica. conciosiacosa ch'el suoo e 'l canto tutto in numeri consiste; et le voci gravi, et acute per li numeri si conoscono. Ma percioche nelle cose di piacere e' detto a' bastanza di quest'arte, non mi stendero' molto nelle lode sue: tanto diro' che antichamente appresso Greci fu in grande stima; et accadendo essere in un convito secondo l'usanza a' Themistocle la lyra portata, et da lui ricusata come inesperto di quella, egli da gli astanti ne riporto' non picciolo biasimo. Oltre alle predette sette arti, un altra scienza e' di tutte piu degna, et piu honorata, chamata Philosophia, che tanto e' dire amore di sapienza; la quale non contenta di stare astretta in cosi brievi termini, come le sette sopradette, contemplando la terra, gli altri elementi, e 'l cielo di tante et si belle cose adorno, con lungo studio ha investigato le cagioni del tutto; et per pruove certe [p. 23v modifica]conosciutone il vero: l'amore della quale ha presi tanti huomini eccellenti; che gia' Democrito degli occhi si privo', accio che nel mezzo delle sue contemplationi non vedesse cosa, che l'intelletto in altra parte gli distrahesse; Pithagora abbandonata la patria, venne in Italia per conoscere Archita Tarentino, et Gorgia philosophi di grandissima stima: Platone per haver piu commodita' di philosophare, si piglio' da casa perpetuo essiglio; Aristotile sette anni fu scolare di Socrate, et quindici di Platone; et con sommo studio imparo' cio che gli altri prima di lui havevano detto, per ritrovare la verita' infino a' suoi tempi di molte cose nascosa; et con l'authorita' d'Alessandro statogli discepolo, da lontante parti fecesi recare molta coppia d'animali diversi, per conoscere la natura loro. onde poi compose quei degnissimi libbri degli animali. Alla philosophia naturale aggiunta quella parte, che tratta de costumi, primieramente da Socrate; il quale giudicando, che la dottrina di queste cose mondane potesse ben fare l'huomo piu' savio, ma non migliore. convertito tutto lo studio suo dalle contemplationi della Natura, alle cose che eccitano gli animi al ben operare, comincio' tra suoi cittadini a' disputare della Repubblica, delle leggi, della pieta', che erano tenuti a' mostrare verso la patria, et degli Dei, che si doveano adorare; nel che parendo ad alcuni, che troppo agramente i loro errori riprehendesse, lo accusarono a' giudici come corrompitore della gioventu'; et quasi che mettesse dubbio nella religione. perché messolo in prigione, et non istimando egli alla virtu' sua [p. 24r modifica]convenevole inchinarsi alla maggioranza de suoi adversari, che allhora tra mano haveano il dominio della patria, bevve' volontariamente il veleno, che gli dierono. La dottrina di Socrate (conciosiacosa che non si trovi egli mai havere scritto una sola lettera) e' sparsa per tutti i libbri di Platone; i quali altro non contengono, che le sue dispute, et suoi ragionamenti. Aristotile poi loro discepolo, essendo in molte cose d'openione contraria a' suoi precettori, scrisse copiosamente di questa materia. Et poscia tra Romani, Cicerone non ne ha lasciato parte, di cui non habbia largamente scritto; imitando Possidonio, et Panetio philosophi prima di lui molto pregiati. si sono etiandio altri truovati che di questa dottrina hanno scritto honoratamente. Ma percioche tutte queste scienze sono piene di poca giocondita'; ci fu data la Poesia dono degli Dei, non gia ritruovamento humano. conciosiacosa che si creda Orpheo figliuolo d'Apolline con versi haver da Plutone impetrata l'amata Euridice; et si leggano gli hymni scritti da lui in laude degli Dei. Vennero dapoi Homero, Hesiodo, Alceo, Pindaro, Sophocle, Euripide, Menandro, Aristophane, et tanti altri Greci. Vennero etiandio de latini Ennio, Accio, Pacuvio, Cecilio, Plauto, Terentio, Virgilio, Horatio, Catullo, Ovidio, Tibullo, et Propertio con altri infiniti; et novellamente della lingua volgare, Dante, il Petrarca, il Boccaccio, et molti, che da indi in qua si sono affaticati in quest'arte; et hanno rapportato tanto nome, che delle lunghe loro fatiche, et vigilie e' premio copiosissimo. Et se questo non fosse bastante, qual è colui, che piu tosto non volesse nel [p. 24v modifica]delicato letto la notte riposare le stanche membra, che al picciol lume della lucerna scrivendo, et volgendo infinite carte impallidire? quale e' colui che lasciata la cura delle cose familiari andasse a' Pavia, a' Bologna, a' Padova, a' Parigi, o' altrove a' starsi molti anni con grosse spese et travagli per imparare tante diverse scienze? se non fusse la contentezza, il sodisfacimento che l'huomo ne piglia, et la fama, il nome, et l'hoore che gli ne seguono. Io (come sapete) infino da primi anni fui messo alle lettere: vero e' che spesse fiate a' quelle ho traposti gli studi della Musica. Ne mai ho voluto sapere cio che siano ricchezze, ne robba, ne essercitarmi in molte cose, ove il piu degli huomini l'eta' sua dispensa. Credete voi se non sodisfacesse piu a' me stesso, che a' molti altri; i quai forse tal volta mi giudicano stolto, vedendomi dispreggiatore de danari, et con questo habito dal loro differente; che con quel poco d'ingegno concedutomi da Iddio non fosse bastante per guadagnarmi qualche migliaia de fiorini? Certo che si che mi saprei guadagnargi: ma non istimo tanto robba, ne danari, ch'io non istimi piu la compagnia vostra, l'honore che molti gentilhuomini mi fanno: le quai cose aggiontovi il piacere ch'io sento della virtu', ogn'hora piu a' gli studi di quella m'accendono; et cosi credo di voi messer Lancino et maestro Girolamo avenire: che da primi anni infin adhora vi siete sempre nella philosophia, et nella poesia affaticati: et havete scritto tanti libbri; et fatto tanti nuovi componimenti di versi, non per altra caggione, che per una sodisfattione et gioia, che l'animo sente dalla dottrina: la quale tolta via, la [p. 25r modifica]fatica degli studi parria troppo grave, et lunga, e 'l frutto picciolo. Ma qualhora l'huomo piu dirittamente alla verita' l'animo intende; due cose truova sole al mondo degne di lode: l'una delle quali consiste in far fatti egregi, per acquistare utilita' alla patria, et gloria a' se stesso: l'altra e' posta nelle lettere et nella dottrina: la quale ne fa tanto piu degli altri huomini degni, quanto gli huomini piu degni sono degli altri animali: et percio' si giudica non esser tra la vita et la morte degli alieni da queste due cose veruna differenza; mancando ogni memoria loro co 'l fine di pochi anni che dura questa vita mortale. Se adunque cosi e', che essere altrimenti non puo', quanta degnita', et eccellenza ha conceduto Iddio al sesso de maschi piu che alle femine? conciosiacosa che la gloria dell'arme, la quale si puo' dire la principale, tutta e' degli huomini: i triomphi sono stati dagli huomini acquistati; l'historie non contengono altro ch'e nomi degli imperadori, de capitani, et degli esserciti, che hanno fatto le cose degne di memoria; et non so se eccetto dell'Amazoni, di Penthesilea, di Camilla, di Thomiris, di Iudith, di Semiramis, di Zenobia, et di poche simili, di altra si legga che andasse alla guerra: avegna che la ricordanza d'alcune di loro si stimi esser favolosa. Nelle lettere etiandio, et nelle buone arti pochi nomi di femine si truovano. I grammatici, gli oratori, i philosophi, i mathematici, et gli altri savi sono stati huomini: et se si leggono versi di Sappho, et di Corinna, non sono percio' da comparare ad Homero, ne a' molti altri poeti; ne per un fiore (come volgarmente si dice) fassi primavera. [p. 25v modifica]la degnità dell'huomo etiandio ne ha dimostrato Iddio, che nella creatione dell'universo lo fece prima; et egli nascendo volle nascere huomo, et non femina: et era ragionevole che pigliando corpo mortale egli che sopra tutti era eccellentissimo, si pigliasse il sesso piu nobile. Per questo ancora è introdotta usanza; la quale da gli antichi tempi infino à nostri dura, che quando nasce un maschio, gli amici et parenti à quei che portano la novella fanno qualche dono; lo quale nella patria nostra chiamiamo la buona mano; come che si dia da buona mano, et cortese: ma nel nascere della femina, questo non s'usa: anzi in tutta la casa mette dispiacere et maninconia; rinovando forse alla memoria il fallo di Eva, à noi cagione di perpetua miseria; le ruine delle quali Helena fu cagione a' Troia; Lavinia in Italia; Briseida nell'hoste de Greci; Cleopatra in Egitto; la sceleragine di Mirrha; di Bibli, di Phedra, di Canace, delle figliuole di Danao, delle donne dell'Isola di Lenno, et di molte simili; et perdonatemi madonna Iphigenia, se vi parra' forsi temerità che al vostro conspetto, et nella vostra casa, io dica contra le donne. percioche tanto piu è vostra lode, quanto piu siete da queste rimota, et nel numero delle rare et buone. Anzi sarà arroganza la mia (rispose ella) se mi torrò questo privilegio d'essere tra le rare. pur tacendo voglio anzi consentire alle vostre lodi, che contradicendovi da me stessa condannarmi. Non è questo mio giuditio solo, disse il Musicola, ma d'ogn'uno, che un conosce: et la domestichezza di messer Lancino, et del [p. 26r modifica]Poeta ne fa fede: i quali altrimenti non verriano à casa vostra. Ma per tornare alle donne; non per altra cagione, che per molti loro difetti propii, et particolari, di mutabilità, d'incostanza, d'avaritia, et d'alcuni altri ancora credo sia usanza, che come men degne vadano alla chiesa, et à sacrifici con la vesta coperta; ch'e regni et prencipati, et gli uffici d'amministrare giustitia si diano à gli huomini, et non alle femine: che gli huomini altresì non togliano arme dalle mani loro; le quai cose esse non negando, et conoscendo le sue bruttezze; et che la femina cosi è detta dalla fedità, come l'huomo, che nella lingua latina si chiama vir, è detto dalla virtù; confessano, che assai meglio fora qualhor nasce una femina, che si facesse una granata in casa. cosi delle loro colpe, et indegnità si mostrano consapevoli; et in contrario esse medesime del nascimento de maschi si rallegrano, conoscendo l'eccellenza dell'huomo; al quale non rifiutano stare soggette, come creato da Dio per commandar loro, et per possedere tutte queste cose mondane: al quale siano ubidienti gli altri animali; et il quale insegni alla terra produrre i frutti non prima da lei conosciuti: all'acque aprirsi per li solchi dell'audaci navi; et à gli uccelli dell'aria à comandamenti di lui pronti, et che habbia con infinite altre arti ad imitare il maraviglioso artificio di Natura: la quale havendo di due cose tutto l'universo composto, cioè di materia, et di forma; ne fece una, cioè la materia à somiglianza della femina, che piu s'intende, che con l'occhio si possa vedere; [p. 26v modifica]come è la carta, ch'io ho nella mano; il legno onde è fatto questo scanno, ove io seggo; ma la fortuna, la quale fa che questo sia uno scanno alto uno braccio di tale ò d'altro colore, con l'altre sue qualità; che 'l disfacimento di quella tela habbia fatto questa carta si sottile, si larga, et con questa bianchezza, sola è che si vede, et si conosce, et che da il nome alle cose: et questa è come l'huomo piu degna della materia: la quale sempre disidera la forma. Et quindi procede che naturalmente l'huomo ha in odio colei; à cui prima si congiunse, si come quella, alla quale copulandosi molto della sua perfettione perdette: incontrario la femina ama l'huomo, col quale prima conobbe quanto dolci et soavi fossero gli amorosi congiungimenti. Per la qual cosa l'huomo ragionevolmente è superiore; si come ancora ne detti congiongimenti quasi in luogo piu degno sta naturalmente disopra alla femina; la quale nulla sarebbe, se la forma cioè l'huomo non fosse, che gli da l'essere, e 'l modo di mantenere l'humana generatione: et come l'huomo, et la donna sono una spetie sola compresa in questo nome d'animale; cosi tutti due si chiamano una sola cosa, cioè spetie humana, et cio dall'huomo, et on dalla femina. Molte altre cose potrei dire della eccellenza dell'huomo; ma percioche non vorrei che madonna Iphigenia si pensasse ch'io sia hoggi qui venuto contra le donne corrucciato; per che alcuna ne habbia trovata al mio voler ritrosa, io mi rimarrò di piu avanti di lor parlare; lasciata à voi cura di dire contra, se vi parrà ch'io habbia detto male, ò di aggiungere, se cosa habbia lasciato necessaria à conchiudere questo [p. 27r modifica]ragionamento. Troppo à mio giuditio, rispose il Poeta, havete detto in biasimo delle donne. perciò intendo dire io della loro degnità; ma con piu modestia, senza vituperio degli huomini; nel che sarà piu lode del sesso feminile che mia; il quale come nelle altre virtù, cosi in questa gli huomini trappassa. Questo attendiamo da voi, soggiunse messer Lancino; ma perché l'hora è tarda non vorrei che noiassimo piu hoggi madonna Iphigenia; la quale ha forse offesi gli orecchi del vostro lungo ragionamento. Percio dimane doppo 'l desinare alla medesima hora qui ci troveremo; et io poscia recherò qualche cosa secondo il mio costume da dir contra amendue. A' me fiè gratissimo, disse la donna, et se vi paresse piu per tempo venire, troverete presto il desinare, non magnifico; ma come appartiene à philosophi quali voi siete, et la mia povera fortuna concede. Assai fiè, disse il Poeta, darvi noia agli orecchi. però dimane verremo all'hora usata; et cosi detto indi partiti se ne andarono insieme ragionando, insino che pervennero alle loro case.