Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo IV/Libro II/Capo IV

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Capo IV – Giurisprudenza civile

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Capo IV.

Giurisprudenza civile.

I. Fra tutte le scienze a cui gl’italiani, ne’ tempi di cui trattiamo, si rivolgevano, la giurisprudenza godeva, direi quasi, del primato di antichità e di onore. Essa in fatti era prima di [p. 355 modifica]SECONDO 355 Ogni altra risorta in Italia; essa in molte città avea aperte pubbliche scuole; essa contava tra’ suoi coltivatori uomini d’ingegno e di sapere non ordinario; essa da tutte le parti d’Europa avea condotte in Italia numerose schiere di giovani; essa in somma potea vantarsi a ragione di aver procurato all’Italia il glorioso titolo di madre delle scienze. Quindi non è maraviglia che i professori della giurisprudenza fossero rimirati come altrettanti oracoli. e che loro si concedessero privilegi ed onori bramati invano da altri; e che le città d’Italia gareggiassero tra loro nell’invitarli con ampissimi premii alle loro scuole. Ne vedremo più, esempii nel ragionare che in questo capo faremo dei più celebri giureconsulti di questa età. Ma prima ci convien ricercare quai mutazioni allor sofferisse la romana giurisprudenza. Essa avea omai fatto dimenticare tutte le altre leggi colle quali era stato ed era ancor lecito agl’Italiani il regolarsi; e appena vi era chi si ricordasse delle leggi longobarde e delle saliche. Lo studio dunque delle leggi romane bastar poteva a’ giureconsulti per insegnar nelle scuole, e per decidere ne’ tribunali. Ma la pace di Costanza, di cui abbiam parlato nel primo capo del libro primo, diede origine ad altre leggi, nelle quali pure convenne ai giureconsulti diligentemente istruirsi. II. Le città italiane , divenute in gran parte per quella pace libere e indipendenti, pensarono che le leggi romane fatte tanti secoli addietro, e in un governo sì diverso da quello in cui esse viveano, non fosser bastevoli a’ bisogni [p. 356 modifica]356 LIBRO del foro. Ad esse dunque aggiunsero molte i loro particolari statuti, ne’ quali altre leggi si conteneano proprie di ciascheduna città, e adattate alle lor circostanze. A questi tempi di fatto assegna la prima origine degli statuti delle città italiane l’eruditissimo Muratori (Antiq. Ital. t. 2, p. 282); perciocchè, comunque si trovino, com’egli osserva, alcune particolari leggi da qualche città pubblicate verso la metà del secolo XII, innanzi alla pace di Costanza però non ritrovasi ch’esse fossero unite in corpo, e che si formasse una compilazion di statuti. Ma al principio del secolo XIII ne veggiam formarsi non pochi. Egli rammenta gli Statuti di Ferrara pubblicati prima dell’anno 1208, e que’ di Modena prima dell’anno 1213, e que’ di Verona dell’anno 1228, e que’ di Pistoia, che benchè cominciati assai prima, ei crede nondimeno che non formasser corpo di leggi se non verso il 1200 (ib. t. 4; p 522). Egli accenna ancora lo Statuto veneto riformato l'anno 12l42 dal doge Jacopo Tiepolo; sul qual argomento degnissimo d’esser letto è ciò che ne scrive il dottissimo ed esattissimo storico della Letteratura veneziana Marco Foscarini (Stor. della Letter. venez. p. 5, ec.), il quale mostra che essendosi i Veneziani retti fin da’ tempi più antichi con un diritto lor proprio, prima assai del secolo XIII essi ebbero i loro statuti, benchè la più antica raccolta di cui si trovi certa notizia, sia quella fatta dal doge Enrico Dandolo verso il fine del secolo XII. Molti altri statuti si potrebbono qui mentovare; e que’ di Milano, pubblicati l’anno 1216 (Script. Rer. ital. vol. II. p. 666), e [p. 357 modifica]SECONDO.557 quelli di altre città della Lombardia, che erano già pubblicati prima dell’anno 1233, come da ciò che fra poco diremo, sarà manifesto. Ma non giova il ricercarne troppo minutamente. Solo non è da passare sotto silenzio che cotali statuti si vennero successivamente moltiplicando per modo, che non sol le città, ma i borghi e le castella ancora vollero spesso avere i lor propri, e ne abbiamo in pruova fra le altre questo stesso ducato di Modena, ove moltissime sono le terre che hanno particolari statuti. Questi , come abbiam detto, si promulgarono in gran parte nel secolo di cui scriviamo, altri più tardi, e sol nel secolo susseguente. Molti ancora di questi statuti si riformarono e si corresser più volte, come dalla lor lettura medesima si manifesta, e singolarmente nel suddetto anno 1233 seguì in essi non leggier cambiamento , e ciò per opera di un uomo la cui professione non sembrava a ciò molto opportuna. Questo è uno de’ più straordinarii fatti che trovinsi nella storia del XIII secolo; e poiché non è alieno dal nostro argomento, e da niun moderno scrittore non è stato, ch’io sappia, esaminato con attenzione, non sarà, credo io, discaro a chi legge, che io entri qui a trattarne con qualche esattezza. III. Era l’anno 1233 in Bologna un religioso dell’Ordine dei Predicatori detto F. Giovanni da Vicenza. Il dottore Alessandro Macchiavelli coll’autorità del Borselli e del Ghirardacci dice (in not. ad Sigon. Hist. Bonon. l. 5, nota 74) ch’egli era della nobil famiglia degli Schii, che ancor sussiste in Vicenza. Antonio Godi in fatti [p. 358 modifica]358 LIBRO vissuto al principio del xiv secolo, e perciò più antico del Borselli, nella sua Cronaca di Verona gli dà il cognome latino di Scledo (Script Rer. ital. vol 8, p. 80), che corrisponde appunto a quello di Schio; e così pure egli appellasi in una medaglia del Museo Mazzucchelliano (t. 1, tab). 6, n. 1): Johannes Schledus Vicentinus; la qual medaglia però non so a qual tempo appartenga. Gherardo Maurisio afferma (Script. Rer. ital. Vol. 8, p. 37") che egli era figliuolo di Manellino causidico e cittadin di Vicenza. I pp. Quetif ed Echard dicono essere comune opinione (Script. Ord. Praed. t. 1, p. i5o) eh egli l’anno 1220, o nel susseguente ricevesse in Padova l’abito religioso di S. Domenico. Ciò che è certo, si è che l’anno 1233 egli coll’apostolica sua predicazione commosse a non più veduto rumore Bologna, e poscia tutta la Lombardia. Il Sigonio parla distesamente (Hist. Bonon. l. 5, p. 245, ec.; de Regno Ital. I. 1 7; de Episcop. Bonon. in Henrico a Fracta) delle cose da lui operate in Bologna, che fu la prima città ov’ei si rendesse famoso; e scrittor diligente, qual egli era, avrà certo tratta ogni cosa da autentici documenti. A me piace ciò non ostante il ricorrere a’ più antichi e perciò più sicuri fonti. Tale è singolarmente l’antica Cronaca di Bologna pubblicata dal Muratori, in cui al suddetto anno così si dice di quest’uom portentoso (Script. Rer. ital. vol. 18, p. 257, ec.): Venne a Bologna uno dell Ordine de’ Predicatori, che avea nome frate Giovanni da Vicenza, che per tal modo predicava al popolo, che tutti i cittadini e contadini e [p. 359 modifica]SECONDO 35 del distretto di Bologna gli credevano, e seguitavanlo alla predicazione e comandamenti, e con Croce e gonfaloni; e in ispecie le genti (f arme di Bologna. E fece fare infinite paci nella città, contado e distretto di Bologna. Comandò a tutti che in ogni salutazione sempre s’invocasse il nome di Gesù Cristo. Vietò che le donne portassero il capo ornato di frange e di ghirlande. Tutti gli Statuti di Bologna gli furono dati, perchè gli ornasse a suo arbitrio. Ogni uomo grande e piccolo il seguitava con bandiere e incensi, sempre benedicendo il nome di Gesù Cristo. Comandò alle donne che portassero i veli in capo. A dì 1!\ maggio fu fatta processione dal detto f Giovanni col popolo di Bologna per tutta la città a piè scalzi. Fra Giovanni per virtù di Gesù Cristo fece molti miracoli per Bologna e in molti altri luoghi. A dì 16 di maggio apparve il segno della Croce in fronte del detto f Giovanni, essendo egli nel Consiglio del Comune di Bologna. In questo anno fu traslatato il corpo di S. Domenico doli arca che era in terra, nella quale esso era posto, e fu messo in un arca molto bene scolpita, e fu messa dal predetto f Giovanni e da altri frati con gran riverenza e. allegrezza; e fu a dì 13 di maggio. E a dì 28 f Giovanni andò in Lombardia, e fece fare molte paci di grande importanza. E fece partire gli osti ch’erano a campo , e predicò alle (dette osti. Dio volesse che al nostro tempo avessimo questo. Fin qui la Cronaca; ove è a notare singolarmente la correzione degli Statuti di Bologna a lui Commessa, il che vedremo ch’egli [p. 360 modifica]36o LIBRO lece in quest’anno medésimo in più altre città di Lombardia. Il Sigonio aggiunge ch’ei fu scelto ancora a decidere una contesa che da lungo tempo verteva tra il vescovo e la città sul dominio di alcune castella; e il dottor Macchiavelli sopraccitato ne accenna in prova (l. cit. nota) la carta del compromesso in lui fatto segnata a’ 29 di aprile di quest’anno medesimo; e aggiugne ch’egli volle avere a compagni in tal decisione Jacopo Balduino e Tancredi celebri professori, il primo di legge civile, di canonica il secondo. IV. De’ prodigi da Giovanni operati abbiamo ancora! testimonianza in Giovanni Cantipatrano che viveva al tempo medesimo. Ei ne racconta parecchi (De Alpibus l. 2, c. 1), ch’io non tratterrommi qui a ripetere, per non recar noia ad alcuni che al nome sol di miracolo sembrano risentirsi. Egli è vero che il suddetto scrittore afferma che alcuni di essi gli ha uditi narrare da’ testimonii di veduta, cui nomina col lor proprio nome. Ma ciò che importa? Qualunque testimonianza se ne arrechi, chi narra miracoli non può essere, secondo alcuni, che o un semplice , o un impostore. A cotali uomini sì delicati recherà forse maggior piacere un passo di un altro scrittore contemporaneo ch’era in Bologna al tempo medesimo in cui F. Giovanni da Vicenza mettevala a rumore, che si ridea de’ miracoli cui udiva di lui narrarsi, nel tempo medesimo che credea fermamente alle astrologiche superstizioni; e che eragli capitale nimico, benché non ardisse di opporglisi apertamente. Questi è il celebre astrologo [p. 361 modifica]SECONDO."561 Guido Bonatti, di cui abbiamo nel precedente capo trattato a lungo. Egli, nel rammentare le diverse peripezie a tempo suo avvenute, parla ancora di F. Giovanni da Vicenza j ed io ne recherò qui tradotto nella nostra lingua ciò ch’ei ne dice (Astronom. pars 1, p. 210): Fu similmente un certo frate dell’Ordine de’ Predicatori di nome Giovanni, di patria vicentino, da me nominato altre volte, il quale era tenuto in conto di santo da quasi tutti gì Italiani che professavan la fede della Chiesa romana; ma a me pareva ch’ei fosse un ipocrita. Egli venne in sì alto stato, che dicevasi che avesse richiamati a vita diciotto morti, niun dei quali però potè vedersi da alcuno. Dicevasi ancora ch’egli curasse ogni malattia, e che cacciasse i demoni, ma io non potei vedere alcuno da lui liberato, benchè pure usassi ogni mezzo per vederlo; nè potei parlare con alcuno che affermasse con sicurezza di aver veduto qualche miracolo da lui operato. Sembrava che tutto il mondo corresse appresso a lui, e credeasi beato chi potea avere un filo della sua cappa, e conservarla qual reliquia. I Bolognesi lo accompagnavano armati a nome della comunità, e faceangli intorno, ovunque egli andasse, uno steccato di legna convesse, perchè niuno gli si potesse accostare; e seppure alcuni gli si facean d appresso, eran da lor maltrattati; perciocchè altri uccidevano, altri ferivano, altri malmenavano con bastoni; ed egli godeva e ralle gravasi al vedere gli uccisi, i feriti, i malconci , e non risanavane alcuno, come Gesù fece con Malco. Diceva egli stesso pubblicamente [p. 362 modifica]3Ga LIBRO ncllii sue prediche, che parlava con Gesù Cristo , colla Beata Vergine, e cogli Angioli qualunque volta volesse. Frattanto i Frati predicatori di Bologna con tali inezie raccolsero come diceasi pubblicamente, oltre a ventimila marche cC argento. Era egli sì potente in Bologna , e i Bolognesi il temevan per modo, che faceano qualunque cosa ei lor comandasse. Anzi una volta fece liberare un soldato che chiamavasi Lorencerio, il quale aveva ucciso un figlio iF un suo vicino, e dal podestà era perciò stato dannato ad essere decapitato. Nè il podestà ebbe coraggio di opporglisi; nè alcuno ardiva di resistere a ciò eli egli voleva, fuorchè io solo} ma non in Bologna; perciocchè io conosceva gV inganni e la falsità di costui. Ma il volgo sol per timore di lui diceva cìì io era eretico. In tale stato durò lo spazio quasi cT un anno; poscia decadde e venne meno per modo, che quando volea recarsi altrove, appena andava accompagnato da un frate, e gli uomini cominciarono a conoscere chi egli fosse. Così il Bonatti, il quale però non poteva con verità darsi il vanto di essere il solo che non credesse a’ miracoli di F. Giovanni. Fra Salimbene dell’Ordine de’ Minori, che vivea circa questi tempi medesimi, e che scrisse una Cronaca dell’Ordin suo, di cui alcuni frammenti sono stati dati alla luce dal P. Sarti (De Prof Bon. t. 1, pars 2, p. 110), dopo aver detto che Giovanni era uomo di poca letteratura, aggiugne: et intromittebat se de miraculis faciendis; colle quali parole sembra ch’egli ancora non si mostri abbastanza persuaso della verità di tali prodigi. [p. 363 modifica]SECOSDO 363 Poco appresso però ei ne parla in diversa maniera; perciocchè dice eli’erano a quel tempo in Bologna molti truffatori e gabbatori che cercavano d’infamare gli eletti, e tra questi eletti ripone ancor F. Giovanni; e racconta ciò che avvenne a un professor di gramatica detto Buon* compagno, di cui noi pure altrove ragioneremo. Egli l’annovera tra’ truffatori suddetti, e dice che avea composto alcuni versi contro il medesimo F. Giovanni, de’ quali non ricordavasi egli che questi quattro: Et Johannes Johannizat; et saltando coreizat; Modo salta, modo salta, qui caelorum petis alta; Saltat iste, saltat ille , resaltant choortes mille, Saltat chorus Dominarum, saltat Dux Venetiarum , ec. Ma leggiadro singolarmente è il racconto che Salimbene soggiugne di un miracolo che volle fare ancor Buoncompagno per beffarsi di quelli di F. Giovanni. Ei dunque fè sparger per Bologna la voce che un cotal giorno sarebbesi levato a volo per l’aria stando sulla cima del monte ove è la chiesa di S. Maria, che perciò dicesi in Monte. Tutta la città vi accorse con quella folla che richiedeva l’aspettazione di sì gran portento. Ed ecco apparire sull’alta cima del monte il professor Buoncompagno , che si era adattate alle spalle due grandi ali. Stavan tutti cogli occhi rivolti in alto, ed egli dall’alto si stava mirando la sottoposta turba. Quando, poichè si furono rimirati a vicenda per lungo tempo, Buoncompagno alzando la voce, Itene con Dio, disse loro, e vi basti l’aver veduto il volto di Buoncompagno; e rimandolli per tal maniera scherniti. Un uomo di [p. 364 modifica]364 LIBRO tal carattere e che in tal maniera deride i miracoli, non sembrami testimonio troppo autorevole a provarne l’insussistenza. Per ciò poi che appartiene al Bonatti, egli è a riflettere che questi ancora non può aversi in concetto di scrittore imparziale. Nel passo da noi ora recato , ei non ci dà indicio alcuno di animo già prevenuto contro Giovanni. Ma altrove scuopre abbastanza per qual motivo ei gli fosse tanto nimico. Giovanni biasimava e impugnava l’astrologia giudiciaria; e se egli avesse ottenuta in ciò fede dai popoli, il Bonatti avrebbe perduta ogni autorità, e la sorgente di sue ricchezze sarebbesi dissecata per sempre. Fuerunt, dic’egli (p. 18), quidam insipientesfatui, quorum unus fuit ille Joanncs l icentinus hypocrita de Ordine Praedicatorum, qui dixerunt, quod Astrologia non erat ars neque scientia. Qual maraviglia dunque che tanto inveisse il Bonatti contro di un uomo da cui egli avea temuta la sua rovina? Quindi se la prevenzion favorevole potè condurre il popolo a veder que’ miracoli che Giovanni non avea mai operati, non potè ella egualmente la prevenzione contraria condurre il Bonatti a non veder quelli ch’egli avea palesemente operati? Io però non ardisco di diffinir cosa alcuna) e come parmi che Buoncompagno e il Bonatti, e le espressioni equivoche di F. Salimbene non bastino a provare che Giovanni da Vicenza non fosse operator di prodigi, così non parmi che tali testimonianze vi siano a provarne la verità, che si possan credere con sicurezza di non andare ingannato. Ma o veri o falsi essi fossero, [p. 365 modifica]secondo 36:) Giovanni giunse ad ottenere sì grande fama, che di pochi leggiamo che arrivasser tanl’oltre. V. Questa fu tale, che, come narrasi nelle Cronache più antiche dell’Ordine de’ Predicatori citate da’ PP. Quetif ed Echard (l. cit.), essendo radunato in Bologna il capitolo generale dell’Ordine, i Bolognesi scelsero alcuni de’ principali e più dotti lor cittadini, cui diedero il nome di ambasciadori, perchè andassero a pregare il maestro generale dell1 Ordine e il capitolo intero a non voler privar la lor patria della presenza di F. Giovanni, da cui essi traevano sì grande frutto. A’ quali il maestro generale, che era il B. Giordano , rispose cortesemente che benchè gli operai evangelici dovessero esser pronti a recarsi a qualunque luogo Iddio li chiamasse, egli però, quanto da sè dipendea, avrebbe procurato di secondare il lor desiderio. I suddetti due scrittori pensano che ciò avvenisse in uno degli anni 1223, 1125, 1227, 1229, 1231, ne’ quali si tenne in Bologna il generale capitolo. Ma come esso vi si tenne non meno l’anno 1233 (Del Castillo Cron. par. 1, /. 2, c. 7), e prima di quest’anno non ritroviamo che F. Giovanni si rendesse famoso per la sua predicazione, mi sembra più verisimile che a quest’anno medesimo debbasi differire una sì onorevole deputazione. Il dottor Macchiavelli aggiugne che i Bolognesi diedero a F. Giovanni la loro cittadinanza3 il che egli prova da alcune carte nelle quali trovasi così sottoscritto: Ego Frater Joannes de Bononia nunc, qui alim fui de Vicentia oriundus. Ma queste parole non parmi che provino abbastanza v. Granile sii • ■tu il 11 lui ni« temila singo* larmenlo in Bologna. [p. 366 modifica]366 LIBRO che ei fosse fatto cittadin di Bologna, ed egli potè usarle solo a mostrare che considerava ed amava quella città come sua patria. Forse la deputazione de’ Bolognesi al capitolo generale era rivolta ad allontanare il pericolo che soprastava, della partenza di quest’uomo apostolico, e che avvenne poscia di fatto, come abbiam veduto narrarsi nell’antica Cronaca bolognese, a’ 28 di maggio di quest’anno medesimo. Perciocchè il pontefice Gregorio IX, udite avendo per fama le cose maravigliose da Giovanni operate, a’ 28 di aprile gli scrisse un Breve, pubblicato in parte dal Rinaldi (Ann. eccl. ad an. 1233, n. 35), nel quale dopo essersi con lui rallegrato di si felici successi che Dio avea conceduti alle fatiche da lui intraprese, gli pone innanzi l’infelicissimo stato de’ Fiorentini e de’ Sanesi che per le ostinate loro vicendevoli guerre venivansi distruggendo miseramente; e benchè egli gli dica che non vuole usar di comando con uno che dallo spirito di Dio è condotto, il prega nondimeno che, quando Dio gliene spiri il pensiero, si trasporti a quelle città, e procuri, conducendole alla pace, d’impedirne la totale rovina. Altre lettere accenna il Rinaldi da Gregorio scritte e a’ Bolognesi perchè non si opponessero al partir di Giovanni, e a’ vescovi e alle città per cui egli dovea passare, perchè nol rattenessero suo malgrado, minacciando altrimenti i più severi gastighi. Il Muratori afferma (Ann. d’Ital, ad an. 1233) che Giovanni andò veramente in Toscana, ma che nulla potè ottenere. Io non trovo che ciò si narri da alcun [p. 367 modifica]SECONDO 36; aulico scrittore; anzi la Cronaca di Bologna sopraccitata chiaramente ci dice ch’egli volse verso la Lombardia. E veramente s’egli partì, come nella Cronaca stessa si narra. a’ 28 di maggio, le cose da lui operate nella Marca Trivigiana e nella Lombardia innanzi alla conclusion della pace che avvenne a’ 28 di agosto di quest’anno medesimo, bastano a dimostrare eh’ei non potè prima andare in Toscana. Giovanni dunque, qualunque ragion se n’avesse, in vece di recarsi in Toscana, volse verso la Lombardia, ove egli venne a rappresentare uno de’ più grandi spettacoli che mai si vedessero. VI. Le città di quelle provincie ardevano per un orribile incendio di arrabbiate guerre civili, e i popoli l’un contro l’altro innaspi ili 11011 in altro occupavansi che nel distruggersi e consumarsi a vicenda. Giovanni entrato in mezzo a fiamme così furiose, adoperossi con sommo zelo ad estinguerle, e fu maraviglioso il frutto ch’ei ne raccolse. Al che allude la medaglia da noi citata poc’anzi , nel cui rovescio si vede una celata che cuopre ed opprime un’ardente fiamma. Ma veggiamo ciò che di sì strani successi ne raccontan gli autori contemporanei. Gherardo Maurisio, che era in questi tempi medesimi giudice in Vicenza, ce ne ha tramandato un esatto racconto. Egli adunque (Script. rer. ital. vol. 8, p. 37;), dopo aver detto che narrerà cose maravigliose, ma di cui tutti son testimonii, racconta che F. Giovanni andò prima a Padova, e che colle sue prediche ottenne dai cittadini, che a lui abbandonassero interamente la decisione [p. 368 modifica]368 LIBRO delle lor controversie. La prima venuta a Padova di Giovanni descrivesi più minutamente ancora da Rolandino che in quella città medesima a quel tempo vivea; il qual racconta (ib. p. 204) che tutta la comunità di Padova col suo carroccio andogli incontro con gran divozione fino a Monselice, e che fattolo ascendere sullo stesso carroccio, il condusse trionfalmente in città; ove egli prese a predicare con ardentissimo zelo nel Prato della Valle, e ad esortar que’ popoli alla concordia. Quindi siegue a narrare Gherardo Maurisio, che Giovanni recatosi poscia a Trevigi, a Feltre, a Belluno, ottenne da tutti lo stesso 5 che Io stesso ottenne da’ signori delle due potenti famiglie di Camino e di Romano, e da quelli di Conegliano; e che lo stesso per ultimo ottenne da’ Vicentini, da’ Veronesi, da’ Mantovani, da’ Bresciani, e dal conte di S. Bonifacio. Cosi da tutte queste città fatto arbitro e giudice supremo delle vicendevoli lor controversie, Giovanni, come siegue a narrare Gherardo, ebbe in esse autorità e poter così grande, che presi gli Statuti di ciascheduna, li corresse come meglio gli piacque, aggiungendo e togliendo ciò che gli parve opportuno. Quanti erano stati fatti prigioni in guerra, a tutti fece rendere la libertà. Quindi stabilì il giorno determinato in cui conchiudere e stabilire solennemente la pace presso Verona, e comandò a tutte le suddette città che a tal fine vi si trovasser presenti. Questa sì ardua impresa, a cui erasi accinto Giovanni, fu dal pontefice Gregorio IX commendata altamente con più sue lettere che. si [p. 369 modifica]SECONDO 369 accennano dal Rinaldi (Ann. eccl. l, cit. n.37), colle quali gli concedette tutte quelle ampie facoltà che a ben riuscirvi erano necessarie. Nel dì stabilito adunque radunossi presso Verona, cioè circa tre miglia lungi dalla città presso l’Adige e presso un luogo detto Paquara, una innumerabile moltitudine d’uomini delle città della Marca Trivigiana e della Lombardia. Tutti gli antichi storici sembrano non aver espressioni che spieghino abbastanza l’immensità del popolo che colà si raccolse. Il Maurisio dice che da’ tempi di Gesù Cristo in poi non erasi mai veduta un’udienza si numerosa; e che la più parte degli uditori per riverenza vi vennero scalzi. Lo stesso raccontasi da Antonio Godi, dicendo che non era possibile di computarne il numero. Rolandino, che vi era presente, dice che sì gran moltitudine in Lombardia non erasi mai veduta. Parisio di Cereta scrittor veronese contemporaneo, il quale però in quell’anno erasene andato a Roma, con una incredibile esagerazione dice (Script.. rer. ital. vol. 8, p. 627) che vi si calcolarono oltre a quattrocenlo mila persone. Ma comunque si voglia credere che questo numero fosse di gran lunga minore, è certo però che essa fu una delle più strepitose assemblee che mai si vedessero. Abbiamo ancora il solenne atto di pace che in quel giorno, che era il 28 d’agosto, fu pubblicato da F. Giovanni , il qual atto è stato dato alla luce dal Muratori (Antiq. Ital. t. 4 , p. 641 , ec.), e in esso veggiam nominare le città di Verona, di Mantova, di Brescia, di Padova, di Vicenza venute co’ loro carrocci; i Trevisani, i Veneziani, TiraeoschI} Voi. IV. 24 [p. 370 modifica]VII. Suo arringo in quell1 oc«uioni. 3^0 LIBRO i Ferraresi, i Bolognesi con grandissimo numero d’uomini d’altri paesi venuti co’ lor vessilli; i vescovi Jacopo di Verona, Gualla di Brescia , Guidotto di Mantova, Arrigo di Bologna, Guglielmo di Modena, Niccolò di Reggio, Tisio di Trevigi, Manfredi di Vicenza, Niccolò di Padova; i podestà di Bologna, di Trevigi, di Padova , di Vicenza , di Brescia , di Ferrara, e più altri ragguardevoli personaggi. Gherardo Maurisio aggiugne che vi eran presenti ancora i signori di Camino e di Romano, il patriarca d’Aquilea e il marchese d’Este. VII. In mezzo ad una sì numerosa e sì augusta assemblea , di qual entusiasmo dovea infiammarsi un eloquente e zelante oratore? Giovanni salito su un eminente palco, che da Rolandino dicesi alto quasi 6o cubiti, e preso il tema da quelle parole dei Vangelo: pacem meam do vobis, pacem relinquo vobis: esortò caldamente alla pace tutti que’ popoli; e perchè tutti già si erano a lui abbandonati, egli stabilì le condizioni e i patti della pace medesima , che si posson vedere nell’atto sopraccennato , confermò ciò ch’egli avea stabilito, coll’autorità del pontefice, e fulminò le più terribili maledizioni contro coloro che ardissero di violarla. Gherardo Maurisio e Antonio Godi ci assicurano che in quella moltitudine sì sterminata ei fu chiaramente inteso da tutti3 il che, se avvenne di fatto, pare che non si possa non rimirare come prodigio. In fatti lo stesso Maurisio dice che molti eran gl’infermi che da Giovanni diceansi miracolosamente sanati, e ch’egli uditi avea alcuni Frati minori i quali predicando [p. 371 modifica]SECONDO 371 arcano affermato che a dieci morti egli avea renduta la vita. Ma ritornando a questa sì solenne giornata, agli articoli della pace egli aggiunse la pubblicazione del matrimonio tra Rinaldo figliuolo del marchese di.Este e Adelaide figliuola di Alberico fratello di Ezzelin da Romano; anzi al fin d’ogni cosa, come narra Rolandino, quasi avesse dimenticato di dirlo prima, soggiunse e ordinò che Ezzelino dovesse avere la cittadinanza di Padova. I lieti applausi e i vicendevoli baci di pace diedero il compimento e posero il fine a sì strepitosa assemblea , a cui pareva che dovesse succedere una dolce e universal pace di tutta l’Italia. Ma Rolandino, che ivi era presente, racconta che nel tornar che faceano alle lor patrie gli stranieri colà concorsi, diversi erano i loro ragionamenti , e molti non si mostravano paghi di ciò che ivi erasi stabilito , indicio troppo sicuro di vicin cambiamento, e funesto presagio delle luttuose rivoluzioni che pochi giorni appresso seguirono. Vili. Io non dubito punto che F. Giovanni non avesse finora operato con quella sincerità e purezza di zelo che è propria de’ ministri evangelici, e che talvolta degnasi Iddio di render più illustre con maravigli osi portenti. Ma mai non v’ebbe virtù che potesse credersi per se medesima abbastanza sicura; e uno straordinario esaltamento conduce spesso l’uomo a tai falli da cui egli in più umile condizione sarebbesi avvedutamente guardato. Giovanni, dopo aver sostenute le parti di predicator della pace, volle sostenere ancor quelle di reggitore [p. 372 modifica]3^3 libuo de’ popoli j e quanto nelle prime, che al suo ministero si convenivano, era stato felice, altrettanto fu infelice nelle seconde, dalle quali la sua professione dovea tenerlo lontano. 1 utti gli antichi storici da noi finora citati lodano l’eloquenza, il zelo, la pietà e tutte le virtù religiose di cui Giovanni era adorno j ma tutti insieme compiangono il non leggero errore in cui la sua imprudenza lo trasse, Rolandino solo non fa parola di tali rivoluzioni; ma sembra che qualche parte della sua Storia sia a questo luogo perita. Gherardo Maurisio è quegli che ce ne abbia parlato con più esattezza; e di lui perciò ci varremo singolarmente a ristringerle in breve, giovandoci però ancora al bisogno di altri o contemporanei o vicini scrittori. Poichè fu sciolta la grande assemblea di Verona, Giovanni andato a Vicenza (e non già a Brescia, come scrive Jacopo Malvezzi scrittor del secolo xv (Script. Rer. ital. vol. 15 , p. 905), e la cui autorità dee però cedere a quella degli scrittori contemporanei) e entrato nel consiglio della comunità, disse che voleva egli stesso essere signore e conte di quella città, e di ogni cosa disporre a suo piacimento. Era sì grande la maraviglia eli’ egli di se medesimo avea destata, che ogni cosa gli fu conceduta. Giovanni diedesi tosto , come altrove avea fatto, a esaminare, ad accrescere, ad emendar gli Statuti; e dato qualche provvedimento, passò a Verona 5 chiese ed ottenne il dominio ancora di quella città; v’introdusse il conte di S. Bonifacio: ricevette ostaggi dall’una parte e dall’altra delle già discordanti [p. 373 modifica]SECONDO J’JJ fazioni; volle avere in sua mano i castelli di S. Bonifacio, d’Illasio e di Ostiglia , ed altre fortezze; mosse guerra agli Eretici, e molti, secondo il costume di quell’età, ne fè dare alle fiamme, cioè, secondo il calcolo di Parisio da Cereta, 60 tra’ maschi e femmine de’ più ragguardevoli della città; e operando da assoluto padrone, pubblicò molte leggi e molti statuti. Frattanto i Vicentini mal volentieri soffrivano che Giovanni, quasi dimentico di essi, se ne stesse in Verona, e non pensasse a introdurre quei cambiamenti nella loro città che credevano opportuni. Al tempo medesimo i Padovani stimolarono il podestà di Vicenza a sollevarsi, e a togliere quella città dalle mani di F. Giovanni. Nè il podestà pose indugio in seguir tal consiglio; e fatti venir da Padova alcuni soldati, prese a fortificare Vicenza per difenderla all’occasione contro le forze del nuovo conte. Giovanni, poichè n’ebbe notizia, raccolte poche truppe, volò prontamente a Vicenza , donde gli uscì incontro gran folla di popolo. Egli, credendosi certo della vittoria , cominciò a correre la città, chiedendo che gli fossero date in potere le case, le torri e tutti i forti; e i suoi seguaci frattanto corsi alla casa del podestà, lui e tutti i suoi giudici e la sua famiglia spogliarono interamente. Ma poscia sopraggiunte le schiere de’ Padovani, e venute a zuffa presso il vescovado con quelle di F. Giovanni , queste furon disfatte, ed egli cadde in man de’ nemici che il tenner prigione. La prigionia di Giovanni da Pari sio da Cereta si dice avvenuta a’ 3 di settembre; ma non sembra [p. 374 modifica]374 LIBRO possibile clic da’ 28 d’agosto, in cui fu tenuta l1 assemblea presso Verona , fino a’ 3 di settembre potessero avvenire tutte le cose che abbiam narrate. IX. Della prigionia di F. Giovanni giunse la fama al pontefice Gregorio IX in Anagni, il quale, forse non ben informato di ciò che n’era stato l’origine , gli scrisse a’ 22 di settembre un Breve pubblicato dal Rinaldi (l. cit. n. 38), in cui il conforta nelle sue traversie, ponendogli innanzi l’esempio del Divin Redentore e di tutti i Santi che somiglianti trattamenti aveano per lo più ricevuti; e insieme lo avvisa di avere scritto al vescovo di Vicenza, perchè col dovuto rigore proceda contro gli autori di sì reo attentato. O fosse effetto di questo Breve , o fosse qualunque altro motivo, certo è che Giovanni riebbe presto la libertà, e ritornossene a Verona. Ma ivi ancora egli si avvide che l’autorità e la stima gli era venuta meno; e perciò dovette rendere al conte di S. Bonifacio i suoi ostaggi, e il castello dello stesso nome, e quel di Calderio ch’egli avea occupato; a’ Veronesi rendette il castello d’illasio; e ito ad Ostiglia, alla cui difesa avea egli poste alcune truppe bolognesi, e volendo egli entrarvi, ne fu rispinto. Cosi perduta in poco tempo tutta l’autorità, e afflitto per l’esito infelice de’ suoi disegni, tornossene a Bologna, ove non pare ch’ei più godesse di quell’altissima stima in cui era allor quando aveane fatta partenza. Certo di lui più non si parla nelle Storie di questi tempi, se non forse all’anno 1256, come frappoco vedremo; e sembra che in questo si debba [p. 375 modifica]fede alBonatti, da cui abbiamo udito narrarsi che Giovanni, poichè ebbe per lo spazio quasi di un anno riempiuta del suo nome l’Italia tutta, si giacque poi dimenticato interamente e negletto. I PP. Quetif ed Echard (l. cit.) cercano di difender Giovanni dalla taccia d’uomo ambizioso nell’arrogarsi il governo della città, allegando altri somiglianti esempi di questi tempi medesimi, come di Gherardo da Modena dell’Ordine de’ Minori, che dicesi essere stato podestà in Parma, e che da molti si onora col titolo di Beato. Ma questi adoperossi bensì con sommo zelo ad estinguere in Parma il fuoco delle guerre civili in quest’anno medesimo (Chron. Parm. Script. rer. ital. vol. 9, p. 766), ed ebbe anche da’ Parmigiani il governo assoluto della loro patria , e il titolo ancora di podestà; ma questi onori non furono da lui cercati , e solo lasciossi dalle lor preghiere condurre a riceverli. E può esser degno di lode dii accett 1 quasi suo malgrado un onore, quando vengagli conferito j ma sarà sempre degno di biasimo un uom claustrale che cerchi per se medesimo quelle dignità che al suo stato troppo mal si convengono. Nè io credo che un tal fatto torni in alcun disonore del chiarissimo Ordine de’ Predicatori troppo adorno di mille pregi d’ogni maniera, perchè dall’errore di un suo alunno possa rimanere offuscato. X. L’anonimo autore della Vita del conte di S. Bonifacio (Script. Rel. Ital. vol. 8, p. 128), che delle sinistre vicende accadute a F. Giovanni non parla punto, racconta che l’anno seguente essendosi di nuovo rotta la pace tra v. «Se fona altrove adoperato in iomglianli affati. [p. 376 modifica]3~6 UBRO Ezzelino e il detto conte, il papa inviò i vescovi di Trevigi e di Parma insieme collo stesso Giovanni a stabilir nuova pace tra essi, il che venne loro fatto felicemente. Ma a me sembra che questo scrittore, chiunque egli sia, debba credersi vissuto molto tempo dopo; almeno così mi persuade lo stile che mi pare assai più colto che "non l’ordinario di questi tempi. E Parisio da Cereta, scrittor certamente contemporaneo e più esatto, parla di questa pace (ib. p. 628), nomina i vescovi a ciò delegati dal papa, cioè quel di Trevigi e quello di Reggio, non quel di Parma; e di Giovanni non fa parola. E veramente, dopo le cose avvenute, non par ch’egli fosse opportuno a somiglianti trattati. Solo all’anno 1256 veggiam di nuovo comparir sulla scena un religioso dell’Ordine de’ Predicatori detto F. Giovanni. Rolandino racconta (ib. p. 306) ch’ei venne da Bologna a Padova insieme con alcune truppe di ca\ alli e fanti bolognesi in aiuto dell’esercito pontificio; ma che dopo aver riportato qualche vantaggio sopra i nimici, i Bolognesi dolendosi di non esser pagati, se ne staccarono, e che Giovanni, il qual qui dicesi da Rolandino eorum Magister et Rector (p. 308), non ebbe eloquenza bastevole a rattenerli. Questo Giovanni è egli lo stesso di cui abbiam parlato finora i Cosi pensano i PP. Querif ed Echard, e così sembra persuaderci il carattere e la condotta di quest’uomo singolare; e tanto più che, secondo gli stessi scrittori, credesi ch’egli vivesse fino all’anno 1281. Non vi ha però monumento alcuno che ci dimostri ch’egli dopo l’infelice [p. 377 modifica]secosoo esito dell1 assemblea di Verona ottenesse di nuovo fama d’uom santo e operator di prodigi: nè più il veggiamo da alcun de’ romani pontefici o commendato con lettere, o adoperato in pubblici affari (). XI. Nel parlare che linora ho fatto di F. Giovanni da Vicenza , non ho fatta menzione alcuna della Vita che ne ha scritta e data alle stampe in Padova l’anno i5t)o il P. Valerio Moschetta domenicano, perchè ella ini è sembrata tale da non farne gran conto, e da non doversi trattenere in rilevarne gli errori. Essi non debbono attribuirsi a ignoranza dello scrittore, che sarà forse stalo uomo dottissimo, ma alla mancanza de1 documenti, per cui egli (*) Fio detto che dopo l’infelice esito dell’assemblea di Verona, non vi ha memoria che ci dimostri che il celebre F. Giovanni da Vicenza fosse più adoperato da’ romani pontefici nei pubblici affari, o commendato qual san lo. Io non avea allora avvertito che nel Bollario de’ Domenicani leggesi un breve d’Innocenzo IV dé’i3 di giugno del 1247 al detto F. Giovanni, in cui loda il zelo da lui in addietro mostrato per la Cattolica Religione, e l’autorizza a procedere nelle dovute forme contra gli Eretici della Lombardia. E inoltre il Pagliarini nella sua Storia di Vicenza racconta, citando i monumenti di quella comunità, che l’anno 1260 ei fu destinato dal papa ad assolvere i Vicentini dalla scomunica , in cui erano incorsi per aver dato aiuto alTiinperador Federigo II e ad^Ezz.Ezzellino da Romano nelle lor guerre contro de’ papi. È certo adunque che F. Giovanni continuò a godere presso i romani pontefici di quella ottima fama che avea in addietro ottenuta; e convien perciò dire che o facesse ad essi palese la sua innocenza, o con nuove opere di pietà e di zelo cancellasse quella qualunque macchia che avea prima contratta. Xt. Esumo «logli scrii lori (In: Imi) di lui ragionalo. [p. 378 modifica]-3;8 libro scrisse, giusta il costume usato comunemente] a’ quei tempi, secondo ciò che per tradizion popolare avea udito, o che avea letto pressoi scrittori troppo recenti per potere appoggiarsi 1 alla lor sola autorità. Chi prenderà a leggerla J vedrà chiaramente che delle cose ch’io ho pio! vate colla testimonianza di scrittori conlempo-J ranci, ei parla assai brevemente, e molto sii diffonde in altre di cui non reca pruova dii sorta alcuna; e in quelle ugualmente che in] queste sconvolge spesso l’ordin de’ tempi, el contraddice alla serie de’ fatti provati da’ piùI autentici documenti. Egli, a cagion d’esempio! afferma che Giovanni fu padovano di patria;! mentre tutti gli storici contemporanei il dicon vicentino, e vicentino si dice egli stesso in un monumento da noi accennato. Egli il fa più! volte tornare innanzi indietro da Bologna a Pa-I dova, e da Padova a Bologna lo stesso an-| no 1233; mentre la serie delle cose da noi nar-1 rate e provate ci mostrano che una volta sola ini quell’anno ei fece quel viaggio. Egli afferma che! F. Giovanni ricusò la carica di podestà di Ve-I rona, di cui que’ cittadini il voleano onorare;! mentre tutti gli storici contemporanei ci dicono! che volle egli stesso e in Verona e in Vicenza I tal dignità. Cosi dicasi di più altre cose che! in questa Vita si veggono narrate senza pruova 1 e senza esattezza. I continuatori del Bollando I avendola letta, e avendo trovato in essa Giovanni onorato col titolo di beato, insieme con ’ alcuni indicii di pubblico culto a lui renduto , l’han recata in latino, e le han dato luogo ne’ loro Atti (ad d. 2 jul), rilevando gli errori e [p. 379 modifica]SECOXDO 379 lo incocrenze c!ie in essa s incontrano. Ma essi non ¡«anno veduta la maggior parte degli scrittori contemporanei da me allegati; e non è perciò maraviglia che non abbian potuto scriver su questo argomento coll’ordinaria loro esattezza. Solo essi arrecano il passo di Gherardo Maurisio. Ma ad esso rispondono che questo scrittore ha parlato con sinistra prevenzion di Giovanni. A dir vero però, non parmi che sia questa troppo ben fondata risposta. Il Maurisio ne dice lodi grandissime, il chiama uomo assai religioso, esalta il gran frutto da lui ottenuto colla sua predicazione, e rammenta ancora i prodigi da lui operati. Ei dunque non gli era punto nimico, e può a ragione esiger fede, quando racconta il fallo in cui cadde Giovanni col voler essere podestà di Verona e di Vicenza. Questo fatto medesimo è confermato da Antonio Godi e da Parisio di Cereta, come abbiamo di sopra accennato; ed altri scrittori ancora, come il Monaco Padovano (Script rer. ital. vol. 8. p. 674) e l’autore dell’antica Cronaca Estense (ib. vol. 15, p. 306), benchè nol raccontino espressamente, dicono nondimeno che nello spazio di un mese tutto il frutto della predicazione di F. Giovanni venne a nulla. Al contrario non vi ha alcun antico scrittore che neghi, o in altro modo racconti il fatto medesimo; e parmi perciò, che secondo le leggi di buona critica non possa rivocarsi in dubbio che F. Giovanni, lasciandosi trasportare troppo oltre dallo stesso suo zelo, non si assumesse spontaneamente il governo delle città di Vicenza e di Verona. Per ciò che appartiene al [p. 380 modifica]5So LIBRO pubblico culto rendutogli, io ho voluto chieJ derae informazion diligente, e sono stalo ac-l certato che nella chiesa de’ PP. Predicatori detta della Santa Corona in Vicenza vedesi bensì un quadro ove è dipinto Giovanni, a cui ivi si dà] il titolo di Beato, ma che nè esso ha raggi alla fronte, nè è esposto alla pubblica venerazione! su qualche altare, ma riesce a tergo del pulJ pito, e perciò non può in alcun modo esser»] pruova del culto che gli sia stato renduto; come! pure non basta a provarlo il titolo di Beato! che da alcuni recenti scrittori senza pubblicai autorità gli viene attribuito, e che non vedesi a lui conceduto da alcun degli antichi. Le grandi! cose da Giovanni intraprese, e la fama de1 pro-l digi da lui operati sparsa per ogni parte, potè« determinar facilmente gli scrittori più recenti ad dargli un tal titolo. Anzi alcuni, come osser-l vano i bollandisti, giunser tant1 oltre, che non] teineron di scrivere con troppo ardita imma-1 ginazione che Giovanni a guisa di Enoch e di Elia sia per voler di Dio in qualche occulto luogo nascosto e ancor vivente, per uscirne poi un giorno a ben della Chiesa. Nè io voglio perciò negare che Giovanni non fosse uomo! d’insigne pietà e di ardentissimo zelo; anzi io concederò ancora, se così si voglia, che nel-l l1 assumer eh1 ei fece il civil governo di Verona e di Vicenza, ei non fosse condotto che dal focoso suo zelo, e che sia perciò degno di scusa il fallo da lui commesso. Solo io ho ere-’ duto di dover separare in ciò che a lui appartiene, le cose che dagli antichi e accreditati scrittori ci vengono narrate, da quelle che altro [p. 381 modifica]SECONDO 38I fondamento non hanno che una tradizione incerta e una pia popolare credulità (a). XII. Mi è sembrato di non andar troppo lontano dal mio argomento collo stendermi alquanto sulle vicende di quest’uom sì famoso 5 poiché egli ebbe gran parte, come abbiamo veduto, nel correggere e nel migliorargli Stalliti di molte città della Marca Trivigiana e della Lombardia. Ciò che è più strano, si è che nell’anno medesimo in cui Giovanni operò cose sì grandi, parve che i religiosi cospirassero insieme a recare la pace quali in una, quali in altra città. Già abbiam veduto che F. Gherardo da.Modena ottenne coll’apostolica sua predicazione, che molte paci in quest’anno si facessero in Parma. E nella Cronaca di quella città si aggiugne che ivi pure riformati furono gli Statuti. Nell’anno medesimo fece egli lo stesso felicemente in Modena sua patria (ib. vol. 11, p. 60)., ove richiamati furono tutti i banditi, trattine cinque soli. Il Sigonio, parlando di questo fervente ministro evangelico, dice (l. cit) ch’egli era della nobilissima famiglia de’ Rangoni, e ne cita in pruova la Cronaca (a) Nella Nuova Raccolta di Opuscoli (t.!\i) è stata pubblicata una lunghissima lettera ilei P. Tommaso Ileecari iteli Ordine de’ Predicatoli sotto il nome di Giovanni Domenico del Coppa. in cui si la una dilVusa apologia di F. Giovanni da Vicenza contro ciò che a questo lungo io ne ho scritto. Dopo averla letta , a me non sembra di dover aggiugnere cosa alcuna a ciò che ora ne ho detto nella precedente giunta alla prima edizione. 10 lascio nondimeno ad ognuno, poiché ubbia latto un diligente esame delle ragioni di una parte e dell’altra, 11 darne quel giudizio che gli parrà più opportuno. [p. 382 modifica]38a libro I di F. Salitnheue dell’Ordine de’ Minori, che j| Muratori credette perduta. (praef. ad Chron Parm. vol. 9 Script. Re. Ital.). Ma ella conseg vavasi in Roma nella libreria di casa Conti, ed ora è nella Vaticana; e il P. Sarti ne ha dati alla luce dei lunghi tratti (De Prof. Bon. t. 1 pars 2, p. 208). Egli nomina in fatti ed ètjfl comia con molte lodi F. Gherardo da.Modena] ma aggiugne insieme, come ha provato il P. Fla] minio da Parma Minor osservante (Mem, istor de’ Frati minori, ec. t. 2, p. 96), ch’egli era della nobile e antica famiglia de’ Boccabadati, Il B. Gherardo Rangone, uno de’ moltissimi personaggi di questa sì illustre e rinomata fa] miglia, che nel XIII secolo si videro ottenere le più ragguardevoli cariche in varie città d’Italia (f), non entrò nell’Ordine de’ Minori che (j") Spero che non dispiacerà a chi legge, che io raijl colga qui insieme i nomi di alcuni celebri personaggi di questa antichissima famiglia, che trovansi nelle an-fl tiche Cronache nomiti iti. restringendomi però al solo secolo XIII, di cui ora scrivo. Per lasciare dunque quell Gherardo Rangone legato imperiale nel 1167 (Murati Antiq. Ital. t. 3, p. 776), troviamo Guglielmo Itatigotte podestà di Modena nel 1208 (Script, Rer. Ital vol. 11, p. 56). Lo stesso podestà di Verona nel 1209 (ib. vol. 8, p. 123). Lo stesso podestà di Bologna! nel i2t 5 (ih. voi. 18, p. 109)). Gherardo Rangone po-J desta di llologna nel 1226 (ib. p. 110). Lo stesso po-if desta di Verona l’anno 1230 (ib. vol. 8, p. 200). Lo I stesto podestà di Siena l’anno 1232 (ib. vol. 15,p. 25). \ Lo stesso podestà di Mantova l’anno 1241 , e ucciso I in quello stesso anno in battaglia (ib. vol. 8, p. 632).! Jacopino Rangone podestà in Siena l’anno 1237 (ih. I voi. 1 5, p. 25). Rolandino Rangone podestà di Mo-l dena l’anno 1240 (ib vol. 11!, p. 61). Jacopino Rangone e Guglielmo di lui nipote al seguito di Enrico 6 [p. 383 modifica]SECONDO 383 dono essere slato l’anno 125i podestà in Milano (V. Flaminio da Parma, l. cit p. 102, ec.j Glutini Meni, di Mii t. 8, p. 85, ec.). Nell’anno stesso F. Leone dell’Ordine de’ Minori stabilì la pace fra’ Piacentini (Chron, Placent. vol. 16 Script, rer. ital. p.)• ^la quesL’e<3 a^’’’ s0* mialianti fatti non è di questa opera il ragionare; e ciò che abbiam detto, basta a mostrarci che quasi tutte le città italiane aveano di questi tempi i particolari loro Statuti, i quali rendeano più ampio e perciò più difficile lo studio della giurisprudenza. Per ciò che appartiene alle leggi romane, esse nè in questo secolo nè ne’ susseguenti non furon soggette a cambiamento notabile di sorta alcuna; e ad illustrare la storia della giurisprudenza noi dobbiam solo Enzo figlio di Federico II l’anno 1246, 12471 ec- (Utp. fi2,63). Gherardo Rangone podestà di Milano I alino 1201 (Fiamma Manip. Fior. c. 28 T). Jacnpino Rangnne console in Firenze i anno 1260 (Cronache di Firenze pubblicate dui Mann:, p. i 27) Guglielmo Rangone podestà in Treyigi nel 1263 (Perei Star, della Marca , t. 1, p. i36). Guglielmo Raugone capitano io Modena 1" anno 1264 (Script. Rer. ilal. voi. 11, p. 67). Jacopino Rangone capo de’ Guelfi in Modena lo stesso anno (ib. voi. 8, p. 1123). Lo stesso podestà di Reggio nel 126) (ib.). Lo stesso podestà Hi Modena nel 1261) (ib. voi. ii, p. 70). Lo stesso podestà di Cremona l’anno 1271 (ib. p. 71). Tobia Rangone podestà di Reegio l’anno 1284 (ib. voi. 8, p. 115q). Lanfranco Ra tigone spedito a Ferrara ad offerire la signoria di Modena al marchese Obizzo d’F.ste l’anno 1288 (ib. voi. 15, p. 340 I. Alila figlia di Tobia Rangone presa in maglie da Aldobrandino figlio dello stesso marchese Obizzo (ib.). E vuoisi avvertire che la carica di podestà a que tempi conterivasi comunemente ad uomini e per nascila e per saper nelle leggi cospicui. [p. 384 modifica]XI!!. Celebri piurtsconsufli di qursli lem|»i. N’uluie di Fillio. 384 LIBRO ricercare di quelli clic nello studio di essa acquistarono maggior nome. Argomento vastissimo che potrebbe per sè solo occupare gran parte di questo tomo. Ma perchè i più celebri furono quelli che ne tennero scuola nell’università di Bologna, e la storia di questi è stata per tal maniera trattata e rischiarata dal dottissimo P. Sarti, che appena si può sperare di narrare, o di scoprir cosa alcuna che da lui non sia già stata scoperta e narrata, io mi ristringerò a toccar solo in breve ciò eh’ è più degno di non esser passato sotto silenzio. XIII. Il prima de’ celebri giureconsulti dell’epoca di cui scriviamo, è Pillio. Da alcuni, e fra gli altri dal Muratori (Antiq. Ital. t. 3, p.;)903), ei dicesi nato in Modena, da altri in Monza, da altri altrove; ma i monumenti dal P. Sarti addotti (De Prof. Bon. t. 1, p. 72, ec.) a provarlo nato in Medicina terra del bolognese, e le ragioni da lui recate a provar guasto quel passo su cui fonda il Muratori la sua sentenza, mi sembran forti ed evidenti per modo, che non sia più lecito il dubitarne (a). Di qual fama egli godesse, quando era professor di leggi in (17) Alle prove addotte dal P. Sarti a mostrare che Pillio fu natìo di Medicina nel Bolognese, deesi aggiugnere il documento da me pubblicato nella Storia d.ella Badia di Nonantola, in cui a un atto tenuto in Modena l’an 1187 si trova presente Pillius Medicinensis (t. 2, p. 31 \); il che sembra ancora indicarci ch’ei venisse a questa città due anni prima del tempo dal P. Sarti fissato. Anzi un altro bel documento da me altrove prodotto (Bibl. Moden. t. 6, p. 7) cel mostra in Modena fin dal 1182. Ma forse quelle non furono che venute passaggerè. [p. 385 modifica]SECONDO 385 Bologna, raccoglievi singolarmente dal vedere ch’egli l’anno u&7 fu scelto da’ monaci di Cantorberì a trattare innanzi al pontefice Urbano III in Verona una lor causa contro l’arcivescovo di quella chiesa, in cui egli fu vincitore, benchè avesse a suo avversario il celebre Pietro di Blois; e che un’altra causa parimente ei sostenne e vinse contro il re d’Inghilterra (ib. p. 76). Ma convien dire o che alla stima non corrispondesse il frutto, o che Pillio giovane ancora non abbastanza maturo non fosse troppo felice nella sua condotta. Certo è che dopo aver per tre anni tenuta la sua cattedra, ei trovossi aggravato dai debiti, e molestato perciò dagl’importuni suoi creditori; il che determinollo a venirsene a Modena. Udiamo come egli stesso descrive leggiadramente e con poetica immagine il fatto, recando nel volgar nostro italiano ciò ch’egli narra in latino: Mentre io era, die’egli {In Swnmam Placent. ad rubr. de Municip.), in Bologna, e a moltissimi uditori spiegava le leggi, e già da tre anni sostenea la fatica del magistero, un giorno eli io mi stava pensando a’ debiti c/i io aveva co’ miei compagni, e temeva assai le minacce e le vessazioni de’ creditori, ecco farmisi innanzi Modena, la quale sempre si compiace di amare gli studiosi delle leggi. Essa mostrando pietà delle mie angustie, con amabil sembiante così mi disse: Che fai tu qui, o giovane; perchè sei tu aggravato da sì molesti pensieri? Troppo male ciò si conviene alla tua giovinezza. Vieni anzi a me che soglio abbracciar caramente i tuoi pari; e te e i tuoi compagni io libererò da sì gravi sollecitudini. Tuuroschi, Voi. IV. a5 [p. 386 modifica]386 LIBRO E tosto mi diè in dono (quasi cento marche (f argento. Siegue poscia a narrare ciò che abbiam già raccontato (l. 1, c. 3), che i Bolognesi, avendo di ciò avuto sentore, costrinsero tutti i professori a dar giuramento che per due anni non avrebbono abbandonate le loro scuole; e aggiugne che, poichè gli ebbero stretti per tal maniera, gli aggravaron di nuovi e sì importabili pesi, che appena, dic’egli, un bifolco avrebbe potuto portarli. Or, prosiegue egli, mentre io mi stava dubbioso che mi convenisse di fare, di nuovo mi si fece innanzi Modena, e sorridendo, tu dovevi pur persuaderti, mi disse , o Pillio, che l’indugio suol esser dannoso. Ma sappi che Modena vorrebbe anzi averti, benchè fossi mutolo, che soffrir di vederti, ben nato qual sei, in una sì barbara schiavitudine venir meno. vien dunque meco, e ne avrai molto più ancora ch’io non t’avea promesso. L’invito era troppo cortese, perchè a Pillio fosse lecito il ricusarlo. Abbandonata dunque, non ostante il giuramento, Bologna, Pillio sen venne a Modena verso l’anno 1189, come altrove abbiamo provato; ed ivi, come sembra probabile al P. Sarti, si rimase sempre tenendovi scuola, benchè pur si ritrovi che l’anno 1207 egli era in Bologna, ove fu presente alla decision di una lite tra il capitolo della cattedrale di Bologna e que’ di Medicina sua patria. Ma questa verisimilmente non fu che una passeggera dimora, dopo la quale fece ritorno alla sua benefattrice Modena. Qui ancora credesi ch’ei finisse i suoi giorni, benchè nè dell’anno della sua morte, nè del luogo ov’egli [p. 387 modifica]SECONDO 387 fos.sc sepolto, aon ci sia rimasta notizia. Delle opere da Pillio scritte non abbiamo alle stampe che le Quistioni sabbatine, così dette, perchè contengono le quistioni di cui disputava ne’ sabbati, il compimento della Somma sugli ultimi tre libri del Codice, che il Piacentino avea sol cominciata, e le chiose che si trovano sparse ne’ libri legali, e che sono indicate colle lettere Pi, o Py Delle quali e di altri libri che egli compose, ma che sono periti, veggasi il p Sarti (p. 77) XIV. Mi si permetta il passar leggermente su alcuni altri benchè celebri giureconsulti che verso il fine del secolo XII. o al principio del XIII fiorirono in Bologna. Tali furono Giovanni Bassiano cremonese di patria, uomo anche nella filosofia e nelle belle lettere esercitato, e d’ingegno, come dice Odofredo, acutissimo, ma di costumi non troppo lodevoli, e nimico implacabile del Piacentino 3 e Carlo di Tecco natìo di Benevento, che scrisse commenti sulle Leggi longobardiche} e Niccolò soprannomato Furioso, che credesi reggiano di patria (a), e Otton di Pavia, e Bandino Familiato pisano, e Cacciavillano, e Oddone da Landriano, che probabilmente era di patria milanese, e più altri. Io non posso arrestarmi a compendiar le notizie che il diligentissimo P. Sarti ne ha raccolte ed esaminate (ib. p. 79, 82, 86, 89,90), confutando insieme gli errori che nello scriver di essi si son commessi da molti, poichè anche (<?) Della patria di questo giureconsulto, che non è beu conosciuta , si è. trattato nella Biblioteca modenese (t. 5 , p. 36p)• XIV. LotUrio «roioone*«, ed aliti giureconsulti. [p. 388 modifica]388 LIBRO il solo compendio mi condurrebbe tropp’oltre; e bastimi l’accennare ove se ne possano rin-3 venire da chi le brami più copiose notizie. Non men celebre fu Lottario cremonese di patria.1 die fu il primo che si stringesse con giuramento l’anno 1189 a non abbandonar l’univer-j sita di Bologna. I)i lui narra Odofredo (in I parte Dig. vet. l. 2, tit. de Jurisdict. Omn. Jud.)I ciò che abbiam veduto attribuirsi senza ragione a Bulgaro ed a Martino; cioè che cavalcando Arrigo IV, padre di Federigo II, in mezzo a Lottario e al famoso Azzo, di cui or ora ragioneremo, rivoltosi ad essi, così gl’interrogòJ per usar le parole dello stesso Odofredo: Signori, dicalis mi/iicuicompetitnierum imperlimi,] I due giureconsulti si trattennero alquanto, complimentandosi a vicenda, chi prima dovesse rispondere; e frattanto interrompendo questo racconto ci narra Odofredo che Lottario diligenat multum dominas, et libenter eas videbat Questi finalmente rispose il primo, e disse ad Ar-J rigo: Ex quo vult dominus Azzo, quod prius\ ego die am, dico, quod vobis soli competit me-\ rum imperiavi et non alii. Rivoltosi poscia Arrigo ad Azzo il richiese del suo parere; ed egli sinceramente risposegli, che benchè l’imperadore avesse per eccellenza il supremo dominio, anche i giudici nondimeno aveano secondo la formola delle leggi il. poter della spada. La qual risposta non essendo piaciuta molto ad Arrigo, poichè fu tornato a palazzo, donò un destriero a Lottario, e Azzo se n’andò senza alcun donativo. Quando fuerunt reversi ad palatium, dominus Imperatar misit domino Lotario [p. 389 modifica]SECONDO 38^ unum equum, et domino Azoni nihil. Alla qual sua avventura allude scherzevolmente lo stesso Azzo dicendo: plenam ergo vel plenissimam jurisdictionein soli principi competere dico.... sed merum imperium etiam aliis sublimioribus potestatibus competere dico; licet ob hoc amiserim equum; sed non fuit aequum (Summa in l. 3 Cod. tit. de Jurisdict Omn. Jud.). Lottario fu poscia fatto vescovo di Vercelli, e quindi arcivescovo di Pisa. Alcuni aggiungono ch’ei fosse finalmente patriarca di Gerusalemme; ma non sembra che se ne adducano certe pruove. Anche intorno a questo famoso leggista molte altre esatte notizie somministra il P. Sarti (p. 83, ec.). Io mi affretto a ragionar di quelli che oscuraron la fama di tutti i loro predecessori, e de’ quali anche a’ giorni nostri è più celebre il nome, e prima del rinomatissimo Azzo. XV. Azzo fu certamente bolognese di patria, nè mai tenne scuola altrove fuorchè in Bologna, come prova evidentemente il P. Sarti (p. 91, ec.), il quale osserva che l’essere attribuita a lui la Somma de’ tre ultimi libri del Codice, la quale fu veramente cominciata dal Piacentino, e finita, poscia, come abbiam detto, da Pillio, ha data occasione a’ varii errori; perciocchè ciò che il Piacentino dice di se medesimo, cioè ch’egli era stato in Montpellier, credendosi detto da Azzo, si è pensato che questi o fosse natìo di quella città, o in essa almeno avesse insegnato; e ciò che di se stesso racconta Pillio, cioè di esser passato da Bologna a Modena, credendosi pure scritto da Azzo, ha fatto credere a [p. 390 modifica]clero molti, e fra gii ahn al eh. Muratori (Anttq. Ital. t. 3, p. 904) che Azzo avesse in Modena tenuta scuola di legge. Nè l’Arisi arreca argomento alcuno che vaglia a mostrarlo, com’ei pretende (Cremon. liter. t. 1, p.89), cremonese di patria, in confronto agli argomenti e alle autorità che il provano bolognese. Alle cose però che dal P. Sarti su questo punto eruditamente si dicono, vuoisi nggiugnere che l’università di Montpellier pretende d’avere diritto a numerare Azzo tra’ suoi professori) perciocchè la classe legale di essa nella sua mazza porta scolpiti i ritratti del Piacentino, che certamente ivi stette più anni, e di Azzo (Hist. littér. de la France, t. 9, p. 87). Ma questa persuasione è nata probabilmente dal fonte medesimo da cui son nati gli altri errori sopraccennati. Certo i monumenti prodotti dal P. Sarti ci mostrano Azzo vivente sempre in Bologna. Ei fu scolaro di Giovanni Bassiano da noi nominato poc’anzi) ma superò di gran lunga la fama del suo maestro. Di quale stima egli godesse, cel mostrano le onorevoli espressioni con cui di lui ci ragionano alcuni di quelli che gli furon discepoli. Questi erano in sì gran numero, che, come narrasi in Bologna per tradizione non sostenuta per altro da certe pruove, gli convenne talvolta di tener la sua scuola nella piazza di S. Stefano. Nel che però hanno alcuni esagerato oltre il dovere, dicendo ch’egli n’ebbe fino a dieci mila ad un tempo, e provandolo coll’autorità di Odofredo, il quale non ha mai scritta tal cosa, ma sì, che a’ tempi di Azzo erano in Bologna dicci mila scolari (in Authent. Habit. c. ne Filius pro Patre). Tra [p. 391 modifica]SECONDO 391 questi discepoli d’Azzo alcuni furono sopra gli altri famosi, come Roffredo da Benevento, Jacopo Balduino, Accorso, ed altri. Odofredo ne parla spesso con molta lode, anche per le virtù morali di cui era fornito, benchè pure il P. Sarti confessi ch’egli fu alquanto sdegnoso, e nel confutar gli avversari non troppo fornito di saggia moderazione. Ma singolarmente ne esalta Odofredo la lena e l’impegno con cui attendeva alla sua scuola, talchè ei diceva che non mai cadea infermo, se non ne’ tempi delle vacanze, e che in fatti in questo tempo ei morì. Audivi ab eo, quod non infirmabatur nisi tempore vacationis, et ita tempore vacationis mortuus est. Sed dicebat, quod, quando legebat, semper erat bonae voluntatis (in Conclus. Comm. in Cod.). Nè la fama di Azzo venne meno, come talvolta accade, col finir della sua vita. In Verona e in Padova e in Milano, come col testimonio del Panciroli e dei Diplovatacio prova il P. Sarti (p. 93), non poteva alcun ottenere il grado di giureconsulto, se non avea tra’ suoi libri la Somma di Azzo. E ne’ tempi ancor più moderni il dottissimo Gian Vincenzo Gravina non ha temuto di dire che la Somma di Azzo è opera ingegnosa e si profonda, che benchè sia nata in barbari tempi, anche in mezzo alla erudizione fra cui ora viviamo, non possiam senza danno restarne privi (De Orig. Jur. t. 1, p. 93). Egli era professore in Bologna fin dall’an 1190, e viveva ancora nel luglio dell’anno 1220, dopo il qual tempo non trovasi più di lui menzione alcuna; ed è probabil perciò, che non molto dopo ei morisse; dal che [p. 392 modifica]XV!. «gol iuo Pagarono. 3y2 T.IBHO si convince d’errore l’iscrizione che ne fu posta al sepolcro presso il campanil della chiesa de’ SS. Gervasio e Protasio l’anno 1496, ove si dice ch’egli finì di vivere l’anno 1200. Ciò che narrano alcuni moderni scrittori , eli’ ei fosse decapitato per un omicidio, non ha alcun fondamento, e nulla ce ne dicono gli scrittori a lui più vicini. Ben ci narra Odofredo, che pel dolore che dalla università si ebbe per la morte di sì celebre professore, tardossi quell’anno a riaprire le scuole fino ad Ognissanti, ove solevano comunemente aprirsi circa la festa di S. Luca (l. cit.). Ci rimangono le due Somme da lui composte del Codice e delle Istituzioni, di cui si son fatte più edizioni, oltre l’Apparato al Codice raccolto da Alessandro di S. Egidio di lui scolaro, ed esso pure stampato, ed altre opere che si conservano manoscritte, e che diligentemente si annoverano dalP. Sarti (p. 99). XVI. Due altri celebri giureconsulti viveano al tempo stesso in Bologna, Ugolino ,,soprannomato del Prete, e Bagarotto. Per ciò che è di Ugolino, a me sembra che il P. Sarti abbia provato non essere abbastanza forti gli argomenti per cui da alcuni ei dicesi fiorentino (p. 102, cc.)’} ma non parmi ch’egli lo abbia abbastanza provato bolognese di patria-, perciocchè Giason del Maino, che lo asserisce, non visse che tre secoli dopo, e i monumenti che accenna il Diplovatacio, non si sa a qual età appartengano. Men dubbiosa pruova poteva ei trarne dalle antiche Cronache genovesi che da lui ad altra occasione si accennano, perciocchè in esse espressamente si dice ch’egli [p. 393 modifica]SECONDO 090 era elttadin bolognese (Script. rer. ital. vol. 6, p. 435). Certo è inoltre eli’ ei visse quasi sempre e tenne scuola in Bologna, e che da’ Bolognesi i’ 11 ne’ pubblici affari non rare volte adoperato. Era egli rivale e geloso della gloria di Azzo; e così nell’interpretare le leggi, come nel trattare le cause, erano essi comunemente contrarii; dal che forse ne nacque la favola\ poc’anzi accennata, che Ugolino fosse ucciso da Azzo, e questi perciò fosse decapitato. A lui si dee che le leggi feudali ed altre costituzioni de’ nuovi imperatori, le quali abbiamo altrove veduto ch’erano state raccolte da Anselmo dall’Orto, poste in ordin migliore fossero inserite nel Corpo del Diritto civile. Non si sa precisamente in qual anno ei morisse; ma ne’ monumenti bolognesi dopo l’anno 1233 non trovasi più mentovato. Grande pure fu la fama di Bagarotto, come raccogliesi non tanto dall’opere che di lui ci sono rimaste, le quali non sono di gran valore, quanto dagli ardui affari e dalle onorevoli legazioni a cui da’ Bolognesi fu destinato. Esse si annoverano dal P. Sarti (p. 107, ec.), il quale qui ancora non adduce troppo valide pruove a mostrare ch’ei nascesse in Bologna. Di lui si trova menzione ne’ monumenti bolognesi dall’anno 1200 fino al 1242, oltre il quale non sembra di’ ei prolungasse, almen di molto, la vita. Altri ancora non pochi giureconsulti fiorivano al tempo stesso in Bologna, che era in tutto il mondo il più luminoso teatro di questo studio. Ma non giova il parlare di tutti; e i più illustri son quelli di cui solo mi son prefisso di dir brevemente. [p. 394 modifica]XVII. Ralduino «la Reggio. 394 LIBRO XVH. Fra i molti scolari di Azzo, il più celebre per avventura fu Jacopo di Balduino. Il P. Sarti afferma ch’ei fu bolognese (p. 111) J ma io non vedo qual pruova ne rechi; e alcuni monumenti da lui accennati ci mostran solo che la famiglia di Balduino era in Bologna quando già era inoltrato il secolo XIII. Ed io mi stupisco che il P. Sarti, di cui non v’è forse mai stato il più minuto ricercatore, non abbia avvertito un passo della lettera ch’egli pure accenna, scritta da Pier delle Vigne nella morte di questo giureconsulto , in cui egli è chiamato Jacobus deRogio, cioè, come avvisano gli editori doversi leggere de Regio (Epist. l. 4, c. 9). Egli è vero che negli Annali genovesi di Bartolommeo, continuatore di Caffaro Jacopo è detto Jacobus de. Balduino de Bononia (Script. rer. ital. vol. 6, p. 456). Ma forse così egli scrisse perchè abitando Jacopo in Bologna, credette che quella città ne fosse la patria. E certamente, se nella lettera di Pier delle Vigne non è corso errore, ella pare un troppo autorevole monumento a provare che Jacopo era reggiano. Egli teneva scuola di leggi in Bologna fin dall’anno 1213, nel quale egli si obbligò col solito giuramento che non avrebbela giammai tenuta altrove. Benchè fosse stato scolaro di Azzo, non ebbe nondimeno pel suo maestro quel rispetto che sembrava dovetegli •, ed anzi affettava di combatterne le opinioni, e ne venner perciò tra lo scolaro ed il maestro dissensioni e dissapori. L’anno 1229 fu da’ Genovesi eletto a lor podestà, e il sopraddetto scrittor degli Annali fa grandi elogi j [p. 395 modifica]SECONDO 395 della saggia condotta ch’egli vi tenne, e delle molte cose che a vantaggio di quella repubblica operò, e rammenta fra le altre il correggere e ordinare ch’ei fece, per pubblica deputazione - gh Statuti della Repubblica. Il qual racconto di scrittor genovese e contemporaneo basta a smentire ciò che altri han raccontato, cioè eli1 egli avendo fatto sospendere per la gola un de’ piu ragguardevoli cittadini, fosse perciò spogliato della sua dignità; racconto troppo facilmente adottato dal Panciroli, che in altri punti ancora non è stato troppo esatto nel ragionare di Jacopo, come il P. Sarti dimostra. Tornato a Bologna, tornò probabilmente Jacopo alla sua scuola, e la tenne fino all’anno i?.35 in cui morì. La lettera da noi poc’anzi accennata scritta da Pier delle Vigne nella morte di Jacopo a tutti i giureconsulti, ci scuopre in quale stima egli fosse, poichè egli il chiama uomo unico e singolare al mondo, in cui le leggi insieme e l’eloquenza ed il senno avean posta lor sede; e dice che tutta la Lombardia priva del suo sole, anzi la maggior parte degli uomini, piangeva amaramente la morte di un sì grande giureconsulto. Questa lettera è stata per errore inserita ancora tra quelle di Pietro di Blois (ep. 176) morto molti anni prima; il che abbiamo altrove avvertito esser seguito di altre lettere ancora che a lui sono state falsamente attribuite. XVIII. Due Alberti troviamo professori di legge in Bologna presso al tempo medesimo, uno parmigiano di patria , soprannomato Galeotto, a cui il du Boulay, senza recarne alcun [p. 396 modifica]396 LIBRO fondamento, ha dato per patria Parigi (Hist. Univ. Paris, t. 3, p. 6^3) 3 l’altro pavese. Amendue tennero ancora per qualche tempo la loro scuola in Modena , ove era ancora nel 1231 Uberto di Buonaccorso dottor di leggi, di cui rammenta ilFabricio qualche opera legale (Bibl. med. et inf. latin, t. 3, p. 285). L)i ciò si veggan le pruove presso il P. Sarti, che coll’usata sua diligenza ha sviluppato ciò che di essi ci han detto gli antichi, e ciò che ne hanno inteso male e scritto peggio i moderni (p. 117). Veggasi ancora presso lo stesso autore l’elogio di Jacopo d’Ardizzone da Broilo (p. 131) veronese , scolaro di Azzo, autore di una Somma de’ Feudi, che si ha in molto pregio, e intorno a cui corregge questo esatto scrittore alcuni errori del march. Maffei e del co. Mazzucchelli. Io passo a un altro de’ più famosi giureconsulti di questa età , cioè a Roffredo di Benevento, da alcuni confuso con Odoffredo. Roffredo, venuto da Benevento a Bologna, vi ebbe a maestri alcuni de’ più celebri professori che ivi erano al fine del secolo XII e al principio del seguente, e fra gli altri Ruggero e Azzo. Quindi prese egli stesso a interpretare le leggi, e scrisse, mentre era in Bologna, più opere di tale argomento, come provasi dal P. Sarti (p. 119). Ma Roffredo non vi si tenne gran tempo, e l’anno 1251 passò ad aprire scuola in Arezzo; il che come e per qual ragione avvenisse, si è da noi esaminato altrove (l. 1, c. 3). Anche in Arezzo però non fece egli lungo soggiorno 3 e l’essere a’ fianchi di Federigo II gli parve cosa più onorevole che il seder su una [p. 397 modifica]SECONDO J97 cattedra. L’anno 1220 egli era coll’imperadore, quando fu coronato in Roma, come egli stesso ci attesta in una sua opera (V. Sarti, p. 121), e per più anni ancora il seguì, e fu da lui adoperato in più occasioni; e singolarmente l’anno 1227, essendo egli stato scomunicato dal pontefice Gregorio IX, inviò a Roma Roffredo, e da lui fè pubblicare in Campidoglio una sua apologia. Osserva in fatti il P. Sarti che Roffredo in varie sue opere ha sparse più cose ingiuriose a’ romani pontefici, perchè furono da lui scritte, mentre era al seguito di Federigo. Dopo alcuni anni, forse non soffrendo gli eccessi a cui questo imperadore si lasciava condurre, lo abbandonò, e diessi a seguire Gregorio, da cui fu fatto cherico della Camera apostolica. Federigo, poichè l’anno 1241 ebbe espugnata la città di Benevento patria di Roffredo, lusingossi di riaverlo al suo servigio, e una lettera perciò gli scrisse egli stesso, e un’altra Pier delle Vigne (ap. Martene Collect. ampliss. La, p. 1157). Ma sembra che Roffredo non più cambiasse partito, e che dopo l’andata d’Innocenzo IV in Francia l’anno 1244 si ritirasse a Benevento, ed ivi non molto dopo morisse. Il P. Sarti ne reca 1" iscrizion sepolcrale, e parla diligentemente dell’opere da lui composte (p. 125), fra le quali le più celebri sono le due da lui scritte dell’Ordine de’ Giudicii nel Foro civile e nel Foro ecclesiastico, delle quali abbiamo più edizioni. XIX. Parlando delle scuole di Arezzo, abbiam veduto che l’anno 1255 ne fu eletto ar| rettore Martino da Fano, che ivi era professore [p. 398 modifica]3y8 Liuno di legge. Di lui e della nobil famiglia da cui I discendeva, e della casa ove abitava in Fano, I parla F. Salimbene da noi altrevolte citato, il 1 qual dice che una volta ebbe in essa 1’allog- I gio (ih. pars 2, p. 209). Egli era stato sco- 1 lare di Àzzo, come pruova il P. Sarti (pars i, j p. 132) che gli ha dato luogo nella sua Storia, I benché non trovisi indieio ch’ei facesse in Bo- 1 logna lungo soggiorno prima di essere religioso, ■ 0 che vi avesse pubblica scuola. Ei fu ancora I condotto da’ Modenesi a professore di legge I in questa città, come narra lo stesso F. Salita- I bene, il che par che avvenisse verso l’anno 1258, I perciocché egli soggiugne che circa due anni I dopo ei fu chiamato da’ Genovesi a lor pode- I stà. Or nelle antiche Cronache genovesi ciò nar- I rasi appunto (Script. rer. ital. vol. 6, p. 5ay) ] all’anno 1260. Il P. Sarti non paria che di que- 1 sta prima pretura da lui sostenuta in Genova; 1 ma nelle stesse Cronache si aggiugne (ib.p. 53o) 1 che l’anno 1262 nel mese di maggio ei fu di j nuovo non già con segreti suffragi, ma a co- ] mun voce eletto di nuovo podestà; il che ci 1 mostra quale stima fosse di lui rimasta. Poi- j che ebbe deposto questa annual carica , abban- 1 donato il mondo, entrò nell’Ordine de’ Predicatori, e soggiornò lungamente in Bologna, ove era ancor vivo l’anno 1272. Molte opere egli scrisse di argomento legale, che dal P. Sarti si annoverano, niuna delle quali però, benchè dagli antichi giureconsulti fossero avute in gran pregio, è stata, ch’io sappia, data alle stampe. Questo illustre Domenicano appena è stato conosciuto dal PP. Quetif ed Echard, che poco [p. 399 modifica]SECONDO 399 c con poca esattezza ne hanno ragionato (Script. Ord Praed. t. 1, p. 728), cambiando anche il nome di Martino in quel di Giovanni, nel che però essi non hanno fatto che adottare gli errori di altri scrittori. XX. Sembra che quanto maggior fama si ottiene da qualche illustre scrittore, altrettanto più se ne ingombri di favole e di errori la storia. Così è avvenuto al celebre Accorso soprannomato il Chiosatore. Il P. Sarti, di cui io non ho trovato scrittore più scrupolosamente esatto e minuto, ha dovuto trattenersi non poco a rilevare e a correggere, sempre però colla consueta sua modestia, gli sbagli che nello scriver di lui han commesso qual più qual meno gli altri scrittori (pars 1 , p. 136, ec.). Così egli mi ha agevolata la via; e io posso sicuramente accennare in compendio ciò eli’ egli ha ampiamente ed evidentemente provato. Accorso dunque, che questo solo nome, e non altro, egli ebbe, nacque o in Firenze, o più probabilmente nella villa di Bagnolo, cinque miglia lungi dalla città verso mezzogiorno, circa l’anno 1182; il che raccogliesi dall’esser egli certamente vissuto fino al 1260, e dall’esser morto, secondo la comune opinione, in età di 78 anni. Ancor giovinetto attese con felice successo agli studi; e ciò che narrano alcuni, ch’egli solo in età avanzata si volgesse alla giurisprudenza , è pura favola confutata dalla contraria testimonianza dei due più antichi scrittori , Filippo Villani e Domenico Aretino. Egli ebbe a suo maestro nella giurisprudenza in Bologna Azzo, e forse ancora Roffredo da [p. 400 modifica]400 LIBRO Benevento; e prese poscia a tenerne scuola egli stesso, nel qual impiego egli era certamente fin dall’anno 1220. Alla fatica scolastica ei congiunse quella maggiore assai d’interpretare scrivendo le leggi; e intraprese un’opera la cui sola idea avrebbe atterrito il più coraggioso giureconsulto. Molti di que’ che l’aveano preceduto, avean chiosate le leggi, e il Diplovatacio li calcola almeno fino a trenta. Ma queste chiose erano non solo l’una dall’altra diverse, ma spesso ancora contrarie. Qual noja e qual imbarazzo agli studiosi della giurisprudenza doveva ciò arrecare? Svolgere tanti volumi, esaminare tante opinioni, veder discordi tra loro i maestri, nè sapere a qual partito appigliarsi. Accorso con un’incredibil fatica raccolte tutte le chiose che finallora eransi pubblicate su tutti i Libri del Corpo delle Leggi, e confrontatele insieme con diligenza, ne scelse quelle che gli parver migliori, e aggiungendo le sue, ove credette opportuno, formò una sola chiosa uniforme, coerente e seguita, e rendette con ciò inutili le altre tutte. Egli ebbe però l’avvertenza, come il P. Sarti afferma provarsi da’ codici più antichi, di aggiugnere il suo nome a quelle ch’ei riconosceva per sue, e di lasciar senza nome le altrui, o d’indicarne gli autori; il che poscia da’ susseguenti copisti essendosi trascurato, ne è venuta la confusione e l’oscurità che talvolta incontrasi nella chiosa. Benvenuto da Imola ci racconta (Exposit. in Dante t. 1 Antiq. Ital. p. 1063) che Accorso avendo avuto sentore che Odofredo al tempo medesimo erasi accinto a un somigliante lavoro, si chiuse in casa, e [p. 401 modifica]SECONDO ^OI fingendosi infermo, e con tal pretesto cessando dalla sua scuola, si affrettò a compirlo. Egli ebbe il piacere di veder la sua Chiosa ricevuta con sommo applauso; per essa aver fine le non poche contese che finallora eran durate sull’interpretazion delle leggi; ed essa venir da tutti considerata come la seconda regola del civile diritto, sicchè, ove non parlavano o dove erano oscure le leggi, dovesse udirsi e seguirsi la chiosa. Nè è però che fosse di ciò pubblicato alcun decreto imperiale; ma il vantaggio che si trovava nell’usar la Chiosa d’Accorso, e l’autorità e la stima di cui in tutta Europa godeva l’università di Bologna, le conciliò quest’onore, in cui essa si mantenne costantemente quasi per lo spazio di trecent’anni; quando l’immortale Alciati, e i grandi uomini che gli son poscia venuti dietro, avendo gittata una troppo più chiara luce su tutta la giurisprudenza, la Chiosa cadde in dimenticanza, e non fu considerata che come un avanzo dell’antica barbarie. Ciò non ostante anche a’ nostri tempi non manca chi ne parla con molta lode, e oltre a molti scrittori citati dal P. Sarti (p. 140, ec.), anche Cristiano Tommasio afferma ch’ella dee aversi in grandissimo pregio, e allega altri autori c!ie ne favellano con sommo onore (Bibl selectiss. Juris, p. 78). Pari alla stima di cui egli godeva, furono le ricchezze da lui raccolte, e ne erano contrassegno., fin da quando egli vivea, e l’ampio palazzo in cui abitava, posto ove ora è quello del Cardinal legato, e una deliziosa villa che avea nella campagna. Intorno all’anno in cui Accorso finì di vivere, discordano TmA.110san, Voi. IV. 26 [p. 402 modifica].j02 I2BRO stranamente gli autori, perciocchè alcuni l’anticipano fino al 1229, altri lo differiscono fino al 1279. Ma il P. Sarti con autentici documenti mostra ch’ei viveva ancora l’an 1259, c che era già morto l’an 1263. Dal che egli conchiude a ragione doversi credere all’antica Cronaca bolognese, che afferma lui esser morto l’anno 1260 (Script. rer. ital. vol. 18, p. 271). Vedesi ancora, benchè in parte coperto, presso la chiesa di S. Francesco in Bologna il sepolcro di questo sì famoso giureconsulto, di cui basti l’aver detto in breve fin qui, rimettendo chi più oltre voglia saperne, al più volte citato esattissimo storico dell*università di Bologna. XXI. Non dividiamo dal padre i tre figliuoli ch’egli ebbe seguaci de’ suoi esempii nell’illustrare le leggi, e a’ quali il nome paterno passò in cognome, Francesco, Cervotto e Guglielmo, i quali due ultimi gli nacquero da una seconda moglie. Francesco fu il più illustre tra tutti, e mostrossi grato alla cura che suo padre avea avuta nell’istruirlo, col difenderne il nome e l’onore contro di altri giureconsulti che cercavano di oscurarlo; e poichè fu morto Odofredo, di cui frappoco ragioneremo, niuno potè più contrastargli il primato negli studi legali. Ma Bologna non potè lungo tempo godere di un professore sì valoroso. Edoardo I re d1 Inghilterra, venuto l’anno 1273 in Italia nel ritornar che facea dalla guerra sacra, avendo veduto Francesco Accorso, e conosciutone il sapere ugualmente che il senno, invogliossi di averlo a suo consigliero, e l’ottenne. Francesco partì da Bologna qualche tempo dappoichè erane partito [p. 403 modifica]SECONDO 4°3 il re; nè sembra verisimile, come osserva il P. Sarti (p. 178), ciò che il Panciroli ed altri prima di lui raccontano dell’inganno da Francesco ordito per deludere i Bolognesi che il voleano ritenere. Edoardo lo ebbe sempre carissimo , e due volte inviollo suo procuratore in Francia a una solenne assemblea adunata dal re Filippo, e un’altra volta al pontefice Niccolò III per la elezione del vescovo di Cantorberì. Poichè Francesco ebbe passati otto anni nella corte di Edoardo, ottenne di tornarsene in patria, ov’egli si restituì al fine dell’anno 1281, o al principio dei seguente, onorato dal re di uno splendido donativo di 400 marche sterline, e di una annuale pensione di altre 40 marche. E benchè per le fazioni onde era allora divisa Bologna, gli Accorsi fossero stati esiliati, Francesco nondimeno fu ricevuto nella sua patria, e solo si volle ch’ei dichiarasse di rinunciare alla parte de’ Lambertacci. Così egli visse onorevolmente in Bologna fino all’anno 1293 in cui morì, come il P. Sarti ha provato con sicuri monumenti (p. 181), e fu sepolto nel sepolcro medesimo di suo padre. Dante lo ha dannato all’inferno per troppo sozzo delitto Inf, c. 15), di cui però giova il credere che contra ragione ei fosse dall’altrui invidia gravato. Ma almeno convien confessare ch’ei non fu troppo nimico dell’interesse, come raccogliesi da un Breve di Niccolò IV, a cui egli, tocco dalla coscienza, ricorse un anno innanzi alla morte. Esso è stato pubblicato dal P. Sarti (pars 2, p. 96), presso cui ancora si può vedere ciò che appartiene all’opere da lui scritte pars 1, p. 184)- Cervotto [p. 404 modifica]4<>4 LIBRO ¡5 Guglielmo non furono ugualmente famosi. Cervotto, cui il padre per affetto soverchio affrettò di sollevar all’onor della laurea in età di 17 anni, non mostrossene molto degno. Fu nondimeno condotto a leggere giurisprudenza in Padova per l’anno 1273 (ib. p. 185), nel qual frattempo, accese sempre più le civili discordie in Bologna, Cervotto ancor fu proscritto, ne furono confiscati i beni, e atterrata la casa; nè si trova indicio eli1 egli facesse mai ritorno a Bologna, nè si sa ov’egli si ritirasse. Solo da una carta dell’anno 1287 ricaviamo che in quest’anno egli era già morto. Guglielmo involto nella stessa disgrazia con suo fratello, fu costretto a stare più anni lontan dalla patria; nel qual tempo, abbracciato lo stato ecclesiastico, ebbe poscia più beneficii in diverse chiese, perciocchè il troviamo e canonico di Bruges, e sacrista di Cahors, e arcidiacono di Gualdafaiara nella chiesa di Toledo (ib. p. 189). L’anno 1297 a richiesta degli scolari italiani non meno che oltramontani fu richiamato in patria, e nominato professore del Digesto nuovo. Ma poco tempo vi si trattenne; e l’anno seguente il veggiamo al servigio della corte romana, ove stette adoperato in onorevoli impieghi fino alla morte, la qual par che avvenisse non molto dopo l’anno 1312 (ib. p. 190). Degli altri discendenti d’Accorso veggasi il P. Sarti che ne ha anche formatolo stemma (p. 192), e molti altri ne ha rammentati, dei quali io lascio di ragionare per amore di brevità. XXII. Or ritornando a’ tempi del grande Accorso, dai quali ci siamo alquanto allontanati. [p. 405 modifica]SECONDO 4°5 per parlare de’ figli che egli ebbe, era insieme con lui professor di leggi in Bologna Odofredo, ed era il solo che con lui ardisse di gareggiare. Era egli nato in Bologna al principio dei secolo XIII dalla famiglia Denara ch’era fin dal secolo precedente in quella città, come ha mostrato il P. Sarti (p. 147)? benché poscia la celebrità del nome di Odofredo le abbia fatto cambiare in questo l’antico cognome. Que’ che hanno scritto che Odofredo era di Benevento, par che siano stati condotti in questo da un altro errore in cui molti sono caduti, cioè al confondere in un sol personaggio Roffredo da Benevento e il nostro Odofredo (a). Ei fu scolaro di Jacopo di Balduino e di Ugolino del Prete, e prese poscia egli stesso a interpretare le leggi con tanta fama, che fu chiamato a giudice non sol nella Marca d’Ancona e nella Toscana, ma in Francia ancora, ove egli stesso dice di aver renduta giustizia (ib. p. 149)- Tornato quindi in patria, vi ripigliò gli esercizii scolastici con grande applauso e con non ordinario profitto; e basti il riflettere a ciò che altrove abbiamo accennato, cioè che quando egli morì, era ancor creditore da molti de’ suoi scolari di una somma di 400 lire. Maggior nome ancora egli ottenne coi libri scritti a spiegazione del Codice e dei Digesti, e con altri trattati legali. (a) 11 sig. D. Lorenzo Giustiniani ha voluto rinnovare l’antica opinione che Odofredo fosse di Benevento {Scrirt. legali napol. t. 1, p. ro8, ec.). Ma pare eh’ci non avrebbe dovuto dissimulare le ragioni. e , ciò eh’ è più, gli autentici documenti recali dal P. Sarti per provarlo bolognese. [p. 406 modifica]4o6 UBRO Il Panciroli ne loda assai (l. 2, c. 35) la chiarezza nell’espressione , e il giusto discernimento nel conciliare insieme le leggi in apparenza contrarie; e crede ch’essi sian fra tutti i più utili dei principianti. Gli eruditi ancora e gli amator della storia debbon non poco a Odofredo, perchè egli amando non sol di istruire, ma di trattenere ancora piacevolmente i suoi discepoli, va spargendo i suoi libri di parecchi racconti che giovan moltissimo alla storia de’ tempi, e che da lui si espongono con una natìa schiettezza che piace al sommo. Ne abbiam qua e là recati più esempii, e il P. Sarti ne ha a questo luogo raccolti parecchi (p. 150, ec.), da’ quali veggiamo che Odofredo prendeva spesso occasione dalle sue lezioni medesime di spiegare i sinceri suoi sentimenti, e anche di mettere in burla or gli uni, or gli altri. E io non so qual mal animo egli avesse contro de’ Ferraresi, onde deridere ne’ suoi libri quell’alterigia che a lui pareva, certo io credo senza alcuna ragione, che essi affettassero: Or Signori, dic’egli colla sua usata miniera di favellare, hic colligimus argumentum, quod aliquis, quando venit coram magistratu, debet ei revereri; quod est contra Ferrarienses, qui si essent coram Deo, non extraherent sibi capellum vel birretum de capite, nec flexis genibus postularent. Il P. Sarti rammenta le onorevoli commissioni ch’egli ebbe dalla comunità di Bologna, che di questo giureconsulto facea grandissimo conto. Egli morì l’anno 1265, e se ne vede ancora il sepolcro presso quello di Accorso. Più altre cose intorno a Odofredo e alle opere da lui [p. 407 modifica]SECONDO 4°7 composte si posson vedere presso il P. Sarti, il quale ancora discuopre i non pochi errori in cui molti di lui parlando sono caduti. Egli ebbe un figlio chiamato Alberto Odofredo, che fu similmente professore di legge in Bologna, e sostenne degnamente la fama dell’onore paterno. Ma le civili sanguinose discordie che l’anno 1274 si accesero in Bologna, e il sapere e il senno di cui Alberto era fornito, furon cagione ch’egli, più che a tenere scuola, dovesse rivolger l’animo a’ pubblici affari, e fosse adoperato ne’ magistrati, e incaricato di diverse ambasciate; di che veggasi il P. Sarti (p. 170, ec.). Egli morì l’anno i3oo. XXIII. Tra i professori dell’università di Bologna si annovera ancor con ragione dal P. Sarti (ib. p. 166) Guido da Suzzara, così detto da una terra di questo nome, che ora appartiene al territorio di Mantova, ma prima apparteneva a quello di Reggio (a). Egli però non era uomo che amasse stabil dimora in alcun luogo, ma spesso cambiava abitazione; e sembra che le città d’Italia gareggiassero tra loro per averlo a professore nelle loro scuole. La prima a cui toccasse la sorte di averlo, fu Modena. Il Muratori ha dato alla luce il contratto con cui vi fu destinato professore di legge (Antiq. Ital. t. 3, p. yo5), che è de’ 6 di aprile del 1260. In esso Guido si obbliga a stare per tutta la sua vita colla sua famiglia in Modena, cominciando dalla festa di S. Michele di quell’anno medesimo, a tenervi una scuola di legge, (a) Di »’.nula dd Suzzar» alibi a in parlato più * lungo nella Biblioteca modenese (i. 5, p. i55). [p. 408 modifica]4o8 LIBRO senza però ricevere dagli scolari della città e del contado di Modena stipendio alcuno; a dare l’opportuno consiglio al podestà e agli anziani della città, quando ne fosse richiesto, e a procurare con ogni mezzo che si conservasse in Modena lo studio che allor vi fioriva; e all’incontro la comunità di Modena promette di pagare a Guido 2250 lire modenesi, 1000 delle quali fossero pienamente in arbitrio dello stesso Guido, le altre si dovesser da lui impiegare in comperar beni nella città, o nel distretto di Modena. Ma questo contratto, e tutti i giuramenti con cui fu confermato, non bastarono a trattener Guido; e l’anno 1264 troviamo ch’egli era in Padova (Facciol. Fasti Gymn. patav. pars 1, p. 9), e l’anno 1266 in Bologna (Sarti, l. cit.); ove ancora però ei si trattenne assai poco; perciocchè l’anno 1268 egli era al seguito di Carlo I re di Napoli; e Riccobaldo ferrarese racconta Script. Rer. ital. vol. 9, p. i "iq) che quando il misero Corradino cadde nelle mani di Carlo, questi volle da’ giureconsulti sapere s’ei meritasse pena di morte; e Guido apertamente rispose che no. Due anni dopo ei fu da’ Reggiani invitato a tenere scuola nella loro città; e il conte Niccola Taccoli ha pubblicato il contratto (Mem. di Reggio, t. 1, p. 373) che perciò fu stipulato a’ 22 di maggio l’anno 1270, in cui Guido si obbliga, come avea fatto co’ Modenesi, ad abitare per sempre in Reggio, e a non andarsene mai altrove; e la comunità di Reggio gli assegna perciò la proprietà di alcuni fondi; e vi si aggiugne, che quando Guido volesse andare o a Mantova, o alla corte del re [p. 409 modifica]«IECOSDO 4°y Carlo, purché ciò non sia a line di tenere scuola, il possa impunemente; ma che in tal caso egli renda alla comunità que’ beni che a venne ricevuti. Di questo contratto si fa menzione ancora nell’antica Cronaca di Reggio pubblicata dal Muratori (Script. rer. ital, vol. 8, p. i 100). Guido non facea minor conto de’" Reggiani che de’ Modenesi; e fu perciò ugualmente fedele agli uni e agli altri. L’anno 1276 e l’anno 1278 il troviam con un messo dell’imperai!or Rodolfo in Ferrara e in Faenza (Sarti, p. 167). Ma forse questa non fu che una passeggera lontananza da Reggio. In fatti dovrem fra poco recare un altro monumento che nello stesso anno 1276 cel mostra in Reggio. Non così l’anno 1279 in cui egli si obbligò con nuovo contratto, dato alla luce dal P. Sarti (pars 2, p. 83), a venire a Bologna, e interpretarvi tutto il Digesto nuovo, e ciò pel prezzo di 300 lire bolognesi, che gli scolari di quella università gli promisero. Guido non si era obbligato a’ Bolognesi, se non d’interpretare tutto il nuovo Digesto; ma questa volta egli attenne più che non aveva promesso; perciocchè pare che non abbandonasse mai quella città, ove ei viveva ancora l’anno 1292 (Sarti, pars 1, p. 167); ma non sappiamo in qual anno ei morisse. Egli è autor di più opere che si annoverano dal P. Sarti, il quale osserva che quella de Jure emphyteutico, che sotto il nome di lui abbiamo alle stampe, è veramente opera di Martino da Fano. XXIV. Io ho passati sotto silenzio i nomi di moltissimi altri giureconsulti, di cui il P. Sarti, fa menzione, fioriti verso la metà del secolo xui, ’ [p. 410 modifica]4 1 O LIBRO e lascio ancor di parlare di non pochi altri che vissero alquanto più tardi, come di Buonaventura natìo di Savignano nel Modenese, e cavaliere dell’Ordine di que’ tempi istituito de’ Frati Godenti, di cui trovasi spesso memoria ne’ documenti bolognesi dall’anno 1231 fino al 1291 (ib.p. 194), ne’ quali pure trovasi mentovato Corrado di Savignano figliuol di Odorico, e modenese di patria; e di Rolandino Romanzo bolognese, che fu il primo a scrivere dell’Ordine de’ giudici nelle cause criminali, e che morì l’anno 1284 (p■ 198), e se ne vede ancora il sepolcro presso la chiesa di S. Francesco; e di Benincasa d’Arezzo, che dopo aver tenuta per più anni scuola di legge, in cui parea che si fosse prefisso di screditare Accorso, abbandonata la cattedra, si volse alla giudicatura , la qual per altro gli fu fatale, essendo egli stato ucciso in Siena, mentre rendea la ragione, da un cotal Ghino eli’ egli avea dannato a morte (p. 203), di che fa menzione anche Dante (Purg. c.6); e di Lamberti no de’ Ramponi ch’ebbe gran nome, e gran concorso di scolari anche stranieri, e che fu adoperato in affari di non leggier momento, e morì l’anno 1304 (p- 213); e di Martino Solimano uno de’ più celebri professori di quella età, di cui ben si vede qual conto facessero gli scolari, poichè ottennero con calde istanze che ei non fosse esiliato dalla città, come era avvenuto a tutti i seguaci dei partito de’ Lambertacci, e di cui hannosi alcune opere parte manoscritte, parte stampate (p. 224); e di Pace delle Paci ossia Pasio, che non solo acquistossi gran nome [p. 411 modifica]SECONDO 4 1 1 col suo sapere , ma giovò ancor molt o a Bologna sua patria nelle guerre e nelle discordie da cui verso la fine di questa secolo fu agitata (p. 227); e di moltissimi altri, di ciascheduno de’ quali ha diligentemente trattato lo stesso autore. Son presso a cento giureconsulti fioriti in Bologna nell’epoca da noi in questo libro compresa, che dal P. Sarti si annoverano, molti de’ quali non erano stati finora scoperti da alcuno, di altri non aveansi che incerte e confuse notizie, e di 11 ¡uno crasi scritto in modo che non si fosser commessi scrivendone più errori. Il P. Sarti con una incredibil fatica , nella quale però ei confessa di avere avuto a compagno il chiarissimo ed eruditissimo dottor Gaetano Monti, singolare ornamento di Bologna sua patria, dopo avere letti e attentamente esaminati e codici mss. e pubblici monumenti, e carte e diplomi d’ogni maniera, e le opere degli scrittori di questi tempi, è riuscito felicemente a sviluppare tanti intralciatissimi punti di storia letteraria, che io non so qual cosa si possa più oltre desiderareFonte/commento: Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/773. Era dunque inutile che io cercassi o di aggiugnere cose nuove, che non mi sarebbe stato possibile*, o di raccontar per disteso tutto ciò ch’egli ha scoperto e provato. Il saggio che ne ho dato finora, basta a mostrare e qual fosse in Bologna lo stato della giurisprudenza in questo secolo, e quanto noi siam debitori a questo grand’uomo che ha sì bene illustrata l’italiana letteratura. Lasciando dunque in disparte tutti gli altri, darò fine a ciò che spetta alla bolognese giurisprudenza , col ragionar brevemente del famoso Dino da Mugello. [p. 412 modifica]4 12 LIBRO* XXV. Era egli fiorentino di patria, ossia di quella parte del territorio di Firenze che si dice Mugello, ed era figliuolo di Jacopo de’ Rossoni , come da una carta del 1292 prova il P. Sarti (p. 233). Venuto ancor giovane a Bologna, vi era scolaro l’an 1278 (*), quando l’anno 1279 fu chiamato da’ Pistojesi a tenere scuola di leggi nella loro città per cinque anni coll’annuale stipendio di 200 lire pisane, come provasi dal contratto perciò fatto, dato alla luce dal medesimo P. Sarti (ib.). Passati que’ cinque anni, venne a tenere scuola in Bologna, ove trovasi eli’ egli era l’anno 1284, e fu egli il primo a cui si assegnasse dal pubblico un annuale stipendio, il che avvenne l’anno 1289. Lo stipendio fu solo di 100 lire bolognesi; ma ad esso sarannosi; aggiunte probabilmente le spontanee contribuzioni degli scolari. L’an<9 no 1296 dal re Carlo II fu istantaneamente invitato a passare alla università di Napoli, e gli fu offerto il ricco stipendio di 100 once d’oro. Ma questo non fu bastevole ad allontanar Dino da Bologna, ove da sicuri monumenti racco* gliesi eli’ egli era e al fine dello stesso anno, e ancor nel seguente (a). Egli fu adoperato dal (*) Il sig. Origlia, più volte da noi lodato, citando gli autentici Registri attenua (Storia dello Studio di Nap. I. t , p. 4i) che nel 1278 fu in Napoli professore di medicina Dino de iYluscllìs. Ma ei debb’esser diverso da Dino da Mugello , che non fu mai medico, c che nel 1278, come qui abbiamo provato, era studente in Bologna. (a) Vero è nondimeno che nel 1296 il giureconsulto Dino fu dal re Carlo II invitato a Napoli colf indicato stipendio , e il sig. Pietro Napoli Signorelli, che ne ha [p. 413 modifica]SECONDO 4I3 pontefice Bonifacio \ 11.1 nel raccogliere cd ordinare il sesto libro delle Decretali, eh’ci pubblicò fanno 1298, come nel seguente capo vedremo. A tal fine partì da Bologna Dino nelf ottobre dell’anno 1297, e recossi a Roma, ove egli stesso ci narra di aver tenuta scuola per qualche tempo. Ivi egli lusingato, come si crede, da qualche dolce speranza che il papa in ricompensa de’ servigi prestatigli in quel lavoro fosse per sollevarlo alla dignità di cardinale, arrolossi al clero; e trovasi in fatti che l’anno medesimo 1298 Bice di lui moglie consecrossi a Dio in Bologna nel monastero di S. Colombano, di che il P. Sarti ha pubblicato l’autentico monumento (pars 2, p. 109). Male speranze di Dino furon deluse , ed ei dovette far ritorno alla sua cattedra verso il settembre dell’anno stesso, nel qual tempo essendosi sparsa voce ch’egli fosse per andarsene altrove, i rettori dell’università ottennero dal magistrato che lo stipendio gli si raddoppiasse. Ma dopo l’anno 1298 non trovasi più di lui alcuna menzione. ed è probabil perciò che poco appresso ei morisse, benchè Giovanni Villani di ciò non prodotto ¡1 documento tratto da’ reali Registri (f’icendr della Coltura nelle Due Sicilie, t. 3, fi. 33), vorrebbe persuaderci eh" ei veramente vi venisse; ma poiché per una parte i pubblici documenti bolognesi ci mostrano Dino in Bologna anche sulla fine del lO-pO, e ne! tape, in cui poscia passò a Roma , e uè tornò a Bologna un anno appresso, e per l’altra parte i reali Registii di Napoli ci diron bensì clic il re vocavit Dominimi Dimmi de Alusrellix, ce , ma nonni dicono eh" ei vi andasse di l’atto, mi sembra di non dovere su questo punto cambiale opinione. [p. 414 modifica]XXVI. Due donne senza alcun fondamento annoverate tra i professori di Bologna. 4 1 4 LIBRO parli che all’anno 1303 (Cron. l. 8, c. 65). La maniera con cui Filippo Villani e Domenico Aretino, e molti altri lor copiatori ne raccontan la morte, cioè ch’egli intristito per le sue deluse speranze e caduto infermo, mentre tornava da Roma, presa una notte da ardentissima sete tuffasse il capo in un secchio d’acqua, e vi rimanesse affogato, si ripone a buon diritto dal P. Sarti tra que’ popolari racconti che non hanno alcun fondamento, come pure ciò che altri narrano, ch’ei morisse di veleno datogli in Roma. Non vi ha alcuno tra gli antichi giureconsulti che non parli con somma lode del sapere di Dino; e grande argomento della stima in cui egli era, è ciò che afferma il Diplovatacio citato dal P. Sarti, cioè che i Veronesi, lui ancor vivente, fecero legge che nel render ragione si dovesse prima aver riguardo alle leggi e agli statuti municipali; quindi, ove questi tacessero, alle leggi romane, o alle chiose di Accorso; e ove le chiose sembrassero tra lor contrarie, si seguisse quella cui Dino approvasse. Altre somiglianti onorevoli testimonianze del sapere di Dino leggansi presso il P. Sarti, il quale ancora annovera le non poche opere da lui scritte, parecchie delle quali abbiamo alle stampe, di che veggasi ancora il co. Mazzucchelli nelle sue note al Villani. XXVI. È sembrato ad alcuni che alla gloria de’ Bolognesi non fosse ancor provveduto abbastanza, se oltre tanti dottissimi professori che o nacquero, o visser tra loro, non si potessero ancor rammentare alcune donne che dotate di animo e di senno virile, e formatesi [p. 415 modifica]SECONDO 415 felicemente a’ più serii studi, salisser la cattedra, e gareggiando co’ più famosi giureconsulti tenessero scuola. Due se ne nominano a questa età. La prima è Accorsa figliuola del grande Accorso, di cui il Panciroli (De Claris Leg. Interpr. p. 121), seguito da più autori, dice che credesi che insegnasse pubblicamente la giurisprudenza in Bologna. Anzi alcuni più liberalmente fanno Accorso padre di due ugualmente famose maestre di legge. Ma il P. Sarti, a cui niuno potrà rinfacciare di non avere con ogni diligenza cercato tutto ciò che contribuir potesse alle glorie di questa università, confessa (pars I , p. 144) che di tal cosa ei non ha trovato indicio alcuno in tanti monumenti ch’egli ha esaminati; e che il più antico che abbia dato ad Accorso una figliuola sì dotta, è Alberico da Rosciate scrittor del secolo xiv, il quale ancor non ne parla se non come di cosa da lui udita: Audivi quod Accursius unam filiam habuit, quae actu legebat Bononiae (in l. qui filium, ff. ubi pupill., ec.), e che perciò non può un tal fatto considerarsi che come assai incerto, e dubbioso. L’altra è Betisia Gozzadini, di cui in un Calendario, che dicesi antichissimo, della università di Bologna così ci narra: 23 (octobr.) Hac die: A. autem S. 1236. Celeberrima D. Bithisia Filia D. Amatoris de Gozzadinis jam Doctor in Jure creata die 3 Junii hujus ipsius anni, cepit publice legere quam plur. Scholar, cum magna admiratione et doctrina, ut videretur portentum ad incomparabilem honorificentiam Archigymnasii (V. Sigon. Hist. Bonon. l. 5, p. 252, Mediol. ed. nota 91). Di questa [p. 416 modifica]416 LIBRO donna sì valorosa grandi cose racconta lo storico Ghirardacci (Stor. di Bol. l. 6, p. 158, ec.). Il P. Sarti le accenna egli pure (pars I, p. 154), ma con un semplice ferunt. E certo se non v’ha a provarla altra autorità che quella del Calendario sopraccennato, come altra in fatti non havvenne, basti il riflettere che esso è sembrato sì poco antico, e perciò sì poco opportuno a far pruova al P. Sarti medesimo, che non ne ha fatto alcun uso;, e che i Bolognesi sanno troppo bene ch’esso è una solenne impostura. L’università di Bologna troppo abbonda di vere e indubitate lodi, perchè debba curarsi delle false e dubbiose.

XXVII. Benché il fiore dell’italiana giurisprudenza si riunisse comunemente in Bologna, altre città ancor nondimeno non furon prive di valorosi giureconsulti. Già abbiam veduto che molti tra que’ medesimi che tennero scuola in Bologna, passarono pel medesimo fine ad altre città. Ma altri ancora vi furono che benchè non appartenessero a quella università, ottennero nondimeno negli studi legali gran fama. Tra quelli che illustrarono col loro nome l’università di Padova, il più antico che dal Facciolati si annoveri, è Antonio Lio, di cui dice (Fasti Gymn. patav. pars I, p. 8) che innanzi alla fondazione della stessa università tenne ivi scuola di leggi. In fatti il Panciroli rapporta un’iscrizione (De cl. Log. Interpr. l. 2, c. 27) a lui posta nella chiesa di S. Stefano in Padova, che ha così: Jurisprudentium vertici Antonio Lyo Patavinorum virorum opt. obiit anno Sal. MCCVIII. Questa iscrizione, se è veramente [p. 417 modifica]SECONDO ^ 1 7 antica, prova che Antonio fiorì al principio del XIII secolo, e ch’ei fu un valente giureconsulto; ma non prova ch’egli fosse pubblico professore. E veramente un’altra iscrizione, che dal Papadopoli si arreca (Hist. Gymn. patav. t. 1, l. 3, sect. 1, c. 1), ci mostra che Bartolommeo Lio insieme col suo fratello Taddeo, figliuoli come si crede di Antonio, furono i primi che ivi insegnassero la giurisprudenza l’an 1264, e ch’essi di origine erano beneventani: Bartholomaeus Lyus de Benevento Patavinus primus hic jura docuit de mane, Fratre Taddeo socio de sero anno mcclxiv. Vivat. Solo dunque verso quest’anno, se questa iscrizione è legittima od antica, s’introdusse nello Studio di Padova la profession delle leggi civili, e i primi furono ad insegnarle i due suddetti fratelli, de’ quali pero non ci è rimasta altra notizia, nè sappiamo se essi scrivessero cosa alcuna ad illustrar questa scienza. Il Facciolati aggiugne ad essi Anselmo e Simone degli Engelfredi (l. cit. p. 9), e dice che il secondo di questi avea già avuta la laurea, e tenuta scuola in Bologna. Ma di ciò mi fa assai dubitare il silenzio del P. Sarti che di Simone non fa alcun cenno nella sua Storia. Il Facciolati medesimo nomina più altri professori di legge in quella università, ma niun di essi è celebre o per grandi elogi che ne abbian fatto gli antichi, o per opere che ci abbian lasciate, trattine due soli, cioè Guido da Suzzara, di cui già abbiam Favellato., e Accorso da Reggio. Sembra che il Facciolati abbia per errore confuso questo Accorso reggiano col grande Accorso Tira boschi , Voi. IP”. 27 [p. 418 modifica]XXV111. Jacopo tl‘Are tu «• fìi’ rtrnia da Monlaguonc. 418 LIBRO fiorentino, di cui abbiam già parlato, perciocchè il chiama Magnus Jureconcosultus Accursius Regiensis (p. 10), il qual aggiunto di grande non vedesi dato ad altri che al celebre Accorso fiorentino. Accorso reggiano era figliuolo di Alberto Accorso. Così egli si nomina in una carta dell’an 1279 pubblicata dal co. Niccola Taccoli (Mem. stor, di Reggio, par. 2), in cui egli vende una sua casa alla comunità di lìeggio: D. Acursius filius quondam D. Alberti Acursii Doctor Legum. Il Panciroli ci assicura (De cl. Leg. Interpr. l. 2, c. 42) di aver veduto nel pubblico archivio di Reggio una carta del 1273, in cui si stabilisce che per la scuola ch’egli ivi teneva, se gli contino 200 lire reggiane (a). Quindi è probabile che Accorso dalla scuola della sua patria passasse poscia a quella di Padova; il che confermasi dal Panciroli colla testimonianza ancora di Alberto Gandino. Ma sin quando vivesse, e se lasciasse dopo di sè alcuna sua opera, niuno ce ne ha lasciato contezza. XXVIII. Un altro professore di legge si rammenta dal Facciolati (p. 32) tra quelli che tennero scuola in Padova nel secolo XIV, il quale però io penso che a miglior ragione si debba riferire al XIII. Egli è Jacopo d’Arena, il (quale da tutti gli scrittori dicesi parmigiano di patria; e solo il Diplovatacio citato dal P. Sarti (pars 1, p. 240) ci muove dubbio s’ei fosse (a) Almeno tiu dall’anno iafi5 cominciò il reggiano Accorso a tenere scuola di leggi nfella sua patria, come si è osservato orila Biblioteca modenese, o\e di lui si son date più stese e più esatte notizie (i. 1, p. 79). [p. 419 modifica]SECONDO 4l0 parmigiano, o pavese. Da un passo di Giovanni d’Andrea, allegato dal medesimo P. Sarti, si trae ch’egli era in Padova insieme con Guido da Suzzara. Or se Guido era in questa città , come si è provato, fin dall’anno 1264, e se al {)iù tardi, come parimenti è certo, ne partì l’an 1266, e non più vi fece ritorno, convien dunque dire che Jacopo ancora fin da quell’anno fosse in Padova. Egli era in Padova ancora l’anno 1 287, come raccogliesi da una disputa da lui scritta, e citata dal Diplovatacio. Il P. Sarti ha inoltre provato, colle testimonianze di antichi scrittori, eli’ ei fu professore in Bologna ancora e in Siena e in Reggio. Ma ciò che lo Spiegel citato dal Panciroli afferma (De cl. Leg. Interpr. l. 2, c. 50), ch’ei fosse anche in Tolosa, non v’ha, ch’io sappia, monumento che cel persuada. Credesi però, che la maggior parte di sua vita ei passasse in Padova. In qual anno ei morisse, niuno ce ne ha lasciata memoria; e forse ancora egli toccò alcun poco il secolo susseguente; ma non è in alcun modo credibile ciò che l’Alidosi afferma (Dottori bologn. App. p. 244)5 c^ie faiino i320 fosse ricevuto nel collegio de’ giudici di Bologna. Delle opere da lui scritte, che furono singolarmente brevi annotazioni sopra le Leggi, e alcuni trattati di cui ve n’ha taluno alle stampe, parlano con molta lode Bartolommeo e Alberico da Rosciate, ed altri antichi scrittori citati dal P. Sarti e dal co. Mazzucchelli Scritt. ital. t. 1, par. 2, p. 990), il quale non avendo potuto vedere i monumenti addotti dal P. Sarti, ha ripetuto ciò che poco esattamente ne han detto gli altri [p. 420 modifica]XXIX. Froffistri «Iella «lessa scicn/.i in Napoli, ^30 ’ LIBRO scrittori più antichi. Aggiungasi qui per ultimo Geremia da Montagnone, il quale benchè non sappiasi che tenesse scuola di giurisprudenzaj vedendosi però distinto col titol di giudice, si dee creder che in questa scienza fosse ben istruito. Di lui però non abbiamo che un’opera appartenente a filosofia morale, e intitolata in alcuni codici Compcnttium Moralittm Notabili firn, in altri Epitome Sapientiae, che è stata stampata in Venezia l’anno 1505. Ei morì l’anno 1300, e ancor se ne vede il sepolcro in Padova nel cimiterio del magnifico tempio di S. Antonio. Di lui veggansi, oltre più altri, il Papadopoli (Hist. Gymn. patav. t. 2. p. 6) e il Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin, t. 3,p. 245), il quale però altrove (ib. t. 5, p. 60) ha confuso questo scrittore col poeta Montenaro da Padova, di cui a suo luogo ragioneremo. NX1X. L’università di Napoli ancora ebbe a que’ tempi non pochi dotti giureconsulti. Tali furono Andrea da Barletta, che dal Giannone (Stor, di Nap. l. 16, c. 4) si dice Andrea Bo1 ielle», 0 di cui alcuni antichi giureconsulti citati da Marco Mantova (Epit Viror. illustr. edit. cum Pancir. p. 443) fan grandi elogi, e narrano che fu avvocato fiscale a’ tempi di Federigo II. Ma il P. Sarti, il quale crede con probabile congettura ch’egli fosse qualche tempo ancora in Bologna (pars 1, p. 193). pruova eh1 ei visse a’ tempi de’ figliuoli del grande Accorso , e perciò dopo il regno di Federigo. Abbiamo ancora alle stampe i Comenti sulle leggi longobardiche da lui scritti. In Napoli furono parimente e Pietro Ibernese e Roberto di [p. 421 modifica]SECONDO 4 21 Varano, che abbiam nominati parlando della fondazione di quelle pubbliche scuole, e a’ quali il Giannone, non so su qual fondamento, aggiugne Bartolommeo Pignatello; e poco dopo rammenta ancora, senza arrecarne le prove, Andrea da Capova, di cui dice che fu figliuolo Bartolommeo professor di legge in quell’università , e poscia protonotario del re Carlo II. Di Bartolommeo da Capova parla di fatti il Panciroli (l. 2, c. 48) , e accenna alcuni antichi giureconsulti che ne fanno menzione, e dice che morì l’anno 1300, nel che però debb’essere corso errore, perciocchè l’iscrizione sepolcrale eli’ egli stesso ne reca, segna l’anno 1316. Annis sub mille tercentis bis et octo, Quem capiat Deus, obiit bene Bartbolomar.us (a). (a) Il sig. D. Pietro Napoli Signorelli, citando alcuni Capitoli del Regno dal 1318 fino al 1326 , autenticati da Bartolomeo da Capova, ne inferisce che almeno fino a quell’anno ei visse (Vicende della Coltura nelle Due. Sicilie , t. 3, p. 23) , e ammette perciò la spiegazione della riportata iscrizione data da Francesco d’Andrea, il quale nelle parole bis et octo vuol che s’intenda ventotto. Quando sussista la pruova tratta da’ documenti accennati , essa non ammette risposta. Ma che b i voglia significar venti, o due volte dieci , è, per vero dire, una spiegazione si strana, che non troverà sì facilmente a chi essa potesse venire in pensiero. Della stessa opinione è il sig. D. Lorenzo Giustiniani , il quale e di Andrea e di Bartolommeo da Capova ci ha date copiose notizie (Scritt. legal, napol. t. 1 , p. 201 , ec.). Egli si duole a questa occasione ch’io mi mostri invero poco cui ante degli uomini illustri del regno di Napoli. Quanto è vero che i giudizi degli uomini sono fallaci! io mi lusingava che chi avesse confrontata la mia Storia (pubblicala prima die [p. 422 modifica]XXX. Professori ¡a Mode a f in Reggio , io Pisa • altrove. 422 LIBRO Ma di Andrea non trovo indicio presso alcun antico scrittore. In Napoli finalmente ebbe scuola di leggi civili, come pruova il Panciroli col!’autorità di (lino da Pistoia (ib. c. 4‘))? ancor quel Riccardo Petronio sanese , di cui vedremo nel capo seguente, che fu adoperato da Bonifacio VIII a pubblicare il sesto libro delle Decretali, e che fu poscia sollevato all’onor della porpora. XXX. Già abbiam nominati nel decorso di questo capo quelli di cui sappiamo che furono professori in Modena, cioè Pillio, Alberto di Galeotto , Alberto pavese, Uberto di Buonaccorso e Guido da Suzzat a; e que’ che furono in Reggio, cioè il suddetto Guido e Accorso reggiano e Jacopo d’Arena, oltre i quali io credo certo che più altri ne avranno avuti le stesse città, ma de’ quali si è perduta ogni memoria. Forse spiegò le leggi in Reggio quel Jacopo Colombino reggiano, di cui il Panciroli, si avessero le opere del Soria, del P. d’Afflitto, del Napoli Signorelli , del Barbieri, del Giustiniani) co’ libri che finallora si conoscevano intorno alla letteratura napoletana, avrebbe conosciuto che io con particolare impegno m’era accinto a rischiarare le glorie letterarie di quel coltissimo reguo. Veggo clic mi sono ingannato, e che mi viene anzi fatto rimprovero di nnn curanza. lo sono a me stesso consapevole di non esser reo di questa colpa. Ma non posso che rimettere il giudizio di tale accusa ad uomini imparziali, i quali decidano s’io in ciò mi sia renduto meritevole di qualche biasimo, lo aggiuguerò solo, che se per uomini illustri s‘ intendano tutti quelli che come tali vengono celebrati da’ lor nazionali, ma il cui nome non si stese molto fuori delle proprie loro provincie, troppo a dismisura crescerebbe il lor numero. [p. 423 modifica]allegando in pruova i passi degli antichi giureconsulti, dice (ib. c. 31) che chiosò le Leggi feudali sí egregiamente, che niuno ebbe poscia coraggio di aggiugnerne altre. Ove e quando morisse, è incerto; ma gli scrittori che ne fanno menzione, ci mostrano ch’ei visse verso la metà del secolo XIII. Forse ancora tenne ivi scuola Pietro Amedeo Kiginkolio giudice bresciano, che l’anno 1176 ebbe in Reggio l’onor della laurea nel diritto civile, dopo essere stato esaminato da Guido da Suzzara e da Giovanni dal Bondeno dottori di legge, da Pangratino e da Guido di Baiso dottori nel diritto canonico, e innanzi a tutta l’università: Universitate etiam Scholarium Civitatis Regii posita coram eo, ec. Il co. Niccola Taccoli ha dato alla luce il privilegio della laurea, e della facoltà di tenere scuola di legge e in Reggio e in qualunque altro luogo a lui conceduto (Mem. stor. di Reggio, par. 3, p. 215), benchè io dubiti che il cognome di questo nuovo professore non sia stato esattamente copiato. Anche l’università aperta l’anno 1228 in Vercelli, come a suo luogo si è detto, ebbe probabilmente valorosi giureconsulti. Di un solo però ci è rimasta memoria, cioè di Uberto da Bobbio, che dicesi parmigiano di patria, ma forse era nativo della città da cui traeva il nome. Di lui narra il Panciroli (l. cit. c. 30), seguendo l’autorità di Alberico e di Girolamo Cagnoli giureconsulto vercellese del secolo xvi, che fu professore di giurisprudenza civile in Vercelli, e che ebbe sí gran nome anche fuor dell’Italia. che volendo alcuni de’ signori Francesi toglier la [p. 424 modifica]4*4 LIBIìO reggenza del regno alla reina Bianca madre di S. Luigi, richieser perciò il parere di Uberto (il quale era allora, come dice Alberico, ac tu legens in Studio Vere elle usi) se ciò fosse lecito, e necessario j e che avendo egli risposto non doversi ciò fare, essi ne deposero il pensiero. Aggiugne il Panciroli che Uberto tornato poscia a Parma sua patria, ove di fatto abbiam veduto ch’ei fu professore, ivi morì, e arreca una moderna iscrizione in onore di questo giureconsulto posta nella chiesa di S. Giovanni. Oltre alcune Posizioni giuridiche, che or non si trovano, egli scrisse un libro intitolato Della paterna podestà, di cui però il celebre Giovanni di Andrea non fa troppo onorevoli encornii (inprooem. Addit.adSpecul. Jur.)t riprendendone l’oscurità e la confusione. In Pisa ancora troviamo ne’ monumenti accennati dal cavaliere Flaminio dal Borgo Clero e Gherardo da Fagiano professori di diritto eri ile, l’uno all’anno 1259, l’altro nel 1265 (Diss. dell’Univ. pisan. p. 107, 108). Ma sopra essi fu celebre Giovanni Fagiuoli, di cui parla anche il P. Sarti (pars 1, p. 168), perchè apprese le leggi nell’università di Bologna. Il Panciroli, dopo il Baldo, ha asserito eh1 ei fosse arcivescovo di Ambrun (l. 2, c. 33); ma il P. Sarti mostra la falsità di questa opinione. Benchè non vi sia monumento a provare eli’ ci fosse professore in Pisa, il sepolcro però che di esso vedesi in questa città, ov’egli è scolpito sedente in cattedra, e circondato da’ suoi scolari (Borgo, l. cit. p. 116), ce lo rende probabile assai. Egli morì l’anno 1286, e lasciò più opere che si [p. 425 modifica]SECONDO annoverano dal P. Sarti. De’ giureconsulti chiamati a Vicenza dal b. Bartolommeo diBraganze, si è detto altrove. In Lodi finalmente reggiamo chiamalo l’anno 12.8G 1111 professore di leggi a tenervi pubblica scuola. Fu questi Rinaldo da ConcorreggioFonte/commento: Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/773 milanese, che fu prima vescovo di Vicenza, e poscia arcivescovo di Ravenna, e per le sue virtù venne sollevato all’onor degli altari. Di lui han parlato l’Argelati (Script. Mediol. vol. 1, pars 2, p. 274) e il P. abate Ginanni (Scritt. ravenn. t. 2, p. 274); ma niun di loro ha avvertito ciò che ha recentemente scoperto il diligentissimo P. Sarti (pars 1,p.a44)> cioè che, essendo egli in Bologna, vennero nel suddetto anno ambasciadori del comune di Lodi, e pattuiron con lui che si recasse pel prossimo ottobre alla loro città a leggervi l’Inforziato, o altro de’ libri legali che a quegli scolari piacesse, e che ne avesse per suo pagamento 40 lire imperiali, E come allora Rinaldo non era ancora stato onorato della solenne laurea, si aggiunse nel contratto che quando ei l’ottenesse innanzi il suo partir da Bologna , gli sarebbono state contate altre 10 lire. Questo stromento è stato pubblicato dal medesimo P. Sarti (pars 2, p. 110). Nè io credo già che fosse questi il solo professore di leggi che avesse questa città, poichè è probabile che altri ve ne avesse e prima di Rinaldo e poscia. Ma di niun altro ci è rimasta notizia; e di questo ancora nulla sapremmo se gli archivii di Bologna non ce n’avessero conservata memoria. XXXI. Vaglia per ultimo a chiudere questo capo un bel tratto dell’antico storico di Brescia XXXI. CelcliTr roTtfgio de’ gtur«<oo»nlu *m Brairii. [p. 426 modifica]4^6 riuno Jacopo Malvezzi, che scrivea al principio del XV secolo. Egli, dopo aver raccontato che il palagio della Ragione fu innalzato in Brescia l’anno 1223, descrive il florido stato in cui era allora quella città, con queste parole da me recate nel volgar nostro italiano. Innalzarono dunque allora i cittadini questo palagio, e una torre vi aggiunsero di assai pregevol lavoro, ed ivi poser la sede dei consoli e de’ giudici, acciocchè nel luogo medesimo si rendesse la ragione a tutto il popol bresciano; perciocchè in addietro, come altrove abbiamo scritto, ogni quartiere avea il suo giudice che anche nella sua propria contrada tenea tribunale. Ma io dirò cosa forse maravigliosa, di cui i nostri vecchi ci han fatta testimonianza. Era allora sì popolosa questa città, che mentre nelle ore determinate si andava a palazzo, quel sì grande atrio sembrava angusto alla gran folla, e il luogo non abbastanza capace, Avreste ivi veduti, oltre la popolar moltitudine, non pochi valorosi e chiarissimi cittadini e schiere di cavalieri , al rimirar de’ quali montati su ben bardati cavalli, e accompagnati da’ loro scudieri, avresti creduto di vedere un immagine della grandezza romana. Il venerando collegio de’ giureconsulti pareva un liceo ateniese. In mezzo a tanti ragguardevoli cittadini e a popolo sì numeroso, otto consoli e due altri consoli maggiori, rettori della Repubblica, sopra alti tribunali si stavano assisi, oltre gli altri magistrati che in diverse maniere attendevano a’ doveri o della patria, o della giustizia. In ogni parte era pieno il palazzo. Che più? Pareva in somma [p. 427 modifica]di vedere il senato e il popol romano. »Quindi dopo avere descritto e compianto il troppo diverso stato in cui a’ suoi tempi era Brescia, così continua: Ove è ora il gran collegio de’ venerandi giureconsulti? ove que’ gravissimi cittadini? ove que’ buoni consoli? ove quei giustissimi reggitori? Un solo fa le veci di tanti consoli, ec. (Script. rer ital. vol. 14, p. 902). XXXII. Se io volessi ancora inoltrarmi, e far memoria di tutti quelli che o col tenere scuola di leggi, o coll’illustrare scrivendo qualche parte della giurisprudenza, o col raccogliere ed ordinare gli Statuti della lor patria, o in qualunque altra maniera ottennero qualche fama, potrei occupare ancora più fogli di tale argomento. Ma scarso sarebbe il vantaggio, e forse molta la noia di cotali ricerche. Ciò che finora ne ho detto, mostra abbastanza con qual fervore si applicassero gl’italiani a tale studio, e quanto perciò a ragione si facesse alle italiane università un affollato concorso di stranieri d’ogni nazione, e alla nostra Italia si concedesse per comune consenso il vanto di aver fatta risorgere a nuova vita, e di aver rischiarata colla maggior luce che in que’ tempi si potesse sperare, la civile giurisprudenza.