Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VI/Libro I/Capo II

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Capo II – Favore e munificenza dei principi verso le lettere

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Capo II – Favore e munificenza dei principi verso le lettere
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[p. 24 modifica]LIBRO Capo II. Favore e munificenza de’ principi verso le lettere. , I. Dacché le scienze e le belle arti avean cominciato ad uscire dallo squallore fra cui eran per tanto tempo giaciute, e a risorgere all’antica lor dignità, avean sempre trovati in Italia splendidi protettori che col favore, cogli onori, co’ premi le fomentavano, e ne rendeva n dolce lo studio a’ loro coltivatori. I due secoli precedenti n’ebber gran copia, e noi abbiam mostrato a suo luogo, di quanto sien lor debitrici le lettere. Ma tutte le cose dette in addietro, poste a paragone di quelle che or ci si offrono , vengon meno al confronto. 0\ inique volgiamo il guardo nella storia di questo secolo, si fanno innanzi principi e signori, i quali non ad altro fine sembravano sollevati ad alto grado d’onore, che per promuover gli studj, e per animare con ogni sorta di ricompensa a sempre nuove fatiche gli uomini dotti. I Visconti, gli Sforzeschi, gli Estensi, i Medici , i re di Napoli, i marchesi di Mantova e di Monferrato, i duchi d’Urbino ed altri signori di altre città italiane, i romani pontefici, i cardinali, e fra i privati ancora i generali d’armata, i magistrati, i ministri, tutti gareggiavan fra loro nelf onorare coloro che si rendevan celebri pel loro sapere, nell’allettargli alle lor corti, nel profondere sopra essi i lor tesori. Le guerre e le turbolenze, fra cui erano involti, non gli occupavan per modo, che fra [p. 25 modifica]primo a5 i tumulti ancora e fra l’armi non avesser le lettere un sicuro ricovero j cil essi non ci credeano felici abbastanza, se alle altre lor glorie quella ancor non aggiugnessero di avere in pregio le scienze. E in ciò pensarono saggiamente; perciocchè per tal modo ottennero di aver tanti encomiatori delle lor geste, quanti erano i dotti a cui accordavano la loro protezione, e di assicurarsi presso dei posteri un’eterna onorevole ricordanza. Veggiamo partitamente ciò che di essi ci hanno tramandato gli scrittori loro contemporanei y e cominciam da’ Visconti. 11. Di Giangaleazzo abbiam già ragionato nel quinto tomo di questa Storia. De’ due figli a cui lasciò morendo i suoi Stati, Giammaria non si rendette famoso che pe’ suoi vizj, pei quali ancora perdette presto la vita , come si è detto. Filippo Maria, benchè ben lungi dal potersi nel valore e nel senno uguagliare al padre, in ciò nondimeno che appartiene al fomentare gli studj, ne seguì non infelicemente gli esempj. Pier Candido Decembrio, che ne ha scritta la Vita pubblicata di nuovo dal Muratori, racconta (Script. rer. ital. vol. 20, p. ioi.j) ch’egli era stato istruito nelle belle lettere singolarmente collo studio delle poesie italiane del Petrarca, delle quali tanto si compiaceva, che ancora essendo duca faceasele legger talvolta, indicando egli stesso qual più gli piacesse; e aggiunge che udì ancora spiegarsi la Commedia di Dante da un certo Marziano da Tortona; che qualche parte ancora studiò delle Storie di Livio; che piaceangli le Vite degli Uomini illustri scritte in lingua francese, cioè, come io penso, i [p. 26 modifica]26 LIBRO romanzi, e che con somma felicità rispondea sul campo a chi tenea innanzi a lui qualche orazione. Soggiugne, è vero, lo stesso Decembrio, che egli nè disprezzò nè fece gran conto degli uomini dotti; ma gli esempi ch’ei reca a provarlo, son comunemente di tali persone che da lui si ebbero per impostori. Ed è falso ciò che lo stesso scrittor ci narra, cioè che in nulla beneficasse F. Antonio da Ro dell’Ordine de’' Minori , di cui dice ch’egli valeasi per far tradurre molte cose dal latino nell1 italiano 5 perciocché vedremo, parlando di lui e di Guiniforte Barzizza, che il primo da Filippo Maria fu prescelto ad essere professor d1 eloquenza in Milano dopo la morte di Gasparino Barzizza. Vedremo ancora el11 egli invitò con sue lettere Francesco Filelfo a recarsi a Milano (Philelph. Epist. l. 2 , ep. 36) j c questi parlando della maniera con cui era stato da lui ricevuto, dice che avealo accolto con onore e con cortesia sì grande, eli’ ei ne era fuor di se stesso per lo stupore (ib. l. 3 , ep. 6). Vedremo ancora che i due suddetti Barzizza e Antonio Panormita furon da lui alla sua corte chiamati, e Guiniforte in una sua orazione accenna il lauto stipendio ed altri pregevoli onori el11 ei perciò riceveane (inter ejus Op. p. 26). Finalmente Appollinare Offredi a lui dedicando i suoi Comenti sopra i libri di Aristotele intorno al11 anima, che furono poi stampati in Milano nel 1474? dopo aver detto di se medesimo, che a Filippo doveva ogni cosa, ne loda generalmente l’impegno nel favorire gli studi, e nell1 onorar gli studiosi. [p. 27 modifica]PRIMO 27

III. Monumenti ancor più gloriosi abbiamo nelle storie del favore prestato alle lettere dal duca Francesco Sforza. Benchè nato da padre che altro non conosceva che il mestier della guerra, e perciò non in altra cosa da lui fatto istruire che nel maneggio dell’armi, poichè nondimeno fu giunto alla signoria di ampio Stato, rivolse il pensiero a farvi fiorir le scienze non altrimenti che se esse avesser sempre formato le sue più dolci delizie. Giovanni Simonetta afferma (Hi st. I. 31) ch’egli amava e stimava al sommo gli uomini dotti e dabbene; e ch’egli stesso avea una sì ammirabile e naturale eloquenza, che, quand’ei ragionava, era incredibile lo stupore di chi l’udiva. Vedremo altrove, quanto egli avesse caro Francesco Filelfo, cui non permise giammai che gli si staccasse dal fianco. Egli è ben vero che il Filelfo si duole spesso nelle sue Lettere, che del lauto stipendio dal duca assegnatogli non gli venisse mai fatto di toccare un soldo. Ma non è cosa infrequente nelle corti de’ gran sovrani, che le loro beneficenze per altrui colpa rimangano prive d’effetto. Al tempo dello Sforza seguì la rovinosa caduta dell’impero greco; e noi vedremo a suo luogo, ch’ei gareggiò co’ Medici e cogli Estensi nell’accogliere alla sua corte e mantenere liberamente molti di que’ miseri Greci, a’ quali altro non era rimasto onde vivere , che il lor sapere; e vedremo insieme quanti altri professori valorosi di gramatica e d’eloquenza furon da lui chiamati a Milano. Quindi a ragione Binino Mombrizio in alcuni versi ch’egli premise alla traduzione da se fatta [p. 28 modifica]28 LIBRO della Gramatica greca di Costantino Lascari. indirizzati a Ippolita figlia di Francesco da lui fatta istruire dal medesimo Lascari nella lingua greca, fa grandi elogi della magnificenza di questo principe nel fomentare gli studj, dicendo che per opera di esso non facea più d uopo di andarsene in Grecia ad apprendere quel linguaggio; ch’egli eccitava con ricompense e con premj a coltivare le scienze d’ogni maniera; che grande era il numero dei poeti e de’ retori da lui condotti a Milano; e che in somma poteasi dir giustamente eli’ ei vi avesse fatta risorgere l’età dell’oro (Saxius, Hist Typogr. mediol. p. 38).

IV. Questa munificenza, con cui Francesco • promosse ed avvivò i buoni studj, è probabile che avesse origine non solo dall’animo generoso di cui era dotato, ma da’ consigli ancora di un suo fido e saggio ministro, cioè di Cicco, ossia Francesco, Simonetta. Questi nato in Calabria, e postosi presto al servigio dello Sforza, gli divenne caro oltre modo, talchè egli era l’arbitro di tutti gli affari. A me non appartiene il descrivere la prudente condotta da lui tenuta e a’ tempi del duca Francesco, e a que’ di Galeazzo Maria che a lui dovette il conservare fra tanti torbidi, come meglio poteva, la sovrana sua autorità. Io debbo solo cercare di ciò eli’ egli operò a vantaggio delle lettere e delle arti. Le molte lettere che a lui scrisse Francesco Filelfo, e che abbiamo alle stampe, basterebbero a dimostrarci quanto splendido protettor de’ dotti egli fosse. In una singolarmente ei rammenta i beneficj moltissimi che [p. 29 modifica]primo ag aveane ricevuti, dicendo (l, 33, p. 31) che più volte gli avea fatti diversi doni, e fornito avealo di denaro; e che di fresco avendo saputo trovarsi lui in grave penuria, perchè non gli veniva pagato il consueto stipendio, aveagli mandata in dono gran copia di vino e di grano; e quindi aggiugne che non vi è alcuno ormai che da Cicco non sia favorito, amato e ricolmo di beneficj. Veggiamo in fatti che a lui Buonaccorso da Pisa dedicò parecchi suoi libri, a lui Bonino Mombrizio la sue Vite de’ Santi, a lui Antonio Cornazzani, Girolamo Visconti domenicano e Paolo Morosini alcune loro opere, e tutti nelle lettere ad esse prefisse esaltano con sommi encomj l’impegno di Cicco nel ravvivare gli studj. Nè era egli soltanto protettore de’ dotti, ma saggio giudice ancora del loro merito e del loro sapere. Il Sassi e l’Argelati, dai quali io traggo singolarmente queste notizie, rammentano (Hist Typogr. p. 164, ec.; lì ibi. Script mediol. t. 2, pars 2, p. 2163) alcune lettere inedite di Pier Candido Decembrio, che conservansi nell’Ambrosiana di Milano , molte delle quali sono dirette a Cicco, cui il Decembrio chiama sempre dottissimo uomo; e in esse veggiamo che lo stesso Decembrio solea spesso mandargli le sue opere, perchè Cicco attentamente le esaminasse e le correggesse; e inviandogli, fra le altre, alcuni libri tradotti dal greco, gli dice che, uomo con11 egli era versatissimo in quella lingua, ne dia un sincero giudizio. Anzi essendo insorta una letteraria contesa fra lui e il Filelfo, ne fu rimesso di comun consenso il giudizio al medesimo Cicco. Ma quest’uomo sì [p. 30 modifica]3o LIBRO illustre ebbe una sorte troppo diversa da quella che gli era dovuta. Nelle turbolenze che dopo la morte di Galeazzo Maria si eccitarono in Milano da Lodovico il Moro, avido di regnare ad esclusion del nipote, Cicco si tenne sempre costante a favore del giovinetto suo principe. Di che essendo Lodovico contro di lui sdegnato oltre modo, i nemici di Cicco si valsero di questa occasione per istigare contro di sì saggio ministro l’animo del Moro, il quale finalmente fattolo arrestare e condurre prigione nel castello di Pavia, ivi gli fece troncare il capo a’ 30 di ottobre del 1480.

V. Galeazzo Maria figliuol di Francesco avea date nei primi anni di sua gioventù liete spe’ ranze di se medesimo , e qualche lettera scritta a lui dal Filelfo (l. 9, ep. 6) ci mostra che questo principe si dilettava talvolta di proporgli erudite questioni. Ma quand’egli prese il governo degli Stati paterni, fu ben lungi dal seguirne gli esempi, e non si rendette memorabile che pe’ suoi vizj; se non che avendo egli tenuto presso di sè il fedel ministro di suo padre poc’anzi nominato, questi continuò a proteggere col suo favore gli uomini dotti, de’ quali allora era in Milano gran copia. Non così Lodovico il Moro, il quale, benchè sempre 1 paresse occupato ne’ raggiri della più fina politica, mostrossi ciò non ostante sì splendido protettor delle lettere, che più non avrebbe potuto chi a ciò solo avesse rivolto il pensiero. Il Sassi ne ha ragionato assai lungamente (Prodr. de Stud. mediol, c. 9), e colla testimonianza di molti scrittori di que’ tempi, che presso di lui [p. 31 modifica]PRIMO 3 i si possono consultare, ha provato che, s’egli per all ri riguardi lasciò di se stesso odiosa e spiacevol memoria, nella lode di splendido mecenate della letteratura non fu inferiore ad alcuno. Il concorrere che a lui avevano uomini eruditi da ogni parte d' Italia , siculi d'esserne accolti con grande onore e premiati con ampia munificenza *, i famosi architetti e pittori da lui chiamati a Milano, e fra gli altri il Bramante e il Vincij la magnifica fabbrica dell’università di Pavia da lui innalzata, e i privilegi alla medesima conceduti; le scuole d’ogni maniera di scienze da lui aperte in Milano, ei dottissimi professori da lui a tal fine invitati, come Demetrio Calcondila, Giorgio Merula, Alessandro Minuziano, e più altri j le lettere piene di elogi a lui scritte da molti nell1 atto ili offrirgli le loro opere, ed altri simili monumenti, dal sopraddetto dottissimo scrittore raccolti, ci formano in questo genere un carattere sì vantaggioso del Moro, che, se altro non ne sapessimo, ei dovrebbe aversi in conto di un de’ migliori principi che mai vivessero. Ciò che è ancora più degno di maraviglia, si è che Lodovico in mezzo a’ gravissimi affari non lasciava passare alcun giorno in cui qualche tempo non desse a coltivare quegli studj ei medesimo, che tanto favoriva in altrui. Di ciò ci assicura Filippo Beroaldo , che in un’orazione penegirica da lui recitata a Lodovico, e che rammentasi dal medesimo Sassi, il loda, fra le altre cose, perchè ogni giorno voleva udir qualche tratto degli storici antichi , e qualunque particella di tempo gli rimanesse libera dalle pubbliche cure, non [p. 32 modifica]32 ’ Lumo in altro da lui impiegavasi che in tali studj. Alle quali sì onorevoli testimonianze aggiugnerò io quella di Angelo Poliziano, che non essendo nè suddito nè servitore di Lodovico, è più lungi, dal sospetto di adulazione. Tra le sue lettere ne abbiamo alcune scritte a questo gran principe (l. 11), all’occasione della contesa ch’egli ebbe con Giorgio Merula, di cui altrove diremo, e abbiamo insieme le risposte che Lodovico gli fece. Or come le prime ci mostran la stima che il Poliziano faceva del duca, a cui dice, fra le altre cose: cum tu Princeps habearis ingenii perspicacissimi prudentiaeque singularisì idem* que. bonas artes et haec ingenua studia quoti profitcmurì prae caeteris foveas; così le seconde ci mostrano in Lodovico un principe sommamente cortese verso gli eruditi, e pronto ad onorarli della sua protezione: Id ab naturare, die’ egli stesso, et majorum instituto erga doctos nobis insitum est, quod fieri tu optas, ut eos diligamus, et, ubi accidit, e tinnì libenter ornemus. E così foss’egli vissuto a* tempi più lieti, che frutto maggiore ne avrebbon ricevuto le lettere.

VI. Come Francesco Sforza nel promuovere e fomentare gli studj ebbe a suo consigliero e ministro Cicco Simonetta, così a Lodovico recarono in ciò ajuto Bartolommeo Calchi e Jacopo Antiquario, nomi illustri presso i letterati di quella età, che a gara ne tramandarono a’ posteri la memoria e le lodi. Bartolomeo , figliuol di Giovanni Calchi di antica e nobil famiglia in Milano , ebbe a suo maestro Gregorio da Città di Castello, e fece negli studi sì [p. 33 modifica]PRIMO 33 felici progressi, che prima da Galeazzo Maria, poscia da Lodovico fu dichiarato primo ducal segretario, e adoperato a consiglio ne’ più rilevanti affari. L’alto grado d’onore, a cui egli fu sollevato, rivolse a lui il pensiero e gli sguardi degli uomini dotti che allora erano in Milano, e molti gli dedicaron le opere da essi o pubblicate, o composte, celebrandolo come ottimo mecenate della letteratura, e coltivatore insieme di quegli studj pe’ quali avea sì grande impegno: perciocchè dicon di lui, ch’ei sapeva a fondo la lingua latina e la greca; che alle? lettere dava tutto quel tempo che dalle pubbliche occupazioni rimanevagli libero; che era dotato di maravigliosa memoria, per cui parlava di cose spettanti agli studj, come se in essi si fosse unicamente occupato; e che dalle sue ricchezze valevasi a favorire e a soccorrere gli uomini dotti. Si posson vedere alcune di tali lettere pubblicate dal Sassi (Hist. Typ. mediol! p. 186, ec.; 43ec.; 406, ec; 5o8, ec.), che piene sono de’ più magnifici elogi del Calchi. È che essi non movessero, come accadde talvolta, da adulazione , o da interesse, cel mostrano i durevoli monumenti che della sua munificenza ei lasciò in Milano, ove a sue spese rifabbricò due scuole che minacciavan rovina, e chiamò uomini dotti ad accrescer loro splendore, come da un epigramma di Giovanni Biffi poeta di quell’età pruova il medesimo Sassi (Prodr: c. 9)). Ei sopravvisse alle sventure di Lodovico, e morì in età di 74 anni, l’anno 1508, ed ebbe sepolcro nella chiesa di Santa Maria della Passione. Tlil A boschi , Voi. VII. 3 [p. 34 modifica]34 LIBRO Di lui ha parlnto ancor l’Argelati (Bibl. Script, mediol. t. i , pars 2, p. 420).

VII. Nè minori sono le lodi colle quali veggiam celebrato Jacopo Antiquario. A lui pure abbiamo non poche lettere scritte di letterati che allor fiorivano, nell’atto di dedicargli le loro opere, che sono state inserite dal Sassi nella più volte citata sua opera (Hist. Typogr. p. 483, ec.; 536, ec.; 548, ec.), e non vi ha elogio che in esse di lui non si faccia. Di una sola accennerò qui qualche parte, cioè di quella con cui Francesco Puteolano gli dedicò i (dodici Panegirici degli Antichi, da lui pubblicati l’anno 1482. In essa egli afferma che Jacopo fra tutti i dotti è l’uom più dabbene, e fra gli uomini dabbene il più dotto; ch’egli protegge le lettere, anima i professori e ne fomenta l’ingegno, e che non vi ha erudito di qualche nome in Italia, che non confessi di essere stato dall’Antiquario onorato e favorito; rammenta il viatico di cui avea soccorso Francesco Filelfo pel viaggio in Toscana, e l’impegno con cui avea in certi loro affari difesi Giorgio Valla e Giorgio Merula. Aggiugne che perciò egli era da tutti amato e onorato per modo, che rimiravanlo come genio lor tutelare; che tutti gli dedicavano i loro libri; che gareggiavano tutti iielf averlo a lor consigliere negli affari, e lor giudice negli studj; ch’egli era lungi da ogni ambizione; e che potendo salire assai più alto, aveva amato meglio uno stato mediocre. Accenna poscia alcune particolarità della vita dell’Antiquario, cioè ch’egli era stato in Bologna segretario del legato Battista Savelli, [p. 35 modifica]PRIMO 35 e die, benché ancor giovinetto, avea meravigliosamente imitati gl’innocenti costumi di quel virtuoso prelato; che chiamato poscia a Milano sotto il duca Galeazzo Maria , e sotto il figlio Giangaleazzo Maria , era stato incaricato degli affari del clero, nel che era giunto a tal fama , che di comune consenso avea avuto il soprannome di ottimo. Ne loda inoltre f ospitalità con cui accoglieva ognuno in sua casa, i lauti banchetti che imbandiva agli amici, mentre egli intanto usava di una sobrietà singolare; la modestia, la gravità, l’innocenza tanto più ammirabile, quanto più soleva esser affabile e piacevole nel conversare. Finalmente ne esalta l’eleganza nello scrivere in versi non men che in prosa, per cui non teme di paragonarlo agli antichi. Era l’Antiquario di patria perugino, ed era ivi stato scolaro del celebre Giannantonio Campano. In Milano fu segretario de’ sopraddetti due duchi e di Lodovico il Moro, e visse ancora più anni, poichè quello Stato cadde in mano a’ Francesi; anzi egli stesso recitò un’orazione in lode del re Lodovico XII, l'anno 1505, che si ha alle stampe. Morì in Milano fanno 15 i a, e fu sepolto nella chiesa di S. Pietro in Gessate (ii). Di lui bau parlato a lungo il Sassi (l. cit. /). 24 J, ec.), r Ar gela ti (l. cit. t. 2, p. 2o55) e il co. Maz/.ucchelli (Script. ital, t. 1. par. 2 , p. 848), i quali due ultimi scrittori ci han dato un esatto catalogo delle opere da lui composte («) Alritne alice notirie di Jacopo Antiquario si posimi veliere nella diligentissima opera dell.diate Manin (t. a, /j. 2J7) intorno agli Archiatri poulilicu. [p. 36 modifica]36 LIBRO e uscite alla luce, che sono, oltre alla suddetta orazione, molte lettere latine, altre unite insieme , altre sparse in diverse raccolte; e di quelle ancora che o rimangono manoscritte, o sono perite. Essi ancora han confutato l’errore di chi ha asserito eli’ ci fosse uno de’ primi a raccogliere antichità, e che da ciò gli venisse il soprannome d’Antiquario, il qual fu veramente nome di famiglia. Vili. I quattro principi Estensi che nel corso di questo secolo signoreggiaron Ferrara e le altre città ricevute in retaggio da’ loro maggiori, n’ereditaron non meno lo spirito di munificenza e di liberalità verso le lettere e i loro coltivatori, che fin dagli scorsi secoli renduta avea quella corte il più luminoso teatro su cui essi venissero a far pompa de’ loro talenti. Quando il marchese Niccolò III entrò ancora fanciullo al governo di quegli Stati, il Consiglio della Reggenza soppresse l’università poc’anzi aperta dal marchese Alberto. Ma non sì tosto Niccolò prese a governare per se medesimo, che determinossi di riaprirla, e l’eseguì l’anno 1402, come nel capo seguente vedremo, ove rammenteremo ancora un’altra università da lui fondata in Parma, mentre n’era signore. Che se le vicende de’ tempi, e le guerre in cui egli fu continuamente occupato, non gli permisero di condurre la sua università di Ferrara a quel nome cui poscia ottenne sotto i principi che gli succederono, non lasciò egli perciò d’invitare alla sua corte uomini dotti, e di ricolmarli d’onori. Dovremo vedere altrove, che Guarino veronese fu da lui chiamato a Ferrara per istruir nelle [p. 37 modifica]PRIMO. 3 7 lettere il suo figliuol Leonello; e lo stesso Guarino in un’elegia indirizzata a Verona sua patria , e dal Borsetti data alla luce (Hist. Gymn. ferrar, t. 1, p. 35), rammenta il favore di cui Niccolò l’onorava; Est hic magna ni mus Princeps, clarissimus Itero j, Marchio munificus, justitiaeque nitor, Qui me praecipuo amplecti dignatur honore, Et vitae auxilium et commoda multa ferens. Da lui pure fu colà chiamato Giovanni Aurispa, che per molti anni tenne scuola , come a suo luogo diremo j e più altri ancora nel corso di questa Storia ci avverrà di trovare da questo principe invitati e onorevolmente accolti. Ma ancorchè egli niun altro vantaggio recato avesse alle lettere, dovrebbe credersene nondimeno benemerito sommamente pel formare ed allevar eli’ egli fece a gloria e ad onor di esse i due suoi figli naturali, e poi successori, Leonello e Borso.

IX. E quanto a Leonello, negli antichi Annali Estensi, pubblicati dal Muratori, ne abbiamo un sì magnifico elogio, ch’io non so se di altro principe siasi mai scritto l’uguale. Perciocchè l’autore, dopo aver detto (Script. rer. ital. vol. 20, p. 453) ch’egli emulò la gloria di quegli antichi eroi di cui furono introdotte e perfezionate le scienze, e ch' ei fu principe adorno delle più belle virtù che si possano in un sovrano bramare, passa a spiegare partitamente quanti ne fossero i pregi. Egli dotato di sì vivace ingegno e di sì ferma memoria, che qualunque cosa udita avesse una volta, non mai gli usciva di mente. Egli versato in tutte le [p. 38 modifica]38 LIBRO belle arti, e nelle leggi, nella poesia, nell1 eloquenza, nella filosofia egregiamente istruito. Rammenta l’impegno con cui il marchese Niccolò trasse alla sua corte Guarino per dargli ad istruir nelle lettere questo suo figlio, e i lieti progressi che sotto un tal maestro egli fece, per cui due belle e sommamente applaudite orazioni ei recitò pubblicamente , una all1 imperadore Sigismondo (*), quando fu da lui creato cavaliere, l’altra innanzi al pontefice Eugenio IV, che per essa donogli un cappello tutto ornato d’oro e di gemme. Quindi passa a descrivere ciò ch’egli fece nel suo governo a pro delle lettere, l’università di Ferrara da lui rinnovata, i celebri professori chiamati ad essa da ogni parte d’Italia, l’occuparsi ch’egli faceva ne’ più serii studi ogni- 1 qualvolta rimanevagli qualche ora libera dalle pubbliche cure, i discorsi eruditi ch’ei godeva di udir sulla mensa, e nell’ore in cui andava a diporto ne’ domestici orti, c conchinde di-. cendo che fra tutti i principi Estensi niuno eravi stato ancora, che nella pietà, nella giustizia e in (*) L’orazione detta da Leonello df Este all’impera-* jl dor Sigismondo nell’anno 1433, it stata pubblicata «lai | P. abate MiltarelM, insieme con una lettera ad esso i scritta da Apollonio Bianchi dell’Ordine «le’ Minori (UiU. • AI SS. S. Michael., Veti. p. 665, ec.). Ma questa ora-B zione ci fa «conoscere che sono esagerate alquanto le i lodi che dagli scrittori di que’ tempi si danno all1 eie- i ganza dello stile di Leonello. Deesi però correggere ciò che afferma l’erudito editore, cioè che Leonello, tiglio naturale di IViccolò, sali al trono, escludendone il suo fratcl legittimo Borso. Questi non era legittimo più di Leonello , e il legittimo era Ercole, che dopo Leonello e Borso fu signore e duca di Ferrara. [p. 39 modifica]PRIMO 3l) qualunque virtù a lui si potesse paragonare. Questo elogio, benchè scritto dopo la morte di Leonello, potrebbe però forse sembrare dettato da adulazione, perchè uscito dalla penna di un suddito de’ marchesi di Ferrara. Il che pure potrebbe dirsi dell’orazion funebre che ne recitò il suo maestro Guarino, non mai uscita in luce, ma citata dal Cardinal Querini (Diatr. ad Epist. Barbar. p. $372), in cui ne fa un simile elogio, dicendo , fra f altre cose, che nelle sue lettere e nelle sue orazioni scriveva in modo, che assai dappresso accostavasi alla eleganza degli antichi scrittori. Ma non ci mancano più altre pruove a conferma di ciò che da essi si dice. Abbiamo una lettera scritta a Leonello da Poggio fiorentino (inter ejus Op. p. 344? ed Basil. 1538), nella quale con lui si rallegra* per-* che vada sì felicemente avanzandosi ne’ buoni studj, che serva di stimolo a’ più infingardi. e lo esorta a continuar con coraggio nella bene intrapresa carriera. Piena parimenti di elogi è una lettera che il Filelfo gli scrive a’' 28 di luglio del 1449 (l.6, ep. 64), ringraziandolo del cortese invito che Leonello aveangli fatto di venirsene alla sua corte, benchè per le circostanze de’ tempi si scusi dall’accettarlo. Nè diverse son le espressioni che usa con lui Francesco Barbaro in una lettera scrittagli, quando Leonello salì sul trono (ep. 84)• Le stesse lettere di Leonello, delle quali una ne abbiamo al sopraddetto Francesco Barbaro (ep. 85), una ad Ambrogio camaldolese (Ambr. camald. Epist. l. 24 , ep. 18), e quelle non poche scritte a lui dal suo maestro Guarino, e pubblicate dal P. Pez [p. 40 modifica]40 • LIBRO (Tìies. /Jnecdot nov. t. 5, pars 3, p. 154, ec.) ci mostrano quanto egli amasse ed onorasse coloro che aveano fama d’uomini dotti, e quanto singolarmente egli fosse grato al suddetto Guarino, a cui scriveva sovente, accompagnando ancora talvolta le sue lettere con qualche dono or di caprioli, or di fagiani da lui presi alla caccia. E molti eruditi in fatti avea egli di continuo alla sua corte, fra’ quali Guarino e l’Aurispa, e più poeti, de’ quali ragioneremo a suo luogo. Fu egli stesso coltivatore della poesia italiana , e due sonetti, che ne son pubblicati nelle Rime de’ Poeti ferraresi (p. 31), e nella Storia del Borsetti (t. 1 , p. 54), son certamente più eleganti che quelli della maggior parte de’ poeti di questo secolo. Il Quadrio aggiugne (Stor. della Poes. t. 1, p. 68) che un’accademia di poesia raccolse egli in sua corte; il che, benchè si renda probabile da ciò che finora si è detto, non trovo però che da scrittore alcun di que’ tempi espressamente si affermi. Abbiamo ancora altrove osservato (t. 2, p. 185) ch’egli fu il primo a riconoscere per supposte le vicendevoli Lettere tra S. Paolo e Seneca. Tutte le quali cose da noi brevemente accennate ci fan conoscere quanto ben dovute fosser le lodi da cui veggiamo da tutti gli scrittori di quei tempi onorato Leonello.

X. Il danno che alle lettere poteva venire per la morte di sì splendido mecenate, fu ben ripagato da Borso che gli succedette, e imitò in ogni cosa, e, secondo alcuni, superò ancora gli esempi di suo fratello. L’università di Ferrara continuò ad essere sotto di lui rinomata per [p. 41 modifica]PRIMO 41 tolto il mondo a cagione de’ dotti uomini ch’ei vi condusse, e che vi ritenne, malgrado gli sforzi di più altre città che a lor gl' invitavano , di che vedremo più pruove nel decorso di questa Storia, singolarmente ove parleremo del celebre Francesco Accolti. Ne’ monumenti della Computisteria di Ferrara, de’ quali io tengo copia, s’incontrano frequenti testimonianze della munificenza di Borso verso i letterati negli stipendj loro assegnati, o accresciuti, negli onori conceduti, nelle somme non picciole di denaro ad essi donate o in premio delle lor fatiche, o in ricompensa di qualche libro offertogli, o perchè se ne valessero pe’ loro studj. A Giovanni d’Ascoli professore di medicina, oltre la consueta pensione, ordina, a’ 4 di settembre del 1451, che sia fatto un dono di mille ducati. A Francesco Cattani di Rovigo deli’Ordine de’ Minori comanda, a’ 27 di marzo del 1467, che si contino trenta fiorini per le spese che dovea fare nel prendere la laurea j e per la stessa ragione, a’: 23 di giugno dell’anno 1468, comanda che si donino 100 lire a Giovanni Sadoleto. Ad Alberto Verzelli, che aveagli offerto un suo poema , e ad Antonio de’ Leonardi, che donato aveagli un mappamondo, comanda, a’ 27 di decembre del 1463, che sien donati venticinque fiorini d’oro al primo, dieci al secondo. A Niccolò d1 Allemagna, che aveagli presentato il magnifico codice della Geografia di Tolommeo, che ancor conservasi in questa biblioteca , assegna, a’ 30 di marzo del 1466, 100 fiorini d’oro, e, agli otto d' aprile dello stesso anno, altri trenta al medesimo Niccolò [p. 42 modifica]4». LIBRO por un tacuino di molti anni, che questi aveagli offerto. E più altre pruove dovrem vederne nel decorso di questa Storia. La fama della liberalità di Borso verso gli uomini dotti essendo giunta agli orecchio di Francesco Filelfo, che volentieri dava occasione ai principi d’esercitarla , scrisse a Lodovico Casella riferendario di Borso, perchè da lui gli ottenesse un dono di duecento scudi d1 oro necessarii, diceva egli, a compier la dote d1 una sua figlia (l. 13, ep. e un’altra lettera da lui scritta poco appresso allo stesso Casella (ib. ep. 17) mi fa credere ch’egli ottenesse ciò che bramava. Ebbe poi occasione il Filelfo nel viaggio che fece a Roma nel 1459, di passar per Ferrara, e di presentarsi a Borso, e scrive egli stesso (l. 15, cp./\(j) che fu da lui accolto con somma bontà, e onorato di splendidi donativi. E in fatti la città di Ferrara a’ tempi del duca Borso era il comun centro, per così dire, de’ dotti, che colà accorrevano , ove sperar poteano ricompense e onori ('). Vaglia per molte pruove la prefazione (*) 11 dura TWso, come (qui si è dimostrato, fu splendido protettore dei; dotti al pari del suo fratel Leonello, ma non gli fu uguale nel coltivare le lettere. Anzi, come si è osservato in questo Giornale di Modena coll’autorità di uno scrittore di que’ tempi, che era al servigio di esso (t. 13.p. 179, ec.), ei non intendeva il latino. Ciò non ostante a\ea Morso una cotal sua naturale eloquenza, che Lodovico Carbone nell’orazion funebre che in onor di esso recitò in Ferrara, e che conservasi ms. presso il ch. sig. d). Jacopo Morelli, afferma, forse però con qualche esagerazione, di aver quasi profittato più da’ ragionamenti di Borso che dalla lettura di tulle le opere di Cicerone j In Iijròio [p. 43 modifica]PRIMO 43 premessa ila Niccolò d’Allemagiia al codice da noi mentovato poc’anzi della Geografia di Toloinmeo, di cui, poiché è inedita, recherò qui eloquentiam desideratis? At ex ore Borsii fluere videbamus orationem omni melle dulciorem.... Ita me Deus adjuvet, ut ego plura fere ex inclyto Borsii sermone didici , quam ex tot Ciceronis nu i voluminibus. Nella stessa orazione egli esalta con somme lodi la liberalità e la munificenza di Borso, rammentando singolarmente la splendida pompa con cui egli accolse e tenne in sua corte l’imperndor Federigo III e il pontefice Pio II. Sulla fine dell’orazione si volge il Carbone alle lodi di Ercole I, fratello e successore di Borso, e fra i pregi di esso da lui si annoverano optimarum artium studium , historicorum et philosophorum assidua lectio, tot bonorum auctorum interpretatio facta: nuovo argomento a smentire, o almeno a render dubbioso il racconto del Giovio, che ha attribuita ad Ercole quell’ignoranza della lingua latina che fu solo propria di Borso, come si è detto. Ma niuna cosa ci fa meglio conoscere le grandi idee del duca Borso nel promuovere gli studj, quanto i molti decreti che tuttora se ne conservano in questo ducale archivio, diretti o a premiare gli uomini dotti, o a prescrivere qualche utile stabilimento. Ne recheremo alcuni nel decorso di queste note , i quali anche colla gravità e coll' eleganza con cui sono scritti, e a cui non troverassi forse 1 uguale nelle cancellerie della altre corti di que’ tempi, ci faranno conoscere quanto fiorisse allor nelle lettere quella splendida corte , e (quanto Borso , benchè non avesse studiato , favorisse gli studj. Qui basti il recarne uno , cioè quello con cui il duca Borso nel 1453 formò il suo Consiglio di Giustizia: Borsius Dux Mutinae et Regii, Marchio Estensis, Redigii Comes etc. Quod apud illustres et magnos viros , quod apud Serenissimos et Augustos Principes factitatum esse comperi mus, il nos imitari ac sequi dignissimum ac honorificum esse censemus. Mos est profecto lande d;gn;s\imtis apud hos , quos ante dicimus Principe* , eunt potentium et [p. 44 modifica]44 LIBRO quclla parte clie fa a questo proposito: Cum hanc igitur picturam, dice egi i pariando delle tavolc geograliche mini ale a vari colori dei delto dominatum a Deo justissimo accepisse cognoscant, Viros gravissimos , excellentes Jurisconsultos , et quos justi et aequi zelus incendat, summa deliberatione diligere , ut nedum;armis et potestate Civitates et Respublicas sibi commissas protegant et tueantur, sed per justitiae et aequitatis admini strationem populos et subditos dissidentes, et ad jurgia litesque commotos invicem concilient , concordes effciant , et contentiones eorum ac differentias terminent. Hunc Magistratum Justitiae Consilium vocant, cujus magna esse solet auctoritas, magnum arbitrium, magna potestas, ita ut quod per eos dictum , judicatumve fuerit, ratum , firmum , et immutabile perstet. Nos ergo , qui hoc Dominium, hunc Principatum Nostrum Deo propitio , Deo sic volente r adepti sumus, quique eo favente super ceteros Illustres Progenitores nostros dignitatibus et titulis decorati Dominium nostrae Domus adauximus, consentaneum et conveniens esse putavimus Clarissimorum et Sublinium Principum morem sequi. Quare cum hactenus habuerimus Judices Curiae Nostrae, dignissimum apud Nos Magistratum , et cui plurimam auctoritatem , et latissimam potestatem contulerimus f decentissimum arbitrati, ut, sicut Nos per Dei voluntatem erecti et sublimati sumus, ita et munus ipsum Judicum Curiae Nostrae ad dignitatem et titulum Consilii Justitiae sublevemus. Quod eo magis faciendum esse decrevimus, quod ad munus ipsum jam delectos habemus singularis prudentiae Viros doctissimos Jurisconsultos, et quos rerum bene et cum laude gestarum pervagatum nomen illustrat. Adde quod eorum praesentia, nobilitas generis , et adjuncti tituli ipsos reverentia et honore dignissimos reddunt. Quorum nomina ne vetustate obscurentur , sed apud posteros memoria, firma perduret, apponenda hic esse statuimus, ut sicut initium et caput tanti muneris sunt, ita eorum virtus et probitas caeteris post se per tempora in officio successuris ad [p. 45 modifica]PRIMO 45 codice, ut dixi, pene ad votus absolvissemus, eamque dicari alicui Principi cogitaremus, nemo sane te dignior nobis virus est, ad quem potissimum destinaremus. Tu enim solus es, si verum fateri volumus , ex omnibus Italiae Principibus , qui et talibus scriptis et picturis multum ile lecturis, et qui plure s in ejusmodi re et in ceteris aliis multis excellentes et doctos viros penes te habeas, qui facile valeant, si quid a nobis erratumfuerit, reprehendere, et laudare, si quid recte factum. Nam ut alios omittam, qui in urbe tua his temporibus philosophantury quis in Mathematicis Joanne Blanchino et Petro Bono etiam in physicis doctior? quis in Medicina Soncino acutior, et Francisco Fratre in Dialectica etiam et Philosophia subtilior? Quis in Civilis ac Pontificio jure Francisco Porcellino peritior? quis in Theologia Joanne Gatto subtilior, eodemque litteris graecis et Latinis ornatior? quis denique in omni genere doctrinae recta Judicia rt Consilia s timui uni et calcar incutiant. Hi sunt spectabilis cl clarus Imperialis Eques f Comes Palatinus, et Excellens Juris Civilis et Pontificii Dodor Dominus Albericus Muleta Papi ensis, cl spectabiles et generosi Cornites Palatini, et Excellentes ac eu iinii Jurisconsulti Dominus Annibal de Gonzaga Mantuanus , Imperialis Consiliarius, et Dominus Jaeobus de Picholomineis Senensis Advocatus Consisto ri alis. Igitur ad quod intendimus procedentes harum nostrarum Patentium Litterarum, et solemnissimi Decreti tenore, ec. Più altri elogi che tifigli scrittori di queT tempi fiiroa falli alle virtù di Borso, e al favor ila lui accordato alle lettere, e quello singolarmente di F. Jacopo Filippo da Bergamo, si posson vedere accennali nelle Memorie de’ Letterati ferraresi del eh. sig. dottor Gianuaudrea Bai otti (t. 1, p. 33)♦ [p. 46 modifica]46 LIBRO Hieronymo Castellano praestantior? Dies me. certe deficier, Illustrissime Princeps, si cunctos excellentes viros, qui hac tempestate tuam urbem incolunt, aut illorum virtutes persequi velim, qui sane illam non incolerent, nisi te solum hac nostra aetate intuerentur, qui, cum probe noris virtutem vitae mortalium ducem esse, praestantes doctrina viros sublevares, et ab inerti otio ad legendi atque scribendi negotium traduceres. Itaque numquam satis pro meritis tua probitas ac virtus laudari poterit, quae cum omnem anteactam vitam variis disciplinis impenderit, nunc et doctis faveat viris, et sua munificentia reliquos ad eamdem invitet virtutis aemulationem. Nè deesi qui passare sotto silenzio il poc’anzi accennato Lodovico Casella le-i del ministro non solo di Borso, ma di Leonello ancora, e di Niccolò loro padre. In questa biblioteca Estense conservasi manoscritta l’orazione che nell esequie di lui recitò Lodovico Carbone, nella quale, fra le molte virtù che celebra nel Casella, esaltane, fra le altre, la liberalità di cui usava in favore de’ dotti, e la premura con cui avvivava ogni sorta di studi. Tra le Lettere del Filelfo ne abbiam molte a lui scritte (l. 1 o, cp. 9) l. 11 , ep. 11; l. 12, ep. 9, 52 , 633 l. 13, ep. 9; l. 14, ep. 15, 19, 24 , ec. ec.), le quali sono una nuova testimonianza della protezione che il Casella accordava alle scienze. In una, fra le altre, gli rende grazie per la singolar cortesia con cui nel suo passaggio per Ferrara avealo accolto l. 11 , ep. 23). In un’altra, con quella franchezza che propria fu del Filelfo, il prega, [p. 47 modifica]PIIIMO 4 7 come già si è accennato, a ottenergli ila Boi so ducento scudi che gli son necessarj per dotare una sua figlia (l. 13, ep. 17). Finalmente nell1 antico Diario ferrarese, pubblicato dal Muratori , dopo narratane la morte che avvenne a’ 16 di aprile del 1469 e dopo descritto il magnifico funerale che per ordine del duca Borso gli fu celebrato, per cui si chiuser le botteghe tutte e le scuole, e a cui intervennero i principi della famiglia ducale, e il duca medesimo, gli si fa questo glorioso elogio, che io riferirò colle stesse, benchè rozze, espressioni di quello storico (Script. Rer. ital. vol. 24, p. 221). La • morte di costui dolse forte a tutto il popolo, perchè lui era sommamente amato, per essere bello parlatore., bello di aspetto; dava ad ogni homo buone parole, et mai malcontento alcuno da lui non se ne partiva; non curava di robe nè di pompe. Costui in Poesia dottissimo, in facti di stato ne sapea quello, che fusse possibile a sapere. Costui refugio de’ poveri huomini. Costui fu amato sommamente dal prefacto Duca, et per essere andato lui in persona al corpo, si pol presumere, perchè la Casa d’Este ad alcuno suo suddito mai non andò al corpo ,* et tanto più che dicto Lodovico non era Gentilhomo , ma dalla Villa delle Caselle del Polesine de Rovigo. Et facto ogni cosa fu posto nell1 Arca sua in lo Chiostro de’ Frati, et lì sta; li Gcntilhomini lo porlorno a se peli re. La doglia, che ne have il prefacto Signore, non te dico , perchè lo amava più che fratello; che lo havesse; et venne da la Filla di Consan doli a Ferrara per essere al corpo; poi il Marte [p. 48 modifica]48 LIBRO mattina cfui Ju li xrui de Aprii*1, la sua Siprioria se ne ritornò a Consandoli. Et Sabbato adì 21 de Aprile furono facte le septime, alle quali li fu il prefacto Duca Borso con tutti li p re die ti de la Illustrissima Casa da Este, vestiti tutti di morello. XJ. Della protezione (lai duca Ercole I accordala alle scienze, non abbiam tanti monumenti , quanti di Leonello e di Borso. Nondimeno il riflettere eh1 ei fu principe sopra ogni altro magnifico negli edificj, e che per lui fu la città di Ferrara quasi interamente rinnovata, come altrove vedremo; che quella università fu allora in assai florido stato e onorata da’ più celebri professori; ch' egli ancora continuò ad aumentare la biblioteca da’ suoi magi giori raccolta, di che si dirà a suo luogo; che molti poeti, come i due Strozza, Bartolommeo Prignani e più altri, il celebrarono ne’ loro versi; tutto ciò, io dico, ci fa conoscere di’ egli emulò in questo ancora la gloria de’ principi che l’aveano preceduto, e diede l’esempio a quelli che gli vennero appresso, i quali , come si dovrà altrove mostrare, nel fomentare gli studj, e nell’onorar gli studiosi, andaron del pari co’ più splendidi mecenati di tutta 1’antichità (*). XIL Mentre in Milano e in Ferrara fiorivano in tal maniera gli studj per opera de’ Visconti, degli Sforzeschi e degli Estensi , un nuovo (*) Molti monumenti della magnificenza con cui il duca Ercole 1 protesse ed avvivò gli studi, lio io po. scia scoperti, c li verrò riferendo, o accennando in queste giunte ^ secondo c lic se uc ulti irà l’occasione. j [p. 49 modifica]PMMO 4J appoggio cominciarono essi ad avere in Firenze nella famiglia de’ Medici, che, benchè privata, in ricchezze nondimeno e in magnificenza, e quindi ancora in autorità, gareggiava co’ più potenti.sovrani. Cosimo, soprannominato il Padre della patria, fu il primo fra essi come ad avere il primato della repubblica, così a distinguersi sopra tutti nella munificenza verso le lettere. Quando Francesco Filelfo fu chiamato, l'anno 1429 a tenere scuola di eloquenza in Firenze, ebbe dapprima occasione di ammirare la cortesia di un uomo sì ragguardevole; perciocchè Cosimo il primo andò a visitarlo, e ad offerirgli in ogni cosa l’opera sua, e più volte fu a rinnovargli le stesse cortesi proferte, come il Filelfo medesimo scrive a’ 31 di luglio del detto anno (l. 2, ep. 2). Ma non passò gran tempo, che il Filelfo cominciò a sospettare in Cosimo un animo non sincero, e prevenuto in favore de’ suoi nemici; e questi sospetti furon poscia cagione ch’egli non tenesse più modo alcuno, e contro di lui si scagliasse colle più amare invettive, come a suo luogo vedremo. Ma checché ne dica il Filelfo , il comune consenso di tutti gli scrittori di quel secolo ci rappresenta il gran Cosimo come specchio ad un tempo di onestà e di rettitudine, e come magnanimo mecenate di tutte le belle arti. Egli aveane appresi i primi elementi da un cotal Niccolò di Pietro gramatico d’Arezzo, come pruova f ab. Mehus (I ita Atnbr. camalli, p. 374), il quale aggiugne che fu poi nelle più alte scienze istruito da Marsilio Ficino. E certo T1RA110SC1I1, Voi. VII. 4 [p. 50 modifica]50 LIBRO molto si giovò Cosimo dell1 amicizia di questo dotto filosofo, e molto potè da lui imparare. Ma ei non conobbe il Ficino che dodici anni innanzi alla morte; e non è probabile che finallora egli aspettasse a rivolgersi a’ filosofici studj. Anzi lo stesso Ficino racconta (in ep. nuncup. ante Plotini version.) che il primo stimolo ad intraprenderli ebbe Cosimo all’occasione del concilio generale di Ferrara trasferito a Firenze l’anno 1439; perciocchè allora conobbe Gemisto Pletone illustre platonico di que’ tempi, da cui avendo udito parlare de’ sublimi misteri della platonica filosofia, ne rimase stupito per modo , che finallora ideò quell1 accademia che fu da lui poscia fondata, e di cui a suo luogo dovrem ragionare. E aggiugne inno!tre il Ficino, ch’essendo egli ancora fanciullo, Cosimo lo prescelse a formarne un filosofo perfettamente platonico; e perciò lo stesso Ficino scrivendo a Lorenzo de’ Medici (Op. t. 1 , p. 648, ed. Basil. 1561) , confessa di dover molto a Platone, ma molto ancora a Cosimo, che rappresentava in se stesso quelle virtù di cui quel filosofo avea tracciata l’idea nella sua opere; e aggiugne ch’egli era altrettanto ingegnoso nel disputare, quanto saggio ed accorto nel governare. Prima ancora che Cosimo stimolato fosse da’ Greci allo studio della platonica filosofia, avea cominciato a dar saggio della sua letteraria magnificenza; perciocchè essendo esule in Venezia, raccolse ivi una copiosa biblioteca, di che diremo , quando sarà luogo a parlare de’ gran tesori da lui profusi nell’acquisto de’ libri, e della fondazione di molte biblioteche [p. 51 modifica]primo 5i Ja lui a sue spese forniate. Noi vedrem parimente che quando i Greci si rifugiarono in Italia , molti di que’ tra loro che celebri erano per sapere, furon da Cosimo accolti, mantenuti, onorati. Quindi a giusta ragione, per tacere d’infiniti altri scrittori, Biondo Flavio, che scriveva allora la sua Italia Illustrata, fa un grandissimo elogio di Cosimo tuttor vivente, dicendo che fra gli uomini dotti che sono in Firenze, ella si gloria Cosmo in primis Mediceo , quem omnes totius Europae cives opum affluentia superantem, prudentia , humanitas , liberalitas, et quod nos maxime ad ejus laudes incitat, bonarum artium, praesertim historiarum, periti a cclebrcm reddunt (Ital. Illustr. p. 53, ed. Taur. 1527). E quindi, dopo averne nominato i figli, rammenta le magnifiche fabbriche da Cosimo innalzate, la biblioteca da lui aperta, il palazzo in cui egli stesso abitava, di cui dice che non ha veduto in Roma fra i più superbi avanzi d’antichità cosa che gli possa stare al confronto. Veggansi altri simili elogi renduti a Cosimo, e raccolti dall' ab. Mehus (l. cit.), e dal canonico Bandini (Specimen liter. Fior. I. i , , ec.); e vedasi innoltre ciò che di lui più ampiamente ha scritto il sig. Giuseppe Bianchini da Prato nella sua opera Dei Gran Duchi di Toscana (*).

(*) Agli elogi qui accennati del gran Cosimo de’ Medici, si può aggiugnere quello che non è inferiore ad alcuno, con cui Francesco Aretino gli offre la sua versione delle Omelie di S. Giovanni Grisostomo sul Vangelo di S. Giovanni. [p. 52 modifica]5a LIBRO XIli. Pietro figliuol di Cosimo, e stato già scolaro di Francesco Filelfo (Phileph. l. 6, ep. 45), come non fu uguale al padre in virtù ed in senno , così minor lode ottenne ancora nella protezione delle lettere. Nondimeno Giovanni Corsi, che l’anno 1506 scrisse la Vita di Marsilio Ficino, pubblicata non ha molto dal sopraddetto ch. canonico Bandini, racconta (p. 24) di’ ei dilettavasi molto di udire da Marsilio i sentimenti e le massime della platonica filosofia, e che esortollo a pubblicare tradotte in latino le opere di quell1 insigne filosofo, e insieme a spiegarle a pubblica utilità dalla cattedra. Inoltre mentre ancora vivea Cosimo, troviam memoria in un monumento, pubblicato dal dott. Lami (Cat Bibl. riccard, p. 11), dii un combattimento letterario che, per opera di Pietro de’ Medici e di Battista degli Alberti, si fece in Firenze l’anno 144T? e c^,e Per esscr l’unico saggio che mi sia accaduto di ritrovare di tali combattimenti, parmi degno d1 esser qui riferito. Havea la Città di Firenze più anni continovamente ricevuto assai passioni e molestie per le continua guerre avute con Filippo Maria Duca di Milano , e di quelle non e, a ancora del tutto fu ore. quando per consolazione degli animi afflitti Messer Battista degli Alberti, e Piero di Cosimo de’ Medici huomini prudenti , amatori, e esaltatori di Ila lor patria, messo innanzi a provvidi Uficiali dello studio, che in quel tempo erano, che dovessin far bandire , che qualunque studioso volesse suo ingegno operare volgarmente in qualunque genere di versi nel trattare della vera amicizia, quelli [p. 53 modifica]primo 53 fissino tenuti dal dì del trionfal bando mandato , che. fu a dì — d Ottobre del 1 \ \ i per infino a tutto il dì di S. Luca , che viene a dì 18 detto, avere data sua opera suggellata ai lor Notari. E fatto questo, detti Ufiziali avessero a deputare un luogo pubblico, dove ciascuno suo detto recitasse. E per più degno elesseno Santa Maria del Fiore. E perchè ciascuno più efficacemente suo intelletto adoperasse , ordinarono, che colui, il quale gli altri precedesse nel suo trattato, fusse coronato d una corona d argento lavorata a guisa di lauro. E per onorare Eugenio P. P. i onu- debitamente si conveniva , i predetti Uffiziali dello Studio deputorno, che i Segretarj del prefato Eugenio P. P. avessero questo atto a giudicare, e insieme con lo contribuire tal premio a chi degno ne fosse; onde la seguente Domenica , che fu a dì XXII nobilissimamente fu preparata la detta Chiesa, e poi subito dopo pranzo detti Uffiziali, e Giudicatori, e tutti gli Dicitori ivi s’apprestarono, come statuito era. E perchè r atto più degno esser non poteva che si fusse, la magnifica Signoria di Firenze , t Arcivescovo:l'Ambasciadorc di Venezia, infinito numero di Prelati, e poi universalmente tutto il Popolo Fiorentino vi vennero ad onorarlo , e ciascuno attento si pose a udire. E gli Dicitori tratti furono per sorte , come in questo per ordine leggendo si vede. E dopo che tutti ebbero recitato, dovendosi venire al giudizio della coronazione , parve ai giudicatori alcune delle opere recitate essere quasi del pari. Il perchè alla Chiesa di Santa Maria predetta [p. 54 modifica]54 LIBRO donarono la detta Corona , della quale’ sentenza da tutti comunemente furono biasimati, perchè ad ogni modo doveva secondo la commissione data loro essere d uno de Dicitori, il quale meglio aveva operato , come s’era detto di sopra, e essere di quella coronato. Sicchè quanto osservassero il mandato loroj manifesto potete vedere; e quanto sieno da commentare, si rimette nel giudizio de’ prudenti Lettori. Aggiugne il Lami, che in questo combattimento ebber parte Francesco Alberti, Antonio Alli, Mariotto Davanzati, Francesco Melecarni, Benedetto Aretino , Michele da Gigante, e Leonardo Dati, il qual ultimo però, benchè avesse composto un sonetto, nol recitò. Probabilmente avrebbe Pietro de’ Medici fatto più assai a pro delle lettere, se avesse avuta più lunga vita e sanità più costante. Ma se altro non avesse egli per esse fatto , che porre al mondo Lorenzo il Magnifico , basterebbe ciò solo, perchè la letteratura gli dovesse non poco. XJV. Il poc’anzi citato Giovanni Corsi venendo a favellare di lui , dice (l. ciL p. 34) elv egli fu un Augusto per la Repubblica fiorentina, e per le lettere un Mecenate; che ai tempi di lui non vi ebbe sorta alcuna, comunque astrusa, di scienza, che non fiorisse, e non salisse in gran pregio; che perla copia di dottissimi uomini, che allora era in Firenze, questa città veniva detta una nuova Atene; e rammenta su ciò un bel detto di Ermolao Barbaro , cioè che molto doveano le lettere a’ Fiorentini, ma tra questi singolarmente a’ Medici, e fra i Medici più che ad ogni altro a Lorenzo. [p. 55 modifica]PRIMO 55 E a dir vero, tutti gli scrittori di que’ tempi non sanno finir di esaltare le virtù d’ogni genere di cui Lorenzo fu adorno. Cittadino amantissimo della sua patria , solo a vantaggio e ad onor di essa rivolse le sue immense ricchezze. La destrezza con cui adoperossi più volte ad allontanar le procelle, onde essa era minacciata dai suoi nemici, pareva effetto di animo men coraggioso e schivo dell’armi: ma quando egli le prese, adoperolle per modo, singolarmente nell1 espugnazion di Sarzana, che pareva nato sol per la guerra. Firenze dovette a Lorenzo il nome e la stima a cui di questi tempi ella giunse, e a lui pure dovette più volte l’Italia tutta la pace, di cui per qualche tempo potè godere. Divenuto perciò l’arbitro e il mediatore delle più gravi discordie, fu riputato padre e conservatore non solo della patria, ma di tutta l’Italia. Al medesimo tempo l’onestà de’ costumi , l’integrità della fede, la liberalità verso i poveri, la magnificenza ne’ pubblici e nei privati edificj, i solenni spettacoli celebrati in Firenze, la regia pompa con cui vi accolse più principi, gli conciliò sì gran nome , che i più potenti sovrani d’Europa ne bramarono l’amicizia, e il Sultano medesimo mandogli in dono alcune bestie sconosciute a’ nostri paesi, Le quali cose, come aliene dal mio argomento, a Medici basta l’accennar qui brevemente, poichè si posson leggere negli scrittori che più a lungo bau di lui favellato, e singolarmente nella Vita latina scrittane, appena egli fu morto, da Niccolò Valori, il cui originale è stato dato alla [p. 56 modifica]56 LIBRO luce 1’anno 1749 (a)• 10 non mi tratterrò che su ciò che appartiene all’oggetto di questa mia Storia. Nè io parlerò qui dell' aumento che per lui ebbero le pubbliche biblioteche, del riaprimento per lui ordinato dell1 università di Pisa , delle antichità che da ogni parte raccolse. delr impegno ch’egli ebbe per la filosofia platonica, della cui Accademia fu il principale ornamento, de’ Greci eli’ egli onorevolmente accolse, e destinò a tenere scuola in Firenze , della poesia italiana felicemente da lui coltivata, delle quali cose sarà altrove più opportuno luogo a parlare. Qui basti il riflettere ch’egli fra la gravissime cure della repubblica interamente a lui confidata , seppe in tal modo attendere a far fiorire le scienze, e proteggere e favorire gli uomini dotti, che pareva di ciò solo occuparsi. Avea egli avuto a suo maestro Gentile di Urbino , a cui mostrossi poi grato colf ottenergli il vescovado d’Arezzo , e fin d1 allora diede sì grandi pruove d’ingegno, che Cristoforo Landini, vedutine alcuni versi, disse che in quegli studj avrebbe Lorenzo superato ogni altro (Valor. Vita Laur. Med. p. 8). Marsiglio Ficino e Angelo Poliziano furon fra tutti i dotti coloro ch’egli amò più teneramente. Le lettere da lui (n) Tutto ciò clic qui c in nilri passi di questo tomo abbinili detto intorno alla premura e alla magnificenza di Lorenzo de’ Medici nel coltivare e nel promuover gli studi c le belle arti, può ora vedersi confermato e più ampiamente svolto da monsignor Labbroni nella Vita che di quel grand7 uomo ci ba data eolie stampe di Pisa l’anno 178.J [p. 57 modifica]PRIMO O7 scritte al primo (Ficin. Op. p. 620 , 621, 622, (647) bastano a dimostrarci fin dove giugnesse l’amore ch’ei gli portava; il secondo fu da lui mantenuto in sua propria casa, e in ogni più ampia maniera onorato e premiato, e assai spesso ci si offriranno nel corso di questa Storia uomini eruditi che il provarono splendido mecenate. L1 architettura ancora e la musica furon da lui sommamente pregiate, e tutte in somma le belle arti nelle ricchezze e nel favor di Lorenzo ebbero un fermo e glorioso sostegno. Io non finirei sì presto, se ad ulterior pruova di tutto ciò volessi qui riferire le testimonianze che ce ne hanno lasciate gli scrittori di quella età. Ma non posso indurmi ad orninettere una lettera di Angelo Poliziano, con cui ne descrive la morte, e ne forma l’elogio. Egli ci dipinge sì al vivo questo grande eroe in quegli estremi momenti, e ci fa un sì vago ritratto di tutte le più belle virtù ond’egli era dotato, che non si può leggere senza un dolce sentimento di tenerezza; e spero che i miei lettori soffriran di buon grado el11 io offra loro almeno in parte recato in lingua italiana questo tratto , a mio parere, incomparabile di naturale eloquenza.

XV. Dopo avere il Poliziano , scrivendo a Jacopo Antiquario (l. 4 , ep. 2), parlato delle infermità che da lungo tempo travaglian Lorenzo, il giorni innanzi alla sua morte, dice, essendo infermo nella sua villa di Carregi, venne in tale sfinimento di foi’ ze, che più non rimase speranza alcuna di conservarlo. Di che egli, uomo saggio come era, essendosi avveduto f [p. 58 modifica]58 LIBRO prima (fogni altra cosa chiamo il confessore, a cui accusarsi di tutte le passate sue colpe. E questi mi disse poscia, ch’era a lui stato cf incredibile maraviglia il vedere con qual coraggio e con quale costanza si disponesse a morire, come si ricordasse di ogni cosa avvenuta in addietro, come ben ordinasse tutto ciò che apparteneva a quel tempo, e con qual prudenza e con qual religione pensasse alle cose avvenire. Sulla mezza notte, mentre egli stavasi meditando tranquillamente, gli vien detto esser giunto il sacerdote coll’Eucaristico Sacramento. Egli allora si scosse, e, No, disse non sia mai vero che il mio Gesù, che mi ha creato e redento ) venga fino (alle mie stanze: levatemi, di grazia, levatemi tosto, acciocchè possa andargli all’incontro. E sì dicendo , e sollevandosi come meglio poteva, sostentato) da’ suoi domestici andò incontro al sacerdote fino alla sala; ed ivi teneramente piangendo si prostrò ginocchioni. Siegue il Poliziano riferendo una lunga e fervente preghiera che Lorenzo allor recitò, e quindi così continua: Queste e più altre cose diceva egli piangendo, e piangevano al par di lui tutti i circostanti. Il sacerdote comandò finalmente che il levasser da terra, e il riportasser sul letto, acciocchè più comodamente potesse ricevere il Viatico. Ei resistè per qualche tempo; ma poscia per rispetto verso il sacerdote ubbi(fi; e rimesso in letto , e ripetuta quasi la stessa preghiera , e compostosi in tal sembiante che tutto spirava gravità e divozione, ricevette il corpo e il sangue di Cristo. Quindi si diè a consolare il suo figlio Pietro, perciocché [p. 59 modifica]primo 5y gii altri erano assenti, e lo esortò a soffrir di buon animo la legge della necessità. perciocchè non gli sarebbe mancato I aiuto del Ciclo, eli egli pure in tante e si diverse vicende avea costantemente provato, purchè operasse ognor saggiamente. Più altri consigli riferisce qui il Poliziano, dati da Lorenzo al figlio , e poscia siegue: Venne frattanto da Pavia il vostro Lazzaro , medico, per quanto a me ne parve, dottissimo , ma che chiamato troppo tardi ì per tentar pur qualche cosa, ordinò lo stritolamento di varie gemme, per farne non so qual medicina. Chiede allor Lorenzo a’ domestici, che si faccia ivi quel medico, e che cosa apparecchi , e avendogli io risposto di ei formava un rimedio per confortare le viscere; egli conosciuta tosto la mia voce, e guardandomi dolcemente , come sempre soleva, O Angiolo, dissemi , sei tu qui? e insieme levando a stento le languide braccia, mi afferrò strettamente amendue le mani. Io non potea trattenere i singhiozzi e le lagrime 7 cui nondimeno sforzavami di nascondere y volgendo altrove la faccia. Ma egli, senza punto commuoversi, proseguiva a strigner le mie fra le sue mani. Quando si avvide che il pianto ni impediva il parlargli., a poco a poco quasi naturalmente mi lasciò libero. Corsi allor subito nel vicino gabinetto , ed ivi diedi sfogo al mio dolore e alle lagrime. Poscia asciugandomi gli occhi, e tornato dentro , appena egli mi vide, e mi vide tosto, mi chiama di nuovo a sè, e mi chiede che faccia il Pico dalla Mirandola. Gli rispondo di egli era rimasto in città, perche temeva di essergli [p. 60 modifica]6o unno molesto colla sua presenza. E io, disse allora Lorenzo, se non temessi che questo viaggio gli fosse di noja, bramerei pur di vederlo, e di parlargli perl'ultima volta, prima di abbandonarvi. Debbo io dunqueì gli dissi, farlo chiamare? Si certo, rispose, e il più presto che sia possibile. Così feci; e già era venuto il Pico) e. si era posto a sedere pressi • il letto. E io ancora mi era appoggiato presso alle sue ginocchia per udir meglio per l’ultima volta la già languida voce del mio padrone. Con qual bontà, Dio buono, con qual cortesia, dirò ancora, con quali carezze lo accolse Lorenzo! Gli chiese prima perdono di avergli recato un tale incomodo) lo pregò a riceverlo come contrassegno dell’amicizia c dell amore che ave a per lui; e gli disse che moriva più volentieri dopo aver riveduto un sì caro amico. Quindi introdusse, come soleva, discorsi piacevoli e fami gli ari, e scherzando ancora con noi, Vorrei, disse, che la morte avesse almeno indugiato, finchè avessi del tutto compita la vostra biblioteca. Era appena partito il Pico y quando entrò nella stanza F. Girolamo (Savonarola) da Ferrara, uomo celebre per dottrina e per santità , e valoroso predicatore. Esortandolo questi a star fermo nella sua Fede, a proporre di vivere in avvenire, se il Cielo gliel concedesse, lungi da ogni colpa, e a ricevere di buon grado la morte, quando così volesse Iddio, gli rispose Lorenzo: eh egli era fermissimo nella sua Religione, che ad essa sarebbe sempre stata conforme la sua vita, e che niuna cosa gli era sì dolce quanto il morire; se tal fosse il divino volere. Partiva [p. 61 modifica]PRIMO Gl già F. Girolamo, quando Lorenzo, Deh padre, gli disse. prima di partire, degnatevi di benedirmi. Quindi abbassando il capo , e tutto componendosi a pietà e a religione, andava rispondendo alle parole e alle preci del religioso, senza punto commuoversi al pianto de’ suoi famigliari. che era ornai pubblico e universale. Pareva che dovesser tutti morire, fuorchè Lorenzo; tanto era egli solo tranquillo nel comune dolore, e senza dare alcun segno di turbamento e di tristezza, sembrava anche in quell’estremo la consueta fermezza e costanza di animo. Stavangli intorno frattanto i medici; e per non sembrare oziosi, colla stessa loro assistenza lo tormentavano; ma egli soffriva ed accettava ogni cosa che da lor gli fosse offerta , non per lusinga di vivere, ma per non dare nella sua morte il menomo disgusto ad alcuno; e Jin all1 ultimo si mantenne sì forte y che scherzava talvolta sulla sua morte medesima; come allor quando avendogli uno offerto un cibo, e chiestogli poscia se gli piacesse y Quanto, rispose, può piacere a un moribondo. Dopo tutto ciò abbracciando tutti teneramente, e chiedendo umilmente perdono, se ad alcuno nella sua infermità avesse recata noja, e molestia, si dispose a ricevere l’estrema unzione, e alla raccomandazione dell anima. Si cominciò poscia a recitare sul Vangelo la Passione di Cristo, ed egli mostrava iC intender quasi ogni cosa, or movendo tacitamente le labbra, ora alzando i languidi occhi, talvolta col movimento ancor delle dita. Finalmente fissando gli occhi in un Crocifisso d1 argento e ornato [p. 62 modifica]62 LIBRO di gemme? e baciandolo a quando a quandot spirò. Uomo nato veramente ad ogni più grande impresa, e che erasi governato di tal maniera nelle vicende della fortuna, cui sì spesso provò or lieta, or avversa, che e malagevole a diffinire se ei sia stato o più costante nelle sue sventure y o più modesto nelle prosperità. Avea sì grande, sì facile e sì acuto ingegno, che in tutte insieme quelle cose egli era eccellente, in ciascheduna delle quali è gran pregio l'esser versato. Non v’ha chi non sappia quanto amante ei fosse della probità, della giustizia, della fede. Quanto poi egli fosse affabile, cortese e umano, lo mostra abbastanza l'amor singolare in cui egli era presso il popolo, e presso ogni ordine di persone. Ma sopra ogni cosa era in lui ammirabile la liberalità e la magnificenza, per cui ha ottenuta una gloria veramente immortale. E nondimeno niuna cosa ei faceva per desiderio solo di fama, ma principalmente per amor di virtù. Con qual impegno favoriva egli gli uomini dotti! qual onore , anzi qual riverenza mostrava per essi! quanto si è egli adoperato in accogliere da ogni parte del mondo e in comperare libri greci e latini, e quanti tesori ha egli a tal fine profusi! Possiam dir certamente che non sol questo secolo, ma tutta la posterità ancora ha fatta nella morte di sì graruf uomo una perdita luttuosa. Questa relazione, in cui si rappresenta la morte di Lorenzo de’ Medici accompagnata da’ più sinceri sentimenti di cristiana pietà, parmi assai più degna di fede, che quella dello scrittor della Vita di F. Girolamo Savonarola, pubblicata da [p. 63 modifica]l’RIMO G3 inonsig. Mansi (Baluzzi. Miscell t. 1, ed. Lucens.), in cui si narra che questi chiamato per confessare Lorenzo, avendogli intimato che era strettamente tenuto a rimettere nell’antica sua libertà Firenze, e avendo Lorenzo all1 udir lai parole volte le spalle al Savonarola, questi se ne partì senza assolverlo, talchè Lorenzo morì privo de’ sagramenti. Relazione convinta di falsità da questa lettera del Poliziano, da cui veggiamo che Lorenzo avea già ricevuto il Viatico, prima che a lui ne andasse il Savonarola, e che inoltre si smentisce da se medesima, come ognuno, attentamente esaminandola, potrà vedere, senza ch’io mi trattenga a disputare di cosa che non appartiene a quest’opera.

XVI. Passa dappoi il Poliziano a mostrare quanto ragionevolmente sperar si dovesse che il danno cagionato dalla morte di Lorenzo fosse ben compensato da’ tre figliuoli da lui lasciati, Pietro, Giovanni e Giuliano; e di Pietro singolarmente, che era allor suo scolaro, fa grandissimi elogi. Ma questi lieti presagi mal si avverarono; perciocchè Pietro due anni appresso esiliato da Firenze, condusse sempre vita raminga , come si è detto, e finì pochi anni appresso una vita infelice con una non meno infelice morte. Giuliano, il terzo de’ tre fratelli, a cui sembrava più favorevole la fortuna, fu egli pure rapito in età giovanile da immatura morte l’anno 1516. E le speranze del Poliziano non si compierono che in Giovanni, che era già cardinale, e che fu poscia pontefice col nome di Leone VIII, il quale diede ben a vedere quanto a ragione avesse quell’uomo dotto scritto [p. 64 modifica]64 LIBRO allora di lui, elio, benché giovinetto di diciotto anni, mostravasi già sì destro nel maneggio de’ gravi affari dal pontefice affidatigli, che avea a sè rivolti gli occhi di tutti, e risvegliata di se medesimo un’altissima aspettazione. Ma noi no vedremo i successi nel tomo seguente.

XVII. Il regno di Napoli, dopo la morte del re Roberto, era stato continuamente lacerato e sconvolto da domestiche e da esterne guerre che avean recato gran danno alla letteratura di quelle provincie. Nè io trovo alcun sovrano da cui si possa dire che le scienze ricevessero ivi protezione a favore fino a’ tempi di Renato d’Angiò e di Alfonso d’Aragona, che lungamente si disputaron quel regno. Renato avea in pregio gli studj, e ne vedremo in pruova gli onori ch’ei rendette in Marsiglia a Giammario Filelfo solo per ciò eli' era uomo erudito. Ma breve regno egli ebbe, e sempre fra ’l tumulto dell’armi, e fra ’l pericol di perdere quella corona cui di fatto dovette poi cedere ad Alfonso. Questi, benchè guasto da molti vizj che ne oscuraron la fama, nel mostrarsi però splendido protettor delle scienze non fu inferiore ad alcuno. Noi vedremo a suo luogo gli onori di cui fu liberale a Francesco Filelfo, a Lorenzo Valla, ad Antonio Panormita, a Bartolommeo Fazio, e a più altri uomini dotti di quella età. Era in fatti la corte d’Alfonso uno de’ più dolci ricoveri per le scienze e per le arti, ov’esse eran sicure di ricevere ricompensa e favore. Lorenzo Valla racconta (Recriminat in Facium, l. 4 init.) ch' ei soleva farsi leggere qualche antico scrittore, la cui lettura era spesso interrotta [p. 65 modifica]PRIMO G5 dalle erudite quistioni che or egli , or alcun altro de’ circostanti movevano. A questa lezione soleva egli (Panormita, De die ti s et factis Alphons. l. 4, n. 18) che lecito fosse ad ognuno 1 intervenire; e i fanciulli studiosi ancora ammetteva a tal fine nelle sue stanze, escludendone, se facesse bisogno, i più ragguardevoli cortigiani che ad altro fine vi si recassero. Ed era sì avido di un tal esercizio, che leggendosi un giorno la Storia di Livio, mentre ivi presso faceasi un armonioso concerto di musicali stromenti, il re impose a questi silenzio (ib. l. 1 , n. 16). La Vita di Alessandro Macedone scritta da Quinto Curzio, e lettagli dal Panormita, mentre giaceasi infermo in Capova , talmente lo dilettò, che non fu d’uopo d’altra medicina a guarirlo (ib. n. 43). Nel tempo ancora in cui egli era armato in guerra, non lasciava passare alcun giorno in cui non si facesse leggere qualche tratto de’ Comentarj di Cesare (ib. l. 2, n. 13). Somigliante piacere provava egli nell’udire qualche eloquente oratore; e due scrittori di que’ tempi ci narrano (ib. l. 1 , n. 45; et Naldus Naldius Vit. Jannotili Maiu l/ii, voi. 20 Script. Rer. ital. p. 550) che quando Giannozzo Manetti, spedito a lui ambasciatore de’ Fiorentini , tenne innanzi ad Alfonso la sua orazione, questi ne restò preso per modo, e udillo con sì profonda attenzione, che non levò pur una volta la mano a cacciar una mosca che gli si era fermata sul naso. Di questo singolare impegno di Alfonso a pro delle lettere, fu testimonio in quella occasione lo stesso Manetti; e il Naldi, che ne ha scritta la Vita, ci Tiiuboscui, Voi VII. 5 [p. 66 modifica]66 LIBRO descrive il fiorente stato in cui esso trovò allor quella corte, alla quale, dice egli (l. cit), accorrevano gli uomini dotti non altrimente che ad Alessandro il Macedone e ad Augusto, e il re accoglievali con onore, e gli ammetteva sovente alla famigliare sua conversazione. Egli volle far pruova del saper di Giannozzo, e un giorno improvvisamente il fece assalire da quanti uomini eruditi avea alla sua corte, i quali su molti argomenti gli mosser dubbj e quistioni. E avendo Giannozzo soddisfatto a tutti con universal maraviglia, Alfonso lo ebbe poscia sempre carissimo. Un’altra volta dovette il Manetti recarsi alla corte di Alfonso per suoi privati affari, e allora trovò il re (l cit p. 594) che trattenevasi nella sua biblioteca disputando con molti uomini dotti del mistero della Trinità, nella qual disputa entrato il Manetti, riportò di comune consenso, e per giudizio del re medesimo, sopra tutti la palma. Quindi non solo ottenne da Alfonso quanto bramava, ma questi colle più cortesi maniere invitollo a star seco, fino a dirgli che se un pane solo gli fosse restato, l’avrebbe diviso con lui. E avendo Giannozzo accettate sì cortesi proferte, il re ne fu così lieto, che assegnogli l’annuo stipendio di novecento scudi d’oro , ed ebbelo sempre, finchè visse, in tal pregio, che non v’avea cosa che Giannozzo chiedessegli, e non 1 ottenesse. Più altre pruove si arrecano da Antonio Panormita della singolare munificenza di questo principe verso le scienze, la gran copia de’ libri da lui raccolta , il piacere che provava, quando alcun venivagliene offerto, di che [p. 67 modifica]PRIMO 67 diremo altrove; la scelta da lui fatta di due dottissimi uomini, cioè di Lodovico da Ponte e di Niccolò palermitano per suoi oratori al concilio di Basilea (l.:2, n. 11); le lettere da lui richiamate nel suo regno d1 Aragona, onde da molti secoli erano al bando (l. 1 , n. 5); il lustro da lui accresciuto alle scuole di Napoli e alle teologiche singolarmente, alle quali andava egli stesso talvolta a piedi, benchè fosser lontane, e con somma attenzione udivane i professori (ib. n. 39); la cura ch’ei si prendeva di far istruir negli studj i giovani dotati di grande ingegno , ma poveri di sostanze , cui raccomandava perciò altri ai professori d’eloquenza, altri a’ filosofi, somministrando quanto lacca bisogno al loro sostentamento; e il donar che faceva a’ teologi parimente poveri, con che giugnere all1 onor della laurea, e l’assistere egli stesso alla cerimonia solenne con cui essa veniva lor conferita (l. 2, n. 52). Finalmente, dopo avere questo scrittore tessuta una numerosa serie d’uomini dotti mantenuti alla corte d’Alfonso, io lascio in disparte, dice (ib. n. 61), i filosofi, i medici, i musici, i giureconsulti, de’ quali è piena la reggia, tutti dal re onorati e arricchiti, perciocchè se di tutti volessi non già formare un encomio, ma ripetere i soli nomi, a ciò solo richiederebbesi un gran volume. Magnifico è parimente l’elogio che di questo re ci ha lasciato il pontefice Pio II nella sua Descrizion dell’Europa, e di cui recherò qui qualche parte secondo la traduzione di Fausto da Longiano (c. 65). In ogni etade di sua vita diede opera alle Lettere, peritissimo nell’arte [p. 68 modifica]68 LIBRO della Grama tic a, ancorché di rado parlasse; ebbe in onore tutte le istorie, e seppe tutto quello che dissero i Poeti e gli Oratori: agevolmente scioglieva i dialettici intrichi: niuna cosa gli fu incognita della Filosofia: investigò tutti i segreti della Teologia: egli seppe gentilmente o dottamente ragionare dell essenza di Dioy del libero arbitrio dell’uomo, della Incarnazione del Verbo, del Sacramento dell Aitate, della Trinità, e il altre difficilissime questioni: in rispondere era breve, e raccolto, ec. Più magnifico ancora è l’elogio che fece del re Alfonso I d’Aragona Jacopo Curlo genovese in una lettera ms. che si conserva nella libreria del monastero di S. Michel di Murano, e che è stata pubblicata di fresco (Bibl. MSS. S. Mich. Ven. p. 2t)5). Superioribus mensibus 7 scrive egli al re Ferdinando di lui figliolo , Rex inclyte itaque praeclarissime , Divus Alfonsus pater tuus Regum celeberrimus, pridie quam morbo, a quo tandem consumprus est, corriperetur , facto prandio , cum in Bibliothecam suam ornatissimam de more se recepisset, lectionem audivit, quam praeceptor suus Antonius Panormita quotidie agebat; ibique cum Tu prope eum sederes, et ego adessem una , et nonnulli etiam familiares, mentio facta est de Ællii Donati Commentario in Terentii Comoedias, quod cum admodum Regi et omnibus probaretur, continuo inijunxit mihi, ut id in Vocabularii modum et formam quamdam redigerem, ec. Quindi passa alle lodi del re Alfonso, e rammenta con quanta bontà l’avesse accolto alla sua corte, e ricorda principalmente che un giorno, in cui Alfonso [p. 69 modifica]Pili HO G9 cavalcando con molti nobili si avvenne in lui e il vide vestito a lutto per la morte del padre, chiamatolo a sè, prese a confortarlo con un amorevol discorso el11 ei riferisce distesamente. Si fa poscia a celebrare la munificenza di quel gran principe verso le lettere e verso i letterati: Literarum autem quam fuit unicus cultor et amator, testis est omnis Italia. Quae illi comparandorum librorum cura et diligentia! Quos ille viros in omni doctrinae genere prae se suis stipendiis habet vel habuit! Quem praetermisit omnino, in quo specimen aliquod eluceret ingenii, quem non ad se vocarit, coluerit, ornarit, et praemiis ac dignitatibus honorarit! E viene ad annoverare molti de’ dotti da lui favoriti: il Cardinal Bessarione che, venuto a Napoli per motivo di sanità, fu dal re accolto e lungamente trattenuto con sovrana magnificenza; f Epida teòlogo spagnuolo, da lui udito più volte, e promosso poscia al vescovado di Urgel; Ferdinando da Valenza teologo e predicatore insigne, a cui Alfonso volle conferire l’arcivescovado di Napoli, da lui però ricusato modestamente; Luigi Cardona parimente teologo, dal re pure udito più volte, e con ampio stipendio rimunerato; Giovanni Solerio altro teologo, udito spesso dal re, e premiato col vescovado di Barcellona; Antonio Panormita, le cui lezioni udiva il re quasi ogni giorno, e che fu da lui dichiarato regio precettore, consigliere e segretario, e amato teneramente; Bartolommeo Fazio, compatriota del Curlo, che lungo tempo fu presso il re, a cui offrì le sue opere, e da cui fu splendidamente rimunerato; [p. 70 modifica]JO LIBRO Teodoro Gaza , cui dopo la morte di Niccolò V chiamò Alfonso, e onorevolmente trattenne alla sua corte; Giannozzo Mannetti, a cui fece assegnare lauto stipendio, dichiarandolo ancora suo consigliere; Leonardo aretino, Poggio fiorentino , Giorgio da Trabisonda, Lorenzo Valla , Pier Candido Decembrio, che , avendo ad Alfonso offerte le loro opere, n’ebbero magnifiche ricompense; Giovanni Aurispa che per qualche tempo fu onorevolmente da lui mantenuto alla sua corte; Antonio Cassarino, maestro del Curlo, il quale pure era stato con grandi premj! invitato da Alfonso, ma f improvvisa morte gli tolse il poterne godere; Niccolò Sagundino che gli fu caro e famigliare, Francesco Filelfo che, essendo venuto alla corte di Alfonso, e avendogli lette le sue Satire, ne riportò magnifiche ricompense; Niccolò da Sulmona filosofo e fisico eccellente , eh1 ci tenne presso di sè con ampia mercede; Gioviano Pontano finalmente, e molti altri da lui amati, favoriti e premiati. E continua ad annoverar le altre lodi di Alfonso, che a questo luogo non appartengono.

XVIII. Ferdinando, figliuolo legittimo e successore di Alfonso, imitò gli esempj paterni nel fomentare le lettere, e più ancora che il padre .le coltivò. Perciocchè di lui abbiamo alle stampe un volume di Epistole e di Orazioni, le quali però non ho io potuto vedere per conoscere qual prova ci diano del talento e degli studj di questo principe. Era egli stato scolaro del Valla, del Panormita , dell1 Attilio , di altri uomini eruditi, de’ quali tanto abbondava la corte d’Alfonso; e da essi apprese quanto convenga [p. 71 modifica]i PRIMO 71 a un principo l’essere protettore e animatore delle scienze. Napoli a’ tempi di Ferdinando fu piena di colti ed eleganti scrittori; e Antonio Campano , Gioviano Pontano, Pandolfo Collenuccio, e più altri fiorirono allora, e allor parimente cominciarono ad aver nome il Sannazzaro, Angelo da Costanzo, Alessandro d’Alessandro , ed altri, de’ quali dovrem parlare nel tomo seguente. L’università di Napoli fu da lui provveduta di egregi professori, e alcuni se ne annoverano dal Gì annone (l. 27 , c. ult.). Gli altri tre Aragonesi che succederono a Ferdinando , vissero in tempi troppo sconvolti, ed ebbero troppo breve impero , perchè potessero colla loro munificenza fomentare gli studi.

XIX. Assai più ristretto era il dominio de’ Gonzaghi signori e poi marchesi di Mantova; e nondimeno nella magnificenza impiegata a pro della scienze sembrarono gareggiare co’ principi finor mentovati. A conoscere quali fossero in ciò le premure del marchese Gianfrancesco , basterà ciò che dovremo altrove vedere, cioè il chiamare ch’ei fece a Mantova il celebre Vittorino da Feltre, e il dargli ad istruire i suoi figli e una sua figlia. udremo allora quali encomj scrivesse di un tal maestro insieme e di tali scolari Ambrogio camaldolese, che due volte si avvenne a passar di colà, e vide con sua maraviglia, quai lieti progressi questi giovani principi vi facessero. Francesco Prendilacqua da Mantova nella Vita del suo maestro Vittorino, pubblicata di fresco dal eh. signor [p. 72 modifica]73 LIBRO Natale delle Laste, e con erudite ed esatte annotazioni illustrata dal sig. D. Jacopo Morelli, racconta che Gianfrancesco, oltre l’avere a Vittorino assegnati venti scudi d’oro al mese, fece addobbare una casa in cui egli dovesse separatamente abitare insieme coi suoi scolari, e che in essa vedeansi gallerie e passeggi assai dilettevoli, e vaghe pitture che rappresentavan fanciulli fra loro scherzanti, onde quella casa fu detta giocosa (Vitii Vieto rin i Fcltr. Patav. 1774 P- 47)- La scuola di Vittorino era al medesimo tempo frequentata da più altri giovani, che non sol da ogni parte d’Italia, ma dalla Francia ancora, dall’Alemagna, e perfino dalla Grecia colà si recavano (ib. p. 51). E Mantova pel sol Vittorino, e per la sola protezione a lui accordata da Gianfrancesco, otteneva allora fama non disuguale a quella delle università più famose. Di questa gloria entrò a parte ancor Paola de’ Malatesti moglie di Gianfrancesco; perciocché, come pruova l'ab. Mehus (Vita Ambr. camald. p. 409) col testimonio di Vespasiano fiorentino, ella fu matrona istruita ne’ buoni studj, e a lei singolarmente dovettesi la nobile educazione che diede alla sua prole. Lodovico, figliuolo e successore di Gianfrancesco, apprese da lei ad esser benefico verso gli uomini dotti. Francesco Filelfo, il qual bramava che sopra ogni altra virtù fossero i principi liberali a vantaggio delle scienze, e che * spesso colle sue lettere gl’importunava a darne a lui medesimo qualche pruova , scrisse, nel gennaio del 1452, a Lodovico, pregandolo di [p. 73 modifica]PIUMO 73 non so qua! somma (l. 8, cp. 8), ed ebbela tosto; poichè abbiamo la lettera con cui il ringrazia che abbia ascoltate la sue preghiere (ib. ep. 10). L’anno seguente sotto pretesto di una sua figlia che dovea dare a marito, gli chiese di nuovo cinquanta scudi d1 oro (ib. l. 11, ep. 30), promettendogliene la restituzione nelle lodi che di lui dette avrebbe nella Sforziade, cui stava allor componendo. In questa lettera confessa il Filelfo, che era questa la terza volta in cui ricorreva a lui per soccorsi; e questa volta ancora Lodovico il compiacque , come raccogliam dalla lettera piena di encomj che poco appresso il Filelfo gli scrisse ib. ep. 32). Convien dire anche, che nel 1457 ei ricevesse qualche novella pruova della bontà che avea per lui Lodovico, perciocchè in una lettera a lui scritta in quest’anno (l. 14 , ep. 1), gli rende grazie pe’ magnifici donativi che ne riceve ogni anno 5 e dice che non è maraviglia che Lodovico sia in venerazione e stima presso tutti i dotti, perciocchè egli supera in eloquenza e in dottrina tutti i principi italiani, e a’ coltivatori delle belle arti si mostra sempre magnifico e liberale. Nella lettera stessa lo esorta a non permettere che il suo figliuol Federigo abbandoni, come parea doversi temere, gli studj, e a porgli a fianco un valoroso e accorto maestro che direttamente lo scorga sul cammin delle scienze, e lo animi a non essere in ciò da meno del padre e degli antenati. Io non trovo però, ch’egli seguisse in ciò gli esempj di Lodovico e di Gianfrancesco. Di Francesco di lui figliuolo direm nel tomo seguente. [p. 74 modifica]74 LIBRO

XX. Tra’ marchesi di Monferrato Teodoro II, e Gianjacopo di lui figliuolo non veggo che celebrati sieno dagli storici per protezione da essi accordata alle lettere. Di Giovanni IV, figliuolo e successor di Gianjacopo, dice Benvenuto da Sangiorgio (Ili st. Montisf. vol. 23 Script. rer. ital. p. 109)) che fu munifico, gentile e benignissimo signore. E che di questa magnificenza usasse verso de’ letterati, si può congetturare da alcune lettere a lui scritte da Francesco Filelfo, il quale non teneva commercio se non con que’ principi da’ quali sperar poteva opportuni aiuti. In una lettera, scritta nel 1457 (l. 12, ep. 14), si protesta il Filelfo di avere per lui riverenza e amore non ordinario, sì pe’ beneficj che ne ha ricevuti, sì perchè egli è degno di essere da tutti i dotti rispettato ed amato. In un’altra, dell’anno seguente (l. 14, ep, 35), egli manda un suo libro intitolato De jocis et seriis; e il loda, perchè si diletta de’ gravi non meno che de’ piacevoli studj. In un’altra per ultimo, del 14^9 (/• 15ep. 10), gli raccomanda un certo Demetrio Paleologo, e rammenta la munificenza e l’amore con cui Giovanni avea accolti più altri Greci dopo la caduta di Costantinopoli. Guglielmo VIII! ottenne ancor maggior lode , e 1’eruditissimo proposto Irico ha pubblicato alcuni versi (Hist. triden. p. 207 , ec.) di Paolo Spinosa romano poeta di quell' età, in cui esalta il coltivar che Guglielmo faceva gli studj, quando avea qualche tregua dalle continue guerre; ne loda singolarmente la perizia nell’uno e nell' altro Diritto, e molto più 1' eleganza del poetare, accennando [p. 75 modifica]PRIMO 75 le poesie da lui composte, delle quali per altro nulla or ci rimane. Abbiamo in fatti più libri dati allora alle stampe, e a lui dedicati come splendido mecenate. A me basta accennare la bella edizione di Dante , fatta in Milano l’anno 1478, co’ Comenti di Guido Terzago, e dedicata a Guglielmo da Martino Paolo Nibbia (che in latino si appella Nidobeato) novarese. In essa egli lo celebra non solo per guerriero valoroso, ma pel coltivamento ancora de’ buoni studj, ne’ quali dice eli’ ei può gareggiar con chiunque non sol di quella , ma di tutte le età passate, e io non so, dice egli, se sia cosa più ammirabile, che tu con piacevole impero governi i suoi sudditi, e col maturo senno i tuoi confinanti ed alleati, i quali a te ricorrono non altrimente che all’oracolo di Giove, o di si palline, ovvero che di mezzo a sì gravi cure tu possi pure toglierti talvolta a te stesso, e impiegar nello studio molte ore ogni giorno; imitando in ciò Caio Cesare, di cui si narra che anche tra le guerre continuando i suoi studj, non lasciò passar giorno senza qualche erudita lettura. Tu ben sai che per ventisette anni presso te io sono stato or leggendo, or ascoltandoti leggere; e spesse volte mi sono maravigliato che essendo tu stato fin da giovinetto fra C armi, che nemiche son delle lettere, abbi nondimeno acquistato sì vasto sapere, quanto appena ne hanno coloro che tutta la vita passano diligentemente e faticosamente nelle scuole de’ Filosofanti. Ne loda poscia la cortesia e la liberalità verso tutti, cui lo stesso Nibbia avea di continuo provata in se stesso [p. 76 modifica]76 LIBRO pe1 tanti doni ed onori che da Guglielmo avea ricevuti , pei quali, dice, tu hai fatto che nè io nè i miei posteri potessimo esser poveri.

XXI. Nè dobbiam qui passare sotto silenzio i duchi di Savoia, i quali essendo ormai divenuti assai potenti in Italia , rivolsero il loro pensiero a procacciare alle provincie loro soggette i vantaggi che dagli studj e dall’arti sogliono derivare. Noi vedremo sul principio di questo secolo fondarsi l’università di Torino, e la vedremo onorata non solo in que’ primi anni, ma ancor nel decorso, da molti celebri professori; pruova evidente del patrocinio el11 essi trovavano presso que’ duchi, e de’ vantaggi che ne traevano. La mancanza però di storici contemporanei, riguardo a questi Stati, ci priva di molti pregevoli monumenti che una maggior diligenza a gloria di que’ sovrani ci avrebbe serbati (a). (a) La storia letteraria del Piemonte già da alcuni anni ha cominciato a ricevere nuova luce da molti valorosi scrittori che in diversi passi di questa nuova edizione si vanno indicando; e possiam lusingarci che tra non molto essa sarà illustrata non meno che quella delle altre provincie d’Italia. Qui basti l’accennare eh* io ho veduto un Discorso ms. del ch. sig. Vincenzo Malacarne intorno alla Letteratura saluzzese a’ tempi di Lodovico II, marchese di Saluzzo, dal 14'5 al 1504, e di Margherita di Foix di lui moglie, nel quale egli assai bene dimostra che que’ due principi non furono da alcun altro del secol loro inferiori nel coltivare e nel promuovere le scienze , e ne reca luminose pruove tratte singolarmente da un Diario ms. di Bernardino Orsello, e da più opere di F. Giovanni Lodovico Vivaldo dell’Ordine de’ Predicatori, e di Bernardino Dar dano parmigiano, i quali tutti viveano in quella cort» [p. 77 modifica]PRIMO 77 XXH. L1 antica e nobil famiglia de1 conti di Montefeltro; e poi duchi d1 Urbino, era stata in addietro , più che delle lettere , amica del1’armi. Ma i due ultimi, ne’ quali essa ebbe fine , Federigo e Guidubaldo , furori principi ai Era essa di fatto un cortese ricovero di teologi, di filosofi, di medici, di giureconsulti e di letterati, dei quali nel detto ragionamento ci si schiera innanzi un buon numero. Aveva il marchese Lodovico eretta un’accademia , a cui egli medesimo interveniva j e non solo egli, ma anche la marchesa Margherita, per animar gli accademici col loro esempio, si degnavan talvolta di leggervi i loro componimenti. Avea il marchese coltivati diligentemente gli studj d’ogni maniera’ , e tutti coloro che avean la sorte di essergli appresso, n1 esaltano con somme lodi la prontezza dell' ingegno , la moltiplicità delle cognizioni, la vasta memoria , per cui avea presenti e recitava prontamente i più bei passi de’ più celebri autori; e in mezzo ancora alle difficili cure del governo , e fra’ tempi calamitosi, ne’ quali ebbe la disgrazia di vivere, ei non cessava di dare allo studio tutto quel tempo di cui poteva a suo arbitrio disporre. Egli stesso avea composte più opere; perciocchè l’Orsello rammenta la traduzione da lui fatta dal greco dell’opera di Leone imperadore intorno al modo di schierare gli eserciti, e un trattato da lui scritto intorno alla difesa e all’assedio delle fortezze, e intorno al guardar le riviere. Queste opere non han veduta, ch’io sappia, la luce. Ma un’altra ne fu pubblicata in Saluzzo nel 14*)9» che ha per titolo: L’opera del buon governo dello Stato compilato dallo Illustrissimo et clementissimo Ludovico Marchese de Saluthio mio Signore , et correcta per Medici Bernardino Dardano Parmense. E questa stamperia introdotta in Saluzzo fu opera essa pure delle provvide cure del marchese di Saluzzo , e sembra che ivi essa fosse fin dal 14?| come altrove vedremo. Crede inoltre il sig. Malacarne che del marchese Lodovico possa essere l’Art de Cavalerie selon Vegece , stampata l’anno 1488 in Parigi, ove il [p. 78 modifica]78 LIBRO par di ogni «altro magnifici e generosi verso gli studj. Federigo, mandato in età giovanile a Mantova per isfuggire la peste, ebbe la sorte di ritrovare in Vittorino da Feltre, di cui parlerem tra’ gramatici , un maestro che seppe accendergli in cuore un fervente amor per le lettere, e condurlo in esse si avanti, ch’ei divenne un de’ più colti principi di questa età. E ne avremo in pruova in questo libro medesimo la copiosa e scelta biblioteca da lui aperta in Urbino. Qui sarò pago di riferire, tradotto in italiano, un tratto della lettera con cui Pirro Perrotti gli dedica la Cornucopia di Niccolò suo zio. Ma assai più felice è questo libro, die’ egli, perche tu il primo l’accoglierai, e gli darai luogo in cotesto tuo palagio degno veracemente di un principe vincitore. Al vedere ctì esso farà ivi ogni cosa risplendente di marmo, di argento e cl oro, all entrare in cote sta tua magnifica biblioteca, benchè mutolo e senza vita, parrà marchese allora trovavasi, perchè si sa clic su quell1 autore ancora egli erasi esercitato scrivendo. Innoltre fu splendido protettore delle belle arti; e ne rimangon le prnove negli ornamenti che tuttora si veggono nel castello di Saluzzo, o in più chiese da lui fatte innalzare. Ma un1 opera singolarmente egli intraprese e condusse a fine felicemente, unito col marchese di Monferrato e col re di Francia, che basterebbe a renderne immortai la memoria. Fu essa una strada scavata entro il Monviso , per cui in breve tempo e agevolmente passavusi dal Piemonte nel Delfinato, schivando il circuito lungo di tre giornate, che senza esso richiedesi; strada rlie mantennesi lungo tempo aperta e battuta, c che ora in gran parte sussiste, e potrebbe agevolmente ripararsi, come ci assicura il soprallodato sig. Malacarne clic l’ha veduta , e a cui debbo tutte queste notizie. [p. 79 modifica]PRIMO ^9 nondimeno che si rallegri ed esulti. Esso sarà talvolta letto da te, in cui rifioriscono le virtù tutte che si possan bramare in un principe, ne proverà la bontà , la clemenza, la cortesia, la saviezza. Teco vedrà i portici, i palagi, i templi che con tante spese e con sì grande magnificenza costì s innalzano. Ammirerà in te la sperienza nell’arti di pace e di guerra. Udirà le tue imprese domestiche ed esterne, le vittorie maggiori di ogni aspettazione, gli stratagemmi 7 i trionfi, la gloria, che non ha altri confiniy che il corso del sole. Stupirà al vedere la tua quasi sovrumana grandezza di corpo, la robustezza delle membra, la dignità del sembiante , la maturità degli anni, una certa singolar maestà congiunta con ugual cortesia, tale insomma , qual conveniva che fosse un principe , cui il romano pontefice con tutto il sagro senato ha di recente eletto a governatore ed arbitro di tutto lo Stato ecclesiastico. Sarà esso inoltre compagno e partecipe dei tuoi ragionamenti. Vedrà quanto onori i professori di eloquenza, con quanta degnazione accogli gli uomini dotti; talchè sembra che gli studj delle beir arti, esuli prima e raminghi, abbian per te solo ricuperata e la vita e la patria. Nè minori sono gli elogi con cui ne ragiona il Prendilacqua nella Vita poc’anzi mentovata di Vittorino, ch’ei dedicò al medesimo Federigo. Descrive egli a lungo la belle speranze che dava di se medesimo fin d’allora quel giovane principe, in cui non sapeasi se più dovesse lodarsi la nobil maestà del sembiante, o la singolare modestia che ad essa andava congiunta j dice [p. 80 modifica]80 jLtnno di’ ei fu il migliore tra gli scolari di Vittorino, e al suo maestro sì caro, che questi non sapea favellarne senza sparger lagrime di tenerezza^ e ne fa poscia un magnifico elogio, rammentando quanto felicemente in lui si avverassero le concepute speranze, così ne’ progressi che fece nella letteratura greca e latina, come nelle grandi imprese di pace e di guerra, in cui poscia si segnalò (l. cit. p• 19, ec.). Gloria ancor maggiore per riguardo alle lettere ottenne Guidubaldo di lui figliuolo e successore nel ducato d’Urbino. Il Cardinal Pietro Bembo nell’ ^legante suo libro delle lodi di questo principe e di Lisabetta Gonzaga di lui moglie, ha inserita r orazion funebre che neir esequie di lui recitò Lodovico Odassi padovano () (V. FaccioL (•) Questa orazione fu stampata in Pesaro nel luglio dello stesso anno i ’ToS in cui morì quel gran principe, Io l’ho veduta per gentilezza del più volte lodato Padre Ireneo Afiò, che mi ha trasmessa la copia ch’egli tiene di questo assai raro libretto: e il vederla mi ha fatto conoscere che il Bembo, benchè dica di produrre l’orazion funebre dell’Odassi, ci dà nondimeno un’orazione fatta da lui stesso. Certo l’orazion dell’Odassi, nell’accennata edizione, è totalmente diversa da quella che leggesi nel libro del Bembo. « Di Lodovico Odassi si ha ancorai Tabula Cebetis per Ludovicum Odaxium Patavinum e Graeco conversa. Quest’opera si suole attribuire a Filippo Beroaldo il vecchio, che la pubblicò in Bologna nel 1497 (Fantuzzi, Scritt. bol. t. 2,p. 124). Ma ei non vi ha che la dedica a Bartolommeo Bianchini , in cui chiaramente dice; Quam latinitate donavit luculentus interpres mihique amicissimus!, de quo illud dici meritissime potest: Cecropiae commune decus Latinaeque Minervae. Vi si aggiugne la traduzione dell’opuscolo di Plutarco De vividi a et odio, che forse è [p. 81 modifica]PRIMO 8l fasti Gymn. patav. pars. 2 p. 89)., statogli già maestro. Questi dopo aver rammentata al principio la tenerezza che Guidubaldo avea sempre per lui avuta, e i beneficii, le ricchezze, gli onori che aveane ricevuti (p. 42, ed. Rom. 1548), narra di se medesimo (p. 55), che essendo stato chiamato da Padova per istruire questo giovane principe, e temendo che fosse soggetto egli pure a’ vizi propri di quell1 età, vide con suo stupore quanto senno egli avesse in sì pochi anni, e con quanto ardore si rivolgesse agli studj, ne’ quali dice che fece sì lieti progressi, che ormai non rimaneva più che insegnargli; eh1 ei possedeva la lingua latina come i più posseggono la volgare, e che nella greca era sì sperto, quanto nella latina i più dotti, fino ad osservarne le più minute leggi e la più delicata eleganza; talchè ei temeva che di Guidubaldo non avvenisse ciò che a’ fanciulli di strano ingegno avviene non rare volte, cioè che sien presto da immatura morte rapiti. Dopo aver f Odassi così parlato della prima educazione di Guidubaldo, viene a svolgerne le imprese e le lodi, e parla prima delle altre virtù che a questo luogo non appartengono ,• quindi viene a lodarne il sapere e la moltiplice erudizione (p. 67, ec.). E certo il ritratto eli’ ei ce ne forma, non può essere più ammirabile. Principe dotato da una maravigliosa eloquenza, per dello stesso Odassi. Questo scrittore, clic nelle sue opere dicesi padovano , dal P. Calvi , non so su qual fondamento , è posto Ira’ bergamaschi. Di Tifi di lui (rateilo parleremo nel tomo seguente. » [p. 82 modifica]83 LIBRO cui persuadeva agevolmente qualunque cosa volesse , e faceasi udire con universale stupore ragionare in tal modo all1 impensata su qualunque argomento , che meglio non potrebbe dopo lungo studio il più sperto oratorej versato per tal maniera nelle storie di qualunque secolo e di qualunque nazione, che non vi era in esse cosa alcuna di qualche momento, ch’ei non avesse presentefornito di sì vasta e sì tenace memoria , che ripeteva a mente lunghi tratti di libri che dopo dieci o quindici anni non aveva più letti; dotto nella geografia per modo, che niuno sapeva tanto la situazione di un suo podere, quanto egli quella di qualunque monte , di qualunque fiume del mondo: perito inoltre nella filosofia, nella teologia, nella medicina, quanto il potesse qualunque uomo in quelle scienze più consumato. Protettore al medesimo tempo ed amico (p. 82) di tutti i dotti, sempre avea seco al fianco , anche in tempo di guerra , filosofi , matematici, poeti, professori di belle lettere, a’ quali tutti rendeva grandissimi onori , e quello singolarmente più d’ogni altro pregevole della sua famigliar confidenza. L’Odassi si protesta più volte nel decorso della sua orazione , eh1 ei parla da storico, non da oratore, che non dice cosa che non sia certissima e a tutti nota, e ne appella alla testimonianza di que’ medesimi a cui ragiona. Nè è egli solo che così ne parli. Leggasi la lunga lettera che Baldassar Castiglione scrisse in latino sullo stesso argomento, e che pochi anni addietro è stata data alla luce (Lettere del co. BaUl. Casti gl. t. 3. p. 348, ec.), [p. 83 modifica]PRIMO 83 e si vedrà che non solo egli conferma tutto ciò che affermasi dall’Odassi, ma si avanza ancora più oltre nelle lodi di questo gran principe, a cui non può negarsi il vanto di essere stato uno de’ più splendidi mecenati che in questo secolo avesse l’italiana letteratura. Anche la duchessa Lisabetta, moglie di Guidubaldo, viene dal Bembo in quel libro medesimo commendata qual donna che amasse molto i buoni studj e gli uomini dotti, e singolarmente i poeti, e che inoltre parlasse e scrivesse con singolare eleganza (p. 127).

XXIII. Anche tra’ principi ch’ebbero in questo secolo assai più angusto dominio in Italia, troviam non pochi nei quali vien commendato l’amor che aveano pe’ buoni studj , e l’onor che rendevano agli studiosi. Giovanni Pico della Mirandola scrivendo a Galeotto Manfredi signor di Faenza (l. 8, ep. 9), il loda perchè sia ben esperto nell’arti di Marte non meno che di Minerva, e al valore nell’armi congiunga il genio e l’amore della poesia; e dice beata Faenza a cui è toccato in sorte l’avere un tal principe. Parlando dei gramatici di questa età, vedremo che Antonio Urceo fu da Pino Ordelaffi signor di Forlì chiamato ad istruir nelle lettere il suo figli noi Sin ib aldo, cd ebbe da lui onorevole alloggio in sua corte. Alessandro Sforza signor di Pesaro dovea essere egli pure principe liberale verso gli eruditi , poichè veggo che Francesco Filelfo, il qual di tutti volea far pruova , a lui si volse nel 1453, chiedendogli denaro per far il viaggio a Roma (l. 11 , ep. 6, 14) c lingraziollo [p. 84 modifica]84 LIBRO poscia perché avesse promesso di ascoltare le sue preghiere (ib. ep. 15). Par nondimeno che in vece di denaro gli mandasse Alessandro un panno di color di rosa 7 perciocché di questo lo ringrazia il Filelfo in una sua lettera scritta pochi giorni appresso (ib. ep. 17). Ma il panno a ridurlo ad abito voleva essere impellicciato; e il Filelfo non ebbe rossore di scrivere l’anno seguente a Cristoforo Marliani, perchè inducesse Alessandro a render così compiuto il suo dono (l. 12, ep. 30); nel che però non trovo s’ei s’inducesse a soddisfare a sì importuno chieditore (a). Anche da Sigismodo Pandolfo Malatcsta signor di Rimini ricevette il Filelfo donativi ed onori , come raccogliamo dalla lettera che in ringraziamento gli scrisse (l. 13, ep. 3i). Ma assai più grande elogio ci ha di lui lasciato Roberto Valturio, che a lui dedicò i suoi libri De re militari. Ma e cosa, dice egli (])c re milit. I. 1, c. 3) di grande onore al tuo nome il molto leggere, disputar molto e soffrire di essere contraddetto; e il volere, benché tu abbi sì gran copia di cognizioni in ogni genere di belle arti e studi, assistere nondimeno alle dispute degli uomini dotti ne’ pubblici e ne privati banchetti; i udir con piacere le più (a) Il eh. signor Annibaie deg’i Abati Olivieri ci ha date pochi anni addietro le Memorie di Alessandro Sforza, stampate in Pesaro nel 1785$, e ha corretti molti errori che altri hanno commesso nel ragionarne, e ci ha date esatte notizie del codice in cui insieme colle Rime di Raniero da Pesaro, rini: «li Raniero degli Almerici , alcune se ne contengono di Alessandro, e di Costanzo di lui figliuolo (p. 83)■ [p. 85 modifica]PRIMO 85 astruse (quistioni della naturale filosofia; il fio* menta re i più chiari ingegni de’ poeti e degli oratori de’ tuoi tempi, e il premiarli con ricchezze e con onori; il rinnovare i sacri templi e il formare con grandissime spese nuove Biblioteche , dando a me e a più altri la facoltà di comperar libri a giovamento non sol de’ presenti, ma de’ posteri ancora. Del che io non so (qual miglior cosa e più degna possa idearsi in un principe. Così egli siegue ancora per lungo tratto a lodar questo principe, di cui rammenta e le poesie italiane composte, e le magnifiche fabbriche fatte innalzare , ed altri cotali argomenti di lode, i quali però, secondo il comun consenso degli storici di que’ tempi, erano nel Malatesta congiunti a non picciole macchie. In somma non possiam fare un passo nella storia di que’ tempi, senza incontrarci in qualche principe che colla sua munificenza si rendesse benemerito della letteratura.

XXIV. Questo uni versai consenso de’ principi in favorire le lettere fu imitato ancora da più cittadini privati, i quali sollevati alf onore della magistratura, si valsero dell1 autorità loro per avvivar sempre più quel fervore con cui tutta F Italia era allora rivolta a coltivare gli studj. Fra molti esempi che potrei qui arrecarne, mi basti un solo, cioè quello di Francesco Barbaro nobile veneto, uno dei più celebri uomini di questa età , o si riguardino gl' impieghi da lui sostenuti, o il sapere di cui fu adorno, o F impegno con cui fomentò gli studi d' ogni maniera. Io non mi tratterrò a tesserne la vita. 11 Cardinal Querini. nella Diatriba premessa alle [p. 86 modifica]86 LIBRO Lettere del Barbaro da lui date alla luce, poscia più diligentemente ancora il P. degli Agostini (Scritt. venez. i. 28 , ec.), e finalmente il co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 1 , p. 264, ec.), ci han date di lui le più esatte notizie che bramar si potessero. Nato in Venezia circa il 13c)8, ebbe la sorte di avere a’ suoi maestri i più dotti uomini che allor vivessero, Giovanni da Ravenna , Gasparino Barzizza , Vittorino da Feltre e Guarino da Verona 5 e colla scorta di essi giunse ad avere non ordinaria perizia nelle lingue greca e latina. Eletto senatore in età di soli 21 anni, fu poscia adoperato continuamente or nel reggimento delle città dello Stato , or in onorevoli ambasciate. Podestà di Trevigi nel 1423, di Vicenza nell1 anno seguente, di Bergamo nel 1430 e 1431 , di Verona nel j 4^4? capitano di Brescia dal 1437 al 1440, nel qual tempo, oltre l’acchetare le interne discordie, sostenne con felice successo il famoso assedio posto a quella città da Niccolò Piccinino) provveditor di Verona nel 1441, capitano di Padova nel 144^ » c nel 1450 e 1452 e luogotenente nel Friuli l’anno 1448, ambasciatore inoltre nel i (2( al pontefice Martino V, al congresso tenuto in Ferrara dal Cardinal Niccolò Albergati nel 1428, e poscia in Toscana, e a nome di Eugenio IV all1 imperador Sigismondo e a’ principi della Germania, e a nome dell’imperadore medesimo al re di Boemia) indi a nome della repubblica nel 1443 al marchese di Mantova, ed al marchese di Ferrara, e nell1 anno seguente al duca di Milano, e nel 1446 di nuovo al [p. 87 modifica]PRIMO 87 marchese di Ferrara; onorato in patria della cariche di consigliere , di savio, e finalmente di procuratore di S. Marco, morì in Venezia in età di circa 56 anni, l’anno 1454. Un uomo occupato sempre in tanti e si diversi e sì gravi affari pareva clic a tul11 altro rivolger potesse il pensiero, che a coltivare le lettere. E tanto nondimeno le coltivò, che pareva quasi che di esse sole si occupasse. Ne fanno fede le molte orazioni da lui recitate in diverse occasioni, che si hanno in varj libri alle stampe, scritte con quella maggior eleganza che a quell1 età poteva aspettarsi 5 i due pregiatissimi libri De re uxoria più volte stampati, e tradotti ancora in francese, opera piena di erudizione e di egregie massime) due Vite di Plutarco, cioè quelle di Aristide e di Catone il vecchio, da lui recate in latino, e la Storia dell1 assedio di Brescia scritta sotto nome di Evangelista Manelino o Manelmo, che da molti credesi opera dello stesso Barbaro) le molte lettere da lui scritte, altre riguardanti i pubblici affari. altre su varj punti di erudizione, oltre altre opere, delle quali si può vedere più esatta notizia presso i tre mentovati scrittori. Ma ciò che più lodar dobbiamo nel Barbaro, si è l’impegno con cui egli continuamente si adoperò nel protegger le scienze e gli uomini eruditi. Noi il veggiamo in commercio co’ più dotti uomini di quella età, col Poggio, con Ambrogio Camaldolese, con Antonio Panormita, col Cardinal Bessarione, con Francesco Filelfo, con Giovanni Aurispa, trattar con essi della scoperta e delf acquisto e dell1 emendazione di antichi codici. Fra I [p. 88 modifica]88 LIBRO furore delle arrabbiate contese con cui i letterati di quell’età si mordevan furiosamente l’un l’altro , non solo egli si mantenne tranquillamente neutrale, ma pose ancora ogni opera per unirli in pace, come raccogliam dalle lettere da lui scritte in occasione delle liti tra Niccolò Niccoli e Leonardo Aretino, tra lo stesso Niccoli e ’l Filelfo, tra Guarino e ’1 Poggio, e tra il Poggio stesso e Lorenzo Valla. Di queste dovrem parlare nel decorso di questa Storia; in cui pure vedremo quanto a lui fosser tenuti e Biondo Flavio e Giorgio da Trebisonda e il Poeta Porcellio e Matteolo da Perugia e più altri uomini dotti di questo secolo. Uomo perciò degno d’immortale memoria, e nella cui morte a ragione scrisse il Filelfo (l. 11 , ep. 54), che grandissima perdita fatta avea l’eloquenza , e che Venezia avea perduto in lui il più dotto uomo che avesse. Al quale elogio corrispondenti sono più altri fattine dagli scrittori di que’ tempi, e da’ mentovati autori riferiti.

XXV. Che più? Fra’ generali ancora (d’armata si videro allora uomini amanti della letteratura , e che di essa facean le loro delizie, giovandosene a sollievo delle fatiche. E basti qui il nominare quel Carlo Zeno veneziano, uno dei più famosi guerrieri che fiorissero al principio di questo secolo, e che morì, come pruova il Muratori (Script rer. ital. vol. 19, p. 199), l'anno 1418. Jacopo Zeno di lui nipote, che ne scrisse ampiamente la \ ita, racconta (ib. p. 211) che in età giovanile avea egli fatti i suoi studj in Padova, e che in essi avea risvegliate dapprima liete speranze di se [p. 89 modifica]PRIMO 8cj medesimo; ma che poscia, sedotto da’ rei condiscepoli, diedesi al giuoco, e pel giuoco vendè tutti i suoi libri. Ma venuto ad età più matura, risorse in lui lo spento amor delle lettere; e molti eruditi uomini alloggiò in sua casa, e gli onorò della sua amicizia, come narra Leonardo Giustiniani nell’orazion funebre che ne recitò nell’esequie (ib. p. 3^(5); il quale aggiugne, che Guarino da Verona singolarmente gli fu carissimo, e Antonio da Massa oratore eloquente e sublime teologo; e che Carlo nell’eloquenza sopra ogni altra cosa divenne sì celebre, che in più occasioni ei la fece ammirare all’Italia, alla Grecia, all’Inghilterra, alla Francia. Jacopo Zeno aggiugne che, negli ultimi anni principalmente di sua vita, tutto si occupò in coltivare e in promuover gli studj (ib.p. 3t.f); clic passava allora quasi tutte l’ore del giorno leggendo; e che allettava a sè i più eruditi uomini che allora fossero in Venezia, fra’ quali nomina Gabriello da Spoleti, Manuello Grisolora, Pierpaolo Vergerio il vecchio, e Pietro Tommasi, della conversazione de’ quali godeva al sommo, e faceva loro provare continui effetti di sua munificenza. XXVI Rimane per ultimo a dire de’ romani pontefici. Essi non avean forse avuto mai per 1 addietro secolo alcuno così fecondo di rivoluzioni a loro funeste come il presente. Lo scisma d’Occidente, poscia quello di Basilea, le turi» lenze di lvma che costrinsero parecchi tra essi a fuggirne, le guerre da cui il loro Stato fu di continuo travagliato, la parte che molti di essi presero ne’ pubblici affari di Europa, tulio i [p. 90 modifica]yo LIBRO ciò pareva che dovesse loro vietare il rivolgere il pensiero alla protezion delle scienze. Ma come gli altri principi di questo secolo sepper congiungere insieme il difendere i loro Stati colla spada alla mano, e il farli felici coll'avvivarvi gli studi d' ogni maniera, così molti ancora tra’ romani pontefici ne’ tempi stessi più torbidi e più pericolosi si mostrarono splendidi mecenati della letteratura non altrimenti che ne’ più tranquilli giorni di pace. Vedrem nel capo seguente, che Innocenzo VII mentre avea a contendere coll’antipapa Pietro di Luna, concepì l’ida di far risorgere più gloriosa che mai l’università romana: e il pensiero sarebbesi condotto ad effetto, se la morte non l’avesse rapito nell’atto di eseguirlo. Molto ancora da Alessandro V potean aspettarsi le scienze, perciocchè egli era uomo dottissimo, e ad esse dovea tutto il suo innalzamento, come vedremo di lui parlando nel libro seguente. Ma appena quasi ei fu salito sulla cattedra di S. Pietro, che la morte nel fe’ discendere, e il rapì alla Chiesa. Di Martino V , benchè fosse pontefice di animo grande, e dotato di molte virtù, non trovo nondimeno alcun monumento di munificenza da lui usata a pro delle lettere, tranne le Bolle da lui spedite o ad approvare, o ad illustrare con privilegi parecchie università in Italia e altrove, che del Ciaconio si accennano (t. 2, p. 826). Non così Eugenio IV, che a ragione dee annoverarsi tra (quei pontefici che si renderon benemeriti delle scienze, c*l onorarle della lor protezione. Il suddetti Giacomo , citando 1’autorità «ltila Storia i-dita di [p. 91 modifica]PRIMO ()I Egidio da Viterbo, dice (ib. p. 885) eh ei fu liberalissimo verso gli uomini dotti, e che soleva dire che non solo doveasi amare le lor dottrina, ma doveasene ancora temer lo sdegno, poichè non è sì agevole l’offendergli impunemente. Vedremo in fatti che molti fra coloro che erano allora per la loro erudizione più rinomati, ei volle in sua corte, e gli onorò dell’impegno di suoi segretarj, e vedremo ancora che a lui si dovette il risorgimento dell’uni versili» romana, tentato già invano da Innocenzo VII. Oltre di che, se altro non avesse egli fatto che sollevare all1 onor della porpora il dottissimo Cardinal Bessarione, avrebbe con ciò solo recato gran vantaggio alle scienze, come sai a palese da ciò che, parlando di questo gran cardinale, dovrem riferire.

XXVII. Ma niuno tra’ romani pontefici andò tant’oltre nell1 avvivare gli studj, e nel rimunerar largamente i loro coltivatori , quanto il pontefice Niccolò V. Dovea egli alle lettere tutta la sua elevazione. Perciocché, nato da poveri genitori , coll indefesso studio ottenne quel nome da cui fu poscia portato alle dignità più sublimi. Molti ne hanno scritta la Vita , e fra essi più recentemente e più diligentemente di tutti monsig. Domenico Giorgi (Ro/n. 1742 ì*1 4 ’)• Ei diceasi da Sarzana, la qual denominazione sembra indicarne la patria, benchè alcuni pretendono eli’ egli nascesse in Pisa (a). Non è ben certo ancora di qual ! (n) 11 sii», aliate Marini li a prodotti più documenti ed altre probabili congetture a provare che Niccolò V era [p. 92 modifica]93 LIBRO famiglia egli fosse, e discordano in ciò anche gli scrittori di quei tempi; ma è cerio di’ ei Jii di famiglia non molto illustre, e figliuol di un medico detto Bartolommeo. Giovinetto di dodici anni fu inviato a Bologna agli studj, ne’ quali dava speranza di felicissimi avanzamenti. Ma non potendo per la sua povertà trattenersi ivi più lungamente, passò 6 anni appresso a Firenze, ove istruì nelle lettere i figli di due cavalieri, cioè di Rinaldo degli Albizzi e di Palla Strozzi. Monsignor Giorgi crede che quattro anni ei si trattenne in Firenze. Ma \ espasiano fiorentino, scrittor di que’ tempi, che ne distese la Vita pubblicata dal Muratori (Strip. Ber. i/al. voi. 2 5 , p. 270), afferma che non vi soggiornò che 2 anni. In tal modo, raccolto qualche denaro, tornò a Bologna, ove in età di 22 anni prese la laurea. Ivi mentre continua negl’intrapresi suoi studj, il B. Niccolò Albergati vescovo di quella città e poi cardinale, avuta contezza dell’eccellente ingegno di cui era egli dotato, il volle presso di sè, e gli die’ l’impiego di suo maestro di casa. Così Tommaso potè con più agio attendere ad istruirsi in tutte le scienze \ c giunto frattanto all’età di 25 anni, si ordinò sacerdote. D’allora in poi egli fu indivisibile compagno di quel cardinale, e lo seguì ne’ diversi viaggi a cui da Martino V della famiglia de1 Calandrini da Sarzana (Degli sirrhiatri pontif. t. 1 , p. \^r, ce. ’ /• 2, p. 338). Ma anche in favor di Pisa non mancano tuoni argomenti , che si pusson vedere nel Discordo stilla Sfarla letteraria pisana del dottor (Òambatista Tempesti, ivi dato in luce l’anno 1787 (p. 24, ce.). [p. 93 modifica]purno )3 e da Eugenio IV in diverse occasioni fu destinato, finchè venuto quegli a morte nel 1443 Tommaso dal pontefice Eugenio fu fatto canonico di Bologna (se pur non avea egli ricevuto un tal beneficio dal medesimo cardinale) suddiacono della sede apostolica e priore di S. Firmino in Montpellier. Era si* egli frattanto congiunto in amicizia co’ più dotti uomini di quel tempo. Ambrogio Camaldolese ne fa spesso onorevol menzione, come d’uomo diligentissimo nel ricercare de’ codici antichi (l. 8, ep. 11 , 27 , 36, 41 , 52, ec.)j e tale in fatti ei si mostra in una sua lettera a Niccolò Niccoli, pubblicata fra quelle del medesimo Ambrogio (l. 25, ep. 3). In essa, dopo aver detto di se medesimo con somma modestia, ch’egli è un di loro che volendo esser creduti dotti, conoscono che altro mezzo loro non ne rimane che quel di tacere, per non iscoprire la propria ignoranza, e che perciò ei non ha molte volte risposto agli amici che aveangli scritto , viene ad annoverare parecchi bei codici da lui veduti: un Gregorio Nazianzeno avuto dall’Aurispa, un antichissimo Lattanzio, un codice avuto dalla Certosa di Francia, che conteneva alcune Omelie di S. Basilio, la spiegazione del Simbolo di Rufino, dodici Epistole di S. Ignazio, e una di S. Policarpo, e un altro codice che di colà attendeva, dell1 opera di S. Ireneo contro le Eresie, un Cornelio Celso trovato in Milano nella chiesa di S. Ambrogio, un codice delle antiche Decretali da lui trovato nella chiesa di Lodi, e più altri. Con lui ancora ebbe commercio di lettere Francisco Eilelfo, mentre [p. 94 modifica]94 LIBRO Tommaso era in Bologna presso il Cardinal Albergati (l. 1, ep. 45, 47? 2, ep. 10, 11, 16); e ben seppe poi Filelfo giovarsi dell1 amicizia con lui già stretta. A lui pure, mentre era ancora privato, dedicò Poggio il suo Dialogo del11 Infelicità de’ Principi; e nella lettera ad esso premessa ne loda non solo lo studio della filosofia , delle belle arti e della teologia, ma le virtù morali ancora onde era adorno. In fatti il medesimo Vespasiano dice di lui (l. c. p. 270), che aveva non solo notizia de’ dottori moderni, ma di tutti gli antichi così greci come latini, ed erano pochi scrittori nella lingua greca o latina in ogni facoltà, che egli non avesse vedute i opere loro, e la Bibbia tutta avea a mente, e sempre in suo proposito i allegava: e poscia (l. cit. p. 274)- Aveva maestro Tommaso una notizia universale di ogni cosa.... Con tutti quegli che parlava d ogni facoltà, pareva di egli non avesse mai fatto altro che quello di che egli ragionava. Divino era i ingegno, e divina la memoria di ogni cosa.

XXVIII. Così rendutosi illustre Tommaso per l’ampiezza del sapere non meno che per i oneslà de1 costumi, e per la prudenza nel maneggio degli affari, fu da Eugenio IV inviato suo nunzio a’ Fiorentini, e ad Alfonso re di Napoli; quindi a’ 27 di novembre del 1444 fatto vescovo di Bologna, poscia nel 1446 mandato nunzio prima in Germania, indi al duca di Borgogna, e mentre tornando a Roma era giunto a Viterbo, fatto nell’anno medesimo cardinale. Monsignor Giorgi rivoca in dubbio [p. 95 modifica]PRIMO 95 ciò die si afferma dal Platina, eh1 ei fosse un de’ teologi che disputarono contro de’ Greci nel concilio di Ferrara e di Firenze. Ciò nondimeno si afferma anche da Vespasiano (l. cit. p. 272, ec.), il quale assai a lungo e distintamente ragiona delle dispute eh1 ivi sostenne, e della fama che ne riportò; onde sembra che questa gloria ancora debba concedersi a Tommaso, poichè Vespasiano era circa quel tempo stesso a Firenze, e parlò più volte con esso lui (l. cit p. 276). Finalmente morto a’ 23 di febbraro dell anno 1447 il pontefice Eugenio IV, Tommaso a’ 6 di marzo fu eletto a succedergli , e prese il nome di Niccolò V’. Non è di questa mia opera il riferire le grandi cose da lui nel breve suo pontificato di 8 anni operate. Lontano dal prender l’armi contro i principi cristiani suoi figli, adoperossi con tanto zelo a riunirgli in pace, che finalmente f ottenne almeno per qualche tempo. Ebbe anche il piacere di veder cessato lo scisma nato dal concilio di Basilea. Pontefice saggio, mansueto, magnanimo e liberale, si conciliò la venerazione e la stima di tutto il mondo. Roma per lui risorse all’antica sua maestà, e la corte pontificia divenne il centro dell’onestà e del sapere. Tutto ciò basti avere accennato in breve, Io debbo trattenermi soltanto nelle grandi cose da lui operate a vantaggio della letteratura. Grandi speranze si concepiron di lui, appena egli fu assunto al pontificato; e basta leggere la lettera di congratulazione che allora gli scrisse Francesco Barbaro (ep. 93, p. 116), e f orazione che il Poggio gli recitò a nome de’ Fiorentini, [p. 96 modifica]96. LIBRO per comprendere quanto tutti si lusingassero eli’ ei fosse per ricondurre i lieti secoli d’Atene e di Roma. E Niccolò non sol corrispose a cotali speranze, ma si può dire ancora che le superò.

XXIX. Un solo sguardo che noi diamo alla corte di Niccolò, ce la rappresenta piena de’ più dotti uomini che allor vivessero, i più de’ quali avranno in questa Storia distinta menzione. Poggio Fiorentino , Giorgio da Trabisonda , Biondo Flavio, Leonardo Bruni, Antonio Loschi , Bartolomeo da Monte Pulciano , Cincio Romano, Giovanni Tortelli, Giannozzo Manetti, Niccolò Perotti, Francesco Filelfo, Lorenzo Valla, Gregorio da Città di Castello, Pier Candido Decembrio , Teodoro Gaza , Giovanni Aurispa, e più altri, tutti furono da Niccolò onorevolmente accolti, ed altri sollevati ad onorevoli cariche, altri largamente ricompensati delle loro fatiche (a). Allora fu che tanti scrittori greci si videro trasportati in lingua latina ad istanza di questo immortale pontefice. La Storia di Diodoro Siculo, la Ciropedia di Senofonte, le Storie di Polibio, di Tucidide, d’Erodoto, d’Appiano Alessandrino, l’Iliade (a) Agli uomini dotti che alla corte di Niccolò V si / videro sommamente onorati, deesi aggiungere Cristoforo Garatone (da Trevigi segretario di Eugenio IV , vescovo di Coron nel Pelnponncso, e amministratore del patriarcato di Gerusalemme , uomo dottissimo singolarmente nel greco , e molto perciò adoperato da Niccolò. A lui si dovettero i libri di Diodoro Siculo, che seco portò in Italia tornando di Grecia (V. Marini degli Archiatri pontif, t. 1 , p. 153 , cc.). [p. 97 modifica]PRIMO 97 (li Omero, la Geografia di Strabone, le opere d’Aristotele, di Tolommeo, di Platone, di Teofrasto, molti finalmente dei SS. Padri greci o si cominciarono a leggere in latino, o si lesser più corretti di prima. Tutti gl’interpreti offrivano a Niccolò le loro versioni, tutti allertila va 110 clic le aveano per comando di lui intraprese, tutti riceveano ricompensa alla loro fatica corrispondente. Poggio , nella prefazione a Diodoro Siculo, confessa che dalle liberalità del pontefice era stato a quella traduzione eccitato, e altrove (p. 287 ejus Op. ed. Basil, an. 1538), che per opera di Niccolò egli era in certo modo riconciliato colla fortuna. Lorenzo Valla racconta che avendo egli offerta al pontefice la sua traduzione di Tucidide, questi di sua mano gli donò tosto 500 scudi d’oro (Antidot. 4 in Pogg.). A Francesco Filelfo, perchè recasse in versi latini l’Iliade e l’Odissea di Omero, avea promessa una bella casa in Roma e un ricco podere, e inoltre diecimila scudi d’oro, che deposti avrebbe presso un banchiere, perchè ad opera finita gli fosser contati (Epist. l. 26 ad Leodr. Cribell.). Ma la morte di Niccolò allor sopraggiunta ne impedì l’esecuzione. Seicento annui scudi assegnò parimente a Giannozzo Manetti, oltre la consueta paga di segretario apostolico, perchè si occupasse in varie opere sacre (Vit. Manett. Script. rer. ital. vol. 20, p. 574)• A Guarino per la traduzione di Strabone donò 1500 scudi (Mehus. l. cit. p. 281). Al Perotti per la version di Polibio diè 500 ducati, chiedendogli ancora scusa in Tiraboschi, Voi. VII. 7 [p. 98 modifica]g8 LIBRO certo modo, se nol premiava abbastanza degnamente (ib. p. 282). Così questo gran pontefice profondeva i tesori a pro delle scienze. Il più volte citato scrittore della sua Vita, Vespasiano fiorentino, non sa finire di celebrare la liberalità e la munificenza: Tutti gli uomini dotti del mondo vennono in Corte di Roma di loro propria volontà, parte mandò Papa Niccolò per loro, perchè voleva stessino in Corte di Roma (ib. p. 279).... Condusse moltissimi scrittori de’ più degni potesse avere, ai quali dava a scrivere di continuo: condusse moltissimi uomini dotti, ed a comporre, di nuovo, ed a tradurre de’ libri non ci fissero, dandoloro grandissime provvigioni, sì provvigioni ordinarie , ed il simile straordinarie, che tradotte l’opere, quando gliele portavano. dava loro buona quantità di denari, acciocchè facessino più volentieri quello che avevano da fare (ib. p. 282).... Fu lume ed ornamento Papa Niccola delle Lettere e dei Letterati; e se veniva un altro Pontefice dopo di lui, che avesse seguitato, le Lettere andavano a un degnissimo grado.... La liberalità di Papa Niccola, e la sua imitazion fece, che molti vi si volsono, che non vi si sarebbono volti. In ogni luogo, dov egli poteva onorare i Letterati’ , lo faceva, e non lasciava a far nulla (ib. p. 283). Leggiadro ancora è a questo proposito ciò che narra Ermolao Barbaro (Praef. ad Castigat. Plin. ad Alex VI), cioè che avendo udito Niccolò essere in Roma alcuni buoni poeti, ch’egli non conosceva, disse che non potean costoro essere quali diceansi; perciocchè, aggiunse, se [p. 99 modifica]PRIMO 99 sono buoni, perchè non vengono a me che ricevo ancora i mediocri? Questo saggio pontefice , conchiude Ermolao, udì con dispiacere che vi fosse in Roma chi coltivasse lettere, e non fosse a lui noto. Aggiungasi a tutto ciò il gran numero di libri per lui da ogni parte e con grandissime spese raccolti, di che diremo altrove, le magnifiche fabbriche da lui in Roma e altrove innalzate, i tesori da lui versati in seno dei poveri, e tante altre virtù che in lui si videro maravigliosamente congiunte, e si dovrà confessare ch’ei fu uno de’ più grandi e dei più gloriosi pontefici che mai sedesser sulla cattedra di S. Pietro.

XXX. Quindi non è maraviglia che tutti gli scrittori di que’ tempi usino nel parlare di Niccolò de’ più magnifici encomj. Leggasi la lettera dedicatoria di Pier Candido Decembrio premessa alla sua traduzione di Appiano, e pubblicata da monsignor Giorgi (l. cit.p. 208), la prefazione di Lorenzo Valla alle sue Eleganze, la lettera da Francesco Filelfo scritta al pontefice Callisto III (l. 13, ep. 1), l’elogio che di lui ci ha fatto il pontefice Pio II (Descript. Europ. c. 58), e cento altri monumenti di siili il genere. Sembra che tutti questi scrittori non sappiano abbastanza spiegare quanto a questo gran pontefice sien tenute le scienze , e quanto a lui debbano tutti gli uomini dotti. Io non recherò che un passo di Francesco Filelfo nella lettera con cui dedica a Niccolò gli Apoftegmi di Plutarco da sè tradotti in latino. Quanto più a te rivolgo, o Niccolò) pontefice, il pensiero e lo sguardo, sempre più riconosco [p. 100 modifica]ioo unno che il sommo Iddio ha pietosamente provveduto il nostro secolo, perciocchè egli con quell’ammirabile provvidenza con cui ogni cosa disponey ha dato in te alla sua Chiesa un tal pontefice , nella cui singolare virtù e somma sapienza tutti gli uomini dotti e dabbene hanno a giusta ragione riposta ogni loro speranza.... Tu siedi solo fra gli uomini in cotesto solio della divina grandezza, e sostenendo in terra le veci del divin Redentore , ne rappresenti ancora colla somiglianza del vivere una vera immagine. Così coloro che amano la virtù per se stessa, come coloro a cui ella piace pe’ vantaggi che ne derivano , in te rivolgon lo sguardo. Tutti i buoni, e tutti coloro che o per ingegno, o per eloquenza , o per alcuna delle belle arti han qualche nome, a te sen corrono. E tu uomo di animo grande e benefico non rigetti alcuno, e tutti amorevolmente ricevi, e a tutti fai provare la tua beneficenza. Per la qual tua bontà e liberalità veggiamo riscuotersi non pochi valorosi ingegni che sembravan sopiti) e i rozzi cominciano ad amare la dottrina, e i dotti divengon sempre più dotti. Perciocchè a tutti tu giovi col tuo esempio non meno che co’ liberali tuoi doni. Nè questi elogi movevano da adulazione. La fama di Niccolò V si è propagata gloriosamente di secolo in secolo, e chiunque esamina le vicende della letteratura, non può a meno di non riconoscere in lui uno dei più magnanimi protettori delle scienze, e forse il primo fra tutti quelli di questo secolo. Tale è di fatti il sentimento di uno scrittore che, essendo uomo dottissimo, era in istato di ben [p. 101 modifica]PRIMO fOI giudicarne, ed essendo Protestante, era ben lungi dall1 adulare i romani pontefici. Questi è il celebre Isacco Casaubono, il quale nella dedica del suo Polibio al re Arrigo IV rende onorevolissima testimonianza all’Italia e a questo immortal pontefice. E io ne recherò qui le stesse parole, perchè non si creda per avventura ch’io punto ne alteri o ne esageri il sentimento. Prima terrarum Italia, dice egli, ad hanc palmam occupandam e diuturno tempore tunc primum expergefacta sese concitavit, et nationibus aliis per Europam exemplum , quod imitarentur, praebuit. In ipsa vero Italia ad certamen adeo gloriosum Nicolaus quintus Pontifex Maximus, in cujus extrema tempora Byzantini imperii eversio incidit, princeps, quod equidem sciam, signum sustulit Nam et literarum dicitur fuisse intelligentissimus, et, quod res arguit, earum amore flagrantis simus. Primus hic illa aetate libros antiquorum Scriptorum sedulo conquirere curae habuit, magnamque eorum copiam in Vaticanam intulit. Primus cum assiduis hortatibus, tum ingentibus etiam propositis praemiis, ad meliorem literaturam a tenebris oblivionis in lucem revocandam homines stimulatis: primus Graecae linguae auctores omnis sincerioris doctrinae esse promos condos qui non ignoraret, ut Latino sermone exprimerentur, vehementissime optavit, et efficere, contendit Così egli.

XXXI. Perchè non ebbe egli più lunga vita questo incomparabil pontefice? L’Italia sarebbe assai più presto venuta a que’ bei giorni che per la morte di Niccolò furono differiti a molli [p. 102 modifica]102 LIBRO anni. Callisto HI che Manno il[55 succedette a Niccolò, e tenne tre anni soli il pontificato, era uomo assai dotto nelle civili e nelle canoniche leggi. Ma egli, oltre all’essere in età troppo avanzata, tutto era rivolto al gran pensiero, tante volte e sempre inutilmente ideato, di una lega generale di tutti i principi cristiani per soggiogare l’orgoglio de’ Turchi rendutisi poc’anzi padroni di Costantinopoli; e nulla perciò potè operare a vantaggio delle scienze e dell’arti. Maggiori speranze aveano i dotti riposte nel Cardinal Enea Silvio Piccolomini, eletto a succedere a Callisto nel che prese il nome di Pio II. Era egli uomo in ogni genere di colta letteratura eccellente; e noi ne avremo a parlare con lode fra gli storici di questo secolo. In fatti appena egli fu eletto papa, e tosto a Francesco Filelfo , uomo a que’ tempi dottissimo, assegnò di pensione duecento annui scudi. Di che rendendogli grazie con sua lettera il Filelfo, Tu, dice (l. 14? ep 39()), a guisa di luminoso sole sei sorto a vantaggio de’ buoni e de’ dotti, che giaceansi tra folte tenebre. Perivano omai gli studj delle bell’arti (allude al pontificato di Callisto III), e tutte le più pregiate virtù , se tu non fossi per divin consiglio venuto a rinnovarle, a difenderle, ed illustrarle. L’Eloquenza che era ornai mutola, ha ricuperato coraggio e voce. Gl ingegni erari sopiti; si son riscossi. Tutti con più ardore di prima si animano a lodevoli imprese. La perdita di Niccolò V, sapientissimo e celebratissimo pontefice che tanto piangeasi da tutti gli uomini ertal iti ed eloquenti, non solo è stata [p. 103 modifica]PRIMO I03 riparata colla tua elezione, ma tutti hai già tratti in ammirazione della singolar tua bontà. Perciocchè non sei pago di animarli colla speranza di provare gli effetti della tua munificenza.| ma già li ricolmi di benefizj e di doni. Ma il Filelfo cambiò presto linguaggio e stile. Pio II, tutto intento al gran pensiero della general lega, profuse i tesori nell1 apparecchio d1 una formidabil guerra contro ile’ Turchi; la pension del Filelfo rimase perciò sospesa, onde poscia ne vennero que’ trasporti contro lo stesso pontefice, eh1 ci dovette scontare colla prigionia, come a suo luogo vedremo. Lo stesso motivo che non lasciò godere al Filelfo gli effetti della munificenza di Pio, impedì ancora che gli altri uomini dotti ne sentissero il frutto. Nondimeno Giannantonio Campano, che ne scrisse la Vita, dice ch’ei favorì maravigliosamente gl’ingegni, ma solo i più rari (Script. Rer. ital. t. 3, pars 2, p. 986). E forse le strettezze a cui era ridotto l’erario, lo costrinsero a usare di tale scelta, che parve ad alcuni effetto di animo men generoso. Per la stessa ragione dice il medesimo autore (ib. p. i)85) cli’ei non potè intraprendere le magnifiche fabbriche che aveva ideate , benchè pure ne conducesse a fine non poche, che da lui si annoverano. Questo stesso scrittore avverte che da Pio II fu istituito il collegio de’ sessanta Abbreviato!*], per cui scelse i più eruditi uomini di ogni nazione; e che aveain animo di ridurre a stile più colto gli Atti pubblici; il che poi, atterrito dalle gravi difficoltà, differì ad eseguire, nè mai venne all’effetto (ib. p. 981). [p. 104 modifica]104 LIBRO

XXXII. H suddetto collegio degli Abbreviatori, formato da Pio II, fu occasione di amarezze a Paolo II, cioè al Cardinal Pietro Bardo, che l’anno 1464 gli succedette, e il fece credere a molti nemico di ogni letteratura. Coloro che il componevano, erano uomini dotti; ma venivano accusati di cercare troppo ingordamente il denaro, e di vendere ad alto prezzo ogni rescritto. O fosse vera l’accusa, o si tenesse per vera , Paolo giudicò, come narra il Rinaldi (Ann. eccles. an. 1466, n. 21), allegando la testimonianza di autori contemporanei , che il decoro della santa Sede chiedesse che ogni cosa si desse gratuitamente, e annullò perciò il suddetto collegio, privando dell’impiego non meno che della paga tutti gli abbreviatori. Settanta eruditi ridotti quasi alla fame potevan dare non poca noja al pontefice. Era tra essi Bartolommeo Platina, di cui parleremo altrove a lungo, il quale più coraggioso di tutti si fé’innanzi al papa, chiedendone ragione, e facendo istanza, perchè la lor causa fosse rimessa agli uditori di Ruota. Ma Paolo, sdegnato di ciò. rigettollo, dicendo tal essere il suo volere, e questo non esser soggetto al giudizio d’alcuno. E per quanto Platina e gli altri si adoperassero per piegarlo, tutto fu inutile. Vedendo omai disperato l’affare, venne il Platina agli estremi, e scrisse un’ardita lettera al pontefice, che da lui stesso si riferisce (in Paullo 2), in cui diceagli eh1 egli co’ suoi compagni avrebber fatto ricorso a diversi monarchi , e gli avrebbero esortati a radunare un concilio per decidere di un tal affare. Ma il [p. 105 modifica]PRIMO 105 frutto elio r infelice Platina trasse da questa lettera, fu la prigionia a cui il papa lo condannò , e in cui si stette per quattro mesi, finchè ad istanza del Cardinal Francesco Gonzaga riebbe la libertà. Ma tre anni appresso una nuova tempesta contro di lui sollevossi ) e in occasione della guerra che Paolo dichiarò all’accademia romana di Pomponio Leto, di che diremo a suo luogo, il Platina fu di nuovo rinchiuso in carcere, e tormentato ancora più volte, e sol dopo un anno potè uscirne. Ora un uomo che tai trattamenti ricevuti avea da Paolo, non era a sperare che ne scrivesse con molta lode. Egli infatti, oltre il narrare che fa le sue proprie vicende in modo che tutta f odiosità ne ricade sopra il pontefice, e oltre il biasimarne in più occasioni la condotta e i costumi , lo taccia singolarmente come nemico dell’amena letteratura, e dice che ne odiava gli studiosi talmente, che tutti diceagli eretici) e che esortava i Romani a non volere che i lor figliuoli gittassero in tali studj il tempo, bastando, secondo lui, che sapesser leggere e scrivere. Ma uno storico non può pretendere sì facilmente che gli si dia fede, quando parla di uno da cui è stato condennato alla carcere, singolarmente se altri scrittori imparziali ne ragionano diversamente. Il Cardinal Querini,che ci ha data una forte ed erudita apologia di questo pontefice (Paulli 2 Vita et Vindic. Rom. 1740), da questa accusa ancora il difende , e colla testimonianza di due autori contemporanei che ne hanno scritta la Vita, [p. 106 modifica]IO0 LIBRO cioè ili Michele Cannensio e di Gasparo da Verona, pruova (Vindiciae, p. 13) che tanto egli era lungi dall1 odiare gli studi dell1 amena letteratura, che godeva anzi di passare non poche ore della notte nel leggere gli antichi Storici; che manteneva a sua spese alcuni poveri giovani, perchè potessero sotto valorosi maestri formarsi alla letteratura; che ai professori facea pagar prontamente i determinati stipendj, e talvolta maggiori ancora; e che finalmente amava tutti gli uomini dotti, purchè insieme colla dottrina congiunta avessero la bontà de’ costumi. Veggiamo in fatti che a’ tempi di Paolo II s’introdusse in Roma la stampa; e le prefazioni con cui Giannandrea vescovo d’Aleria a lui indirizza quasi tutti i libri allora stampati, piene sono delle lodi di questo pontefice, da cui riconosce il favore onde godeva in Roma quell’arte. Molte lettere ancora del Filelfo cita il medesimo cardinale, nelle quali loda la munificenza di Paolo nel favorire gli uomini dotti, di cui egli avea fatta pruova in se stesso. E degna singolarmente d’essere letta è quella che il Filelfo scrive a Sisto IV, dopo la morte di Paolo, quando non v’avea più luogo a adulazione , in cui fa una assai forte apologia della condotta da lui tenuta nel suo pontificato, e ne loda, fra l’altre cose, il favorire e l’onorar ch’ei faceva gli uomini dotti; le quali cose a difesa di questo pontefice a me sembra di avere brevemente accennate, potendosi esse vedere assai più ampiamente distese dal suddetto eruditissimo cardinale. [p. 107 modifica]i RIMO IO7 XXX11I. Sisto IV, dello prima il Cardinal Francesco della Rovere, savonese, religioso delT Ordine de1 Minori, di cui era stato generale, succedette a Paolo li, 1’anno 1471, e tenne il pontificato per tredici anni. Era egli uomo assai dotto; perciocché, dopo aver fatto i suoi studj nelle università di Pavia e di Bologna, e dopo aver presa la laurea di filosofia e di teologia in quella di Padova , tenne scuola egli stesso nelle tre suddette città, e inoltre in Siena, in Firenze, in Perugia, con fama di professor valoroso. Così racconta l’anonimo autore della Vita di Sisto, pubblicata dal Muratori (Script rer. ital t. 3, pars 3, p. 2054, ec.), che da alcuni credesi lo stesso Platina, il quale aggiugne che i Perugini in contrassegno di stima gli diedero la loro cittadinanza; che appena fu uomo dotto a quella stagione in Italia, che ei non avesse a discepolo; che il Cardinal Bessarione pregiavalo tanto, che spesso voleva averlo presso di sè, e niuna cosa dava alla luce, che da lui non fosse stata esaminata e corretta; che promosse grandissimamente gli studj nel suo Ordine; che ebbe gran parte nella famosa contesa allora eccitatasi sul sangue di Cristo, intorno a che scrisse un’opera, e più altre ancora su altri argomenti teologici e filosofici, che ivi si annoverano. Un uomo dotto sollevato alla cattedra di S. Paolo dovea naturalmente essere protettore de’ dotti. E nondimeno, se crediamo al Diario di Stefano Infessura , pubblicato dal Muratori (ib. p. 1283 , ec.), la cosa andò molto diversamente; perciocchè questo pontefice lii [p. 108 modifica]108 LIBRO di sì strana avarizia, che ai professori dell' università di Roma, a’ quali avea egli stesso promesso di pagare il pattuito stipendio, giunto il termine dell’anno, negò la dovuta mercede; e avendo Giovanni de’ Marcellini riformator della Studio fatta istanza al pontefice, perchè pagasse secondo il dovere i medesimi professori, ei gli rispose: Non sai tu, che noi abbiam! promesso questo denaro con animo di non pagarlo? il che negando d’aver mai saputo il suddetto riformatore, Non fosti tu, soggiunse il papa, ma Bernardino*de’ Ricci, a cui io il dissi. Ma comunque non possa negarsi che il pontificato di Sisto IV non fosse in più cose poco lodevole, l’Infessura però si mostra sì mal prevenuto contro di lui, che con ciò appunto ci avverte di non fidarci troppo a ciò ch’ei ne racconta. In fatti le sole fabbriche sopra ogni creder magnifiche che Sisto IV fece erigere in Roma, e che ancora si veggono, bastano a smentire la taccia di avaro, che l’Infessura gli appone. E quando agli studj, vedrem fra non molto che la biblioteca Vaticana fu da lui accresciuta e renduta pubblica, e ch’ei le diede a custode il celebre Platina. Vedremo ancora che Francesco Filelfo fu da lui con ampio stipendio chiamato a Roma. Quindi Ermolao Berbero a lui dedicando la sua parafrasi di Temistio, fra le altre lodi che da’ a Sisto, annovera l’aver da ogni parte chiamati uomini eruditi, e l’avere renduta pubblica la biblioteca Vaticana: Nam et ingenia undique conduxisti, et Bibliothecam opulentissimam aere tuo impensaque publicasti. [p. 109 modifica]/ PRIMO 109

XXXIV. I due ultimi papi di questo secolo , Innocenzo VIII e Alessandro VI, non diedero grandi pruove di amore verso le lettere. Il primo, detto per l’innanzi Giambattista Cibo, era, come narra il continuatore del Platina, uomo assai versato in tutte le scienze. Ma le infermità che nel suo pontificato lo travagliarono, e le sanguinose discordie da cui Roma era allora sconvolta, non gli permiser di fare a vantaggio di esse ciò che in altri lieti tempi avrebbe per ventura operato. Il secondo troppo era occupato in altri pensieri, perchè potesse favorire le scienze: e io mi compiaccio che l’idea di questa mia Storia da me non richiegga ch’io ripeta, o compendj ciò che di quegl1 infelicissimi tempi ci narrano anche i più moderati scrittori. Potrei invece rammentar qui non pochi tra1 cardinali di questo secolo, che ad imitazion de’ pontefici finor nominati furono essi pure splendidi mecenati della letteratura. Ma di alcuni di essi dovrem ragionare altrove, e ciò che in questo capo si è detto (finora, basta a far conoscere quanto felici alle lettere fosser que’ tempi in cui quasi tutti coloro che ebber qualche dominio, sembravano cospirare a gara nel provvedere a’ loro vantaggi (a). E veramente l (a) Colla munificenza de’ principi nell’avvivare gli studj, gareggiarono ancora alcune delle particolari città. E io ne recherò qui l’esempio, che ne ho pure recato nel secolo precedente, della città di Udine nel Friuli, poichè il più volte lodato sig. aliate Domenico Ongaro ne ha studiosamente raccolti, e me ne ha gentilmente trasmessi gli opportuni documenti. Anche in tutto il corso di questo secolo ne’ Partiti di quel pubblico [p. 110 modifica]4 10 LIBRO di nulla meno faceva d1 uopo a diradare una volta le tenebre fra cui ancora giaceva ogni cosa. A richiamare l’antica eleganza di scrivere, bisognava moltiplicare gli esemplari de’ buoni scrittori , e scoprir quelli che ancora eran nascosti; aprire biblioteche, in cui libero fosse ad ognuno l’accesso eia lettura de1 libri; raccomandare a1 dotti comentatori le opere degli autori classici, perchè con note opportune le rischiarassero) chiamare egregi professori in tulle le scienze, che le insegnassero pubblicamente; eccitare con promesse e con premii gli animi lenti comunemente a intraprendere una fatica, da cui non si speri alcun frutto; formare società ed accademie d’uomini eruditi che insiem disputando si dessero vicendevolmente lume ed aiuto; e finalmente sostenere c proteggere l1 arte della stampa allor ritrovata, per cui si rende tanto più agevole f istruirsi. Or tutto ciò non potoasi ottenere senza profonder tesori. E fu perciò Consiglio si veggono assai sovente accordate somme: di denaro a chi le chiedeva per recarsi alle università o di Padova , o di Bologna, o per ricevere in esse la laurea; e questa liberalità vedesi usata così a più religioni dell’Ordin de’ Predicatori e de’ Minori , come a più laici. Fra tutti però provolla singolarmente quel f Leonardo da Udine dell’Ordine de’ Predicatori, di cui ragioniamo nel capo primo del secondo libro; perciocchè ad ogni occasione trovasi in que’ documenti f Leonardo chieder soccorso a quel Pubblico ora per i suoi studj, ora pe’ suoi scolari, or pe’ suoi viaggi, ora pei suoi impieghi, ora per le sue malattie, ora per fabbricare la libreria del suo convento; nè mai egli chiede cosa alcuna che non l’ottenga , e ancor senza chiedere gli si veggon talvolta dal Pubblico accolte sovvenzioni e fatti donativi. [p. 111 modifica]gran sorte della letteratura che nel medesimo secolo si trovassero uniti in Italia tanti gran principi che delle loro ricchezze credessero di non potere far miglior uso, che nell’avvivare gli studi, e nel ricompensar le fatiche degli eruditi. Ciò che qui ne abbiam detto, non è che una semplice idea di questo sì grande oggetto, che noi verremo nel decorso di questo tomo svolgendo e spiegando paratamente.