Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo IV/Libro II/Capo I

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Capo I – Studi sacri

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Tomo IV - Libro II Tomo IV - Capo II
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Capo L

Studi sacri.

iL leggi da’ romani pontefici e da’ generali e da’ particolari Concilii pubblicate a fomentare e ad avvivare gli studi, delle quali nel precedente libro si è ragionato, eran rivolte Fasti Novi Orbis, scritta più secoli dopo, e la recente Storia del Robertson; opere, i cui autori, ove non citino scrittori assai più antichi, non hastan certo a persuaderci della verità delle cose eh’essi narrano avvenute tanto tempo addietro. Ma per qual ragione il sig. ab. Lampillas parlando delle Canarie se la prende solo contro il sig. ab. Bettinelli, e non fa menzione di me, che pure ho data a’ Genovesi la gloria di quella scoperta? Dovremmo forse credere che l’autorità da me citata del Petrarca, il quale chiaramente lo afferma, e quella di Pietro d’Abano, che più oscuramente lo indica, gli desser noia? e eh’egli perciò , mostrando di non aver veduto quel passo della mia Storia, dissimulasse la difficoltà? Io non credo il sig. ab. Lauipillas capace di usar quest’arte, e perciò lo prego a dirci per qual ragione dobbiam credere piuttosto alla testimonianza dello scrittore de’ Fasti e del Robertson , che a quella di Pietro d’Abano e del Petrarca , tanto più vicini a que’ tempi. [p. 163 modifica]LIBRO SECONDO jfj singolarmente a’ vantaggi della Chiesa e del clero. La scostumatezza in cui questo era vissuto ne’ secoli addietro, attribuivasi, e con ragione. all’ignoranza e all’ozio in cui esso giacea e si sperava perciò, che ove avvenisse di rivolgerlo a coltivare le scienze che a’ sacri ministri son necessarie, sarebbesi più di leggeri ottenuta la riforma ancor dei costumi. E ben fu opportuno questo consiglio; perchè in questo secolo stesso nuove sette d’eretici si vider sorgere da ogni parte, e spargersi ovunque, e divolgare i loro errori. Valdesi, Albigesi, Catari , Patarini ed altri di diversi nomi, ma non molto diversi nelle ree loro opinioni, presero a combatter la Chiesa. L’Italia ancora ne fu inondata, e molti si lasciarono miseramente infettare dal lor veleno. Era dunque d’uopo che la Chiesa fosse fornita d’uomini dotti che facessero argine al rovinoso torrente, e coll’efficacia del loro zelo non meno che del loro sapere gli impedissero lo stendersi e dilatarsi ampiamente. La Provvidenza, che veglia sempre sollecita a contrapporre ai nuovi mali rimedii nuovi, fe’ sorgere il cominciamento di questo secolo due Ordini regolari, i quali all’esercizio delle più ardue virtù congiungessero un’ ¿stancabile applicazione agli studi, e fossero perciò opportuni a edificare insieme e ad istruire il mondo. Parlo de’ due chiarissimi Ordini de’ Predicatori e de’ Minori, che, nati quasi al medesimo tempo , si vider presto produrre copiosissimi frutti di santità e di scienza, e risvegliare le maraviglie, e riscuoter gli applausi di tutti i saggi. Di quelli che per santità singolarmente [p. 164 modifica]II. Letture di teologia infrodo! tu UfiIn metroprditana di Sfilano. l£>4 LIBRO furono illustri, non è di quest’opera il tenere ragionamento. Io debbo sol ricercare de’ loro studi, e molti di essi dovrem rammentare con lode in questo capo medesimo, da’ quali le scienze sacre riceveron ne’ tempi di cui ora scriviamo, luce e ornamento maggiore, che non avesser negli ultimi secoli addietro. Il loro esempio giovò ad accendere in altri una lodevole emulazione; e perciò da questo secolo in poi si videro coltivati gli studi sacri e da numero assai maggiore di persone, e con assai maggiore impegno di prima, Io debbo però rinnovar qui le proteste già da me fatte più volte; che non è mia intenzione di ragionare di tutti quelli che qualche opera scrivessero di tale argomento. Se tutti quelli che ci diedero Somme , Quistioni, Dichiarazioni, ed altri somiglianti trattati, dovessero qui aver luogo, io verrei a formare una sterile e noiosa Biblioteca , non una Storia dell’origine e de’ progressi delle scienze. L’ampiezza stessa della materia mi costringe ad usare di brevità, e a sceglier ciò solo che sia più importante a sapere, e perciò più utile a ricercare. Io parlerò dunque solo di quelli a’ quali siamo in singolar modo tenuti, perchè co’ loro studi recarono e vantaggio alle scienze, e onor all’Italia. Ma prima d’ogni altra cosa gioverà l’esaminar brevemente qual fosse in generale lo stato delle scienze sacre nel secolo di cui parliamo. II. La legge pubblicata nel quarto Concilio lateranese sotto Innocenzo III, che ogni chiesa metropolitana avesse un teologo, il quale al clero non men che al popolo opportunamente [p. 165 modifica]SECONDO I65 spiegasse i dogmi e i precetti della Religione, in molte chiese è probabile che si recasse ad effetto. Ma è probabile ancora che le pubbliche calamità non permettessero ad altre l’eseguirla sì prontamente. Troviamo in fatti che solo verso la fine di questo secolo fu istituito nella chiesa di Milano il lettore di teologia dall’arcivescovo Ottone Visconti morto l’anno I2<)5, di cui racconta Galvano Fiamma (Manip. Flor. c. 331, vol. 11 Script. Rer. ital. p. ni.\) che col suo patrimonio fondò tre prebende; ed una di esse pro uno Lee lo re qui in Ecclesia Majori Theologiam legat. Lo stesso si narra da Francesco Pipino (Cron. c. 27, ib. vol. 9, p. 701), il quale aggiugne che Ottone gli assegnò lo stipendio annuale di 100 lire. Ma in una Cronaca ms. di Ambrogio Taegio, domenicano esso’ pure, come i due succennati scrittori, citata dal Muratori (Script. Rer. ital. vol. 9, p. 59;)), si dice che lo stipendio da Ottone assegnato fu di 100 fiorentini; ch’egli diè quella cattedra a’ religiosi del suo Ordine, i quali ancor ne godevano, mentr’egli scrivea, cioè circa il principio del secolo xvi, e che il primo ad essa trascelto fu F. Stefanardo da Vimercate, di cui ragionerem fra gli storici. Delle altre chiese metropolitane non mi è avvenuto di trovar certa contezza a qual tempo vi s’introducesse il lettore di sacra teologia, e se ciò avvenisse subito dopo la promulgazion del Decreto del Concilio lateranese, o alcuni anni più tardi. Per riguardo alle altre chiese cattedrali, intorno alle quali nulla erasi in esso determinato su questo punto, non vi s’introdusse il teologo, che due secoli appresso, come altrove vedremo. [p. 166 modifica]l66 LIBRO Ili. Oltre le scuole teologiche che erano nelle chiese metropolitane, le università ancora aveano fin da que’ tempi probabilmente le loro. Molti nondimeno negano questo vanto a quella che pur tra tutte è la più antica, cioè a quella di Bologna; e affermano che solo l’anno 1362 vi fu introdotto lo studio della teologia. Il fondamento di questa opinione è la Bolla d’Innocenzo VI pubblicata dal Ghirardacci Stor, di Bologna par. 2,l. 24 p 262) e dall’Ughelli (Ital. Sacra t. 2 in Episc. Bonon.), e in parte ancor dal Sigonio (De Episc. Bonon. l. 3 ad an. 1363), segnata a’ 29 di giugno del x anno del suo pontificato, che corrisponde al suddetto anno 1362. In essa il pontefice, dopo aver lodati i vantaggi che dalla Università di Bologna e dalle scuole di diritto civile e canonico e delle arti liberali derivavansi nel mondo tutto, soggiugne che era a sperare che frutto ancor maggiore se ne sarebbe raccolto, se vi si potessero stendere più ampiamente i teologici studi: speramus ipsius theologicas palmas, si illius studium posset ibidem amplius propagari, etc.; e comanda perciò, che siavi in avvenire uno studio generale della medesima facoltà: Ordinamus, quod in dicta civitate deinceps studium generale in eadem theologica facultate existat. Questo è il documento a cui appoggiati alcuni scrittori moderni, ed Ermanno Conringio fra gli altri (Antiq. academ. diss. 3, parag 31), hanno pensato che solo a questi tempi si fondasse nell1 università di Bologna la cattedra teologica. Gli scrittor bolognesi al contrario, e fra essi il ch. P. abate Fattorini continuatore della Storia di quella [p. 167 modifica]SECONDO 167 università cominciata dal P. Sarti (De prof. Bonon. vol 1, pars 2, p. 1), affermano che la Bolla d1 Innocenzo intender si dee non della prima fondazione, ma di ampliamento maggiore della facoltà teologica, e del privilegio di conferire anche per essa i gradi e gli onori consueti; e rammentano in fatti alcuni professori di teologia, che furono assai prima in Bologna, e singolarmente Rolando Bandinelli che fu poscia papa Alessandro III, di cui noi pure abbiam già favellato. A dir vero, le parole stesse della Bolla sopraccennata sembrano confermare la loro .opinione, perciocchè ivi si nomina solo ampliazione e accrescimento: si illius studium posset ibidem amplius propagari. Ma in un antico codice della stessa università, citato dal Gliirardacci e dall1 Ughelli e dal P. Costanzo Rabbi agostiniano, si usan diverse espressioni, e vi si dice che l’anno 1364 vennero alcuni celebri professori a Bologna ad fundandum et inchoandum Bononiae studium theologicae facultatis; le quali parole sembrano indicare cominciamento di cosa del tutto nuova. E a dir vero, sì scarso è il numero de’ teologi, dei quali ha tessuto il Catalogo il sopraccitato P. Fattorini, e intorno ad essi ancora sì poche son le notizie che ne ha potuto raccogliere, che sembra da ciò ancor confermarsi l’opinione contraria. IV. Che direm noi dunque in questa diversità di espressioni e di pareri? Crederem noi che per quasi tre secoli l’università di Bologna sì celebre in tutto il mondo, non avesse pubblici studi di teologia l Io confesso che non potrò mai persuadermelo. Ma parmi che si [p. 168 modifica]lG8 UBBO possano di leggieri conciliare insieme le due contrarie opinioni. Io penso perciò, che nel corpo stesso dell’università di Bologna non vi fosse cattedra di teologia; e ciò mi sembra evidente dal non trovarsi monumento alcuno che di essa faccia menzione, nè memoria di alcun professore , di cui espressamente si dica che nella università di Bologna leggesse teologia, nè alcun indicio di laurea, o d1 altro onor accademico conferito per essa. Ma penso insieme che Bologna non fosse priva di tale studio. Il P. Sarti ha mostrato che sin da’ tempi più antichi erano in Bologna fioritissime scuole, non solo nella metropolitana, ma ancor ne’ monasteri di S. Felice e di S. Procolo (De Prof. Bonon. t. 1, pars. 1, p. 3). Or queste io credo che fosser le scuole nelle quali insegnavansi le scienze sacre. Quando poi furono introdotti in Bologna i due Ordini di S. Domenico e di S. Francesco, ne’ loro chiostri è probabile che si tenessero tali scuole. E de’ primi singolarmente lo ha provato il P. Fattorini (ib. pars 2, p. 2) con un documento dell’anno 1268, in cui delle loro scuole si fa menzione: Actum in domo Fratrum Praedicatorum juxta scholas ipsorum Frati um. E in un altro del 1302: Actum Bonon. in domo Fratrum Proedicatorum sub porticit domus scholarum. In queste scuole adunque dovetter tenere le loro lezioni e Rolando Bandinelli, detto poi Alessandro III, e quegli altri pochissimi, e per la più parte non molto noti teologi che si annoverano dal suddetto P. Fattorini , a’ quali però non dee tacersi il celebre taumaturgo s. Antonio da Padova, di cui con [p. 169 modifica]SECONDO 169 quai fondamento si dica che leggesse teologia in Bologna, si vegga presso il medesimo autore (ib. p• 9)- Di S. Tommaso, di cui pur si racconta lo stesso, parleremo tra poco. In tal maniera erano in Bologna pubbliche e rinomate scuole di teologia, ma separate dall’università, a cui poscia dovettero essere incorporate e congiunte per la Bolla d’Innocenzo VI da noi mentovata poc’anzi. V. Nelle altre città è probabile che la teologia avesse i suoi professori o nelle universiità, ove esse eran fondate, o presso i regolari, e singolarmente ne’ conventi de’ Predicatori, come in Bologna. In fatti nei capitoli stabiliti per l’erezione dell’università di Vercelli abbiam veduto (sup. l. 1, c. 3, n. 10) che tra’ professori che vi doveano tenere scuola, vi è nominato espressamente il teologo. Al contrario in Padova sembra che l1 università non avesse teologi, perchè abbiam parimenti osservato (ib. n. i3) chel’ab.Engelberto verso l’anno 1280, dopo avere studiata la filosofia a quella università, passò allo studio della teologia nel convento che in quella città medesima aveano i Predicatori. E sembra che in tale stato durasser le cose fin verso l’anno 1360, perciocchè allor solamente fu in quella università introdotta la cattedra teologica, come mostra il Facciolati (Fasti Gymnas. patav. pars 1, p. 17). e noi a suo luogo vedremo. Così pure si è dimostrato (l. c. n. 15) che allor quando i Predicatori e i Minori furono da Federigo II cacciati da tutto il regno di Napoli, quella università ebbe ricorso ad Erasmo monaco casinese, perchè venisse a tenervi scuola di teologia. [p. 170 modifica]1^0 LIBRO In tal maniera o nelle università, o nelle scuole de’ regolari, o nelle chiese metropolitane o cattedrali eranvi uomini dotti che istruivano pubblicamente nello studio della sacra Scrittura e della teologia. Ma passiamo omai a vedere chi siano quelli che in tali scienze furono in questo secolo più rinomati. VT. Io darò il primo luogo ad uno che benchè non tenesse scuola di teologia, nè ci abbia in questo argomento lasciate opere di cui ora si faccia gran conto, fu nondimeno uom dotto, ma più ancora che pel suo sapere, è famoso per le profezie a lui attribuite; dico al celebre abate Gioachimo. Non vi ha personaggio per avventura, di cui si sian formati sì contrari giudizii. Alcuni cel rappresentano come uom santo e dotato di soprannatural dono di profezia; altri ne fanno un ipocrita e un impostore; altri il descrivono come uom dabbene, ma semplice , e che lusingavasi di aver lumi dal cielo a conoscer le cose avvenire. Intorno alle quali diverse opinioni si posson vedere le Memorie degli Scrittori Cosentini del marchese Salvatore Spiriti che le ha diligentemente raccolte (p. 15, nota 2). Tutti però gli autori da lui allegati sono moderni, e non hanno perciò autorità maggiore de’ fondamenti a cui essi appoggiano il lor parere. Di essi adunque io non varrommi; nè crederò che ad affermar qualche cosa intorno all’abate Gioachimo mi basti il vederla narrata o dall’abate Gregorio Lauro cisterciense che l’anno 1660 ne pubblicò in Na- f poli l’Apologià e la Vita, o da Jacopo Greco! dello stesso Ordine, che parimenti ne scrisse [p. 171 modifica]SECONDO 17 I ]a Vita stampata in Cosenza l’anno 1612. Potrebbonsi questi autori aver per sospetti; e inoltre furono troppo lungi da’ tempi di Gioachimo, perchè si debba lor credere, se non recano monumenti più antichi a confermar ciò che narrano. Con critica e con esattezza maggiore ne ha esaminata la vita, le opere e i costumi il p. Papebrochio della Compagnia di Gesù (Acta SS. maii t. 6 ad d. 29), fondando le sue ricerche su’ più antichi e più autentici documenti. E di questi mi gioverò io pure nel ricercar brevemente ciò che appartiene a quest’uom sì famoso, aggingr.endovi ancora l’autorità di altri scrittori che il P. Papebrochio non potè consultare, perchè non erano ancor pubblicati. Degno singolarmente d’aversi in pregio è un breve Ragguaglio delle virtù di Gioachimo, scritto da Luca prima monaco e discepolo e confidente dello stesso Gioachimo, e poscia arcivescovo di Cosenza, pubblicato dopo l’Ughelli da’ suddetto Papebrochio; a cui la schietta semplicità con cui è scritto, e la dignità dell’autore conciliano fede. VE. In qual anno nascesse Gioachimo, non si può precisamente affermare, e discordano in ciò gli scrittori moderni, altri de’ quali il fan nato al principio del XII secolo, altri solo l’anno 1145. Il P. Papebrochio crede che l’opinione meno improbabile sia quella che ne fissa la nascita circa l’anno 1130. Se crediamo a’ moderni sopraccitati scrittori. ei nacque in Celico. villaggio della diocesi di Cosenza, da Mauro notaio e da Gemma. Giovinetto ancor secolare, ma in abito dimesso e vile, qual era proprio [p. 172 modifica]173 LIBRO de’ religiosi, recossi a visitare divotamente i luoghi santi di Palestina. Tornato poscia alla patria, si consacrò a Dio, scegliendo a tal fine l’ordine cisterciense, e in più monasteri della Calabria ebbe sua stanza, e fu abate di quel di Curazio. Poscia fondò la celebre Badia di Fiore, che divenne capo di una particolare e più austera congregazione dello stesso ordine, ed ebbe sotto di se non picciol numero di monasteri. Veggasi F erudita Storia della stessa Badia scritta dal sopraddetto P. Papebrochio (l. cit.) che ha ancor pubblicati di nuovo i varii privilegi di cui fu arricchita dall’imperadrice Costanza, da Federigo Il di lei figliuolo e da altri, i quai monumenti erano già stati dati alla luce dal P. abate Lauro e dall’Ughelli (Ital. Sacra, t, 9). Gioachimo la resse fino all’anno 1207, nel quale, o al più tardi nel cominciar del seguente, egli morì, come prova il Papebrochio dai monumenti di quest’anno medesimo, in cui si vede nominato l’abate Matteo di lui successore. Delle rare virtù di cui egli fu adorno, ci ha lasciato un’autorevole testimonianza il suddetto arcivescovo Luca nella mentovata sua Relazione, in cui non narra se non le cose da lui stesso vedute. Egli descrive il dimesso e logoro abito di cui Gioachimo usava, la singolar divozione con cui offeriva il divin sagrificio, nel qual atto, benchè fosse comunemente pallido e sparuto, tutto accendevasi il volto d’un santo ardore*, l’austerità de’ digiuni con cui macerava la sua carne, la singolare umiltà con cui egli stesso esercitava i più vili uffici del monastero, la carità generosa [p. 173 modifica]SECONDO 173 con cui sovveniva a’ poveri , ed altre somiglianti virtù che da lui si espongono senza quella affettata esagerazione che talvolta incontrasi nelle leggende, e che ci rende difficili a creder tutto ciò che in esse si narra. Di prodigii da lui operati, l’arcivescovo Luca altro non ci racconta, se non ciò ch’egli sperimentò in se stesso; perciocchè dice che gli fu da lui sciolta la lingua che prima avea impedita e tarda, e che fu da lui risanato da una malattia che l’avea condotto agli estremi. Molti altri miracoli dall’abate Gioachimo e in vita e dopo morte operati si leggono in una Relazione distesa da Jacopo Greco, pubblicata dall’abate Lauro, e poi dal Papcbrochio , i quali però, come confessa l’editore medesimo, dalla sede apostolica non sono ancora stati approvati. Noi non abbisogniamo di essi per credere che l’abate Gioachino fosse uomo di santi costumi; e perciò ancor abbi am qui tralasciate molte altre cose che di lui ci raccontano i moderni scrittori sopraccennati; non perchè vogliamo negarle, ma perchè potrebbon credersi non abbastanza provate. La Relazione dell’arcivescovo Luca basta a persuaderci che Gioachimo, ben lungi dali’ essere quell’impostore che fu da alcuni creduto, era uomo di rare e singolari virtù, e degno di quel culto privato con cui è onorato dalla sua Congregazione, e a cui la sede apostolica non si è opposta giammai. Vili. Ma più che i costumi, si biasimano da molti le opere e le profezie dell’abate Gioachimo. Separiamo per amor di chiarezza l’una cosa dall’altra, e diciam prima dell’opere. Io Vili. Su« opere, c apologia di cuc. [p. 174 modifica]174 LIBRO non le rammenterò qui una ad una. poichè se ne può vedere il Catalogo presso i mentovati scrittori, e presso il Fabricio (Bibl. lat. med. et inf. aet. t. 4, p. 41) e il Nicodemo (Addiz. alla Bibl. napol. p. 91), che annoverano ancora le loro edizioni, e segnano quelle che non son pubblicate. Mi basterà l’accennare che molte d’esse sono Comenti su varii libri della sacra Scrittura, altre sono ascetiche, altre contengono le celebri sue Profezie. Ciò che è degno d’essere osservato, si è che Gioachimo si accinse a comentar la sacra Scrittura per espresso volere de’ romani pontefici. L’arcivescovo Luca racconta ch’egli nel secondo anno del pontificato di Lucio III, cioè l’anno 1183, venuto innanzi al pontefice, prese a parlare nel Concistoro dell’interpretazione della Scrittura , e della concordia del Vecchio e del Nuovo Testamento; che ottenne da lui licenza di scrivere su tale argomento, e che prese a stendere i suoi Comenti sopra l’Apocalissi, e sopra la concordia de’ due Testamenti. Il Greco, e dopo lui il Papebrochio han pubblicato un Breve di Clemente III scritto l’anno 1188 allo stesso abate Gioachimo, in cui lo esorta a condurre a fine le suddette due opere, ed egli pure rammenta il comando che di ciò avuto avea, non sol da Lucio III, ma anche da Urbano III, di lui successore. La stima in cui questi romani pontefici ebbero Gioachimo, è una chiara ripruova ch’egli era conosciuto qual uomo di virtù e di sapere non ordinario. Per ciò che appartiene ad Urbano III, leggiam nella Vita che ne scrisse Bernardo di Guidone, pubblicala [p. 175 modifica]SECONDO 1^5 dal Muratori (Script. Rer. ital. t. 3, pars 1, p. 476), che Gioachimo venne dalla Calabria a Verona l’anno 1185, ove allora era il pontefice, e a lui presentossi, per quanto sembra, per offerirgli parte delle sue opere; nella qual occasione egli probabilmente fu da lui esortato a continuarne il lavoro. Aggiugne Bernardo, che dicevasi comunemente che Gioachimo dapprima fosse stato uomo di corto intendimento, ma che poscia avesse dal ciel ricevuto uno straordinario lume ad intendere e ad interpretare i più difficili passi della Scrittura. Lo stesso, e quasi colle stesse parole, raccontasi da Francesco Pipino (Chron. c. 15, Script. rer. ital. vol. 9, p. 598). Ciò non ostante la dottrina di Gioachimo non fu in ogni sua parte giudicata cattolica. Avea egli scritto un libro contro ciò che sul mistero della Trinità avea insegnato il celebre Pier Lombardo; il qual libro più anni dopo la morte di Gioachimo esaminato nel general concilio lateranese l’anno 1215 sotto Innocenzo III, fu condennato. Ma due cose a discolpa di Gioachimo si debbon riflettere. La prima si è che egli soggettò spontaneamente tutte le sue opere alla sede apostolica; e perciò Onorio III, successor d’Innocenzo, con due suoi Brevi, uno del primo, e l’altro del quinto anno del suo pontificato, che sono stati pubblicati dal Greco e dal Papebrochio, diffinì che Gioachimo dovea esser tenuto uomo cattolico e seguace della retta Fede, e ordinò che niuna molestia perciò si recasse a’ monaci della Congregazione da lui „ > D o • 1 • fondata. L’altra si è che lo stesso Gioachimo in altre sue opere scrisse di questo augusto [p. 176 modifica]176 i LIBRO mistero nella più esatta maniera che sia possibile , sicchè egli o ritrattò in tal modo ciò che altrove avea scritto men giustamente, o spiegò in senso opportuno ciò che prima avea scritto in maniera oscura, e che potea facilmente intendersi in senso reo. Intorno a che veggasi il Papebrochio che questo punto ha illustrato con singolar diligenza, e che dopo avere esaminate le opere da lui scritte, ne ha esaltato assai la profonda dottrina, la forza con cui combatte gli errori, la chiarezza delle espressioni e delle immagini con cui spiega ogni cosa, singolarmente nell’opera intitolata del Salterio di dieci corde, in cui egli dice che Giachimo vinse se.stesso; e solo si duole che le edizioni ne siano per lo più scorrette, per modo che spesso non se ne rileva il senso. Degna è ancora d’essere letta una bella dissertazione del dottissimo P. Natale Alessandro intorno alla condanna del libro di Gioachimo (Hist. eccl. saec. 13, c. 3, parag 5, art. 3). IX. La santità de’ costumi di Gioachimo, di cui sopra abbiam ragionato, basta essa sola a renderci non improbabile che Dio la illustrasse con soprannatural luce a conoscer le cose avvenire. Ma non basta il mostrare che ciò potesse avvenire: convien cercare se avvenisse di fatto. Or questo è il punto su cui vi ha tra gli scrittori discordia maggiore, e, ciò che è più degno di maraviglia, tra’ medesimi scrittori antichi, de’ quali solo io cerco. Sicardo vescovo di Cremona, che vivea al tempo medesimo di Gioachimo, afferma (in Chron. ad an. 1 iì)4 » Script Rer. ital. vol. 7, p. 617) ch’egli ebbe [p. 177 modifica]SECONDO »77 veracemente spirito di profezia. His temporibus quidam exstitit Joachim Apulus Abbas, qui spiritum habuit prophetandi, et prophetavit de morte Imperatoris Henrici, et futura desolatione Siculi Regni, et defectu Romani Imperii, quod manifestissime declaratum est. Al contrario Ruggiero Howeden, che pur vivea al medesimo tempo, ne parla come di un falso profeta, e venditor di menzogne; e ne reca in prova la predizione ch’ei narra fatta da lui in Sicilia l’anno 1190 a Riccardo re d’Inghilterra e a Filippo re di Francia sul felice esito della guerra sacra, per cui essi movevano (Ann. Anglic. adan. 1190). Di questo fatto ragioneremo tra poco. Or basti averlo accennato per dimostrare quanto diverse fossero le opinioni intorno a Gioachimo, mentre ancor egli vivea. S. Tommaso medesimo non ne giudicò troppo favorevolmente dicendo (in 4 Sentent. Dist. 43 , qu. 1, art. 3) che Gioachimo avea in alcune cose predetto il vero per sola forza di naturale intendimento, e che in altre erasi ingannato. Anzi in una Vita di questo santo dottore scritta da Guglielmo di Tocco vissuto al principio del xiv secolo , e che è stata pubblicata dal P. Bollando (Acta SS. martii ad d. 7), si narra che avendo egli osservalo che d alcuni detti dell’abate Gioachimo abusavan!! gli Eretici, presa una copia dell’opere da lui scritte, segnò con una linea quelle parole e que’ passi che contenevano errore. Il che però forse, come osserva opportunamente il P. Papebrochio, S. Tommaso fece soltanto perchè si avvertisse a non prendere in reo senso que’ passi, non già perchè ei li credesse Tirabosch» , Voi. IV. 12 [p. 178 modifica]1 ’jtì LIBRO veramente infetti di errore. Non molto dopo i tempi di S. Tommaso, Dante parlò di lui, come di vero profeta. Il calavrese abate Gioachimo Di profetico spirito dotato Parad, c. 12, v. 140. Or se gli antichi scrittori che vissero insieme, o non molto dopo Gioachimo, non poterono accordarsi nel formarne il carattere, qual maraviglia che discordin tra loro i moderni? Più dunque che ai loro detti, convien riflettere ai fatti, e ricercare se l’abate Gioachimo abbia fatte mai profezie, e se esse si siano avverate. X. In ciò ancora io non seguirò i moderni scrittori, che non bastano a persuadermi, ma sol gli antichi, che sembrano assai più degni di fede. Ma che dovrem noi dire, se anche nei fatti veggiamo in essi contraddizioni e inveri-» simiglianze grandissime? L’Anonimo vaticano, pubblicato dopo altri dal Muratori, ci narra una leggiadra novella (Script. Rer. ital. vol. 8, p. 778). Arrigo V imperadore essendo andato in Calabria, Gioachimo gli venne innanzi, e gli disse che l’imperadrice Costanza di lui moglie, benchè non se ne fosse ancor avveduta, era incinta, ma che avrebbe partorito un demonio; volendo così indicare Federigo II. Chi non vede in questo racconto la semplicità, o l’impostura del narratore? L’arcivescovo Luca, che vale egli solo assai più che tutti gli altri scrittori insieme, racconta che Costanza avea per Gioachimo un rispetto e una venerazion singolare; e che un giorno avendolo ella fatto chiamare per confessarsegli, l’abate che la vide [p. 179 modifica]SECONDO 179 seduta sulla consueta sua sedia, avvisolla che ricordevole dell’umiltà conveniente a que1 sagramento, sedesse in terra, e ch’ella prontamente ubbidì. Questo racconto non è punto improbabile, e si confà ottimamente al carattere virtuoso, ma non fanatico, di Gioachimo. Ma egli certo non avrebbe parlato mai di Federigo in quella sì ingiuriosa maniera che gli fa usare l’Anonimo Vaticano e ancorchè avesse voluto predire i mali che da lui si sarebbero recati alla Chiesa, l’avrebbe fatto con più rispettose espressioni. Io perciò non dubito punto che una tal profezia sia stata coniata da alcun del partito contrario a Federigo II, e troppo facilmente adottata dal detto Anonimo. Il che comincia a mostrarci che alcuni si son presi il trastullo di fingere profezie dell’abate Gioachimo, ch’egli non avea mai fatte. Ciò cominciò a farsi fin da quando egli vivea; e tale io credo col P. Pagi (Crit ad Ann. Baron. ad an. 1190) che fosse quella cui Ruggero Howeden scrittore contemporaneo racconta fatta ai re Riccardo e Filippo, cioè che fra sette anni sarebbe stata espugnata Gerusalemme. In fatti lo stesso Ruggero narra che Gioachimo avea prima risposto che non era ancor giunto il tempo di espugnare Gerusalemme, e che poco o nulla avrebbono i Cristiani con quella spedizione ottenuto. E che tale fosse, e non altra la risposta di Gioachimo, l’afferma ancora Bernardo di Guidone (Vita Clement. III, Script rer. itaL t. 3, pars. 1, p. 4;8). Ma per confortare i crociati dovette probabilmente spargersi ad arte la voce che Gioachimo avesse [p. 180 modifica]l8o LIBRO differita allo spazio sol di sette anni la presa di Gerusalemme. In tal maniera, mentre ancor vivea Gioachimo, si spacciavano profezie finte a capriccio, e a lui francamente si attribuivano. Questo stesso ci mostra che Gioachimo era tenuto universalmente in concetto di vero profeta; ma insieme ci avverte a non fidarci troppo alla cieca a ciò che anche gli scrittori contemporanei ci raccontano essere stato da lui predetto; poichè forse essi poterono troppo facilmente dar fede alle voci incerte del popolo, che su ciò si spargeano. XI. Come potrem noi dunque conoscere finalmente ciò che pur vorremmo sapere, se Gioachimo fosse, o non fosse profeta? L’unico mezzo a ben giudicarne sembrami quello di cui ha fatto uso il P. Papebrochio, cioè consultare le opere stesse che di lui ci sono rimaste; vedere se in esse egli abbia predetto cose avvenire, e se esse siansi di fatto avverate. Or egli rapporta due lettere da Gioachimo scritte l’una l’anno 1191 ad un suo amico di Messina, il quale avealo avvertito che il re Tancredi mostravasi contro di lui acceso di fiero sdegno; l’altra l’anno 1 k)3 al medesimo re che con sua lettera avealo minacciato di distruggere i monasteri della sua Congregazione; e in amendue, e nella seconda singolarmente, Gioachimo predice al re la rovina che a lui e a’ figliuoli di lui soprastava; predizione che dal fatto fu comprovata l’anno 1194 in cui Tancredi, dopo aver perduto per morte il primogenito suo Ruggero, morì egli pure, e non molto dopo Sibilla moglie di Tancredi coll’altro suo figlio Guglielmo costretti [p. 181 modifica]SECONDO I8I furono a darsi nelle mani d’Arrigo, e furono da lui trattati con eccessivo rigore. Più chiare ancora e più certe sono le profezie che veggiam da lui fatte ne’ suoi Comenti su Geremia, da lui verso l’anno 1197 indirizzati all*imperadore Arrigo V. Egli gli predice che quand’egli dia fine alla sua vita insieme e al suo regno, due rivali sorgeranno a contrastar dell’impero: Vide autem tu, qui Vipera diceris (così parla ad Arrigo), ne, te pereunte morteque praevento, Imperii latera disrumpantur; et aliqui quasi duae viperae ad apicem potestatis ascendant; et quasi alter Evilmerodach unus eorum obtineat , qui in brevi tempore a morsu regali retro cadat. Potevasi egli adombrar meglio lo stato dell’impero dopo la morte d’Arrigo, la lunga guerra tra Ottone e Filippo, la morte di Filippo che rendette Ottone posseditore del trono, e l’abbatterlo che presto fece Federigo II, il qual finalmente rimase padron dell’impero? Tutte le quali cose avvennero alcuni giorni dopo la morte di Gioachimo. Egli va innanzi ancora, e apertamente predice il tribolare che Federigo (fanciullo di 3 anni mentre Gioachimo scrivea, e che contavane 8 quando eimorì) avrebbe fatto la Chiesa e il pontefice; la vergognosa pace ch’egli avrebbe stretta co’ Saracini; l’estinzione della famiglia degl’imperadori svevi; la scomunica che contro di lui sarebbe stata fulminata, ed altre sì fatte cose, che Gioachimo non potè prevedere se non per lume infuso dal cielo. Io non recherò qui tutti i passi in cui egli ha fatte tai predizioni, che si posson veder raccolti dal suddetto P. Papebrochio. Mi basti il riferirne [p. 182 modifica]183 LIBRO un solo, in cui chiarimente descrive e l’alto stato in cui Federigo sarebbe salito, e le finte promesse con cui avrebbe lusingati i pontefici, e la guerra che avrebbe poscia lor mossa, e l’anatema con cui sarebbe stato punito: Sane ipse Regulus altius volabit et latius, ut per cunctam Imperii latitudinem affligat Ecclesiam — Ilic tamen interim blandietur facie in principio ortus sui, sed tempore procedente, veluti alter Balthassar, abutetur in foeminarum concupiscentiis, Templi, scilicet Ecclesiae, vasis. Nam volatus ejus etsi culpam insinuet, tamen dolose et invide ipsum innuit esse ventumm — Cadct in gladio non viri, et gladius non hominis vorabit eum.... gladius scilicet non humanus, sed gladius spiritus verbi. Da tutte le quali cose sembra potersi raccogliere che quando i codici sui quali si è fatta l’edizione dell’opere dell’abate Gioachimo siano originali, o almeno antichi, per poco che non v’abbia luogo a temere d’interpolazione, o d’impostura, le predizioni in esse inserite si debbon avere in conto di vere e soprannaturali profezie. XII. I confini di brevità, tra cui mi sono prefisso di contenermi, non mi permetton di stendermi più ampiamente su questo argomento; nè mi è necessario il farlo, avendo già rischiarata , quanto si potea bramare, una sì intralciata quistione il più volte lodato P. Papebrochio. Egli riferisce ancora più altre profezie estratte dall’opere dell’abate Gioachimo intorno alle contraddizioni che le sue profezie medesime avrebbon sofferte, alle vicende a cui sarebbe stata soggetta e la sua Congregazione [p. 183 modifica]SECONDO l83 e tutto T Ordine cisterciense , a1 nuovi Ordini che nella Chiesa di Dio sarebbon nati non solo ne’ tempi a lui vicini, ma ne’ più lontani ancora; e singolarmente arreca le chiarissime formole con cui predisse i due incliti Ordini de’ Predicatori e de’ Minori, che poco dopo dovean avere cominciamento, benchè insieme mostri la falsità di ciò ch’altri hanno scritto, cioè che egli nel tempio di S. Marco in Venezia ne facesse profeticamente dipingere co’ lor proprj abiti i due santissimi fondatori. Egli scioglie ancora felicemente la non piccola difficoltà che contro le profezie di Gioachimo nasce dal non troppo favorevol giudizio portatone da S. Tommaso; e mostra che l’abuso che alcuni avean cominciato a farne, e gli errori che da alcune d’esse 11011 ben intese ebbero origine, e le predizioni che sotto il nome dell’abate Gioachimo da alcuni malignamente si disseminavano, indussero il santo ad usar di molta cautela nel ragionarne, e ad adoperare espressioni che in altre circostanze probabilmente ei non avrebbe adoperate. Tutta questa dissertazione del P. Papebrochio è degnissima di essere letta, e io spero che chiunque prenderà a leggerla, avrà a confessare ch’io non ne ho giudicato con troppo favorevole prevenzione. Degli errori che all’occasione de’ libri dell1 abate Gioachimo si divulgaron da alcuni, dovrem ragionare in questo capo medesimo ove tratteremo di Giovanni da Parma dell’Ordine de’ Minori. Ma prima di passar oltre, rimane a dir qualche cosa intorno a quelle profezie dell’abate Gioachimo che sono anche ai nostri giorni le più famose, cioè a quelle sui romani pontefici. [p. 184 modifica]i84 LIBRO Xin. Che Gioachimo avesse scritte profezie intorno a’ futuri pontefici, si afferma dagli scrittori della sua Vitaj e più antica testimonianza ne abbiamo in un libro del b. Telesforo da Cosenza , che fiorì al cominciamento dello scisma d’Occidente. Il Papebrochio arreca un passo di questo scrittore, in cui dice d’aver egli medesimo veduto il libro intitolato del Fiore, che Gioachimo avea scritto su questo argomento j eli’ egli cominciava la serie de’ papi da Innocenzo IV, e che giungeva fino a’ tempi delT Anticristo, col qual nome, secondo alcuni, accennasi il fine del mondo, secondo altri, l’antipapa Clemente VII che fu il primo tra quelli che formarono il suddetto scisma. Telesforo aggiugne che il libro di Gioachimo cominciava con queste parole: Tempore colubri Leaenae filii. Quest’opera di Gioachimo è certamente perduta, come osserva il P. Papebrochio, ed è probabile che i monaci stessi la facesser perire , temendo che cotai profezie potesser riuscire ad essi pericolose. E nondimeno si spacciano ancora le profezie intorno a’ papi dell’abate Gioachimoj e non manca anche al presente chi alla creazion del nuovo papa brami di risapere che ne dica questo famoso profeta. Corrono in fatti per le mani del volgo alcuni vaticinii di tal natura attribuiti all’abate Gioachimo. Ma basta il leggerli, perchè un uom saggio ne conosca subito l’impostura. Il libro di Gioachimo cominciava da Innocenzo IV, e le profezie che ora abbiamo cominciano da Niccolò III. Quello giugneva a’ tempi dell’Anticristo, qualunque persona egli intendesse sotto tal nome; queste [p. 185 modifica]SECONDO l85 dell’Anticristo non fanno motto; anzi in alcune edizioni giungono fino ad Innocenzo VIII morto l’anno 1492 benchè ciò che appartiene a’ papi successol i di Urbano VI, si pretenda da altri che sia opera di Anselmo vescovo marsicano vissuto al principio del XIII secolo. Ma, come opportunamente osserva il P. Papebrochio (Propileum ad Act. SS. maii diss. 4«)? il profeta impostore, chiunque ei fosse, non fu abbastanza avveduto; perciocchè avendo voluto alle sue profezie aggiugnere ancora simboli e figure, rappresentò tutti i pontefici col triregno in capo, il quale ornamento essendo stato trovato da Urbano V, non dovea attribuirsi a dodici altri pontefici di lui più antichi, che non l’usarono. Lo stesso P. Papebrochio congettura con ottimo fondamento che le profezie intorno a quindici papi da Niccolò III fino ad Urbano VI, che sono le più comunemente attribuite all’abate Gioachimo , fosser lavoro di qualche scismatico fautore dell’antipapa Clemente VII; e il raccoglie dalle ingiuriose espressioni con cui il preteso profeta parla di Urbano, e da’ simboli con cui il descrive; perciocchè egli il dipinge in figura di orribile alato drago che giace sul fuoco, col capo umano, colle orecchie d’asino, colla fronte ornata alla foggia de’ dogi veneti , e colla coda armata di spada infocata, che sembra trascinar nove stelle dal cielo in terra, mentre altre otto risplendono intorno alla luna; e quindi di lui dice ch’egli è l’ultima fiera orribile a vedersi, che trarrà dal cielo le stelle, che fuggiranno gli uccelli, e i rettili soli si rimarranno; e volgendosi poscia a lui [p. 186 modifica]186 LIBRO stesso, crucici fiera, esclama, che consumi ogni cosa, 1 inferno ti aspetta. Non è egli questo un parlare qual si conviene appunto a un furioso scismatico e seguace dell’antipapa Clemente? Conchiudiam dunque che le profezie su’ romani pontefici attribuite all’abate Gioachimo non sono che un’impostura indegna di formare l’occupazione d’un uom saggio. Nè io mi sarei trattenuto sì lungo tempo a favellar di quest’uomo sì rinomato, se non avessi creduto opportuno il liberarlo dalla taccia che quasi tutti i moderni scrittori gli danno , d’impostore, o almen di fanatico e di visionario. Essi credono per avventura di non poterne giudicar altrimenti, senza esser creduti deboli e superstiziosi. Io non ricuserò di esser creduto tale, quando mi si dimostri l’insussistenza delle ragioni che a difesa di Gioachimo ho finora allegate. XIV. Or venendo agli altri Italiani che nel tempo di cui scriviamo furon celebri pe’ sacri studi da lor coltivati, ci si offron dapprima molti dottissimi professori che l’Italia diede all’università di Parigi. Lanfranco e Anselmo erano stati in Francia i ristoratori degli studi, e singolarmente della teologia. Pier Lombardo avea alla università di Parigi accresciuto gran nome col suo sapere e co’ suoi libri, come nel precedente tomo si è dimostrato. Nel presente secolo ancora veggiamo non pochi Italiani mostrarsi su quel luminoso teatro, e divenire 1’oggetto di ammirazione degli stranieri tra cui viveano. Noi li verremo annoverando partita niente, e ci tratterremo or più or meno nel ragionarne, come richiederan le cose che intorno ad essi dovrem [p. 187 modifica]6EC0JTO0 187 ricercare; e speriamo che i Francesi ci permetteran! volentieri che ricordiamo con sentimenti di gratitudine gli onori ch’essi renderono a’ professori italiani eh* ebber la sorte di esser chiamati a quella università sì famosa. Cominciamo da quello di cui è troppo celebre il nome perchè non debba a tutti essere preferito dico da S. Tommaso d’Aquino. XV. Io non debbo qui esaminare ciò che appartiene alla vita, alle virtù, a’ miracoli di questo santo dottore. Le Vite che anticamente ne furono scritte e che sono state date alla luce dal p. Enschenio (Acta SS. mart. ad d. 7), e quelle che hanno scritto molti moderni, possono a ciò somministrar le più ampie e le più esatte notizie. Io debbo solo osservare ciò che appartiene agli studi da lui fatti, alle cattedre occupate, alle opere pubblicate, e al lume ebe egli ha sparso su quelle scienze a cui si rivolse. Tommaso (figliuol di Landolfo conte d’Aquino e di Teodora de’ conti di Chieti, nato in Rocca Secca nella diocesi d’Aquino l’anno 1225, o, secondo altri, 1227, poichè fu giunto all’età di cinque anni, fu da’ genitori mandato a Monte Casino, perchè insieme con altri nobili fanciulli che ivi si allevavano , fosse istruito nella religione non meno che negli elementi della letteratura. Se egli in quel monastero medesimo vestisse l’abito di S. Benedetto, si è disputato assai in questi ultimi tempi, e si posson vedere le due dissertazioni stampate su questo argomento una contro l’altra l’anno 1722 (De Monachatu benedict. D. Thom. ec., De Fabula Monachatus benedict. D. Th. ec.), la prima xv. Epoche della vita di S. Toninij*o d’Aquiuo» [p. 188 modifica]188 LIBRO dui P. Serry in difesa del monacato di S. Tommaso, l’altra in risposta ad essa dal P. de Rubeis amendue dello stesso Ordine de’ Predicatori. Guglielmo di Tocco, antico scrittore della Vita del santo, di ciò non fa motto; ma dice bensì che l’abate di Monte Casino veggendo il vivace ingegno di cui era fornito Tommaso, persuase al co. Landolfo che il mandasse agli studi in Napoli, e che essendosi ciò eseguito, Tommaso vi ebbe a maestri nella gramatica e nella dialettica un cotal Martino, nella fisica que’ Pietro ibernese medesimo che abbiam veduto chiamato a Napoli da Federigo II per tenervi scuola di leggi, e che forse avea cambiato il Codice di Giustiniano colla fisica di Aristotele. Ne’ quali studi fece Tommaso sì felici progressi , che lasciossi di lunga mano addietro tutti i suoi condiscepoli. Entrato 1’anno 1 -¿fò nell’Ordine de’ Predicatori, ebbe a soffrire dalla sua famiglia medesima un’ostinata persecuzione e una lunga prigionia di un anno in circa, con cui si sforzarono di ricondurlo dal chiostro al mondo. Liberatone finalmente l’anno 1244 fu condotto a Parigi, e quindi tosto a Colonia a studiarvi la teologia sotto il celebre Alberto Magno; il quale chiamato poscia l’anno 1245 a legger la teologia nel convento del suo Ordine in Parigi, seco condusse Tommaso’ che in quella città compì in quattro anni il suo corso. Tornato indi a Colonia, cominciò a tenere scuola tra’ suoi di filosofia, di teologia e di sacra Scrittura; e dopo essersi ivi trattenuto quattro o cinque anni, passò a tenerla in Parigi. Bollivano allora le celebri controversie Ira [p. 189 modifica]SECONDO I89 quella università e i Mendicanti intorno al dxritto d1 insegnare pubblicamente, e di entrare a parte degli onori della università medesima. Esse non appartengono punto al mio argomento ed io godo di non esser costretto a rinnovarne se non di passaggio la spiacevol memoria. S. Tommaso all’occasione di esse sen venne in Italia, e giovò non poco alla causa de’ suoi, ch’ebbero al tribunale di Alessandro IV una compiuta vittoria sopra i loro avversari. Dopo essa tornato a Parigi, vi fu solennemente ricevuto dottore l’anno 1 iS’]. E quella celebre università che aveagli prima contrastato questo onorevole grado, fu poscia ed è anche al presente lietissima di averglielo conferito. Per tre o quattro anni continuò egli a tenervi scuola di teologia. Tornato poscia in Italia, l’anno 1260 e 1261 aprì scuola di teologia in Roma, e continuolla fino all’anno 1269, benchè cambiasse spesso soggiorno, tenendola or in Orvieto , or in Anagui, orili Viterbo, or in Perugia, secondo che cambiavan soggiorno i romani pontefici. All’occasion del capitolo generale del suo Ordine, celebrato in Parigi l’anno 1269, essendo egli tornato a questa città , per due altri anni vi tenne scuola 5 finché tornalo in Italia l’anno 1271, aprilla di nuovo in Roma. L’università di Parigi dolente della perdita che avea fatta di un professore sì illustre, scrisse l’anno seguente al Capitolo generale de’ Predicatori, raunato in Firenze, per riaverlo; ma al medesimo tempo avendolo chiesto istantemente per la sua università di Napoli il re di Sicilia Carlo I, l’ottenne , e S. Tommaso ivi passò il rimanente [p. 190 modifica]IQO LIBRO della tua vita, avendo dal real erario lo stipendio di un’oncia d’oro al mese. Finalmente l’an 1274 chiamato da Gregorio X al concilio general di Lione, sorpreso da malattia nel viaggio. e ritiratosi nel monastero de’ Cistercensi di Fossanuova nella diocesi di Terracina, vi morì santamente in età di 48, o, secondo altri, di 50 anni. L’università di Parigi, poichè ne intese la morte, scrisse al Capitolo generale de*Predicatori, che tencvasi quell’anno a Lione, una lettera sommamente onorevole al santo dottore, in cui dopo avere spiegato il dolore con cui ne aveva udita la morte, prega l’Ordine tutto a volere concedergliene il corpo, acciocchè esso possa avere riposo in quelle scuole medesime che prima ne avean formato lo spirito, e che poscia da lui erano state cotanto illustrate; e chiede insieme che le siano mandate alcune opere da lui scritte, e singolarmente un Comento sul Timeo di Platone, e un trattato sulla costruzione degli Acquedotti. Questa lettera è stata pubblicata dal du Boulai (Hist. Univ. Paris, t. 3, p. 4°9)j ma non Pare che l’università ottenesse punto di ciò che bramava. XVI. Tutte queste notizie intorno alla vita di S. Tommaso, ch’io son venuto con somma brevità accennando, si posson vedere più ampiamente distese presso gli autori da noi poc’anzi citati, e singolarmente presso i PP. Quetif ed Echard che ogni cosa hanno provata con autorevoli documenti (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 271, ec.). Non ho qui fatta menzione della cattedra di teologia da lui tenuta in Bologna, perchè non ne trovo indicio in alcun [p. 191 modifica]SECONDO jyi antico scrittore. Il dotto P. Touron dell’Ordine de’ Predicatori lo ha affermato (Vie de S. Thomas, l- 3, c. 3), non so su qual fondamento. Ma gli storici dell’Università di Bologna, raccoglitori per altro sì diligenti di ogni più minuta notizia, non hanno rinvenuto alcun monumento a cui appoggiare tal tradizione, e han dovuto riferirla sulla sola autorità del suddetto P. Touron (De Prof. Bonon. t. 1, pars 2, p. 2). Molto meno ho creduta degna di esame la popolar voce che sulla morte di S. Tommaso corse allora tra alcuni; e che veggiamo accennata da Dante (Purgat, c. 20), e più chiaramente espressa da Giovanni Villani: Andando lui, dic’egli di questo santo (l. 9, c. 217), a Corte di Papa al Concilio a Leone, si dice che per uno Fisiciano di detto Re (Carlo I) per veleno li mise in confetti il fece morire, credendone piacere al Re Carlo, però ch’era del lignaggio de’ Signori d’Aquino suoi rubelli, dubitando che per lo suo senno et virtù non fosse fatto Cardinale; onde fu grande dannaggio alla Chiesa di Dio. A que’ tempi non vedeasi morire alcuno di morte immatura, che non si credesse avvelenato: nè giova il trattenersi a confutare tai voci che altro fondamento non hanno che la popolare credulità. XVn. Molto meno entrerò io a parlare disi inlamenle di tutte le opere da questo grand’uomo composte; poichè in ciò mi converrebbe occupare più fogli, e appena potrei dir cosa che non fosse già stata detta. I suddetti PP. Quetif ed Echard, e più recentemente il dottissimo P. de Rubeis (De Gestis, ec. S. Thomae [p. 192 modifica]192 LIBRO Diss. Ven. 1750), hanno esaminato e trattato questo argomento, per modo che è inutile il disputarne di nuovo. Io dirò solo generalmente che non vi è genere alcuno di scienza che fosse allor conosciuta, che non sia stato da lui illustrato. Di ciò ch’egli fece a vantaggio della filosofia, parleremo altrove. Qui non trattiamo che degli studi sacri. I Comenti da lui fatti su’ libri delle Sentenze di Pier Lombardo , le opere scritte contro i Gentili e contro gli Ebrei, la Sposizione di molti libri della sacra Scrittura, gli Opuscoli in gran numero da lui composti su diversi sacri argomenti, ma sopra ogni cosa la sua Somma Teologica ci mostrano chiaramente ch’egli era forse il più dotto uomo che a’ suoi tempi vivesse. Quest’ultima opera sola basterebbe a renderne immortale il nome. Perciò non sono mancati alcuni che gliene hanno invidiata e contrastata la gloria, negando ch’egli ne fosse il vero autore. Ma i soprannominati scrittori hanno con tal evidenza risposto alle ragioni degli avversarii, che niun probabilmente vorrà più sostenere una sì mal fondata opinione. Anche il celebre P. Francesco Pagi ha prodotti forti argomenti a provare che la Somma Teologica è veramente opera di S. Tommaso, tratti dal testamento di S. Lodovico vescovo di Tolosa, da lui pubblicato dopo i Sermoni di S. Antonio da Padova. Or in questa e nelle altre sue opere S. Tommaso alla profondità delle ricerche e alla forza del raziocinio aggiunge un ordine, una connessione , una chiarezza e una precision singolare tutta sua propria; in modo che il testo [p. 193 modifica]incorsilo iy3 è spesso più chiaro assai del comento e della sposizione che alcuni vi hanno aggiunti. Nè io negherò già che le voci scolastiche da lui usate non rechin talvolta ingombro e dispiacere a chi legge; ma esse erano allora ciò che sono al presente le espressioni geometriche ed analitiche, che da molti s’introducono per vezzo anche nella storia e nella filosofia morale. Perchè sdegnarci con lui, s’egli ha seguiti i pregiudizii dei suo secolo , e se ancora egli ha tenute alcune opinioni che in altra età egli avrebbe impugnate? Ma io non debbo qui fare l’apologia di S. Tommaso che ha già avuti difensori troppo più valorosi, i quali hanno ribattute le accuse che da alcuni gli sono state date, e le villanie con cui da altri è stato oltraggiato, e singolarmente dall’apostata Oudin (De Script, eccl. vol. 3, p. 256, ec.), il qual per altro ha assai diligentemente trattato dell’opere da lui composte; ma un grave abbaglio ha preso trattando dell’opera di S. Tommaso intitolata de Regimine Principum; perciocchè afferma che non egli, ma Egidio Colonna ne è l’autore; come se non abbiano amendue scritto su questo argomento, e l’opera dell’uno non sia totalmente diversa da quella dell’altro. Essi hanno ancora esaminato ciò che concerne la condanna di alcune proposizioni attribuite a S. Tommaso fatta 1 anno 1277 da Stefano Tempier vescovo di Parigi, che fu poi annullata l’anno 1315 da Stefano di Borret di lui successore. Del che parlano gli storici dell’Università di Parigi (Crevier Hist. de f Univ. de Paris, t. 2, p. 70, 288). Tiraboschi, Voi IV. i3 [p. 194 modifica]194 LIBRO XVIIL Io so bene che dopo tutte le apologie fatte di S. Tommaso molti ancora vi sono e vi saranno probabilmente in ogni età che ne parlano con disprezzo, e senza averne mai letta per avventura una linea, se ne fan beffe come di un misero e oscuro scolastico troppo indegno di ottener lodi da spregiudicato filosofo; o agli elogi in ogni secolo e da ogni ordine di persone a lui fatti rispondono in breve ch’essi son sentimenti d’uomini o superstiziosi, o fanatici. Io mi guarderò dal venir con essi a contesa; che il mio giudizio non sarebbe da essi accolto se non colle risa. Ma essi mi permetteranno almeno che io rammenti loro il giudizio che di S. Tommaso han dato alcuni scrittori a’ quali non credo che si possa dare la taccia d’uomini o pregiudicati, o superstiziosi, o fanatici. Tali certo non erano nè Erasmo da Rotterdam, il quale chiama S. Tommaso non solo il più dotto uomo dei suo secolo, ma tale a cui niuno de’ moderni teologi puossi agguagliare nè per diligenza nè per ingegno nè per erudizione (Cornili. in Ep. ad Rom. p. 244) nè il protestante Bruckero, il qual confessa che S. Tommaso ebbe non mediocre discernimento, eccellente ingegno, grande letteratura, e infatigabile industria, per cui potè tante e sì gran cose scrivere , morto in età di cinquarti’ anni; o che se fosse vissuto a secol migliore, e avesse avuto il corredo di quella letteratura di cui ora godiamo, sarebbe certamente creduto un de’ più grandi ingegni che mai siano stati; come si può conoscere da quelle cose medesime che in [p. 195 modifica]SECONDO iy5 mezzo alb* tenebre ile’ suoi tempi U’uttò nondimeno con moderazione e con senno (Hist crit. Philos. t. 3, p. 803, ec.). Io potrei ancora recare il bell’elogio che ne ha fatto M. Crevier (Hist de l’Univ. de Paris, t. 1, p. 457), il quale fra le altre cose reca un bel detto di M. Fontenelle, che solo vale per un eloquentissimo encomio: S. Tommaso, dice egli (Elog. t. 2, p 483), in un altro secolo e in altre circostanze sarebbe stato Cartesio. Ma basti il riferire ciò che di S. Tommaso ha scritto recentemente un autore, il cui giudizio io spero che non sarà rigettato dagli stessi più illuminati filosofi de’ nostri giorni: dico il celebre abate Yvon. Egli non tace i difetti che in lui gli sembra di ravvisare; e per ciò ancora ei merita maggior fede quando ne celebra i pregi. Dopo aver superati, dice egli parlando di questo santo dottore (Disc. sur l’Hist. de l’Eglise, t. 3, p. 230), i primi ostacoli, entrò animosamente nel corso delle scienze, e a guisa di un torrente che abbia rotti i ripari, gittossi quasi con impeto su quanto a lui si offerse ne’ vasti campi della filosofia e della teologia. Lasciossi ben presto addietro i suoi condiscepoli, da’ quali prima era stato sprezzato. La sua autorità fra i Domenicani fu uguale alla ammirazione in cui era presso di loro. I sommi pontefici lo ricolmaron di elogi. Fu il maggior teologo del suo secolo, . e il sarebbe stato in quei secoli ancora in cui risorse il gusto della buona letteratura. In mezzo a quella barbarie di cui tutti gl’ingegni if allora erano infetti, si vede in alcuni suoi libri una certa eleganza di stile allora non conosciuta. [p. 196 modifica]19^ LIBRO Fu dotato di un profondo giudizio e di uno spirito penetrante, cui egli perfezionò con una ostinata fatica e con una immensa erudizione. Fu gran danno di ei non avesse maestri degni di lui, e che in grazia d’Aristotele, cui non leggea che tradotto, abbia negletto lo studio della lingua greca, l’arte della critica, e la soda bellezza de’ grandi scrittori d’Atene e di Roma. Questo filosofo gli dee quasi tutta la gloria a cui tra’ Latini è salito. S. Tommaso seppe coprire i difetti della teologia scolastica , di cui è stato il maggior ornamento, con una moltitudine di cose assai ben pensate, delle quali ei non fu debitore che al suo proprio ingegno. Solo è a dolere eli egli abbia fornite le armi, con cui difendersi, a questo metodo di trattare la teologia, e che lo abbia fatto credere il più eccellente per mezzo de’ suoi scritti, che certamente sarebbono più perfetti, s’ei fosse nato in un secolo in cui si fosse potuto ridur questo metodo alle sue giuste misure. Le idee metafisiche di S. Tommaso sono state sommerse in un mar di comenti, alla cui lettura non basta la vita d un uomo laborioso; ed a lui ancora è avvenuto ciò che suole avvenire agli uomini di talento, cioè che tra molte verità tramandino (ancora e rendan perpetui alcuni errori fra i troppo scivi li loro imitatori. Potrebbesi! per avventura ;! oppor qualche cosa a’ difetti che questo scrittore ravvisa in S. Tommaso, e singolarmente potrebbonsi qui ripetere i non pochi e assai forti argomenti con cui il dotto P. de Rubeis (l. cit. diss. 30, c. 3), e dopo lui il ch. monsignor Giangirolamo Gradenigo (Della LeUerat. [p. 197 modifica]SECONDO Hjq grcco-ital. c. 6) han provato non abbastanza certo ciò che dicesi comunemente che S. Tommaso non sapesse la lingua greca. Ma io permetterò volentieri che si riconoscano in S. Tommaso tutti i sopraccennati difetti, purchè insieme non gli si contendan quei pregi di cui egli ci si descrive fornito. XIX. Non vuolsi disgiungere da S. Tommaso un altro chiarissimo professore dell’Università di Parigi, che ivi fiorì al medesimo tempo, che l’anno stesso con lui fu ornato della teologica laurea, e che l’anno stesso finì di vivere, cioè S. Bonaventura, singolar ornamento della religion de’ Minori. Di lui ancora io parlerò brevemente, perciocchè, oltre ciò che ne ha il Wadingo negli Annali del suo Ordine, coll’usata sua accuratezza ne ha trattato il P. Giambatista Sollier della Compagnia di Gesù, uno de’ continuatori del Bollando (Acta SS.jul. t. 3, ad d. 14)» c una nuova Vita assai diligentemente composta, e in ogni sua parte provata colle testimonianze di antichi autori ce ne ha data f anonimo recente editore delle Opere di questo santo (t. 1 Op. S. Bonav. cd. Ven. i j51). A me perciò basterà qui ancora l’accennarne in breve le principali notizie, rimettendo a’ suddetti scrittori chi voglia averle più esatte. S. Bonaventura, nato l’anno 1221 in Bagnarea da Giovanni Fidanza e da Ritella di lui moglie, fu ancor fanciullo risanato da mortal malattia ’ per intercessione di S. Francesco che pochi anni innanzi era morto. L’anno 1243 entrò nell’Ordine de’ Minori, e tosto 1: anno seguente mandato a Parigi, vi attese agli studi [p. 198 modifica]It/8 LIBRO sotto il celebre Alessandro di Hales. Sette anni appresso cominciò egli stesso a tenere scuola, e ad interpretare il Maestro delle Sentenze; e dopo essere passato per gli ordinarii gradi scolastici, l’anno 1257, poichè furono terminate le controversie tra l’Università e i Mendicanti, delle quali abbiam detto poc’anzi, e nelle quali egli pure si adoperò in favore de’ suoi, fu insieme con S. Tommaso onorato della dignità di dottore. Frattanto l’anno precedente egli, benchè giovane di soli trentacinque anni, era stato eletto ministro generale dell’Ordine. Delle cose da lui operate a vantaggio de’ suoi non è di quest’opera il ragionare. Esse si possono vedere narrate distintamente da’ sopraccitati autori. Clemente IV avealo nominato l’anno 1265 all’arcivescovado di York; e il Wadingo ha pubblicato il Breve che perciò gli scrisse (Ann. Minor. t 2 ad an. 1265). Ma il santo seppe destramente sottrarsi all’onor destinatogli. Gregorio X, alla cui elezione avea egli avuta parte, l’anno 1273 dichiarollo cardinale e vescovo d’Albano, e nel seguente seco il condusse al Concilio general di Lione, ove egli diede in quell’augusto consesso luminose pruove del suo sapere. Ma mentre esso si celebrava, S. Bonaventura finì di vivere a’ 15 di luglio dello stesso aiif o 1274 con gran dolore: de’ cardinali e del pontefice, che nella quinta session del Concilio espose il danno che la Chiesa per tal morte avea ricevuto, e con dolore ugualmente di tutti i prelati, i quali con gli ambasciadori de’ principi e co’ teologi ivi raccolti intervennero alle solenni esequie che gli furono celebrate. [p. 199 modifica]SECONDO *99 XX. E veramente le opere eli’ egli ci ha lasciate, cel mostran degno della stima che i papi ne fecero, quand’ei viveva, e dell’onore a cui Sisto V lo ha sollevato dichiarandolo dottor della Chiesa. Sono esse, non altrimenti che quelle di S. Tommaso, di vario argomento, benchè il numero ne sia minore, ed egli abbia appena toccate le quistioni filosofiche. Parecchi sono gli opuscoli ascetici, parecchi quelli scritti in difesa del suo Ordine, del cui fondator S. Francesco scrisse ancora la Vita; parecchi ancora i teologici e gli scritturali. La più pregevole fra tutte le sue opere è il Comento sul Maestro delle Sentenze, in cui il santo si scuopre profondo teologo, ed assai versato nell’opere dei santi Padri. Veggasi il diligente esame che di tutte ha fatto il sopraccennato editore, distinguendo le vere opere di S. Bonaventura da quelle che son dubbiose, e da quelle che certamente sono supposte. Egli e il P. Sollier ancora han recate le testimonianze onorevoli che molti han renduto all1 ingegno e al sapere di lui, fra’ quali il famoso Giovanni Gersone non dubitava di anteporlo a tutti i teologi, dicendo che in lui ei trovava uno scrittore giudizioso e sensato che non seconda punto la curiosità comune agli uomini dotti, che sfugge le quistioni lontane dal suo argomento, e che alla sodezza della dottrina congiunge l’unzione della pietà. Nè i Cattolici solamente han recato sì favorevol giudizio delle opere di S. Bonaventura; ma tra’ Protestanti ancora non è mancato chi ne parlasse con lode. Fra gli altri il Bruckero, che pur seguendo i principii della sua setta il riprende [p. 200 modifica]300 LIBRO perchè con zelo, secondo lui, eccessivo abbia promosso il culto della Madre di Dio, confessa nondimeno che senza ciò ei dee aver luogo tra’ migliori Scolastici, e che gli si dee gran lode, perchè veggendo, com’egli dice, le sterili paglie e il vil loglio che da ogni parte infettava la teologia, sforzossi di scriver cose più sode e più vantaggiose (Hist. crit. Philos. t. 3, p. 811). XXI. Io ho antiposti ad ogni altro questi due chiarissimi lumi degli Ordini de’ Predicatori e de’ Minori, dell1 università di Parigi, e dell’Italia lor patria; non perchè essi fossero i primi di tempo tra gl’Italiani che in questo secolo salirono in quella università a gran nome, ma perchè essi pel vasto loro sapere, e per le molte e pregevolissime opere da lor composte, divenner fra tutti i più rinomati. Molti altri Italiani però ancora veggiamo in questo secol medesimo , altri prima di essi, altri dopo, occupare le teologiche cattedre in Parigi, ed acquistarsi la stima e gli elogi di quelli tra cui viveano. Il primo tra essi è un cotal Prepositivo lombardo di nascita, che dal monaco Alberico (Chron. ad an. i a 17) vien detto uomo ammirabile, e scrittore di alcuni sermoni e di alcune postille sul Maestro delle Sentenze. Egli fu sollevato alf onorevole dignità di cancelliere della chiesa di Parigi l’anno 1207, e i1 du Boulay (Hist. Univ. Paris, t 3, p. 36) ha pubblicata la formola del giuramento con cui egli, secondo la costituzion fattane dal vescovo Odone, obbligossi per ben della Chiesa e dell’università a risedere in Parigi, finchè fosse nella carica di cancelliere. Le postille che da Alberico gli si [p. 201 modifica]SECONDO 201 attribuiscono, sembrano esser la Somma di Teologia raccolta da’ detti dei SS. Padri da lui composta e di cui conservansi esemplari a penna in molte biblioteche, come pruova l’Oudin (De Script. eccl. t. 3, p. 31), il quale rammenta ancora alcuni codici di Sermoni e di Omelie dello stesso Prepositivo. Un altro libro da lui scritto, e intitolato Liber Officiorum de Divino Officio et diurno, si accenna dal P. Bernardo Pez (Diss. Isagog. in t. 1 Anecdot. p. 7). Di lui veggasi ancora il Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin, t 6, p. 10). Un altro che dicesi generalmente lombardo di nascita, e Desiderio di nome, si annovera dal du Boulay (l. cit. p. 678) tra quegli accademici dell’università di Parigi che in occasione delle contese di essa co’ Mendicanti scrissero contra questi; ed egli in fatti vien perciò nominato da S. Tommaso col titolo di eresiarca (Contra Impugnant. Relig. c. 6). Il Gesnero accenna l’opera da lui scritta su questo argomento (in Bibl.)) ma non sappiamo che ella sia uscita alla luce, o che in qualche biblioteca conservisi manoscritta. XXII. A maggior nome salirono alcuni di diversi Ordini religiosi, che in Parigi tennero scuola di teologia. Il primo dell’Ordine de’ Predicatori , che avesse ivi la laurea, fu Rolando cremonese. Era egli l’anno 1219 in Bologna professore di filosofia, come affermano i PP. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 12Ò) sul1 autorità di Gherardo da Fracheto scrittore contemporaneo, o piuttosto di medicina, come prova il P. Sarti (De Prof. Bonon, t. 1, pars. 1, p. 447) su quella de’ migliori codici dello stesso Gherardo, [p. 202 modifica]203 LIBRO quando mosso dalle prediche del b. Reginaldo compagno di S. Domenico, abbandonata la cattedra , entrò nell’Ordine dei Predicatori. L’anno 1228 passato a Parigi, ivi fu onorato del grado di baccelliere, e poscia ancor della laurea , e per più anni insegnò la teologia, nel quale studio ebbe fra gli altri a suo scolaro il celebre Ugo di S. Caro, che fu poi cardinale. La stessa scuola tenne egli in Tolosa dall’anno 1231 sino al 1233, ove è probabile ch’ei fosse inviato per combattere l’eresia degli AL bigesi, contro de’ quali in fatti ei rivolse il suo zelo non meno che il suo sapere. Per lo stesso motivo chiamato l’anno 1233 in Italia, venne a Piacenza, ove quanto ei sostenesse dal furor degli Eretici, si può vedere presso gli storici piacentini, e singolarmente presso l’eruditissimo proposto Poggiali (Stor. di Piac. t. 5, p. i"3). Pare ch’egli poscia passasse a Cremona, perciocchè i suddetti PP. Quetif ed Echard sulla fede di due antichi scrittori raccontano che mentre Federigo II l’anno 1238 assediava Brescia, alcuni Domenicani venuti dall’esercito imperiale a Cremona narrarono a Rolando che un cotal Teodoro filosofo, ch’era nel campo di Federigo, disputando con essi aveali confusi e ridotti a un vergognoso silenzio, e che Rolando mosso da zelo, benchè allor travagliato dalla podagra , salito tosto su un asino portossi al campo, e in una numerosa assemblea venuto a disputa con Teodoro, ne riportò un solenne trionfo. Egli finalmente morì in Bologna verso F anno 1 a5o, come mostrano i due soprallodati autori, i quali provano stesamente ciò ch’io [p. 203 modifica]SECONDO 203 non ho che accennato; e rammentano ancora una Somma di Teologia e di Filosofia da lui composta, di cui però avvertono non sapersi se conservisi in alcun luogo. XXUI. Quando S. Tommaso abbandonò l’ultima volta la sua cattedra di Parigi per tornare in Italia l’anno 1271, ebbe a suo successore’ Romano da Roma dello stesso suo Ordine, e1 laureato nella stessa università. Era egli della nobilissima famiglia degli Orsini, e nipote del Cardinal Giovanni Gaetano degli Orsini, che fu poi papa col nome di Niccolò III. Ei resse quella cattedra fino all’anno 1274 in cui morì; e di lui son rimasti i comenti su quattro libri delle Sentenze (Script Ord. Praed. t. 2, p. 263). Pochi anni prima avea avuto il medesimo onore Annibaldo degli Annibaldi, domenicano egli pure , e romano di patria, che tenne scuola in Parigi dall’anno 1257 sino al 1260, e tornato poscia in patria fu da Urbano IV sollevato all’onor della porpora. Di lui veggansi i più volte nominati scrittori della Biblioteca dei Predicatori (ib. p. 261), i quali provano lungamente ch’egli è l’autore di quel Comento su’ libri delle Sentenze, che leggesi col titolo di Secondo Scritto fra l’Opere di S. Tommaso, il che è stato dimostrato ancor dall’Oudin (De Script eccl. t. 3, p. 470) Credesi ancora, benchè non si possa affermare con sicurezza, che ivi leggesse teologia il B. Ambrogio Sansedoni dello stesso Ordine , che in questo esercizio , così in Italia come in Allemagna, occupossi con somma lode per circa 30 anni (Quetif , ec. p. 4n 0- Egli però non ci ha lasciato alcun monumento del suo [p. 204 modifica]XXIV. Notizie del B. Giovanni da Parma francescano $ j’ci sia Pulitore delP Evangelto eteruo. ao4 LIBRO sapere. Alberto da Genova, che l’anno 1300 fu eletto a maestro generale del medesimo Ordine, ma morì tre mesi soli dopo la sua elezione, avea avuto in Parigi il solo grado di baccelliere, ed era poscia passato a leggere teologia in Montpellier, e di lui si citano alcune opere teologiche (ib. p. 463). Finalmente verso la fine del XIII secolo era ivi pubblico professore di teologia un F. Remigio da Firenze, che all’occasione delle discordie tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello fu chiamato a Roma, ove poscia fu eletto procuratore dell’Ordine, e morì l’anno 1309). Di lui e delle opere da lui composte si veggano, oltre i suddetti scrittori (ib.p. 506), anche il Fabricio, e il ch. monsignor Mansi (Bibl. med. et inf. Latin, t. 6, p. 66). Io ho voluto accennar brevemente questi dottissimi teologi italiani dell’Ordine de’ Predicatori per dimostrare quanto ferace esso fosse fin da que’ tempi di celebri professori, e in qual pregio si avessero gl’ingegni italiani in Parigi, poichè tanti furon prescelti ad occupare quella cattedra che fra tutte era la più onorevole e la più apprezzata. XX.IV. Le contese tra l’Università e i Mendicanti erano state comuni anche a’ religiosi dell’Ordine de’ Minori, e questi ancora perciò entrarono a parte della vittoria, e ottennero di esser ricevuti nel corpo dell’università medesima. Molti in fatti sono quelli che noi troviamo aver ivi insegnata pubblicamente la teologia; ma tra gl’italiani altri non mi è avvenuto di rinvenirne, oltre a S. Bonaventura, che il B. Giovanni da Parma. In una Cronaca scritta [p. 205 modifica]SECONDO 2C>5 da F. Salirnbone dell1 Ordine de’ Minori, cbe vivea al medesimo tempo, e di cui il P. Sarti ha dati alla luce alcuni frammenti (De Prof. Bonon. t. 1, pars 2, p. 213), l’autore, dopo aver dette gran cose della singolare pietà di Giovanni (*) , racconta ch’egli era uomo eloquente e colto scrittore; che essendo ancor secolare, avea tenuta scuola di logica , e che fatto poi religioso, era stato lettore in Napoli e in Bologna. Teneva egli scuola di teologia in Parigi, quando l’anno 1247 fu eletto a ministro generale del suo Ordine, e due anni dopo fu da Innocenzo IV mandato in Grecia a trattare la riunione di quella Chiesa colla latina. Delle cose da lui saggiamente operate nel governo del suo Ordine sino all’anno 1266, in cui spontaneamente dimise la carica, si può vedere il (*) 11 titolo di Beato dato già in addietro a Giovanni da l’arma gli è stato per decreto della Congregazione de’ riiti confermato nei 1777, e nell’anno stesso no ò stata pubblicala in Parma la Vita dal eh. P. Ireneo Affò, ora bibliotecario di quella reai Biblioteca, scritta con somma esattezza, e con quella giusta critica con «ili sarebbe desiderabile cbe tante aiti e Vite de’ Santi fossero state scritte; c in essa si poli anno vedere esaminale più a lungo alcune questioni da me qui solo accennale. Il J7 librici» ha confuso insieme questo Giovanni da Parma, cbe fu della famiglia Buralli, con un allro pur Parmigiano, ma della famiglia Quaglia , che visse nel secolo xv; errore iu cui è chiamata ancora Parigi? l. c. canonico Bandini, ec Benvenuto da Imola comentando questo ascetica intitolata Bosarium, dice che Oderigi fuit. magnus Laureuziana (in. Civitate. Bononiae. Antiq. Laurent. t 1 , p. 568), e che, come dal titolo è manifesto, appartiene al secondo, di cui pure sono i Sermoni da lui medesimo rammentati (ih. p. 638). [p. 206 modifica]ao6 LIBRO Wadingo (Ann. Minor, t 3 , p. 171 , ec., aio; t 4} p- 3, ec. b Io debbo solo cercare ciò che appartiene a’ sacri studi da lui coltivati. Nè mi tratterrò a ragionare di alcune opere di non molta importanza da lui composte, delle quali ragionano l’Oudin (De Script, eccl. t. 3, p.) e il Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin. t 4, p. 11 a). Più degna d’essere esaminata è la questione se ei fosse l’autore d’un empio libro che, mentre egli vivea, videsi uscire alla luce, latinamente intitolato Evangelium aeternum. Bollivano allora le spesso accennate contese tra l’Università e i Mendicanti, quando verso l’anno 1254, come afferma Guglielmo da Santamore (De peric, novissim. tempor. c. 8), cominciò a spargersi segretamente il detto libro. Era esso tessuto di strani e ridicoli errori tratti in gran parte dalle Profezie non ben intese dell’abate Gioachimo. Il dotto P. Natale Alessandro ne ha fatto un breve epilogo (Hist eccl. saec. XII, c. 3, art. 4), ed essi riduconsi in somma ad anti’ porre la dottrina di Gioachimo a quella del Vecchio e Nuovo Testamento; ad affermare che il Vangelo di Cristo sarebbe cessato l’anno 1260, e che un altro Vangelo di spirito sarebbesi allor promulgato; a innalzare le Religioni de’ Mendicanti sopra qualunque altro Ordine ecclesiastico, e a dare ad esse il governo della nuova Chiesa che fondar si dovea, ed altri somiglianti sogni. Questo sì empio libro diede a’ professori dell’Università di Parigi troppo bella occasione di accender l’invidia e lo sdegno di tutti contro de’ Mendicanti; e mentre questi adoperavansi perchè fosse dannato il libro da Guglielmo [p. 207 modifica]SECONDO 207 di Sautamore contro di essi scritto e intitolato: De’ pericoli degli ultimi tempi, quelli accusarono al pontefice, come pieno di bestemmie e di errori l’Evangelio eterno. Amendue furono condannati da Alessandro IV l’anno 1256, benchè paresse che più rigore si usasse contro il primo che non contro il secondo (Crevier Hist de l’Univers. t. 1, p. 441 » 449)- Or di questo corse voce a que’ tempi che fosse autore Giovanni da Parma, come afferma il domenicano Eimerico autor del Direttorio degli’Inquisitori, che visse nel secolo susseguente, il quale ancora sembra non essere alieno da tal opinione (Direct. Inquis. pars 1 , quaest. 9). E certo non può negarsi che tale accusa non fosse del tutto priva di fondamento. Giovanni da Parma aveva in grande stima la dottrina e i libri dell’abate Gioachimo; e fu questa una delle accuse a lui date, per cui spontaneamente dimise il ministero dell’Ordine. S. Bonaventura, che gli fu dato a successore, destinò giudici ad esaminar lui e alcuni suoi compagni che dicevansi da lui sedotti. Questi in fatti mostraronsi così ostinati nel difender le opinioni dell’abate Gioachimo, anche in quella parte in cui dalla sede apostolica erano state dannate, che convenne punirli di prigionia. Giovanni non fu trovato reo di error nella fede; ma sol si vide che troppo favorevolmente ei sentiva delle opinioni di Gioachimo. Egli però ritrattò umilmente ogni errore in cui potesse esser caduto, e si sottomise in ogni cosa al giudizio della Sede apostolica. Fu perciò rilasciato, e S. Bonaventura permisegU che scegliosse qual [p. 208 modifica]ao8 libro convento gli fosse più in grado per sua dimora; ed egli ritiratosi in Greccia nella valle di Rieti, vi passò santamente il più degli anni che sopravvisse, finchè l’anno 1289 morì in Camerino. Tutto ciò veggasi più ampiamente narrato dall’annalista Wadingo (Ann. Minor, t. 4, p. 2, ec.). Poteasi dunque credere agevolmente che fosse egli l’autor di un libro ch’era fondato sulle Profezie dell’abate Gioachimo, e in cui tanto esaltavansi gli Ordini mendicanti, e singolarmente, benchè mai non si nominasse, quel de’ Minori. Ciò non ostante il suddetto Wadingo reca argomenti, a mio parere, fortissimi, a dimostrare (l. cit. p. 9, ec.) che questa non è che una mera impostura; e fra gli altri argomenti quello mi sembra evidente, che un degli errori dell’Evangelio eterno era l’antiporre la credenza de’ Greci a quella de’ Latini, il che non è possibile che si pensasse da Giovanni, il quale, come si è detto, adoperossi con sommo zelo per la riunione de’ Greci. È degna di esser letta tutta l’apologia che su questo punto ne ha fatta il detto storico; alle cui ragioni parmi che un’altra ancora di non minor forza si possa aggiugnere, cioè che se Giovanni fosse stato autore di quell’empio libro, non sarebbesi certo lasciato di accusarnelo espressamente da quelli che di altri errori il dissero reo. Or noi veggiamo bensì ch’egli fu accusato di seguire alcune opinioni dell’abate Gioachimo, ma ch’egli avesse composto l’Evangelio eterno, non troviamo che da alcun si dicesse, nè ch’egli fosse costretto a negare di averlo composto, o a ritrattare gli errori in esso insegnati. [p. 209 modifica]SECONDO 209 Quindi mi sembra che senza bastevol ragione il du Boulay (Hist. Univ. Paris, t. 3, p. 299) lo abbia creduto autore di questo libro. XXV. L’accusa data a Giovanni di aver composto un tal libro è sembrata improbabile anche all’Oudin (l.cit.), il qual per altro non è sì difficile in adottare somiglianti opinioni. Ma egli dopo aver difeso l’autor Francescano, addossa questo delitto a tutto l’Ordine de’ Predicatori, da cui afferma essere stato composto e di volgalo l’Evangelio eterno. Matteo Paris fu il primo autore di questa calunnia (Hist ad an. 1256), a cui l’Oudin aggiugne due altri scrittori contemporanei, da’ quali questo stesso si narra, cioè Ri cherio monaco di S. Benedetto, e Egidio de.Lorris. Ma, come ottimamente osserva il Rinaldi (Ann. eccl. ad eund. an.), la maniera stessa con cui essi accusan quest’Ordine di aver pubblicati sì gravi errori, basta a scolparnelo; perciocchè avrebbon essi dovuto dire chi fosse precisamente l’autor di quel libro, e non incolparne generalmente l’Ordine lutto. « E noi ora sappiam finalmente di certo chi fosse l’autore del Vangelo eterno che da alcuni fu attribuito al B. Giovanni di Parma, e ne dobbiam la scoperta all’infatigabile diligenza del soprallodato P. Ireneo Affà che ne ha trovata la notizia nella Cronaca ms. di F. Salimbene scrittor di quei tempi, da lui prima di ogni altro attentamente esaminata. Ei fu F. Gherardino da Borgo S. Donnino dell’Ordine dei Minori. Salimbene narra a p. 399 che Alessandro IV proscrisse due empii libri, cioè quello di Guglielmo da S. Amore, e il Vangelo eterno, e TntABoscni, Voi. IV. [p. 210 modifica]2 10 LIBRO di questo secondo dice: Alter vero libellus continebat multas falsitates contra doctrinam Abbatis Joachym, quia sic Abbas non scripserat; videlicet quod Lvangeliiun Chris li et doctrina Novi Testamenti neminem ad perfectum duxit, et evacuanda erant mcclx. anno.... Et nota quod iste, qui fecit is turn libellula, diclus est Frater Ghirardinus de Bur go Sancii Donini, qui in Sicilia nutritus fuit in seculo, et ibi docuit in Grammatica. Et cum intrasset Ordinem Fratrum Minorum processu temporis fuit Parisius pro Provincia Sicilie, et factus est Lector in Tlitologi a, et Parisius Jecit is turn libellula, et ignorantibus Fratribus divulgavit. Sed valde bene fuit punitus, ut posui supra. Del gastigo dato a F. Gherardino avea parlato F. Salimbene a p. 394, ove dopo aver detto, ciò che pur ripete altrove, che fuor di questo libro ni un’altra taccia poteasi a lui apporre, e ch’era uomo di ottimi ed onesti costumi, soggiugne: Et quia occasione istius libelli improperatum fuit Ordini et Parisius et alibi, ideo predictus Ghirardinus, qui libellum fecerat, privatus fuit lectoris officio, et predicationibus, et confessionibus audiendis. et omni actu legittimo Ordinis. Et quia noluit rescipiscere, et culpam suam humiliter recognoscere, sed perseveravit obstinatus procaciter in pertinacia et contumacia sua, posuerunt eum Fratres Minores in compedibus et in carcere, et sustentaverunt eum pane tribulationis, et aqua angustie. Iste miser nec sic voluit resilire a proposito obstinationis sue.... Cognoscant igitur omnes, quod rigor justitie servatur in Ordine Fratrum [p. 211 modifica]SECONDO an Minorimi contro. Ordiniti transgrcssores. Non igitili’ unius stultitia est toti Ordini imputando». XXVI. L’Ordine agostiniano ancora, le cui diverse congregazioni furono in un sol corpo unite l’anno 1256, ebbe di questi tempi in Parigi tre celebri professori, de’ quali, benchè toccassero in parte il secol seguente, perchè nondimeno fiorirono in quello di cui scriviamo, diremo a questo luogo. Essi sono il B. Egidio Colonna che dalla sua patria dicesi comunemente Egidio da Roma, Agostino Trionfo d’Ancona, e Jacopo da Viterbo. Di questi tre famosi teologi non possiam non bramare che alcun prenda a esaminare attentamente la vita e le azioni. Molti, singolarmente tra gli Agostiniani, ne hanno scritto 5 ma essi sono scrittori vissuti in tempo in cui la critica non era ancora ben conosciuta, e non possiamo perciò fidarci abbastanza a’ lor racconti. L’idea di questa mia Storia non mi permette il far di ogni cosa minute ricerche; e quindi raccoglierò qui in breve, ed esaminerò, quanto mi sarà possibile, ciò che ne hanno scritto alcuni de’ più accreditati tra’ moderni scrittori. Nel che fare io confesso di aver ricevuti lumi e soccorsi grandemente opportuni dal P. Giacinto dalla Torre agostiniano già lettore in Cremona, e poi sollevato a più cospicue dignità nel suo Ordine, il quale mosso da quel lodevole zelo che ogni religioso nudrir dovrebbe per la gloria (dell’Ordin suo, con diligenza non ordinaria ha intrapreso a raccogliere le più esatte e le più accertate notizie intorno a’ più celebri scrittori agostiniani, e con singolar gentilezza me le ha XXVI. Teologi agostiniani in Parigi: Egidio da Kotna. [p. 212 modifica]f 212 LII’ .HO liberalmente comunicate. Io verrò giovandomene secondo il bisogno-, ma poichè ne’ limiti di brevità che mi sono prefissi, son costretto a toccare soltanto le cose di maggior momento, non posso a meno di non pregar caldamente il suddetto dottissimo religioso a volerci dare una compita storia degli scrittori del suo chiarissimo Ordine, per la qual opera egli ha i talenti, e può facilmente avere i soccorsi più necessari’ !, ligi dio, nato circa l’anno 1247 della nobilissima famiglia Colonna, di che il P. dalla Torre afferma di essere stato accertato dall’archivista di questa casa, dopo aver fatti in patria i primi suoi studi, e dopo essere stato arrolato nell’Ordine di S. Agostino, fu mandato a Parigi allo studio della teologia l’anno 1269, come ricavasi dagli antichi registri dell’Ordine (*). Ivi ebbe a suo maestro S. Tommaso, e secondo il comun sentimento degli scrittori agostiniani, vi ebbe a suoi condiscepoli gli altri due sopranuomati teologi Agostino Trionfo e (’) A togliere i dubbi che alcuni scrittori han mosso sulla famiglia del b. Egidio da Roma, fondati sul silenzio de’ più antichi scrittori e sulla nimicizia che passava tra il pontefice Bonifacio VIII e i Colonnesi, sarebbe desiderabile che si producessero i monumenti che diconsi serbati nell’archivio della famiglia Colonna , co’ quali ciò si dimostra. Per ciò che appartiene agli studi da lui fatti sotto la direzione di s. Tommaso, non si può dire a rigore eh’ei si formasse alla scuola di esso , poichè se andò, a Parigi nell’anno 1269, non potè ivi averlo a maestro che per due: anni / essendone il santo partito nel 1272; e ciò che Guglielmo da Tocco nella Vita di S. Tommaso afferma , che questi ebbe suo scolaro Egidio per tredici anni, è assai difficile a combinarsi colle epoche delle vite di amcnduc. [p. 213 modifica]SECONDO 3 I 3 Jacopo da Viterbo; e dee perciò correggersi il Bruckero che fa Egidio scolaro del Trionfo (li ¡st. crit Philos. t. 3, p. 8 23); e debbonsi ancora emendare altri scrittori che hanno affermato che Egidio fu scolaro ancora di S. Bonaventura, poichè questi l’anno 1269 non era più professore in Parigi. Egidio formatosi alla scuola di S. Tommaso, gli mostrò a tempo opportuno la sua gratitudine; perciocchè avendo Guglielmo di Mara dell’Ordine de’ Minori teologo di Oxford pubblicato un libro contro molte proposizioni di quel santo dottore (V. Oudin l. cit. p. 618), Egidio ne prese la difesa, e pubblicò un’opera intitolata: Difensorio di S. Tommaso. Questa da alcuni si vuole opera di altro scrittore (V. de Rubeis diss. 25 De S. Thoma). Ma oltre più altre pruove, a mostrarlo lavoro del B. Egidio, è troppo autorevole la testimonianza di Arrigo di Usimaria tedesco, che gli fu in parte coetaneo , poichè morì, l’anno 1340. Egli adunque favellando delle opere di Egidio, dice espressamente ch’egli scrisse contra fratrem Guillelmum de Mara in defensioncm magi stri sancii Thomae (De origine FF. eremit.). Nelle contese che cominciarono ad eccitarsi in Parigi tra’ ’l clero e i Mendicanti intorno alle loro esenzioni l’anno 1281, osserva il Crevier (Hist. de l’Univ. de Paris, t. 2, p. 106) che Egidio il più famoso dottore, dic’egli, che fosse allora in Parigi^ benchè agostiniano, e perciò mendicante, nondimeno, perchè la causa de’ prelati gli parve più giusta, si tenne costantemente per essi. Ei diede saggio ancora della sua umiltà, quando avendo il vescovo di Parigi Stefano [p. 214 modifica]3l4 LIBRO Tempier condennate alcune proposizioni da lui insegnate, Egidio venuto a Roma per ritrattarsi, ove facesse bisogno, innanzi al pontefice Onorio IV, e da lui rimandato a Parigi, perchè ivi emendasse ciò in che potesse avere errato, egli si sottopose di buon animo a ciò che dalla università gli fu imposto di ritrattare (ib. p. 113). L’anno 1286 quando Filippo il Bello consecrato a Reims venne a Parigi, Egidio fu dall’università destinato a complimentarlo in suo nome (Crevier. l. cit. p. 114)- H du Boulay reca l’orazione da lui recitata in latino e in francese De Gestis Franc. l. 8), e aveala prima di lui prodotta Paolo Emili (Hi.st. Univ. Paris, t. 3, p. 475, 477)> Ina)°rse ella fu composta, come suole avvenire, dagli storici stessi, da cui il du Boulay la trasse. Egli era stato maestro di questo monarca; e ad istruzione di esso egli scrisse la sua opera de Regimine Principum , la quale già abbiamo osservato essere interamente diversa da quella di S. Tommaso: e il Crevier confessa che a lui dovette Filippo l’amore che professò sempre alle lettere (ib.p. 515). Quest’opera di Egidio fu avuta in sì gran pregio, che fu tradotta anche in lingua ebraica (Wolf. Bibl. hebr. t. 3, p. 206). Nel suo Ordine mantenne egli tal fama, che nel Capitolo generale tenuto in Firenze l’anno 1287 fu fatto decreto che tutto l’Ordine dovesse attenersi interamente alle opinioni ch’egli avesse insegnate, e che in avvenire insegnasse. L’anno 1292 fu dallo stesso Ordine eletto generale. Bonifacio VIII, la cui elezione avea egli difesa scrivendo il suo trattato sulla validità della rinuncia del santo [p. 215 modifica]SECONDO a 1 5 pontefice Celestino V, intitolato de renuntiatione Papae, e per cui ordine egli scrisse un Compendio della Fede cristiana da mandarsi al gran Signore de’ Tartari, che mostrava desiderio di venire alla cristiana fede, del qual compendio conservasi un codice ms. (Cat. Bibl. riccard, p. 7)5 Bonifacio, dico, sollevollo nel primo anno del suo pontificato, cioè nel 1295, all’arcivescovado di Bourges (Gallia christ. t. 2, p■ 76). Quando si accesero le funeste discordie tra Bonifacio VIII e il re di Francia Filippo il Bello, Egidio prese a scrivere sul pericoloso argomento della podestà ecclesiastica e della temporale; e i Maurini autori della Gallia Sacra ci dicono (l. cit. p. 78) che egli si mostrò scrivendo piuttosto favorevole a Bonifacio che a Filippo, talchè questi ne fu altamente sdegnato, e Bonifacio al contrario pensò di onorarlo della sacra porpora, benchè poscia la morte non gliel permettesse. Il Goldasto ha pubblicato (Monarchia Rom. Imp. t. 2, p. 96) sotto il nome di Egidio un breve opuscolo, intitolato Quaestio de utraque Potestate, nel quale, dopo aver recata la Bolla di Bonifacio VIII contro del re, e la risposta che il re le fece, esamina se la podestà pontificia e la reale sieno tra lor distinte; e dopo avere stabilito che sì, svolge più ampiamente in cinque articoli lo stesso argomento. Or io non so intendere come per questo opuscolo ei potesse incorrer lo sdegno di Filippo, e ottenere il favore di Bonifacio. Perciocchè egli apertamente afferma, fra le altre cose, che Christus in institutione spiritualis potestatis nullum commisit vel potius [p. 216 modifica]3l6 LIBRO promisit dominium terrenorum. Egli è vero che nelle cause miste egli attribuisce il diritto di decisione alla Chiesa; ma ciò a que’ tempi non dovea certo bastare a rendergli sì favorevole l’animo di Bonifacio, nè sì avverso quel di Filippo. Per altra parte nella libreria de’ PP. Agostiniani in Cremona, come ha osservato il diligentissimo P. dalla Torre, conservasi un esemplar ms. dell’opera de Po testate ecclesiastica del B. Egidio assai più ampia, e indirizzata a difendere troppo diverse opinioni. Ella è dedicata allo stesso pontefice, e divisa in tre parti, e ognuna d’esse in più capi. Nella prima egli tratta de hujusmodi potestate respectu materialis già dii et respectu potentie secularis: nella seconda de ecclesiastica potestate respectu ad hec temporalia que videmus; nella terza scioglie le difficoltà che alla sua opinione si possono opporre. Qual dunque crederem noi che sia la vera opera di Egidio, giacchè non può credersi in alcun modo che un uom sì saggio e sì dotto scrivesse due opere così tra loro contrarie? Il favore di Bonifacio, e lo sdegno di Filippo, che ne furon gli effetti, non ci lascian luogo a dubbio alcuno. E l’opuscolo dal Goldasto dato alla luce è probabilmente uno degli artificii usati dai Protestanti di quella età, di pubblicare sotto il nome di alcun celebre personaggio qualche trattato con cui si confermassero i loro errori. Egidio morì in Avignone l’anno 1316, in età, come credesi, d’anni 69, e il corpo, come egli avea ordinato, ne fu trasportato a Parigi, ove ancor si conserva nella chiesa del suo Ordine. [p. 217 modifica]SECONDO 2 1 7 Molte sono le opere filosofiche e teologiche e scritturali da lui composte, intorno alle quali veggasi singolarmente il Cave (Hist. liter. Script, eccl. t. 2, p. 339)), ed esse sono un bel monumento dell’ingegno non meno che della erudizione di questo scrittore. Altre più minute notizie intorno alla sua vita si potranno vedere presso gli autori ch’io son venuto allegando; dopo le quali però ci rimane ancora il desiderio, come sopra ho detto, di vederne una Vita scritta con esattezza corrispondente al merito di un uom sì dotto. Forse avrebbe a ciò soddisfatto il P. Paolino Berti lucchese agostiniano della Congregazione di Lombardia, il quale l’an 1618 pubblicò il manifesto di una compiuta edizione ch’ei meditava di fare di tutte le Opere del B. Egidio, ed egli avea perciò diligentemente cercate tutte le più celebri biblioteche. Ma essendo egli morto in Firenze l’an 1621, il suo disegno rimase interrotto, nè è mai stato da altri condotto ad effetto (*). (*) Assai prima del P. Paolino Berti pensò a darci una compiuta edizione delle Opere di Egidio romano il p . Gabriello da Venezia generale dell Ordine agostiniano , come si raccoglie da una carta de’ 27 di settembre dell’anno 1519, che si conserva nell’archivio della Procureria generale di Santa Maria del Popolo in Roma, che mi è stata comunicata dal ch. P. lettor Tommaso Verani da me altrove lodato, nella quale egli attesta di aver ricevuti a tal fine in prestito dal convento di Cremona due codici delle Opere di Egidio. Ma questo disegno non fu eseguito. Nel 1555 il general dell’Ordine Cristoforo da Padova fece stampare in Roma il primo tomo delle dette Opere; ma questa edizione ancora non fu continuata. [p. 218 modifica]2l8 LIBRO XXVII. Più scarse ancora e più incerte son le notizie che abbiamo di Agostino Trionfo anconitano di patria, e religioso dello stesso Ordine agostiniano. Dalla iscrizione che ne fu posta al sepolcro di Napoli, si raccoglie ch’ei nacque l’anno 1243, e che morì in età di 85 anni fanno i328 (*j. Innanzi all’edizione della sua opera della Podestà.ecclesiastica, fatta in Roma l’anno i584> si^Jegge la Vita di questo dotto teologo, in cui si narra che entrato nell’Ordine agostiniano, fu mandato a Parigi allo studio della teologia, come noi pure già abbiam detto; che fu in quella università ammesso a tutti i gradi di onore; che tenne ivi con grande applauso pubblica scuola; che giovane di soli 31 anni intervenne l’an 1274 al Concilio di Lione; che poscia da Francesco Carrara signor di Padova fu chiamato a questa città per istruire il popolo colle sue prediche; che tornato indi ad Ancona sua patria, attese a comporre molte opere di diversi argomenti; che giunta la fama del profondo sapere di cui egli era fornito, a Carlo II, re di Napoli, questi mandò ad Ancona le sue galee con onorevole accompagnamento, perchè a lui ne venisse; e che giunto a Napoli, Agostino vi ebbe dal re medesimo e da Roberto di lui figliuolo le più (*) Agostino Trionfo fu nipote di Guglielmo Bompiano agostiniano esso pure, uomo assai dotto, e autor di un trattato d* Poenitenlia , il qnal esisteva ancora nel secolo xvi a’ tempi di Giovanni Bunderio che ne fa menzione (Compeiulium Concertalionìs, etc. tic. i4 de Contri/ione). Di lui e di quest’opera parla, dopo più altri scrittori, il P. Ossinger (li ibi. Angustili. p. 4.9). [p. 219 modifica]SECONDO 2 1J) segnalate testimonianze di onore e di stima, e che fu da essi impiegato in ambasciate e in affari di gran momento. Io voglio credere che f autore di questa Vita non abbia asserite tai cose senza probabile fondamento; ma sarebbe stato opportuno che se ne fosser recate le pruove. Certo nulla di tali cose, se se ne traggan gli studi da lui fatti in Parigi, si trova negli elogi del Trionfo, che alla stessa Vita si veggon soggiunti, tratti dalle Opere di F. Jacopo Filippo da Bergamo, dello Schedel, del Tritemio, del Volaterrano e di altri; e dell’esser egli intervenuto al Concilio di Lione non v’ ha tra gli storici di que’ tempi, nè tra gli antichi scrittori agostiniani, chi faccia motto. E inoltre alcune delle cose che abbiam vedute narrarsi, non possono sostenersi. Il primo tra’ Carraresi che fosse signor di Padova, fu Jacopo, a cui ne fu data la signoria solo l’an 1317 (Murat. Ann. d’Ital. ad h. an.). Francesco non ne ebbe il dominio che l’anno 1350 (id. ad h. an.). Come dicesi dunque che dopo il Concilio di Lione del 1274 il Trionfo fu da Francesco Carrara chiamato a Padova? E come dicesi ancora che dopo più anni Carlo II, re di Napoli, il volle alla sua corte, mentre questi era morto fin dall’anno 1309), prima cioè che Jacopo non che Francesco di Carrara fosse signor di Padova? Il Fabricio aggiugne (Bibl. med et inf. Latin, t. 1, p. 152) ch’ei fu ancora arcivescovo di Nazaret. Ma egli ha confuso Agostino Trionfo con Agostino da Roma. Se però è incerto ciò che appartiene alla vita di questo dotto teologo, le opere da lui composte ci sono pruova [p. 220 modifica]220 LIBRO ben cel la del suo sapere. Nella suddetta iscrizione si dice che furono 36 i volumi da lui scritti. Molti se ne veggono rammentati dall’autor della Vita, dal Fabricio e dall’Oudin (De Script, eccl. t. 3, p. 599), il quale ancor nomina le biblioteche in cui alcuni di essi conservansi manoscritti, e sono opere di diversi argomenti così di teologia, come di filosofia, e interpretazione della sacra Scrittura. Di lui però non altro abbiamo alle stampe che la celebre sua opera intitolato Summa de Potestate ecclesiastica clic egli per ordine di Giovanni XXII compose, e a cui diè fine l’anno 1320, e inoltre i Comenti sul Cantico della Vergine e sull’Angelica Salutazione e sull’Orazione Domenicale, e un’operetta sopra l’anima umana. Egli ancora avea cominciata l’opera intitolata MiUeloquium S. A ligi isti ni , clic fu poi compita da Bartolommeo vescovo di Urbino dello stesso Ordine. XXV ITI. Il terzo teologo agostiniano che co’ suoi studj dapprima e poscia col suo magistero onorò l’università di Parigi, è il b. Jacopo da Viterbo della famiglia Capoccia. Ei fu condiscepolo, come si è detto, del B. Egidio e del Trionfo, e scolaro di S. Tommaso. Sin a quando ei si trattenesse in Parigi, non troviam chi ’l dica. Certo è che l’anno 1300 egli era in Napoli , ove assistette al Capitolo generale, e vi diè un’eroica pruova della sua umiltà che si riferisce dal P. Gandolfi (Script, augustin.). L’anno 1302 fu innalzato alla sede di Benevento, e l’Errera ne cita in prova la Bolla da lui veduta tra’ registri del Vaticano (Alpliab. angustia.). In fatti abbiamo un diploma del re Carlo II [p. 221 modifica]SECONDO 2 21 de’ 2 di ottobre dello stesso anno, in cui rende a Jacopo questo magnifico elogio: Ad omnes Ecclesiarum Praelatos pro Ere Ics insite ac reverenda dignilatis sincerimi habemus in Domino charitatis affectum. Sed dum specialium dona virtutum) et splendorem scientiae specialem venerabilis in Christo Patris Fratris Jacobi de Fi terbio Sacrae Theologiae Magistri Archiepiscopi Beneventani Apostolica noviter assumptione provisi, ec. (Chioccarell. de Archiep. Neap. p. 192). Nel Sinodico Beneventano di Benedetto XIII si dice ch’ei sedette un anno, tre mesi e nove giorni; e che l’anno 1303 fu trasferito alla chiesa di Napoli, il che pure confermasi dall1 Ughelli (Bai. Sacra t. 8 in Arch. Benev.), benchè questi altrove il dica trasferito a Napoli l’anno 1302 (ib), t. 6 in Archiep. Neap.). Assai più grave è l’errore dell’Oudin che afferma (De Script, eccl. t. 3, p 889) lui essere stato fatto arcivescovo di Napoli verso l’anno 1240. Mori nel-x3o8, e lasciò più opere teologiche e filosofiche che si annoverano dal Gandolfi , il quale aggiugne che il P. Maurizio Terzi dei Conti di Sissa agostiniano aveale in gran parte raccolte per" darle alle stampe, ma che rapito da morte non potè eseguire il suo disegno. Esse dunque son tutte inedite, e se ne conservan copie in alcune biblioteche, e singolarmente di due che son più celebri, cioè di quella intitolata de Regimine christiano, e de’ suoi comenti sul Maestro delle Sentenze. Della prima l’Oudin cita un codice in cui Jacopo la dedica, egli dice, a Benedetto XII. Ma nel passo di Jacopo, che da lui stesso si riferisce, si [p. 222 modifica]< 222 LIBRO nomina solo Benedetto senza alcun numero, e perciò ei debb’essere Benedetto XI eletto papa nel 1303 e morto l’anno seguente (*). XXIX. Questi furono i più illustri tra gf Italiani che recatisi a Parigi per coltivarvi gli studi sacri, ottennero ivi tal fama, che furono considerati come i più splendidi lumi di quella università si famosa. Essa tuttor si vanta di averli avuti suoi alunni; e noi ci rallegriamo con essa di sì bel pregio; e con noi stessi insieme ci rallegriamo al vedere che, per confessione degli storici della medesima università, i più celebri professori che in questo secolo ella ebbe, fossero italiani; e che come dall’Italia eran mossi que’ primi che cominciarono a renderla rinomata, dall’Italia ancora uscissero quelli che la portarono al sommo della sua gloria. Benchè sembrasse però , che i più preclari ingegni italiani passassero ad acquistarsi nome in Francia, l’Italia non ne rimase sì priva, che non avesse in questo secol medesimo nelle sue scuole valorosi teologi che attendessero ad istruire coloro che non poteano, o non voleano passare a Parigi. Dopo aver dunque annoverati gl’italiani che illustraron la i*) Del Beato Jacopo da Viterbo più copiose e più esatte notizie si posson vedere nell’opera dell*eruditissimo canonico Mazzocchi He Sanclornm neapnliionac Kcclcsiue Episcnporum cul/u. Io nvvei tirò solo che nella (iasanatcn.se, come mi ha indicato il più volte lodato I*. Tommaso V crani, conservasi copia dell’opera da ’ui scritta de Regimine christiano. tratta da altro codice assai piii antico , a cui precede una lettera dell’autore al pontefice Bonifacio Viti, dal quale l’anno i3oa fu nominalo arcivescovo di Benevento. [p. 223 modifica]SECONDO 223 Francia col loro ingegno, veniamo ora a parlar di coloro che fioriron tra noi. XXX. E primieramente ci si offre a sciogliere una quistione, cioè chi debba aversi per autore di un’opera la quale, benchè sia men dotta che laboriosa, è troppo utile nondimeno, perchè non si debba cercare a chi ne siam debitori, cioè delle Concordanze della sacra Scrittura. La comune opinione l’attribuisce al Cardinal Ugo da S. Caro, detto ancora da S. Teoderio (e non da S. Teodorico, come provano (Script. Ord. Praed. t.1,p. 194) i PP. Quetif ed Echard) dell’Ordine de’ Predicatori e francese di nascita. Ma contro la comune opinione levo’ ssi f Ondili (De Script, eccl. t. 3, p. 568); e pretese, ciò che prima aveano alcuni altri.affermato, ma senza recarne pruove, che l’autor ne fosse Arlotto da Prato in Toscana, il quale l’anno 1185 fu eletto generale de’ Minori. L’argomento da lui recato ha certamente non piccola forza, cioè il detto di F. Bartolommeo da Pisa autore della celebre opera delle Conformità di S. Francesco, il quale scrive: Frater Arlottus de Prato Concordantias edidit. Quando l’Oudin scriveva, non erasi ancor recato autor più antico di Sisto Sanese a provare che le Concordanze fosser opera del Cardinal Ugo, e perciò l’autorità di Bartolommeo tanto più antico parea doversegli preferire. Ma i suddetti dottissimi bibliotecarii domenicani con esattezza e con erudizion singolare hanno sì ben dimostrato (l. cit. p. ao3) chele Concordanze nacquero nel lor convento di S. Jacopo in Parigi per opera del Cardinal Ugo, e che da altri dei lor religiosi dello stesso convento xxx. Chi fosse il primo autore dell« Concordimi» bibliche. [p. 224 modifica]224 LIBRO furono poi successivamente accresciute a perfezione, e hanno con tal corredo di autorità e di documenti confermata l’opinion loro, che a me non sembra che rimanga più luogo a muoverne alcun dubbio. Oltre che il passo di F. Bartolommeo non par che provi abbastanza; perciocchè ei non nomina che generalmente le Concordanze. Or altre opere ancor- vi sono sotto un tal nome, che pur son totalmente diverse dalle Concordanze bibliche. S. Antonio da Padova ed altri hanno scritte Concordanze, cioè raccolte di sentenze e di fatti della sacra Scrittura su varii argomenti; e forse tale fu l’opera di Arlotto da Prato. Cediam dunque di buon animo questo onore alla Francia, e mostriamo con questo stesso, quanto siam lungi dal volerci usurpare le glorie altrui (a). XXXI. Gli errori de’ Catari, de’ Patarini, e di altre somiglianti razze di Eretici, da cui l’Italia ancora in questi tempi fu travagliata, diede occasione ad alcune dotte opere teologiche che a confutarli furono pubblicate. L’inclito Ordine de’ Predicatori, destinato per ispecial modo a (a) Alle pruove rerate per dimostrare che il cardinale Cgo fu il primo a formar le Concordanze della sacra Scrittura, si può aggiugnere P autorità della Cronaca inedita di F. Salmbenc scrittoi’ di que’ tempi, il quale cosi ne scrive: A mio Domini n.\i... His Lemfiorii,us floruii aita et sdentili venerali lis Dominili Ugo Cardinalis Fra!rum Predieatonun Ordinis , qui Dot tor Tlieologus doctrina suini et perlai’ da totani Bibl inni postillavi’ . Cmcordiintiaritm in Bibliotheca (già libiamo avvertito che con questo nome indicavasi talvolta la sacra Scrittura) primus auctor fuii. Sed processa lemporis Jacte suiti Concordinole meliorcs , cc. [p. 225 modifica]SECONDO 225 combattere e a sradicare le serpeggianti eresie, produsse molti che coll’ardore del loro zelo , e molti che colle dotte loro opere in ciò s’adoperarono felicemente, Io non debbo favellare che de’ secondi, e di questi ancora per amore di brevità trascelgo solo alcuni pochi degni di singolar ricordanza. E sia il primo il cremonese Moneta, la cui Somma Teologica contro de’ Catari e de’ Valdesi è stata a giusta ragione creduta degna di esser pubblicata dal dottissimo P. Ricci li ni maestro del sacro Palazzo, che l’ha data alle stampe con dissertazioni e con note assai erudite l’anno 1743. Di lui, sulla scorta di autori e di monumenti antichi, hanno diligentemente parlato i PP. Quetif ed Echard (Script. Ord Praed. t. 1, p. 122), il suddetto P. Ricchini (Monetae Vita ante ejus Summam), e il P. abate Fattorini (De Prof, Bonon. t. 1,pars 1,p. 467). E non ci è d’uopo perciò il trattenerci a disputarne qui lungamente. Moneta, o sia questo cognome, come alcuni vogliono, o, come altri pensano, solo nome, natio di Cremona, era in Bologna pubblico professore di filosofia; e insegnava con sì gran plauso, che gli antichi scrittori il chiamano famosissimo in tutto il mondo, e di gran lunga superiore a tutti gli altri. Quando venuto essendo verso il fine dell’anno 1218 a predicare in Bologna il P. Reginaldo, il Moneta che a tutt’altro pensava allora che a prediche, fu quasi a forza tratto da’ suoi scolari ad udirlo; e appena uditolo, risolvè di seguirlo, e di abbracciarne l’Istituto. Egli eseguì tosto la sua risoluzione; ma perchè così richiedevano alcuni affari, restossi in abito secolare oltre ad un fiiunoscui, Poi. IP. i5 [p. 226 modifica]226 LIBRO anno; dopo il qual tempo vestì il religioso. Alcuni credono eli’ ei fosse mandato a Parigi allo studio della teologia; ma i suddetti autori dimostrano non avervi di ciò alcun fondamento. A questa però si rivolse egli con quell1 ardore medesimo con cui in addietro erasi volto alla filosofia, e in essa ancora acquistò ugual fama, e non è improbabile eli1 egli ne fosse professore in Bologna. Ei fu certo uomo assai dotto, come dalla sua opera stessa si manifesta, in cui si vede comunemente buon raziocinio, ordine giusto e chiarezza. Credesi eh1 egli morisse circa la metà del secolo xiu. XXXLT. Contro gli stessi Eretici scrisse ancora verso il medesimo tempo F. Rainero Sacconi dello stesso Ordine, di patria piacentino, e non già spagnuolo, come alcuni hanno scritto. I PP. Quetif ed Echard han recato l1 onorevole elogio (l. cit. p. 154) che ne ha fatto Leandro Alberti; e io godo di poter confermare in gran parte la narrazion di Leandro col!1 autorità di altri più antichi scrittori che verrò allegando, e di aggiugnervi ancora alcune altre notizie. Era egli stato in addietro avvolto negli errori de’ Catari, come confessa egli stesso in un passo della sua opera, di cui or or parleremo; Ego autem F. Rainerius olim haeresiarca, nunc Dei gratia Sacerdos in Ordine Praedicatorum; e poscia: praeterea dica indubitanter, quod in annis xvii, quibus conversati/s si tra cuin eis, ec. Poichè ebbe conosciuta e seguita la verità , entralo nell1 Ordine de1 Predicatori, dopo il martirio di S. Pietro Martire fu fatto inquisitor generale nella Lombardia, come raccogliesi da più [p. 227 modifica]SECONDO 227 JJolle di Alessandro IV (Poggiali, Stor. di Piac, t. 5 , p. 261); e il canonico Campi ha dato alla luce un Monitorio da lui pubblicato contro gli Eretici nella metropolitana di Milano l’anno 1255 (Stor. eccl. di Piac. t. 2, p. 402). Egli ancora fece distruggere e spianare da’ fondamenti un cotal luogo detto la Gatta, dove gli Eretici soleano ricoverarsi; e perchè essi soleano ancora eleggere i loro vescovi, Rainero avendo saputo che due di costoro detti Nasario e Desiderio erano dopo la morte venerati dagli Eretici a guisa di santi, ne fece disotterrare ed ardere i corpi (ib. p. 215). Il suo zelo gli eccitò contro molti nimici in Milano; e quando gli Eretici congiuaron di toglier la vita a s Pietro Martire, come di fatto avvenne, avean destinato di uccidere anco Rainero (V. Acta SS. apr ad d. 29. Vita S. Po tri M. n. 3(5). Martin della Torre, uno de’ più forti nimici di Rainero, fece in modo che il march. Uberto Pelavicino, chiamato allora da’ Milanesi a lor signore, e che come fautor degli Eretici da Rainero era stato scommunicato l’anno 1259, lo costringesse a partir da Milano. Così l’antico autore de"li Annali milanesi: Martinus de la O Ttirre procuravi!quoti Ubertus Marchio Pelavisinus, qui Fratrem Raynerium Ordinis Praedicatorum natione Placentintinum de Mediolano ejici praecepit, ec. (Script. Rer ital. vol 16, p. 662). CI he avvenisse poi di Rainero, non ci è giunto a notizia. Ma ben ci è giunta la doti a opera da lui composta contro gli Eretici stessi, da’ quali era stato sedotto. Essa è intitolata: Summa de Catharis et Leonistis sive Pauperibus [p. 228 modifica]228 LIBRO de Lugduno; ed è stata data alla luce dal P. Gretsero. I PP. Alartene e Uni and avendo trovata in un codice ms. una Somma di F. Rainero contro de’ Catari e de’ Poveri di Lione, e avendola creduta diversa da quella pubblicata già dal Gretsero, l’han data alla luce come cosa per anco inedita (Thcs. novi ss. Ànce dot. t. 5, p. 1759). Ma essa non è veramente che una parte di quella che dal Gretsero fu pubblicata , e il codice onde essi 1’ hnn tratta, sembra quel desso di cui parlano i PP. Quetif e Echard (l. cit.).

XXX11I. Una somigliante confutazione degli ■ stessi Eretici era già stata fatta da un altro prima infetto de’ lor medesimi errori. Fu questi un cotal Buonaccorso, il quale era già stato vescovo de’ Catari, e lor maestro in Milano, e che ritornato poscia sul buon sentiero confutò pubblicamente gli errori che prima avea insegnati e difesi, e scoprì le frodi e gl’inganni di cui quegli Eretici usavano. Questo opuscolo di Buonaccorso è stato dato alla luce dal P. d’Achery (Spicil. t. 1. p. 208, ed. 1723), ed è intitolata: Manifestatio haereseos Catharorum Bonaccursi quondamFonte/commento: Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/773 magistri illorum Mediolanum, nunc autem catholici. Nel proemio egli accenna ciò che sopra abbiam detto, cioè ch’egli era stato vescovo di quegli Eretici: Quemdam episcopum doctorem Bonaccorsum nomine misericorditer gratia S. Spiritus illuminavit. L’Argelati, credendo ch’ei fosse fatto vescovo dopo la sua conversione, si è molto affaticato in ritrovarne la sede, e finalmente lo ha posto nell’antica città di Emonia, ossia di Città Nuova [p. 229 modifica]fcECO.NDO 2 2U nell’Istriai j ove l utino ìuòy era vescovo un Buonaccorso (Bibl. Script, mediol. t. 1. pars 2, p. 189). Ma noi raccogliamo bensì dall’opera stessa di Buonaccorso , ch’ei fosse avanti la sua conversione vescovo de’ Catari, i quali, come si trae ancora dall’opera di F. Rainero, sceglievano alcuni cui onoravano di questo nome; ma ch’ei fosse vescovo, dappoichè venne alla Chiesa cattolica, non se ne trova indicio. Dicesi comunemente eh1 egli vivesse verso l’anno 1190; ma non vi è argomento che provi per quel tempo piuttosto che per qualunque anno del secolo XIII, che fu sempre infestato da tali eretici. Monsignor Mansi ci avea fatta sperare un’altra edizion di quest’opera su un codice ch’egli 11" avea, diverso in molta parte da quello già pubblicato (V. Fabr. Bibl. med. et inf. Latin, t. 1, p. 251); ma non veggo ch’egli abbia eseguito il suo disegno. XXXIV. Mentre così combattevansi gli errori che per l’Italia si andavano disseminando, altri adoperav ansi con ugual zelo a ridurre i Greci scismatici all’unità della Chiesa. S. Tommaso su questo argomento ancora scrisse un ampio trattato, e molti teologi somigliantemente in ciò si occuparono. Io non parlerò che di Buonaccorso, diverso dal precedente, e religioso dell’Ordine de’ Predicatori, che scrisse un’opera in greco e in latino contro gli errori dei Greci, la quale trovata nel secolo susseguente da F. Andrea Doto dello stesso Ordine nel convento di Negroponte, fu da lui inviata e dedicata al pontefice Giovanni XXII. Essa non è stata ancor pubblicata; ma solo se ne XXXIV. Scrii lori contro gli errori d«s’ Greci: Buonarrorso bolot*ur»r. [p. 230 modifica]XXXV. Niccolò da Otranto sostenitore de’ medesimi errori. a3o LIBRO conservano alcuni codici mss. de’ quali parlano i PP. Querif ed Echard (Script. (Ord. Praed. t. 1, p. 156), che fanno ancor di quest’opera una diligente analisi. Dalle prefazioni ad essa premesse dal Doto essi inferiscono che F. Buonaccorso fu di patria bolognese, che in età giovanile passato in Grecia vi apprese felicemente la lingua, e per 45 anni attese istancabilmente alla conversione degli Scismatici, a cui vantaggio ancora scrisse quest’opera. Egli fiorì, per quanto si congettura, verso la metà del secolo XIII, ma non si può determinar fissamente il tempo a cui visse. XXXV. Ma se l’Italia produsse valorosi sostenitori della cattolica Religione, ebbe ancora il dolore di rimirare tra i suoi non solo molti Eretici, i quali comunemente non erano uomini dotti, ma uno ancora che abusò del suo ingegno e del suo sapere contro di essa. Fu questi Niccolò da Otranto, così detto dalla sua patria, il quale, passato non so per qual motivo in Grecia, si lasciò avvolgere nello scisma e negli errori di cui que’ popoli erano infetti. Egli allor quando Innocenzo III mandò colà il Cardinal Benedetto a trattare la riunione di quella Chiesa colla latina, servì d’interprete, essendo ben versato nell’una e nell’altra lingua, come egli stesso racconta in alcune delle sue opere da lui scritte in difesa de’ suoi errori contro i Latini; cioè sulla processione dello Spirito Santo, sulla consecrazione dell’Euearistia, sul matrimonio de’ sacerdoti, e su altri somiglianti punti di controversia. Di lui parla lungamente l’Allacci, che reca ancora alcune particelle delle opere da lui [p. 231 modifica]SECONDO 23I composte (De Consensu utriusque Eccl. l. 2, c. 13, parag 4), le quali non sono mai uscite alla luce; e dopo l’Allacci hanno pure di lui favellato f Oudin (De Script, eccl. t. 3, p. 9) e il Cave (Hist.. liter. Script, eccl. t. 2, p. 279) (*). Ma più belle notizie intorno all’opere di Niccolò si potranno vedere nell’erudito Catalogo de’ manoscritti greci della biblioteca Laurenziana pubblicato dal ch. sig. canonico Bandini, perciocchè molte opere ivi si trovano dagli altri non rammentate, e si raccoglie ch’egli era ancor poeta, e inoltre, ciò che non è ugualmente lodevole, coltivator dell’astrologia giudiciaria. In alcuni di questi codici egli è detto figliuolo di maestro Giovanni (Cat. Bibl. Laur. t. 1, p. 25, 28, 60, 62; t. 3, p. 34o, 4°7)XXXVI. Se io volessi stendermi ancor più oltre su questo argomento, potrei parlare di molti altri che ci hanno lasciate opere teologiche, o scritturali. Bartolommeo di Breganze vicentino dell’Ordine de’ Predicatori, maestro del sacro Palazzo, e vescovo prima di Nemosia nell’isola di Cipro, poi di Vicenza l’an 1256, aveane scritte non poche che s’annoverano da’ PP. Quetif ed Echard (Script. Ordin. Praed. t. 1, p. 254, ec-)? 1 quali provano, contro l’opinione del Papebrochio, eh’ei (*) Intorno a Niccolò da Otranto alcune altre notizie si posson vedere nella più recente edizione fatta in Lecce nell’anno 1727 del libro de Si tu Japigiac e di altri opuscoli di Antonio Ferrari sopraunomato Galateo (p. 47, ig5) , il quale ancora rammenta una copiosissima libreria di codici greci da lui raccolta nel monastero di 5. Niccolò di Otranto , e che ivi conservossi fino a) memorabd sacco ebe a quella città dierono i Turcbi. XXXVI. All ri acrit(ori sacri. [p. 232 modifica]232 LIBRO non fu palliami di Gerusalemme (*). Così pure altri moltissimi dello stesso Ordine de’ Predicatori , ed altri ancor tra’ Minori potrei qui annoverare, che ci tramandarono libri di sonai-. glianli argomenti, e de’ quali favellasi nelle ’r Biblioteche di questi Ordini. Il Cardinal Pietro di Mora beneventano di patria, che da Innocenzo III fu onorato della sagra porpora, avea scritta un’ampia Raccolta di passaggi della sagra Scrittura opportuni alle prediche, della quale conservansi copie manoscritte in alcune biblioteche che si annoverano dall’Oudin (De Script eccl. t. 2, p. 1721), ed una ne ha fra le altre la real biblioteca di Torino (Cod. MSS. Bibl. reg. Taurin. t. 2, p. 52). In somigliante maniera potrei continuare tessendo una non breve serie di scrittori ecclesiastici di questi tempi. Ma il trattenerci, ricercando così le cose ancor più minute, non gioverebbe che a recar noia a chi legge, nè accrescerebbe di molto la favorevole idea che della italiana letteratura sacra di questo secolo abbiam data finora. XXXVII. La storia ecclesiastica, di cui qui ancora dobbiam parlare, non ebbe molti coltivatori. Abbiam le Cronache di alcuni monasteri, come quella del monastero di Fossa nuova pubblicata già dall’Ughelli (Ital. sacra t. io), e (*) Del B. Bartolomrneo da Breganze ha parlato assai lungamente il P. Angiolgabriello da Santa Maria, presso cui si potrà vedere raccolto quanto n’ è slato scritto da altri , aggiuntivi ancora alcuni inediti monumenti tratti dagli archivii di Vicenza (Bibl. degli Seri II. incent. t. a , par. 1 , p. 38, ec.). Ne ha ancora scritta, ina non ancor pubblicata una copiosa Vita il eh. P. maestro Tuminasu Riccardi domenicano. [p. 233 modifica]SECONDO 233 da lui attribuita a Giovanni da Ceccano, poscia più assai corretta data di nuovo alla luce dal Muratori (Script. Rer. ital. vol. 7) sotto il nome di un anonimo, poichè a lui non sembran bastevoli le prove dall’Ughelli addotte per attribuirla al detto autore. Essa giunge sino all’anno 1217, onde è probabile che fosse scritta di questi tempi. Alessandro monaco a’ tempi del pontefice Celestino V scrisse la Storia del suo monastero di S. Bartolommeo di Carpineto, che dall’Ughelli medesimo è stata posta in luce (l. cit.). Un monaco vallombrosano fiorentino di patria, detto Benigno, generale del suo Ordine, e morto l’anno 1236, compose la Storia dell’Ordine stesso stampata l’anno 1500 (Negri Scritt.fiorent.p. 98). Nè io so di altri che in questo secolo si accingessero ad illustrare la storia monastica; e già abbiamo osservato che al nascer de’ nuovi Ordini regolari, come pan e che il mondo a questi si rivolgesse più che agli antichi, così essi parvero meno solleciti di mostrarsi utili al mondo coi loro studi e colle loro fatiche. NXXVHL La storia de’ romani pontefici non fu da alcuno a questi tempi illustrata, o almeno io non ho potuto trovar contezza di chi in tal lavoro si esercitasse. Veggo sol nominarsi presso il Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin, t. 3, p. 147)? e presso alcuni autori da lui citati, Guglielmo da Gattatico parmigiano vice cancelliere della Chiesa romana, morto l’anno 1256, di cui dicono che scrisse le Vite de’ romani pontefici fino ad Innocenzo IV. Ma essi non ci additano su qual fondamento essi l’affermano, nè ove or conservinsi tali Vite; e i moderni eruditi [p. 234 modifica]234 LIBRO raccoglitori delle Vite de’ Papi, e que’ che ci han date su questo argomento dotte dissertazioni, nulla ci accennan di queste. Degli scrittori delle Vite de’ Santi già ho avvertito più volte che non è mia intenzione di tenere ragionamento. Ma non vuolsi ommettere uno che maggior lavoro intraprese, e che col suo esempio eccitò molti altri a entrare in somigliante carriera j parlo di Jacopo da Voragine ossia da Varaggio, luogo della Riviera occidentale di Genova, da cui l’antica famiglia di esso prese il nome. Egli, dopo gli antichi scrittori delle Vite de’ santi Padri dell’Eremo, fu il primo che prendesse a raccogliere in un sol corpo le Vite de’ Santi, quali gli riuscì di trovare scritte da diversi autori, la qual opera per la sua utilità fu poi detta Leggenda aurea (*). Le moltissime edizioni che se ne son fatte fin verso la metà del secolo xvi, e che da’ PP. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 455) si annoverano, ci fan vedere quanto ella fosse una volta pregiata. Ora appena v’ha chi la degni di un guardo. Nè io consiglierei alcuno a ricercar in essa le giuste ed esatte notizie intorno alla vita de’ Santi. Le favole vi sono sparse per entro troppo liberalmente. Ma perchè incolparne il diligente (*) F. Jacopo da Voragine non fu il primo dopo gli antichi a scriver le Vite de’ Santi. Questa lode deesi con più ragione a F. Bartolommeo da Trento esso ancora domenicano, il quale pi ima di Jacopo prese a scriverle. 11 eh. P. abate Tiombelli ne possedeva l’originale, di cui si hanno ancora diverse copie -, e i Bollandisti ne linnno alcune volte fatto nso. Egli accenna in un luogo che scriveva nel ia44) cioè in quell’anno in cui Jacopo entrò nell’Ordine de’ Predicatori: hoc anno idest [p. 235 modifica]SECONDO a35 raccoglitore? Egli è degno anzi di lode per la fatica a cui si accinse. Egli non ha inventato a suo capriccio ciò che ci narra: ha scritto ciò che ha trovato scritto da altri. A’ tempi in cui egli vivea, non sospettavasi ancora che si fosser potuti scrivere tanti sogni: 11011 v1 erano monumenti alla luce, co’ quali discernere il vero dal falso: ogni cosa era all1 oscuro; e aggirandosi fra tante tenebre, non era possibile il reggersi in piedi. Nondimeno, fra molte favole, molte cose assai pregevoli egli ci ha conservate, che forse altrimenti sarebbon perite. Di lui hanno assai diligentemente parlato i due suddetti scrittori , i quali da ciò ch’egli stesso di sè racconta nella Cronaca di cui or parleremo, raccolgono ch’egli nato circa l’anno 1230, entrò nell’Ordine de’ Predicatori l’an 1244 j che dopo aver insegnate in più luoghi le scienze, e dopo essersi esercitato più anni nella predicazione, l’anno 1267 fu fatto provinciale di Lombardia, il qual impiego ei sostenne sino al 1285; che finalmente l’anno 1292, eletto e consacrato arcivescovo di Genova, occupò quella sede per lo spazio di sei anni, nel qual tempo adoperossi con sommo zelo alla riforma degli ecclesiastici, al qual fine radunò un sinodo provinciale, e al sopimento delle civili discordie, da cui era quella città lacerata miseramente; e che l’anno 1298 lasciò di vivere. Oltre le Vite de’ Santi, egli scrisse ancora molti sacri Sermoni , e un libro in lode della Madre di Dio intitolato Mariale, che sono stati dati alle stampe; e qualche altra opera ascetica, di cui rimangono copie manoscritte in alcune biblioteche; e [p. 236 modifica]lilialmente una Cronaca della città di Genova , di cui il Muratori, troncando le molte favole di cui Jacopo l’avea imbrattata, ha pubblicate sol quelle parti che recan luce alla storia (vol. 9 Script. rer. ital!.), di che veggasi la prefazione di questo dotto scrittore alla Cronaca stessa premessa.