Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VII/Libro I/Capo V

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Capo V – Stampe; Biblioteche; Raccolte dl’Antichità

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Capo V – Stampe; Biblioteche; Raccolte dl’Antichità
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[p. 295 modifica]Capo V. Stampe, Biblioteche, Raci'olle. di Antichità. I. L’infaticabile diligenza con cui molti Italiani del secolo xv si erano adoperati nel ricercare i codici degli antichi scrittori, appena lasciò a’ lor posteri occasione alcuna di meritarsi ugual lode. Leon X, come si è detto nel secondo capo di questo libro, propose ampissimi premii, e profuse tesori affine di scoprir nuovi libri. Ma il maggior frutto ch' ei ne traesse, fu il ritrovarsi dei’ primi cinque libri degli Annali di Tacito, a lui inviati dall'Allemagna, e da lui pagati cinquecento zecchini (V. Mazzucch. Scritt ital. t. 2, par. 2, p. 1020). Non giova dunque ch’ io entri qui a ricercare di alcune altre cose di minor conto che si andarono discoprendo; perciocchè io non debbo occuparmi in cotai minutezze, ove da ogni parte si offre grande e luminoso argomento di storia. Per la stessa ragione, dopo avere nel precedente tomo trattato dell’ introduzion della stampa, e della rapidità con cui essa si stese in quasi tutte le città italiane, non mi tratterrò a esaminare in quali altre città in questo [p. 296 modifica]296 LIBRO secolo fosse ricevuta quest arte, e come fosse sostenuta e promossa. Nel che parmi degno d osservazione fra le altre cose ciò ch io ho rilevato dalla stampa degli Statuti delle Acque fatta in questa città di Modena l’an 1575, ove veggi amo che due cavalieri erano soprastanti alle stamperie della medesima. Perciocchè vi premettono una piccola prefazione Bartolommeo Calori e il cav. Giambatista Molza, i quali s intitolano Typorum Mutinensium Praefecti. Non così dee tacersi il nome di alcuni celebri stampatori italiani che colle belle cmagnifìche loro edizioni. e alcuni ancora col lor sapere, aggiunsero nuovo pregio a quest’arte e nuovo onore all’ Italia. II Fin dagli ultimi anni del secolo prece; denti crasi trasportato a Milano Alessandro Minuziano natio di S. Severo nella Paglia; odivi alla scuola di Giorgio Menila forma tosi all1 eloquenza e alla letteratura, fu creduto degno di occupar quella cattedra stessa; e fu per più anni professore in Milano dell'arte oratoria, e ancora di storia. Questo onorevole impiego non lo distolse dal volgersi all impressione de libri, e dopo essersi per alcuni anni servito degli altrui torchi, a quali contribuiva egli stesso col suo denaro non meno che colla sua diligenza nel fare che l edizioni fosser corrette ed esatte, prese poi ad aver ei medesimo i suoi caratteri proprii; e il primo saggio che ne diede, fu la magnifica edizione di tutte l’Opere di Cicerone, fatta in Milano nel i4f)8 c nel x4i)9 *n qunttro gran tomi in foglio, la qual fu la prima che si facesse di tutte insieme le Opere del padre [p. 297 modifica]PRIMO della romana eloquenza. Continuò poscia ilMinuziano a darci altre edizioni di diversi antichi e moderni scrittori; e uomo, com’egli era, erudito e colto, a molte premise sue prefazioni scritte con molta eleganza, nelle quali talvolta si duole della fatal negligenza per.cui l’ arte della stampa era presto degenerata per l'ignoranza degli artefici e per l’avidità del guadagno degli editori. Era egli diligentissimo nel confrontare tra loro gli antichi codici e nel ricavarne la più sicura e la più giusta lezione. Egli ancora però non andò esente da quella taccia per cui le stampe d’Italia hanno sempre sofferto non leggier danno, cioè di voler tosto pubblicar da’ suoi torchi ciò che dagli altrui è già uscito. Quando Leon X fece stampare in Roma i sopraccennati libri di Tacito, il Minuziano fu destro in modo da averne i fogli di inano in mano cbe si stampavano, e quindi di apparecchiarne egli al tempo medesimo un' altra edizione. Dello sdegno ch’egli perciò incorse di Leon X, de’ disturbi che ne sostenne, e della maniera con cui calmò la procella contro di lui sollevatasi, si può vedere feruditissimo Sassi che di questo stampatore valoroso ragiona a lungo (Prolegom. ad Hist typogr. mediol, p. 107), e osserva che dopo il 1521 di lui più non trovasi memoria alcuna, e ch è probabile che verso quel tempo ei finisse di vivere. III. Al tempo stesso che il Minuziano rendeva celebri le stampe milanesi, Aldo Manuzio il vecchio aggiugneva nuovo onore alle venete. Di lui già si è parlato nella storia del secolo precedente, e abbiam veduto ch’ei morì nel 15 j 5. [p. 298 modifica]298 uufto Paolo di lui figliuolo era allora fanciullo di tre anni soli, e rimase sotto la cura di Andrea Torresano da Asola suo avolo materno,• sotto il cui nome insiem con quello di Aldo continuò coll usata eleganza la stamperia manuziana. In fatti ne’ libri impressi in tal tempo leggesi comunemente: in aedibus Aldi et Andreae soceri, finchè morto anche Andrea nel 1529, ella si rimase oziosa fino al 1533. Intorno a che, oltre le Notizie del Manuzio di Apostolo Zeno, da noi altrove citate, veggasi ciò che della Vita di Paolo ha scritto con singolar esattezza il ch. sig. ab Pietro Lazzeri (Miscellan. Colleg. rom. t. 2, p. 191, ec.), delle cui fatiche io qui gioverommi, scegliendo, anzi accennando soltanto le cose più importanti. Paolo frattanto, istruito dapprima con poco successo nelle belle lettere da alcuni pedanti, poscia per sua buona sorte passato sotto la direzione di Benedetto Ramberti uomo assai dotto, fece in esse sì felici progressi, che può rimanere dubbioso se più abbia giovato agli studi col pubblicar le altrui opere, o collo scrivere le sue. Nel 1533 riaperse la sua stamperia, e la data di essa era comunemente: In aedibus haeredum Aldi Manutii et Aendrae soceri. Nel 1535 passò a Roma, ove gli venian date speranze di cose grandi; ma il solo frutto ch’ ei trasse da questo viaggio, fu lo stringersi in amicizia con alcuni de’ più dotti uomini che ivi erano allora, e principalmente con Marcello Cervini, con Bernardino Maffei e con Annibale Caro. Tornato presto a Venezia, formò ivi una corale accademia di dodici nobili giovani ch’ egli veniva [p. 299 modifica]l'RIMO 2()C) struenilo ne’ buoni studi. Nel qual esercizio durò circa tre anni, dopo i quali viaggiò per diverse città d Italia, singolarmente affìn di vederne le migliori biblioteche. Sembra però, ch’ egli continuasse a tenere o pubblica o privata scuola. Certo in tal esercizio egli era nel 1550, perciocchè il Robortello in una lettera scritta da Venezia nell’ aprile del detto anno dice: Paulus Manutius hic egregius habetur Ludimagister in instituendis pueris: Hypodidascalum etiam nactus est peritissimum (Cl. Viror. Epist. ad P. Victor, t. 1, p. 74)- Fino al 1540 egli co’ suoi fratelli, Manuzio il maggiore, Antonio l’ultimo, tenne ferma la società co’ figliuoli di Andrea Torresano nel negozio della stampa. Nel detto anno si divise da loro. e prese a segnare le sue edizioni con queste parole: Apud Aldi filios, o pure In aedibus Paulli Manutii. I Torresani continuarono anch’essi nell’esercizio dell’arte loro; e Bernardo uno di essi passato a Parigi vi aprì una stamperia che tuttor durava nel 1581, e dicevasi ancor la biblioteca di Aldo. Io lascio di rammentare diversi viaggi di Paolo, e le frequenti malattie, principalmente degli occhi, a cui fu soggetto, che tanto più gli riuscivan moleste, quanto più il distoglievano dagli amati suoi studi. Questi frattanto l avean già renduto sì celebre, che da molte parti veniva invitato con ampie offerte. Recatosi a Bologna nel 1555, quel senato cercò di tenerlo a vantaggio maggiore dell’ università: Questa, mattina, scriv egli stesso a’ 30 di settembre del detto anno (Lettere, l. 3, lettera 3). di con sentimento [p. 300 modifica]300 MURO universale è passato il partito, ch io sia condotto con provisione di 350 scudi et altri commodi, tanto che la cosa va alli 400. L utile è assai grande, ma l onore è maggiore, non essendomi da questi Signori verun obbligo imposto, salvo che di aver cura, che si stampino que libri, onde possa lo studio trarre profitto, e la Città riputazione. Ma poscia, per nuove difficoltà insorte, la cosa non ebbe effetto. Lo stesso accaddè delle premurose istanze che al tempo medesimo gli fece il cardinale Ippolito di Este il giovane, perchè venisse a starsene appresso a lui; istanze dal Manuzio accettate, ma poi rendute inutili e dalla peste che infieriva in Ferrara, e dalle indisposizioni quasi continue del Manuzio medesimo. Poco miglior fu il destino per cui fu egli trascelto a soprantendere alle magnifiche edizioni che l’Accademia veneziana apparecchiavasi a dare; perciocchè, come si è detto, essa ebbe troppo breve durata, e venne presto al nulla. Prima però, che ciò avvenisse, era già il Manuzio passato a Roma per l’esecuzione di uno dei’ più gloriosi disegni che mai si formassero pel vantaggio della letteratura, e che dee perciò da noi esporsi qui esattamente. IV. Fin dal 1539) due gran cardinali Marcello Cervini e Alessandro Farnese avean formata l idea di aprire in Roma una magnifica stamperia, da cui si venissero pubblicando di mano in mano tutti i più pregevoli manoscritti greci che nella Vaticana si conservavano. Era stato a tal fine trascelto il celebre stampatore Antonio Blado Asolano, il quale trasportatosi perciò [p. 301 modifica]PRIMO 30! a Venezia, avéa piegato il Manuzio a largii fondere i caratteri e ad apparecchiargli le altre cose opportune al bisogno: Magna enim optimae voluntatis documenta saepissime dedistis, scrive il Manuzio al Cervini parlando ancor del Farnese (l. 1, ep. 7), majora etiam dare cogitatis, cum quidem, ut Antonius Bladus ad me detuli £, pulcherrimam rem et vobis dignissimam aggressi, omnes libros Grucce seri pio s, qui nunc in Bibliotheca Palatina conditi asservantur, praelo subjicere cogiteris... cui se muneri Bladus a te esse praepositum ajebat, itaque venisse ad nos, ut et eos typos, quibus atramento illitis charta imprimitur, conjlandos curar et, et si qua pr aeterea sunt ad opus ne' cessarla maturaret. Questo sì bel disegno ebbe almeno in parte il suo effetto, e ne son pruova le bellissime edizioni uscite da torchi del Blado, e quella singolarmente di Omero co Comenti di Eustazio. Frattanto la necessità di opporsi alle recenti eresie che sempre più andavano dilatandosi, e di riformare gli abusi secondo gli ordini del Concilio di Trento, fece conoscere che conveniva principalmente rivolgere il pensiero a dare alla luce le opere de’ SS. Padri e di altri scrittori ecclesiastici, che servissero come di argine all impetuoso torrente dell’errore e del libertinaggio. Acciocchè dunque le edizioni di queste opere riuscissero in modo, che all’eleganza de’caratteri si congiungesse la correzione, il pontef Pio IV chiamò a Roma il Manuzio, a cui assegnò cinv quecento annui scudi, e gli fece sborsare anticipatamente il denaro necessario pel trasporto [p. 302 modifica]3oa LIBRO eli tutta la sua famiglia e del corredo della sua arte; nel che è verisimile che gran parte avesse il cardinale Borromeo nipote del papa, col cui consiglio reggevasi allora ogni cosa. Trasferissi Paolo a Roma nella state del 1561. Delle opere dal Manuzio pubblicate ne nove anni che ivi trattennesi, de’ valentuomini che in quelle edizioni gli furon d’ ajuto, tra’ quali si annoverano il Sirleto, il Faerno, il Panvinio, Latino Latini e più altri, veggasi il suddetto ab. Lazzeri che ne ragiona minutamente, provando ogni cosa con autorevoli documenti. La stamperia del Manuzio era posta in Campidoglio nel palazzo stesso del Popolo romano, e perciò ne’ libri ivi stampati leggesi per lo più Apud Paulum Manutium in aedibus Populi Romani. Pareva che quel soggiorno, e l’impiego ivi affidatogli, dovesse fissare in Roma il Manuzio. Ciò non ostante o perchè gli sembrasse che alla fatica non corrispondesse il guadagno, o perchè le frequenti sue indisposizioni ne sconcertassero l’animo, nel 1570 prese congedo; e nell’ autunno tornò a Venezia. De’ motivi che condussero a tale risoluzione il Manuzio, parla a lungo il sopraccennato scrittore, il quale mostra ch’ egli medesimo non è coerente a se stesso nel ragionarne, e reca or una or un’altra ragione. e scrivendo ad uno si chiama per ogni riguardo felice in Roma, scrivendo ad un altro quasi al tempo medesimo si duole del suo misero stato, incostanza per avventura, come si è detto, in lui cagionata dalle sue indisposizioni. [p. 303 modifica]PK1MO 3o3 V. D’ allora in poi appena ebbe il Manuzio stabil soggiorno. Nel 1571 fu per qualche tempo a Genova, passò alcuni mesi dell’anno seguente in Milano, d’onde tornalo a Venezia, si pose di nuovo in viaggio per Roma per prendere una sua figlia che ivi avea lasciata in un monastero, e ricondurla alla patria. Ma trovò ivi un pontefice che troppo stimava gli uomini dotti, per lasciarseli fuggir dalle mani. Gregorio XIII il volle in Roma, e assegnogli perciò un annuale stipendio, non molto ampio, è vero, ma che lasciava il Manuzio in una totale libertà, per attendere, come più gli piacesse, a’ suoi studi. Questo secondo soggiorno in Roma fu assai più breve del primo, non per incostanza di Paolo, ma per la morte che lo sorprese dopo lunga malattia a1 1 a d' aprile del’an 1574, contando egli il sessantesimosecondo dell età sua. Uomo degno, a dir vero, di assai più lunga vita, e più degno ancora d’immortal ricordanza. Le molte e comunemente belle ed esatte edizioni ch’ egli ci diede di parecchi antichi e moderni scrittori, potrebbon bastare per annoverarlo tra quelli che molto han giovato a promuover le lettere. Egli però non pago di pubblicar da' suoi torchi le opere altrui, le illustrò ancora colle sue prefazioni e co’ suoi conienti 5 il che egli fece singolarmente con tutte l’Opere di Cicerone e di Virgilio, le quali da lui si ebbero più corrette e più rischiarate. Molto a lui pure dovettero le antichità romane; perciocchè egli osservatore diligentissimo delle iscrizioni, e di altrui cotai pregevoli monumenti, ne fece sovente uso nel dichiarare v. Suoi studi e, sua nini te e su« u|»e rr. / [p. 304 modifica]3o4 LIBRO parecchi passi più oscuri. Il Calendario romano fu da lui prima d’ Ogni altro trovato e dato in luce per mezzo di Aldo suo figlio nel i5G(» insieme con due operette ch’egli vi aggiunse, una intitolata De ve te rum dicrum radane, l’altra Kaleni lari i Romani explicatio (Fos carini. Letterat Venez. p. 378). Avea egli formata l idea di una grande opera in cui pensava di rischiare tutto ciò che alle romane antichità appartiene; ma da altre occupazioni distoltone, ne diè solo un saggio col libro delle Leggi romane da lui pubblicato in Venezia Panno 1507 (a), c dedicato al cardinale Ippolito da Este, e alcune altre parti dell’ opera stessa già distese da Paolo furon poi pubblicate da Aldo. Egli innoltre fu il primo a formar raccolta di Lettere di diversi così italiane come latine, e delle prime diede in luce in diversi tempi tre libri dal 1542 al 1564 (V Fontanini colle note del Zeno, L i,o. 1^9), delle seconde pubblicò un libro nel 1556. Al par di queste raccolte sono pregevolissime le Lettere che abbiamo dello stesso Manuzio nell’una e nell’altra lingua. Dodici sono i libri delle latine più volte stampati; dalle quali ben si conosce quanto studio avesse fatto il Manuzio sulle opere di Cicerone, e quanto felicemente ne imitasse lo stile. Lo (a) Del libro delle Leggi romane stampato dal Manuzio nel l'i'i’j si hanno diversi esemplari con molte diversità dall’uno alt altro, singolarmente dopo la pagina 73, in cui si osserva un cambiamento totale, il che pruova che due edizioni ei ne fece in quell’ anno medesimo, e la seconda più corretta e più accresciuta della prima. [p. 305 modifica]PRIMO 3o5 Sdoppio vi ha trovate (in Grosippo,p. 22) alcune parole che non sono Ciceroniane; ma ciò non ostante ogni uom saggio vorrà essere un Manuzio anzichè uno Scioppio. Alcune altre lettere inedite ne son poi uscite in luce (Miscel. Coll rom. t 2, p. 387). Più rare sono le Lettere italiane, delle quali io non so che si abbia altra edizione dopo la prima del i56o (“), ed esse ancora si leggono con piacere per la semplicità e per la non affettata eleganza con cui sono scritte. Aggiungasi a ciò i Proverbi, un Trattato degli Elementi stampato nel j 55^ (Fontan. l. c. t 2, p. 326) e alcuni altri opuscoli di minor conto. Se egli fosse autore in ciò ch è la sposizione latina del Catechismo romano, come si afferma da molti, il vedremo a luogo più opportuno. Il Foscarini osservando che il Manuzio nella prefazione premessa al Concilio di Trento, da lui pubblicato, ne promette ancora in breve tempo la Storia, crede ch egli avesse in animo di comporla. Ma a me sembra che ciò possa intendersi ancora di qualche altro, la cui Storia pensasse il Manuzio di pubblicare. Io trovo bensì che il Manuzio avea disegnato di scriver l'Istoria della Casa d’Este, intorno a che abbiamo una lettera dello stesso Manuzio a Giambatista Pigna (Manuz. Lettere. p. 125) colla risposta del Pigna (Lcttei'c di diversi. Veri. i564, P- 80), ma il disegno non ebbe effetto. (*) L’edirione delle Lettere italiane di Pnolo Mainino fatta nel i^tio non è nè la prima, nè l'unira. Prima di essa se n’era fatta un'altra nell’anno i55(i. TlHAUOSCHi, Voi. X. 20 [p. 306 modifica]3o6 LIBRO \ I. Io potrei ({ili recare i magnifici elogi che ne hanno fatto molti scrittori di que tempi, e quelli principalmente che nell eleganza dello scrivere erano o uguali, o non di molto inferiori allo stesso Manuzio, come Jlartolo rum co Birci (t. 2 Op. p. 308, ec.), il Paggiano (Epistol. t 2, p. GB, ec), il Paleario (t. 1, ep. 17) e il Mureto che gli era amicissimo, e che non ardisce di decidere se più debba a Cicerone il Manuzio, o al Manuzio Cicerone (Var. Lect. l. 1, c. 6, ec.). Ma basti per tutti quel del Bonfadio, uomo il quale ben sapeva che fosse scrivere con eleganza. Questi in una lettera al Manuzio, trattando delle difficoltà dello stile epistolare, Quei lunghi periodi in fatti, dice (Lettere., p. 56 ed bresc. 1758), hanno troppo gran campo, e Ciio/n vi si perde dentro, oltre che in lettere, familiari par che non convengano. È molto più bello e più sicuro quel breve giro, ove voi così felicemente v aggirate, senza punto mai aggirarvi, e volteggiate lo scriver vostro con una leggiadria mirabile, senza mai cadere. Seguirò dunque voi, e mi parrà aver fatto assai, s io potrò appressarmi, che di giungervi pochissimi possono sperare, di passarvi nessuno. Avete un apparato di parole ricchissimo, e le parole sono illustri, significanti, e scelte; i sensi o sono nuovi, o se pur comuni, gli spiegate con una certa vaga maniera propria di voi solo, che pajon vostri, e fate dubbio a chi legge, se quelle pigliano ornamento da questi, o questi da quelle, (Qua spargete un fiore, là scoprite un lume, e si acconciamente, che par che siano nati per adornare [p. 307 modifica]PIVIMO 30^ ed illustrar (quel luogo, ove voi li ponete, nè ci si vede ombra d ujjettazione. fi pritu ipio guarda il fine; il fine pende dal prim ipio; il mezzo è conforme all uno ed all altro con una conformità varia, che sempre diletta, e mai non sazia; le quali cose danno altrui più presto causa di maraviglia, che ardire di poterle imitare. Nè però vuolsi dissimulare che il Manuzio ancora ebbe riprensori e nimici. Nè è maraviglia, perciocchè come ne’ cibi, così nelle lettere ancora diversi sono i gusti, e ciò che sembra ad alcuni perfetto, da altri credesi difettoso. Più grave è l’accusa a lui data da Gabriello Barri, il quale ce lo rappresenta come un solenne plagiario e ardito usurpatore delle fatiche altrui. In una sua lettera a Pier Vettori, scritta il primo di agosto dell’an 1557;, egli arreca un passo della Grammatica latina di Aldo Manuzio il vecchio, in cui afferma che Giano Parrasio essendo in Milano al principio del secolo XV, avea pubblicati senza il suo nome certi frammenti d’antichità, e che avea quasi finita un’opera in XXV libri divisa su diversi punti d’erudizione, intitolata De rebus quaesitis per Epistolam. Soggiugne poscia il Barri che Paolo Manuzio, detto da lui avis implumis, et furax insignis, ebbe dal cardinale Seripando la suddetta opera del Parrasio e i Comenti del medesimo sulle Epistole ad Attico; ch’egli spacciò i Comenti per suoi, e dall'altra opera scelse alcuni passi soltanto, e li diede alla luce fingendo che tale edizione fosse eseguita a’ tempi di Aldo suo padre; e che diede il rimanente dell' opera al giovane Aldo suo figlio, a cui [p. 308 modifica]3o8 LIBRO pure il Barri dà il nome di Cornacchia spennata, perchè egli ancora se ne facesse bello; e che Aldo di fatti, benchè, com’egli dice, quasi ancora fanciullo, divisa l’opera in più parti dedicate a più cardinali, la pubblicò qual sua, ritenendo però il titolo medesimo che il Parrasio le avea dato (Cl Viror. Epist. ad P. Victor. t. 2, p. 108). E questa accusa ripete lo scrittore medesimo in una sua opera (De Situ et Antiq. Calabr. l. 2, c. 7). Egli è il solo che rinfacci al Manuzio sì grave delitto; e nell’atto stesso di rinfacciarlo, ci fa vedere la falsità dell’accusa. L’opera del Parrasio fu pubblicata la prima volta da Arrigo Stefano nel 1567, e nella lettera da lui premessa a Lodovico Castelvetro ci dice di averla avuta non già dal Manuzio, ma dal Giova, uomo erudito di quell’età, di cui si trova menzione in varie lettere del medesimo tempo. Ma diasi pure che il Giova avessela dal Manuzio. L'opera del Parrasio, secondo il Barri, eya in venticinque libri, e dovea perciò essere molto voluminosa. Or ciò che abbiamo sotto il nome di esso, è un picciol libro; e picciolo parimente è quello di Aldo sotto il medesimo titolo; sicchè amendue insieme appena possono formare una picciola parte della grande opera che al Parrasio si attribuisce. Perchè dunque il giovane Aldo non si appropriò il rimanente? Innoltre se Paolo diè quell'opera al figlio, perchè la divolgasse qual sua, ei doveva almeno avvertirlo che ne cambiasse il titolo; altrimente veggendo il titolo stesso usato prima dal Parrasio, poi da Aldo, poteano alcuni sospettare che questi avesse copiato il primo. Nè [p. 309 modifica]PRIMO 3o9 era allora Aldo quasi fanciullo, come dal Barri si afferma; perciocchè nato nell’anno 154 7, contava quasi 30’ anni di età quando nell’an 1576 pubblicò il detto libro. Finalmente, a comprovar tali accuse richieggonsi monumenti sicuri; e niuno qui ne abbiamo fuorchè la semplice affermazione del Barri, che non può aver forza bastevole a farci credere i due Manuzj troppo diversi da quelli che sempre sono stati creduti. Vii. II suddetto Aldo figliuol di Paolo seguì, benchè alquanto da lungi, gli esempii del padre e nel coltivare le lettere, e nel promuoverle per mezzo della sua arte. Paolo lo ebbe da Margarita Odoni sua moglie a’ 12 di febbrajo del 1547 (V. Lazze ri, Misceli Coll. rom. t. 2, p. 210), ed usò la più sollecita diligenza nell educarlo e nell' istruirlo. Fu dapprima professore di belle lettere nelle scuole della Cancelleria in Venezia, ove s’istruivano i giovani che aspiravano alla carica di segretari della Repubblica, e tenne quella cattedra dal 1577 fino al 1585, in cui fu chiamato a Bologna ed occuparvi quella che per la morte del famoso Sigonio era restata vacante. E questa scelta è una pruova evidente della gran fama a cui Aldo era fin d’allora salito. La Vita di Cosimo de’ Medici da lui frattanto data alla luce il rendette caro al gran duca Francesco, che nel 1587 gli fece offrire la cattedra di umane lettere in Pisa con sì onorevoli condizioni, che Aldo non seppe ricusarla, benchè al tempo medesimo venisse invitato a Roma ad occupar quella che già avuta avea il Mureto. Il soggiorno in Pisa [p. 310 modifica]3 IO LIBRO gli ottenne l’onore di essere ascritto all'Accademia fiorentina, ove ai'28 di febbraio del 1588 recitò una Lezione sopra la Poesia, che fu poscia stampata. Benchè Aldo avesse già ricusata la cattedra offertagli in Roma, ivi nondimeno si serbò sempre tale speranza di averlo, che il luogo gli si mantenne vacante. Nè le speranze furon fallaci. Aldo nel novembre del 1588 determinossi a quel viaggio, e ivi fu ricevuto con grande applauso. Colà fece ei trasportare la copiosissima sua libreria di ben ottantamila volumi, parte raccolta già da Aldo il vecchio e da Paolo, parte da lui medesimo. Alle occupazioni della pubblica cattedra gli aggiunse (Clemente VIII nel i5i)2 quella di soprantendere alla stamperia Vaticana. Ma cinque anni appresso, cioè a’ 28 di ottobre del 1597, in età di soli cinquatun anni non ancora compiuti diè fine a’ suoi giorni. Tutte queste particolarità della vita di Aldo il giovane da me in breve accennate si posson vedere più ampiamente distese da Apostolo Zeno nelle già indicate Notizie. Egli ribatte ancora l’accuse con cui l" Eritreo par che abbia cercato di oscurarne la fama (Pinacoth. pars 1, p. »84)» dipingendolo come uomo ridotto allo stremo della miseria, abbandonato in Roma dai’ suoi scolari, uno o due soli de’quali venivano ad ascoltarlo, deforme e mostruoso di aspetto e aggiugnendo che ei ripudiò capricciosamente la propria moglie accuse tutte delle quali il Zeno mostra apertamente l insussistenza e la falsità. Egli ancora ragiona minutamente di tutte l’edizioni di diversi antichi e moderni [p. 311 modifica]PRIMO 3 i i scrittori clic ci ha date, e di tutte le opere da lui stesso composte. Grande ne è il numero, e grande la varietà degli argomenti; perciocchè e l antichità e la storia e la gramatica e e la poesia e l’eloquenza e la filosofia morale furono da lui illustrate con varii libri. Alcuni di essi, come quello dell’Eleganze e quello assai pregevole dell’Ortografia, furono da lui pubblicati in età ancor fanciullesca. Ma si può credere con fondamento che molta parte in essi avesse l amor paterno. La più celebre fra tutte le opere di Aldo sono i dieci tomi de’ Comenti su tutte le Opere di Cicerone, ove però a suoi egli unì quelli di suo padre. Il Zeno arreca i favorevoli giudizii che di queste opere han dato molti scrittori; e ribatte l’accusa di plagio che alcuni gli hanno apposta. Ciò non ostante, confessa egli medesimo che se Aldo imitò gli esempii paterni, non giunse però ad uguagliarne l eleganza e la dottrina. Molti affermano che Aldo lasciò per testamento all’università di Pisa la sua biblioteca; ma assai meglio ci ha informati del destino di questa biblioteca l eruditissimo Foscanini: Il Chiarissimo Zeno, dic egli (Letterat venez. p. 392), pende a credereche andasse in dispersione alla morte di lui. come se ne vanno (quasi tutte le Librerie private. Da sicure memorie ms. di Giovanni Delfino, poi Cardinale, ch era allora in Roma Ambasciadore a Clemente Ottavo, da noi vedute j abbiamo, che morto Aldo alCimprovviso per troppa crapula, e senza fare alcuna ordinazione delle cose sue, furono bollate le sue stanze dalla Camera per certo credito che [p. 312 modifica]312 LIBRO pretendeva, e fu sequestrata ogni cosa da molti altri creditori; che tra quelli e i nipoti del morto fu divisa la Libreria visitata prima, e spogliata d alcuni pezzi per ordine del Papa; che non all’ università di Pisa, ma ebbe in animo di lasciarla alla Repubblica di Venezia, e che di questa intenzione si trovava qui una lettera di lui. Intorno a che si può leggere ancora l erudita dissertazione della Libreria di S. Marco del ch. sig. d Jacopo Morelli (p.). Vili. Il Minuziano e i due Manuzii dovean esser in questa Storia con distinzion rammentati, perchè all esercizio dell arte loro congiunsero un erudizione assai superiore al loro impiego. Ma non debbon passarsi sotto silenzio alcuni altri che, se non furono dotti, colla bellezza però delle loro edizioni accrebbero e all’ arte loro e per essa all Italia onore non ordinario. Celebri sono le stampe di Filippo Giunti in Firenze, e di altri della stessa famiglia ivi e in Venezia, e anche in Lione (V. Crevenna Catal. de la Collect. de Livres t 6, p. 146). Giovanni Giolito de Ferrari di Trino del Monferrato, dopo avere esercitata quest’ arte nella sua patria, si trasferì a Venezia, ove ed egli e poscia Gabriele di lui figliuolo, e per ultimo Giovanni e Giampaolo figlio di Gabriele si acquistarono in essa tal nome, che le loro stampe sono tuttora l oggetto dell amore e delle ricerche di molti (Zeno, Note al Fontan. t. 1.p. 3;)8). Gabriele ebbe la sorte di avere a correttori delle sue stampe parecchi forniti di buona letteratura, come il Brucioli, il Sansovino, il Dolce, il Betussi (ivi, t. 2, p. 461). Ma ciò non ostante, le [p. 313 modifica]PRIMO 3 13 rclizioni de* Gioliti sono non rare volte leggiadre più che corrette, poichè a correggere i libri suol essere più opportuno un mediocre ma paziente conoscitore, che un uomo dotto (*). Daniello Bombergh di Anversa aprì in Venezia una magnifica stamperia ebraica nell1 anno i5i8 (Foscarini, Letterat. Venez. p. 343). Gregorio Giorgio veneziano eresse in Fano a spese di Giulio II la prima stamperia arabica che si vedesse in Europa, e ne uscì un libro nel 1514 (ivi) (a), e pochi anni appresso fu pubblicato nella medesima lingua l'Alcorano da Paganino da Brescia (Quirini Ep. ad Saxium ad calc. Bibl Script, mediol. p. 12). Bellissime edizioni abbiamo parimente di Vincenzo Valgrisi in (*) Fra i dotti che coll’erudite loro fatiche renderon celebri P edizioni de’ Gioliti e quelle ancora de’ Giunti e di altri stampatori veneziani, deesi anche annoverare il P. Francesco Turchi carmelitano, di cui abbiamo prefazioni, note e giunte a diverse opere «la essi pubblicate. E fra le altre cose si vuole osservare cbe ei fu il primo ad aggiugnere supplementi alla Storia di Livio tradotta dal JVar«li e pubblicata da' Giunti nel iHy5. Un grave errore è corso nelle Annotazioni di Apostolo Zeno alla Biblioteca del Fontanini, ove si afferma (l. i,p. 287) che il Turchi trasse un tal supplemento da quel del Freinshemio, perciocché questi non nacque che nel 1608, e nel 16T4 pubblicò i suoi Supplementi. Della quale osservazione io son «lrbitore all' eruditissimo sig. conte Rambnldo degli Azzoni Avogaro canonico di Trcvigi da me più volte lodato. (a) Il libro arabico stampato in Fano nel t5t4 é intitolato Scptcm Ilorae Canonicae, e ne esiste copra ottimamente conservata in questa ducal biblioteca di Modena. Di esso ha parlato ancora il celebre sig. abate Ginmhernardo De Rossi nella sua prelazione agli Epitalami i stampali in Parma (p. 18). [p. 314 modifica]3.4 libro Venezia. ili Leonardo Torrent i no in Firenze e in Mondovì, del! Sermatelli pure in Firenze, di Gottardo da Ponte in Milano, di Comin Ventura in Bergamo, di Paolo Gadaldino in Modena, di Alessandro Paganino prima in Venezia, poi in Tusculano presso il lago di Garda, di Seth) Viotto in Parma e di più altri, di cui non giova il far più distinta menzione. Pietro Paolo Porro di patria milanese ci diede un saggio di Biblia poliglotta, stampando in Genova nel 1516 il Salterio in lingua ebraia, greca, arabica e caldea. Ed ei debb essere quello stesso che nel 1514 insieme con suo fratello Galeazzo avea stampato in Torino il Corale già da noi mentovato, ove nella dedicatoria al duca Carlo III essi si dicono cittadini di Torino, e dicono di essere stati prima monetieri, orefici e gioiellieri di quella corte: Cum illustrissimis et Philippo patri, et Philiberto fratri, tum moneta cudenda, tum aureis et monili bus, et re giis scalpturis formandis artifices impense operam praestiterimus. Della qual notizia io mi riconosco debitore al ch. sig. baron Vernazza da me altrove lodato. Alcuni ancora de’ nostri passarono Oltremonte, tra’ quali, oltre il Torresano nominato poc’anzi, Pietro Perna lucchese trasferitosi circa il 1542 a Basilea, fu un de’ più celebri stampatori di quella città, e ne sarebbe ancora più onorevole la memoria, s’ei non l’avesse oscurata coll apostasia della cattolica religione. Di lui ha scritto la Vita il ch. sig Domenico Maria Ma.mi, stampata in Lucca nel 1763. Ma lasciando in disparte una digiuna e poco utile serie di stampatori, passiamo a dire della [p. 315 modifica]PRIMO 31 5 magnificenza da alcuni principi italiani usata nel promuovere e nel fomentare quest arte. IX. Cos'uno de1 Medici, il cui nome glorioso ci verrà innanzi quasi ad ogni passo di questa Storia, come ad ogni altra cosa che giovar potesse agli studi, così a questa ancora volse il pensiero. Il gran numero di pregevoli codici e di opere inedite che serbavasi nella biblioteca da suoi maggiori e da lui stesso fondata, gli fece conoscere di qual vantaggio sarebbe stato alle scienze, se o tutti, o almeno i migliori uscissero alla pubblica luce. A tal fine fatto venire dairAlleniagna uno stampatore di molto nome, lo animò colla promessa di magnifiche ricompense a esercitare ivi la sua arte. Questi chiese otto mesi di tempo a fare i necessarii apparecchi, si accinse poscia all impresa, e cominciò a pubblicare diversi libri. Così raccogliam da due lettere di Pier Vettori scritte nell an 1547 in cui ciò avvenne; nella prima delle quali, de 15 aprile, indirizzata a Francesco Davanzati, Fautor bonarum artium, dice (Victor. Epist. p. 22), omnisque generis litterarum amator eximius, nostrae Ci vi tatis Princeps, evocavit huc typographum hominem, propositi sque praemiis non parvis, voluit in hac urbe ejus artis officinam instruere. Ille autem ad ornandam tabernam, ceteraque, quae opus forent, comparanda, tempus octo mensium postulavit, quorum dimidia fere pars jam abiit. Nell’altra ch è scritta al medesimo Cosimo a’ 13 di settembre, tra le altre cose da lui fatte a pio delle lettere, così esalta ancor questa (ib. p. 24): Quantum hoc beneficium est, quod [p. 316 modifica]3 16 LIBRO jamdiu mente versas, cuique summis opibus inservis, et. jam in eum locum deduxjsti, ut cito fructus non parvos laturum sit! Quantum, inquarti, bene fidimi est} quod veteres Scriptores a majoribus tuis summo studio collectos, atque e Graeciae ruinis incendiisque ereptos, formis excudere, et ad usus eruditorum divulgare vis; atque huic rei efficiendae Germanum hominem. qui hujus generis magna negati a tota Europa genit, propositis amplissimis praemiis huc evocasti, atque. apud nos typographam officinam struere, atque ornare mandasti! Chi fosse lo stampatore tedesco dal Vettori accennato, non è difficile l’accertarlo. Appunto nel 1548 veggiam cominciare in Firenze le belle ed eleganti stampe del Tormentino, e continuare fin verso il 1564 nel qual tempo vedremo tra poco che quella stamperia fu trasportata altrove. Il Torrentino però, di cui non so qual fosse la patria, non era, a mio parere, che semplice esecutore nell edizione de’ libri. Il raggiro di tutto il negozio era affidato ad Arnoldo Arlenio tedesco, ch è quegli, s’io non m’inganno, di cui parla il Vettori. Era questi già da più anni addietro librajo famoso in Italia, e abbiamo diverse lettere a lui scritte da Celio Calcagnini fin dal 153(> e dal 1537, dalle quali si vede che questi e più altri a lui ricorrevano per. essere provveduti de' libri de’ quali abbisognavano (Calcagn. Op. p. 173, 183, 3i4> 2i5). Nè solo era egli librajo di professione, ma era ancora uomo assai erudito in ogni sorta di lettere, come ora il vedremo appellarsi da Giambattista Giraldi e dal Vettori. [p. 317 modifica]% PRIMO 3 i 7 L'Àrlonio dunque e il Torreutino secondarono le premure di Cosimo, e in Firenze aprirono la nuova loro stamperia, da cui negli anni seguenti usciron molte e assai belle edizioni. Ma le intenzioni di quel sovrano per le guerre e per le altre sinistre vicende non ebbero quell effetto che potea sperarsene. Nel i564 1 rovinili 1"Allenici in Mondovì insieme col Torrentino, che ivi Tanno seguente pubblicò gli Ecatommiti del Giraldi, ch era nella stessa città professore. Questi scrivendo nel detto anno al Vettori gli dà avviso che TArlenio uomo eccellente in ogni sorta di letteratura erasi colà recato per esercitarvi la sua arte (Cl. Viror. Epist. ad P. Victor, t. 1, p. 103), e il Vettori a lui rispondendo compiange la sventura di quel valentuomo, che in Firenze non avea potuto trovare stabile sussistenza, benchè molti ivi fossero che gliel aveano, ma inutilmente, proccurata: Est pio fedo ille vir, dice dell’Arlenio il Vettori (Victor. Epist. p. 122). probus ac bene doctus, semperque in studis honestarum artium versatus: habet autem hic honestissimos homines, qui valde charum ipsum habent, etjortunas ejus ornare conati sunt, aut saltem tantum illi commodi procurare, ut vivere apud nos posset mediocriter, vel potius vie tifare, nec tamen efficere umquam potuere, quod studuere, malo, ut arbitror, fato hujus viri. Est sane ille ei curae, cui praepositus istic est, valde idoneus, et in ipsa p litri munì excrcitatus; majora tamen ab eo, nisi fallar, ex poetari potcrant, uberioresque fructus ex ingenio et eruditione ipsius capi. A questi tempi [p. 318 modifica]3 i 8 LIBRO medesimi io penso che debbasi riferire un’ altra lettera dello stesso Vettori a Francesco Filippo Pedemonti, che non ha data, nella quale parlando di uno stampator di Firenze, che’egli non nomina, dice: Sed ejus officina nunc omnis, valde antea instructa et ornata, exinanita et dissipata est, operaeque abiere: id autem factum est difficultate horum temporum, ac propriis ipsius angustiis; nam tempora hic valde dura atque adeo calamitosa sunt, vicino ac prope cotidie nobis imminente acerrimo bello (ib. p. 53). In fatti dopo il 1563 non troviamo più alcuna edizione del Torrentino in Firenze, e la stampa di quattro lezioni di Annibale Rinuccini, che dal Fontanini! si segna al 1565, Apostolo Zeno dimostra che fu fatta nel i5(>i (Note al Font. t. 1, p. 339). Ma anche in Mondovì non dovette esser lungo il soggiorno dell’Arlenio e del Tormentino, e dopo il 1565 non trovo che avvenisse di loro. E convien credere ch’ essi abbandonassero il Piemonte, perciocchè dagli Editti de’ duchi di Savoja raccolti dal senatore Giambattista Borelli, e stampati in Torino nel 1681, raccogliesi che l’an 1573 fu da Venezia chiamato a Torino Niccolò Bevilacqua, perchè presiedesse a una compagnia ivi formata per l introduzion della stampa, e con molti privilegi da que' sovrani graziosamente onorata (par. 3, l. 10 p. 1092, tit 25 (*). (*) Ciò che ho qui asserito intorno al Torrentino e all’ Arlenio, riceve maggior lume da un bel monumento trasmessomi da Torino dal ch, sig. baron Giuseppe [p. 319 modifica]PRIMO 3l() X. Abbiamo veduto poc1 anzi die 1 due cardinali Alessandro Farnese c Marcello Cervini avea no fatto aprire in Roma una magnifica stamperia verso il i546, la cui direzione fu confidata ad Antonio Biado. Quindi al fine del terzo tomo de1 Conienti di Eustazio sopra Omero, stampato nel 1549, s‘ *eKoe: Impressimi Roinae apud A ri tonium Rladtim Asulanum et socioSj typis Joannis Honorii Manli ensis Sale liti ni Ribliotecae Palatinae instauratoris mdxlix. Yeranzza. Contiene esso una supplica data al duca Emanuel Filiberto dagli eredi del Torrentino, in cui l’Arlenio come procuratore ed agente degli heredi del Torrentino gli rappresenta che S. A erasi già degnata di entrare per la terza parte nella compagnia della stampa fondata in Mondovì da alcuni cittadini, e che innoltre al Torrentino, che dalla Toscana erasi colà trasferito, avea assegnata provvisione di 20 scudi al mese per tre anni; che morto poi il Torrentino, i suoi eredi avean continuto l’impegno da lui preso: ma che non avendo la compagnia serbati i patti fatti col Torrentino, gli eredi perciò si trovavano oppressi da’ debiti; e quei' del Mondovì avean loro sequestrato tutto l attrezzo dell’arte loro. E a maggior loro danno si era aggiunto che della provvisione al Torentino assegnata nulla erasi mai ricevuto; e gli eredi in tre anni eran rimasti creditori di 720 scudi. Dice ancora che quei’ del Mondovì aveano in loro mano tre’ crediti e libri stampati dai’ detti eredi, e appartenenti al duca, pel valore di 520 scudi, e perciò prega S. A. a ordinare che quelli del Mondovì consegnino agli eredi i suddetti crediti e libri a conto de’ 720 scudi, di cui erano creditori: e implora la clemenza del duca per riguardo singolarmente a molti figliuoli del Torrentino e a due figlie di età oltre a’ 25 anni. Alla supplica viene appresso il rescritto del duca segnato in Torino a’ 31 di marzo del 1571, in cui comanda che si eseguisca ciò di che aveagli l’A elenio porta preghiera. [p. 320 modifica]3ao libro E questa stamperia ebbe anche il nome di Camerale, come pruova l ab. Lazzeri (Miscell. Coll. rom. t. 2. p. 2.46). Fu poi allo stesso fine chiamato a Roma, come si è detto, Paolo Manuzio che per più anni vi si trattenne. La gloria però di avere stabilmente fondata la stamperia che fu detta Vaticana o Apostolica, e poscia la stamperia dell’ apostolica Camera, deesi a Sisto V. La dedica delle Opere di s. Gregorio Magno da Pietro da Tossignano pubblicate dalla stamperia medesima nel 1588 contiene grandi elogi di quel pontefice per sì bella idea da lui concepita, e con singolar magnificenza da lui condotta ad effetto, affine principalmente di pubblicar le Opere de santi Padri, e tutto ciò che giovar potesse al decoro e al vantaggio della cattolica Fede. Le magnifiche edizioni della Version dei' Settanta e della Biblia latina di Sisto V, e poscia ancor quella di Clemente VIII, e più altre di molto pregio furono il frutto delle grandi idee di Sisto. Domenico Basa fu destinato al regolamento di quella stamperia, nella quale furono allora spesi quarantamila scudi, come afferma il Rocca, che scriveva in Roma a’ tempi dello stesso pontefice (De lì ibi. T'adc. p. f\ 1 \ cd. Rom. 1091). IN è è a stupirne, perciocchè per testimonianza dello stesso scrittore fu ella fin d allora fornita non sol di caratteri greci e latini, ma di ebraici ancora, arabici e serviani, e di carte eccellenti, e di ogni altra cosa necessaria alla perfezion di quell arte, e furono innoltre stipendiati dottissimi uomini, perchè soprautendessero alle edizioni. [p. 321 modifica]primo 3ai AI. Prima elio Sisto V concepisse sì bella idea, un’altra aveane formata e felicemente eseguita il cardinale Ferdinando de’ Medici, cioè quella di aprire una stamperia di caratteri orientali# in cui si venissero pubblicando quei’ libri scritti in quelle lingue medesime che giovar potessero ad istruire i popoli dell’Oriente, e a ricondurli sul sentiero della salute. Copiose notizie di questa stamperia si posson leggere ne’ Ragionamenti del Bianchini intorno a’ Gran Duchi di Toscana (p. 51, ec.), e in una lettera del ch. can Bandini (Novelle lett. 1772, p. i-jijec.), i quali adducono le testimonianze degli scrittori di quei’ tempi. Io ne accennerò solo le più importanti, che basteranno a mostrare quanto f'osser vasti i disegni di quel gran principe. Gregorio XIII, che non pago di profondere immensi tesori a vantaggio ed a gloria della Religion cristiana, procurava ancora di accender negli altri il medesimo zelo, fu il primo ad ispirarne il pensiero al cardinale Ferdinando, e a tal fine il dichiarò protettore dell’Etiopia e de’ due patriarcati d’Alessandria e di Antiochia, affidando a lui in tal modo la salvezza di quelle sterminate provincie. Il cardinale, degno erede de’ suoi maggiori, si accinse tosto all’impresa in tal modo, clic piò 11011 si sarebbe potuto sperare dal più potente sovrano. Nella Siria, nella Persia, nell Etiopia e in varie altre provincie dell’Oriente mandò esperti ed eruditi viaggiatori, e tra essi singolarmente i due fratelli Giovambattista e Girolamo Vecchietti fiorentini, e di essi e di più altri si valse a raccogliere c a trasportare a TutÀBoscui, Voi X. 21 [p. 322 modifica]322 LIBRO Koma non pen ili codici clic doveausi poscia stampare. Quindi fatti fondere con grandissima spesa i caratteri di quelle lingue, ebraici, siriaci, arabici, etiopici, armeni e più altri, e raccolta in sua casa una scelta adunanza di dottissimi uomini, fra’ quali alcuni ve n’ avea venuti dall’Oriente, commise la direzione di sì grande impresa a Giambattista Raimondi, uomo in quelle lingue dottissimo. La Gramatica arabica e la caldaica, e alcune opere di Avicenna e di Euclide nella prima di dette lingue furono i primi saggi che si esposero alla pubblica luce. Seguirono appresso i Vangeli nella lingua medesima, e poscia ancora colla versione latina, dei’ quali soli per testimonianza del Raimondi furono stampate tre mila copie, affinchè si potessero spargere in ogni parte dell’Oriente. Avea innoltre il Raimondi formato il disegno di stampare la Sacra Biblia in sei delle principali lingue dell’Oriente, cioè nella siriaca, nell arabica, nella persiana, nella etiopica, nella coptica e nell’ armenica, sicchè queste unite a testi e alle versioni latine, greche, ebraiche e caldaiche, che già si avevano, formassero dieci lingue, aggiuntivi ancora i Dizionarii e le Grammatiche di ciascheduna. Il Possevino ci ha dato il catalogo de’ libri che fino all’anno 1603 erano da quella stamperia usciti (Bill, sclccto, /. 9, c. 5), e il Labbè quello assai più copioso di tutti gli altri che doveansi pubblicare (Bibl. nova MSS. p. 250, ec.). La morte di Gregorio XIII accaduta nel 1585, e il succedere che fece due anni appresso il cardinale Ferdinando al gran duca Francesco suo fratello, fece in gran parte cadere a terra [p. 323 modifica]PRIMO 323 sì gloriosi disegni. Ciò non ostante si proseguì ancor per più anni a pubblicar altri libri cogli stessi caratteri, avendone il nuovo gran duca conceduto l'uso a’ pontefici Clemente VIII e Paolo V, e poscia ancora alla Congregazione de Propaganda Fide istituita da Gregorio XV. In fatti ne’ libri di lingue orientali stampati in Roma sul cominciar del secolo XVII si legge Ex Typographia Medicea linguarum externarum. Ma poscia furono que’ caratteri trasportati a Firenze, ove nella guardaroba del Palazzo vecchio si conservan tuttora. Di tutto ciò ch'io ho fin qui brevemente accennato, si veggan le pruove presso i due mentovati scrittori. XII. Tante e sì celebri stamperie erette in ogni parte d’Italia come agevolaron non poco col moltiplicar le copie de buoni libri il coltivamento delle belle arti, così renderon più facile non solo a’ sovrani, ma a molti privati ancora il formar numerose biblioteche, e l’accrescer quelle che già si eran raccolte. Tra esse la Vaticana per opera singolarmente di Sisto IV, che aveala e magnificamente rifabbricata e a vantaggio pubblico aperta, era al principio di questo secolo la più famosa. Il maggior pregio di essa però erano i codici a penna, de quali più che de’ libri stampati erano andati in traccia coloro che ne aveano avuta la direzione; sì perchè essendo tanto maggiore il lor prezzo, non poteano i privati sì facilmente farne l’acquisto, sì perchè i codici stessi erano di gran vantaggio alla stampa e per le nuove opere che per essa veniansi pubblicando, e pe’ lumi che da essi traevansi per correggere e migliorar [p. 324 modifica]324 Limo r edizioni. Per questa ragion medesima continuarono i romani pontefici che venner dopo, a far principalmente ricerche dai' codici manoscritti. Di Giulio II non abbiamo memoria alcuna che cel dimostri sollecito nell aumentare quella biblioteca; e solo leggiamo nella Vita del Bembo, che fin dalla Dacia gli fu inviato un antichissimo libro scritto in cifre, cioè con caratteri abbreviati, i quali dal Bembo stesso furono spiegati felicemente. Ma ei però non dee qui passarsi sotto silenzio; perciocchè a più comodo uso de' pontefici stessi un altra biblioteca fu da esso formata, non tanto pel numero, quanto per la scelta de libri pregevole assai, e per gli ornamenti di pitture e di marmi che le aggiunse. A una lettera del cardinale Bembo siam debitori di questa notizia; perciocchè egli scrivendo allo stesso pontefice a' 20 di gennaio del 1513, così gli dice: Eam tu curam et ilili genti ani cornili aemulatus: ad Ulani e gre già ni Bibliotìiccam laticanam ab iis, qui fuerunt ante te, Pontijicibus nuiximis comparatavi, addi s, ailjungisijue alterarli, non illam quidem librorum numero, sed tum eorum, quibus est referta, probitate atque praestantia, tum loci commoditate amoenitateque propter elegantiam marmorum et picturarum, speculasque belli ss imas, quas habet, ad usum Pontificum multo etiam amabiliorem (Epist famil. l. 5, ep. 8). Di questa nuova biblioteca io non trovo altra menzione. La Vaticana frattanto ebbe in Leon X, successore di Giulio, un pontefice tutto rivolto ad accrescerla e farla sempre mgliore. Abbiam già mostrato quanto egli si adoperasse, e quanti [p. 325 modifica]PRIMO 3a5 tesori profondesse per inviare nelle più lontane provincie uomini dotti a raccogliere nuovi codici; nè è a stupire che sotto di lui fosser si grandi gli aumenti di quella biblioteca. Fausto Sabeo, che a’ tempi di Leone e di sei altri pontefici ne fu custode, in un suo epigramma indirizzato allo stesso pontefice all’ernia di essere stato da lui mandato fra barbare e lontane nazioni, affin di raccogliete nuovi codici: Ipse tuli pro te discrimina, damna, labores, Et varios casus barbarie in media, Carcere ut eriperem, et vinclis et funere libros, Qui te conspicerent et patriam reduce«. l'.pìgrarimi. p. 402., ed. rom. 1556. La magnificenza e lo splendore di questo pontefice avrebbe sollevata la Vaticana a fama molto maggiore, se o più lungo tempo ei fosse vissuto, o avesse avuti per successori pontefici a lui somiglianti. Ma Adriano VI rimirava come gentilesche profanità tutti i libri non sacri; e Clemente VII, benchè fosse pontefice di animo grande, visse a tempi troppo infelici, e avviluppatosi nelle guerre de’ principi, espose Roma all orribile sacco del 1527, che alla biblioteca medesima fu sommamente fatale, poichè molti libri divenner preda dell ignoranza e del furore de barbari saccheggiatori, come pruova lo Schelhornio colla testimonianza del Reisnero che ne fu testimonio (Amoenit litter. t. 7, p. 120). Una elegia del suddetto Sabeo, in cui introduce la medesima Biblioteca che mostra a Clemente l’infelice stato a cui è condotta, cela rappresenta nel più compassionevole aspetto, c ci [p. 326 modifica]3aG LIBRO mostra insieme che il pontefice costretto allora a pensare a tutt’altro, non curavasi punto di essa: Dicere non possum, qnod sim tua, visere quam non Hactenus ipse velis, Septime, nec pateris. Hinc gemo et illacrymor, quod sim tibi vilior elga, Sordidior coeno, Thesiphone horridior. Hac ratione tuum petii ipsa coacta tribunal, Quamvis erubeam tam misera et lacera, ec. ib. p. 846. I AITI. Paolo III. che con più saggio consiglio tenendosi neutrale nelle guerre de principi, amò sopra ogni cosa il titolo e la lode di padre comune, potè riparare almeno in gran parte i danni che le precedenti guerre avean recato a Roma. Quindi anche la biblioteca Vaticana cominciò in certo modo a risorgere sotto questo pontefice, il quale fra le altre cose le aggiunse due scrittori, un greco, l altro latino, de’ quali fosse pensiero non solo il custodire i codici, ma il copiare ancor quelli che per vecchiezza o per danni sofferti cominciassero a consumarsi (V. praef. ad vol. 1 Catal. Codd. mss. orient Bibl. vatic, p. 22). Grandi vantaggi potea questa biblioteca sperare da Marcello II, s’egli avesse avuto più lungo pontificato. E ne pochi giorni che il tenne, rivolse tosto ad essa il pensiero, aggiugnendole due revisori o correttori de’ libri, de’ quali poi ei volea valersi, quando avesse eseguito il disegno che avea formato di aprire nella biblioteca medesima una stamperia greca e latina, per dare in luce le opere inedite ivi serbate (Rocca de Bibl. Vatic. p. 56; Pollidori, Vita Marceli li, p. 126). [p. 327 modifica]i pnt.no 3'jj Due con el ton de' libri greci vi furon posti da Pio IV (rt), il quale innoltre ordinò con sue lettere a Onofrio Panvinio e a Francesco Avanzati che diligentemente andassero in cerca di codici di ogni sorta di Lingue, comprese ancor le orientali, per accrescerne la Vaticana (Rainald. Ann. eccl, ad an. i5(34). Non men solleciti in aumentarla furono e S. Pio V e Gregorio XIII, il primo de quali fece trasportar da Avignone 158 volumi di Lettere e di Bolle de’ Papi, che ivi erano sin allor rimasti, il secondo di molti suoi libri, parte manoscritti, parte stampati, le fece dono praef. ad vol. 1 Catal. l. c.). Ma tutto ciò parve ancor troppo poco al pontef Sisto V, che fra le opere di prodigiosa magnificenza da lui intraprese nel breve suo pontificato di soli sei anni (*) volle ancora che fosse tutta di nuovo rifabbricata, e con disegno assai più maestoso, la biblioteca Vaticana; e ne commise la cura al celebre architetto il cav Domenico Fontana, il quale, secondando le premure e la magnificenza di Sisto, in un anno solo le diè compimento. La descrizione «.IL questo grande edificio e degli ornamenti ricchissimi d’ogni maniera che vi sono aggiunti, e dclfordine con cui gli scafali e i libri sono disposti, si può vedere ne Ragionamenti della Libreria Vaticana (a) Non due, ma un solo fu il corretto!’ greco da Pio IV posto nella biblioteca Vaticana, e il breve con cui egli nel iHGv, istituì questo ufficio e ubiditilo a Matteo Vari chcrico di Coriù, è stato pubblicato daif abate Marini (Archi atr. pontif. t. i, p. 3ò >). (*) 11 pontiiìrato di Sisto V non fu di sei anni compiti, ma oltrepassò il quinto di pochi mesi. [p. 328 modifica]3a8 libro di Manuzio Pausa stampati nel i5j)o, e nell’opera già citata del Rocca, che venne in luce l’anno seguente, e nella prefazione al primo tomo del Catalogo de’ Codici orientali della biblioteca medesima pubblicato dagli Assemani. Questi scrittori medesimi ci hanno ivi data la serie de’ bibliotecarii e de' custodi di essa, e l’una e l'altra ci fa vedere quanto fosser solleciti i papi d’affìdarne la cura a dottissimi uomini. Tra’ primi dopo Giuliano da Volterra, da noi nominato altrove, troviamo eletto bibliotecario da Giulio II a' 17 di luglio del 1510 Tommaso Fedro Inghirami, e dopo la morte di lui avvenuta a' 5 di settembre del 1516 Filippo Beroaldo il giovane da Leon X. Due anni soli sopravvisse Filippo; e a lui fu surrogato nel settembre dcl 1518 Zenobio Acciaiuoli domenicano che finì di vivere ai’ 27 di luglio dell anno seguente. Girolamo Aleandro gli succedette nel giorno stesso, e durò in quella carica fino al 1538, in cui l Aleandro, fatto cardinale, depose l’impiego fin allor sostenuto, che fu conferito ad Agostino Steuco della Congregazione de’ Canonici regolari di S. Salvadore. Poichè egli finì di vivere nel 1548, Paolo III volle che in avvenire la carica di bibliotecario della Romana Chiesa fosse secondo l’antico costume propria di un cardinale; e il primo che ad essa prescelse, fu Marcello Cervini, a cui poi successivamente vennero appresso i cardinali Roberto de’ Nobili, Alfonso Caraffa, Marcantonio Amulio, Guglielmo Sirleto, Antonio Caraffa, Marcantonio Colonna e Cesare Baronio, della maggior parte de’ quali dovrem fare in questa Storia [p. 329 modifica]PRiMO j2() menzione* Tra i custodi, per tacere d’alcuni altri men celebri, troviamo singolarmente Lorenzo Parmenio da S. Genesio, che fu in quell’impiego dal 1511 fino al 1522 che fu l’ultimo di sua vita (*), e Fausto Sabeo nato in Chiari nel territorio di Brescia, che, nominato custode da Leon X, visse fino al 1559. Di lui, come si è accennato, abbiamo alle stampe cinque libri di Epigrammi, nei quali ei si scuopre non troppo colto poeta. Ma convien dire ch egli avesse assai favorevole opinione di se medesimo, perchè scrivendo in essi a tutti i pontefici a’ cui tempi egli visse, di tutti si duole perchè non si vede abbastanza ricompensato. Di lui ha parlato più a lungo il cardinale Querini (Specimen Litterat. brix. pars 2, p. 167, ec.). XIV. A qual vicende fosse soggetta la ricchissima biblioteca raccolta da Cosimo, da Pietro e da Lorenzo de’ Medici, si è già da noi veduto nel tomo precedente. Gli avanzi di essa erano al principio di questo secolo in Roma, ove il cardinale Giovanni de’ Medici, che fu poi Leone X, comperatigli da’ Religiosi di S. Marco di Firenze pel valore di 2652 ducali, (*) Non l’anno 159.2, ma il i5aq fu l’ulti in Q della vita di Lorenzo Parmenio, come ei mostrano le notizie che ce ne ha date il eh. sig. canonico Rondini nel riferire un poemetto inedito di questo scrittore, che ha per titolo De dadi bus per Gallos Italiae alla lis et de triumpho Julii Sccundi Pont. Max., il qual conservasi nella Laurenziana. Alcune altre poesie se ne leggono nelle Raccolte de’ Poeli latini, e un opuscolo De Operi bus et rei il'; gestis Julii 11 Pont. Max. ne è di fresco venuto alla luce (Anecd. rom. t. 3, p. 299). [p. 330 modifica]33o LIBRO gli avea fatti trasportare nel 1508 (V. Band. praef. ad voi. i Calai. MSS. graec. Bibl Laur. p. 13). Clemente VII, prima ancora di esser pontefice, li rimandò a Firenze, e ordinò all'immortal Buonarroti che presso la basilica di S. Lorenzo innalzasse un vasto e maestoso edifizio, ov essi fosser riposti, e a mantenere e ad accrescere la biblioteca medesima assegnò rendite stabili. La fabbrica cominciata per ordine di Clemente, e col disegno del Buonarroti, fu poi condotta a fine colla direzione di Giorgio Vasari dal gran duca Cosimo I l’an 1571. Nè fu pago questo gran principe di assegnare a sì pregevoli codici stanza degna di loro. Ne accrebbe ancora il numero a dismisura, comperandoli a gran prezzo, e facendogli venire anche da’ più lontani paesi. Della regia magnificenza in ciò usata da Cosimo si parla a lungo e ne’ più volte citati Ragionamenti intorno a’ Gran Duchi del sig. Giuseppe Bianchini, e nelle prefazioni premesse così al Catalogo de’ Codici orientali di quella biblioteca compilato del can Piscioni, come a quello de’ Codici greci del can Bandini, ove se ne producono i più accertati monumenti *, e quest’ ultimo scrittore ci ha ancor data la descrizione della biblioteca medesima, ponendola in diversi rami sotto l’ occhio de’ reggitori. Alle pruove e a" documenti che ad essi s’arrecano, io aggiugnierò solo la testimonianza di Pier Vettori che fino dal 1547 scrivendo allo stesso Cosimo, rammenta la fabbrica che allor si andava innalzando, e il gran numero di libri che da ogni parte quel gran principe raccoglieva: [p. 331 modifica]PRIMO 33I ,4 Clemente Tril Pont. Max. magni/ice inceptam h'ibliothecam, inchoatam tamen, imperfectamque relictam absolvis, ac magnis sumptibus aedificas, nec ornarnentis tantum ipsjus pompaeque indui gè s, veruni etiam illam sedulo supples accurata librorum conquisitione, con**erisquc illue omnes, qui ad te amatorem summum ipsorum ab iis. qui tibi gratificari cupiunt, deferuntur (Epist. p. 24 Il che pure egli ripete in un’altra del 1568, scritta al cardinale Ferdinando, in cui esalta la sollecitudine e la premura di Cosimo nel radunar da ogni parte i più pregevoli libri, e nel condurre al suo termine la stessa biblioteca (ib. p. 158). Ma la maggior lode di Cosimo si è l’ ottimo uso ch ei fece de’ suoi libri medesimi, permettendo agli eruditi il valersene per confrontare e correggere l edizioni degli antichi scrittori, e animandogli a dare in luce quelle opere inedite che ivi stavan nascoste, c che potean giovare alle scienze; fra le quali dee nominarsi singolarmente l’edizione delle Pandette fatta per comando di Cosimo da Lelio Torelli nel famoso codice di esse già trasportato da Pisa. I due figliuoli e successori di Cosimo, Francesco e Ferdinando, seguiron gli esempii del padre, e di molti altri codici accrebbero la Laurenziana, che per tal modo giunse presto a tal fama, che fu considerata, in ciò che appartiene a’ codici manoscritti, come una delle più illustri d’ Europa. E ne è pruova il Catalogo de’ detti codici, di cui oltre quello degli orientali datoci dal can Biscioni, abbiam già avuti tre tomi de’ greci, e tre de’ latini con molta fatica e con [p. 332 modifica]33a rumo uguale erudì/.ione distesi dal can Bandini, da cui speriamo di avere in breve il compimento di questa grand’ opera.che alla famiglia de’ Medici, e per essa a Firenze e a tutta l’Italia sarà un eterno monumento di gloria (a), u XV. La biblioteca Estense in Ferrara dal marchese Leonello e da’ duchi Borso ed Ercole I era stata accresciuta di moltissimi ed assai pregevoli codici, come si è a suo luogo mostrato. Di Alfonso le di Ercole II, benchè la protezione di cui onoraron le scienze, non ci lasci dubitare che anche in questa parte ne dessero chiare pruove, non mi è però avvenuto di ritrovarne special menzione negli scrittori di que tempi. Al duca Alfonso II era riserbata la gloria di emulare la magnificenza di Sisto V e di Cosimo I, anzi di stenderla ancor più oltre ch’essi non avessero fatto. Essi aveano principalmente rivolte le lor premure a far acquisto di codici manoscritti. Alfonso non solo di essi andò in traccia, ma comandò che senza riguardo a spesa si comperassero quanti libri erano usciti alla luce dopo l invenzion della stampa. Questo sì vasto disegno fu da lui formato nel primo anno del suo governo, cioè nel 1559, e pochi mesi appresso in gran parte era già stato eseguito; anzi allora pensava Alfonso di aprire ancora in Ferrara una magnifica stamperia sull’ esempio di altri principi, affine di dar per essa alla luce quelle opere inedite che si credessero dover recar giovamento (a) Il canonico Ramimi lia compila questa grand' o pera con altri due tomi. [p. 333 modifica]piu no 333 lettere. Di questa notizia, sfuggita finora, per quanto a me sembra, a tutti gli scrittori di tale argomento, io son debitore agli Annali degli Estensi, opera inedita di Girolamo Faletti, che si conserva in questa biblioteca. Era l’ autore da Ferrara passato a Venezia ambasciatore del duca, e di là indirizzandogli i primi sei libri de’ detti Annali, che giungono fino al 1300 (nè io credo ch'ei si stendesse più oltre), dopo altre lodi di Alfonso, rammenta ancor questa, e il passo è troppo interessante, perchè io non debba qui recarlo nel suo originale latino: Quae cum sint ipsa per sè maxima valde tamen illustrantur egregio illo planeque divino, quod superioribus mensibus iniisti comparandae bibliothecae consilio, ut omnes omnium disciplinarum libros non modo scriptos, sed quoscumque per annos CXIII idest post inventam typographiam editos ubique existimamus, in unum qualibet impensa coactas, diligenier asse/vandos cu rares egregie... atque hoc a te primo imperii tui anno et cogitatum simul, et magna etiam ex parte confectum est. Itaque nunc habet, habebitque quotidie magis Ferraria tua Bibliothecam Estensem, in qua, si quis ve Ut, ut in amplissimo tfteatro, viri ut es omnes spedare possi t. Non enim tardarti libro rum omnium linguarum et doctrinarum copiam aut a magnis illis Regibus Philadelpho Alexandriae, Eumene Pergami, aut ab A si nio Politone Romae collectam esse crediderim, quantam tu diti gente r ubique conquiri et emi vel infinito sumptu jussisti. Quid? quod etiam de tj pographia, qua se rip ti [p. 334 modifica]334 irono libri sludiosis omnibus communicentur, Ferrariae statuenda, cogitationem suscepisli? Sii questo secondo disegno del duca Alfonso fosse condotto ad effetto, non ne trovo memoria. Ma il primo solo basta a renderne il nome immortale <*)• E «e ad Alfonso fosse toccato in (*) Rei monumenti intorno alla regia magnificenza del duca Alfonso II nel raccogliere libri e antichità, e nell’ introdurre una bella stamperia in Ferrara, mi ha somministrato questo ducale archivio. Fin dal 1556, mentre egli era ancor principe ereditario, e trovavasi in Francia, formò il pensiero di adunare una copiosa raccolta di libri, e a 18 di luglio scrisse di colà al Pigna suo segretario la seguente lettera: Magn. M, Gio. Battista mio Ch. Perchè io disegno di drizzar costì qualche bella Libreria, desidero, che mi mandiate al ritorno che farà in qua Monsig. Alvarotto, una nota di tutti i libri, che vi parrebbe, che ci si havessero a metter tanto della volgar nostra, quanto della Latina, et altri che parrà a Voi, che sii bisogno, perchè ne farei condur una gran parte di qua. Et perchè so, quanto questa cosa habbia da piacervi, non ve ne dirò altro, se non che pregherò il Sig. Dio, che vi contenti. Dalla Badia di Suales il 18 di Giulio del LVI. Alli piaceri vostri il Principe di Ferrara Alfonso da Este. Di ciò poi, ch’egli fece essendo già duca, ci fanno testimonianza due lettere a lui scritte dal celebre Girolamo Faletti suo ambasciadore a Venezia. Nella prima, ch è de: 23 di novembre dell’anno i5Go, cosi gli scrive: Circa lo Stampatore per mandare costì, vado ritenuto assai, che non vorrei inviarle., chi presto avesse a fallire, o in breve s’havesse a levarsene, ma sì bene chi avesse a perpetuare lungamente, et fosse anco con menor gravezza dell Eccellenza Vostra fosse possibile, perciocchè il Giolito, et altri si sono offerti venire a levare una bella stamperia costà; ma con quelle condizioni, che l hanno levata in Firenze, havendo da [p. 335 modifica]PRIMO 335 sorte d’ aver successori che conservando pacificamente f come fecero i Medici, l’antico loro dominio, avc.sser potuto seguirne le tracce e quella Eccellenza trecento scudi l anno, per l Eccellenza V. i.stimerei dannosa: tengo bene convenevole pratica con duo, et spero l’oliarne uno a voglia mia, che le sarà al fermo di soddisfazione. L Aristotile correttissimo tengo nelle mani, havuto con fede di non lo mostrare a persona che sia; ma perchè il farlo trascrivere sarebbe cosa longa et di soverchia spesa, ho risoluto di comprare un Aristotile di questi del Manuzio, salvo se l Eccellenza V. non mi rimettesse quello, che già le ho mandato e farlo incontrare et correggere secondo questo, nel che vi anderà per un poco di tempo; ma ritrovandosi già in mano mia, ella è sicura di haverlo. Quello, cui è questo Aristotile, si ritrova havere molti de’ libri, che forono del Re Matthia, scritti a mano, così Greci come Latini, dal quale poichè per prezzo non si possono havere, essendo questo d’avvantaggio ricco et potente, vedrò nondimeno col tempo et con la destrezza cavarne a poco a poco il meglio, et rendasi V Eccellenza E. sicura, che non passerà molto, che ne sarò possessore, con comodo di poterne fare trascrivere la miglior parte. Per ora le mando una Cassa di altri libri Greci et Latini » secondo ella vedrà per Pinchiusa nota. Che essendo quanto le posso dire, non vi essendo cosa di nuovo da parte alcuna degna di lei, resto con ogni umiltà pregando la solita felicità a S. Eccellentissima Persona. Di V. Eccellenza Humiliss. et Obbedientiss. Serv. Girolamo Faletti. Nota dei Libri Greci a mano che sono nella Cassa. Cathena super Trinitate. Nilas super 'Eri ni tate. Anastasius de Vita Christiana. Eusebius in Cantica. Andreas super Apocal. [p. 336 modifica]336 LIBRO gli esempi, la biblioteca Estense sarebbe forse anche ne1 tempi addietro andata del pari colle più grandi d1 Europa. Ma lo smembramento del loro Stalo ^ accaduto dopo la morte il1 Alfonso ^ lor noi permise} anzi il trasporto «.iella biblioteca medesima ila Ferrara a Modena dovette esserle di gravissimo danno} perciocché non può a meno clic fra la confusione e il tumulto di tai trasporli, la negligenza d’ alcuni e la mala fede o l'ingordigia di altri non cagioni l’irreparabil perdita di molti e de1 più pregevoli libri. Michaellis Pselli Epistola. Michaellis Pu lii Dio pira. Michaellis Glicae Historia. Jo. Chrisostomi Homeliae. Proclus in Alcib. Platonis. Egli è verisimile che il possessore de’ libri del re Mattia divenisse poi più pieghevole, e che vendesse al duca que’ codici, i quali distinti ancora coll’arme di quel sovrano si trovano in questa ducal biblioteca, come altrove ho avvertito, benchè allora io credessi che più antico fosse l’acquisto di essi fatto da’duchi di Ferrara. Nell i seconda, ch è de’ 2 di giugno del 1561, Mando, gli scrive, in mano del Sig. Pigna un Volume del Ramondo, et uno de libri Greci accoppiati da quello del Gadaldino, il quale non ha più, et volendo ch’io facci trascrivere alcuni, che sono nella Libreria di S Marco, si degnerà avvisarmelo, et similmente se vuole le faccia scrivere altro più in materia di Ramo rido i Il Globo del cardinale Bembo ho comperato per XV scudi, che tanto vale il metallo, che v’è attorno, et l ho dato a miniare con animo di farlo uscire il più bello C habbi Principe al mondo, ne costerà in tutto scudi 25. Che sarà il fine della presente dopo essermi raccomandato nella sua liberalissima grazia. Di vostra Eccellenza Humiliss. Obbedientis. Serv. Girolamo Paletti. [p. 337 modifica]r PRIMO 33^ XVI. Di queste tre biblioteche ragion voleva che si parlasse più stesamente, pe’ tanti e si bei monumenti che ce ne sono rimasti. In più altre città al tempo medesimo per opera de lor principi, e de’ lor magistrati si vider formarsi altre ragguardevoli biblioteche. Quella di cui il cardinale Bessarione avea fatto dono alla Repubblica veneta, che finora non avea avuta sede stabile e certa, ebbela finalmente per decreto di quel senato Tanno 1515, con cui si ordinò ch’ella fosse fabbricata presso la basilica di S. Marco. Le guerre nelle quali trovossi involta quella Repubblica, furon probabilmente cagione che l esecuzion del decreto si differisse fino al quando il celebre architetto Jacopo Sanso vino innalzò a tal fine il magnifico edifizio che ancor al presente si vede. La descrizione di esso, e degli ornamenti che lo abbelliscono, gli aumenti della biblioteca medesima, il giovamento che da’ codici di essa si è tratto per molte edizioni, la serie de’ bibliotecarii, tra’ quali veggiamo il Sabellico, Andrea Navagero, il Bembo, Benedetto Ramberti, Giovanni Dempstero, Bernardino Loredano e più altri dottissimi uomini, e molte altre notizie appartenenti alla biblioteca medesima si posson vedere nella Dissertazione della Libreria di S. Marco del sig. d Jacopo Morelli, stampata in Venezia nel 1774 in cui con molta esattezza ed erudizione non ordinaria ha rischiarato questo argomento. Emanuel Filiberto duca di Savoia, come in ogni altra cosa, così in questa ancora diede a conoscere la grandezza delle sue idee e la nobiltà del suo animo. Girolamo Campeggio TiRÀiioscm, Voi X. 22 [p. 338 modifica]338 LIBRO dedicando a lui nel 1572 le Rime di Faustino Tasso, e annoverando le ragioni per le quali si fa coraggio ad offrirgliele, La seconda ^ dice, è per la grandissima affezione, che V. A. dimostra alle Lettere et a ver tuo si, H che ne dà buonissimo assaggio al mondo con tre cose particolari, che si veggio no chiaramente. La prima è il vedere, con (quanta diligenza cerchi di adornar non solo la sua magnifica Città di Turino, ma tutto il suo Stato d uomini vertuosi in tutte le facoltà da diverse parti del mondo. La seconda lo fa chiaro al mondo di tal nome il felice principio, che ha dato a far quella di gaissima impresa del teatro, nel quale in poco spazio d hore si potrà vedere tutto quello, che sarà stato fatto nel mondo dopo, che egli ebbe principio, in tutte le cose, e con tal magistero, che ne resteranno in istu- J pore quelli, che verranno dopo di noi. La terza > c r haver con tanta sua reputazione condotto ® qui nella sua mag. Città quella stampa, che fra le Italiane n ha poche, o nessuna, che gli ponghi il piede avanti. Di questo magnifico edificio che era insieme biblioteca e galleria di antichità, e di cose naturali, e di monumenti delle belle arti, parla ancor brevemente il Pingonio (Augusta Taurin. p. 88, 131, 132). Il Palladio, che fece pel quel sovrano il disegno del palazzo ducal di Torino, è probabile che disegnasse ancor quella gran fabbrica che dicevasi or teatro, ora specola, ora biblioteca (a). {(i) L’architi*Ho di «jucslo grande edificio non fu Palladio, ma Lodovico dc: Mulini aixliiutro di quel duca* [p. 339 modifica]huimo 33y ¡Sitino ce ne liu data più giusta idea di Aquilino Coppini, professor di eloquenza in Pavia, in due sue lettere scritte da Torino nel 1609, nella prima delle quali, A Castro, dice, (Epist. l 1, p. 11, ed. mediol. 1613), per Pomoerium Boream versus cxcurrit Xjrstus si ve Specula centum et octoginta passus longa. Cum enim me Carlus Ravana Ducius Bibliothecarius eo duxisser, volui ambulando di me tiri omnium pulcherrimum locorum, in quo Astrologica istrumenta pretiosissima, et innumerabiles Codices cum impressi tum manuscripti nuceis inclusi scriniis custodiuntur. Haec auro micantia, amplis interjecra fenestris, per quas in urbem et hortos, prataque Pado adjacenlia, ut que in fcrtiles, qui trans)flumen suaviter attolluntur, colles, prospectus patet Imagines Heroum et Heroinarum Sabaudae domus cui vivimi cxprcssae coloribus, signa perantiqua militari/im doctornmque homitiiun auraùs iniposita basibus, astrorum omnium in suas sedes distributorum pictura, qua pretiosum lacunar fulget, spectantium oculos mentesque insatiabili pascunt voluptate. Quicumque Taurinum veniunt ex finitimis remotisque provinciis, magnum se beneficium accipere arbitrantur, si videndi hujusce loci facultatem impetrent. Nell’altra ancor più chiaramente descrive la regia magnificenza di quella biblioteca (ib. p. 38): Verum hoc te fortasse magis afficiet, si dixero, hodie me in Speculata c pare anche eli" ci ne pubblicasse allora la descrizione, come si è osservalo iu questo Giorual modenese (l. 3i), p. 212). [p. 340 modifica]34o LIBRO et Bibliotfiecam Ducis esse ingrcssum; (pieni forum. Deus Immortalisi quam magnificumi quam regi um! quanta libro rum copia loca pie. taluni, qua pie tura, quibus signi s decoratimi! Quidquid excelluit inter doctos, quidquid inter pictores et statuarios, id omne uno illo loco videtur esse conclusum. Hoc Lyceum fornicata contignatione subnixum admirabili prorsus est structura, ut vcl ausi in affirmare, nullum ejusmodi aedi/ir inni in loto orbe cum hoc esse conferendum. Jn longitiuìinem e.vcurrit passus centum et nonaginta; tegunt pañetes scrinili nueea in Iriplicem contigli a tionem divisa améis ilis fineta segmentis. In iis Codices tum manuscripti tum impressi, et pretiosa matheniaticorum instrumcntorum s upelle jc. Sigua plurima vi deas pcrantiqua e marmore et auratas bases, ec. Questi due passi ho io qui voluti riportar per disteso, perchè non sono stati, ch'io sappia, avvertiti sinora da alcuno, e pochissimo di questa biblioteca ci dicono gli scrittori; e innanzi al! Catalogo de' MSS. di quella reale università nulla si narra dell’ origine e de’ progressi di essa (a). Delia biblioteca d’Urbino non abbinili che scarse memorie, benché il favore (a) Primi del Ravenna era stato bibliotecario insieme e matematico di Carlo Emanuele I Bartolommeo Cristiani, ch era anche stato scrittore e lettore di Emanuel Filiberto, e fu poi anche precettore di Vittorio Amadeo I e de’ principi suoi fratelli. Di questo uomo assai dotto pe’ suoi tempi negli studi della matematica e della filosofia, e morto poco dopo il 1605, ci ha date esatte > notizie il ch. sig. baron Vernazza di Freney stampate in Torino nel 1783, ove ancora ci dà il catalogo delle opere da lui composte. [p. 341 modifica]PRIMO 34l in cui furono a quella corte in ogni tempo le scienze, ci renda probabile che que' duchi andasser sempre aumentandola di nuovi codici e di pregevoli libri. L ultimo di essi, veggendo la sua famiglia vicina ad estinguersi, fece dono di quella famosa biblioteca alla stessa città d'Urbino, assegnando ancora un’annua pensione al mantenimento di un bibliotecario Cimarelli, Stor, d Urb. p. 127). Intorno a’ Gonzaghi io non ho veduto autor di que’ tempi che parli di biblioteca ch’ essi avessero nella lor corte. Ma non è probabile che principi sì liberali verso le scienze ne fosser privi; e la proferta fatta al cardinale Ercole di una ricca biblioteca, che doveva essere trasportata fuori d’Italia, come altrove si è dello, ei fu vedere che quella corte era amante di tai tesori. XV II. Tra’ privati medesimi furon moltissimi in questo secolo quelli che raccolsero nelle lor case copiose biblioteche, e alcuni di essi con tal corredo e con tal pompa di libri, che sembrarono gareggiare co’ più potenti sovrani; avvenendo in ciò ancora ciò che in più altre cose veggiam sovente accadere, cioè, che l’esempio degli uni sia stimolo agli altri, e che i secondi non sian paghi d’imitare soltanto, ma vogliano ancora andare innanzi ai primi; e che abbiano in ciò talvolta riguardo più all insaziabile avidità letteraria, e forse anche a una vana ambizione, che alle proprie lor forze. A me non è possibile l andar qui ricercando di tutti coloro che potrebbono a questo luogo essere rammentati. Di alcuni soli, come per saggio, farò menzione, lasciando in disparte, per non allungarmi [p. 342 modifica]« 34 2 LIBRO troppo oltre, più altri che forse ne sarebbon degni ugualmente. Di quella che avea raccolta il cardinale Domenico (Grimani, dottissimo uomo e splendidissimo mecenate de’ dotti, parla tra gli altri Erasmo in una lettera a lui scritta da Londra nel 1515, in cui gli chiede scusa se era partito da Roma, senza prender da lui congedo; e ne reca una ragione troppo onorevole a quel gran cardinale, cioè il timore che Erasmo avea di essere dall’eloquenza, dalla dottrina e dalle maniere amabili del Grimani costretto a trattenersi ivi suo malgrado più lungamente. La biblioteca del cardinale da lui ivi è detta ricchissima e copiosa di libri in tutte le lingue (Erasm. KpisLL i, cp. 167). Essa era composta, secondo il Ciaconio (Vit Pontif. et Cardin, in Alex. VI), di ottomila volumi; ed egli morendo nel 1523 ne fece dono alla chiesa di S. Antonio di Castello de’ Canonici regolari di S. Salvadore in Venezia, ov ella fu trasportata e conservata, e dal cardinale Marino Grimani patriarca accresciuta di molte opere, come afferma il celebre Steuco nella dedica a lui fatta de’ suoi Comenti sul Pentateuco: Hoc autem opus tuae sapientiae dedicatur, qui non solum nobis ad hanc rem praeclarum lumen ostendisti, sed et omni Religioni Christianae incredibilem utiUtatem attulisti, cum tu patruusque tuus Dominicus G rimarius, et ipse Cardinalis collectis ex miserabili naufragio pretiosissimis libris, qui toto orbe terrarum dispersi, vel in tenebris delitescebant, vel proximum eorum ab igne vel alio casti impomicimi exit inni, magnaque eorum ex omnibus linguis facta caterva, [p. 343 modifica]PRIMO « 343 praeclamm, et cui forte nulla secunda sit toto orbe Christiano, Bibliothecam in aedibus S. Antonii Venetiis erexistis, in quibus libris sine dubio Religionis nostrae decus et dignitas conservatur. Questa scelta e copiosa biblioteca ivi si conservò fino al secolo XVII, in cui un improvviso incendio del tutto la consumò (Agostini, Scritt. ven. t 1, praef. p. 34)• Scelta parimente e non meno copiosa era la biblioteca del cardinale Sadoleto, prima ancora che fosse innalzato all onor della porpora. Aveala egli lasciata in Roma nel partire che’ei fece per andarsene a Carpentras poco innanzi al crudel sacco del 1527, che fu sì funesto alle lettere: e per rarissima sorte essa non avea in quell’occasione sofferto alcun danno, benchè tutte le altre cose del Sadoleto fosser divenute preda dell ingordigia dei vincitori. Fu essa dunque posta su di una nave che facea vela per Francia, e già era questa giunta a que lidi, quando scopertasi tra’ passeggeri la pestilenza, non si permise loro lo sbarco, e i libri del Sadoleto furono insiem con essi trasportati in lontani paesi, senza ch’ei ne risapesse più nuove: Ita, dice egli, dopo aver raccontato il fatto, asportati sunt in alienas et ignotas terras, exceptisque voluminibus paucis, quae deportavi /necton fine projicisccns, mei reliqui illi tot labores, quos impenderamus Graecis praesertim codicibus conquirendis, et undique colligendis, mei tanti sumptus, meae curae omnes iterum jam ad nihilum reciderunt (Epist. J'amil t. 1, p. 195, ec. ed. Rom.). Più celebre ancor fu quella del Cardinal [p. 344 modifica]I ^44 * LIBRO Pietro Bembo, di cui parla il Beccadelli nella Vita di esso, accennandone fra le altre cose i due antichissimi codici di V irgilio e ili Terenzio, che or sono nella Vaticana, alcuni fogli originali di Francesco Petrarca, i libri di Poesie provenzali e più altri in ogni lingua, sì stampati che manoscritti, da lui con grandissima spesa raccolti (V. Raccolta di'gli S/or. Ven. /. 2, pref. p. 40). Molti altri codici di questa insigne biblioteca rammenta Apostolo Zeno (In notis ad Vit. Bembi, per Jo. Casam, ib. p. 15); il quale aggiugne che molti di essi passarono poscia nella biblioteca d' Urbino, e di là nella Vaticana. Pier Vettori accenna quella del cardinale Niccolò Ridolfi, e la dice ricchissima di antichi libri, da lui con grandi spese e con sommo ardore raccolti (Epist p. 26 >. Ridolfo Pio, nipote del celebre Alberto signor di Carpi, fatto cardinale da Paolo III nel i53(>, onoralo di ragguardevoli cariche, e per le sue virtù e pel suo saper celebrato dagli scrittori di que tempi, e da molti ancora creduto degno di essere sollevato alla cattedra di S. Pietro (V. Epist. Cl. Viror. ed. ven. 1568, p. 137), e morto nel 1564, ebbe egli ancora una assai copiosa biblioteca, di cui fanno menzione e il cardinale Sadoleto in una sua lettera del 1535 (Epist. Famil. t. 2, p. 280 ed. Rom.), e il suddetto Vettori (l. c, p. 39), che da essa ebbe un codice di alcune opere di Clemente Alessandrino. In essa era fra gli altri il famoso codice di Virgilio emendato nel quinto secolo dal console Turcio Bufo Aproniano, che or [p. 345 modifica]PRIMO 345 conservasi nella Laurenziana (a). Lo stesso Alberto zio di Ridolio, di cui altrove diremo più a lungo, avea raccolta gran copia di libri per valersene ne’ suoi studi, ne’ quali occupava tutto quel tempo che da’ pubblici affari ri manca gli libero. La Storia di questa biblioteca ci è stata data di fresco dal dottissimo Cardinal Stefano Rorgia (Anecd. rom. t. 1, p. (»5). Alberto ne fece dono ad Agostino Steuco canonico regolare di S. Salvatore, e Fabio di lui fratello donolla poi in gran parte al Cardinal Marcello Cervini. Questi amantissimo egli ancora de’ libri, avendola di molto accresciuta, lasciolla per testamento al Cardinal Guglielmo Sirleto; e poiché il Sirleto fu morto, compendia pel prezzo di quattordicimila scudi il Cardinal Ascanio Colonna. Quindi, dopo la morte di esso, ne fece acquisto pel prezzo di tredicimila scudi il duca Giannangelo d’Allaemps. (a) La storia delle vicende del codice Virgiliano della Laurenziana è descritta in una lettera dal cardinale Innocenzo del Monte al duca Cosimo, a cui lo cedette, pubblicata dal sig. Galluzzi (Stor. del Gran Ducato di Tosc. l.2. c. 10). Fu prima del cardinale Antonio dal Monte, nelle cui mani non sappiamo come venisse, poscia del pontef Giulio III, e indi del suddetto Cardinal Ridolfo Pio; e quando il cardinale Innocenzo fu chiuso prigione in Castel S. Angelo, il cardinale Ridolfo non curossi di renderglielo; e poichè il cardinale Ridolfo fu morto, il codice fu trasportato alla Vaticana. San l’io V ordinò poscia, che fosse renduto al cardinale Innocenzo, che nel 1568, richiestone dal duca Cosimo, gliel cedette. Veggasi anche il Catalogo de: Codici latini della Laurenziana (t. 2, p. r»8i, ee.). l’er ciò che appartiene alla biblioteca di Alberto Pio, ne ho parlato più a lungo nella Biblioteca modenese (t. \, fi. i(>2b [p. 346 modifica]« XVIII. Ju Ferrara. 340 LIBRO Passò poscia alle mani del cardinale Pietro Ottobuoni, che fu poi Alessandro VIII, e che lasciolla alla sua famiglia; finchè Benedetto XIV essendo ella stata frattanto accresciuta e di molti libri comperati da diversi posseditori e dei’ codici manoscritti della reina Cristina di Svezia, la uni alla Vaticana. Così questa biblioteca ebbe la sorte d aver successivamente padroni che, conoscendone il pregio, la conservarono e l aumentarono con diligenza; il che se di tutte le altre fosse avvenuto, noi non avremmo a dolerci, come tante volte ci convien fare, della trascuratezza dei’ nostri maggiori. XVIIl. L’esempio degli Estensi in Ferrara eccitò molti tra’ cittadini privati a raccogliere a imitazion loro una ragguardevole copia di libri. E tra essi deesi il primo luogo a Celio Calcagnini, singolarmente per l’uso a cui destinolli'!. Egli nel suo testamento, parte del quale si riferisce dal Borsetti (Hist. Gymn. ferr. pars 1, p. 198), fatto a’ 4 di maggio dell’an 1539, lasciò tutti i suoi libri a’ Religiosi dell’Ordine de" Predicatori in Ferrara, e insiem con essi diversi stromenti di matematica, a condizione che si dovesser riporre nella loro biblioteca e servire a pubblico uso, e specialmente della sua nobil famiglia; e ordinò innoltre che ai’ religiosi medesimi si pagassero 50 scudi d’oro in oro pei’ banchi e per gli altri arredi necessarii alla disposizione dei’ libri. Morì il Calcagnini non già nell’an 1546, come affermasi dal Borsetti, ma nel 1541, come prova il Barufaldi (Guarin. Suppl. ad Hist. fcrr. Gjrmn. [p. 347 modifica]PRIMO ¿47 pars 2, p. 36)', e a’ 29 di maggio dell anno stesso, fatto l’ inventario de’ libri, questi furono consegnati a que’ Religiosi. Il Baruffaldi accenna (ib. pars 1, p. 36) questo inventario fatto da Giangirolamo Monferrato alunno del Calcagnini e ferrarese, dice che su ne conservava l’originale presso Alberto della Penna ferrarese, e che passò poscia nella biblioteca del cardinale Imperiali; e aggiugne, che da esso raccogliesi che i codici mss del Calcagnini erano 3584, numero, a vero dire, assai grande, e forse superiore in que’ tempi alle forze d’un uom privato. E veramente un altro inventario, che tuttora conservasi nell’archivio del sig. marchese Francesco Calcagni ni, scritto all’occasione della mentovata consegna, ci mostra che i libri di Celio, parte manoscritti, parte stampati, erano in tutto 1 249; clic soli 1187 furono dati a’ Domenicani, perciocchè 43 rimasero in casa Calcagnini, e gli altri 19 non si ritrovarono. Fu indi fabbricata la bella biblioteca che tuttor vedesi in quel convento, benchè moltissimi dei’ libri di Celio più non si trovino *, e alla fabbrica di essa concorse la magnificenza di molti Nobili ferraresi, le cui armi gentilizie si veggono nelle colonne che sostengono quel vasto edifizio. Sulla porta di esso fu posto il mausoleo del Calcagnini, ove ancora se ne conservano le ossa. Le due iscrizioni che ne adornano l’ esteriore e l’interior porta, si riportano dal Borsetti. Eravi innoltre un busto di marmo rappresentante lo stesso Celio, che or più non si vede, e vi rimane sol l iscrizione intorno alla niccliia: COGLIYrS [p. 348 modifica]348 LIBRO CALCAGNINVS AP. S. PROTON. I V. DOC. ET CANON. FERRARI KN. Di tutte le quali notizie io son debitore al ch. sig. co Gneo Ottavio Boari che gentilmente me l’ha trasmesse. Il Lomejero (De Biblioth. c. 10), e dietro lui tutti quasi gli Oltramontani che trattano delle biblioteche, e gli Enciclopedisti ancora, affermano che questa biblioteca è ancora ornata di statue, di medaglie, di bronzi e di altre antichità di tal sorta raccolte da Pirro Logorio. Ma tali ornamenti nè sono ivi, nè ivi mai sono stati; nè io so onde abbia avuto origine un tal errore. A questa pubblica biblioteca deesi aggiugnere quella de’ Carmelitani nella stessa città di Ferrara, cominciata già, come nel precedente tomo si è detto, nel secolo xv, e poscia in questo accresciuta di molto. e fabbricata di nuovo dal famoso teologo di quell’Ordine Giammaria Verrati. Gran copia di libri ivi parimente raccolse Bartolommeo Ferrini, in lode di cui abbiam l' orazion funebre di Bartolommeo Ricci, che assai n esalta gli studi singolarmente di poesia italiana, e dice innoltre, ch’egli, avuta per testamento la biblioteca di Bonaventura Pistofìlo stato già suo maestro, aveala poi con grandi spese accresciuta, raccogliendo libri da ogni parte colla direzione di Gregorio Giraldi, e facendogli ancor legare con molta eleganza: In Biblioteca autem sibi costituenda, Dii boni, quid non impendit? cui unquam sumptui pepercit, cum liber aliquis nobilis editus esseti! Omnium librariorum indices adibat, quos bono nomine in illis libros offendissct, ad Gregorium Gjraldum [p. 349 modifica]PRIMO 34i) Apolli tieni suum Delphicum referebat; ejus consilio postea aut eos emebat, aut rejiciebat, (¡nani Bibliothecam ca diligenti a (ut elegantissimam librorum conglutinationem omittam) eo studio, eo nitore custodiebat, qua se ipsum, qua os suum faciebat (Ricci Op. t. 1, p. 73, ec.) C). XIX. Di più altre biblioteche troviam menzione negli scrittori di que’tempi, molte delle (quali si son conservate fino a dì nostri. La Riccardiana in Firenze, il Catalogo dei’ cui MSS ci ha dato il celebre dott Lami, fu raccolta verso la fine del secolo da Riccardo Romolo Ricciardi, e accresciuta poscia da’ discendenti, come si può vedere nella prefazione premessa al suddetto Catalogo. Del fondatore di questa biblioteca, che fu insieme grande (*) Benché il passo del Navngero, ohe produrremo nel capo seguente, ci mostri clic fin dalla fine del secolo precedente la biblioteca dell’ università di Paria era stata trasportata in Francia, par'nondimeno che in qualche modo essa ancora vi sussistesse verso il i5ii; perciocché Cesare Cesariano ne’ suoi Conienti su Vitnivio in quell’ anno stampali, parlando de* precetti che dà quello scrittore per fabbricare la biblioteca, dice: La Biblioteca, cioè la Libreria, corno è in Vapìa consti, taira da Galeazio L'icccomilc Duca Mediolanensc celeberrimo (p. 57); e poco appresso insicin con essa indica più altre biblioteche annesse alle più celebri università d'Italia: Aduncha le provincie si dovesseno adottare. (cioè si dovrebbono dotare) tic grandissima Bibliotheca, si corno in Italia sono Papi a, Taurino, Bononia, Ferrara, Padova, Pixa, Perugia, Roma et ¡Scapoli, et altri loci, dove si legeno la pubblica lecitone di varie et universale scientre, siccome in la nostra Metropoli Mcdiolanense. [p. 350 modifica]35o LIBRO raccoglitore di antichità d’ogni geuere, splendido protettore de" dotti, e versato egli ancora ne'buoni studi, ha scritta a lungo la Vita il medesimo Lami (Memorabil. Italor. t. 2,pars 2). Quella che aveano i Gesuiti pel lor collegio romano. divenne presto una delle più rinomate, per le copiose raccolte che vi si unirono, di libri sì stampati che manoscritti di Marcantonio Murero, del P. Francesco Torriano, di Giambattista Coccini decano degli auditori di Ruota, dei padri Giovanni Lorino, Benedetto Giustiniani, Jacopo Lainez, Pietro Passino, de' cardinali Bellarmino e Toledo, e poscia ancor di più altri (V. Lazzeri, pref. ad voi. 1 Misceli. Coll, rom p. 14). La biblioteca degli Agostiniani nella stessa città, detta Angelica dal p Angiolo Rocca che ne fu il fondatore, ebbe origine al principio del secolo susseguente, e a’ que’ tempi riserbiamo il parlare di essa e del dottissimo fondatore della medesima. Quella de’ Canonici regolari di S. Salvadore in Bologna, che e pel numero e per le rarità e la sceltezza de’ codici e per la bellezza ancora dell’edifizio è una delle più ragguardevoli, appartiene al principio del secolo di cui scriviamo, quando il P. Pellegrino Fabbri priore più volte di quella canonica, e poscia generale dell'Ordine, raccolse gran copia di eccellenti libri d’ogni maniera, e fece innalzare la magnifica biblioteca in cui essi si custodiscono. Di essa parla distesamente il dottissimo P. abate. Trombelli (Memorie istor. di S. Maria di Reno, ec., c. od\)t il quale riferisce e le sinistre vicende ch essa ha talvolta sofferte, e gli aumenti clic lian [p. 351 modifica]PRIMO 351 compensati tai danni; ma per effetto della sua usata modestia, non dice che a lui stesso dee moltissimo la suddetta biblioteca e per gli ornamenti ad essa aggiunti, e pe’ molti codici ed altri pregevoli libri di cui Tha arricchita, e pel nome che col suo sapere, colle sue opere e colle sue singolari virtù ha conciliato ad essa, a quella sua canonica e a tutta la sua Religione. Di varie biblioteche che sono in Padova, e singolarmente di quella de’ canonici della cattedrale, formata sin dal secolo precedente dal cardinale Pietro Foscari vescovo di Padova, di quella di s Giustina e di più altre parla a lungo il Tommasini nella sua opera intitolata Bibliothecae Patavinae MSS. In Napoli, fra molte celebri biblioteche, è degna di particolar ricordanza quella di S. Giovanni di Carbonara, a cui fece dono di tutti i suoi libri il cardinale Girolamo Seripando, e insiem con essi di que’ di Antonio suo fratello, e di que’ di Giano Parrasio, che al detto Antonio gli avea lasciati per testamento (Montefauc. Diar. Ital. p. 3 08). XX. Di moltissimi altri privati potrei qui far menzione, che in raccogliere libri superaron la stessa lor condizione. Ma a porre qualche confine a sì vasto argomento, basti il dire di due, de’ quali fu in questo genere più celebre il nome, e che all avidità di far acquisto di libri congiunsero un raro discernimento a conoscerne il valore. Io parlo di Gianvincenzo Pinelli e di Fulvio Orsini che al tempo medesimo, il primo in Padova, il secondo in Roma, passarono ne’ dolci studi tutta la loro vita. Del primo ha scritta diffusamente la Vita Paolo Gualdo nobile [p. 352 modifica]35a LIBRO vicentino ed arciprete della cattedrale di Padova, amicissimo del Pinelli, con cui era lungo tempo vissuto, ed essa si ha tra quelle degli Uomini illustri pubblicate dal Batesio. E tra le Lettere degli Uomini illustri, stampate in Venezia nell'an 1744 ne abbiamo alcune di Giuliano Medici e di Girolamo Mercuriale (p). 424) 468), nelle quali somministrano al Gualdo diverse notizie per compilar questa Vita. Egli fu figlio di Cosimo Pinelli e di Vincenza Ravaschiera, amendue famiglie nobili genovesi; ma nacque in Napoli nel 1535. Ivi dato ad istruir negli studi a Gian Paolo Vernaglione, con tal ardore ad essi si volse, e sì felicemente li coltivò, che non v’ ebbe sorta alcuna di letteratura e di scienza in cui non fosse dottissimo. Le belle lettere, la filosofia, la matematica, la medicina, la musica, la giurisprudenza, le lingue ebraica, greca, latina, francese, spagnuola. italiana furon gli studi de’ quali più si compiacque, e ne’ quali si rendette più illustre. Ed ei non avea ancora che 23 anni di età, quando Bartolommeo Maranta celebre medico gli dedicò nel 1558 il suo Metodo de’ semplici medicamenti. La lettera con cui l’indirizza al Pinelli, è piena di elogi di questo rarissimo giovane, di cui loda altamente e lo studio della medicina e delle altre scienze, e il bell’orto botanico ch’erasi formato in casa, facendo venire da’ più lontani paesi le erbe più singolari. Da Napoli passò poscia a Padova verso la fine dell’anno stesso, e abbiamo una lettera a lui scritta dal Seripando, allora arcivescovo di Salerno e poi cardinale, nella quale si rallegra con lui cbe [p. 353 modifica]primo 353 abbia fissato il suo soggiorno in quella città. ove la compagnia di dottissimi uomini che ivi sono, potrà essergli di gran vantaggio (Lettere di diversi, Ven. 1564, l. 3, p. 63). Nè andaron deluse cotali speranze. Nel 1561, quando il Pinelli non contava che 26 anni di età, il Ruscelli scrivendo a Filippo II, ed esponendogli il bisogno di destinare chi scrivesse la Storia di Carlo V con quella dignità e con quell'eleganza che a sì grande soggetto si conveniva, Fra i due più opportuni a tal uopo, propose il l’incili, e ne fece questo magnifico elogio: Dopo lunghissima, considerazione, ch io ho fatta sopra tal bisogno, mi sono finalmente fermato coi pensiero in Giovan Vincenzo Pinelli il quale per padre è della Pinella, e per madre della Bava schiera, case onoratissime in Genova (ove io soglio dire, che la natura non produce cosa se non perfetta) et onoratissime parimenti in Napoli.... Questo gentiluomo si è poi fin dalla prima sua fanciulezza venuto nudrendo negli studi con tanta felicità, che quando non dovea passar foi'sc i diciasette anni, erano per avventura in Italia pochissimi di età matura, che l avanzassero, e molto pochi, che l agguagliassero nella cognizione delle lingue megliori e delle scienze. Di modo che, per tacer io di molte altre cose in questo proposito, Bartolommeo Maranta de primi Medici e Filosofi di Europa... si tenne fin d allora di accrescere grandissimo splendore ad un bellissimo libro di esso Maranta in lingua Latina con dedicarlo) al già detto Gentiluomo, così giovanissimo di anni, come già vecchio pieno di scienze, di Tiraboschi, Voi X. a3 [p. 354 modifica]354 LlIiKO giudizio, c ili nome illustre. Il (/(tal giovane lui voluto poi tuttavia seguir gli studi con tanta diligenza e sollecitudine, che non se ne è forse veduta in altri altra tale da già molt' anni. E tenendolo il padre nello Studio di Padova molto comodo di denari, egli tutto quello, che molti altri nobili giovani e ricchi sogliono le più volte spendere in pompe, sollazzi, e spese più vane che utili e necessarie, ha speso di continuo in accomodar quanti rari uomini son venuti capo /arido in quella Città non in tutto comodi dei lor bisogni, ed in onorare ogni sorta di virtuosi e sopra tutto in tener una Libreria degna di'ogni gran Principe e Repubblica, non che di. qualsivoglia Gentiluomo particolare. Tal che senza alcun dubbio non si vede in lui alcuna cosa giovanile se non Iaspetto, Fetà, e il vigore, e s ha acquistato nome in tutte queste Città, ed in tutta l'Italia di essere stato creato dalla natura per un raro esempio di quasi tutto quello, ch ella sa, e ch'ella può; poichè egli in età così fresca si vede arrivato a tanto colmo di Scienze, e a così notabilmente virtuosa vita, e in tanta rara opinione e speranza di tutti coloro, che lo conoscono per presenza o per fama \ pubblica (Lettere di Principi, t. 1, p. 227, ed. ven 1564. Somiglianti, benchè più brevi, sono gli elogi che di lui fa Paolo Manuzio in una lel• era a lui medesimo scritta (Famil l. 4, ep. 5), e in una altra ad Ottavio Sammarco, nella quale con lui si rallegra che goda in Padova della conversazion del l incili, di cui esalta con somme lodi la probità, la cortesia, l' erudizione, lo studio e la modestia, per la quale, benchè degno, [p. 355 modifica]PRIMO 355 de' piti grandi onori, da tutti nondimeno si tenea lontano, pago della sola virtù (ib. l. 7, ep. 16). Benchè fosse di complessione assai gracile, e travagliato da grandi incomodi, non mai cessò nondimeno d occuparsi ne diletti suoi studi, i quali anzi erano l unico suo conforto, quando i dolori più crudelmente lo travagliavano. La casa del Pinelli era quasi una continua accademia ove si univano gli eruditi, e ove nel conversare con lui trovavano e indirizzo e stimolo a’ loro studi. Nè ciò solo, ma nel Pinelli essi aveane un tenero padre e uno splendido benefattore, sempre prontissimo a sovvenirli ne’ loro bisogni, amico di tutti e lontanissimo da quelle gare che son sì frequenti fra i dotti. Così visse in Padova tutto il rimanente de’giorni suoi il Pinelli, caro a quei’cittadini e a tutta la Repubblica veneta, e caro non meno a tutti i più eruditi italiani e stranieri che ne ammiravano il vasto sapere e la singolare magnificenza a pro delle lettere, paragonato perciò giustamente dallo storico de Thou (Hist l. 126, n. 17) a Pomponio Attico, la cui vita tutta era stata impiegata nel dolce, ma glorioso ozio delle beffarti. Le molte opere a lui dedicate dagli scrittori di que tempi, che sembrano gareggiare tra loro nell'esaltare con somme lodi il Pinelli, saranno un’eterna testimonianza dell' altissima stima di cui presso tutti ei godeva. In Padova parimente, e non già in Napoli, come ha scritto il Bosca (De orig. et statu Bibl. Ambr. I. 1), egli finì i suoi giorni nel 1601 con molti segni di quella singolare pietà ch egli avea professata costantemente. [p. 356 modifica]35G li tino Uomo eruditissimo, com'egli era, avrebbe potuto darci più opere che ne rendessero eterno il nome. Ma egli fu più sollecito di giovare ad altri; che di cercar gloria a se stesso, e di lui non abbiamo alle stampe che alcune lettere sparse in diverse raccolte, e una di esse aggiunta alla Vita di Ulisse Aldrovandi, scritta dal ch. sig. co Giovanni Fantuzzi. Tutto il suo studio fu rivolto a raccogliere con finissimo discernimento libri manoscritti e stampati, a confrontarli tra loro, ad aggiugnervi al margine riflessioni e note opportune e se ne può vedere un saggio toccante la Cronaca veneta di Andrea Dandolo presso il ch. Foscarini Letterat. venez. p. 131). Nè solo di libri, ma di stromenti matematici ed astronomici ancora, di fossili, di metalli, di carte geografiche, di disegni e d’ogni altra cosa spettante ad erudizione ei fu diligentissimo raccoglitore. Il Gualdo riferisce che alcuni credevano ch’egli stesse distendendo un Comento su qualche opera d Aristotele, e una Storia e descrizion generale delle principali provincie, e delle primarie città. Ma aggiugne che, benchè ei fosse amicissimo del Pinelli, non potè mai sapere precisamente che cosa egli scrivesse. Poichè il Pinelli fu morto, la bellissima biblioteca da lui raccolta, dopo vari contrasti, fu posta in mare divisa in tre navi per essere trasportata a Napoli, ov eran gli eredi. Una di esse cadde in mano a corsari, che considerando que’ libri come inutile ingombro, ne gittarono parte in mare, il rimanente fu disperso sulla spiaggia di Fermo, che tutta si vide ingombra di carte qua e là sparse j [p. 357 modifica]PRIMO 357 e molte di esse furono da pescatori impiegate o a chiudere i forami delle lor barche, o invece di vetri alle loro finestre; finchè il vescovo di Fermo raccoltine, come potè, gli avanzi, questi furon mandati a Napoli, ove pur giunse il restante di quella biblioteca, benchè già in gran parte dissipata e dispersa. Essa fu poi comperata dal cardinale Federico Borromeo, il quale per ottenere che gli fosse venduta, e per vincerla sopra i molti avidi compratori che si facevan innanzi, pagò fino a 3400 scudi d’oro (Bosco., 1. cit); la qual somma sborsata per una piccola parte, può farci conoscere qual fosse il valore di tutta quella biblioteca. XXI. Miglior fu il destino di quella di Fulvio Orsini romano, di cui abbiamo l’elogio nella Pinacoteca dell’Eritreo (pars 1, p. 9, ed. Lips. 1692), e la Vita più lungamente scritta da Giuseppe Castiglione d’Ancona, stampata in Roma nel 1657. Ei fu per nascita illegittimo, e benchè dapprima allevato splendidamente. insorte poscia gravi discordie tra’ genitori, sarebbe forse rimasto privo di educazione, se Delfino Gentile romano canonico della basilica Lateranense, scorto il felice talento di quel fanciullo, non avesse preso a istruirlo nelle lingue greca e latina, e nello studio delle antichità, delle quali era egli assai intendente. Cresciuto negli anni, entrò successivamente al servigio dei’ cardinali Ranuccio, Alessandro e Odoardo Farnesi, e la lor protezione gli diede agio e di raccogliere gran copia di libri, e singola! mente di codici antichi, e di valersene a suo [p. 358 modifica]358 LIBRO non meno clic a comune vantaggio. Appena vi ha antico scrittor latino pubblicato a quei’ tempi, a cui non si veggano aggiunte note di Fulvio, principalmente in ciò che appartiene alle varie lezioni di diversi codici. E moltissimi ne avea egli nella sua biblioteca, i quali da lui rimiravansi non altrimente che gran tesori, comunque fosser talvolta guasti per molti errori. Avea egli col lungo uso e col continuo studio acquistata una singolare perizia nel conoscerne l'antichità e il valore, e di questa sua scienza era più geloso forse, che non convenga ad uom dotto -, perciocché racconta di se medesimo il cardinale Federigo Borromeo (VeJiigicrula ostcnt. l. 1, c. 1), ch essendo un dì coll Orsini, il pregò a volergli insegnare le leggi con cui potesse discernere i codici antichi da’ moderni, e ch egli, chiuso il libro che avea allor tra le mani, rivolse altrove il discorso, e il cardinale solea dire perciò, che trattandosi di libri antichi, non conveniva fidarsi di Fulvio, che troppo n era avido per additarne ad altri-il pregio. La fama sparsa del sapere di Fulvio fece che nel ei fosse invitato con ampissime offerte dal re di Polonia (Mureti Epist. l. 1, ep. 66). Ma egli, amante di un erudito ritiro, non si lasciò lusingare da un invito che ne avrebbe interrotti gli studi. Continuò dunque a vivere in Roma fino all'an 1600, in cui in età di 70 anni finì di vivere j e se ne può vedere Tiscrizion sepolcrale presso il P. Galletti (Inscript. rom. t. 1, p. 4G))? e ne’ ln0_ munenti aggiunti alla V'ita di Angelo Colocci, eruditamente descritta dal sig. ab. Gianfrancesco [p. 359 modifica]PRIMO 35l) Lancellolli (p. 112), e insiem colle Opere del medesimo stampati in Jesi nel 1772, ove si avverte che per errore dell incisore del marmo è segnato XI ìli Kal. Junii, mentre dovea scriversi XV, che fu veramente il dì della morte. Dell Orsini abbiamo alle stampe un trattato De Familiis Romanorum. l’Appendice al trattato De Triclinio del Ciaconio; opere amendue rl)6 ben dimostrano e il lungo studio e la vasta erudizion dell" autore. Egli innoltre, avendo oltre a libri raccolta gran copia di statue e di busti, e d’iscrizioni antiche di uomini illustri, e ornatane la sua biblioteca, le fece a comun vantaggio incidere, e aggiuntivi gli elogi a dichiarazione di esse, le pubblicò in Roma nel 1 ùjo, col titolo: Imagines et elogia virorum illustrium et eruditorum ex antiquis lapidibus et numismatibus expressa cum annotationibus Fulviis Ursini. Una lettera italiana per ultimo e alcune latine ne sono state pubblicate nel Giornale de letterati di’Italia (t. 2(». p. 328), e negli Aneddoti romani (t. 3,p. 417)• Le fatiche da lui sostenute nel raccogliere libri non andarono a vuoto; perciocchè egli, saggiamente pensando, ne fece dono nel suo testamento alla Vaticana, in cui ancor si conservano, ed hanno perciò giovato più volte ad altri eruditi scrittori, ed è stato da tutti esaltato con somme lodi. Vaglia per molti altri l'elogio a lui fatto dal sopraccitato de Thou (Hist. l. 121, n. 15): Fulvius Ursinus patria Romariu.s vir Grucce Latineque dodissimus, ac puri ori s antìquitatis indagator diligenti ssi mus. qui compiimi vetenim utnusque lingua e Scriptorwn [p. 360 modifica]XXII Munifirrn >.i de’ Mrdiri nel ta. • ro^lirtr li aulirliiù. 3Go liduo monumenta aut primus edidit, aut edita dedit meliora, areta cu/n Oc Inviano Pantagatho, (in bri eie Faemo, Latino Latini o, Paulo Manu-j Èro studioru/n consensione conjimetris, oc praei cipue curri Antonio Angustino, qnanuliu Ramni fi Ut, cu/us, postfjuam in Hispaniam dìscessif, pi uri mas lucubrationes sua industria illustratis p ub li cavi t: in farnitia Alexantlri Farnesii Cardinalis eximii Litteratorum fautoris din vij'it, et septuagenarius ineunte Majo obiit, ad D. J«anni s Lateranensis, cujus Sacri Collegi era: sodali s, sepultus. XXII. Nel tempo medesimo che in ogni parte d’Italia si andavano raccogliendo codici e libri, e si formavano tali biblioteche che anche al presente risvegliano l'ammirazione e l'invidia degli stranieri, col lusso e coll’ardore medesimo si andava in traccia di medaglie, di statue, di cammei, d’iscrizioni e di altri cotali venerabili avanzi dell’ antichità più rimota. l)i ciò ancora dobbiamo a questo luogo trattare, riserbandoci a fare altrove menzione di quelli che presero scrivendo o ad illustrare le antichità stesse, o a prescrivere leggi per accertare il valore e per discerner le merci vere dalle supposte. E qui parimente deesi prima d ogni altro ragionare de’ principi che saggiamente crederono i lor tesori ben impiegati nel far tali acquisti. Tra essi non v’ebbe chi andasse più oltre nella magnificenza, che i gran duchi di Toscana. Cosimo, Pietro e Lorenzo nel secolo precedente ne avean data loro l’esempio; e abbiam veduto a suo luogo, quanto gran copia di antichi monumenti d’ ogni maniera essi avesser raccolta. [p. 361 modifica]PRIMO 361 Sfatte luttuose vicende che al fin del secolo xv sofferse quella famiglia, come de’ libri, così gran parte ancora delle antichità andò dispersa, Insiem co’ libri però si ricuperarono da Leon X ancor molti cammei ed altre pietre di gran valore, di cui Pietro e Lorenzo gli aveano riccamente ornati, come fan fede i libri medesimi che tuttor si conservano nella biblioteca Laurenziana. E convien dire che anche altri cotai monumenti o ritornassero all’antica lor sede, o fosser di nuovo acquistati; perchè dopo la morte del duca Alessandro molti di essi furon di nuovo dispersi e portati altrove, come colla testimonianza del Varchi pruova il Bianchini (Ragionam, de Gran Duchi, p. 19, ec.). A riparare sì gravi danni era destinalo il gru 11 duca Cosimo I, il quale fece una ricchissima collezione di antichità, e profuse in essa immensi tesori, e fece innalzare la real galleria per custodirle. Il suddetto scrittore ci avverte che fra' manoscritti della libreria strozziana in Firenze si conservano due lunghi carteggi, uno fra Jacopo Duni, segretario e auditore di Cosimo, e Stefano Alli che in Roma era incaricato di raccogliere antichità pel gran duca, l altro tra ’l segretario Concino e l Cardinal di Montepulciano, ne’ quali continuamente si tratta della compera di statue, di marmi, di medaglie, di monete antiche, e delle somme grandissime di denaro che perciò spedivansi a Roma. Ed altre somiglianti memorie della magnificenza in ciò usata dal duca Cosimo si conservano nella real galleria, come mi ha avvertito il ch. sig. Giuseppe Pinelli, che ora ne è direttore, [p. 362 modifica]36 u 1 LIBRO e da cui e insieme dal sig. ab Luigi Lanzi speriamo di aver presto la Storia e la descri» zione di questo sì ricco museo. Nè solo go. deva Cosimo di radunare cotai tesori, ma compiacevasi egli stesso di adoperarsi colle proprie mani nel ripulirli. Questa sì pregevol raccolta di monumenti antichi d’ogni maniera fu lasciata da Cosimo al suo successore e figliuolo Francesco I, il quale non pago di accrescerne sempre più il numero, come raccogliesi da molte lettere di Ercole Basso (Lettere pittor. t 3), accrebbene ancora le stanze, facendo fabbricar quella che dicesi la Tribuna, ove le più belle rarità in tela ed in marmo si veggon raccolte per modo, che questa real galleria è stata sempre ed è tuttora l’oggetto della maraviglia de viaggiatori eruditi, e vi si vede in opportuno e vaghissimo ordin disposto quanto tutte le belle arti hanno in ogni tempo e presso ogni nazione prodotto di più ammirabile e di più raro (Bianchini, l. c. p. \o) (a), Ferdinando I non fu in questo genere di lode punto inferiore nè al fratello nè al padre. Mentre era cardinale in Roma, fece egli ancora una magnifica collezione di antichità d’ ogni sorta, e fece fra le altre cose l acquisto della celebre Venere detta poi Medicea, che basta essa sola a conciliar (a) Della sollecitudine e della magnificenza del duca Cosimo I nel raccogliere antichità d ogni genere, alcuni bei documenti si possnn vedere nella Storia del Gran Ducato di Toscana ultimamente pubblicata d;d sig Gallimi (l. 2, c. io} l. 3, r. io). Le opere del sig. Peli e del sig. abate l.anzi qui accennate han poscia veduta la luce. [p. 363 modifica]PRIMO 363 nome immollale c all1 antico artefice che la formò, e al magnanimo principe che la ritolse alfobblio. Molli de' monumenti da sè raccolti trasportò seco Ferdinando a Firenze, quando salì sul trono del defunto fratello, e di essi e di più altri che continuò a raccogliere, arricchì vie maggiormente quella gran galleria (ivi,p. 54,63). La Venere però non fu colà trasportata che sotto il gran duca Cosimo III, e solo dal regnante Pietro Leopoldo si è fatto condurre a Firenze il famoso gruppo della Niobe, che fu esso pure acquisto del cardinale Ferdinando. Di tutte le quali cose, da me solo per brevità accennate, si posson vedere più copiose notizie e presso il detto scrittore e nelle prefazioni ai diversi tomi del Museo fiorentino, e più esatte ancora le avremo nella Storia da me poc’ anzi accennata. XXIII. Benchè sembrasse che la magnificenza de Medici e le lor premure nello scavar da ogni parte e nel raccogliere tai monumenti, non lasciasser luogo ad altri di emularne la gloria, appena però vi ebbe principe in Italia nel corso di questo secolo, che non pensasse ad ornare per somigliante maniera la propria corte, il museo Vaticano ebbe il suo cominciameli! o dal cardinale Marcello Cervini, che gran numero vi ripose di medaglie, di statue e di altre antichità, ed eccitò col suo esempio i posteri a renderlo sempre più ricco e copioso (V. Polidori, Vita Marcelli II, p. 49)- i duchi di Ferrara, come in altro genere di regia munificenza a pro delle lettere, così in questo andaron del pari con’ più potenti sovrani. Ne è pruova la [p. 364 modifica]364 LIBRO rara copia di pietre incise e scolpite, e di antiche medaglie, che tuttora, benchè dopo tante vicende, conservasi in questo museo Estense. Non abbiam monumenti che ci mostrino chi fosse tra essi il primo a formarlo. È assai probabile che Borso e Leonello ed Ercole I cominciassero a far ricerche d antichità j ed è certo che a tempi di Ercole II erane già raccolta gran copia. Ne abbiamo un saggio nel Catalogo delle antiche medaglie d’oro, ch erano presso a quel duca, fatto da Celio Calcagnini, che si ha in un codice di questa biblioteca. Il lor numero giunge fin presso a novecento j ed è verisimile che non solo di tali medaglie essi fossero andati in traccia, ma che vi avessero aggiunte quelle di argento e di bronzo, delle quali parimente si vede tuttora in questo museo un assai ragguardevol numero. Già abbiam veduto poc’anzi che i duchi di Savoia ancora aven preso diletto di tali ricerche, e che la loro biblioteca era da ogni parte ornata di bellissimi monumenti. La corte ancor dei’ Gonzaghi videsi in ogni parte adorna di antichità, come si è dimostrato parlando del favore di cui que’ principi onoraron le scienze. Fra essi però si distinse singolarmente Cesare Gonzaga signor di Guastalla, che a niuno dei’ principi del suo tempo fu inferiore nel coltivare e nel protegger le lettere. Nel copioso carteggio di questo principe, che tuttor si conserva in Guastalla, veggonsi moltissime lettere a lui scritte in Roma tra il 1562 e il 1567 da Girolamo Gali mberto vescovo di Gallese, di cui valeasi Cesare nel raccogliere le antichità. In esse quasi [p. 365 modifica]piamo 365 di altro non si ragiona che di statue, di medaglie, di busti, di bronzi e di marmi antichi, che il Garimberto per ordin di lui andava adunando e inviandogli a Guastalla, ove Cesare ne stava formando una tal galleria che poche uguali dovea avere in Italia. Il Garimberto medesimo ne faceva per se stesso raccolta; e dalle stesse lettere si conosce che questo ardore nelfandar in cerca di tai monumenti era allora universale in tutta l’Italia. Il ricchissimo museo Farnese per ultimo, che fu poscia nel corrente secolo trasportato a Napoli, ebbe probabilmente principio nel tempo di cui scriviamo; ed è verisimile ch esso fosse opera principalmente de’ cardinali Alessandro e Ranuccio, i’ quali abbiamo veduto quanto fossero spendidi nel favorire e nell’avvivare gli studi. XXIV. Questo sì vivo ardore nel disotterrare e nel rendere in certo modo alla vita i monumenti antichi, fu proprio ancor di moltissimi tra’ privati. E appena fu uom dotto nel corso di questo secolo, che non si dilettasse di averne gran copia. Roma principalmente col porre sott’occhio de’ riguardanti tanti venerabili avanzi dell’antica grandezza, che avean superata l’invidia del tempo e il furore de’ barbari, parea che stimolasse i suoi abitanti a scavare e a ricercare da ogni parte per iscoprir quelli ch eran l imasti vittima dell’ ignoranza de’ secoli precedenti. Le descrizioni che Ulisse Aldrovandi, Andrea Fulvio, Lucio Mauro e più altri ci diedero a quel tempo delle antichità che in Roma si conservavano, ci fan conoscere che molti de’ più ragguardevoli cittadini pensavano XXIV. (ÌJU <If|;Ii l'alimi ili somigliami tinnii», [p. 366 modifica]36(5 li uno di’ esse fossero il miglior ornamento di cui potessero abbellire le loro stanze. Il libro singolarmente dell Aldrovandi intorno alle antiche statue che serbavansi in Roma, ci mostra che moltissimi eran coloro che ne aveano ornate le loro case; e gran copia ne veggiamo accennate principalmente in quelle del cardinale Federigo Cesi, di Bindo Altoviti, de’cardinali Farnesi, di Latino Giovenale, di Vincenzo Stampa, del cardinale Gaddi, del cardinale Rodolfo Pio, la • • i* • cui passione per tai monumenti raccogliesi ancora da una lettera di Ambrogio Nicandro a Pier Vettori (Epit. Cl Vir. ad P. Victor, t. 1, p. 49), di que della Valle, di Giuliano Cesarini, del cardinale Savelli, di Valerio dalla Croce, del cardinale Bernardino Ma (Tei, di Giulio Porcaro, di monsig Giacomelli, di Stefano del Bufalo, di Lorenzo Ridolfi, e, più che altrove, nella villa del suddetto cardinale Pio a Monte Cavallo. In questa biblioteca Estense si ha copia di alcuni Epigrammi latini di Girolamo Brittonio stampati da’ fratelli Dorici in Roma senza nota d’anno, e pubblicati all’occasione del disotterrar che si fece alcune larve di marmo innanzi alla soglia del palazzo del Cardinal Nicco'ò Ridolfi; il qual opuscolo del Brittonio è sfuggito alla diligenza del co. Mazzucchelli. Somigliante festa fecesi de’ poeti romani nel 1506, quando fù ritrovata la famosa statua di Laocoonte, intorno a che è degna d’esser letta una lettera di Cesare Trivulzi a Pomponio suo fratello, scritta da Roma al 1 di giugno del detto anno (post Marq. (Gudii Epist p. • 43). Gran numero di antiche statue [p. 367 modifica]MIMO 36avea raccolto in Trevi sua patria Benedetto Valenti avvocato del Fisco sotto Clemente VII e Paolo III, intorno alle quali due latini dialoghi scrisse, intitolati de Antiquitatibus Valentinis, Francesco Alighieri, il primo stampato in Roma nel 1537, il secondo publicato di fresco negli Aneddoti romani (t. 2, p. 109), ove il ch. sig. ab Amaduzzi ragiona a lungo di essi, e degli errori che nel ragionarne han commessi il marchese. Maffei e il co. Mazzucchelli, credendo che il primo dialogo fosse inedito e che in esso si trattasse delle antichità di Verona. Quanto adorni di tai monumenti fossero in Roma gli orti di Angiolo Colocci, ne abbiamo fra le altre la testimonianza di Onofrio Panvinio: Hortuli Colotiani, dic egli (Festor. l. 2), ad aquam Virginem sui maxima vetustonun mori umenlomm copia instructissimi, quae primis illis temporibus, quibus antiqui tati s studi uni caput extollere coepit, unus Angelus Colotius sanctissimus doctissimus vir eo in loco summa cum diligentia hinc inde collegit, magnani mi hi 1 use rip ti omini mullitiulinein suppedilarunt. Leandro Alberti ci ha lasciata memoria che il cardinale Paolo Cesi, detto da lui Paolo della Cesa, morto nel 1537, avea raccolto nel suo palazzo in Roma belle, vaghe, et antique statove, avelli. epitafiii et altre simili cose Italia,p. 92, ed. bol. 1550). In Roma parimente io credo che cominciasse a formare la sua raccolta di antichità Pietro Bembo, cui egli posarne! soggiorno di molti anni in Padova accrebbe per modo, che, per testimonianza del Beccadelli e di altri scrittori di quei tempi, ella avea forse poche [p. 368 modifica]3tf8 Liimo pari in Italia (V. Foscarini, Lett. venez. p. 383) e vi si vedea fra le altre la famosa tavola Isiaca, che ora è nella real biblioteca di Torino. Il Bembo, quando da Padova passò in Roma, già cardinale, non seppe stare senza le sue medaglie ed altre antichità) e degna è d’esser letta su ciò la lettera ch’egli scrive a M. Flaminio Tomarozzo, perchè gliele mandi a Roma, dalla quale raccogliesi quanto grande ne fosse il numero e la sceltezza (Op. t. 3, p. 266). Una lettera scritta da Baldassar Castiglione ad Andrea Piperario in Roma nel 1523 ci mostra ch’egli ancora era assai avido di somiglianti acquisti (Castigl. Lettere, t. 1, p. 105). Annibal Caro, benchè non fosse molto agiato di beni di fortuna, non sapeva però metter freno alla sua passione nel raccoglier medaglie. Scrivendo a M. Giuseppe Giova a Lucca, che gliene avea mandate in dono parecchie, gli dice (Lettere. t. 2, lett. 129)): Venendo accompagnate (le vostre lettere) con un presente di medaglie (amor mio principale) e di tante in una volta, sappiate, che m hanno dato una contezza suprema. E oltrccche mi sieno state tutte carissime e preziose per l’ animo, con che me l avete donate, siate certo, che ancora quanto alla qualità di esse mi sono in maggior stima, che voi non pensate, perchè ce ne ho trovate assai buone, e alcune rarissime, tanto che il mio erario, il quale ebbe quasi il primo tesoro da voi, or ne divenuto si ricco, che comincia a competere con i più famosi degli altri antiquarii; e se la rimessa, che mi promettete di Lione, è tale, spero di superarli. Ed era egli in [p. 369 modifica]PRIMO 3(K) (al genere in tendentissimo, come da più altre lettere di lui medesimo è manifesto (ivi, t. 3, lett 119, 120, ee.) (a). (a) Vuoisi qui incordare a gloria de’ romani pontefici ciò ch’ essi operarono, affine di ben conservare il ricco tesoro d’antichità, di cui vedesi Roma in ogni sua parte adorna. Aveane già dato esempio fin dal secolo precedente Eugenio IV col proibire che alcuna statua antica si estraesse da Roma, e Pio II e Sisto IV con rinnovar la medesima proibizione. Paolo III, appena eletto pontefice, con suo Breve de’ 28 di novembre del 1534 •» che è stato pubblicato dal eh. sig. abate Marini (Degli Archiatri pontif. t. 2, p. 280), nominò commissario sopra le antichità di Roma il celebre Latino (Giovenale, incaricandolo di soprantendere agli archi, a’tempi, a’ trofei, a teatri, agli anfiteatri, a'circhi, alle naumachie, a’ portici, a sepolcri, alle iscrizioni, alle statue, a’ quadri, agli acquedotti, e in somma ad ogni sorta di antichi monumenti, e di vegliare perchè essi fossero conservati, nè venissero ingombri da erbe o da sterpi, nè sopra vi si fabbricasser!’ case, nè venissero spezzati o infranti, nè impiegati in altre fabbriche, o trasportati altrove. Di Latin Giovenale, che fu della famiglia de Manetti, e di cui non vera l’uomo più opportuno a sostener quell’ impiego, copiose notizie ci ha date il soprallodato ab Marini (ivi,t. 1, p. 384 t. 2, p. 353), e ne ha prodotta l’iscrizion sepolcrale che gli fu posta nella Minerva, quando egli finì di vivere nel i:553 in età di 67 anni, nella quale si annoverano tutti gli onorevoli impieghi da lui sostenuti. A questa occasione ricorda il medesimo autore ((.2, p. 283, ec.) un altro Breve di Paolo IV, con cui nel 1556 nominò conservatore e saprantendente alle antichità il cancelliere Urbano Mario Frangipani, e quello con cui Pio IV nel 1562 affidò la medesima cura a’cardinali Marcantonio Amulio ed Alfonso Gesualdi, incaricandoli ancora di provvedere che niuno osasse di alterare o di supporre cotai monumenti, e un altro di S. Pio V sullo stesso argomento (ivi, p 314)• Tiradoschi, Fol. X. [p. 370 modifica]XXV. Raccoglimi! «li aliti* f lui!• in \ vBtnii» •I7O LIBRO XXV, Y eneziu, benché non avesse nel proprio .suo seno sepolte antichità greche e romane che invitassero i cittadini a scoprirle e a rimetterle in luce, vide nondimeno formarsi non pochi musei, tanto più ammirabili, quanto maggiore era la difficoltà e la spesa in far venir di lontano i monumenti. E il primo che ne formasse una pregevol raccolta, fu il cardinale Domenico Grimani, da noi mentovato in questo capo medesimo che grandissima copia di statue e di altre antichità d’ogni genere avendo adunate, e questa collezione essendo poi stata di molto accresciuta da Giovanni Grimani patriarca d’Aquileia, nipote di Domenico, amendue poscia ne fecero liberal dono alla Repubblica; e questi sono in gran parte que monumenti medesimi che ora adornano l’antisala della libreria di S. Marco, la descrizione de’ quali ci è stata data nel 1740 dagli eruditi cugini Zanetti (V. Foscarini Letter. venez. p. 373, ec., 382, ec.). L’esempio de Grimani, e quello del Bembo da noi nominato di sopra, fu quasi un segnale ch eccitò in moltissimi tra Veneziani un vivo entusiasmo nel far ricerca d’antiche medaglie e di altri simili monumenti. Il Sansovino ne annovera parecchi, cioè Lionardo Mocenigo, Francesco e Domenico Duodo, Battista Erizzo, Luigi Mocenigo, Simone Zeno, Giovanni Grilli, Francesco Bernardo, Gian Paolo Cornaro, Giacomo Gambacorta, Agostino Amadi, Monsig Soperchio, Giulio Calistano, Domenico delle due Regine, Rocco Diamantaro (Venezia, p. 372), a' quali il Foscarini aggiugne (Letter. venez. p. 386) Antonio [p. 371 modifica]PRIMO 371 Zantam, Sebastiano Erizzo, il doge Lorenzo Priuli, il suddetto Giovanni Grimani e Daniel Barbaro patriarchi d’Aquileja, Girolamo Lione, Stefano Magno, Francesco Barbo, Antonio Calbo, Benedetto Cornar o, Francesco Veni ero. Alessandro Contarini, Alvise Renieri, l ab Giustiniano, Torquato Bembo, Gabriello Vendramino, Antonio Manuzio e Rinaldo Odoni; intorno ad alcuni de’ quali più esatte notizie può somministrare a chi le brami il suddetto eruditissimo Foscarini. Fra i molti musei veneti, de’ quali potrei dire non brevemente, basti il far qualche cenno di quello di Andrea Loredano, che pochi ebbe pari in quel secolo. Paolo Manuzio a lui scrivendo nel 1552, e parlando di quel museo, Io vi entrai una volta, gli dice (Letter. volg.p. 73, ec. ed. Ven. 1560), essendo V. M. in Villa, per grazia singolare del suo virtuosissimo figliuolo M. Bernardino. Parvemi nel primo aspetto di esser entrato nel Romano Foro, quando per ambizione degli Edili era meglio adorno ne giorni delle feste e giuochi pubblici, Io mirava tC intorno di lieta maraviglia confuso, riguardando ora alle statue, ed ora alle pitture, parevami di riconoscere il marmo di Prassitele, il bronzo di Policleto, i colori di Apelle. Fattomi poi più vicino alle medaglie, vidi l oro e l'argento, vidi il pregiato metallo dell’ infelice Corinto, vidi chi la distrusse. Eranvi dei Greci e de' Barbari molte figure > de Romani infinite, con bello e considerato ordine disposte, tutte dal naturale con verissima somiglianza ritratte, alcune in parte guaste dal tempo, alcune affatto intere fino a sopraccigli ed alle rughe della [p. 372 modifica]372 LIBRO fronte, tutti i più famosi Consoli, tutti i maggiori Imperatori, tutte le guerre, i trionfi, gli archi, i sacrificii, gli abiti, le armature mi stavano davanti agli occhi, le (quali cose con attento pensiero particolarmente riguardando, tante belle notizie in poche ore nella mente raccolsi, che nè Livio, nè Polibio, nè tutte l’Istorie insieme avevano altrettanto in molti anni potuto insegnarmi, ec. Di questo museo medesimo fra grandi elogi Carlo Sigonio (praef. ad Comm. Fastor, ac. Triumph.; praef ad SchoL in Livium; praef. ad Lib. de Tempor. Athen.)y il quale più volte confessa di essersi singolarmente valuto di que’ monumenti nell’illustrare le antichità, e loda la cortesia con cui e Andrea e Bernardino di lui figliuolo gliene aveano conceduto l’ uso. Anche il Mureto, dedicando a Bernardino le sue Osservazioni sopra Catullo, remmenta la grandissima copia di libri, di statue, di monete e di altri monumenti dell’antichità, che Andrea di lui padre avea con somma diligenza da tutta l'Europa raccolti, talchè la casa di esso era in Venezia come un tempio delle Muse, da tutti gli uomini eruditi frequentato a gara. XXVI. Per questo impegno medesimo nel radunare i monumenti dell’ antichità, troviam lodati più altri nel corso di questo secolo. Celio Calcagnini, scrivendo a Buonaventura Pistofilo ministro del duca di Ferrara Alfonso I, accenna la gran quantità di antiche monete ch’ egli avea studiosamente raccolte e sì ben racchiuse e disposte, che poteansi da amendue le parti mirare senza toccarle (Op. p. 207, ed. Basii. 15/|4)* Abbiam più lettere di Paolo [p. 373 modifica]PRIMO 3r»3 Manuzio scritte ad Agostino Angelelli da Fabbriano, dalle quali raccogliesi che questi ancora era diligentissimo raccoglitor di medaglie (l. 8, ep. 20; l. 9, ep. 7, 8?9). Una numerosa serie di medaglie imperiali avea parimente nei’ primi suoi anni raccolta Bonifacio Vannozzi pistojese, finchè entrato poscia nel clero prese ad adunar quelle dei' papi, com egli stesso racconta in una sua lettera (Vannozzi, Lett t. 1, p. 91). Il marchese Maffei ricorda la bella raccolta che di medaglie, di statue, di libri e di varie antichità d’ogni genere avea fatta Agostino Maffei in Verona al principio di questo secolo (Verona illustr. par. 2, p. 272). Alfonso Ariosto verso la fine di questo secolo avea talmente adornata la sua casa in Ferrara di ogni sorta di antichità, ch’essa pareva un museo; e, come narra il Superbi scrittore contemporaneo, non veniva a Ferrara alcun principe, o altro ragguardevole personaggio, che non andasse a vederla (Appar. degli Uom. ill. par. 3). Ma questi monumenti ancora andaron poscia dispersi, come mi ha avvertito il ch. sig. dott Antonio Frizzi nelle belle ed esatte notizie trasmessemi intorno agli Ariosti. Molti altri ne annovera, oltre alcuni de’ già accennati, Enea Vico, facendo il catalogo di quelli, delle cui medaglie egli ha fatto uso nella sua opera sopra esse, e sono Alessandro Corvino, Antonio Capodivacca, Giannandrea Averoldo, Giannantonio Cagnolino, Giorgio Canler, Marco Mantova (*), Matteo Foriero, {*) Tra quelli che nelle lor case raccolsero gran copia di antichità, ho accennato il celebre giureconsulto [p. 374 modifica]XXVIÌ. Raccolte <)’ i jirmnn uni ir Le. 374 LIBRO monsignor dei Martini, Niccolò Stopio, Pierluigi Romano, Terenzio di Camera, Tiberio Deciano (a). XXV il. Voglionsi a questo luogo per ultimo rammentare almeno alcuni di quelli che, se non Marco Mantova. Ma dee qui riferirsi un bel' passo dell orazion funebre in onor di esso recitata da Antonio Riccoboni, il qual ci dimostra in qual pregio fosse il suddetto museo: Partis igitur excellenti doctrinae M. Mantua, npìbus, inter alia multa, quae magnificentissime ennJ'ecit, suuni, ut modo dicebam, Musaeum mirabiliter adornavit, ita ut eliam in x uni mis Principibus prope incredibilem ejus emendi excitarit cupiditatem, et praecipue in Galliae Rege Christianissimo, cujus nomine Gallis quibusdam nobilissimis ipsum emere cupientibus, etiam me praesente, a udiente, et rem verbi s illorum procurante, non se venditurum ejusmodi Musaeum tanto Regi, sed donaturum professus est; quod negotium, ut cum praestanti ejus digitate tractatum, sic ill's Regís sui mandata transgredi recusantibus, non sine magna gratiarum actione dissolutum est. (a) 11 Mongitorc (Bibl. sicul. t. 1, p. 360) parla di un antichissimo museo di antichità, che in Messina avea raccolto verso la fine del xv secolo Giampietro da Villadicani nobile messinese, ch era stimato del valore di ventimila scudi. Di questa magnifica collezione parla anche un certo f Antonio da Granata in una lettera scritta da Messina a’ 29 di ottobre del 1583 al cardinale Luigi d’Este, che originale conservasi in questo segreto archivio ducale. E se altro egli non soggiugnesse, noi crederemmo di buon animo a lui e al Mongitore tutto ciò che di questo gran museo ci raccontano. Ma il buon f Antonio prosiegue a dire che il Villadicani in attestato di ossequio al cardinal medesimo gli manda un pezzo dello stesso museo, cioè un Dente di Hercole gigante donato già da Paolo IV al cardinale di Pisa, e da questo alla famiglia de’ Villadicani. Se a questo eran somiglianti gli altri tesori di questo museo, ognun vede quanto fossero stati ben impiegati per esso i ventimila scudi. [p. 375 modifica]PRIMO ornarono le loro case di monumenti antichi, ci diedero pruova della stima in cui gli avevano, coll’andare in traccia di essi e delle iscrizioni singolarmente, traendone copia e unendole insieme a vantaggio degli studiosi. Benedetto Ramberti segretario del Senato veneto, e custode della pubblica biblioteca di S. Marco, avendo dovuto per comando della Repubblica viaggiar più volte in Allemagna, in ispagna e in diverse altre provincie tra’l i53o e ’1 ¡5^0, andò raccogliendo quante potè trovare iscrizioni, e ne formò un ampio codice che tuttor conservasi, e di cui ci dà un’esatta descrizione il padre degli Agostini, che del Ramberti e di qualche altra operetta da lui composta ragiona colla consueta sua diligenza (Scritt venez. t. 2, p. 556, ec.). Somigliante opera avea intrapresa Francesco Pedemonte, il quale avendo copiato gran numero d’iscrizioni, pensava di darle in luce dedicandole al re Filippo II, e voleva perciò mandarle a Pietro Vettori, acciocchè fossero stampate in Firenze, com’egli gli scrive da Napoli (Cl. Viror. Epist. ad P. Victor. t. 3, p. 236). Ma avendogli il Vettori risposto che la stamperia di Firenze erasi allora dissipata e di sci olla (Victor, ep. p. 53), pare che il disegno del Pedemonte non fosse condotto ad effetto. Due Veneziani, Pellegrino Broccardo e Marco Grimani, recatisi quasi al medesimo tempo in Egitto, vi osservarono i monumenti ivi rimasti, e singolarmente le famose piramidi, eie delinearono, copiando ancor le iscrizioni che in varii luoghi leggevansi. Nè l’uno nè l’altro lavoro ha veduta la luce; ma di quel del Grimani si è valuto il Serlio [p. 376 modifica]376 LIBRO ftarlando di quelle piramidi, intorno a che si può leggere la non mai abbastanza lodata opera del Foscarijii (Lette rat.. venez. p. 377, ec.), il quale accenna ancora (ivi, p. 374) le iscrizioni della Spagna, che avea raccolte Lionardo Ottobuoni. Un codice di antiche iscrizioni romane raccolte da Antonio Belloni di Aquileia, segretario del car Domenico Grimani, avea presso di sè Apostolo Zeno (Letti. 1, p. 104) Giulio Bologni, figliuolo di quel Girolamo da noi mentovato nel tomo precedente, trascrisse nel 1517 tutte le lapide antiche di Verona, di Brescia, di Salò sulla Riviera bresciana, e di Bergamo, la qual Raccolta conservasi ancora in Trevigi presso il sig. Burchelati da noi altrove lodato (Mazzucch. Scritt. ital. t. 2, par. 3, p. 1489, nota 14). Grandissima quantità d’iscrizioni avea da tutte le provincie raccolta il Panvinio, e disponevasi a darne una compita e general collezione, come pruova il marchese Maffei (Ver. illustr. par. 2, p. 365, ec.), il quale crede probabile che delle fatiche di lui si giovasse poi in gran parte il Grutero. Sebastiano Maccio, nato in Castel Durante, essendosi aggirato per diverse città d’Italia verso la fine di questo secolo, per tenere or nell’una, or nell’altra pubbliche scuole, in ognuna di esse osservò diligentemente, e fedelmente copiò le antiche iscrizioni, e ne formò un codice (Erytraei Pinacoth. pars 1, p. 278), il quale però non credo che abbia mai veduta la luce. Lo stesso fece Giovanni Zarattino Castellini natio di Faenza, ch essendo circa il medesimo tempo vissuto lungamente in Roma, appena lasciava passar [p. 377 modifica]primo 3? n giorni» ni cui non andasse qua e là scorrendo dentro e fuori della città, ove si facevano scavi, per osservare e copiare i monumenti che si traevano alla luce (ib. p. 5i). XXVIII. Mentre questi e più altri scrittori andavano raccogliendo in ogni parte d’Europa le antiche iscrizioni, altri occupavansi singolarmente a scoprire e a pubblicar quelle della lor patria. Fin dal 1521 fu pubblicata in Roma l’opera intitolata Epigran ¡incita anticjuae Urbis, che va sotto il nome dello stampatore Mazzocchi, e che da alcuni credesi opera di Angiolo Colocci (V. Lari cello tti. Vita del Colocci. p. 38) (*). Girolamo Rossi celebre storico di Ravenna aggiunse alla sua Storia tutte le antiche iscrizioni cbe nella sua pairia si conservavano. Torello Saraina e il suddetto Panvinio quasi al tempo medesimo raccolsero e pubblicarono quelle di Verona, c quelle di Vicenza Bernardino Trinagio. Quelle di Brescia non vider la luce die al principio del secolo seguente per opera di Ottavio Rossi. Ma egli si valse di una Raccolta assai più copiosa che verso la metà del secolo xvi aveane ivi fatta un certo Aragonese dimorante in Brescia. Un bel codice di essa, cbe sembra originale, conservasi in Ferrara presso il sig. conte Gneo Ottavio Boari; e cbe (*) La raccolta intitolata Epigrammata Antiquae Urbis fu veramente oper.» del Mazzocchi ch’era stampatore dell' Accademia romana, ed era per la sua erudizione degna di andar del pari cogli altri stampatori eruditi di quell età. Così mi ha avvertito il ch sig. ab Serassi, che intorno ad esso ha raccolte molte interessanti notizie. ,! [p. 378 modifica]378 LIBRO il detto Aragonese ne sia l’autore, si trae dal riflettere ch’ei cita sovente lapide antiche presso di sè esistenti, e quelle stesse si veggono citate dal Rossi, come esistenti presso l'Aragonese. Pierio Valeriano pubblicò l’iscrizioni antiche di Belluno sua patria; la qual opera suol andar congiunta a quella De infelicitate Literatorum. Molti monumenti appartenenti a Milano e alla Lombardia furono pubblicati da Bonaventura Castiglione nella sua opera intitolata Gallorum Insubrum antiquae sedes, stampata in Milano nel 1541 • Andrea Alciati, uomo grande ugualmente e nei' severi studi legali e negli ameni della letteratura, oltre l’averne inserite parecchie ne’ quattro libri della Storia di Milano, fece una più compita Raccolta di tutte le iscrizioni che nella sua patria si conservavano, e se ne hanno codici nella Vaticana e nell’Ambrosiana, e un altro era già nella libreria de’ Gesuiti di S. Fedele in Milano, di cui ci ha data la descrizione il ch. ab Zaccaria (Calogerà, Opusc. t. 41,p 137 \ Francesco Ciceri, nato in Como, ma fatto poi cittadin di Milano, ove per molti anni tenne scuola di belle lettere, veggendo che non poche iscrizioni erano sfuggite all’Alciati, aggiunse alla detta Raccolta un copioso supplemento, che suole ad essa andar congiunto. Si può vedere l’elogio che ci ha dato del Ciceri l Argelati (Bibl. Script, mediol t. 1, pars:2, p. 429) (a), a cui io aggingnerò che si hanno (a) 11 P. abate D. Pompeo Casati cisterciense nulla ci lascia omai a bramare intorno a Francesco Ciceri. Ei ne ha pubblicato in Milano nel 1782 sedici libri di lettere [p. 379 modifica]rumo 371) alle stampe alcune lettere del Cortese al Ciceri (Marq. Giuiii, ec. Epist p. 126, ec.), dalle quali raccogliesi l’anno in cui questi da Lugano, ove finallora avea tenuta scuola, passò a Milano, per aiutare in questo impiego il detto Maioragio, cioè il i548, e molte altre di Giovanni Oporino stampatore di Basilea al medesimo Ciceri (ih. p. 164, ec.); che tra le lettere scritte a Pietro Vettori, una ne ha egli pure scritta al primo di settembre del 15*j8, in cui dice che erano ornai venti anni che per ordine del Senato era pubblico professore (Epist. cl. Viror. ad P. Victor. L 2, p. 127), e che il Vettori risposegli con altra lettera piena di sentimenti di stinta pel sapere del Ciceri Uklctor. Epist. p. 198) (*). De1 Supplementi elei Ciceri parla latine finora inedite con quattro Orazioni, e inoltre un libro di lettere di Maffeo di lui figliuolo. L’eleganza con cui esse sono scritte, le notizie che in gran copia ci somministrano per la storia letteraria di quel secolo, e le annotazioni piene di erudite ed esatte ricerche colle quali il benemerito editore le ha illustrate. rendono questa edizione sommamente pregevole. Ei vi ha premessa la \ ila di questo colto scrittore, in cui tutto ciò che appartiene agli studi da e&o fatti, agli impieghi sostenuti, alle opere scritte, si vede con singolar diligenza esaminato e rischiarato. Egli ha fra le altre cose provato che Francesco non fu nè comasco, come io aveva pensato, nè milanese, come altri aveano scritto; ma che nacque in Lugano, e ch ei finì di vivere tra ’I 1 *>94 e ”1 15q6. (*) Una lunga ed elegante lettera di Francesco Ciceri a Paolo Manuzio, scritta da Milano il 1 di settembre del 1.569, in cui racconta quanto ne suoi studi venisse assistito da Ottaviano Ferrari, da Bartolommeo Capra e da Annibale Croce, è stata pubblicata dal ch. sig. can Bandini (Collrct. vtter. Moti uni. p. 123). [p. 380 modifica]il suddetto abate Zaccaria (l. cit. t. 40, p. 439), il quale per ultimo descrive “’incora il codice delfautiche iscrizioni di Como, raccolte da Benedetto Giovio (ib. p. 49)) di cui direm tra gli storici, nel qual capo altri ancora nomineremo che in somiglianti fatiche utilmente occuparonsi. E ciò basti per saggio deli’instancabile ardore con cui gl’italiani di questo secolo si volsero a ricercare, a raccogliere, a pubblicare le antichità, riparando per tal maniera il disprezzo in cui esse si eran per tanto tempo lasciate giacere.