Saggi critici/Nota

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Il darwinismo nell'arte Indice dei nomi
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NOTA

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La presente edizione comprende 45 dei saggi che costituiscono la materia dei Saggi critici1, edizione del i874, e dei Nuovi saggi critici2, la edizione del i879, tutt’e due uscite a Napoli presso il Morano, e che, dopo varie e non sempre felici riprove, sono le piú corrette perché rivedute e approvate dallo stesso De Sanctis. In piú vi sono accolti i nove saggi, non riuniti dal De Sanctis, e che sono: «Versioni e comenti di liriche tedesche», «Il Giornale di un viaggio nella Svizzera di G. Bonamici», pubblicati dall’Imbriani nel volume Scritti critici di F. d. S. (Napoli, Morano, i886): «Una commedia nuova, Clelia o la Plutomania, di G. Gattinelli», «La Fedra di Racine», «Niccolò Machiavelli», «La scienza e la vita», «Zola e [p. 330 modifica]l’Assonunoir»,» Le Ricordanze del Settembrini», «Il darwinismo nell’arte», tutti pubblicati dal Croce negli Scritti vari inediti o rari di F. d. S. (Napoli, Morano, 1898). Il Croce giustamente osservava che sarebbe giusto «fondere le varie raccolte» (cfr. Gli scritti del De Sanctis e la loro fortuna, i9i7, p. i06); ciò che qui noi abbiamo fatto, seguendo anche l’esempio del Cortese. Abbiamo naturalmente tralasciato gli scritti, non tutti egualmente importanti, che il D. S. aggiunse come riempitivi del volume (cfr. B. Croce, op. cit., p. 8) nella edizione dei Nuovi saggi critici del i879, e che erano stati reclamati dall’editore perché il volume non venisse troppo smilzo, e precisamente: «La critica del Petrarca», «Massimo d’Azeglio», «Guglielmo Pepe», «Il mondo epico-lirico di Alessandro Manzoni», «Poche parole innanzi al feretro di Basilio Puoti», «Frammenti di scuola», «Un’accademia letteraria», «Un’accademia funebre», «Mia madre», «Per la morte del Puoti», «L’ultima ora», «Parole in morte di Luigi Settembrini», «Diomede Marvasi», «Innanzi al feretro di Francesco de Luca», «Adolfo Thiers», «Nino Bixio», «Benedetto Cairoli», «Il IV Congresso degli Orientalisti»; quest’ultimo, come è noto (cfr. B. Croce, op. cit., p. i0), fu immesso nel volume all’insaputa del De Sanctis, il quale assai se ne dolse. Essi vedranno la luce, variamente distribuiti, nei prossimi volumi di questa nostra edizione critica.

Per il testo si è seguito quello riveduto e approvato dal D. S.; per gli altri nove saggi indicati piú sopra, non raccolti mai dal D. S., si è seguito il testo della prima pubblicazione in riviste od opuscoli, che abbiamo indicato in parentesi quadre alla fine di ogni saggio. La stessa indicazione, del resto, riguardante la prima pubblicazione, si è fatta anche per tutti gli altri scritti. Le varianti piú notevoli fra la pubblicazione originaria e la raccolta in volume, saranno indicate qui di seguito al luogo di ogni saggio. Nella stessa sede saranno sempre indicati, quando esistono, gli autografi e i manoscritti: di essi si è collazionato il testo e si sono segnate le varianti importanti.

Per la grafia si è rispettato l’uso del De Sanctis, il quale per esempio scrive si può dire costantemente -ii invece di -i in plurali come artifizii, studii, letterarii, principii, primordii ecc. (Solo nell’«Epistolario di Giacomo Leopardi», che è del i849, e non è di mano del De Sanctis, ma del Massari, nel manoscritto troviamo l’-i scempio). Il D. S. usa la j nei casi dove questa è richiesta, come in noja, ajuto, Pistoja, ecc. Per lo stesso criterio sono state rispettate [p. 331 modifica]le oscillazioni tra diritto e dritto, tipiche negli scrittori meridionali, che dicono sempre piuttosto dritto che diritto, e fra obblio e oblio, benché certi editori abbiano creduto di correggere ammodernando e uniformando la grafia. Cosi anche per le citazioni si è seguito il testo approvato dal D. S., anche dove questo era manifestamente inesatto o addirittura errato, perché è evidente che il D. S. sviluppava la sua critica sulla citazione che aveva in mente e che riporta nella stampa; senza dire che può avere un interesse sapere come l’autore ricordasse o riformasse i testi a mente. La citazione esatta è stata ripristinata nella edizione commentata, che seguirá a questa edizione critica, per ogni singolo saggio.

Le note del D. S. sono segnate sempre con un asterisco, e quando nella stessa pagina sono diverse, allora gli asterischi successivi al primo sono appoggiati ad un numero progressivo (2, 3, 4 ecc.). Persuasi che il lavoro di ogni nuovo editore rivede le edizioni precedenti, non per negare importanza a! lavoro altrui, elenchiamo gli spropositi piú grossi che abbiamo schiumato dall’edizione Cortese (apparsa a Napoli, Morano ed., dal ’30 al ’ 33 ), che è la piú degna, e dove ha fatto ottima prova l’erudizione del curatore, ma non ugualmente l’acume filologico e il suo gusto e la sua esperienza letteraria. Questo non per ragioni di antagonismo editoriale, ma perché tali spropositi non si perpetuino in eventuali nuove edizioni. Però non ci siamo lasciati distrarre dalla compilazione di indici ideologici che sono fatti apposta per non far leggere i volumi; chi ama il De Sanctis, deve leggere il De Sanctis. Commentando alcuni anni fa i Promessi Sposi del Manzoni, un vecchio e affezionato manzonista mi propose di mettere in appendice un indice dei luoghi e degli episodi piú significativi e dei personaggi; poteva forse anche andare un tale riepilogo in una edizione scolastica, ma l’edizione che qui presentiamo di De Sanctis innanzi tutto vuol essere una reintegrazione del testo da lui pensato e scritto. Il De Sanctis era attentissimo ai particolari della sua scrittura; egli rimase sempre l’antico scolaro di Basilio Puoti, e però ebbe un senso vivo della lingua e provò i tormenti e i crucci per gli errori di stampa ed altre inesattezze. Tutto quello che si fa al di fuori del testo, deve giovare sempre all’esattezza del testo e non alla pigrizia dei lettori: i lettori pigri non son degni di leggere De Sanctis e nessun altro classico. Mi è caro poi ricordare Michele Barbi, col quale ebbi dimestichezza quotidiana per vent’anni; i suoi discorsi vertevano sempre sulla [p. 332 modifica]necessita di dare un testo degli scrittori il piú scrupoloso che fosse possibile. Ricordo le sue compresse ire per filologi di professione che poi non avevano l’amore e il rispetto della parola. Nel redigere questo lavoro di carattere filologico, ho avuto sempre innanzi l’immagine di questo Barbi, il quale faceva le boccacce tutte le volte che trovava una svista o una virgola di quelle che alterano profondamente il testo. Dicevano a Firenze che egli era l’uomo che vedeva l’universo tutto come un manoscritto da decifrare, ma la celia riconosceva per l’appunto questa sua puntualitá di lettore. In questo è valido il suo insegnamento di grande maestro di filologia; e anche quelli che parevano piú lontani da lui, si facevano docilissimi e taciti a questi suoi apparentemente esasperati insegnamenti. Come sibila l’ironia dei posteri, se con tanto gridare «De Sanctis, De Sanctis» si lasciassero correre troppo grossolane sviste e si approvasse ‘autorevolmente questa o quella edizione, senza averla controllata punto per punto. È significativo poi l’esempio sempre del Barbi, quando leggendo i Promessi Sposi con particolare acribia vi scopri dieci o dodici errori di stampa, sfuggiti allo stesso Manzoni, poiché il senso correva lo stesso (cfr. Adagio col testo dei «Promessi Sposi», Milano, i94i); di quel Manzoni, poi, che era quello attento disseminatore di virgole che tutti sanno. Anche per il testo del De Sanctis noi abbiamo fatto lo stesso, ma senza vantare le scoperte troppo ovvie; e abbiamo incluso anche alcune correzioni di carattere congetturale.

Facciamo seguire le varianti che noi abbiamo minutamente annotato, ma che abbiamo anche in parte sacrificato, per non tediare il lettore, tra la prima edizione in giornali e riviste (segnate con la sigla R), tra i manoscritti quando ci sono (segnati con le lettere Ms) e l’edizione corretta dall’autore, che è la nostra (salvo rare eccezioni, specificatamente indicate), segnata con l’indicazione delle pagine della nostra edizione, e l’edizione Cortese (segnata con le lettere Co) e quelle parzialmente offerteci dal Croce (segnate con le lettere Cr).

Da tale confronto risulterá chiaro che il testo Cortese è poco attendibile, perché il curatore si lascia guidare da criteri arbitrari e sempre variati; poi, perché ci sono molti salti, perché i testi dei poeti e degli scrittori citati sono spesso rammodernati, o presumono di essere riportati in maniera fedele ad un testo x che il D. S. avrebbe tenuto presente. [p. 333 modifica]

VOLUME PRIMO


i. - «Epistolario» di Giacomo Leopardi. — Nella Biblioteca Nazionale di Napoli esiste il manoscritto (XVI, A, 5i b), dal quale si ricavano varianti e brani soppressi nella stesura pubblicata. Ristampato nel «Cimento» di Torino, i856, il saggio fu composto nel i849, e apparve come prefazione all’Epistolario del Leopardi nella ristampa fattane dal tipografo Rondinella a Napoli: originariamente l’Epistolario era apparso a Firenze. Il Croce ha ritrovato la Prefazione anche in opuscoletto separato (cfr. B. Croce, La prefazione all’«Epistolario» del Leopardi, «La Critica», X, i9i2, p. i42 sgg.).

Varianti del manoscritto, p. i.: «Noi possiamo... condusse a tanta perfezione» il Ms dá: «Il che mi dá alcuna speranza di potere, lasciando stare lo scrittore doloroso interprete dell’umano destino, contemplare unicamente l’uomo di tanto straordinaria infelicitá e di maggiore animo». Ricordiamo altre varianti di minore importanza: «di cosa in cosa, senza legame di fatti» si legge nel Ms: «di cosa in cosa senza legami di fatti»; ivi: «come quelle che, ordinate per ordine di tempo», Ms: «come quelle che ordinate per ordine di tempi»; ivi: «racconto dei casi della sua vita», Ms: «racconto de’ vari casi della vita». Successivamente «biblioteca» e «recanatese» sono scritte con lettera minuscola, mentre nell’autografo hanno la maiuscola. P. 2: «ne usci... del mondo», Ms: «ne usciva... del Mondo»; ivi: «l’uomo», Ms: «l’Uomo»; ivi dopo «che abbraccia l’universo» nel Ms c’è questo brano, soppresso nella redazione definitiva e che il Cortese ha dato a p. 326 del primo volume dei Saggi critici da lui curati: in parentesi quadre sono segnati i luoghi distrattamente alterati dal curatore:

Ma amaro è il frutto aeil’albero della scienza, e l’uomo non è grande impunemente: anzi la stessa grandezza è dolore, costretto l’animo vastissimo in debil corpo, incompreso ai [a’] presenti, ed incalzato da desideri perenni non placati e non placabili mai. Pure chi a sua grandezza trovar potè non indegno campo in terra ; [ : ] vedere del suo pensiero nato nel suo animo divenir patria il mondo; vedere le umane generazioni inchinarsi al suo supremo arbitrio riverenti, O [o] sentire almeno ai palpiti del cuore rispondere un altro cuore; oh certo costui, come che dopo tanto cammino sospiri di desiderio ancora, e pianga innanzi all’oceano, che gli vieta [p. 334 modifica]di andare piú oltre; costui certo o gloria o possanza o amore confortò alquanto e qualche raggio vide [vede] pure in terra di quel divino, che gli agitava la mente.

Poi ancora: p. 2: «Ma a Leopardi», Ms: «Ma a Leopardi grandissimo», ivi: «nome Silvia», Ms: «nome, Silvia»; poi ancora un brano soppresso nella pubblicazione:

E non pur questo. Fingetevi pure un Leopardi, quale un pio desiderio può immaginarlo, ricco di tutto che la terra può concedere all’Uomo: voi non potreste toglierli il suo infortunio, non gli potendo togliere la sua grandezza. La quale operò che questo giovane con precoce ed amara conoscenza quello che noi stimiamo felicitá reputò illusione ed inganni di fantasia, [;] gli obbietti del nostro desiderio chiamò idoli, ozi le nostre fatiche, amaro e noia la vita, ed infinita vanitá il tutto. Cosi ei non vide quaggiú cosa alcuna pari al suo animo, che valesse i moti del suo cuore e degna fosse dei suoi sospiri; piú che il dolore, 1’ inerzia, quasi ruggine, consumò la sua vita, solo, in questo che ei chiamava [chiamò] formidabile deserto del mondo. In tanta solitudine la vita diviene un dialogo dell’uomo con la sua anima, e gli interni colloqui rendono piú acerbi ed intensi gli affetti, rifuggitisi amaramente nel cuore, poi che loro mancò nutrimento in terra. Tristi colloqui, e pur cari, onde l’uomo [,] suicida avvoltojo [avoltojo], rode perennemente se stesso, ed accarezza la piaga che lo conduce alla tomba. Ecco la morte di molti grandi intelletti : ecco la ferita insanabile di Giacomo Leopardi.

P. 2: «meraviglie... al Giordani; ed io di dieciott’anni», Ms: «Maraviglie... al Giordani, ed io a 18 anni»; ivi, dopo la citazione del Leopardi che finisce con la parola «italiano», nel Ms ci erano queste altre parole: «sublime ringraziamento che solo hanno diritto di ripetere coloro che non demeritarono di sí bella e sfortunata patria»; ivi: «Breve illusione!», Ms: «Breve illusione! Vi è un nemico che lo persegue, e lo turba, e gli grida: tu non sarai felice! La sua propria grandezza». P. 3: «ch’egli scrive di Roma: ’Delle ecc.’», Ms: «ch’egli scrive di Roma: voi lo credete giá calmo: leggete ed il sorriso di gioia vi muore in sul labbro: ’Delle ecc.’»; ivi: «che io vedo», Ms: «ch’io vedo, scrive il mesto giovane»; ivi: «fuori di loro», Ms: «fuori del loro essere»; ivi: «ed angoscioso», Ms: «ed involontario». P. 4: «principio consueto», Ms: «principio usato»; ivi: «infermitá avvalora», Ms: «infermitá accresce miseramente»; ivi: «una crudele realtá», Ms: «una spaventosa realtá, tipo miserabile dell’umano dolore»; [p. 335 modifica]ivi: «e ci è ancora altra materia di dolore», Ms: «Altra materia di dolore è ancora in queste lettere»; ivi: «il bisogno», Ms: «il bisogno e la fame»; ivi: «a’ suoi... confessa», Ms: «ai suoi... mostra». P. 5: «chinarsi mai per», Ms: «Chinarsi per»; ivi: «esempio la», Ms: «esempio ammirabile la»; ivi: «la sua serenitá», Ms: «la serenitá del suo cuore»; ivi: «e le ingiurie e le malizie e le insidie, e tutto che», Ms: «e le ingiurie e le arti e le insidie e l’ipocrisia e l’impudenza e tutto che»; ivi: «non basta a vincere», Ms: «non bastano a vincere»; ivi: «de’ suoi nemici», Ms: «de’ malvagi uomini»; ivi: «possibili di giungere», Ms: «possibile di giugnere»; ivi: «io sto qui, egli segue,», Ms: «io sto qui, egli dice,». P. 6: «E in veritá si può dire che il dolore e l’amore sieno la doppia poesia di queste lettere.», Ms: «E qui involontariamente mi ricorre all’anima quella soavissima sua poesia: Amore e Morte, e parmi veramente che il dolore e l’amore, sieno la doppia poesia di queste lettere.»; ivi: «è si alto, che», Ms: «è cosí alto e tanto perfetto, che»; ivi: «dalla scuola purista», Ms: «da quella scuola italiana moderna» (il Cortese nella nota a p. 326 della sua edizione salta l’aggettivo «italiana»). P. 7: «inchinò talora l’animo austero», Ms: «talora inchinò l’animo nobilissimo»; ivi: «Pierfrancesco, tutto vano», Ms: «Pierfrancesco tutto lieto»; ivi: «Alcuni schivi», Ms: «Molti schifiltosi». Infine il Ms termina con questo brano, che invece manca nella redazione definitiva:

Tale si manifesta Leopardi in questo libro, anima facile, soave, candida, nata all’amore, vivuta nel dolore, sempre grande: natura d’uomo eloquente. E però parmi di potere con un nome solo [solo manca nel Cortese] qualificar queste lettere, chiamandole eloquenti.

Le lettere di cui la materia è umile e comune, sono da lui scritte con superba negligenza: diresti eh ei sdegna [che isdegna] d’indorare il fango, ubbidiente all’usanza per quella stessa necessitá per la quale l’uomo assennato siegue le mode, che in suo cuore reputa stolte e ridicole. Ond’è che tutte quelle frivolezze amabili intorno a cui i cinquecentisti spendono tante eleganze, ei le gitta come le [gli] vengon giú dalla penna spesso con modi e vocaboli vivi nell’uso del conversare odierno. Nel che ei cede non che ad altri, a molti eleganti di oggi che conducono a si alto grado di raffinatezza la scienza dei saluti e degli inchini simili per avventura a quelli egregi uomini di cui al volgo piacciono i libri e annoia la presenza, tanto in queste dotte moine e smanie dell’uso comune disgraziati e disacconci.

Ma quando ei ritrae se stesso, la parola s’innalza all’altezza di lui, e prende la faccia e il colore e le attitudini e quasi il piú intrinseco e [p. 336 modifica]segreto del suo pensiero. Anzi la sua parola è il [suo] pensiero esso medesimo, se egli è vero che il pensiero preesiste a quella solo logicamente, e che nel perfetto scrittore la parola èssi sposata al pensiero prima ancora eh’ e si accorga dell’arcano connubio. In questo il fondamento dello stile: e tutte le regole che ne danno i critici non sono che derivazioni e corollari di questo principio unico. Onde non so accordarmi col Giordani, quando afferma il Leopardi aver voluto dissimulare nelle prose la sua eccedente grandezza : parendomi che appunto in questa medesimezza del pensiero e della parola, che è pregio proprio di quelle prose stia la vera grandezza e tutta la difficoltá e l’onnipotenza deH’arte. Nel che il Leopardi è di tanta eccellenza che pochi prosatori gli son pari al mondo: ed in Italia forse nessuno salvo Niccolò Machiavelli. Perocché il pensiero non è in lui cosa astratta ed estrinseca alla vita, ma ha evidenza di parola e potenza di azione : ed investe ed occupa il suo animo tutto esso 6 solo esso, agitandolo profondamente: di che nasce il carattere proprio del suo stile, la veritá eloquente. Schietta e viva rappresentazione del suo stato, ecco in che è l’eloquenza di questo scrittore: non impeti, non esclamazioni, non concetti; ogni lettera è sovente un pensiero unico, intorno a cui si aggruppano alcuni accessori, sempre nobili e delicati ed affettuosi, e ciascuno de’ quali ne contiene in sé molti e molti altri, che rimangono nella fantasia dell’autore; di maniera che il pensiero cominciato sulla carta pare si continui nel suo animo. Cosi ei non si rivela mai tutto, né tutto ad Iside s’innalza il velo: di che quella verecondia e quasi pudore, che molti nel suo stile hanno giustamente osservato.

E poi che questo spirito solitario non si nutre e non si alimenta di altro, che di se stesso, e vi si profonda tanto, che gli si toglie ogni altra vista d’intorno: donde quella che io chiamerei proprietá dello stile; per la quale egli non è mai altro che lui. Sempre nello scrivere dei piú tu trovi alcuna cosa che non è loro: reminiscenze di parlato e di scritto, di studi, di libri, sovente di sé medesimi in altri tempi e condizioni della vita. La parola è sempre in essi alcun che di estrinseco, e come di sovrapposto al pensiero: questo chiamano ornamento ed eleganza, e non è che improprietá, testimonianza di poco sano giudizio e d’ ingegno falso. Vi è un repertorio di frasi e di pensieri, comune a questa generazione di scrittori, provvisione abbondantissima; e ne vestono e adornano la loro miserie, dell’altrui belli. Servi della consuetudine, la quale rubaci a poco a poco tutt’ i piaceri della vita, e gittaci nella noia e nel vôto: ond’ è che tutto diventa mestiere, e amore e amicizia e gloria e virtú, ciascuna cosa con sue proprie usanze e cerimonie e abiti esteriori, e l’essere dá luogo al parere. Il quale difetto è principalissimo nelle lettere, imitanti per loro natura il linguaggio parlato: e spesso appo i nostri anche piú pregiati scrittori l’esagerazione delle cerimonie ricopre la povertá dell’affetto. Ma ecco qui lettere italiane, nelle quali si dá bando a tutta questa fraseologia ad imprestito e lingua di convenzione; e trovi quella casta e nobile [p. 337 modifica]semplicitá, di qua dalla quale è negligenza e volgaritá e ruvidezza, e di lá non è altro che lezi e belletti e lascivie.

Pesami il dovermi dividere da questo scrittore; che io ho adorato, come si fa di cosa perfetta, infin della mia prima giovanezza. Io l’ammirava grande nelle poesie e nelle prose, qui mi apparisce principalmente buono. Prima io mi prostrava innanzi a lui, timido d’accostarmi a tanta altezza: ora cosí soave bontá m’ invita, e sento quasi di essergli amico. E leggo le lettere che a queste seguitano di Pietro Giordani con quella gioia, onde altri ode da venerando uomo dirsi le lodi d’un suo diletto. E venero i suoi giudizi. Una sola cosa senza alcuna dichiarazione io non posso consentire a Pietro Giordani, quando ei chiama Giacomo Leopardi «la stella dell’occaso». Certo un poeta interpetre d’un popolo scaduto si può veramente chiamare Astro dell’Occaso, il quale descriva delicate voluttá, in cui quel popolo affoga la coscienza della sua perduta grandezza: tale fu Orazio. Ma quando un poeta e freme e si agita e si addolora della nullitá che gli è intorno, giá profeta ei si fa forse inconsapevole di non lontano risorgimento. Onde chiamisi pure, se cosí piace, il Leopardi la stella dell’occaso; ma sia di quel rubicondo occidente, che annunzia il ritorno di piú splendido sole.

Abbiamo trascritto fedelmente dal manoscritto napoletano, e per non andare nel pedante abbiamo trascurato di indicare i mutamenti di punteggiatura ed altre inezie. Ma non possiamo non dar rilievo a quel « le vengon giú dalla penna », dove il Cortese legge: «gli vengon ecc.»: evidentemente il pronome va riferito alle frivolezze amabili, e il le è un po’ il le aulico fiorentino per elle. E poi ancora non è trascurabile la grafia di non che, piú che, alcun che, che il D. S. scrive diviso, e che in Co diventano poiché, nonché, alcunché. Ma piú grave di tutti quel «lezi», che in Co diventa «lezzi», quasi fosse plurale di lezzo!

Per altri rilievi su questo saggio, ricorderò quell’« interiore o esteriore » che c’è nel Ms, e che c’ è anche nella stampa, nel giornale «Il Cimento» (a. IV, s. IV, vol. VII, i856) e che il Cortese capovolge in «esteriore o interiore»; non accettiamo nemmeno dal Cortese «discostino» (p. 6) al posto di «discostano», lezione concorde di manoscritto, giornale e volume desanctisiano : soltanto l’Arcari (Saggi critici di F. d. S., prima edizione milanese, i9i4, I, pp. 209-2i0) ha discostino. Ma a parte la lezione prevalente nei testi del D. S., la stessa interpretazione (filologicamente bisogna anche interpretare) porta all’ indicativo e non al congiuntivo.

L’articolo del «Cimento» si chiude con queste parole, [p. 338 modifica]soppresse nel volume : «Mostrata la materia di queste lettere, possiamo ora determinarne il valore, e lo faremo in un apposito articolo».

2. - Delle opere drammatiche di Federico Schiller. — È datato dal D. S. stesso «Castel dell’Ovo, giugno i850». È probabile che l’autore si lasciasse romanticamente suggestionare dal luogo della prigione, e amasse datare il suo scritto «dalla prigione», mentre è risaputo che il saggio fu preparato in Calabria dal marzo al giugno i850, e il D. S. andò in prigione soltanto nel dicembre dello stesso anno (cfr. Croce, Il soggiorno in Calabria, l’arresto e la prigionia di F. d. S., in « Nuova Antologia », i6 marzo i9i7). Esso appare come prefazione alle Opere drammatiche di Federico Schiller, tradotte da Andrea Maffei, apparse a Napoli (Fibreno, i850); ma con la stessa data ne abbiamo visto l’edizione Le Monnier, che il Cortese ritiene un falso editoriale. Ad ogni modo, noi ci siamo attenuti al testo definitivo, approvato dal D. S. nella edizione dei Saggi critici del i874.

Diamo la collazione del testo D. S. col testo Co.

Il D. S. usa scrivere in questo periodo (1850) «Shakspeare»: poiché si tratta di grafia oscillante nei tempi in cui il saggio fu composto (si ricordi la sfuriata del Carducci in una lettera giovanile sulla grafia di questo barbaro nome3), abbiamo adottato la forma genuina; cosí, scriveva « Machbet », e noi abbiamo anche qui adottata la forma genuina. Il D. S. a p. 3 scrive Barbaro, Cavaliere errante, Barone, Re, Pontefice e Imperatore tutte con la maiuscola. A p. 4 ; «quella sieguono», Co: «quella seguono». P. 6: D. S. : «l’armonia è spenta, la luce è distrutta», Co: « l’armonia è distrutta, la luce è spenta ». Abbiamo rispettato poi l’oscillazione che c’ è in D. S. tra giovane e giovine; piú grave invece è la variante di p. 8 : «è giá scaduto dalla sua prisca grandezza» : quel dalla va corretto in della. A p. i0 il D. S. parla del Poeta e dell’Artista, scrivendo tutte e due le volte con la maiuscola; a p. i2 il D. S. scrive Aristotile che è la forma di gran lunga da lui preferita, mentre il Co ha Aristotele. A p. 20, in nota, «Luigi Lavista» [p. 339 modifica]scriveva il D. S., e non «La Vista», come scrive il Co. A p. 22 «l’Uomo non ci basta piú», mentre il Co legge con la minuscola. Senonché tale è il tono e il significato enfatico della parola, in quel luogo, che noi abbiamo ripristinato la stampa D. S. con l’U. A p. 23 pure si ha Umanitá.

Ci sono, poi, leggerissime varianti tra l’edizione in volume Le Monnier (vedi sopra) e l’edizione dei Saggi critici: «pensarla» invece di «pensare» del testo attuale a p. 9; «per sempre» al posto di «pur sempre» a p. 8; «di delicato e di suave» al posto di «di delicato», p. i3; «della qual cosa non che altro fa fede» invece di «di che fa fede», a p. i5; «dal pensiero moderno» al posto di «dal pensiero » a p. i6; «una lunga espiazione» invece di «una espiazione», p. i8; «Grande è il suo potere sulle sorti dell’individuo», che andava dopo le parole «chiamiamo il caso.», è stato tolto nella edizione del i874 (p. 2i).

Dal Ms non ricaviamo alcuna variante, perché ci sono solo bozze e appunti.

3. - «Beatrice Cenci» di F. D. Guerrazzi. — Fra la prima pubblicazione nel giornale «Il Cimento» di Torino, i855 (indicato con R) e il testo accolto nel volume dal D. S. ci sono le seguenti varianti: p. 25 r. i4: «dinanzi», R: «dinnanzi». P. 26 r. 8: «quale è», R: «qual’è»; ivi r. i5: «intravedere», R: «intravvedere»; ivi r. 22: «de’ fatti o delle cause», R: «de’ fatti; la veritá filosofica è l’esistere materiale delle cause»; ivi r. 26: «anch’esse», R: «anch’essi». P. 27 rr. 4-5: «Esatto compilatore di tutto ciò che è fatto e circostanza», R: «Esatto compilatore di tutto ciò che il cinquecento ha di estrinseco, di tutto ciò che è fatto e circostanza»; ivi r. 23 : «ci bisogna», R: «ei bisogna». P. 28 r. i7: «v’impaccia», R: «s’impaccia»; ivi r. 29: «comecché», R: «comeché». P. 29 r. 35: «in sé alcun contrasto», R: «in sé alcuna varietá, alcun contrasto». P. 30 rr. i8-i9: «ricercando», R: «ir cercando» (lezione da noi accettata); ivi rr. 2i-22: «ammireremmo», R: «ammireremo». P. 3i r. 26: «semplice prete» R : «semplice di prete». P. 32 r. i2: «meglio a fare», R: «meglio avere a fare». P. 33 r. i8: «cui lo rassomiglia», R: «a cui lo rassomiglia »; ivi r. 26: «le asciugan», R: «gli asciuga». P 34 rr. i4-i5: «ad una bella», R: «ad una donna bella»; ivi r i6: «sacrificio», R: «sagrificio»; ivi r. i7: «obliarsi», R: [p. 340 modifica]«obbliarsi»; ivi: «sicché all’udire», R: «si che all’udire»; ivi r. 28: «verisimile», R: «verosimile». P. 35 r. 25: «riacquistata», R: «racquistata». P. 36 r. 23 : «ostinate », R: «ostiniate». P. 38 r. g : «acuto e splendido», R: «splendido e acuto». P 39 r. 29: «gridate», R: «gridiate»; ivi rr. 2-3: «cadavere», R : «cada vero»; ivi rr. 34-35 : «ingegnose», R: «ingegnosi». P. 40 r. 2 : «interrotto, veemente,», R: «interrotto, disordinato, veemente,»; ivi rr. i3-i4: «scrittore francese, è la fantasia», R: «scrittor francese; è la fantasia». P. 42, r. 36: «sacrificarono», R : «sagrificarono». P. 43 r. 4 : «a Guerrazzi», R: «al Guerrazzi»; ivi r. ii [manca], R: «v’ingannate!» (adottato lezione di R); ivi r. 2i: «attrattive», R: «attrattivo»; ivi r. 25: «possa riescirvi.», R: «possa egli riescirvi».

Il Cortese poi da parte sua introduce le seguenti varianti, non si sa con quale fondamento : a p. i03 (testo Cortese) « dallo Shelley »

invece di « dal Shelley »; a p. i04 « aggiunge » invece di «aggiugne» del testo desanctisiano; a p. i08 «aggiungere» invece di «aggiugnere»; a p. ii2 «mostro è il suo» invece di «mostro il suo»; p. i09 «Moor» invece di «Moore»; p ii4 « esausta! I fiori » invece di «esausta; i fiori»; a p. ii6 «con le mani di rosa» invece di «dalle mani di rosa»; a p. ii7 reintegra cosí il brano del Guerrazzi : «La sventura certo aveva battuto le ale intorno a codesta fronte...; ma l’era venuto meno lo ardimento per lasciarvi sopra una traccia inamabile, e passò oltre», che invece il D. S. riferisce cosí: «La Sventura, meno audace di Cupido, batte le ale intorno alla fronte, ma le vien meno lo ardimento per lasciarvi sopra una traccia inamabile, e passa oltre»; a p. ii8 «col medesimo azzurro» invece che «dal medesimo azzurro»; a p. i2i «algebrica» invece di «algebraica»; a p. i22 «padre amatissimo» invece di «padre santissimo»; infine a p. i22 mette un « v’ ingannate! » che era nel testo del «Cimento» ma che manca nel testo in volume.

Per le variazioni di apostrofo non si può dire che il D. S. seguisse una regola costante, ma seguiva la regola musicale dell’orecchio che cambiava a volta a volta; in R sono preferite certe forme auliche, reminiscenze dell’antico puotismo, sagrificio, racquistata, cadavero, come pure sono preferite certe forme congiuntivali, quali ostiniate, gridiate, che diventano poi ostinate, gridate, quando egli si senti piú libero dalle regole grammaticali della scuola. [p. 341 modifica]

4. - «L’ebreo di Verona » del padre Bresciani. — Fra la pubblicazione del giornale («Il Cimento», febbraio i855) e il testo del volume dei Saggi critici i874) ci sono le seguenti varianti: p. 46 r. i2: «morto», R : «morte»; ivi rr. 20-2i: «e sciocchezza», R: «e la sciocchezza». P. 47 r. i2: «ciascuno a carezzarla», R: «ciascuno carezzarla»; ivi r. 25 : «Messeri», R: «Messere». P. 48 r. 3i: «un’immagine», R: «un’imagine»; ivi r. 32: «e il Prato spirituale», R: «o il ecc.». P. 49 r. 9: «l’animo», R: «l’anima». P. 57 r. 24 : «colui che si sente», R: «quegli ecc.». P. 58 r. 6: «chiamavano», R: «chiamano». P. 59 r. 20: «parola», R: «parole». P. 62 r. i9: «consuman le case», R: «consuman le cose»; ivi r. 24: «riescono quello», R: «riescono quelle teste». P. 63 r. 28: «cuore appassionato», R: «cuore passionato»; ivi r. 3i : «sempre in una cosa», R: «in sempre una cosa». P. 64 r. i3: «sfogando», R: «disfogando». P. 65 rr. 28-29: «da sei cavalli neri», R: «a sei cavalli neri». P. 66 r. 27: «a descrivere», R: «al descrivere». P. 67 r. i9: «l’obbietto per», R: «l’obbietto che deve descrivere per». P. 69 r. i8: «triste riflessione», R: «trista riflessione»; ivi r. 28: «domestichezza», R: «dimestichezza»; ivi r. 29 : «parte famigliare», R: «parte familiare».

Il Cortese poi introduce le seguenti varianti : p. 46 r. i0 : «sforzati», Co «forzati». P. 49 r. i9: «innanzi innanzi agli svizzeri», Co «innanzi agli svizzeri». P. 50 r. 22 : «annoiare e di annoiarsi», Co «annoiare e di annoiarci». P. 53 r. 25 : «ve ne ho giá fatto», Co «ve ne ho giá fatti». P. 54 r. 20: «ed atroce», Co «e di atroce». P. 55 r. 34 : «ci bolliva in», Co «bolliva in». P. 57 r. i0: «nelle vene scorrersi», Co «scorrersi nelle vene». P. 65 rr. 22-23: «guarnacchette», Co «guarnachette». P. 66 r. 28: «dell’enorme provvisione», Co «dall’enorme provvisione»; ivi r. 35 : «faccia trista», Co «faccia triste». P. 67 r. 20 : «sulla sua fantasia», Co «nella sua fantasia»; ivi rr. 25-26: «va a capello», Co «va a cappello». P. 69 rr. i2-i3: «e s’avventano », Co « o s’avventano».

5. - «Satana e le Grazie». Leggenda di Giovanni Prati. — Il Ms conservato alla Nazionale di Napoli (XVI, A, 5i g) presenta le seguenti varianti rispetto all’edizione in volume: p. 7i r i3: « bestemmia, sono », Ms «bestemmia, un lungo ululato, [p. 342 modifica]come direbbe il Prati, sono». P. 74 rr. 33-34: «sono ora rappresentati», Ms «sono rappresentati». P. 75 rr. i5-i6: « che si fanno... la è troppo: », Ms «che si facciano... la è troppo grossa:»; ivi r. 26: dopo le parole «È matto!», Ms ha questo brano cancellato: «Se non che sia detto con la debita riverenza, il Fischietto questa volta non si è levato a quell’altezza che dovevamo prometterci dal suo spirito: potea fare una eccellente caricatura, rimanendo nel campo plebeo delle allusioni, de’ giuochi di parole: è riuscito in una freddura. Egli è vero che lo spirito è un essere capriccioso che non viene ogni volta che tu lo chiami : e disubbidisce talora anche al Fischietto». P. 76 r. 8 : «sue speculazioni», Ms «sue alte speculazioni»; ivi r. i6: «un insegnamento, uno scopo», Ms «un insegnamento o uno scopo». P. 77 r. 3i: «subiettismo», Ms «subiettivismo». P. 78 r. 2 : «dal di dentro del quale», Ms «di dentro del quale». P. 88 r. 34: «mai Alfieri si è», Ms «mai Alfieri non si è ». P. 89 r. i6: «giovanotti», Ms «giovinotti». P. 93 r. 6: «non si spiega», Ms «non si dispiega». P. 98 rr. i0-ii: «astrazione», Ms «astrazioni». P. 99 r. i3: «fattizia e artificiale», Ms «fittizia e artificiale».

Varianti fra la pubblicazione in giornale («Il Cimento» {{Sc|i855) e il testo del volume: p. 73 r. 4: «leggeri», R «leggieri»; ivi r 8: «e coloro gli turbano», R «e che coloro ecc.». P. 77 r. 3i: «subiettismo», R «subiettivismo». P. 84, r. i4: «epica è qui», R «epico è qui». P. 85 rr. 22-23: «rappresentati e rappresentanti», R «rappresentanti e rappresentati». P. 92 r. i6: «potenza creatrice», R «potenza creativa». P. 94 r. 20: «se ne fosse valso», R «se ne fosse valuto». P. 98 rr. i0-ii: «non astrazione», R «non astrazioni».

Ecco le varianti introdotte dal Cortese: p. 7i rr. 2 e i5: «palco scenico», Co «palcoscenico». P. 74 r. i4 : «di sé», Co «in sé». P 9i rr. i4-i6: «sentimento?... Parlò», Co «sentimenti, ... Parlò?». P. 92 r. 9: «stordendoti», Co «stordendovi».

Si avverte una volta per tutte che Co reintegra o corregge ammodernando le citazioni che D. S. fa da poeti o scrittori nei suoi saggi; noi non abbiamo creduto di dover rivedere queste correzioni del Co, ma abbiamo soltanto restaurato il testo desanctisiano, secondo il criterio illustrato piú sopra (p. 33i).

6. - Veuillot e la «Mirra». — Varianti fra la pubblicazione in giornale («Il Piemonte» i855) e il volume: p. i00 r. 4: «a cui [p. 343 modifica]esso mira.», R «a cui porta il diritto divino.»; ivi r. 5 : «Gazette de France», R « Gazzetta di Francia»; ivi r. ii : «del tutto», R «al tutto»; ivi r. 20: «Pensieri, al diavolo il Pascal delle Provinciali», R mette Pensieri e Provinciali in carattere comune e minuscolo. P. i0i r. ii : «si sdegna», R «s’indegna»; ivi r. i6 «tutto collera», R «tutto collera e rabbia»; ivi r. 3i: «non gli è avvenuto », R «non gli è incontrato». P. i02 rr. 4-5: «alcun che di aspro», R «alcuna cosa di aspro»; ivi, r. 22: «se non si sta», R «che non si stia»; ivi r. 28: «Quale audacia, anzi sfrontatezza di giudizi», R (manca); ivi r. 36: «con l’aria imperiosa», R «con l’aria dispotica».

7. - Pier delle Vigne. — Ecco le varianti del manoscritto, di due mani diverse, conservato alla Biblioteca Nazionale di Napoli (XVI, c. 49) : p. i04 r. 2 : «queste lezioni», Ms «le mie lezioni»; ivi r. 5 : «o signori», Ms «signori»; ivi r. i0: «alle lezioni di Ozanam», Ms «alle eloquenti lezioni di Ozanam»; ivi r. i2: «mi ricordo aver veduto», Ms «mi ricordo di aver veduto»; ivi r. i4: «giovinette inglesi», Ms «signorine inglesi»; ivi r. i7: «il Goeschel», Ms «il dottissimo Goeschel». P. i05 r. 3: «gloriosi maggiori», Ms «gloriosi antenati»; ivi r. 6 : «della povertá de’ miei studi», Ms «della povertá dei miei studi e di altrettali luoghi comuni»; ivi rr. ii-i2: «una introduzione, un discorso inaugurale», Ms «una introduzione, o un discorso inaugurale»; ivi r. i6: «pria», Ms «prima»; ivi r. i9: «eh’ io posso spiegarvi», Ms «che io vi posso spiegare»; ivi rr. 23-24: «ad una scelleraggine premiata, ad una realtá», Ms «ad una grande scelleraggine trionfante, innanzi ad una realtá»; ivi r. 28: «una delle facce del mondo», Ms «una delle facce, sotto le quali si presenta il mondo»; ivi r. 30: «né giá messe cosí insieme a caso», Ms «non messe cosí insieme a casaccio»; ivi r. 33: «regresso dall’umano al bestiale», Ms «regresso dal bene al male, dall’umano al bestiale». P. i06 r. 2: «da vizio o da malizia, o da fredda premeditazione come nei fraudolenti e nei traditori; il male procede da impeto di passione, da violenza di carattere», Ms «da vizio, da malizia, da calcolo, come ne’ fraudolenti e ne’ traditori che vengono in ultimo: il male procede e da impeto di passione, e da violenza di carattere»; ivi r. 5 : «in ammirazione. Io voglio», Ms «in ammirazione. E ci commuove in Francesca da Rimini non la sua colpa ma la sua infortunata passione, ed ammiriamo in Farinata e Capaneo non l’eretico o il [p. 344 modifica]bestemmiatore, ma l’indomata volontá, che nell’uno torreggia sopra il suo letto di foco e nell’altro sopravvive al fulmine di Giove. Io voglio »; ivi r. 9: «Il Costa, il Colombo, il Cesari che vanno in estasi», Ms «il Costa e il Colombo che vanno in estasi»; ivi r. i0 : «al cigolare, ed al divellere, ed al balestrare, ammirando con ragione tanta proprietá o vivacitá di vocaboli; questi sono i comenti grammaticali», Ms «al cigolare, ammirando a ragione tanta proprietá di vocaboli; è il Cesari che va in visibilio innanzi al divellere ed al balestrare; questi sono comenti grammaticali»; ivi r. 22 : «capolavori», Ms «capilavori»; ivi r. 28 : «le guancie di Giulietta», Ms «le gote di Giulietta»; ivi r. 29 : «giace stupida materia», Ms «giace immobile e stupida materia»; ivi r. 32 : «che narrano di», Ms «che vi parlano di»; ivi r. 33: «raccontano fatti e accidenti scompagnati dai caratteri e passioni», Ms «narrano fatti ed accidenti scompagnati dalle passioni e da’ caratteri». P. i07 r. i3; «Né dico ciò a biasimo dei cementatori o dei comenti», Ms «né il dico giá a biasimo de’ comenti o de’ comentatori»; ivi r. 25 : «Sorta in Germania, distesasi in Francia, ella ha avuto fra noi», Ms «sorta in Germania, si è distesa in Francia, ed ha avuto in Italia». P. i08 r. ii: «fa una lezione», Ms «fa una lezione speciale»; ivi r. i5 : «Delavigne, di Barbier, di Victor Hugo? ed egli fa la storia di Luigi Filippo», Ms «Delavigne, e di Barbier, e di Victor Hugo ecc.? ed egli vi fa la storia del regno di Luigi Filippo»; ivi r. i9: «alla francese. È una base troppo generale, ma è sempre una base, e potremo cosí meglio conoscere», Ms «alla francese: è una base generale, ma è sempre una base; e noi potremo cosí toccare». P. i09 r. i7: «la propria libertá, costituisce la grandezza morale dell’antico suicidio e lo rende sublime: Morire innanzi che servir sostenne. Nello spiritualismo», Ms «la propria libertá ed indipendenza costituisce la grandezza morale dell’antico suicidio e lo rende sublime. Nello spiritualismo»; ivi r. 23 : «per non venire a mano dei Romani», Ms « per non capitare in mano dei Romani»; ivi r. 27: «un cosí raro esempio», Ms «un cosí caro esempio»; ivi r. 30 : «esemplare», Ms «tipo». P. ii0 r. i2: «un concetto generalissimo», Ms «un concetto generale»; ivi r. i4: «storia, scienza, pittura, scultura, ecc.; applicabile a tutti gli scrittori», Ms «storia, scultura, pittura ecc., applicabile a tutti gli autori», ivi r. i6: «invano in questa generalitá noi cerchiamo», Ms «invano noi vi cerchiamo»; ivi r. i8: «me la [p. 345 modifica]purgate delle amplificazioni», Ms «me la spogliate delle amplificazioni»; ivi r. 33 : «È la riproduzione del peccato», Ms «È la riproduzione del delitto». P. iii r. 5: «separatasi violentemente», Ms «separatasi volontariamente»; ivi r. 8: «corpo estraneo di natura inferiore», Ms «corpo estraneo ed inferiore»; ivi r. 20: «per manco di calore e di forza», Ms «per manco di calore e di ingegno»; ivi r. 26: «si dee disnodare, e procedere ad una vita ulteriore? Vi è innanzi una pianta che, avendo in sé incarcerata un’anima d’uomo, geme e sanguina e parla», Ms «si dee sviluppare e procedere ad una vita ulteriore? Avete innanzi una pianta, che geme e sanguina e parla»; ivi r. 28: «dalle forme naturali», Ms «dalla natura»; ivi r. 32 : «il sentimento che ne rampolla? Il suicida non è un eroe secondo il concetto pagano, ma neppure uno scellerato: è un uomo debole e talora anche giusto, che si uccide per impazienza», Ms «il sentimento che se ne genera? Il suicida non è uno scellerato, ma un uomo debole e talora anche giusto, che si toglie la vita per impazienza ». P. ii2 r. 3: «e perciò non disgusto né orrore, ma esso», Ms «e però non orrore o disgusto, ma esso»; ivi r. 8 : «proporsi altro che di porre», Ms «proporsi altro e di porre»; ivi r. i2 : «nella luna sieno abitanti e che essi sieno», Ms «nella luna fossero abitanti; e che essi fossero»; ivi r. i4: «fantastico. La selva dei suicidi è per noi fantastica, perché si discosta dalle forme terrene: e piú date rilievo a questo contrasto, e piú cresce la maraviglia», Ms «fantastico; quelle forme sarebbero al tutto secondo natura. La selva di Dante è per noi fantastica alla nostre forme terrene; e piú date rilievo a questo contrasto, piú cresce la meraviglia»; ivi r. 20: «si agghiaccia nelle vene ecc.; nella stessa situazione», Ms «si agghiaccia nelle vene, e cotali altri piccoli mezzi di piccoli ingegni; nella situazione»; ivi r. 22; «Poiché, chi è lo spettatore? È un uomo, è Dante stesso», Ms «Poiché, chi è colui che guarda questo spettacolo? È un uomo. Dante stesso»; ivi r. 29: «Fatti pochi passi, gemiti umani gli giungono all’orecchio, senza veder persone; il contrasto scoppia di nuovo, e non in frasi ed antitesi», Ms «Fatti pochi passi, odi i lamenti delle Arpie, i quali niente hanno che esca dalla natura: il poeta vi corre su con un verso solo: ‛Fanno lamenti in su gli alberi strani’. Ma quando gemiti umani gli giungono agli orecchi, senza veder persone, il contrasto scoppia di nuovo, e non piú in frasi ed antitesi». P. ii3 r. i : «senza persone che gemono», Ms «senza persone che [p. 346 modifica]gemessero»; ivi r. i3: «Dante non accetta l’innaturale», Ms «Dante non accetta il soprannaturale»; ivi r. i4 : «ad istanza di Virgilio coglie un ramoscello da un gran pruno», Ms «ad istanza di Virgilio, porge la mano avante, e coglie un ramoscello da un gran pruno»; ivi r. 23: «insino al suo estremo», Ms «al suo estremo»; ivi r. 30 : «di che ecco qui un nuovo e stupendo esempio. Credete voi», Ms «di che vedete qui un nuovo e stupendo esempio. Eccovi un personaggio che vi parla di cose importanti; perché voi siete distratto? Perché invece di udirlo, voi guardate a’ suoi abiti, al suo cappello, ai suoi gesti? Perché in quell’abito, in quel cappello, in que’ gesti vi dee essere qualcosa di straordinario, che tira a sé i vostri sguardi, e vi chiude l’adito ad ogni altra impressione. Credete voi che Dante». P. ii4 r. 2: «alle parole dello spirito?», Ms «alle parole del tronco»; ivi r. i2: il luogo «Ciò che colpisce Dante alla sua ultima punta» ha sostituito quello del Ms : «Il che ci spiega un’altra cosa»; ivi r. 33: «il patetico vi si può dispiegare», Ms «il patetico prorompe da tutte le parti». P. ii5 r. 8: «è un ignoto che parla ad ignoto e la pietá scaturisce da una fonte ben piú profonda», Ms «è un ignoto che parla d’ignoto; e la pietá rampolla da una fonte ben piú alta e ben piú profonda»; ivi r. i3: «mi scerpi? — È una pietá che ha la sua radice nel fondo stesso della situazione, quale si sia l’uomo che parli. E la pietá si leva fino allo strazio, quando il concetto esce fuori in un vivace contrasto; è il qualis erat! quantum mutatus ab illo! Il ‛fummo’ e il ‛siamo fatti’», Ms «mi scerpe? E la pietá giunge allo strazio, quando il concetto esce fuori in un vivace contrasto». P. ii6 r. i: il brano: «E qui lo spirito... tutto vano del suo uffizio» ha sostituito il seguente del Ms: «Gran mago è Dante o signori. Dov’è piú l’inferno? Dov’ è il tronco? Noi siamo in Napoli nella corte di re Federico e ci è innanzi un cancelliere in cappa e stola, tutto vano del suo uffizio»; ivi r. i0 : «a suo senno le chiavi del cuore di Federico», Ms «al suo senno il cor di Federico »; ivi r. ii: «che in lui pone il suo signore», Ms «che in lui ponea»; ivi r. i3 : il brano «onori tornati in lutto... non è commosso ancora da quello che dice» ha sostituito il luogo seguente del Ms : «onori tornati in lutti, la gioia volta in mestizia; che non sa sostenere il nuovo suo stato e si uccide per disdegnoso gusto, un uomo colto, che si esprime con grazia, con antitesi, con metafore, con concetti, con frasi a due a due. Come i frati minor vanno per via», [p. 347 modifica]gl’infiammati infiammarono Augusto; — lieti onori tornarono in tristi lutti — per disdegnoso gusto credendo fuggire disdegno — ingiusto fece me contro me giusto — perché questi giuochi di parole e questi concetti? Pier delle Vigne non è commosso ancora da quel che dice». P. ii7 r. 3: «può bene usare una personificazione rettorica, la meretrice che infiamma», Ms «può bene uscire in una personificazione rettorica, che infiamma»; ivi r. 6: «a risvegliare in lui una ricordanza o una immagine : è un concetto che gli esce dal labbro. Si sente in lui non l’uomo, ma il cortigiano o il trovatore. Ma vi è una cosa», Ms «a risvegliare in lui un sentimento o un’ immagine, ed è un freddo concetto che gli spunta dal labbro. Ma vi è una cosa»; ivi r. i0 : «l’accusa che gli è lanciata... avanza viva e presente», Ms «l’accusa ch’egli {sic) è lanciata contro di traditore. Allora quest’uomo sdimentica quello che in lui di artificiale e di consueto (sic), ed accendendosi la sua fantasia, il suo linguaggio diviene semplice ed eloquente. Quest’uomo non ha piú parte alcuna di uomo; ma una sola cosa gli avanza ancora viva e presente»; ivi r. 2i: «strazia il cuore a vedere un tronco... qualche cosa di vivente», Ms «strazia l’anima a vedere il tronco, che raccomanda in nome delle sue radici ancor nuove quella parte che gli rimane di sé uomo ancora. La sua memoria è qualche cosa di vivente»; ivi r. 26: «distrugge il fantastico: il misterioso vien meno», Ms «distrugge il fantastico, il misterioso sparisce»; ivi r. 33 sgg., fino in fondo al saggio («Qui il fantastico è spiegato... del ridicolo e del disgustoso») è in Ms cosí: «Qui il fantastico muore; ma rimane il patetico anzi si accresce. È un suicida, che spiega la pena del suicidio, e narrando la storia dell’anima suicida, narra la propria storia, sul suo labbro vi è anima, e nella sua coscienza vi è io. La sua parola si colora, la sua immaginazione si riscalda. L’anima si parte dal corpo, e quel partire si accompagna con altre idee accessorie, e diviene un divellere : l’anima non si parte dal corpo ma se ne svelle. L’anima cade nella selva; ma altre idee pullurano (sic) in lui, l’immensitá dello spazio percorso, l’impeto e la velocitá della caduta, e quel cadere diviene balestrare. Il narratore mescola sé nella narrazione; la terza persona va via; al parte, al cade, al surge succede verremo e trascineremo, e la pietá giunge al sommo, quando egli ci addita fra gl’altri corpi il suo corpo pendentegli innanzi.

« Tale è questo canto, una ricca armonia, che dal misterioso [p. 348 modifica]e dal fantastico si va diradando in suoni flemili (sic) e soavi. Ed ora addio grandi caratteri e grande (sic) passioni! ma le bolgie (sic) ci attende la-sede dell’atroce, del ridicolo e del disgustoso.»

Varianti tra la prima pubblicazione («Spettatore» di Firenze, i855) e il volume: p. i04 r. i2: «mi ricordo aver», R «mi ricorda di aver»; ivi r. i6: «Matilde e Beatrice», R «Matilde o Beatrice». P. i05 r. i6: «pria d’ introdurli», R «prima d’ introdurli». P. i06 r. 27: «capolavori», R «capilavori». P. i08 r. 28 : «suicida è Catone», R «suicidio è Catone». P. i09 r. 29 : «e non in mano», R «e non è in mano»; ivi rr. 3i-32 : «raro esempio», R «caro esempio». P. no rr. 2-3: «serenitá... semplicitá», R «semplicitá... serenitá»; ivi r. 4 : «grave la vita», R «greve la vita»; p. iii rr. 5-6: «separatasi violentemente», R «separatasi volontariamente». P. ii3 r. i: «persone che gemono», R «persone che gemano»; ivi r. 20 : «spirto di pietade», R «spirto di pietate». P. ii4 r. 19: «con sole gradazioni», R «con solo gradazioni ». P. ii5 r. ii: « è declinata a », R « è dechinata a ». P. ii6 r. 8: «stile, vi troviamo», R «stile, al modo ond’egli s’esprime, vi troviamo»; ivi r. ii: «senno le chiavi del cuore», R «senno il cuore»; ivi rr. 27-28 : «ed eleganza», R «e con eleganza»; ivi r. 29:. «a due a due: morte», R «a due a due, come i frati minor vanno per via, morte». P. ii7 rr. 3-4: «rettorica, la meretrice che infiamma», R «rettorica, che infiamma»; ivi rr. 7-8 : «labbro. Si sente in lui non l’uomo, ma il cortigiano e il trovatore. Ma», R «labbro. Ma»; ivi r. i0 : «lanciata di», R «lanciata contro di»; ivi rr. ii-i2: «scalda, di sotto alla veste del cortigiano spunta l’uomo, e il suo linguaggio», R «scalda, ed il suo linguaggio»; ivi r. 23: «ancora uomo, la sua memoria. Essa è», R «uomo ancora. La sua memoria è». Pp. 117-{{Sc|ii8: «cessa di essere», R «cessò di essere». P. ii8 r. i9: «ricorda insieme la», R «ricorda la»; ivi r. 26: «che infiamma la pietá», R «che rinfiamma la pietá»; ivi r. 28 : «mai rivestire», R «rivestire»; ivi r. 29 : «una mestizia ineffabile», R «una ineffabil mestizia». P. ii9 r. i: «corpi che penzolano», R «corpi che spenzolano».

Del Co segnaliamo queste due varianti, che crediamo abbastanza notevoli : a p. i09 r. 4 «domanda la parola», Co «domanda parola», p. ii6 r. 28: «finamente educato», Co «finemente educato».

8. - La «Divina Commedia». Versione di F. Lamennais. — Varianti fra la pubblicazione in giornale («Il Cimento» i855) e il [p. 349 modifica]volume: p. i20 r. ii: «si scrupolosa», R «tanto scrupolosa». P. i2i r. i6: «rimanere sul generale», R «rimanere sui generali». P. i22 r. 2i: «scolare», R «scolaro». P. i23 r. i7: «parola a doppia faccia», R «parole ecc.»; ivi r. i8: «ci mostra», R «ci mostrano». P. i25 r. 8: «dee mostrarmi», R «dee rimostrarmi»; ivi r. 25: «si ritorna o si ripiega», R «ritorna o si ripiega». P. i28 r. 8: «una sciarada», R «uno sciarado»; ivi r. 2i: «il triste presente», R «il tristo presente»; ivi r. 33: «sia assai profondo», R «è assai piú profondo»; ivi r. 36: «giovinezza», R «giovanezza». P. i34 r. i7: «Dante, ci dice», R «Dante, quasi per rifarlo, ci dice».

9. - Giulio Janin. — Varianti fra la pubblicazione in giornale («Il Piemonte» i855) e il volume: p. i36 r. i0: «chi ragiona», R « chi ingiuria» (la lezione da noi scelta è quella di R, e non l’altra, evidentemente erronea). P. i37 r. 3i : «si levi un poco», R «si levi un’po’ poco». P. i39 r. i0: «Saint Victor e Janin!», R «Janin e Saint Victor».

i0. - Janin e Alfieri. — Varianti fra la pubblicazione in giornale («Il Piemonte» i855) e il volume: nel giornale, in questo come in altri saggi, il D. S. scrive «Macchiavelli», mentre nelle raccolte posteriori correggerá sempre «Machiavelli». P. i44 r. 2i : «Signor Alfieri», R «Signore Alfieri». P. i45 r. i:«fattarelli», R «fatterelli». P. i47 r. i : «della natura e dell’arte», R «della natura o dell’arte»; ivi r. 9: «attrae», R «attira»; ivi r. 20: «nel vedermi nato», R «del vedermi nato». P. i50 r. 20: «Colombo passava », R «quando Colombo passava»; ivi r. 29: «prosontuoso», R «presuntuoso». P. i5i r. 8: «leggicchiati», R «legicchiati». P. i54 r. i : «se ne morse le labbra», R «se ne morde le labbra».

Il Co ha queste varianti : p. i44 r. i6 : «sapete a mente Petrarca», Co «sapete a mente Pibrac»; ivi r. 20: «mastro Alfieri», Co «maestro Alfieri». P. i5i r. 3: «e toccava pure», Co «e tocca pure».

ii. - Janin e la «Mirra». — Varianti fra il testo del giornale («II Piemonte» i855) e il volume: p. i55 r. 9: «compiange i suoi mali», R «compiange a’ suoi mali»; ivi r. ii: «mostratasi in lei», R «che si è mostrata in lei». P. i56 r. 2i: « lascio da [p. 350 modifica]parte», R «lascio da canto»; ivi r. 23: «è una copia», R «è una pallida copia»; ivi r. 24 : «l’imitazione di Alfieri è un lavoro», R «il lavoro di Alfieri è una imitazione»; ivi r. 3i: «si sforza e meno», R «si sforza, tanto meno»; ivi : «occultare la fiamma», R «occultare la sua fiamma»; ivi r. 35: «in uno sguardo», R «in uno sguardo, in un movimento». P. i57 r. 6: «ancor vista», R «ancora veduta»; ivi r. 26: «nello sguardo», R «nel suo sguardo»; ivi r. 29: «dice mestamente», R «esclama tristamente»; ivi r. 30: «tocchi la sua passione», R «abbia una certa attinenza con la sua passione»; ivi r. 3i: «turbasi», R «si turba»; ivi r. 33: «i genitori», R «i suoi genitori». P. 158 r. i4: «con la sua costernazione maggior gravitá », R «maggior gravitá con la sua costernazione». P. i60 r. 26: «anima inorridita», R «anima inaridita». P. i6i r. 24 : «traboccare tutto», R «traboccare di fuori tutto»; ivi r. 27: «il fatale mistero», R «la fatale parola». P. i6i r. i3: «per porre in luce, per dar rilievo» che è la lezione di R, da noi accolta, mentre il volume ha «per dar rilievo». P. i62 rr. 6-7: «è serbata», R «riserbata ». P. i62 r. i0: « ciò che non è azione», R «ciò che in tragedia non è azione»; ivi rr. i5-i6: «la gravezza e il vuoto de’ primi atti», R «la gravezza, il vuoto, l’arido de’ primi tre atti»; ivi r. 24: «comparisce dalla», R «comparisce fin dalla»; ivi r. 29: «ai lettori », R «a’ miei lettori».

i2. - « Storia del secolo decimonono » di G. Gervinus. — Varianti fra il testo del giornale («Il Cimento» i855) e il volume: p i63 r. 8: «di questo lavoro.», R «di questo lavoro, del quale mi riserbo a parlare». P. i67 r. 8: «anni di miserie», R «anni di miseria». P. i70 r. 3: «contrapposti storici», R «conti appeso storico». P. i7i r. 34 : «ispirata dalla disperazione», R «spirata dalla disperazione». P. i73 r. 3i: «il suo strumento», R «il suo istrumento».

Varianti di Co : D. S. dice, traducendo il lavoro del Gervinus : «cansò la quistione del modo che si ha a tenere per sottrarsi alla tirannide»; noi allo stesso luogo (p. i64) abbiamo accettato la correzione di Co: «Non cansò ecc.» (cfr. il primo volume dei Saggi critici, curati dal Cortese, p. 332). P. i68 nota: «Foscolo, Opere, Firenze, i850, VI, i5», Co «Foscolo, Opere, Firenze, VII, i5 ». P i70 r. i0: «(i8i0)», Co «(i8i5)». P. i73 r. 8: «dei quali biasimi», Co «pei quali biasimi». [p. 351 modifica]

i3. - «Memorie storiche e letterarie» di Villemain. — Varianti tra il giornale («II Piemonte» i855) e il volume: p. i79 r. 26: «il grande uomo con», R «il grande uomo era uno con». P. i80 r 4 : «insidiosa o malevola», R «insidiosa e malevola»; ivi r. 22 : «si vantava», R «si vanta». E dopo la fine («San Luigi un furfante?») nel giornale continua: «Dite il falso, e fate un buco nell’acqua. Lasciatelo fare. Lasciate che questi nobili degeneri ci parlino de’ loro maggiori. La gloria passata dará piú luce all’ ignominia presente».

Varianti di Co : p. i75 r. 22: «in tante frasi successive», Co «in tante fasi successive» (la nostra lezione è anche appoggiata dai giornali).

A p. i77 r. 29 noi abbiamo scritto: «il protagonista de’ Cento giorni», mentre tanto D. S. che R hanno «il protagonismo ecc.», lezione accettata anche da Co.

i4. — «Sulla mitologia ». Sermone di Vincenzo Monti. — Varianti fra il giornale («Il Piemonte» i855) e il volume: p. i8i r. i5: «come il maestro», R «come fa il maestro»; ivi r. i6: «gittando», R «gettando». P. i85 r. 29: «il vero persuada», R «il vero persuade»; ivi r. 32 : «tre o quattro volte», R «tre e quattro volte».

i5. - Giudizio del Gervinus sopra Alfieri e Foscolo. — Varianti fra il giornale («Il Cimento» i855) e il volume: p. i87 r. 2i: «da Alfieri a Manzoni», R «da Alfieri a Mazzini». P. i92 r. 26: «circondata dall’aureola», R «circondato dall’aureola».

Varianti introdotte da Co: p. i90 rr. i5-i6: «rammendare i costumi e rintegrare la morale», Co « rammentare i costumi ecc.». P. i98 rr. 35-36: «il sillogismo della storia», Co «i sillogismi della storia».

A p. i89 noi abbiamo corretto congetturalmente con Co «l’arte e la scienza in una compiuta indipendenza» contro D. S. e R che hanno «l’arte e la scienza in una compiuta incidenza».

i6. — Versioni e comenti di liriche tedesche. — Abbiamo reintegrato il testo della pubblicazione in giornale («Il Piemonte» i855, nn. 246 ecc.). Diamo qui le varianti principali introdotte da Co: p 200 r. i6: «risplende», Co «risponde». P. 20i r. i8: «la mica [p. 352 modifica]del pan», Co «la micca del pan»; ivi r. 23: «amicamente», Co «unicamente». P. 202 r. 29: «ogni maniera di poesie», Co «ogni maniera di poesia»; ivi r. 35 : «ecletismo» (come sempre il De Sanctis), Co «eclettismo». P. 207 r: 2 : «maravigliato», Co «maraviglioso»; ivi rr. 30-3i « il canto di un pastore arabo alla Luna», Co «il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia». P. 208 r. i0: «quell’arabo pastore», Co «quell’errante pastore ». P. 2i0 r. i4: «non artistico», Co «non artistica». P. 2ii r. 5: «espansive e violente», Co «espansive e violenti »; ivi r. i8: «non la intendendo, lodano», Co «non la intendono: lodano». P. 2i6 r. 30 «Questa è di Federico», Co «Questa è di Cristiano» (e cosí piu avanti). P. 2i8 r. 9: «Ma dove, o fantasia, m’ illudi?», Co «Ma dove, o fantasia, t’illudi?»; ivi r. 15: «nell’ultimo amplesso», Co «nell’estremo amplesso». P. 22i r. 32: «Qual corona di stelle tremolanti», Co «Qual coronar ecc.».

i7. — «Alla sua donna» di Giacomo Leopardi. — Il Ms conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli (XVI, A, 5i d), autografo, presenta le seguenti varianti notevoli rispetto all’edizione in volume: p. 227 r. 29: «un non so che di divino», Ms «non so che divino». P. 228 rr. 2-3 : «dell’anima o della sua idea informativa», Ms «dell’anima (poi è cancellato) la sua idea informativa in tutta la sua purezza»; ivi r. 25 : «mi hanno l’aria», Ms «mi hanno ben l’aria». P. 23i r. 8: «negli esseri generati», Ms «nell’essere generato». P. 235 r. i5: «del Leopardi... avere», Ms «del Leopardi... avere innanzi». P. 238 r. 4: «e muore», Ms «e smuore »; ivi r. 30: «l’intelletto», Ms «l’intendimento». P. 239 r 2: «concretati», Ms «concreati». P. 240 r. 20: «la forza», Ms «la forza»; ivi r. 2i: «la casta trasparenza», Ms «la castitá o castigatezza»; ivi r. 30: «giovinezza?», Ms «giovanezza?». P. 24i r. 7 «o si abbandona», Ms «e si abbandona».

Varianti tra il giornale («Il Cimento» i855) e il volume: p. 227 r 29: «non so che di divino», R «non so che divino». P. 228 r. 25: «mi hanno l’aria», R «mi hanno ben l’aria». P. 233 r. 28: «su tutta la sua possanza», R «in tutta la sua possanza». P. 235 r. i6: «è necessario avere non solo», R «è necessario avere innanzi non solo». P. 238 rr. 4-5 : «e muore subitamente»; R «e smuore subitamente»; ivi r. 30: «l’intelletto o la ragione », R «l’intendimento o la ragione». P. 240 r. i9: «la forza», R «la sforza». P. 24i r. 7: «o si abbandona», R «e si abbandona». [p. 353 modifica]

i8. — Il «Giornale di un viaggio nella Svizzera» di G. Bonamici. — Reintegriamo il testo del giornale («Il Piemonte» i856), che è il solo controllato dal D. S. Segniamo qualche variante introdotta dal Cortese: p. 249 r. 9: «quest’altezza», Co «queste altezze»; ivi r. 28: «scelto», Co «scelta». P. 250 rr. 8-9: «ed a quello», Co «od a quello». P. 25i r. ii: «del matto e dello sciocco», Co «del matto o dello sciocco»; ivi rr. 2i-22: «sentimenti», Co «sentimento», ivi r. 29: «un difetto, richiamar», Co «un difetto? richiamar».

i9. — Saint-Marc Girardin, «Cours de littérature dramatique». — Non ci sono varianti notevoli tra il testo del giornale e quello del volume.

20. — Triboulet. — Varianti tra il giornale («Il Piemonte» i856) e il volume: p. 260 r. 8: «una critica drammatica», R «una critica dommatica» (lezione da noi accettata). P. 26i r. i3: «e d’ immobile», R «ed immobile». P. 266 r. 3i: «far comprendere», R «far ben comprendere».

Co introduce due varianti significative: p. 262 r. i9: «dove si è uscito», Co «dove si è usciti». P. 264 r. 24: «qualche cosa che lo rileva agli occhi suoi», Co «qualche cosa che lo rivela agli occhi suoi».

21. — Lavori da scuola. — Nel giornale («Il Piemonte» i856) invece di «albero» (p. 268 r. i7), il D. S. scriveva arbore, e invece di «l’effetto» (p. 269 r. 28) scrive, evidentemente per una svista, l’affetto.

22. - «Memorie sull’ Italia e specialmente sulla Toscana» di G. Montanelli. — Nel giornale («Il Piemonte» i856) il saggio iniziava con queste parole soppresse nel volume : «Vi ha chi ha detto: la legge è atea. Si potrebbe con piú ragione dire: l’appendice non ha politica. È un campo neutro in cui convivono fraternamente tutte le opinioni. Uso di questa libertá nel dar giudizio di un libro politico». P. 278 rr. i6-i7: «il libro del Montanelli. Certo», R «il libro del Montanelli; e piacemi ricordarlo all’ Italia, ora che se ne sta apparecchiando una traduzione francese. Certo». P. 279 r 20: «Tal tempo, tal modo», R «Tal tempo, tal metodo». [p. 354 modifica]P 28i rr. 30-3i : «Gioberti, che crea una veritá politica», R «Gioberti, che crea una veritá per ogni situazione politica». P. 287 r. 4: «rifá il ’49», R «rifá il ’48».

23. — Poesie di Sofia Sassernò. — Varianti tra il giornale («Il Piemonte» i856) e il volume: p 29i r. i : «Ce ne ha di tutte sorti», R «ce ne hai di tutte sorti». P. 293 r. 29 «della vita del mondo», R «della vita, del mondo». P. 296 rr. i4-i5 : «vi sono i primi germi della vita senza sviluppo», R «vi sono i primi frammenti, i primi germi della vita, senza sviluppo». P. 297 r. 23: «nell’ultimo volume uscito alla luce», R «in quest’ultimo volume uscito testé alla luce»; ivi r. 28: «ne’ suoi poemi di occasione», R «ne’ suoi poemi, nelle sue leggende, nelle sue poesie di occasione».

24. — «Clelia o la Plutomania», commedia di G. Gattinelli. — Restauriamo anche qui il testo del giornale («Rivista contemporanea» i856), il solo controllato dal D. S.; segniamo le novitá di Co: p. 305 rr. 34-35: «d’ incidenti e d’ incontri», Co «d’ incidenti». P. 307 r. i7 : «Al contrario», Co «Per contrario» (e cosí a p. 308 r. i7); ivi r. 2i: «generavano disgusto», Co «generavano disgusti»; ivi r. 28 : «riflettermi su di essa», Co «riflettere su di essa». P. 308 r. 33: «idee accessorie che», Co «idee accessorie in modo che». P. 3i0 r. 9: «averne rimorso», Co «aver rimorso». P 3ii rr. i8-i9: «fa la baia», Co «dá la baia». P. 3i2 r. 30: «conosce», Co «riconosce»; ivi r. 34: «scherzi frivoli di», Co «scherzi di». P. 3i3 r. 29: «della sua concezione, la natura aveva fatto», Co «nella sua concezione, la natura ha fatto»; ivi r. 32: «ha giá innanzi», Co «ha innanzi». P. 3i4 r. i2: «severo e tragico», Co «serio e tragico»; ivi rr. i3-i4: «di profilo e a lampi», Co «di profilo». Per 3i6 r. 5: «lo ha gittato», Co «lo ha lasciato»; ivi r. 20: «delle situazioni», Co «della situazione». P 3i8 r. 6: «paga Maurizio», Co «paga per Maurizio»; ivi r. 29: «senza destarti», Co «senza che ti desti»; ivi r. 35 : «o al canto», Co «e al canto». [p. 355 modifica]

VOLUME SECONDO


25. - La «Fedra» di Racine. — È stato restaurato qui il testo della prima pubblicazione, la sola curata dal De Sanctis («Rivista contemporanea» i856). Diamo qui le varianti introdotte da Co. P. 5 r. i0: «men vecchio», Co «non vecchio». P. 8 r. i9: «vi è Fedra, Ippolito», Co «vi è Ippolito». P. i2 r. ii: «Il buon senso risponde di no. Una tragedia può avere tutti questi caratteri, ed essere mediocrissima. E se ciò», Co «Il buon senso risponde di no. E se ciò». P. i7 r. 27: «ci vediamo una specie di predestinazione: le vediamo scritta in fronte la catastrofe», Co «vediamo in lei una specie di predestinazione: sulla fronte vediamo scritta la catastrofe». P. i8 rr. 5-6: «dire che ama, ed un momento dopo dire che odia Ippolito», Co «dire che odia Ippolito». P. 20 r. 30: «sentimento o immagine», Co «sentimento o immaginazione»4. [p. 356 modifica]

26. — Le «Contemplazioni» di Victor Hugo. — Varianti fra il volume e il testo del giornale («Rivista contemporanea» i856) : mancano in R le note a p. 25, che invece sono nel volume. P. 38 r. 6: «contenersi negli antichi limiti», R «contenersi negli antichi vincoli». P. 39 r. 26: «ella se ne figurerá uno», R «ella se ne foggerá uno». P. 4i nota: «Ecrit en 1847», R «Ecrit en 1846». P. 44 r. 2 : «de’ sommi poeti. Ma Victor Hugo di rado», R «de sommi poeti, non è in questo genere di poesia la qualitá di Victor Hugo; il quale di rado». P. 46 r. 35: «s’imprestano amicamente», R «s’imprestano unicamente». P. 47 r. 4: «È il principio cristiano e romantico», R «È il principio cristiano o romantico»; ivi rr. i3-i4: «ella si rivela», R «ella ti si rivela».

27. — A’ miei giovani. — Il Ms non presenta varianti di rilievo rispetto al testo del volume. Inoltre esso (che è di proprietá del dott. Dario Colombo, figlio del prof. Adolfo Colombo, antico possessore, e residente a Milano), è mutilo dell’ultima pagina. Presenta però diverse varianti di composizione. Diamo prima il testo definitivo dello stesso Ms, che è quello del volume e da noi adottato, e poi la prima redazione cancellata: p. 53: «cosí all’amichevole», Ms «cosí alla buona»; ivi : «nel suo abbigliarsi», Ms «nel vestirsi». P. 55: «Io studierò il Codice, farò», Ms «Io studierò il Codice, mi porrò in capo tutte quelle migliaia di articoli promettitori di buoni bocconi, farò»; ivi : «a questo modo! Crebbe» Ms «a questo modo! E tenne parola. Crebbe»; ivi: «ci abbia data l’intelligenza per provvedere», Ms «ci abbia data l’intelligenza come ha dato gli artigli e le zanne alle belve, per provvedere»; ivi : «che cosa desiderate voi?», Ms «i vostri castelli in aria?»; ivi : «Ma, e poi? Oltre», Ms «Ma, e niente altro? Niente sará in voi, che vi distingue dal ciabattino o dal sarto? Ciascuno di voi desidera qualche altra cosa. Oltre »; ivi: «l’amore di ciò», Ms «l’amore di tutto ciò»; ivi : «per nobilitare la vostra intelligenza... piú bella», Ms «per nobilitare la vostra intelligenza. Se voi esercitate la vostra professione per il profitto che ne sperate, la vostra professione è un mestiere; siate ingegnieri, o filosofi, o letterati, poco monta, voi non siete che dispregevoli mestieranti»; ivi: «bottega delle lettere», Ms «bottega della letteratura»; ivi: «Ben vo’ parlarvi di alcuni altri. A quello stesso modo che certi sostituiscono oggi», Ms «Ben vo’ parlarvi di quelli, che con la stessa codardia, onde altri [p. 357 modifica]sostituicono oggi». P. 56: «è la vostra stessa persona... I cinque sensi», Ms «è la vostra stessa persona, la vostra vita, è l’anima a poco a poco educando, che giudica, idealizza, fa a sua immagine il creato, vi fa brillare se stessa; è una bellissima e nobilissima donna, che gli antichi chiamavano la Musa, la quale c’ innamora di sé e vi fa rifuggire da tutto ciò che è vile e brutto, come cosa inumana, negazione dell’uomo. Come dunque? I cinque sensi»; ivi: «con questi studi», Ms «con gli umani studii». P. 57: «Il tipo manzoniano», Ms «L’ideale del Manzoni». P. 6i: «civili; la parola del poeta è indirizzata», Ms «civili; e in tanta concitazione di animi il suo occhio tranquillo». Pp. 6i-2: «di bassa passione», Ms «di collera». P. 62 : «e consapevoli», Ms «e consapevoli, della grandezza e difficoltá dell’impresa, parati». P. 63: «di Lipsia corrono», Ms «di Lipsia spargono i germani il piú puro lor sangue».

Nella prima pubblicazione (« Rivista contemporanea » i856), anzicché il sottotitolo: Prolusione letta nell’ Istituto Politecnico in Zurigo, vi è questa nota a piè di pagina: «Siamo lieti di poter stampare la presente Prolusione che il De Sanctis leggeva pochi dí fa, nel celebre istituto politecnico di Zurigo, ove con tanto onore e per l’Italia e per quel liceo egli insegna Letteratura Italiana». Ecco alcune varianti: p. 54 r 34: «Sai, disse», R «Sai, gli disse». P. 55 r. 23: «operare non solo il guadagno», R «operare non solo per il guadagno» (in questo caso abbiamo accettato la lezione di R); ivi r. 3i: «dicono: — in un secolo industriale», R «dicono: — poiché in un secolo industriale». P. 56 r 25 : «quella dell’ ingegnere», R «quella dell’ingegnieri». P. 62 r. 2: «la quieta temperanza», R «la queta temperanza»; ivi p. 3i: «pietá, ammirazione o rispetto», R «pietá, ammirazione o rispetto ». P. 63 rr. 29-30 : «voi sapete il metodo», R «voi sapete il mio metodo». P. 64 r. 5 : «lavorate insieme», R «lavorerete insieme».

28. — «Cours familier de littérature» par M. de Laniartine. — Varianti fra il giornale (« Rivista contemporanea » i857) e il volume: p. 65 r. 4: «palpi loro la barba», R «passi loro la barba». P 67 r. 3i: «intramettendo co’ ragionamenti racconti e descrizioni», R «intromettendo ecc.». P. 68 r. 5 : «passion dans un autre âge», R « passion dans un âge et consolation dans un autre âge» (lezione da noi adottata). P 7i r. 6: «impressioni: anzi [p. 358 modifica]immergendosi», R «impressioni, né a quella semplice descrizione che gli si era offerta di accidentale, di personale, se ne andrá via; ed immergendosi». P. 72 r. i8: «Il critico ti dee presentare», R «il critico si dee presentare». P. 83 r. 22 : «Monti è un dantesco», R «Monti è dantesco». La nota a p. 84 manca in R.

29. — Dell’argomento della «Divina Commedia». — Nella prima pubblicazione («Rivista contemporanea» i857) c’era questa avvertenza; «Gli antichi editori del prof. De Sanctis, che invidiano ora ai giovani zurighesi la rara dottrina e la elevata filosofía de’ suoi insegnamenti, e tutti gli amatori di Dante ci sapranno grado di dare loro un saggio delle belle lezioni che l’illustre napoletano fa al Politecnico svizzero. Queste lezioni verranno in breve raccolte e saranno il comentario piú alto e degno della Divina Commedia».

30. — Carattere di Dante e sua utopia. — Varianti tra la prima pubblicazione («Rivista contemporanea» i858) e il testo del volume: p. i02 r. 2 : «nel suo amore», R «nel solo amore»; ivi r. ii: «infinito ed invisibile», R «infinito e indivisibile». P. iii r. 20: «l’affrancamento del laicato», R «l’affrancamento dal laicato». P. ii3 r. i0: «absit a viro praedicandae iustitiam », R « absit a viro praedicante iustitiam» (lezione da noi adottata).

3i. — Schopenhauer e Leopardi. Dialogo tra A e D. — Varianti tra il testo del giornale («Rivista contemporanea» i858) e il volume: p. ii8 r. 26: «l’ente creato», R «l’ente creatore». La nota a p. ii9 manca in R. P. i25 r. i0: «mi sento far piccolo», R «mi sento far piccolo piccolo». P. i26 rr. 27-28: «linguaggio corrente e popolare», R «linguaggio corrente e popolare. Prevede tutto.». Pp. i33-34: «condizionato alla conoscenza... condizionata al volere», R «condizionato dalla conoscenza... condizionata dal volere». P. i34 r. i9: «la filosofia», R «la filosofia sofistica»; ivi rr. 28-29: «le piú grandi veritá», R «le tre piú grandi veritá». P. i38 rr. 27-28 : «un mondo irragionevole e perciò pessimo», R «un mondo ragionevole e perciò ottimo; dal Wille nasce un mondo irragionevole e perciò pessimo». P. i57 r. 28: «assoluta sostanza, Dio infinito», R «assoluto, sostanza, Dio, infinito». [p. 359 modifica]

32. — «Lucrezia» dí Ponsard. — Nessuna variante significativa tra il volume e il testo del giornale («Gazzetta piemontese» i859). Nel giornale, alla fine, vi era questa frase, soppressa nel volume : «Ma il Ponsard ha fatto anche delle commedie, ed i lettori avranno la pazienza d’attendere ch’io le legga».

34. — L’«Armando». — Varianti tra il giornale («Nuova Antologia» i868) e il volume: l’unica importante è la conclusione finale diversa: p. 215: «E se il concetto di Porzio fosse per l’appunto il concetto di Prati?...», R ha invece: «E Prati ha ragione».

35. — L’ultimo de’ puristi. — Varianti tra il giornale («Nuova Antologia» i868) e il volume: p. 2i9 r. i3: «al Perticari, al Paravia », R «al Perticari, al Fornaciari, al Paravia». P. 228 r. 5: «sollecitando un po’ la memoria», R «solleticando un po’ la memoria». P. 229 r. 2 : «nelle loro abitudini», R «nelle loro credenze e nelle loro abitudini». P. 232 r. 8: «scortatoie», R «scorciatoie» (lezione da noi adottata); ivi r. i3: «si tenevano gonfi e pettoruti», R «si tenevano maestri e stavano gonfi e pettoruti» (lezione da noi adottata). P. 239 r. 3 : «una forma di scrivere italiana, del Primato d’Italia », R «una forma di scrivere italiana, di una filosofia italiana, di una sapienza italiana, del Primato d’Italia».

36. — Francesca da Rimini. — Varianti tra il giornale («Nuova Antologia» i869) e il volume: p. 244 r. i2: «gli altri ideali che muovono l’uomo», R «gli alti ideali che muovono l’uomo»; ivi r. 34: «acquistò», R «tardò poco ad acquistare». P. 250 r. 27: «delicate concezioni», R «delicate creazioni».

37. — Settembrini e i suoi critici. — Varianti tra il testo del giornale («Nuova Antologia» i869) e il volume: p. 259 r. i: «avanzi», R «avanzi ancora in piedi». P. 265 r. i : «la mia aspettazione», R «la mia espettazione». P. 267 r. 30: «l’altra teoria che è l’arte», R «l’altra teoria che è l’arte per l’arte» (lezione da noi accettata). P. 268 nota r. 3 : «studiato la teoria», R «studiata la teoria». P. 27i r. i : «senza mutilarlo o frantenderlo», R «senza mutilarlo e frantenderlo». P. 277 r. i0: «la voluttá è una idea pagana», R «la voluttá è una dea pagana». [p. 360 modifica]

38. — Il Farinata di Dante. — Varianti fra il giornale («Nuova Antologia» i869) e il volume: p. 28i rr. i0-ii: «esagerando, lodando», R «esagerando, alterando, lodando» (lezione da noi accettata). P. 285 r. 2: «Gli giungevano all’orecchio quei fatti», R «gli giungevano all’orecchio quei nomi e quei fatti» (lezione da noi adottata). P. 286 r. 22: «Dante ascetico e teologo», R «Dante ascetico e teologico ».

40. — La prima canzone di Giacomo Leopardi. — Varianti tra il testo della «Nuova Antologia» (i869) e il volume: p. 339 nota: «dotte Annotazioni», R «dottissime Annotazioni». P. 342 r. 8: «la sua consacrazione», R «la sua consecrazione». P. 344 r. 15: «e studii senza distrazione alcuna», R «e studii e studii senza distrazione alcuna». P. 35i r. 6: «perché del Monti il calore e», R «perché nel Monti il calore»; ivi rr. 27-28 : «Il nemico era la Francia», R «il nemico era l’empia Francia». P. 354 rr. 5-6: «di pensare e di sentire», R «di pensare e di credere e di sentire». P. 356 rr. 24-25: «vogliono farsi... vogliano imporlo», R «vogliano farsi... vogliano imporlo».

VOLUME TERZO


42. — L’Ugolino di Dante. — Tra il testo della «Nuova Antologia» (i869) e il volume vi sono solo due piccole varianti degne di nota: p. 28 r. 20: «la legge del taglione o il contrappasso», R «la legge del taglione o il contrappeso». P. 43 r. 6: «quei primi moti ancora oscuri della coscienza», che è la lezione di R, da noi adottata, contro la evidentemente erronea «quei primi modi ecc.» del volume.

43. — Un dramma claustrale. — Alcune varianti tra il manoscritto (autografo, nella Biblioteca Nazionale di Napoli, XVI, c, 50) e l’edizione in volume. P. 48 r. 25: «le discussioni dei critici», Ms «le discussioni de’ due dotti tedeschi». P. 54 r. 24 : «in quella voglia», Ms «in questa voglia». P. 55 r. 22: «che fusti sí crudel», Ms «che fussi sí crudel» (lezione da noi adottata). P. 68 rr. ii-i2: «sorte serbata al novizio», Ms «sorte toccata al novizio». P. 69 r. 28: «metterne in discussioni i giudizi», Ms «mettere [p. 361 modifica]in discussione i suoi giudizi»; ivi r. 32: «l’energia del sentimento», Ms «l’energia del pentimento». P. 72 r. 34: «Dio riformi la sua legge», Ms «Dio rinformi la sua legge». P. 73 r. 22: «divagasi», Ms «divaga,». P. 75 r. 7: «la cui formola», Ms «la cui ultima formola».

44. — Ugo Foscolo. — Ecco alcune varianti tra il manoscritto (autografo, nella Biblioteca Nazionale di Napoli, XVI, c, 50) e l’edizione in volume: P. 76 rr. ii-i2: «non ammettono discussioni», Ms «non ammettono discussione». P. 80 r. 22: «di Alfieri e di Monti», Ms «di Alfieri o di Monti». P. 8i r. 32: dopo «in istituzioni.» in Ms vi è il seguente brano cancellato: «In una sola notte cade il feudalismo. I dritti dell’uomo, materia di tanta rettorica, sono proclamati dall’alto della tribuna. Cade la testa di un Re. Si stacca da un fondo sanguigno l’immagine di Robespierre. La ghigliottina galoppa appresso alle nuove idee. La gente dapprima applaude, pare sia venuta l’etá dell’oro; poi si arretra. Alfieri non riconosce in quei fatti le sue idee; Parini». P. 82 r. 5: dopo «la repubblica» si trova cancellato in Ms «Il suo nome d’onore era civis, dulce et decorum est prò patria mori, sonano nel suo animo piú alto che Liberté, Egalité, Fraternitè». P. 83 r. i8: «erano il tono», Ms «erano allora il tono». P. 84 r. 8: « Innanzi va la gloria», Ms «Innanzi gli va la gloria». P. 86 r. i2: dopo «Scevola» Ms porta cancellato il seguente brano, che in parte si trova posposto: «Ma un nuovo disinganno l’attendeva a Milano. Sognava Bruti e Scevoli, e trova uomini della pasta comune, e perché non sono eroi, gli paiono pigmei». P. 86 r. 36: «Si scrisse alla milizia», Ms «Si ascrisse alla milizia». P. 87 r. 2 : «scontento, ora tutto», Ms «scontento, in quel vacuo dell’esistenza, ora tutto»; ivi r. 3i: «avvenimenti tanto straordinari», Ms «avvenimenti cosí straordinari». P. 88 r. i: «quella calma di giudizio, che bastasse a spiegarseli ed acconciarvisi, come fanno i piú », Ms «tanta calma di giudizio, che potesse spiegarseli ed acconciarvisi, rimanendo pure un uomo dabbene, come i fanno i piú»; ivi r. 8: «cose allora in quella», Ms «cose in quella»; ivi r. i6: «rimase solo», Ms «rimase solo, rigido, come una statua». P. 90 rr. 6-7: «ne scopre tutti i segni», Ms «ne scopre tutt’i segreti»; ivi r. 23: dopo «Jacopo» in Ms è cancellato: «non si uccide. Morire ‛ignoto al secolo’. lasciare sola la vecchia madre, rinunziare alla vendetta... In somma, Jacopo [p. 362 modifica]non vuole ancora morire». P. 9i r. i2: «un lume che lo lusinga, sempre vicino e sempre lontano». Ms «un lume, che gli è sempre vicino e gli è sempre lontano»; ivi r. 25: dopo «realizzarle» in Ms è cancellato: «se avesse questa forza, rinascerebbe alla vita, sarebbe guarito». P. 93 r. 25: «cosí povera nella sua realtá», Ms «cosí povera e manchevole nella sua realtá». P. 94 r. 33: «ha sostituita una prosa poetica», Ms «ha sostituito una prosa poetica». P. 97 r. 2i: dopo «illusioni», Ms ha il seguente brano cancellato: «Come Venezia, Foscolo vide cadere l’Italia, e gli parve allo stesso modo, con quella vergogna e per quelle colpe, piú degli uomini che della fortuna. E vide il i8i5»; ivi r. 22: «uccide... uccide», Ms «uccise... uccise». P. i02 r. 28: «attinge Young le sue aspirazioni», Ms «attinge Young le sue ispirazioni» (lezione da noi adottata). P. i03 r. 29: «hanno in sé le orme», Ms «hanno al di fuori le orme». P. i04 rr. 20-25: il brano «La magnifica... storia» in Ms era in questo modo, in prima redazione: «La magnifica apoteosi a cui serve di fondo il paesaggio di Firenze, non è tanto turbata dal grido di dolore che strappa al poeta il suo presente, che faccia dissonanza o contrasto; l’animo rimane alzato e volto con fiducia verso nuove prospettive, lo stesso dolore è puro di amarezza, temperato da una certa rassegnazione alle alterne veci della storia, quasi l’anima tema di turbare col suo gemito la pace religiosa de’ sepolcri, e l’animo»; ivi rr. 3i-33: «Il Tempo che traveste... una Forza che operosa... il Tempo che con», Ms «Il Tempo traveste... una Forza operosa... Il Tempo con». P. i05 r i9: dopo «formazione», Ms aveva: «penetrato giá e illuminato e uguagliato da un mondo umano e civile». P. i06 r. i : «a’ loro estinti», Ms «a’ cari estinti»; ivi r. 8: dopo «energico» in Ms è cancellato: «di grazia e di forza, che per varii gradi è». P. i07 r. 3i: dopo «maledizioni» in Ms è cancellato: «alla sua patria di elezione, da cui partiva il vento della calunnia e che l’obbliava e». P. i09 r. 35: dopo «sincero» D. S. aveva scritto in Ms «avrebbe forse avuto la forza di rinnovare sé stesso». P. ii0 r. i8: «si mescolano», Ms «si mescolarono»; ivi r. 24: dopo «giovinezza», Ms ha il seguente brano cancellato: «Ciascuno senti in sé il male del vecchio Jacopo» (invece di «il male» aveva scritto in un primo tempo «le disperazioni», poi cancellato). P. iii r. 29: in Ms il saggio terminava con queste parole: «quel senso della misura, che pone fine a’ tempi eroici e inizia i tempi umani!». [p. 363 modifica]

In questo saggio il D. S. scrive sempre Joung, tanto nella «Nuova Antologia» che nel volume; naturalmente abbiamo nel nostro testo scritto Young. Ecco alcune varianti: p. 88 rr. 7-8: «massime di dignitá, di virtú», R «massime di libertá, di dignitá, di virtú,». P. 96 r. 5: «Questa prima vita», R «quella prima vita». Pp. 97-98: «è forza compressa in forzato ozio», che è la lezione di R, da noi adottata, mentre il volume ha compresa. P. 99 r. 30: «faceva getto della sua dignitá personale», R «faceva gettito della sua dignitá personale». P. i04 rr. 2i-22: «dolore della bassezza presente», R «dolore della bellezza presente» (evidente errore).

45. — Giuseppe Parini. — Varianti tra il manoscritto (autografo, nella Biblioteca Nazionale di Napoli, XVI, c, 50) e l’edizione in volume: P. ii0 r. i3: «mirava alla ristaurazione», Ms «miravano alla ristaurazione». P. ii6 r. 25: dopo «manierato.» in Ms si hanno queste parole cancellate: «Questa poca virilitá è manifesta nel Goldoni e nel Passeroni. Piú vigore avea Gozzi, fiaccato dalla miseria». P. ii8 r. 24: «fu socio dell’Accademia», Ms «fu socio dell’Arcadia». P. ii9 r. i5: «Cosa dovean parere», Ms «Cosa dovea parere». P. i26 rr. 32-33: «la misura del reale», Ms «la misura del reale, un colore locale e decente, che caccia da te ogni falsa ambizione e ti tiene nel vero e nel giusto». P. 127}} r. i0 «ama le forme», Ms «ha le forme». P. i28 r. 2: «compatimento.», Ms «compatimento. Il suo capolavoro è la Caduta»; ivi r. 20: «Ma è l’uomo», Ms «È l’uomo P. i3i r. i4: dopo «umano» in Ms è cancellato: «e anche buon cittadino». P. i33 r 8: «Ci era un’arte del parlare», Ms «Ci era un’arte del vestirsi, del profumarsi, del pranzare, del corteggiare, del conversare, come ci era un’arte del parlare»; ivi r. 21: «del secolo», Ms «della societá». P. i35 r. 6: «conte di Culagna o cosa simile», Ms «conte di Culagna, fra tanti altri conti, baroni e principi sarebbe stata». P. i36 r. 28: dopo «scherzo» in Ms è cancellato: «che ti faccia passare allegramente il tempo». P. i37 r. 8: invece di «virilitá» in Ms aveva scritto prima: «una seconda gioventú»; ivi r. 20 : dopo «parola» in Ms è cancellato: «qui è perfezione artistica». P. i38 r. i7: «ti riproduce l’antico», Ms «riproduce l’antico »; ivi r. 24: prima di «in una parola: in lui l’uomo valeva piú che l’artista» D. S. aveva scritto in Ms «in poche parole: fu [p. 364 modifica]artista eccellente; pure l’uomo valeva di piú». P. i39 r. i0: in Ms mancano tutte le righe dopo «mondo morale che sogliamo».

Varianti fra il testo in volume e la «Nuova Antologia» (i87i): p. ii4 r. 2: «Savioli e Rezzonico e Rolli», R «Savioli e Rezzonica e Nolli». P. ii7 r. 30: «Mancò a Goldoni non lo spirito, non la forza comica, non l’abilitá tecnica: era nato artista», che è la lezione di R, da noi adottata, mentre il volume ha «Mancò ... ma l’abilitá tecnica: era nato artista». P. ii9 r. 20: «Il sentimento dell’eguaglianza si era giá molto sviluppato in Italia», che è la lezione di R, da noi adottata, mentre nel volume manca «in Italia».

46. — La scienza e la vita. — Ci siamo serviti dell’opuscolo pubblicato a Napoli presso Morano (i872), giovandoci della edizione curata dal Croce, la quale, anche se non sempre esattamente corrispondente al testo desanctisiano suddetto, ci ha aiutato a correggere alcune sviste di Co, come a p. i43 r. 5 : «l’arte (a Platone) gli pare corruttrice», dove Co scrive «costruttrice». Inoltre nell’opuscolo, il D. S. scrive parlando dell’opposizione pagana al cristianesimo «la scienza sali nella reggia, si pose accanto a Luciano»: evidente svista, che noi abbiamo corretto con «Giuliano», seguendo in ciò l’esempio di Cr e di Co (cfr. p. i43 r. 33 del nostro testo). Riproduciamo una prima redazione del saggio, direttamente trascritto dal manoscritto (Napoli, Bibl. Naz., XVI, c, 53, autografo): la trascrizione del Cortese, oltre che spropositata e piena di negligenze, è lacunosa.

               Signori,

Siamo nel tempio della Scienza. E non vi attendete giá ch’io voglia farvi il suo panegirico: che non ne ha bisogno. Oramai ella è incoronata, è la Regina riconosciuta de’ popoli civili, sulla sua bandiera è scritto: «In hoc signo vinces». Un tempo era la Scienza che cercava nel suo accordo con la Fede la sua base e la sua forza; oggi è la Fede che cerca nella Scienza una nuova legittimitá, un nuovo battesimo. Non è piú l’intelletto, che cerca la fede, ma è la fede che cerca l’intelletto. Un giorno si diceva: — La fede muove i monti; — oggi si dice: — Sapere è potere — . Le lotte l’hanno ritemprata, e non è valso incontro a lei né scetticismo, né indifferenza. Molti che da lei s’ impromettevano frutti troppo precoci, nel loro disinganno l’hanno rinnegata, e guardando indietro hanno cercata la salute ne’ morti; ma ella non se ne avvede, e va e va lenta e tranquilla, come la Natura. Giunta è oggi al sommo della sua [p. 365 modifica]potenza, e molti promettono in suo nome non solo maraviglie, ma miracoli, divenuti con nuova superstizione i suoi idolatri. La Scienza può tutto, dicono, e si preparano nuovi disinganni. Ond’è ch’io mi sento poco disposto a panegirici, e voglio piuttosto dire a Lei la veritá, come si dee fare co’ Potenti, voglio misurare la sua forza, interrogarla: — Cosa puoi fare? — . Conoscere è veramente potere? Lascio stare che il conoscere esso medesimo è un problema : quel di lá che cerca dietro a’ fenomeni, è raggiunto, può raggiungersi mai? Risposte ci sono state e molte, ma la domanda ripullula [sempre] come non ancor soddisfatta. Lascio star questo, materia ringiovanita di vecchia discussione. E domando ancora : — Conoscere è veramente potere? La scienza è dessa la vita, tutta la vita? Può rigenerarla, arrestare il corso della corruzione e della dissoluzione, rimettere nuovo sangue nelle vene, rifare la tempra agl’ individui e a’ popoli? — . Certo ella può [come assoluta signora, fare, disfare, rifare], ricomporre gli elementi, trovare nuove combinazioni, creare nuove forme, suscitare nuove forze produttrici: il suo impero sulle forze meccaniche della natura è grandissimo: ivi sua è la forma, e sua la materia. Ma quando la materia le è data, e giá logora e giá scema quasi di succhi vitali, può la scienza spirarvi la vita, può dirle : — Sorgi e cammina — ? Sento dire: — Le nazioni risorgono per la scienza — . Può la scienza fare questo miracolo?

Giá, se guardiamo nelle antiche istorie, non pare. La scienza greca non potè indugiare la dissoluzione del popolo greco, né sanare la corruttela del mondo latino. Il rinascimento intellettuale in Italia fu insieme il principio della sua decadenza. Maggiore era la coltura, e piú vergognosa era la caduta.

Né è maraviglia. Perché la scienza è il risultato della vita, non il principio della vita. Apparisce, quando tutte le forze produttive che hanno reso grande un popolo, sono stanche, ed è piuttosto la nobile corona della storia, che stimolo e inizio ad una nuova storia. L’intelletto è l’ultimo a spuntare, e diresti non sia buono ad altro che a comprendere con straziante coscienza quella vita che gli fugge dinanzi. Dirimpetto alla morte acquistiamo coscienza della vita, e ce ne viene l’intelligenza, quando ce n’è mancata la potenza. Manca la fede e nasce la filosofia. Tramonta l’arte, e spunta la critica. Un popolo non ha piú storia, e compariscono gli storici. La morale si corrompe e vengono su i moralisti. Lo Stato rovina, e comincia la scienza dello Stato; gl’Iddii se ne vanno e Socrate li perseguita della sua ironia; la repubblica se ne va e Platone fantastica repubbliche ideali, l’arte se ne va e Aristotile ne fa 1 ’ inventario, la cristallizza, la chiude in regole, la vita pubblica si corrompe e sorgono i grandi oratori, Demostene e Cicerone, l’eloquenza delle parole succede alla eloquenza delle opere. I tempi sono neroniani, e Seneca moralizza; la guerra civile, rotto l’antico legame ellenico, pronunzia la fine della vita greca, il mondo latino si affretta verso 1’ ultima dissoluzione, ed ecco li, [p. 366 modifica]funebri storici, Tucidide e Tacito, dallo sguardo profondo e malinconico; Roma antica rovina sotto il peso della sua grandezza, ed eccoti Livio aprire la storia o il panegirico di quella grandezza che fu con un preludio che chiameresti quasi un elogio funebre. La vita reale ti fugge e l’intelletto fabbrica Ideali e l’immaginazione costruisce utopie. La scienza è l’uomo che passata la sua virilitá, meno opera e piú pensa e fantastica. Diresti che la vita contemplativa comincia a vivere, quando la vita attiva comincia a morire. La scienza cresce a spese della vita. Piú dai al pensiero, e piú togli all’azione. L’ Italia del medio evo pensava poco, perché operava molto. E quella che chiamò sua etá dell’oro, fiorente di studi, di arti e di scienze, fu la splendida etá del suo tramonto, fu il sonno di Michelangelo, e fu la tristezza di Machiavelli.

La Scienza è dunque onnipotente? Può ella, l’ultimo frutto della vita, ricostituire l’albero della vita, quando logore e secche sono le sue radici? Io conosco e posso dire con veritá: — Dunque io posso? — Anzi non sarebbe vero, che la scienza è l’ultima produzione della potenza vitale, è l’ultimo «io posso» della vita, è la vita ritirata nel cervello, dove ricomincia la sua storia, una nuova storia, piena di maraviglie, che è la sua coscienza, e non la sua potenza, mancate a lei tutte le sue forze produttive, «vivendi causae», mancata al sentimento religioso la fede, alla morale la sinceritá, all’arte 1’ ispirazione, all’azione l’iniziativa, la spontaneitá, la freschezza della gioventú?

La scienza .potè illustrare, ma non potè rigenerare la vita greca e la vita italiana. Non potè, e credette di poterlo, e questa fede è la sua forza. La veritá ch’ella cercava, le sarebbe parsa cosa spregevole, se non avesse avuto fiducia di trasportarla nella vita, si che il mondo fosse una idea e la storia fosse una logica. La filosofia sembra a Platone cosa di nessun pregio, quando non miri alla perfezione etica, alla educazione della gioventú e alla prosperitá dello Stato; e perché l’arte gli pare corruttrice, sacrifica l’arte. Anche Aristotile pone fine supremo della scienza, l’Etica, e salva l’arte perché vi trova un fine etico, vi trova la purgazione delle passioni. Socrate confida di potere ammaestrando la gioventú abbattere i sofisti e restaurare la vita patria. Ma la sua scienza non era la vita, e la vita fu Alcibiade, il suo discepolo, che affrettò la patria dissoluzione. Platone va in Siracusa, confidando di potere con la scienza rigenerare quel popolo; e la sua scienza non potè ritardare di un minuto il suo destino. Piú la vita si fa molle, e piú la scienza si fa rigida; nel loro cammino si discostano sempre piú, senza alcuna reciprocanza d’azione; dirimpetto agli stoici sta la vasta corruzione dell’ impero. Un giorno la Scienza sali nella Reggia, si pose accanto a Luciano [sic, per Giuliano], ebbe in sua mano tutte le forze, e non potè né arrestare la dissoluzione della vita pagana, né rallentare la formazione della vita cristiana. Cessata la barbarie, rinasce la fiducia nella Scienza, e se ne attendono miracoli. La vita è Beatrice, Fede che è Scienza, e Scienza [p. 367 modifica]che è Fede. La vita è un inferno che la Scienza di grado in grado trasforma in paradiso. E il Paradiso è l’immagine, il simbolo della Monarchia universale, il regno della pace e della giustizia, la vita dove infine la Scienza riconosce sé stessa. Ma la vita, come la Fortuna, continua il suo corso beata, «e ciò non ode». Pur venne un tempo, che fu detto il Risorgimento, e la scienza credette davvero di poter ristaurare la vita. La scienza si chiamava Machiavelli, Campanella, Sarpi; e la vita fu Cesare Borgia, Leone decimo e Filippo secondo. I pensieri rimasero pensieri, e i fatti rimasero fatti.

Pur si può dire: — Voi adducete esempii, ma gli esempii non sono principii, né da quello che è stato si può inferire con sicurezza quello che sará. Andate avanti. Tirate fino al secolo decimottavo —

E in veritá, la Scienza in quel secolo opera come religione, diviene un apostolato, si propaga ne’ popoli, trova il suo centro di espansione nello spirito francese, e provoca un movimento memorabile, di cui oggi ancora continuano le oscillazioni. Nasce una nuova societá, si forma una nuova vita: la scienza ha anche lei i suoi apostoli, i suoi martiri, i suoi legislatori, il suo catechismo, e penetra dappertutto, nella religione, nella morale, nel diritto, nell’arte, ne’ sistemi politici, economici, amministrativi, s’ infiltra in tutte le istituzioni sociali. Ma era scienza e operò come scienza. Credette che rinnovare la vita fosse il medesimo che rinnovare le idee, e conoscere fosse il medesimo che potere. Applicò la sua logica alla vita, fatale e implacabile, come una conseguenza, date le premesse. Cercò le premesse non nelle condizioni reali ed effettive della vita, ma ne’ suoi principii e nelle sue forinole. Avvezza a trattare il mondo meccanico come cosa sua, trattò l’organismo sociale come un meccanismo, e trattò gli uomini come pedine, eh’ ella potesse disporre qua e lá secondo i suoi fini. Credette a sé sola; credette poter lei bastare alla vita, esser lei tutta la vita. Concepí la vita come fosse un ideale scientifico, e tutto guardando attraverso a quell’ ideale, indeboli, volendo perfezionarli, tutti gli organismi sociali, religione, arte, societá, e lo stato e la famiglia. Quando la vita cosí conculcata reagi, ella in nome della libertá uccise la libertá, in nome della natura snaturò gli uomini, e volendo per forza renderli uguali e fratelli, indeboli tutt’i vincoli sociali, ebbe a tipo lo stato selvaggio, che chiamò stato di natura, fece l’uomo lupo all’uomo. Era la scienza e divenne la forza. Era la cima della piramide umana, e calpestò la base, e la base un bel di fe’ una scrollatina e s’inghiotti la cima. Cosi sparve il regno della filosofia; la vita si vendicò e la chiamò per disprezzo l’ideologia; si credette un po’ meno alle idee, e un po’ piú alle cose. Piú viva era stata la fede nella scienza, piú acerbo fu il disinganno. E se ne cavò questa dura veritá: la scienza non è la vita; conoscere non è potere.

Giá Vico, il Precursore, l’aveva annunziata alle genti. Studiando la vita nella storia, piú nelle cose che nelle idee, aveva notato questo fatto importante, che l’intelletto comparisce ultimo nella vita, e piú conosce, [p. 368 modifica]piú si fa adulto, e piú si sfibra il sentimento e l’immaginazione, le due forze onde vengono le grandi iniziative e i grandi entusiasmi. La scienza secondo il concetto di Vico è il prodotto dell’etá matura, e non ha la forza di rifare il corso degli anni, di ricondurre la gioventú. La maturitá è certo l’etá piú splendida della vita; ma dopo viene la vecchiezza e la dissoluzione. I popoli vecchi attende la conquista, o la barbarie, e vengon su popoli giovani, eterno corso e ricorso dalla Natura: la dissoluzione degli uni è la generazione degli altri.

L’esperienza confermò i concetti del grande solitario. Mancò la fede alla scienza; s’imparò a meglio apprezzare la vita, a meglio misurare la distanza tra le idee e le cose, a cercar la vita non ne’ libri, ma ne’ lenti procedimenti della natura e negl’insegnamenti della storia. Sorse la parola «dottrinario» in disprezzo della dottrina scompagnata dalla vita, e piú che la dottrina, si stimò la vita ignorante, inconsciente, ma ricca di fede, di affetto, d’ immaginazione e di illusione; piú che Faust, si stimò Margherita; Beatrice era la Scienza; Margherita era la vita. E la Scienza divenne il vecchio Faust, il sapiente a cui son mancate tutte le forze vitali, che maledice la sua scienza e lascia i libri e cerca la vita, e rituffandosi nelle fresche onde della natura e della storia, ritrova la sua gioventú. ritrova l’amore e la fede. Allora si capi perché i filosofi furono meno potenti degl’ ignoranti apostoli; perché i colti romani soggiacquero agl’ignoranti barbari; perché Machiavelli che sapeva di stato fu men possente di quei barbari che fondavano gli Stati; e perché i civili italiani poterono disprezzare, conoscere, descrivere, ma non vincere 1’ ignorante barbarie, maestri incatenati da’ loro discepoli. Allora si capi che se la scienza è la cima, la base è la vita; che tutto ciò che viene dall’alto, ha poca consistenza, cadendo in materia greggia e ribelle; e che dura solo quello che si abbarbica nelle profonde radici; si capi che quando dietro alla scienza non ci è l’uomo, la scienza è potentissima a dissolvere, inetta a ricostruire, buona a darti una coscienza della tua decadenza, che ti toglie le ultime forze e affretta la tua dissoluzione. Cosi per qualche tempo la colta Europa dubitò del suo avvenire e si chiamò da sé vecchia, e si domandò, se forse non era destinata a diventare cosacca. Cosi noi latini parliamo oggi della decadenza della razza latina, come Machiavelli parlava della corruttela italiana, spagnuola e francese, e parliamo di altri popoli come di predestinati nostri eredi. Io non so quale forza rimanga piú ad un popolo, quando si rassegni ad un preteso fatto storico, e perda fede nel suo avvenire e predichi la sua decadenza. In veritá, io preferisco il popolano inconscio, che si crede oggi ancora erede dell’antica grandezza romana e sogni l’impero del mondo. Egli è vero, che l’amor proprio ci susurra all’orecchio, e dannando alla decadenza i popoli a noi affini di razza, facciamo una eccezione per noi, anzi ci dichiariamo sotto voce i loro successori. E che ci manca? La Scienza. Se possiamo pareggiare di scienza quel popolo, che alla scienza deve la sua grandezza, il miracolo è fatto, noi lo [p. 369 modifica]pareggeremo in tutto il resto, la scienza ci ritornerá tutte le forze della vita. Ah! Signori, non è la Scienza che a noi manca; ciò che a noi manca, è l’uomo. Non è la scienza che ha dato alla Germania la fede, l’arte, il senso del dovere e del sacrificio, la disciplina, la tenacitá, il coraggio morale, il sentimento della natura e della famiglia e dello stato e della legge, tutte quelle forze che nel loro insieme noi chiamiamo l’uomo. Li dietro allo scienziato ci è l’uomo, e per una facile illusione noi diamo all’uno quello che è proprio dell’altro. Può la scienza essa sola surrogare l’uomo? La Scienza è la vita? Conoscere è potere? E come operò la Scienza? Quale fu la sua azione sulla societá?

La scienza è una coscienza razionale del mondo, il mondo spiegato dalla ragione. La sua azione diretta sugli uomini è di dar loro una coscienza piú chiara di tutti gli elementi della vita. La ti può dare una filosofia della religione, dell’arte, della storia, della legislazione, del linguaggio, dell’uomo, dello stato; essa non è nulla di tutto questo; non è religione, né arte, né storia, né legislazione, non è il linguaggio, e non è l’uomo, e non è lo Stato. Ti di la coscienza della vita, ma non è la vita. Pur quella coscienza non rimane giá vuota e sterile speculazione, ma ha un’azione sulla vita, un’azione indiretta, piú o meno efficace, secondo la materia in cui lavora. Dico azione indiretta, perché ella non opera solo come scienza, ma in compagnia di tutte le altre forze morali della vita, e la sua opera è condizionata dalla materia che trova. Il suo torto è quando concepisce la vita a fil di logica, e non tien conto della materia che le è data, e acquistando una coscienza esagerata della sua forza e della sua missione, quasi che conoscere e potere fosse il medesimo, si attribuisce un’azione diretta sulla vita, e lavora a ricrearla a sua immagine, secondo certi suoi tipi o ideali.

La Scienza ha forza grande, quando trova riscontro negli elementi reali della vita, apparecchiati a riceverla e fecondarla. La sua azione è al contrario infeconda, quando pone la mira troppo alto, e le forze sociali la ributtano. Cosi lo stoicismo potè guadagnare a sé individui, ma non potè formare o riformare alcuna societá, anzi esso non fu se non la consacrazione della dissoluzione sociale, il si salvi chi può il savio ritirato in sé stesso, impassibile alle vicissitudini del mondo esterno, disertore della societá. Maggior successo ebbero gli Accademici, che erano gli eclettici e i moderati di quel tempo, perché tenendosi in bilico tra stoici ed epicurei, rimanevano in quella mezzanitá che meglio rispondeva alla bassa temperatura sociale, insino a che, vinto ogni ritegno, la societá si chiari epicurea e materialista. Certo, se Epicuro e i suoi seguaci riuscirono, non fu loro merito o loro influenza; fu che la societá era piú epicurea di Epicuro, e per cagioni sue intrinseche, derivanti dalla sua storia, cioè dalla sua vita, della quale la Scienza era complice involontaria. Non fu la dottrina che ricreò la vota a sua immagine; fu la vita che si mirò e si riconobbe nella dottrina. La scienza è irresistibile, quando intende non a rinnovare la vita, ma a consacrarla e legittimarla, quasi sua mezzana, come un poeta cesareo, [p. 370 modifica]o come una filosofia ufficiale. Su quest’accordo della scienza e della vita avviene sempre che la scienza dá il motto, un motto giusto e ragionevole, ne’ debiti limiti, com’è il motto di Epicuro, e la vita trascende i limiti, straripa e giunge ne’ suoi eccessi cosí oltre, che fa raccapricciare il maestro. La scienza si chiama Epicuro, e la vita si chiama Nerone.

Vediamo ora l’azione della scienza nel mondo moderno. Il limite aveva straripato, era divenuto oppressione. L’ individuo era vittima di tutti gli esseri collettivi, della famiglia, della Chiesa, della Classe, dello Stato. Il motto della scienza fu Libertá, emancipazione, rivendicazione de’ dritti individuali. La scienza antica operava sopra un mondo giá corrotto, dove la libertá divenuta licenza avea prodotto il dispotismo, e dove le varie stirpi erano unificate dalla conquista, venute meno le differenze e le energie locali. La scienza fu buona a sistemare e organare quel vasto insieme, e a introdurvi ordini e leggi stabili, che sono anche oggi documento dell’antica sapienza. Ma in quel sapiente meccanismo non potè spirare uno spirito nuovo di libertá e di virtú, non ristaurare le forze morali e organiche; lavorava nelle alte cime giá logore e guaste, e trascurava la base, quegl’infimi strati sociali, dove le forze morali erano ancora latenti e integre, e dove operavano con piú efficacia i seguaci di Cristo. Al contrario la scienza moderna stendeva la sua azione sopra stirpi e popoli diversi, di genio, di storia, di costumi e di tradizioni. E però, se la scienza antica riuscí dappertutto agli stessi effetti, perché trovò dappertutto la stessa materia, non poteva essere cosí della scienza moderna. Sarebbe interessante determinare, in quale misura e con quali effetti fu la sua azione ne’ diversi popoli, quali resistenze vi trovò, quali simpatie. E l’investigazione menerebbe a questo risultato, che dove le forze morali erano ancora sane e vigorose, come fu nel mondo germanico, la sua azione fu lenta, ma sicura e stabile, non distruggendo se non organizzando; e dove le forze morali erano guaste e indisciplinate, la sua azione fu rapida, violenta, dissolvente, tra reazioni e rivoluzioni, come fu nel mondo latino, senza possibilitá di fermarsi in un organismo solido e stabile. Il motto della scienza era libertá, e il problema a risolvere era di fondare la libertá senza distruggere il limite, o per dirlo in altro modo il problema era di ristaurare il limite ne’ suoi termini naturali, sf che fosse stimolo e non ostacolo, non oppressione. La missione della scienza era ristaurare, non dissolvere. Ma la scienza non è un ente che viva da sé nelle regioni dell’assoluto; la scienza è formata dagli uomini, le cui opinioni sono determinate dall’ambiente in cui vivono. E perciò è la vita che condiziona la scienza e determina la sua azione. Apparve prima in Italia, come ultimo raggio d’una vita gloriosa, che rifletteva sé stessa nell’arte e nella scienza. E fu una forma limpida e bella, segnata qua e lá di tristezza e d’ironia, come sentisse di essere non altro che forma, vuota di ogni contenuto e di ogni organismo. Perché il contenuto è appunto quel limite, giá caduto sotto l’alta ironia dell’intelletto italiano, la Chiesa, la famiglia, la patria, la classe, ogni [p. 371 modifica]organismo sociale, ogni v;ita pubblica, fiaccati i caratteri, prostrate tutte le forze morali. Nello stesso scienziato italiano la vita era molto al di sotto del pensiero, spesso violenti e radicali i concetti, ipocrito il liguaggio e servili le gare. La scienza rimase sola forza viva in materia esausta e guasta, e potè aiutare alla sua dissoluzione, non spirarvi entro un nuovo organismo. Fu un sole che irradiava senza aver forza di formarsi attorno il suo sistema, e andò in cieli piú lontani, cercando materia piú giovane e piú feconda. Essa fu tra noi piú radicale ne’ suoi concepimenti e piú sterile ne’ suoi atti. Molti oggi ancora se ne gloriano, e vantano la luciditá dell’ intelletto italiano, quando altrove si disputava ancora di teologia. E non veggono che l’intelletto italiano vedeva meglio, perché il suo cuore sentiva peggio, mancati i sentimenti, le passioni, le illusioni, che trattengono nel suo volo l’intelletto, lo tirano nella loro orbita, come un faro benefico, e impediscono che ne scappi fuori, libero nella sua corsa, ma solitario e infecondo, fuori di ogni sistema e di ogni organismo. La scienza, dopo vani sforzi, rimase in Italia un lusso, cosí come l’arte, pagata dai ricchi a decoro de’ loro pranzi e de’ loro corteggi e senza alcuna influenza sulla vita pubblica. I grandi intelletti si ritirarono nella solitudine del loro pensiero, e rinunziando a qualsiasi azione sopra una materia poco acconcia, lavoravano per l’umanitá, fruttificavano in altre terre. La scienza fu un lusso; altro fu il pensare, e altro il fare. E un lusso fu pure nelle altre parti del mondo latino, ma per opposte cagioni. Ivi la vita che si spegneva in Italia, era nel suo pieno fiore, e il sentimento del limite vi si manteneva gagliardo. Nella Spagna la religione era stata potente istrumento d’ indipendenza e unitá nazionale nella lotta contro i Mori; la Monarchia portava nelle piú lontane terre la bandiera spagnuola; la nobiltá era orgogliosa de’ servizi prestati alla patria; e l’oro d’America rendeva facile la vita, nutriva il dolce far niente. In tanto rigoglio ed espansione di vdta letterati e scienziati vi avevano piccolo posto, intenti piú a celebrare le glorie patrie che a correggere e rinnovare. Arte e scienza era un pomposo specchio, nel quale la vita si rifletteva e si ammirava. In Francia le forze popolari erano impetuose, espansive, immaginose ed ambiziose: ciò che è ancora oggi gran parte del genio nazionale. Il limite vi si manteneva ancora con molto prestigio. La Monarchia vi era istrumento di conquista, di gloria: abbondavano i Casati illustri, che rappresentavano tutte le glorie del passato; la religione ricordava le piú nobili tradizioni nazionali, Carlo Magno, Goffredo, San Luigi, Giovanna d’Arco. Contro a questa vota splendida ed esteriore venne a rompere l’ironia di Rabelais, il buon senso di Montaigne, lo spirito severo e prosaico degli Ugonotti, la riflessione malinconica di Pascal e le sottigliezze estatiche de’ giansenisti. Uno spirito nuovo vi fu importato, e potè appena scalfire la superficie di una vita piú romorosa che seria, nella quale invano cercavi il raccoglimento, la riflessione, la calma e l’equilibrio interiore. Lotte vi furono violente, romorose, ardenti, esagerate ne’ fini e ne’ mezzi, come portava il [p. 372 modifica]genio nazionale, insino a che lo spirito pubblico si addormentò sotto l’ombra del gran Re e tra le fallaci apparenze del secolo d’oro, di cui erano ornamento letterati e scienziati, pomposo lusso di corte, preludio ad una vita tutta di convenzione, allegra, elegante, sciolta, sotto alla quale ruggivano le inesplorate profonditá. Il risveglio fu terribile. Sorse il disprezzo verso tutte le istituzioni nazionali, divenute decorazioni di corte, e in quel disprezzo soffiava l’ironia di Voltaire e la collera di Rousseau. La rivoluzione fu violenta, rapida, drammatica, e nelle sue convulsioni assoluta come la scienza, astratta come l’umanitá. Cercando libertá non nel limite, ma contro il limite, ruppe il limite e non diede la libertá. Combattendo la superstizione, spense negli uni il sentimento religioso, e procurò negli altri, come reazione, il fanatismo. Stabili l’uguaglianza giuridica, e produsse una disuguaglianza di fatto sentita piú acerbamente in quella contraddizione, e il frutto fu l’odio di classe, il piú attivo dissolvente sociale, e i piú delicati problemi abbandonati alla forza brutale. Mobilizzò fortune, famiglie, costituzioni e governi, e il turbinio rapi seco ogni sentimento sociale, ogni rispetto di gerarchia, ogni legame di famiglia, di chiesa, di classe, di stato, il culto del dovere e della legge. Sviluppò grandi caratteri, grandi forze, le usò e le abusò, e giunse a logorare in poco tempo le molle di una vita che aveva ancora tutta la spontaneitá della giovinezza. Ebbe grandi eroismi e grandi viltá, inauditi ardimenti e inaudite fiacchezze, trattò e stancò in tutti i versi una vita dotata di tanta elasticitá, che oggi ancora cosí fiaccata minaccia ed offende. Stabili la libertá nella legge, e la violenza nella pratica, e lasciando fare e lasciando passare in teoria, fu in pratica tutto governo, protettore e tutore con gran fastidio de’ protetti e de’ tutelati. Accentrò tutto e volendo far del suo capo il cervello di Europa, lasciò languir di anemia tutte le membra. Si appagò de’ nomi e non si curò delle cose; e non potendo trovar la sostanza, abbracciò l’ombra; riebbe l’imperatore senza l’impero, riebbe la repubblica senza i repubblicani, ripetè e scimieggiò sé stessa; ripetè rivoluzioni senza rivoluzionarii, epopee senza eroi; la storia divenne un circolo, nel quale elementi ora vinti, ora vincitori, sempre violenti, si dibattono e si consumano; alterno ricorso di limiti senza libertá, di liberta senza limiti. Limite e libertá, indeboliti nella coscienza, logorati nell’attrito, non furono piú le funzioni organiche di una societá armonica; furono meccanismi tanto piú artificiosi e complicati nelle forme e ne’ congegni, quanto la vita interna vi era piú debole e men rispettata; ma né i concordati rinvigorirono la fede, né le costituzioni rinvigorirono la libertá; furono espedienti, o come si direbbe oggi, un modus viverteli ; non furono di quelle istituzioni nazionali, nelle quali la coscienza pubblica si riconosce e si acquieta. Lavorando fuori di ogni tradizione e di ogni condizione storica, la societá rimase in balia al lavorio de’ cervelli; furono provati tutti i meccanismi, furono fatte tutte le esperienze; la vita fu trattata come fosse scienza, dove i piú contrarii sistemi si avvicendano; i fatti furono costretti a [p. 373 modifica]camminare con la stessa rapiditá delle idee; la storia usci dalle sue vie naturali, fu una corsa vertiginosa, che non ancora ha trovato il suo punto di fermata, lasciando dietro di sé nel suo cammino intelletti dubbiosi, sentimenti ipocriti, caratteri mobili, uno spirito irrequieto, avventuroso, inappagato, che molto si agita e poco conchiude, senza fermezza ne’ fini e senza serietá ne’ mezzi.

Questa fu la prima prova, nella quale l’influsso della scienza è visibile. Piú che rivoluzione, fu reazione della natura contro la societá, della libertá contro il limite. La scienza vi operò non come scienza, cioè con la persuasione e con la maturitá delle idee; vi operò come vita, e, calata ivi dentro dovè soggiacere a tutte le sue condizioni, dovè pigliarne le passioni, i difetti, i caratteri, il bene ed il male. Nel suo orgoglio e nella sua inesperienza presunse troppo della sua forza, credette che quello che allo spirito apparisce ragionevole, dovesse e potesse per ciò solo tradursi in atto, e il suo motto fu: «Periscano le colonie piuttosto che i principii». Le colonie perirono, ma non si salvarono i principii. La scienza, non tenendo conto della materia in cui operava, falli ne’ suoi fini troppo assoluti; perché la scienza opera sulla vita con istrumenti non suoi, ma tolti alla vita, essendo gl’ istrumenti de’ quali si vale gli uomini condizionati e fatti dalla vita cosí e cosí. Cosa avvenne? La Scienza perdette ogni credito, quasi ella fosse stata cagione di tutte quelle calamitá; e gli uomini nel loro disinganno rincularono insino al medio evo, cercando la loro salvezza nel catechismo, quasi che fosse cosí facile imprimerlo nella coscienza, com’era facile imprimerlo nella memoria. Certo, da quel moto memorabile molti beneficii sono venuti all’umanitá. La libertá si è fatta via ne’ popoli civili; molti limiti artificiali sono caduti; molti limiti sociali sono purificati; l’autonomia e l’eguaglianza degl’ individui ha generato l’autonomia e l’eguaglianza delle nazioni, il principio di nazionalitá; la scienza ammaestrata in quella terribile prova, calando dalla sommitá de’ suoi ideali, ed entrando ne’ misteri della vita e nelle vie della storia, assisa sopra tante rovine si è fatta pensosa, positiva e organizzatrice. Siamone grati a quel nobile popolo, che fece l’esperienza a sue spese, sul suo corpo e sulla sua anima, a questo grande martire dell’umanitá, che vi logorò le forze, vi abbreviò la vita; a questo popolo che ha avuto piú difetti che colpe; e la storia punisce sempre i difetti, e risparmia spesso le colpe, perché il difetto è debolezza, e la storia, come la natura, nutre i forti anche colpevoli a spese de’ deboli.

Se nella societá latina la scienza ingoiò piú di quello che poteva assorbire e digerire, se reagendo contro l’abuso del limite, per quella legge di azione e di reazione, che regola il corso non solo della natura, ma dello spirito, abusò a sua volta, facendo forza alla vita, e accelerando ed esagerando la sua azione; altro fu nella societá anglo-germanica. Ivi la scienza rimase una modesta ausiliaria, perché aveva innanzi organismi formidabili, pieni di vita e di prestigio, e di fiducia, e non si mise giá [p. 374 modifica]di contro ad essi, come nemico, per disfarli, ma penetrò ivi dentro con moto lento, ma continuo, e con poca resistenza; perché gli organismi viventi, nel rigoglio del loro sviluppo e della loro forza, non temono la scienza, anzi se ne valgono ad allargarsi e consolidarsi, purgandosi e riformandosi, cioè a dire cacciando da sé le parti morte o stantie, e rinnovando la materia; dove gli organismi vecchi e aridi stanno chiusi in sé, ed odiano istintivamente l’aria e la luce, come cadaveri, che al contatto dell’aria si dissolvono. Ivi la scienza operava non fuori del limite, e contro il limite, ma entro di quello, e illuminava dall’alto la vita senza mescolarvisi, senza dirigerla o sforzarla, contenta alla sua parte modesta. Cosi ci vive e ci vivrá lungo tempo la chiesa, il comune, la classe, la famiglia, lo stato e la legge, limiti rispettati, la cui voce è ancora potente nel cuore degli uomini, e vi stimola e vi sviluppa le forze produttive. E ci vive insieme la scienza e la libertá, la piú ampia libertá di coscienza, di discussione e dí associazione, che pur non è un pericolo, e fortifica e non corrompe, perché il volo dell’ intelletto ha ivi il suo limite nelle forze sociali ancora integre, il sentimento religioso, la disciplina, la tenacitá, il coraggio morale, il sentimento del dovere e del sacrificio, il culto della natura e della famiglia, il rispetto dell’autoritá, l’osservanza della legge, tutte quelle forze che nel loro insieme noi chiamiamo l’uomo. Sento dire che la scienza ha fatto grande la Germania. Ah! Signori, sono queste qualitá che fanno grandi i popoli, e la scienza non le crea, ve le trova. Ben può ella analizzarle, cercarne l’origine, seguirne la formazione, determinarne gli effetti, far di quelle la storia e la critica; ben può anche moderarle, correggerle, volgerle a questo o a quel fine: una sola cosa non può, non può produrle, e dove son fiacche e logore, non può lei surrogarle. No, ella non può, dove il sentimento religioso languisce, dire: — La religione son io — , e non può, dove l’arte è isterilita, dire: — Arte son io — ; ti può dare una filosofia della storia, del linguaggio, dell’uomo, dello stato; ma non è storia, e non linguaggio, e non è l’uomo, e non è lo stato. Ti dá la coscienza della vita, e non è la vita. Pur quella coscienza non rimane giá vuota e sterile speculazione, ha un’azione sulla vita, un’azione indiretta, piú o meno efficace, secondo la materia in cui lavora. Dico azione indiretta, perché ella non opera solo come scienza, ma come ausíliaria di tutte le forze e interessi morali, e la sua efficacia è condizionata dalla materia che trova. Il suo torto è quando guarda la vita a traverso il suo prisma e la concepisce a fil di logica, e non tien conto della materia che le è data, e lavora a ricrearla a sua immagine, secondo certi suoi tipi o ideali.

Né può essere altrimenti. Ciascuna forza sociale nell’espansione della sua gioventú si oltrepassa e si esagera. La religione, che non è di questo mondo, vuole essere questo mondo; lo stato usurpa a sua volta, e usurpa la famiglia, e usurpa il comune e usurpa la nazione. Anche la scienza è usurpatrice, e invade le altre sfere della vita sociale, e vuole realizzare [p. 375 modifica]in quelle sé stessa, alterando la loro natura, vuole formare una societá intellettuale o scientifica, o come si diceva un tempo, il regno della filosofia. E perché la religione resiste, conchiude: — La religione è morta — ; e perché l’arte resiste, conchiude: — L’arte è morta — ; e perché lo stato resiste, conchiude: — Lo stato è anarchia, lo stato è morto — ; o piuttosto, perché niente muore, e tutto si trasforma, ella si appropria tutto, trasforma tutto, si proclama la forma universale.

Un gran progresso ha fatto la scienza quando è giunta a limitare sé stessa, a riconoscere sé non come un principio, ma come un sistema, dove ella è non il tutto, ma una parte, non la vita, ma una delle forze della vita; ultima forma dello spirito, non è maraviglia, che cerchi sé stessa in tutte le altre, e dove non vi si trovi, vi si cacci per forza5. Anche questa illusione è passata. Una religione scientifica, un’arte scientifica, uno stato scientifico sono iti via insieme con la Dea Ragione. Non è piú il pensiero di questo o di quello, non è piú questo o quel principio, questo o quello ideale; è produzione attiva, continua di quel cervello collettivo che dicesi popolo, produzione impregnata di tutti gli elementi e le forze agl’interessi della vita, e lá, in quel cervello, ella cerca le sue forze, la sua legittimitá, la sua base di operazione. Piú ella si addentra nella vita, piú dissimula sé stessa, piú imita la storia nei suoi procedimenti, piú s’immedesima con quelle forze e con quegl’ interessi, piú espansiva e piú efficace è la sua azione. Ove le forze morali sono ancora intere, ivi la scienza restaura il limite trasformandolo, produce nuovi organismi sociali; ove il sentimento del limite è raffreddato, e le forze organiche indebolite, ivi la sua forza è distruttiva e negativa, e il suo frutto è una libertá poltrona e inorganica, che abbandona a sé stessa le forze cozzanti, che si lascia fuggire di mano il freno, e che rivela 1* indifferenza entrata negli animi, e quel difetto d’iniziativa e di coraggio morale, che noi sogliamo mascherare sotto la forinola del lasciar fare e del lasciar passare: sicché in questi popoli frutto della scienza è una libertá che ripudia la scienza come potere legittimo e direttivo, e abbandona l’istruzione e l’educazione nazionale al flutto delle opinioni e a’rottami del passato. Gridano: — Scienza, scienza, lasciate fare la scienza, la scienza fa miracoli — , ma i miracoli [p. 376 modifica]li fa l’uomo e non la scienza, e debole appunto, vi è la pianta uomo. La vera scienza è attiva, ed entra in tutti gli organismi, e gl’illumina e li trasforma sotto la sua azione perseverante. Non è scienza codesta, che produce idee sciolte come atomi, senza forza di coesione, ed ha per sua arma di guerra non organismi opposti a organismi, ma ironia e caricatura; sicché talora avviene che organismi vecchi rimasi intatti li colgono in mezzo a quel risolino, e si chiudono sopra di loro e li ricoprono. Perché quello resta che è organizzato, e organismi battezzati per morti hanno sempre maggior forza che idee vaganti e ironiche, piovute di qua e di lá, miscuglio inconsistente di vecchio e di nuovo, mutabili ne’ cervelli secondo il successo e la moda. Or questa scienza non fa miracoli, e non fa neppure il miracolo di avviare alla vera scienza, a’ seri e sodi studi, perché, ove le forze morali son fiacche, fiacco è 1’ intelletto e opera iaccamente. Pensiamo dunque o Signori, se vogliamo che la scienza faccia miracoli, pensiamo a formare l’uomo, perché, dove dietro allo scienziato manca l’uomo, spunta il retore. E poiché oggi tutto è scienza, consideriamo che nella vita ci è anche il pensiero, un pensiero latente, formazione lenta de’ secoli, che riproduce e trasmette sé stesso nelle generazioni, mescolato co’ succhi generativi. La vita si rinnova nell’alto, e questo pensiero scava il suo letto piú profondo, si abbarbica ne’ cervelli come quercia nel suolo, e non si move piú, rimane incastrato, stagnante, passivo, rimane la mano morta della vita. Che fará la vostra scienza? Se gli sovrapponete il vostro pensiero, e gli fate forza, reagisce, e lo gitta da sé come un peso incomodo. Se gli date la libertá e gli dite : — Muoviti, cammina — , non ha la forza di usarne, e camminerá contro di voi, e s’ involgerá piú stretto in sé stesso. E se gli date l’istruzione, se gli spezzate il pane della scienza, come oggi si dice, risponderá come ho inteso io: — Lasciatemi la mia ignoranza, poiché mi lasciate la mia miseria — . I rimedii mutano secondo la moda. Una volta si credeva alla forza; oggi si crede all’istruzione. Vogliamo noi sanare la societá, rigenerare la vita, assimilare le membra? Istruzione. Leggere, scrivere, far di conti, un po’ di etica e di galateo, un po’ di catechismo, sia anche il vostro catechismo, il colpo...

48. — Il principio del realismo. — Il testo della «Nuova Antologia» (gennaio i876) presenta, rispetto al volume, varianti minime; p. i95 r. 5 «manca la conoscenza», R «ti manca la conoscenza ». P. 203 rr. i0-ii: «Né, fatta una nuova scoperta, cade tutto intero l’edificio, come dell’ idealismo», R « Né,-fatta... come nell’ idealismo». P. 204 rr. 30-31: «può seguire il pensiero fino nelle piú alte regioni», R «può seguire il pensiero fino nelle sue piu alte regioni». [p. 377 modifica]

5i. — Studio sopra Emilio Zola. — In questo testo abbiamo apportato due correzioni congetturali: p. 242 rr. i3-i4: «Si formò in lui l’uomo nuovo; e il primo segno fu», mentre il volume ha «si formò in lui l’uomo nuovo; e il primo sogno»; cosí a p. 256 il titolo «Reale e ideale in Zola» ha nel nostro testo sostituito il titolo del volume «L’ ideale di Zola», il quale non sarebbe stato altro che un doppione del titolo del paragrafo V (p. 248).

52. — Zola e l’«Assommoir». — Diamo alcune varianti fra il testo in opuscolo (Milano, 1879) da noi adottato e il testo del Croce (Scritti vari ecc., cit.): p. 277, rr. 7-8: «ha soppressa quella scena», Cr «ha soppressa la scena». P. 280 r. 23 : «Guardiamo le nostre idee», Cr «Osserviamo le nostre idee». P. 290 rr. 35-36: «lo trovate nella grande epopea dell’arte nuova», Cr «lo trovate nella grande epoca dell’arte nuova». P. 294 r. i3: «e camminano, camminano», Cr «e camminano». P. 295 r. i7: «è ancora nella sua infanzia! », Cr «è nella sua infanzia». P. 296 r. 3i : «Sunt lacrimae rerum», Cr «Sint lacrimae rerum».

53. — Le «Ricordanze» del Settembrini. — Anche per questo saggio ci siamo valsi dell’edizione Cr, pur avendo tenuto principalmente presente il testo che il D. S. premise ai volumi del Settembrini (Ricordanze , Napoli, Morano, i879). Ecco alcune varianti tra il suddetto testo e il Cr: p. 300 rr. i9-20: «come fosse di uomini vivi e presenti», Cr «come tra uomini vivi e presenti». P. 305 r. i4: «gli martellava il cervello», Cr «gli maltrattava il cervello». P. 308 r. i8: «tra quello svolgere e non svolgere», Cr «tra quello svolgere»; ivi rr. 25-26: «senza nessuna influenza sull’andamento pubblico», Cr «senza influenza ecc.». P. 3i0 r. i3: «Guardavo lui sorridente», Cr «Guardavamo lui sorridente». Inoltre, a p. 312}}, il D. S. attribuisce al Petrarca due versi del Foscolo, ciò che non era stato rilevato finora.

54. — Il darwinismo nell’arte. — Anche per questo saggio abbiamo fatto la collazione tra il testo Cr e il testo dell’opuscolo Morano (Napoli, i883), da noi accettato. Diamo alcune piccole varianti: p. 3i5 r. 2i: «E da questo rispetto», Cr «E, per questo rispetto». P. 3i7 rr. i0-ii: «in quell’ambiente», Cr «nell’ambiente della dottrina». P. 3i9 rr. 5-6: «tradurla al di fuori nella [p. 378 modifica]parola», Cr «tradurla al di fuori con la parola». P. 32i r. 25: «come la fa Natura», Cr «come la fa la natura»; ivi rr. 33-34: «e fa discontinua quella vita», che è la lezione Cr da noi adottata, contro il «e discontinua quella vita» dell’opuscolo (lo stesso abbiamo fatto piú giú: «fa discontinua la vita reale», p. 322 r. 22); p. 322 r. 34 : «in tutta la sua bontá», Cr «con tutta la sua bontá». P. 323 r. i8: «troverá ch’ella ha scosso», Cr «troverá che ha scosso». P. 324 r. 23: «E come mezzo a», Cr «E, poiché mezzo a»; ivi r. 33: «non rimane nell’uomo che l’animale», Cr «non rimane nell’uomo se non l’animale».

Prima di chiudere questa Nota, mi è gradito esprimere un particolare ringraziamento al prof. Michele Manfredi di Napoli, al prof. Luigi de Vendittis di Torino, a Giampiero Carocci dell’Archivio di Stato di Roma, che mi son venuti in aiuto con le loro pazienti e minute collazioni. Un ringraziamento particolare poi devo ai dottori Mario Pettini e Franz Brunetti, che mi hanno dato il loro valido aiuto di discussioni e di riordinamento del materiale raccolto.

          Fiumetto, dicembre i95i.

                                                                                          Luigi Russo

  1. Tutti quelli dei Saggi critici, e precisamente, secondo l’ordine desanctisiano: «Delle opere drammatiche di Federico Schiller», «Saint-Marc Girardin, Cours de littérature dramatique», «Triboulet», «Ponsard, Lucrezia», «Sulla mitologia, Sermone di Vincenzo Monti alla marchesa Antonietta Costa», «Beatrice Cenci, Storia del secolo XVI di F. D. Guerrazzi», «Satana e le Grazie, Leggenda di Giovanni Prati»,» L’Ebreo di Verona del padre Bresciani», «Memorie sull’Italia e specialmente sulla Toscana, dal i8i4 al i840, di Giuseppe Montanelli, Memorie di Giuseppe Montanelli», «Memorie storiche e letterarie di Villemain», «Lavori da scuola», «Giulio Janin», «Janin e Alfieri», «Veuillot e la Mirra», «Janin e Mirra», «Poesie di Sofia Sassernò», «Epistolario di Giacomo Leopardi», «Alla sua donna, Poesia di Giacomo Leopardi», «Schopenhauer e Leopardi», «Una Stona della letteratura italiana di Cesare Cantù», «Storia del secolo XIX di G. Gervinus», «Giudizio di Gervinus sopra Alfieri e Foscolo», «Cours familier par M. de Lamartine», «Dell’argomento della Divina Commedia», «Carattere di Dante e sua utopia», «Pier delle Vigne», «La Divina Commedia, Versione di F. Lamennais», «Contemplazioni di Victor Hugo», «L’Armando», «L’ultimo de’ puristi», «A’ miei giovani».
  2. Precisamente i seguenti: «Francesca da Rimini», «Il Farinata», «L’Ugolino»,» «Un dramma claustrale», «La prima canzone di Giacomo Leopardi», «Ugo Foscolo», «Giuseppe Parini», «L’uomo del Guicciardini», «Settembrini e i suoi critici», «Studio sopra Emilio Zola», «Giovanni Meli», «Il principio del realismo», «La Nerina di Giacomo Leopardi», «Le nuove canzoni di Giacomo Leopardi»
  3. Lettera a Giuseppe Torquato Gargani, da Celle, n settembre 1853: «Né mai Alfieri e Shespeare (non mi ricordo mai come si scrive questo barbaro nome) dipinsero cosí bene i romani» Lettere di G. Carducci, vol. I, p. 60.
  4. Siccome crediamo che sia stata abbastanza dimostrata la necessitá di una revisione del testo Co, d’ora in avanti ometteremo le varianti di quest’ultimo, benché nei nostri appunti siano assai frequenti dei casi interessanti. Ecco qualche esemplificazione di commiato : nel saggio Carattere di Dante e sua utopia, il D. S. (p. i02 r. 6 sgg): «Parecchie canzoni e sonetti hanno per fondamento un fatto reale, che, quasi focile, cava dalla sua anima vive scintille»; Co scrive invece «quasi facile». Nel saggio Schopenhauer e Leopardi (p. i22, r. 28) D. S. scrive: «Ma il nocciolo era troppo grosso, e non si poteva ingozzare» : Co scambia nòcciolo con nocciuolo, com’egli scrive. Nello stesso saggio, a p. i25 r. i8, D. S. scrive : «Schopenhauer dev’essere un testone», intendendo con «testone» una «gran testa», «una mente solida»; Co corregge: «Schopenhauer non dev’essere un testone», con evidente fraintendimento dell’accezione in cui D. S. usa la parola «testone». Nel saggio L’ultimo dei puristi D. S. (p. 23 o r. 28) parla degli «orrori della... pronunzia » dei giovani giunti di fresco alla scuola del Puoti dalle loro provincie; anche qui Co intende correggere una lezione in cui sono concordi giornali e volumi, e mette «errori». Nel saggio Francesca da Rimini (p. 24i r. 24) D. S. scrive : «verso tanto tormentato da’ cementatori» (a proposito del verso : «quel giorno piú non vi leggemmo avante»); Co scrive: «verso tanto commentato dai commentatori», e l’errore evidentemente è stato originato dal fatto che nell’edizione del i879 dei Nuovi saggi critici si trova (p. 2) per errore di stampa tomentato. Abbiamo invece accettato con Co la variante «sentir Pontano cantare», contro «sentir lontano cantare», lezione a nostro giudizio errata, pur avendo la testimonianza concorde del volume e della rivista (p. 274 r. 26). Nel saggio La prima canzone di Giacomo Leopardi (p. 340 r. 6), il D. S. in una citazione riporta : « E per vero, se hai parlato da ciò, non ci senti la dolcezza ecc. »; questa frase è correttamente riportata nei giornali, dove si legge: «se hai palato da ciò»; ma Co scrive: «se hai parlato da ciò». E, per finire veramente, a p. 349 r. 4, in una citazione dal Petrarca, Co fa dire al Petrarca e al D. S. : «piaghe immortali, Che nel bel corpo tuo ecc!».
  5. Perché una forma non intende l’altra. Il sentimento non comprende l’immaginazione, e l’immaginazione non comprende l’intelligenza. Ciascuna forma pone se stessa nelle altre e non ci vede che se stessa, e si ride di ciò che non è lei. Il sentimento guarda con occhio di compassione l’uomo d’immaginazione, che ha bisogno de’ suoi idoli, e de’ suoi riti per giungere sino ad esso, e l’intelletto si beffa dell’immaginazione, e non comprende il sentimento nella sua ignoranza semplice e commovente: Faust non comprende Margherita. La scienza è stata a sua volta il prisma, attraverso al quale abbiamo guardata la vita. Volendo assimilarsela, ne ha indebolite tutte le molle. Venuto è il disinganno, anche questa illusione è passata. La scienza oggi...