Le Mille ed una Notti/Storia di Aladino o la Lampada Meravigliosa

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Storia di Aladino o la Lampada Meravigliosa

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Storia di Aladino o la Lampada Meravigliosa
Continuazione della Storia del Dormiente Svegliato Avventure del califfo Aaron-al-Raschid

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Aladino e la Lucerna meravigliosa.               Disp. XII.

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STORIA DI ALADINO


O


LA LAMPADA MARAVIGLIOSA.


— Sire, nella capitale d’un regno della China, ricchissimo e di vasta estensione, il cui nome ora non mi viene in memoria, viveva un sartore chiamato Mustafà, senz’altra denominazione fuor di quella che il suo mestiere gli dava. Egli era assai povero, ed il suo lavoro rendeagli appena di che sussistere colla moglie, ed un figlio che Dio aveva loro concesso.

«Questo figlio, per nome Aladino, era stato educato con molta trascuratezza, che contrar gli fecero inclinazioni viziosissime. Era cattivo, ostinato, disobbediente ai genitori; appena fu alquanto grande, questi non lo potevano tenere in casa; usciva alla mattina, e passava le giornate a giuocare per le vie e nelle piazze, con altri piccoli vagabondi minori di lui.

«Giunto in età d’imparare un mestiere, suo padre, non essendo in istato di fargliene insegnar altro fuor del suo, lo prese in bottega, e cominciò a mostrargli in qual modo dovesse adoprar l’ago; ma nè per dolcezza, nè per timore d’alcun castigo, non gli fu possibile di metter argine allo spirito volubile del suo figliuolo, nè potè costringerlo a contenersi e starsene assiduo al lavoro, come lo desiderava. Appena Mustafà aveva volta la schiena, Aladino scappava, più non tornando per tutto il giorno. Castigavalo il padre, ma il ragazzo era incorreggibile, e con gran dolore Mustafà fu costretto ad abbandonarlo al suo libertinaggio. Il dispiacere di non poter far rientrare il [p. 24 modifica] figliuolo nel suo dovere, gli fu cagione d’un’ostinata malattia, della quale morì in capo a pochi mesi.

«La madre di Aladino, vedendo che il figliuolo non voleva imparare la professione paterna, chiuse la bottega, e fe’ denaro di tutti gli utensili dell’arte, per continuar a mantenere sè ed il figlio col poco guadagno che poteva fare filando cotone.

«Aladino, non essendo più trattenuto dal timore del padre, curavasi sì poco della madre, che aveva persino l’ardire di minacciarla alla minima rimostranza che gli facesse, ed abbandonossi allora ad un pieno libertinaggio. Frequentava sempre più i ragazzi della sua età, e non cessava di giuocare con essi con maggior passione di prima, continuando questo tenore di vita spensierata sino ai quindici anni, senza menomamente riflettere a ciò che ne potesse risultare. Era in tale situazione, quando un giorno, che giuocava con una torma di vagabondi in mezzo ad una piazza, secondo il solito, uno straniero, che passava, si fermò a guardarlo.

«Era quello straniero un mago insigne, che gli autori, i quali scrissero codesta storia, ci fanno conoscere sotto il nome di mago affricano, e così noi lo chiameremo tanto più volentieri, essendo egli veramente dell’Affrica, ed era giunto appena da due giorni....»

Scheherazade, scorgendo sorger l’aurora, rimise all’indomani la continuazione del racconto.

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NOTTE CCCXI


— Sire,» diss’ella, «sia che il mago affricano, il quale intendevasi di fisonomie, avesse notato sul volto di Aladino quanto era assolutamente necessario per l’esecuzione de’ suoi progetti che avevanlo fatte venire sì da lontano, o sia per tutt’altra ragione, s’informò destramente della sua famiglia, di ciò ch’ei fosse e delle sue inclinazioni. Istruito di tutto quello che desiderava, si avvicinò al giovinetto, e tirandolo in disparte: — Figliuolo,» gli domandò, «non chiamasi vostro padre Mustafà il sartore? — Sì, signore,» rispose Aladino; «ma è morto da qualche tempo. —

«A tali parole, il mago affricano, gettatosi al collo di Aladino, l’abbracciò e baciò varie volte colle lagrime agli occhi e singhiozzando. Il ragazzo, notandone le lagrime, gli chiese perchè piangesse. — Ah, figliuol mio!» sclamò il mago affricano; «come potrei astenermene? Sono vostro zio, ed il padre vostro era il mio buon fratello. Sono più anni che mi trovo in viaggio, e nel momento che arrivo qui colla speranza di rivederlo, e consolarlo pel mio ritorno, voi mi palesate che è morto. Vi assicuro esser questo un dolore sensibilissimo per me di vedermi privo del conforto, cui mi aspettava. Ma ciò che allevia un po’ il mio cordoglio, è che, por quanto me ne possa ricordare, riconosco i suoi lineamenti sul vostro volto, e comprendo che non mi sono ingannato rivolgendomi a voi.» Domandò poi ad Aladino, mettendo la mano alla borsa, ove dimorasse la madre; il ragazzo soddisfece alla sua richiesta, ed il mago affricano, dandogli in pari tempo un pugno [p. 26 modifica] di moneta, gli disse: — Figliuolo, andate a trovare vostra madre; fatele i miei complimenti, e ditele che verrò a visitarla domani, se il tempo me lo permette, onde procurarmi la consolazione di vedere il luogo dove il mio buon fratello visse tanto tempo, e dove finì i suoi giorni. —

«Appena il mago affricano ebbe lasciato il nipote ch’erasi da sè medesimo creato, Aladino corse dalla madre, tutto allegro pel denaro ricevuto dallo zio. — Madre,» le disse giungendo, «vi prego di dirmi se io abbia uno zio. — No, figlio,» gli rispose la madre; «non avete zii nè dalla parte del fu vostro padre, nè dalla mia. — Eppure ho veduto testè un uomo,» riprese Aladino, «che si dice mio zio dal lato di mio padre, essendo, a quanto mi assicura, suo fratello; anzi, si è posto a piangere ed abbracciarmi quando gli dissi che il papà era morto. E per segno che dico la verità,» soggiunse, mostrandole le monete ricevute, «ecco quello che mi ha dato. E m’ha inoltre incaricato di salutarvi da parte sua, e dirvi che domani, se avrà tempo, verrà a trovarvi, per vedere così anche la casa ove mio padre visse e morì. — Figliuolo,» riprese la madre, «è vero che vostro padre aveva un fratello; ma è morto da gran tempo, e non gli ho mai sentito dire di averne altri.» Nè parlarono più oltre intorno al mago affricano.

«All’indomani, costui accostossi per la seconda volta ad Aladino, mentre giuocava in un diverso sito della città con altri fanciulli, ed abbracciatolo come il giorno precedente, e messegli in mano due monete d’oro, gli disse: — Figlio, portate queste a vostra madre; ditele che verrò stasera da lei, e che compri da cena acciò possiamo mangiare assieme; ma prima insegnatemi dov’è la casa.» Il giovanetto glie la ingegnò, ed il mago lasciollo andare.

«Portò Aladino le due monete d’oro alla madre, [p. 27 modifica] e dettole l’intenzione dello zio, uscì la donna di casa per far le spese necessarie, ne tornò con buone provvisioni, ed essendo sprovvista della massima parte del vasellame onde aveva bisogno, andò a chiederne in prestito ai vicini. Spese tutto il giorno a preparare la cena, e verso sera, quando tutto fu in pronto, disse ad Aladino: — Figlio, vostro zio forse non sa dove sia la nostra casa; andategli incontro e conducetelo, se lo trovate. —

«Benchè il giovanetto avesse insegnato al mago affricano la casa, pure accingevasi ad uscire, quando udirono bussare. Aladino aprì, e riconobbe il negromante, il quale entrò carico di bottiglie di vino e di parecchie sorta di frutti che recava per la cena.

«Quando il mago ebbe consegnato tutto ciò che portava ad Aladino, salutò la madre e pregolla di indicargli il posto del sofà dov’era solito sedere il fratello Mustafà. Glielo indicò essa, e subito prosternatosi, baciò egli più volte quel sito colle lagrime agli occhi, sclamando: — Povero fratello, quanto sono sventurato di non essere giunto in tempo per abbracciarti ancora una volta prima della tua morte!» E benchè la madre di Aladino ne lo pregasse, non volle mai sedere nel medesimo luogo. — No,» diceva, «me ne guarderò bene; ma tollerate che mi metta qui rimpetto, affinchè, se sono privo della soddisfazione di vederlo in persona, come padre d’una famiglia che m’è sì cara, possa almeno guardarlo come se fosse presente.» La madre di Aladino non lo sollecitò altro, e lasciollo padrone di prendere il posto che più gli piacque.

«Allorchè il mago fu seduto nel luogo di sua scelta, cominciò a discorrere colla madre di Aladino. — Mia buona sorella,» le disse, «non vi maravigliate di non avermi veduto, in tutto il tempo che foste maritata con mio fratello Mustafà di felice [p. 28 modifica] memoria; son già quarant’anni che uscii di questo paese, mia patria, come lo è anche del fu mio fratello. Da quel tempo, dopo aver viaggiato nelle Indie, in Persia, nell’Arabia, nella Siria, in Egitto, e soggiornato nelle più belle città di quei paesi, passai in Affrica, e vi feci più lunga dimora. Alla fine, siccome è naturale all’uomo, per quanto lontano si trovi dal paese natio, di non perderne mai la memoria, come neppur anco dei parenti e dei compagni d’infanzia, fui preso da desio sì ardente di rivedere il mio, e venir ad abbracciare il caro fratello, mentre sentivami ancora bastante forza e coraggio per intraprendere il lungo viaggio, che non differii a fare i preparativi o mettermi in cammino. Nulla vi dirò, della lunghezza del tempo che vi misi, di tutti gli ostacoli incontrati, e di tutto le fatiche sofferte per giungere fin qui: sol vi dirò che nulla mi ha mortificato tanto, nè più afflitto in tutti i miei viaggi, quanto la notizia della morte d’un fratello sempre da me amato, e che amava d’affetto veramente fraterno. Ho notato alcun che de’ suoi lineamenti sul volto di mio nipote e vostro figliuolo, e ciò mi servi a distinguerlo da tutti gli altri fanciulli, co’ quali si trovava. Egli vi avrà potuto dire in qual maniera accolsi la trista nuova che l’infelice più non esisteva; ma bisogna lodare Iddio di tutte le cose. Mi consolo di ritrovarlo in un figlio che ne conserva le principali fattezze. —

«Il mago, avvedendosi che la vecchia s’inteneriva alla memoria del marito, col rinnovarle il dolore, cangiò discorso, e voltosi al giovanetto, gli chiese il suo nome. — Mi chiamo Aladino,» rispose quegli. — Or bene, Aladino,» riprese il mago, «in che cosa vi occupate? Sapete qualche mestiere? —

«A tal domanda il ragazzo chinò gli occhi e rimase sconcertato; ma sua madre, prendendo la parola: — Aladino,» disse, «è un infingardo. Suo [p. 29 modifica] padre fece il possibile, mentre viveva, per insegnargli il proprio mestiere, ma non potè mai riuscirvi; dacchè egli è morto, ad onta di ciò che gli potei dire e che quotidianamente gli ripeto, non fa altro mestiere che quello del vagabondo, passando tutto il tempo a giuocare co’ fanciulli, come lo vedeste, senza considerare che non è più fanciullo; e se voi non lo svergognate e s’ei non ne approfitta, dispero che non possa mai riescire a nulla. Sa che suo padre non gli ha lasciato beni di sorta, e vede anch’egli che, filando cotone tutto il giorno, come faccio, stento assai a guadagnarmi il pane per amendue. Da parte mia, sono risoluta a chiudergli qualche giorno la porta in faccia, e mandarlo a cercarsene altrove. —

«Finite ch’ebbe la madre tali parole, sciogliendosi in lagrime, il mago disse ad Aladino: — Così non va bene, nipote; bisogna pensare ad aiutarvi da per voi e guadagnarvi il vitto. Vi sono mestieri di più sorta: guardate se ve ne sia alcuno pel quale vi sentiate maggior inclinazione. Forse quello di vostro padre vi dispiace, e vi compiacereste meglio d’un altro: non dissimulate i vostri sentimenti; non sono qui che per aiutarvi.» E vedendo che Aladino non rispondeva: «Se avete ripugnanza ad imparar un mestiere,» continuò, «e vorreste essere galantuomo, vi aprirò bottega di ricche stoffe e tele fine; vi metterete a venderle, e col denaro ricavato, comprerete altre mercanzie, guadagnandovi di tal guisa onoratamente l’esistenza. Consigliatevi fra voi, e ditemi francamente cosa ne pensate; mi troverete sempre pronto a mantenere la mia parola. —

«Quell’offerta lusingò assai il giovanetto, cui lauto più spiaceva il lavoro manuale, in quanto che aveva cognizione bastante per essersi avveduto che le botteghe di tal sorta di merci erano magnifiche e frequentate, ed i mercanti ben vestiti e stimati. [p. 30 modifica] Dimostrò pertanto al mago affricano, da lui riguardato come zio, che la sua inclinazione era piuttosto per quel genere di commercio, e che sarebbegli stato grato per tutta la vita del bene che gli voleva fare. — Poichè tal professione vi aggrada,» ripigliò il negromante, «domani vi condurrò con me, e vi farò vestire pulitamente conforme alla condizione d’uno fra più ricchi mercanti di questa città; dopo domani poi penseremo ad aprirvi una bottega nel modo che intendo io. —

«La madre di Aladino, la quale fin allora non aveva creduto che il mago fosse realmente fratello del marito, più non ne dubitò dopo il bene che prometteva di fare al figliuolo. Lo ringraziò quindi delle sue buone intenzioni, ed esortato Aladino a rendersi degno di tutti i benefizi che lo zio gli faceva sperare, servì da cena. Il discorso si aggirò sul medesimo argomento per tutto il pasto, finchè il mago, vedendo avanzata la notte, congedatosi dalla madre e dal figlio, se ne andò.

«La mattina seguente, il mago affricano non mancò di tornare dalla vedova, siccome aveva promesso, e preso seco Aladino, lo condusse da un mercante, il quale vendeva abiti fatti, di tutte le sorta di belle stoffe, per le diverse età e condizioni. Se ne fece mostrare di acconci alla statura del giovanetto, e messi in disparte tutti quelli che viemaggiormente gli piacevano, rigettando gli altri che non erano della bellezza che intendeva, disse ad Aladino: — Nipote, scegliete fra tutti questi abiti quello che più v’aggrada.» Il giovanetto, lieto della liberalità del nuovo zio, ne scelse uno; il mago lo comprò, con tutto l’occorrente, e pagò ogni cosa senza mercanteggiare....»

L’alba venne qui ad impor silenzio alla sultana; il giorno seguente, Scheherazade, volgendo la parola a Schahriar ed alla sorella: [p. 31 modifica]

NOTTE CCCXII


— Allorchè Aladino si vide sì magnificamente vestito, volse allo zio i maggiori ringraziamenti; il mago tornò a promettergli di non abbandonarlo e tenerlo sempre con sè. In fatti, lo condusse ne’ luoghi più frequentati della città, specialmente in quelli dove stavano le botteghe de’ ricchi mercatanti; e quando fu nella contrada in cui trovavansi le botteghe delle stoffe preziose e delle tele fine, disse ad Aladino: — Siccome tra poco sarete mercante come quelli che qui vedete, fa d’uopo che li frequentiate e che vi conoscano.» Gli fece pur vedere le più belle moschee, lo condusse ai khan dove albergavano i mercanti forastieri, ed in tutti i siti del palazzo del sultano, ne’ quali era libero l’ingresso. Infine, percorsi assieme tutti i bei punti della città, giunsero nel khan ove alloggiava il mago. Vi trovarono alcuni mercanti, co’ quali egli aveva cominciato a stringere amicizia dopo il suo arrivo, e da lui espressamente invitati per trattarli lautamente, e far loro nel medesimo tempo conoscere il suo preteso nipote.

«Il convito terminò a sera. Voleva Aladino congedarsi dallo zio per tornare a casa; ma il mago non volle lasciarlo andar solo, e lo ricondusse egli medesimo dalla madre. Appena vide questa il figliuolo sì ben vestito, fu trasportata di gioia, e non cessava di dare mille benedizioni all’uomo che aveva fatta tanta spesa per suo figlio. — Generoso parente,» gli disse, «non so come ringraziarvi della vostra liberalità. Ben conosco che mio figlio non merita i benefizi che gli fate, [p. 32 modifica] e che ne sarebbe al tutto immeritevole se non ne fosse riconoscente, e trascurasse di corrispondere alla buona intenzione che avete di formargli una sorte sì distinta. Da parte mia,» continuò, «io ve ne ringrazio di nuovo con tutta l’anima, e vi auguro lunga vita per essere testimonio della gratitudine di mio figliuolo, il quale non può meglio dimostrarvela, se non governandosi a seconda de’ vostri saggi suggerimenti.

«— Aladino,» riprese il mago affricano, «è un buon ragazzo; ei m’ascolta, e credo che ne faremo qualche cosa di buono. Mi dispiace però di non poter eseguire domani ciò che gli ho promesso. È giorno di venerdì, le botteghe sono chiuse, e non vi sarà modo di pensare a prenderne una a pigione, ed empirla, mentre i mercanti non penseranno che a divertirsi. Perciò rimetteremo l’affare a sabato; ma tornerò domani a prenderlo, e lo condurrò a passeggiare nei giardini, dove suol trovarsi il fiore della società. Forse non ha veduto ancor nulla dei divertimenti che vi si godono: non è stato fin qui che coi fanciulli; ora è d’uopo che vegga gli uomini.» Il mago finalmente accommiatossi dalla madre e dal figliuolo, e si ritirò. Aladino intanto, il quale era già tutto allegro, vedendosi vestito tanto bene, si fe’ ancora un piacere anticipato del promesso passeggio ne’ giardini dei dintorni della città. In fatti, egli non era mai uscito dalle porte, e non aveva mai veduto le vicinanze ch’erano belle ed amenissime.

«Aladino si alzò e si vestì all’indomani di buon mattino, ond’essere pronto a partire, quando lo zio venisse a prenderlo. Dopo aver aspettato a lungo siccome gli pareva, l’impazienza gli fe’ aprire la porta, e mettersi sulla soglia per vederlo giungere. Quando lo scorse, ne avvertì la madre, e preso da lei congedo, chiuse la porta, e corso ad incontrarlo. [p. 33 modifica]«Il mago affricano fece mille carezze al giovanetto. — Andiamo, mio caro figlio,» gli disse in aria ridente; «oggi voglio farvi vedere molte belle cose.» Lo condusse fuor d’una porta che guidava a certe grandi e belle case, o piuttosto palazzi magnifici, che avevano ciascuno bellissimi giardini, cui era libero l’ingresso. Ad ogni palazzo che incontravano, domandava ad Aladino se lo trovava bello, ed il giovanetto, prevenendolo quando un altro se ne presentava: — Zio,» diceva, «eccone uno più bello di quelli che abbiamo veduto.» Intanto, inoltravansi sempre più innanzi nella campagna, e lo scaltro mago, il quale bramava andar più lontano per eseguire il disegno che aveva in testa, prese occasione di entrare in uno di que’ giardini, e sedendo presso un’ampia vasca che riceveva un’acqua limpidissima dalle fauci d’una testa di leone di bronzo, finse di essere stanco, per far riposare Aladino. — Nipote,» gli disse, «dovete essere stanco al par di me; riposiamoci per racquistare le forze: avremo così maggior coraggio a proseguire la nostra passeggiata. —

«Quando furono seduti, il mago affricano trasse da un fazzoletto, che portava appeso alla cintola, alcune focacce e parecchie sorta di frutti, di cui avea fatto provvista, e lo distese sul margine della vasca. Divise poi una focaccia con Aladino, e quanto ai frutti gli lasciò la libertà di scegliere quelli che più fossero di suo gusto. Durante la piccola merenda intertenne il preteso nipote con parecchi insegnamenti che tendevano ad esortarlo a cessar dal frequentare i fanciulli, ad avvicinarsi piuttosto ad uomini saggi e prudenti, ascoltarli ed approfittare de’ loro discorsi. — Fra poco,» gli diceva, «sarete uomo com’essi, ed è sempre meglio accostumarvi presto a dir buone cose secondo il loro esempio.» Finita la refezione, si alzarono, proseguendo il cammino attraverso, molti giardini separati [p. 34 modifica] l’un dall’altro mediante piccoli fossati che ne sognavano i limiti, ma non ne rompevano la comunicazione, giacchè la buona fede facea sì che i cittadini di quella capitale non usassero maggiori precauzioni per impedire di nuocersi a vicenda. Insensibilmente il mago affricano condusse Aladino assai lontano oltre i giardini, e gli fece traversare molte campagne che lo condussero vicino ai monti.

«Aladino, il quale non aveva mai fatta in vita sua tanta strada, si sentì molto stanco del lungo cammino. — Zio,» disse al mago, «dove andiamo? abbiamo lasciali i giardini ben lungi dietro di noi, e più non veggo che montagne. Se avanziamo di più, non so se avrò forze bastanti per tornare indietro. — Fatevi coraggio, nipote,» gli disse il falso zio, «voglio farvi vedere un altro giardino che supera tutti quelli da voi finora veduti; non è lontano, non v’ha che un passo, e quando vi saremo giunti, mi direte voi medesimo se non vi dispiacerebbe di non averlo veduto, dopo esservene tanto avvicinato.» Aladino si lasciò persuadere, ed il mago lo condusse ancor più lontano, distraendolo con varie dilettevoli storielle, per rendergli men noiosa e più sopportabile la strada.

«Giunsero finalmente fra due montagne di mediocre altezza e quasi eguali, divise da una vallea di poca larghezza, sito notabile dove il mago aveva voluto condurre Aladino per l’esecuzione d’un gran disegno che avealo fatto venire dall’estremità dell’Affrica sino in China. — Siamo giunti,» diss’egli ad Aladino; «qui voglio farvi vedere cose straordinarie e sconosciute a tutti i mortali, e quando le avrete vedute, mi ringrazierete d’essere stato testimonio di tante maraviglie, che nessuno al mondo avrà mirato fuor di voi. Mentr’io batto l’acciarino, adunate fra tutti i ramoscelli, che qui vedete, quelli che vi parranno i più secchi, per accendere il fuoco. — [p. 35 modifica]«Eravi tal quantità di quei ramoscelli, che il giovanetto n’ebbe in breve fatto un mucchio più che sufficiente, mentre il mago accendeva l’esca. Vi appiccò il fuoco, e nel momento che i rovi infiammavansi, il negromante vi gettò sopra un profumo che tenea preparato. Se ne levò tosto un fumo densissimo, ch’egli divideva da una parte e dall’altra, pronunciando parole magiche, alle quali Aladino nulla comprese.»

Schahriar ascoltava attentamente la sultana per sapere cosa sarebbe accaduto per l’operazione magica dell’Affricano, quand’ella cessò dal parlare a cagione dell’aurora che in quel punto comparve.


NOTTE CCCXIII


— Sire,» gli diss’ella il mattino seguente. «nel punto stesso tremò alquanto la terra, e spalancatasi in quel sito davanti al mago e ad Aladino, mostrò allo scoperto una pietra di circa un piede e mezzo in quadrato, e d’un piede circa di altezza, posta orizzontalmente, con un anello di bronzo saldato nel mezzo, onde valersene per sollevarla. Aladino, spaventato di quanto accadevagli davanti agli occhi, n’ebbe paura, e volle darsi alla fuga: ma era necessario a quel mistero, ed il mago lo trattenne e sgridollo fieramente, dandogli uno schiaffo sì forte che lo gettò per terra, e poco mancò non gli schiantasse i denti davanti, come apparve dal sangue che uscivagli dalla bocca. Il povero Aladino, tutto tremante e colle lagrime agli occhi: — Zio,» gridò piangendo, «che cosa vi feci mai per meritare che mi batteste sì duramente? [p. 36 modifica] — Ho le mie ragioni per farlo,» riprese il mago. «Sono vostro zio: ora vi tengo vece di padre, e non dovete rispondere. Ma, figliuolo,» soggiunse, raddolcendosi, «non temete di nulla; vi chieggo soltanto che mi obbediate esattamente, se volete approfittar bene e rendervi degno de’ grandi vantaggi che voglio farvi.» Le belle promesse del mago calmarono alquanto il timore ed il risentimento di Aladino, e quando l’altro lo vide rassicurato al tutto: — Avete veduto,» continuò, «ciò che ho fatto in virtù del mio profumo e delle parole da me pronunciate. Sappiate dunque adesso che sotto la pietra che qui vedete, trovasi un tesoro a voi destinato, e che deve rendervi un giorno più ricco de’ più potenti re della terra. E ciò è tanto vero, che non v’ha persona al mondo fuor di voi cui sia permesso di toccare quella pietra e levarla per entrarvi; mi è anzi proibito di toccarla e metter piede nel tesoro, quando sarà aperto. Laonde è d’uopo che voi facciate esattamente ciò che sono per dirvi, senza mancare; la cosa è d’alta conseguenza per amendue noi. —

«Aladino, sempre stupefatto di quanto vedeva ed udiva dire dal mago, di quel tesoro che dovea renderlo felice, dimenticò gli stenti sofferti e lo schiaffo ricevuto. — Or bene, zio,» disse al mago, rialzandosi, «di che si tratta? Comandate, son pronto ad obbedirvi. — Sono lieto, ragazzo mio,» gli disse il negromante abbracciandolo, «che abbiate preso tal partito; venite, accostatevi; prendete quell’anello ed alzate la pietra. — Ma, zio,» rispose Aladino, «non ho forza bastante per sollevarla; bisogna che mi aiutiate. — No,» rispose il mago, «non avete d’uopo del mio aiuto, e non riesciremmo a nulla, se vi aiutassi: bisogna che l’alziate voi solo. Pronunciate solamente, tenendo in mano l’anello, il nome di vostra padre e dell’avo vostro, ed alzate: vedrete che cederà tosto senza fatica.» Obbedì il giovanetto all’ingiunzione, e levata con facilità la pietra, la pose da lato. [p. 37 modifica]«Tolta che fu la pietra, si vide una buca profonda tre o quattro piedi, con una picciola porta ed alcuni gradini per discendere più abbasso. — Figlio,» disse allora il mago ad Aladino, «osservate esattamente quanto sono per dirvi. Discendete in questa buca; quando sarete giunto al basso dei gradini, troverete una porta aperta, la quale vi condurrà in un ampio sotterraneo a volta, diviso in tre grandi sale, una dopo l’altra. In ciascuna vedrete, a destra ed a sinistra, quattro vasi di bronzo grandi come tini, pieni d’oro e d’argento, ma guardatevi bene dal toccarli. Prima di entrare nella prima sala, alzatevi la veste, ed assicuratevela bene alla cintola. Entrato che sarete, passate nella seconda, e quindi nella terza, senza mai fermarvi. Sopra tutto, guardatevi dall’avvicinarvi alle pareti e toccarle nemmeno cogli abiti; se le toccaste, morreste sul momento; è per questo che vi dissi di tenervela stretta bene alla vita. In capo alla terza sala, c’è una porta che mette in un giardino pieno di begli alberi, tutti carichi di frutti; camminate dritto, ed attraversate il giardino per una strada che vi condurrà ad una scala di cinquanta gradini per salire sur una terrazza. Giunto sulla terrazza, vedrete a voi davanti una nicchia, e nella nicchia una lampada accesa; prendete quella lampada, spegnetela, e gettatone via il lucignolo e versato il liquido, mettetela in seno e portatemela. Non abbiate paura di macchiarvi l’abito: il liquido non è olio, e quando non ve ne sia più, la lampada sarà asciutta. Se vi facessero voglia i frutti del giardino, potete coglierne quanti volete; ciò non vi è vietato. —

«Ciò detto, il mago affricano si cavò un anello dal dito, e lo pose in quello d’Aladino, dicendogli essere un preservativo contro ciò che gli potesse accadere di male, indi gli raccomandò di osservar bene quanto avevagli prescritto. — Andate, [p. 38 modifica] figliuolo,» gli disse dopo simile istruzione, «scendete arditamente; stiamo per diventar ricchi amendue per tutta la nostra vita.»

La sultana, destata un po’ tardi dalla sorella, non ne disse di più per quella notte, ma la domane potè continuare di tal guisa:


NOTTE CCCXIV


— Aladino balzò leggermente nella buca, e sceso fino al basso della scala, trovò le tre sale delle quali il mago avevagli fatta la descrizione. Vi passò in mezzo con tanta maggior precauzione perchè temeva di morire se non avesse scrupolosamente osservato ciò ch’eragli stato prescritto. Attraversò senza fermarsi il giardino, salì sulla terrazza, prese dalla nicchia la lampada accesa, e versatone il lucignolo ed il liquido, vedendola senza umidità, come il mago avevagli predetto, se la pose in seno; sceso quindi dalla terrazza, si fermò nel giardino a considerarne gli alberi, tutti carichi di frutti straordinari, che non aveva veduti se non passando. Ogni pianta ne portava di colori diversi: ve ne aveano di bianchi, di scintillanti e trasparenti come il cristallo; di rossi, questi più carichi, quelli meno; di verdi, azzurri, violetti, giallognoli, e di varie altre sorta di colori. I bianchi erano perle; i rutilanti e trasparenti, diamanti; i rossi carichi, rubini; quelli meno scuri, rubini balasci; i verdi, smeraldi; gli azzurri, turchesi; i violetti, amatisti; i giallognoli, zaffiri, e così degli altri. Quei frutti erano tutti d’una grossezza e perfezione superiore a quanto erasi ancor veduto. Aladino, il quale non ne conosceva il merito, nè il [p. 39 modifica] valore, non fu guarì mosso dalla vista di tali frutti, che non erano di suo gusto, come lo sarebbero stati i fichi, l’uva e gli altri frutti eccellenti comuni in China. D’altronde, non essendo ancora in età di conoscerne il pregio, immaginò che tutti quei frutti altro non fossero che vetro colorato, e non valessero di più. Nondimeno, la diversità di tanti bei colori, la bellezza e grossezza straordinaria di ciascun frutto, lo indussero a coglierne di tutte le specie, ed in fatti, presine parecchi d’ogni colore, se ne riempì le tasche e due borse nuove comperategli dal mago insieme all’abito di cui avevagli fatto dono, e siccome le borse capir non potevano nelle tasche già piene, se le attaccò una per parte alla cintura: ne avvolse anche nelle pieghe della cintura stessa, ch’era d’una stoffa di seta ampia ed a vari giri, e li accomodò in modo che non potessero caderne; nè dimenticò di mettersene in seno, fra la veste e la camicia, tutto all’intorno.

«Aladino, così carico di tante ricchezze onde ignorava il valore, tornò frettoloso verso le tre sale, per non far attendere troppo a lungo il mago affricano; e traversatele colla medesima cautela di prima, risalì per dove era disceso, e si presentò all’ingresso della buca, dove il negromante aspettavalo con impazienza. Appena Aladino lo vide: — Zio,» gli disse, «vi prego di darmi la mano per aiutarmi a salire.» Il mago rispose: — Figlio, datemi prima la lucerna: vi potrebbe imbarazzare. — Perdonatemi, o zio,» rispose il giovane, «ella non m’imbarazza: ve la darò appena sarò in alto.» Il mago si ostinò a volere che Aladino gli consegnasse la lampada prima di trarlo dalla buca, ed il giovinetto, il quale avevala imbarazzata con tutti i frutti ond’erasi empito da tutti i lati, ricusò assolutamente di dargliela finchè non fosse fuori. Allora l’Affricano, disperato per la [p. 40 modifica] resistenza del giovane, montò in tremenda furia: gettò un po’ del suo profumo sul fuoco che avea avuto cura di attizzare, ed appena ebbe proferite due parole magiche, la pietra, che serviva a turare l’ingresso della buca, si ripose da sè medesima al suo posto, colla terra al disopra, nello stato medesimo in cui trovatasi all’arrivo del mago e di Aladino.»


NOTTE CCCXV


— Sire,» continuò a raccontare Scheherazade, «certo è che il mago affricano non era fratello di Mustafà il sartore, come se n’era vantato, nè per conseguenza zio di Aladino. Era veramente nativo dell’Affrica, ed essendo quello un paese, dove vanno più pazzi della magia che in tutti gli altri luoghi, vi si era fin dalla gioventù dedicato, e dopo quarant’anni o circa d’incantesimi, d’operazioni di geomanzia, di fumigazioni e di letture di libri magici, era finalmente giunto a scoprire esistere al mondo una lucerna maravigliosa, il cui possesso avrebbelo reso più potente di tutti i monarchi dell’universo. Mediante un’ultima operazione di geomanzia, aveva conosciuto che questa lucerna stava in un sotterraneo, nel mezzo della China, nel sito e con tutte le circostanze che vedemmo. Convinto intimamente della verità di tale scoperta, era partito, come abbiam detto, dall’estremità dell’Affrica, e giunto, dopo lungo e penoso viaggio, alla città tanto vicina al tesoro; ma benchè la lampada fosse certamente nel luogo onde avea cognizione, pur non eragli concesso di levarla egli medesimo, nè di entrare in persona nel sotterraneo dove trovavasi. Bisognava [p. 41 modifica] che un altro vi scendesse, andasse a prenderla e gliela consegnasse. Erasi adunque rivolto ad Aladino, parsogli un fanciullo di niun’importanza, e adatto a rendergli il servigio che se ne attendeva, ben risoluto, appena avesse nelle mani la lucerna, di far l’ultimo suffumigio già da noi detto, e pronunciando le due parole magiche che produr doveano l’effetto che vedemmo, sagrificare così il povero Aladino alla propria avarizia e malignità, per non aver testimonii. Lo schiaffo dato al giovinetto e l’autorità presa sopra di lui, altro scopo non avevano se non di avvezzarlo a temerlo ed obbedirgli esattamente, affinchè quando gli chiedesse la famosa lucerna magica, tosto gliela consegnasse; ma gli accadde tutto al contrario di quanto erasi proposto. In fine, non usò della sua malvagità con tanta precipitazione, onde perdere il povero Aladino, se non perchè temeva che contrastando con lui più a lungo, non giungesse qualcuno ad udirli, e così non si rendesse pubblico ciò che tanto premevagli di tenere a tutti nascosto.

«Quando lo stregone vide le sue grandi e belle speranze rovinate per sempre, non ebbe altro partito da scegliere che quello di tornare in Affrica, e ciò appunto fece nel medesimo giorno, prendendo la sua strada per le campagne onde non rientrare nella città, da cui era uscito con Aladino, nella tema di non venire osservato da parecchie persone, le quali potevano averlo veduto passeggiare con quel fanciullo, e tornarsene poi senza di lui.

«Secondo tutte le apparenze, non doveasi più sentir parlare di Aladino; ma neppur colui, il quale aveva creduto di perderlo per sempre, non aveva fatto attenzione di avergli posto in dito un anello che poteva servire a salvarlo. In fatti, fu appunto quell’anello l’origine della salvezza di Aladino, il quale non ne conosceva la virtù; ed è cosa sorprendente che la [p. 42 modifica] perdita di questo, insieme a quella della lampada, non abbia gettato il mago nell’ultima disperazione. Se non che sono i maghi tanto avvezzi alle disgrazie ed agli avvenimenti contrari alle loro brame, che non cessano, finchè vivono, di pascersi di fumo, di chimere e d’illusioni.

«Aladino, il quale non aspettavasi all’iniquità del falso suo zio dopo le carezze ed il bene ricevuto, fu colpito da uno stupore più facile ad immaginarsi che a descrivere. Quando si vide sepolto vivo, chiamò mille volte lo zio, gridando ch’era pronto a dargli la lucerna; ma inutili furono le sue grida, non avendo più modo di esserne udito: rimase dunque nelle tenebre e nell’oscurità. In fine, data qualche tregua alle lagrime, discese fino al basso della scala per andar a cercare la luce nel giardino dov’era già passato; ma il muro, apertosi per incanto, erasi già rinchiuso e congiunto per un altro incanto. Palpa davanti a lui a destra ed a sinistra a più riprese, e non trova più porta: raddoppia le grida ed i pianti, e siede sui gradini, senza speranza di rivedere mai più la luce, e colla trista certezza, per lo contrario, di passare dalle tenebre in cui trovavasi, a quelle d’una vicina morte.

«Rimase Aladino due giorni in tale stato, senza mangiare, nè bere; il terzo finalmente, ritenendo come inevitabile la morte, alzò le mani congiunte, e con intera rassegnazione alla volontà di Dio, sclamò:

«— Non v’ha forza e potenza se non in Dio, l’altissimo, il grande!»

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NOTTE CCCXVI


— In quell’azione di congiungere le mani, fregò, senza pensarvi, l’anello postogli in dito dal mago affricano, e del quale non conosceva ancora la virtù. Tosto un genio di enorme figura e sguardo spaventevole, gli si levò dinanzi come di sotterra, finchè giunto colla testa sino alla volta, disse ad Aladino queste parole:

«— Che cosa vuoi? Eccomi pronto ad obbedirti come tuo schiavo, e schiavo di tutti quelli che tengono l’anello in dito, io e gli altri schiavi dell’anello.

«In altro tempo ed in tutt’altra occasione, Aladino, il quale non era avvezzo a simili apparizioni, avrebbe potuto sentirsi colto da terrore, e perdere, alla vista d’una figura sì straordinaria, la favella; ma occupato unicamente dell’urgente pericolo in cui si trovava, rispose senza esitare: — Chiunque tu sia, fammi uscire da questo luogo, se ne hai il potere.» Appena ebbe pronunziate tali parole, la terra si aprì, ed egli si trovò fuor dalla caverna, ed appunto nel sito medesimo dove avevalo condotto il mago.

«Non parrà strano se Aladino, il quale era rimasto tanto tempo nelle più fitte tenebre, provasse alla prima molta difficoltà a sostenere la luce del giorno; pure vi avvezzò a poco a poco gli occhi, e guardandosi intorno, stupì grandemente di non veder apertura sul suolo. Non potè comprendere in qual modo si trovasse repentinamente fuor dalle sue viscere, nè vi fu se non il sito nel quale erano stati accesi i ramoscelli, che gli facesse conoscere presso [p. 44 modifica] a poco dove si trovasse il sotterraneo. Quindi, voltosi dal lato della città, la scoprì nel mezzo de’ giardini che la circondavano; riconosciuta la via per la quale avevalo condotto il mago affricano, ei la riprese, ringraziando Iddio di ritrovarsi un’altra volta al mondo, dopo aver disperato di mai più tornarvi. Giunto alla città, si strascinò con istento fino a casa. Entrato dalla madre, la gioia di rivederla, insieme alla debolezza che provava per non aver da tre giorni mangiato, gli cagionarono uno svenimento di qualche tempo; sua madre, la quale avevalo già pianto come perduto o morto, vedendolo in quello stato, non tralasciò cura alcuna per farlo rinvenire. Tornato finalmente in sè, queste furono le prime parole che pronunziò: — Madre, prima d’ogni altra cosa vi prego di darmi da mangiare; sono tre giorni che non ho preso alcun cibo.» La madre, portatogli quanto aveva e postoglielo davanti: — Figlio mio,» gli disse, «non vi affrettate; vi sarebbe dannoso; mangiate a poco a poco e con comodo, ed abbiate riguardo nel gran bisogno che ne avete. Non voglio nemmeno che parliate: avrete ben tempo di raccontarmi ciò che vi è accaduto quando sarete ristabilito. Son tutta lieta di rivedervi, dopo il gran dolore ch’ebbi da venerdì in poi, e tutte le pene che mi diedi onde poter sapere cosa fosse stato di voi, dopochè vidi già calata la notte, e non eravate ancora tornato a casa. —

«Seguì Aladino il consiglio della madre: mangiò tranquillamente a poco a poco, e bevve in proporzione. Indi, quand’ebbe finito: — Madre,» le disse, «avrei da farvi alte lagnanze per avermi con tanta facilità abbandonato alla discrezione d’un uomo che avea il pensiero di perdermi, ed il quale, nel momento che vi parlo, tiene per così certa la mia morte, che non dubita ch’io non sia più in vita, o [p. 45 modifica] debba perderla fra non molto; ma voi credeste che fosse mio zio, ed io l’ho creduto al par di voi. Ah! potevamo noi avere verun altro pensiero d’un uomo che mi colmava di carezze e di benefizi; e faceami tante altre belle promesse? Sappiate, madre mia, che egli non è se non un traditore, uno scellerato, un furbo. Non m’ha fatto tanti benefizi e tante promesse se non allo scopo di perdermi, come v’ho detto, senza che voi, ned io potessimo indovinarne la cagione. Da parte mia, posso accertarvi di non avergli dato motivo alcuno di meritare il minimo maltrattamento. Lo comprenderete voi medesima dal racconto fedele che sono per farvi dell’accaduto, dacchè mi sono da voi separato fino all’esecuzione del perfido suo disegno. —

«Aladino cominciò a narrare alla madre le sue avventure col mago dal venerdì ch’era venuto a prenderlo per condurlo a vedere i palazzi ed i giardini fuor della città; quanto gli avvenne per via fino al sito delle due montagne dove operar doveasi il gran prodigio del mago; come, con un profumo gettato sul fuoco ed alcune parole magiche, la terra si fosse in un attimo spalancata, mostrando l’ingresso d’un sotterraneo che conduceva ad un tesoro inestimabile. Non dimenticò lo schiaffo ricevuto dal mago, ed in qual maniera, dopo essersi alquanto raddolcito, lo avesse con infinite promesse, e mettendogli il suo anello in dito, indotto a discendere nel sotterraneo. Nè ommise circostanza veruna delle cose vedute passando e ripassando nelle tre sale, nel giardino e sulla terrazza, dove avea presa la lampada maravigliosa, ch’ei mostrò, traendola dal seno, alla madre, insieme ai frutti trasparenti e di vari colori colti nel giardino nel tornar indietro, ai quali aggiunse le due borse piene, che diede alla madre, e di cui essa fece poco caso. Eppure quei frutti erano pietre preziose: [p. 46 modifica] lo splendore, brillante come il sole, che tramandavano alla luce d’una lampada che illuminava la stanza, dovea far giudicare dell’altissimo loro valore; ma la madre di Aladino non aveva su ciò maggior cognizione del figliuolo; chè, stata allevata in condizione mediocrissima, suo marito non aveva avute sostanze bastevoli a procurarle di questa sorta di gioie. D’altronde, non avendone mai vedute ad alcuna delle sue parenti, nè alle vicine, non è da maravigliarsi se non le riguardò che come cose di poco valore e buone tutt’al più a ricreare la vista per la varietà dei colori; talchè Aladino le pose dietro un cuscino del sofà su cui stava seduto. Terminò quindi il racconto della sua avventura dicendo, che quando si presentò all’ingresso del sotterraneo, mentre accingeasi ad uscire, al rifiuto da lui fatto al mago di dargli la lucerna ch’esso voleva, l’apertura erasi rinchiusa in un istante per la forza del profumo gettato dallo stregone sopra il fuoco, non lasciata da questi estinguere, e delle parole da colui pronunziate. Ma non potè continuare, senza versar molte lagrime, a riferirle lo stato infelice, nel quale erasi trovato, quando si vide sepolto vivo nel fatale sotterraneo, fino al momento in cui erane uscito, e tornato, per così dire, al mondo pel soffregamento del suo anello, di cui non conosceva ancora la virtù. Quand’ebbe finito il racconto: — Non è necessario dirvi di più,» soggiunse, volto alla madre; «il resto lo sapete. Ecco in fine qual fu la mia avventura, e quale il pericolo da me corso dacchè non mi avete veduto. —

«La madre di Aladino ebbe la pazienza di ascoltare, senza interromperlo, quel racconto maraviglioso e sorprendente, ed in pari tempo così doloroso per una madre che, malgrado i suoi difetti, amava teneramente il figliuolo. Ne’ luoghi però più commoventi, e che facevano viepiù risaltare la perfidia del mago affricano, non seppe ella trattenersi dal dimostrare [p. 47 modifica] quanto lo detestasse co’ segni della maggior indignazione, ma quando il giovine ebbe finito, si scatenò con mille ingiurie contro l’impostore; lo chiamò traditore, perfido, barbaro, assassino, ingannatore, stregone, nemico e flagello del genere umano. — Sì, figliuol mio,» soggiunse, «è uno stregone, e gente di tal fatta sono pubbliche pesti; tengono commercio co’ demoni mediante i loro incantesimi e sortilegi. Benedetto sia Iddio, il quale non ha permesso che la sua malignità insigne avesse contro di voi l’intiero suo effetto! Dovete ringraziarlo bene della grazia che v’ha fatto! La vostra morte era inevitabile, se non vi foste ricordato di lui, ed implorato non ne aveste il soccorso.» Aggiunse ancora molte altre cose, detestando sempre il tradimento dal mago fatto al figliuolo; ma parlando, si avvide che Aladino, il quale non aveva dormito da tre giorni, pareva bisognoso di riposo; fattolo dunque andar a letto, poco dopo si coricò anch’essa.»


NOTTE CCCXVII


— Sire,» proseguì la sultana delle Indie, «Aladino, non avendo preso alcun riposo nel sotterraneo dov’era stato sepolto nell’intenzione che vi perdesse la vita, dormì di sonno profondo tutta la notte, nè si risvegliò che alla domane assai tardi. Alzatosi allora, la prima cosa che disse alla madre fu di esternarle il bisogno di mangiare, e che far non gli poteva piacere maggiore quanto di dargli da colazione. — Aimè, figlio mio,» rispose la madre, «non ho nemmeno un tozzo di pane da darvi; mangiaste ier sera le poche provvisioni che aveva in casa: ma abbiate un po’ di [p. 48 modifica] pazienza; non istarete molto ad averne. Ho un po’ di filo di cotone del mio lavoro; andrò a venderlo per comprarvi del pane e qualche cosa pel nostro desinare. — Mamma,» riprese Aladino, «riservate il vostro filo di cotone per un’altra volta, e datemi la lucerna portata ieri da me; andrò a venderla, e col denaro ricavato avremo da poter fare colazione e desinare, e fors’anche da cena. —

«La madre, presa la lucerna dal sito in cui avevaia collocata: — Eccola,» disse al figlio, «ma è molto sporca; per poco che sia pulita, credo che varrà qualche cosa di più.» Prese quindi acqua ed un po’ di sabbia fina per nettarla; ma appena ebbe cominciato a strofinare la lucerna, in un istante, alla presenza del figliuolo, sollevossi e le comparve davanti un genio orribile e di gigantesca statura, il quale le disse con voce altitonante:

«— Che vuoi? Eccomi pronto ad obbedirti come tuo schiavo, e schiavo di tutti quelli che hanno la lucerna in mano, io e gli altri schiavi della lucerna!

«La vecchia non era in grado di rispondere: la sua vista non avea potuto sostenere l’orrenda figura del genio, ed il di lei spavento era stato tale fin dalle prime parole da colui pronunciate, che cadde fuor de’ sensi.

«Aladino, il quale aveva già avuto un’apparizione consimile nel sotterraneo, senza perder tempo, nè il giudizio, s’impossessò ratto della lucerna, e supplendo alla mancanza di spirito della madre, rispose per lei con voce ferma: — Ho fame, recami da mangiare.» Il genio disparve, e tornò poco dopo carico d’un gran bacile d’argento, che portava sulla testa, con dodici piatti coperti dello stesso metallo, pieni di squisite vivande dispostevi sopra, sei grossi pani bianchi come la neve sui piatti, due bottiglie di vino squisito, e due tazze d’argento in mano. Depose il tutto sul sofà, e subito disparve. [p. 49 modifica]«Ciò fu l’opera di sì poco tempo, che la madre di Aladino non era ancor rinvenuta quando il genio sparì per la seconda volta. Aladino aveva già cominciato a spruzzarle acqua sul volto, e non vedendone effetto alcuno, accingevasi a ricominciare, quando, sia che gli spiriti, ch’eransi prima dissipati, si fossero finalmente raccolti, o che vi avesse contribuito in qualche cosa l’odore de’ cibi allora recati dal genio, essa risensò in quel momento. — Madre,» le disse Aladino, «non abbiate paura; alzatevi, e venite a mangiare: ecco di che rimettervi in lena, e nello stesso tempo di che soddisfare alla mia fame. Non lasciamo raffreddare sì buone vivande, e mettiamoci a tavola. —

«La madre di Aladino fu sommamente sorpresa quando vide il gran bacile, i dodici piatti, i sei pani, le due bottiglie e le due tazze, e sentì l’odore delizioso esalante da tutti quei piatti. — Figliuolo,» gli domandò, «d’onde viene quest’abbondanza, ed a chi siamo debitori di tanta liberalità? Avrebbe mai il sultano avuto notizia della nostra povertà, e sentito compassione di noi? — Madre,» riprese il giovinetto, «mettiamoci a tavola e mangiamo: ne avete bisogno al par di me. Vi dirò quello che mi chiedete quando avremo fatto colazione.» Si misero adunque a tavola e mangiarono col miglior appetito, non essendosi mai, nè madre nè figlio, trovati ad una tavola sì ben ammannita.

«Durante il pasto, la madre di Aladino non poteva saziarsi dal guardare ed ammirare il bacile ed i piatti, sebbene non sapesse troppo distinguere se fossero d’argento o d’altra materia, tant’era poco avvezza a vederne di simili; ed a parlare propriamente, senz’aver riguardo al loro valore, ch’erale ignoto, la sola novità tenevala in quell’ammirazione, nè suo figlio ne aveva maggior cognizione di lei.

«Aladino e sua madre, i quali non pensavano a [p. 50 modifica] fare se non una semplice colazione, trovaronsi ancora a tavola all’ora del pranzo; vivande sì eccellenti avevano destato il loro appetito, e mentre erano ancor calde, credettero meglio di riunire insieme i due pasti, finiti i quali rimase lor ancora non soltanto per la cena, ma ben anche da fare due altri buoni pasti per la domane.

«Quando la vecchia ebbe sparecchiato e messe in disparte le vivande, alle quali non avevano toccato, venne a sedere sul sofà vicino al figliuolo. — Aladino,» gli disse, «attendo che soddisfacciate all’impazienza in cui sono d’udire il racconto che m’avete promesso.» Il giovane le narrò esattamente quanto era accaduto tra il genio e lui durante il di lei svenimento, finchè fu rinvenuta.

«La madre di Aladino rimase piena di stupore pel discorso del figliuolo e l’apparizione del genio. — Ma, figlio mio,» ripres’ella, «che cosa intendete dire coi vostri geni? Giammai, dacchè sono al mondo, non ho sentito che veruno di mia conoscenza ne avesse veduti. Per qual caso quel brutto genio è venuto a presentarmisi? Perchè s’è egli rivolto a me, e non a voi, al quale era già apparso nel sotterraneo del tesoro?

«— Madre,» ripigliò Aladino, «il genio apparsovi non è il medesimo che comparve a me: somigliansi in certo modo per la loro gigantesca statura, ma sono affatto diversi per l’aspetto e pel vestimento, ed appartengono a padroni diversi. Se ben vi ricorda, quello che ho veduto io si disse schiavo dell’anello che tengo in dito, e l’altro che vedeste voi, si proclamò schiavo della lucerna che avevate in mano. Ma credo che non l’abbiate inteso; mi sembra in fatti che siate svenuta appena egli avea cominciato a parlare.

«— Come!» gridò la vecchia; «è dunque la vostra lucerna la cagione che quel brutto genio siasi [p. 51 modifica] rivolto a me piuttosto che a voi? Ah, figliuolo, toglietemela dagli occhi, e mettetela dove vi piace: non voglio più toccarla. Acconsento piuttosto che sia gettata o venduta, che non correre il rischio di morire dallo spavento toccandola. A mio parere, dovreste disfarvi anche dell’anello. Non bisogna aver commercio coi geni: sono demonii, come il nostro profeta ha detto.» — Madre, con vostra buona licenza,» ripigliò Aladino, «mi guarderò bene dal vendere, come stava per farlo poco fa, una lucerna, che ci vuol essere tanto utile ad entrambi. Non vedete cosa ci ha testè procurato? Bisogna che continui a somministrarci il cibo e sostentarci. Dovete comprendere, al par di me, non essere senza ragione se quel mio falso e malvagio zio davasi tanto moto, ed aveva intrapreso un viaggio sì lungo e penoso, per giungere al possedimento di questa lampada maravigliosa, cui preferiva di lunga mano a tutto l’oro e l’argento che sapeva trovarsi nelle sale, e che vidi anch’io, come me ne aveva avvertito. Troppo bene conosceva egli il merito ed il valore di questa lampada per chiedere altra cosa d’un sì ricco tesoro. Ora, giacchè il caso ce ne fece scoprire la virtù, facciamone un uso che ne riesca proficuo, ma in modo che sia senza chiasso, e non ci attiri l’invidia e la gelosia de’ vicini. Voglio intanto levarvela dagli occhi e metterla in un luogo dove la troverò quando ne sarà d’uopo, poichè i geni vi fanno tanta paura. Circa all’anello, non saprei risolvermi a gettarlo via: senza di esso non mi avreste mai più riveduto, e se vivessi a questa medesima ora, non sarebbe forse che per pochi momenti. Mi permetterete dunque di conservarlo e portarlo sempre preziosamente in dito. Chi sa non mi possa accadere qualche altro pericolo, che noi non giungiamo a prevedere, e da cui riesca a liberarmi?» [p. 52 modifica] Siccome il discorso di Aladino pareva assai giusto, sua madre non ebbe nulla da replicare. — Caro figlio,» gli disse, «potete fare come v’aggrada: io però non vorrei, per tutto l’oro del mondo, aver da fare con geni. Vi dichiaro che me ne lavo le mani, e non ve ne parlerò più.»


NOTTE CCCXVIII


— All’indomani sera, dopo la cena, non restava più nulla della buona provvisione portata dal genio; il giorno seguente, non volendo Aladino attendere che la fame lo stringesse, prese sotto la veste un piatto d’argento, ed uscì per andarlo a vendere. Si rivolse ad un Ebreo che incontrò per via, e trattolo in disparte, e mostratogli il piatto, gli domandò se volesse comprarlo.

«Lo scaltro Ebreo prende il piatto, lo esamina, e non appena ebbe conosciuto ch’era d’argento fino, domandò al giovane quanto ne volesse. Aladino, il quale non ne conosceva il valore, e non aveva mai fatto commercio di simili oggetti, si contentò di dirgli saper bene anch’egli cosa potesse valere, e che rimettevasene alla sua buona fede. L’Ebreo si trovò imbarazzato dell’ingenuità di Aladino, e nell’incertezza di sapere se questi ne conoscesse la materia ed il valore, trasse dalla borsa una moneta d’oro che non formava al più se non la settantesimaseconda parte del valore del piatto, e gliela presentò. Il giovane prese con premura la moneta, e quando l’ebbe in mano, andossene con tal fretta, che l’Ebreo, non contento del guadagno esorbitante fatto con quell’acquisto, si dolse fra sè di non aver capito che il garzoncello [p. 53 modifica] ignorava il valore del piatto venduto, e di cui avrebbe potuto dargli assai meno. Fu in procinto di correr dietro al giovane, onde cercar di ritirare qualche cosa della sua moneta d’oro; ma Aladino correva, ed era già sì lontano, che non l’avrebbe raggiunto se non con molta difficoltà.

«Intanto Aladino, nel tornare a casa, si fermò alla bottega d’un fornaio, dove comperò il pane necessario per sè e per la madre, pagandolo colla moneta d’oro che gli fu cambiata; giunto all’abitazione, diede il resto alla madre, la quale, andata al mercato, provvide il necessario per vigere amendue alcuni giorni.

«A poco a poco Aladino vendette all’Ebreo tutti i piatti l’un dopo l’altro, sino al duodecimo, nella stessa guisa del primo, a misura che gli veniva mancando il danaro; l’usuraio, che avevagli dato una pezza d’oro pel primo, non osando offrirgli meno degli altri, per timore di perdere un sì buon negozio, glieli pagò tutti al medesimo prezzo. Speso che fu il danaro dell’ultimo piatto, Aladino ricorse al bacile, che pesava esso solo dieci volte quanto ogni piatto, e volea portarlo al suo solito mercante; ma impeditone dal gran peso, si vide costretto d’andar a cercare l’Ebreo, e condurlo in casa della madre, dove questi, esaminato, bene il peso del bacila, gli contò sull’istante dieci monete d’oro, delle quali il giovane si accontentò.

«Finchè durarono le dieci pezze d’oro, furono adoperate alla spesa quotidiana della casa. Aladino però, benchè avvezzo ad una vita oziosa, erasi astemito dal giuocare co’ giovanetti dell’età sua, dopo l’avventura col mago affricano, e passava i giorni a passeggiare conversando con gente di cui aveva fattala conoscenza. Fermavasi talvolta nelle botteghe de’ grossi mercadanti, dove prestava l’orecchio ai discorsi delle [p. 54 modifica] persone distinte che vi si fermavano, e vi capitavano come ad una specie di convegno; e quei discorsi a poco a poco gli diedero qualche nozione della società.

«Quando nulla più rimase delle dieci pezze d’oro, Aladino ebbe ricorso alla lucerna, e presala in mano, cercando il sito toccato dalla madre, come l’ebbe riconosciuto dall’impressione lasciatavi dalla sabbia, la fregò com’ella aveva fatto, e subito gli sì presentò davanti il medesimo genio già comparso; ma avendo Aladino fregata la lampada più leggermente della genitrice, lo spirito gli parlò pure con più dolce accento.

«— Che vuoi?» gli disse negli stessi termini di prima; «eccomi pronto ad obbedirti come schiavo tuo e di tutti quelli che hanno la lucerna in mano, io e gli altri schiavi della lucerna!

«— Ho fame,» gli rispose Aladino; «recami da mangiare.» Il genio disparve, ed in breve ricomparì, carico d’un servizio da tavola simile a quello portato la prima volta; lo depose sul sofà, e nel punto stesso nuovamente scomparve.

«La madre di Aladino, avvertita del disegno di suo figlio, era espressamente uscita di casa per qualche faccenda, onde non trovarvisi al tempo dell’apparizione del genio; tornata alquanto dopo, vide la tavola e la credenza ben guarnite, e rimase sorpresa dell’effetto maraviglioso della lucerna, quanto la prima volta. Aladino si pose quindi a tavola con lei, e dopo il pranzo, rimase loro ancora di che vivere lautamente i due giorni seguenti.

«Appena il giovane vide non esservi più in casa nè pane, nè altre provvisioni, nè denaro per procurarsene, prese un piatto d’argento, ed andò a cercar l’Ebreo che conosceva, per venderglielo. Strada facendo, passò davanti alla bottega d’un orefice rispettabile per vecchiaia, uomo onesto e probo, il quale, [p. 55 modifica] scorgendolo, lo chiamò, e fattolo entrare: — Figliuolo,» gli disse, «vi ho già veduto passare più volte carico come adesso, volgervi al tal Ebreo, e tornare poco dopo senza cosa alcuna. M’immaginai che gli vendeste quello che portavate; ma voi forse non sapete che quell’Ebreo è il più ingannatore di tutti gli altri Giudei, e che nessuno di chi lo conosce vuole aver da fare con lui. Del resto, ciò che vi dico non è che per farvi piacere; se volete mostrarmi ciò che portate adesso, e sia da vendere, io ve ne pagherò fedelmente il giusto valore, se mi conviene, altrimenti vi dirigerò ad altri mercanti che non v’inganneranno. —

«La speranza di ricavar più danaro dal piatto, indusse Aladino a tirarlo fuor della veste, e mostrarglielo. Il vecchio, il quale subito conobbe essere d’argento fino, gli domandò se ne avesse venduti di simili all’Ebreo, e quanto glieli avesse colui pagati. Il giovane ingenuamente rispose di avergliene venduti dodici, ad una sola pozza d’oro cadauno. — Ah, che ladro!» sclamò l’orefice. «Figlio,» soggiunse, «quel ch’è fatto è fatto, non bisogna pensarvi più; ma facendovi vedere ciò che vale il vostro piatto, il quale è del miglior argento di cui ci serviamo nelle nostre botteghe, comprenderete quanto l’Ebreo vi abbia defraudato. —

«L’orefice prese le bilance, pesò il piatto, e spiegato ad Aladino cosa fosse un marco d’argento, quanto valesse e le sue suddivisioni, gli fece notare che, secondo il peso del piatto, valeva settantadue pezze d’oro, cui gli pagò sul momento in contanti. — Ecco,» gli disse, «il giusto valore del vostro piatto. Se ne dubitate, rivolgetevi a chi preferite de’ nostri orefici; e se vi dice che vale di più, vi prometto di pagarvelo il doppio. Noi non guadagniamo se non la fattura dell’argenteria comprata, ed è ciò che non fanno neppure i più equi Ebrei. —

[p. 56 modifica]«Il giovane ringraziò moltissimo l’orefice del buon consiglio, del quale ritraeva già tal vantaggio. In seguito, più non si rivolse che a lui per vendere i suoi piatti, come anche il bacile, il cui giusto valore gli fu sempre pagato in proporzione del peso. Benchè Aladino e la madre avessero nella loro lucerna una fonte inesauribile di danaro, onde procurarsene fin che volessero appena fosse loro venuto a mancare, continuarono nondimeno a vivere sempre colla medesima frugalità di prima, tranne il poco che il giovane metteva in disparte per mantenersi onestamente, e provvedere ai comodi necessari alla piccola famiglia. La madre, da parte propria, non prendeva la spesa de’ suoi abiti se non dal ricavo del cotone che filava. Con una condotta sì sobria, è facile comprendere quanto tempo dovè durar loro il denaro de’ dodici piatti e del bacile, secondo il prezzo avutone dall’orefice. Vissero di tal modo più anni, col soccorso del buon uso che Aladino faceva di tempo in tempo della lampada.»

L’alba, la quale cominciava ad apparire, mise termine al racconto di Scheherazade; col permesso del sultano, e con alta soddisfazione della sorella, ella ne ripigliò il corso l’indomani e le notti seguenti.


NOTTE CCCXIX


— Sire, in questo intervallo Aladino, il quale non mancava di trovarsi con molta assiduità al convegno, delle persone distinte, nelle botteghe de’ più ragguardevoli mercanti di drappi d’oro e d’argento, di stoffe di seta, di tele finissime e di gioie, e [p. 57 modifica] frammischiavasi talvolta alla loro conversazione, terminò d’incivilirsi, ed a poco a poco prese tutte le maniere del bel mondo. Fu particolarmente presso i gioiellieri dove rimase disingannato nell’idea formatasi, non essere i frutti trasparenti, raccolti nel giardino dov’era stato a prendere la lucerna, se non vetro colorato, e conobbe ch’erano pietre di gran valore. A forza di veder a vendere e comprare ogni sorta di quelle gioie nelle loro botteghe, ne acquistò la cognizione ed il prezzo; e siccome non ne vide mai di simili alle sue, nè per bellezza, nè per grossezza, comprese che, invece di pezzi di vetro da lui sempre risguardati come bagattelle, possedeva un inestimabile tesoro. Ebbe la prudenza di non parlarne a nessuno, neppure alla madre, e non v’ha dubbio che il suo silenzio non abbiagli valso l’alta fortuna, alla quale vedremo in seguito ch’egli si sollevò.

«Un giorno, passeggiando per un quartiere della città, Aladino udì pubblicare ad alta voce un ordine del sultano, di chiudere le botteghe e le porte, e tenersi tutti in casa, finchè la principessa Badrulbudur (1), figlia del sultano, fosse passata per andare al bagno e ne tornasse.

«Questo pubblico grido fe’ nascere in Aladino la curiosità di vedere la principessa; ma non poteva farlo se non mettendosi in qualche casa di conoscenza attraverso alle gelosie, il che nol contentava, perchè la principessa doveva, secondo l’uso, tener coperto il volto d’un velo andando al bagno. Per appagar il suo desiderio adunque, avvisossi d’un mezzo che gli riuscì a meraviglia: andò ad appostarsi dietro la porta del bagno, la quale era disposta in modo, che non potea mancare di vederla venire in faccia.

«Aladino non aspettò a lungo: la principessa [p. 58 modifica] comparve, ed ei la vide venire attraverso una fessura abbastanza larga per osservarla senz’esserne veduto. Era accompagnata da gran numero delle sue donne e di eunuchi che camminavanle ai fianchi ed in coda, e quando fu a tre o quattro passi dalla porta del bagno, si alzò il velo che l’incomodava assai, dando così campo al giovine di rimirarla a bell’agio, perchè gli veniva direttamente incontro.

«Fino a quel punto, Aladino non aveva veduto a faccia scoperta altre donne che sua madre già vecchia, la quale non era mai stata bella sì da fargli argomentare che ve ne fossero altre più leggiadre. Poteva bensì aver udito dire che ne esistevano d’una beltà sorprendente; ma per quante parole si adoprino a magnificare il merito d’una bellezza, non fanno mai l’impressione che l’avvenenza produce da sè medesima.

«Quando Aladino ebbe veduta la principessa Badrulbudur, perdette l’idea che tutte le donne somigliar dovessero all’incirca a sua madre; i suoi sentimenti subirono un notabile cangiamento, ed il suo cuore non potè negare tutta l’inclinazione all’oggetto che avevalo colpito. In fatti, la principessa era la più bella brunetta che si potesse vedere: aveva gli occhi grandi, a fior di testa, vivaci e brillanti, lo sguardo dolce e modesto, il naso proporzionato e senza difetti, bocca piccola, labbra vermiglie e vezzose per la grata loro simmetria; in una parola, tutti i lineamenti di quel volto erano d’una perfetta regolarità. Non è dunque da stupire se Aladino rimase abbagliato e quasi fuor di sè alla vista del complesso di tante maraviglie a lui sconosciute; oltre a tutte codeste perfezioni, la principessa aveva eziandio una bella statura, un portamento ed un’aria maestosa, che, al solo vederla, le conciliavano il rispetto.

«Entrata la principessa nel bagno, Aladino restò [p. 59 modifica] alcun tempo interdetto e come in estasi, rammentandosi ed imprimendosi profondamente l’idea d’un oggetto, ond’era ammaliato e ferito fin nel profondo del cuore. Rientrò finalmente in sè stesso, e considerando che, essendo la principessa già passata, conserverebbe inutilmente il suo posto per rivederla ad uscire dal bagno, poichè essa doveva volgergli la schiena ed essere coperta dal velo, si decise a ritirarsi.

«Aladino, tornando a casa, non potè celare il proprio turbamento e l’inquietudine sì che la madre non se ne avvedesse; sorpresa al vederlo tristo e pensieroso contro il solito, gli chiese se fossegli accaduta qualche cosa, o se si sentisse indisposto. Ma Aladino non le diè alcuna risposta, e sedè sbadatamente sul sofà, ove rimase nella medesima situazione, sempre occupato a rammentare la vezzosa immagine della principessa Badrulbudur. Nè sua madre, che preparava la cena, lo sollecitò ulteriormente, ma quando fu pronta, la servì accanto a lui e si mise a tavola; avvedutasi che il figlio non vi faceva attenzione, lo avvertì di mangiare, e non fu se non con molto stento ch’egli cangiò di positura. Mangiò assai meno del consueto, cogli occhi sempre bassi, ed in un silenzio tanto profondo, che non fu possibile alla madre di ricavarne la minima parola su tutte le domande che gli volse, onde cercar di conoscere il motivo di sì straordinario cangiamento.

«Dopo la cena, essa volle ricominciare a chiedergli la cagione di tinta melanconia; ma nulla potè ritrarne, ed egli prese il partito di andar a letto, piuttosto che dare intorno a ciò la minima soddisfazione alla madre.

«Senza esaminare come Aladino, invaghito della bellezza e delle attrattive della principessa Badrulbudur, passasse la notte, faremo soltanto notare che all’ [p. 60 modifica] indomani, trovandosi seduto sul sofà rimpetto a sua madre che filava al suo solito, le parlò in questi sensi: — Madre mia, rompo il silenzio sino da iersera osservato al mio ritorno dalla città; vi ha fatto pena, e me ne sono ben accorto. Non era ammalato, come mi parve che credeste, e non lo sono neppur ora; ma non poteva dirvi cosa sentissi, e quello che non cessò ancora di sentire è qualche cosa di peggio d’un’infermità. Non so bene qual male esso sia, ma non dubito che quanto sono per dirvi non ve lo faccia conoscere. Non si è saputo in questo quartiere,» proseguì Aladino, «e così anche voi non l’avete potuto sapere, che ieri la principessa Badrulbudur, figlia del sultano, andò dopo pranzo al bagno; io seppi codesta notizia passeggiando per la città, mentre pubblicavasi l’ordine di chiudere le botteghe e ritirarsi tutti in casa per rendere alla principessa l’onore dovuto, e lasciarle libero il passo nelle strade per cui doveva passare. Siccome non mi trovava lontano dal bagno, la curiosità di vederla a viso scoperto fecemi sorgere il pensiero d’andarmi ad appostare dietro alla porta del bagno, riflettendo poter accadere che, quando fosse vicina ad entrare, si alzasse il velo. Sapete la disposizione della porta, e potete da per voi giudicare ch’io doveva mirarla a mio agio, se ciò che m’era immaginato avveniva. In fatti, si tolse, entrando, il velo, ed io ebbi la fortuna di vedere quell’amabile principessa colla massima soddisfazione. Ecco, madre mia, il motivo dello stato in cui mi vedeste ieri quando tornai, e la cagione del silenzio che ho finora conservato. Amo la principessa d’un amore, la cui violenza è tale che non ve la saprei esprimere; e siccome la mia passione è viva, ardente, ed aumenta ad ogni istante, sento che non può essere soddisfatta se non dal possesso della vezzosa Badrulbudur; talchè ho presa la risoluzione di farla domandare in matrimonio al sultano.»

[p. 61 modifica]

NOTTE CCCXX


— La madre di Aladino aveva ascoltato con attenzione il discorso del figliuolo sino a quest’ultime parole, ma quand’ebbe inteso essere intenzionato di far domandare in matrimonio la principessa Badrulbudur, non potè trattenersi dall’interromperlo con una grande risata. Aladino volea proseguire, ma essa, interrompendolo di nuovo: — Oh! figliuolo,» gli disse, «a che mai pensate? Bisogna che abbiate perduto il cervello per tenermi simili discorsi!

«— Madre,» rispose Aladino, «posso assicurarvi che non ho perduto il senno, ed ho tutto il mio buon giudizio. Ho preveduto i rimproveri di follia e di stravaganza che mi fate, e quelli che far mi potreste; ma ciò non mi vieterà di ripetervi essere mia risoluzione di domandare la principessa in matrimonio al sultano.

«— In verità, figlio mio,» ripigliò seriamente la madre, «non saprei trattenermi dal dirvi che voi impazzite del tutto, e quand’anche voleste eseguire siffatta risoluzione, non vedo da chi osereste far fare tale domanda al sultano. — Da voi medesima,» replicò subito il giovane senza esitare. — Da me!» sclamò la madre, in aria di sorpresa e stupore; «ed al sultano! Ah! mi guarderò bene dall’impegnarmi in simile impresa! E chi siete voi,» continuava, «per aver l’ardire di pensare alla figliuola del vostro sultano? Non dimenticaste che siete figlio d’un sartore fra i più miserabili della sua capitale, e d’una madre i cui antenati non ebbero nascita più illustre? Non sapete che i sultani non degnano concedere le loro figliuole in [p. 62 modifica] matrimonio nemmeno ai figli de’ sultani che non abbiano la speranza di regnare un giorno com’essi?

«— Madre,» replicò Aladino, «vi ho già detto che avea preveduto tutto ciò che mi dite, e vi ripeto la medesima cosa per tutto quello che potreste aggiungere: nè i vostri discorsi, nè le rimostranze vostre mi faranno cangiar pensiero. Vi dissi che farei domandare la principessa Badrulbudur in matrimonio per vostro mezzo; è una grazia che vi domando con tutto il rispetto dovuto, e vi supplico di non negarmela, a meno che non preferiate vedermi morire, piuttosto che darmi una seconda volta la vita. —

«Imbarazzatissima fu la madre di Aladino vedendo l’ostinatezza, colta quale questi persisteva in un’idea sì priva del senso comune. — Figlio,» gli ripetè, «sono vostra madre, e come una buona madre che v’ha messo alla luce, non v’ha cosa ragionevole, nè conveniente al mio stato ed al vostro, ch’io non sia disposta a fare per amor di voi. Se si trattasse di parlare di matrimonio per voi colla figlia di qualche nostro vicino, di condizione eguale o prossima alla vostra, nulla tralascerei, adoprandomi di buon cuore in tutto ciò che, fosse in mio potere; ed ancora, per riuscirvi, bisognerebbe che aveste sostanze o qualche rendita, o che sapeste un mestiere. Quando povera gente come noi vogliono accasarsi, la prima cosa cui devono pensare è d’aver da vivere. Ma senza fare alcuna riflessione sulla bassezza della vostra nascita, sul poco merito e le nessune facoltà che avete, voi spiccate il volo sino al più alto grado della fortuna, e le vostre pretese non vanno nientemeno che a voler domandare in matrimonio e sposare la figlia del vostro sovrano, il quale non ha se non a dire un’unica parola per rovinarvi e schiacciarvi. Lascio da banda ciò che vi concerne, che a voi tocca fare [p. 63 modifica] le necessarie riflessioni, per poco senno che abbiate; vengo a ciò che mi risguarda. Come mai vi è potuto saltare in testa un’idea sì straordinaria come quella di volere ch’io vada a far al sultano la proposta di darvi in consorte la principessa sua figliuola? Suppongo di avere, non dico l’ardire, ma la sfrontatezza d’andar a presentarmi davanti a sua maestà per fargli una domanda tanto stravagante; a chi mi rivolgerò per essere introdotta? Credete voi, che il primo al quale ne parlassi, non mi tratterebbe da pazza, e non mi scaccerebbe indegnamente come meriterei? Suppongo anche non vi fosse difficoltà a presentarsi all’udienza del sultano; so non esservene alcuna quando si vuol andare a chiedergli giustizia, e ch’ei la rende volontieri a’ sudditi che gliela domandano. So inoltre che quando si va a presentarsegli per impetrarne una grazia, ei l’accorda con piacere, se vede che sia meritata e che ne siamo degni. Ma siete voi in codesto caso, e credete aver meritata la grazia cui volete ch’io gli domandi per voi? Ne siete forse degno? Che cosa faceste pel vostro principe o per la patria, ed in qual guisa vi siete segnalato? Se nulla operaste per meritarvi grazia sì grande, e d’altronde non ne siete degno, con qual fronte potrei io chiederla? Come aprire soltanto la bocca per proporla al sultano? La sola sua maestosa presenza e lo splendore della sua corte mi chiuderebbero tosto la bocca, a me, che tremava davanti al mio marito e vostro padre, allorchè doveva domandargli la menoma cosa. V’ha poi un’altra ragione, o figlio, cui non pensate, la quale è, che non si può presentarsi davanti ai nostri sultani senza offerta in mano, ove si abbia ad impetrarne qualche grazia. I doni hanno almeno questo vantaggio, che se essi ti negano la grazia, per le ragioni che ne possono avere, ascoltano almeno la domanda e chi la fa senza ripugnanza [p. 64 modifica] Ma qual dono avete voi da fargli? E quando pure aveste qualche cosa che fosse degno della menoma attenzione di sì possente monarca, qual proporzione vi sarebbe mai tra il vostro presente e la domanda che volete fargli? Rientrate pertanto in voi stesso, e pensate che aspirate a cosa impossibile a conseguire. —

«Aladino ascoltò tranquillamente tutto ciò che seppe dirgli la madre per cercare di stornarlo dal suo disegno, e dopo aver riflettuto su tutti i punti delle di lei rimostranze, presa infine la parola: — Confesso,» le disse, «ch’è molta temerità la mia di osar volgere sì alto le mie pretensioni, ed una grande sconsideratezza di aver richiesto da voi con tanto calore e vivacità, che andaste a fare al sultano la proposta del mio matrimonio, senza pensare in pria ai mezzi opportuni di procurarvi un’udienza ed un accoglimento favorevoli. Ve ne domando perdono, ma nella violenza della passione che mi travaglia, non vi maravigliate se alla prima non badai a tutto ciò che servir potesse a procurarmi il riposo che cerco. Amo la principessa Badrulbudur al di là di quanto potreste immaginare, o piuttosto l’adoro, e persevero sempre nell’idea di sposarla: è cosa ferma e risoluta nel mio animo. Vi sono grato della riflessione che adesso mi faceste; la considero come il primo passo che procurar devemi la felice riuscita cui mi riprometto. Mi diceste non esser l’uso di presentarsi davanti al sultano colle mani vuote, e ch’io nulla posseggo degno di lui. Sono d’accordo circa al dono, e vi confesso di non averci pensato. Ma riguardo a ciò che mi dite, non aver io nulla che possa essergli presentato, credete voi, madre mia, che quanto portai nel giorno in cui venni liberato, nel modo che sapete, da inevitabil morte, non sia cosa atta a farne un regalo graditissimo al sultano? Parlo di ciò che [p. 65 modifica] recai nelle due borse e nella cintura, e che amendue noi prendemmo per vetri colorati; ma ora mi sono disingannato, e vi so dire, o madre, che sono gioie d’inestimabil valore, convenienti solo a grandi monarchi. Ne ho conosciuto il pregio frequentando le botteghe de’ gioiellieri, e potete credere alla mia parola. Tutte quelle da me vedute presso i nostri mercanti non possono paragonarsi alle nostre nè per grossezza, nè per bellezza, e nonostante ne chiedevano prezzi enormi. A dir il vero, tanto voi che io ignoriamo il valore di quelle che possediamo; ma checchè ne sia, da quanto posso giudicarne colla poca mia esperienza, sono persuaso che il dono dovrà riuscir grato al sultano. Avete un piatto di porcellana grande abbastanza e d’una forma adattissima per contenerle; portatelo qui, e vediamo qual effetto esse faranno, quando ve le avremo collocate secondo i diversi loro colori.»


NOTTE CCCXXI


— La madre portò la porcellana, ed Aladino, cavate dalle borse le gioie, le dispose nel piatto; l’effetto che produssero alla luce del giorno colla varietà de’ colori, lo splendore e lo sfavillamento loro fu tale, che madre e figlio ne rimasero quasi abbagliati, e ne furono altamente stupiti, non avendole mai rimirate se non al chiarore d’una lampada. Vero è che Aladino le aveva vedute cadauna sul suo albero, come frutti che formar doveano spettacolo stupendo; ma siccome egli era ancor fanciullo, non avea considerate quelle gioie se non come bagattelle per [p. 66 modifica] giuocare, ed erasene caricato in quest’unica mira, e senz’altro cognizione.

«Ammirato ch’ebbero qualche tempo la bellezza del presente, Aladino tornò a dire: — Madre, voi non vi rifiuterete più dall’andare a presentarvi al sultano sotto il pretesto di non aver il regalo; eccone uno il quale farà, se non m’inganno, che siate ricevuta con un’accoglienza delle più favorevoli. —

«Benchè la madre di Aladino, ad onta della bellezza e dello splendore del dono, non lo credesse dell’alto prezzo, come stimavalo il figliuolo, giudicò nonostante che poteva riuscir gradito, e sentiva di non aver nulla a replicargli su tal proposito; ma tornava sempre alla domanda cui Aladino voleva che, col favore del presente, ella facesse al sultano, cosa che l’inquietava infinitamente. — Figlio,» gli diceva, «non ho difficoltà a capire che il dono farà il suo effetto, e che il sultano si degnerà guardarmi di buon occhio; ma quando sarà d’uopo ch’io mi disimpegni della domanda cui volete che gli faccia, sento bene che non ne avrò la forza, e rimarrò muta. Così, non solo avrò perduto i miei passi, ma il donativo ancora, il quale, secondo voi, è di sì straordinaria ricchezza, e men tornerei confusa ad annunziarvi che siete frustrato nella vostra speranza. Ve l’ho già detto, e dovete credere che così accadrà. Ma,» soggiunse, «ammettiamo anche mi facessi violenza per sottomettermi al vostro volere, ed avessi forza bastante per osare di far la domanda cui volete costringermi; ne succederà certamente o che il sultano si burlerà di me e mi rimanderà come una pazza, o ch’egli monterà in una giusta collera, della quale immancabilmente saremo entrambi le vittime. —

«Più altre ragioni disse ancora la madre di Aladino al figliuolo per tentare di smoverlo dal suo proposito; ma le attrattive della principessa Badrulbudur [p. 67 modifica] aveangli fatto troppo forte impressione sul cuore per istornarlo dal meditato disegno; laonde persistette ad esigere dalla madre che eseguisse le di lui brame, e tanto per la tenerezza ch’essa gli aveva, quanto pel timore non si abbandonasse a qualche spiacevole estremità, vinse la propria ripugnanza, ed accondiscese alla volontà del figlio.

«Siccome era troppo tardi, e trascorso, in quel dì, il tempo d’andare al palazzo onde presentarsi al sultano, la cosa fu rimessa al giorno seguente; intanto la madre ed il figliuolo non parlarono d’altro pel resto della giornata, ed Aladino prese gran cura di suggerire alla madre tutto ciò che gli venne in mente per confermarla nel partito, da lei finalmente accettato, d’andar a presentarsi al sultano. Malgrado però tutte le ragioni del figlio, la madre non poteva persuadersi di poter mai riuscire in quell’affare, e bisogna veramente confessare che aveva tutti i motivi di dubitarne. — Figlio,» diceva ad Aladino, «se il sultano mi riceve sì favorevolmente come per amor vostro desidero, s’egli ascolta tranquillo la proposta che volete gli faccia, ma se, dopo accoglienza sì buona, ci si avvisi di domandarmi dove sono i vostri beni, le ricchezze vostre, i vostri stati, poichè di ciò appunto s’informerà prima d’ogni altra cosa, piuttosto che della vostra persona; se, dico, mi volgesse questa domanda, cosa volete che gli risponda?

«— Madre mia,» rispose Aladino, «non inquietiamoci anticipatamente d’una cosa che forse non avverrà. Vediamo prima di tutto l’accoglienza che vi farà il sultano, e la risposta che ne avrete. Se accada che voglia essere informato di tutto ciò che diceste, vedrò allora qual risposta debba dargli. Confido che la lucerna, col cui mezzo da alcuni anni sussistiamo, non mi mancherà all’uopo. —

«La madre di Aladino non ebbe a replicare a tali [p. 68 modifica] parole, e riflettendo che la lucerna, di cui parlava, poteva benissimo servire a maraviglie maggiori che non a procurar loro soltanto il vitto, questo le bastò, e tolse a un tempo tutte le difficoltà che l’avrebbero potuta ancor distogliere dal servigio da lei promesso di rendere al figliuolo presso il sultano. Intanto Aladino, penetrando nel suo pensiero: — Madre,» le disse, «ricordatevi almeno di custodire il segreto; da ciò dipende tutto il buon successo che dobbiamo attendere entrambi di questa faccenda.» Aladino e la madre separaronsi per prendere qualche riposo; ma l’amor violento ed i grandi progetti d’immensa fortuna di cui il giovane aveva pieno lo spirito, gl’impedirono di passar la notte tranquillamente come avrebbe desiderato. Si alzò quindi prima dello spuntar del giorno, ed andato subito a svegliare la madre, la sollecitò a vestirsi al più presto onde andarsi a mettere alla porta del palazzo del sultano, ed entrarvi al momento dell’apertura, nel punto che il gran visir, i subalterni e tutti i grandi ufficiali dello stato vi entravano anch’essi per la seduta del divano, cui sempre il monarca assisteva in persona.

«La madre di Aladino annuì al desiderio del figliuolo. Prese la porcellana contenente le gioie, l’avvolse in un doppio pannolino, il primo finissimo e candido, men fino l’altro, cui legò pei quattro capi onde portarlo più facilmente. Partì in fine, con sommo contento del giovane, e s’avviò verso il palazzo; quand’ella ne giunse alla porta, il gran visir eravi già entrato cogli altri visiri ed i signori più ragguardevoli della corte; grandissima pareva la folla di tutti quelli che avevano affari al divano. Le fu aperto, ed ella s’inoltrò cogli altri fino al luogo della seduta. Era un bellissimo salone, d’ingresso grande e magnifico. Ella si fermò, e collocossi in modo d’avere rimpetto il sultano, il gran visir ed i signori che [p. 69 modifica] sedevano nel consiglio a destra ed a sinistra. Si chiamarono le parti le une dopo le altre, secondo l’ordine delle istanze presentate, e gli affari loro vennero riferiti, discussi e giudicati sino all’ora solita della chiusura della seduta. Allora il sultano si alzò, e congedata l’assemblea, rientrò nel suo appartamento, seguito dal visir, ritirandosi tutti gli altri visiri ed i ministri del consiglio. La stessa cosa fecero le persone che vi si trovavano per affari particolari, alcune contente d’aver vinta la lite, altre mal soddisfatte del giudizio contro di loro pronunciato, ed altre, finalmente, nella speranza di essere giudicate in un’altra seduta.»


NOTTE CCCXXII


Scheherazade, continuando a narrare al sultano delle Indie la storia d’Aladino:

— Sire,» disse, «la madre di Aladino, quand’ebbe veduto il sultano alzarsi e ritirarsi, ben giudicò, vedendo che tutti se ne andavano, ch’ei più non comparirebbe in quel giorno, laonde prese il partito di tornarsene a casa. Il giovane, scorgendola rientrare col presente destinato al sultano, non seppe sulle prime cosa pensare dell’esito della sua missione, e nel timore che non avesse qualche cosa di sinistro ad annunziargli, non avea forza di aprir bocca per domandarlo qual nuova gli recasse. La buona madre, che non aveva mai posto piede nel palazzo del sultano, nè possedeva la minima cognizione di ciò che di solito vi si praticava, tolse il giovane dall’imbarazzo, dicendogli con somma ingenuità: — Figlio mio, ho veduto il sultano, e son persuasa che anch’egli mi [p. 70 modifica] abbia veduta, poichè me gli era posta davanti, e niuno impedivagli di scorgermi; ma era talmente occupato di tutti quelli che gli parlavano a destra ed a sinistra, che mi facea una vera compassione a veder la fatica e la pazienza grande che prendeasi ad ascoltarli. E questo durò tanto a lungo, che alla fine credo si sia annoiato, poichè alzatosi inaspettatamente, si ritirò, senza voler udire una quantità d’altre persone che stavano in fila per parlargli a loro volta. Non ostante, ciò mi piacque moltissimo. Infatti, io già cominciava a perdere la pazienza, ed era estremamente stanca dallo starmene tanto tempo in piedi; ma non c’è nulla di male: non mancherò di tornarvi domani; il sultano forse non sarà tanto occupato. —

«Malgrado l’ardente passione d’Aladino, gli toccò accontentarsi di quella scusa ed armarsi di pazienza, avendo almeno la soddisfazione di vedere che la madre aveva fatto il passo più difficile, qual era quello di sostenere la vista del sultano, e sperare che, ad esempio di quelli, i quali avevangli parlato in sua presenza, non esiterebbe neppur essa ad adempiere alla commissione ond’era incaricata quando si presentasse il momento favorevole di parlargli.

«Alla domane, alla stessa ora del giorno precedente, la madre di Aladino si recò di nuovo al palazzo del sultano col presente delle gioie; ma il suo viaggio fu inutile, poichè, trovata chiusa la porta del divano, udì non esservi consiglio se non ogni secondo giorno, e perciò bisognava tornare il giorno dopo. Andò dunque a riferirne la nuova al figliuolo, che fu costretto a rinnovar la pazienza. Vi tornò essa sei altre volte nei giorni destinati, sempre collocandosi rimpetto al sultano, ma con egual poco successo della prima; e forse vi sarebbe tornata qualche altro centinaio di volte inutilmente, se il sultano, vedendosela sempre in faccia ad ogni sessione, non l’avesse [p. 71 modifica] alla fine osservata. Ciò è tanto più probabile, non essendovi se non quelli, i quali voleano presentar le suppliche, che si avvicinassero al sultano, ciascuno a sua volta, per trattare la loro causa in persona; e la madre di Aladino non era in tal caso.

«Quel giorno in fine, sciolto il consiglio, quando il sultano fu rientrato nel proprio appartamento, disse al gran visir: — È già qualche tempo che noto una certa donna, la quale viene regolarmente ogni giorno in cui tengo il consiglio, e porta qualche cosa avvolta in un pannolino; se ne sta in piedi dal principio alla fine dell’udienza, e mi si colloca sempre dirimpetto; sapete cosa voglia? —

«Il gran visir, il quale non ne sapeva più del sultano, non volle però restar dal rispondere. — Sire,» gli disse, «vostra maestà non ignora che le donne formulano spesso lagnanze sopra argomenti da nulla; questa probabilmente viene a portare a vostra maestà il suo reclamo, perchè le sia stata venduta farina cattiva, oppure su qualche altro torto di altrettanta poca entità.» Il sultano non si accontentò di tale risposta — Il primo giorno di consiglio,» ripigliò egli, «se torna quella donna, non mancate di farla chiamare, ond’io possa udirla.» Non rispose il gran visir se non baciando la mano, e mettendosela sul capo, per dinotare essere disposto a perderlo se mancava agli ordini del padrone.

«La madre di Aladino erasi già formata tal abitudine di comparire al consiglio davanti al sultano, che contava per nulla il proprio incomodo, purchè potesse far conoscere al figlio ch’essa nulla tralasciava di quanto da lei dipendesse per compiacerlo. Tornò dunque al palazzo il giorno di consiglio, e si mise all’ingresso del divano, rimpetto al sultano, secondo il solito.

«Il gran visir non aveva ancora cominciato a [p. 72 modifica] riferire alcun affare, quando il monarca si avvide della madre di Aladino; mosso a compassione della lunga pazienza di cui era stato testimonio: — Prima d’ogni altra cosa, per timore che non la dimentichiate,» disse al gran visir, «ecco la donna della quale vi parlava ultimamente; fatela venire innanzi, e cominciamo dall’ascoltarla, e spedir l’affare che qui l’adduce.» Subito il gran visir mostrò la donna al capo degli uscieri che stava in piedi, pronto a riceverne gli ordini, e gli comandò d’andarla a prendere e farla inoltrare.

«Il capo degli uscieri venne alla madre di Aladino, ed al segno ch’egli le fece, essa lo seguì fino ai piedi del trono, dove la lasciò per tornare al suo posto accanto al gran visir.

«La vecchia, istruita dall’esempio di tanti altri da lei veduti presentarsi al sovrano, si prosternò colla fronte contro il tappeto che copriva i gradini del trono, ed in tale stato rimase sinchè il sultano le comandò di rialzarsi. Si alzò essa, ed allora: — Buona donna,» le disse il sultano, «è assai tempo che vi veggo venire al mio divano, e restarvene all’ingresso dal principio sino alla fine: qual affare qui vi conduce? —

«Intese ch’ebbe quelle parole, prosternossi la madre di Aladino per la seconda volta, e nuovamente rialzatasi: — Monarca sopra tutti i monarchi del mondo,» disse ella, «prima di esporre a vostra maestà l’argomento straordinario, ed anzi quasi incredibile che mi fa comparire davanti al sublime vostro trono, la supplico di perdonarmi l’arditezza, per non dir l’impudenza della domanda che vengo a farle: è questa sì poco comune, ch’io tremo e mi vergogno di proporla al mio sovrano.» Per darle libertà intiera di spiegarsi, il sultano comandò che tutti uscissero e lo si lasciasse solo col suo gran visir; allora le disse che potea parlare e spiegarsi senza timore.

«Non si contentò la madre di Aladino della bontà [p. 73 modifica] del sultano che avevate risparmiata la vergogna, cui avrebbe potuto soffrire parlando davanti a tutta la gente; volle ancora mettersi al coperto dall’indignazione che temeva per la proposta che dovea fargli, ed alla quale egli non aspettavasi certo. — Sire,» disse dunque, ripigliando la parola, «oso ancora supplicare la maestà vostra, nel caso che trovasse offensiva od ingiuriosa nella minima cosa la domanda che sono per farle, di assicurarmi prima del suo perdono ed accordarmene la grazia. — Qualunque ella esser possa,» rispose il sultano, «vi perdono da questo punto, e non ve ne deriverà male alcuno: parlate francamente. —

«Quando la vecchia ebbe prese tutte le sue precauzioni, da donna che temeva la collera del sultano per una proposta sì delicata come quella che doveva fargli, raccontò allora fedelmente in qual occasione Aladino avesse veduta la principessa Badrulbudur, l’amore violento ispiratogli da quella vista fatale, la dichiarazione che gliene aveva fatta, tutto ciò ch’ella avevagli rappresentato per distorlo da una passione non meno ingiuriosa a sua maestà che alla principessa sua figliuola. — Ma,» proseguì ella, «mio figlio, lungi dall’approfittarne e riconoscere il suo ardire, si è ostinato di perseverarvi al punto di minacciarmi di qualche atto di disperazione se io gli avessi negato di venir a chiedere a vostra maestà la principessa in matrimonio; e fu sol dopo essermi fatta un’estrema violenza, che mi vidi costretta ad usargli questa compiacenza, di che supplico ancora vostra maestà ad accordare il perdono, a me non solo, ma eziandio ad Aladino mio figliuolo, per aver avuto il temerario pensiero di aspirare a sì sublime parentado. —

«Il sovrano ascoltò tutto quel discorso con molta dolcezza e bontà, senza esternare verun segno di collera o di sdegno, ed anzi senza beffarsi della domanda. Ma prima di dare alcuna risposta alla buona donna, [p. 74 modifica] le domandò cosa tenesse avvolto nel pannolino; quella subito, preso il piatto di porcellana, da lei deposto ai piedi del trono prima di prostrarsi, lo scoprì e presentollo al soldano.» [p. 608 modifica]Il presente di Aladino al Sultano della China.               Disp. XV.

NOTTE CCCXXIII


— Niuno potrebbe esprimere la sorpresa e lo stupore del sultano quando vide in quel vaso raccolte tante gioie sì preziose, perfette, sfolgoreggianti e di tal grossezza che non avevano mai vedute di simili: rimase qualche tempo in tanta ammirazione, che n’era immobile. Tornato finalmente in sè, ricevette dalle mani della madre di Aladino il presente, sclamando con trasporto di gioia: - Ah, com’è bello, quanto è ricco!» Dopo aver ammirate e toccate quasi tutte le gioie ad una ad una, apprezzandole ognuna pel lato che le distingueva, si volse al gran visir, e mostratogli il piatto: — Guarda,» gli disse, «e convieni che nulla si può vedere al mondo di più ricco e perfetto.» Il visir ne rimase abbagliato. — Or bene,» proseguì il sultano, «che dici tu d’un tal presente? Non è desso degno della principessa mia figliuola, e non posso darla a simil prezzo alla persona che me la fa domandare? —

«Queste parole misero in grande agitazione il gran visir. Essendo qualche tempo che il sultano gli aveva fatto intendere aver l’intenzione di concedere la principessa sua figliuola in matrimonio ad un di lui figlio, temette, non senza fondamento, che il monarca, abbagliato da un dono sì ricco e straordinario, non cambiasse pensiero. Gli si avvicinò quindi, [p. 75 modifica] e parlandogli all’orecchio: — Sire,» gli disse, «non si può negare che il presente non sia degno della principessa, ma supplico vostra maestà ad accordarmi tre mesi prima di determinarsi: spero che, avanti quel tempo, mio figlio, sul quale ella ebbe la bontà di manifestarmi d’aver gettati gli occhi, avrà il modo di fargliene uno di maggior valore di quello d’Aladino, ch’ella non conosce.» Il sultano, benchè persuaso esser impossibile che il gran visir trovar potesse al figliuolo di che fare un regalo d’egual pregio alla principessa, non lasciò di ascoltarlo, e concedergli la grazia richiesta. Laonde voltosi alla madre di Aladino: — Andate, buona donna,» le disse, «tornate a casa, e dite a vostro figlio che aggradisco la proposizione da voi fattami da parte sua, ma che non posso maritare la principessa mia figliuola sinchè non le abbia fatto un corredo, il quale non può essere all’ordine se non da qui a tre mesi. Andate, e tornate allora. —

«Tornò la donna a casa con tanta maggior letizia, in quanto che, a riguardo del suo stato, aveva alla prima stimato impossibile di aver adito presso il sultano, e che aveva ottenuta d’altronde una risposta favorevole, mentre invece aspettavasi ad un rifiuto che avrebbela coperta di confusione. Due cose fecero giudicare ad Aladino, quando vide di ritorno la madre, che questa le portava una lieta nuova: la prima, che tornava più presto del solito; l’altra, che aveva il volto ilare e sereno. — Ebbene, madre mia,» le disse, «devo sperare? devo morire di disperazione?» Quand’ella si ebbe tolto il velo, e fu seduta sul sofà: — Figlio,» rispose, «per non tenervi troppo a lungo nell’incertezza, comincerò dal dirvi, che ben lungi dal pensar a morire, avete ogni argomento di essere giulivo.» E proseguendo quindi il discorso, gli narrò in qual [p. 76 modifica] maniera avesse ottenuto udienza prima di tutti gli altri, il che era cagione che fosse tornata così presto; le precauzioni prese per fare al monarca, senza che se ne offendesse, la proposta del matrimonio della principessa Badrulbudur con lui, e la risposta favorevole datale di propria bocca dal sultano. Soggiunse, che da quanto arguir poteva dai contrassegni esternati da questi, il regalo, sopra ogni altra cosa, aveva fatto sul di lui spirito un potente effetto per determinarlo alla favorevole risposta ch’essa gli recava. — Me l’aspettava tanto meno,» soggiunse, «perchè il gran visir avevagli parlato all’orecchio prima ch’ei me la facesse, ed io temeva non lo stornasse dalla buona volontà che aver poteva per voi. —

«Aladino, udendo quella notizia, si reputò il più felice de’ mortali; ringraziò la madre di tutti gl’incomodi sofferti nella prosecuzione d’un affare, la cui felice riuscita tanto importava al suo riposo, e quantunque, nell’impazienza in cui era di godere dell’oggetto della sua passione, tre mesi gli sembrassero d’estrema lunghezza, si dispose nondimeno ad aspettare con docilità, fondato sulla parola del sultano, cui risguardava come irrevocabile. Mentr’egli contava dunque non solo le ore, i giorni e le settimane, ma perfino i momenti, attendendo che il termine passasse, erano scorsi circa due mesi, quando la madre, volendo una sera accendere il lume, si avvide di non aver più olio in casa. Uscì per andarne a comprare, ed inoltrandosi nella città, vide che tutto vi era in festa. In fatti, le botteghe, invece di essere chiuse, erano tutte aperte; si stava adornandole di fiori, vi si preparavano illuminazioni, e ciascuno gareggiava a chi la farebbe con maggior pompa e magnificenza per dimostrare il proprio zelo: tutti, in una parola, davano dimostrazioni di gioia e di allegrezza. Anche le vie erano ingombre d’officiali [p. 77 modifica] in abito di cerimonia, montati su cavalli riccamente bardati, e circondati da gran numero di servi che andavano e venivano. Domandò essa al mercante, da cui comprava l’olio, cosa significasse tutto quel trambusto. — D’onde venite, mia buona signora?» le rispose colui; «non sapete dunque che il figlio del gran visir sposa questa sera la principessa Badrulbudur, figliuola del sultano? Tra poco ella uscirà dal bagno, e gli officiali che vedete si radunano qui per farle corteggio sino al palazzo ove deve celebrarsi la cerimonia. —

«La madre di Aladino non volle saperne di più, e tornò con tal fretta, che rientrò in casa quasi senza fiato; trovò il figliuolo che non attendevasi certo alla dispiacevole notizia ch’essa gli recava. — Figlio mio,» sclamò, «tutto è perduto per voi! Voi contavate sulla bella promessa del sultano: v’ingannaste a partito.» Spaventato Aladino da tali parole: — Madre,» rispose, «per qual motivo il sultano non terrebbe la sua promossa? Come lo sapete? — Stasera,» riprese la madre, «il figlio del gran visir sposa la principessa Badrulbudur in palazzo.» Gli raccontò in qual guisa fosse venuta a saperlo, e con tante circostanze, ch’egli non ebbe luogo a dubitarne.

«A quella notizia, Aladino rimase immobile, quasi colpito dal fulmine, ed ogni altro, fuor di lui, ne sarebbe rimasto oppresso, ma una gelosia segreta gl’impedi di rimanervi a lungo. Si rammentò tosto della lampada statagli tanto utile sin allora, e senza alcuno sfogo di vane parole contro il sultano, il gran visir o, contro il figliuolo di questo ministro, disse soltanto: — Madre mia, il figlio del gran visir non sarà forse questa notte sì felice come si ripromette. Mentre vado un momento nella mia camera, preparate da cena. —

«Ben comprese la madre d’Aladino, che il [p. 78 modifica] figliuolo voleva far uso della lucerna per impedire, se fosse possibile, il compimento del matrimonio del figlio del gran visir colla principessa, nè s’ingannava. In fatti, Aladino, giunto nella sua stanza, prese la lucerna maravigliosa che aveva colà portata onde sottrarla agli occhi della madre dopo che l’apparizione del genio avevale fatta tanta paura; presa dunque la lucerna, la fregò nello stesso sito dell’altre volte. Ed ecco sull’istante comparirgli davanti il genio.

«— Che vuoi?» disse al giovane; «eccomi pronto ad obbedirti come schiavo tuo, e di tutti quelli che hanno la lucerna in mano, io e gli altri schiavi della lucerna.

«— Ascolta,» gli disse Aladino, «finora tu mi recasti da mangiare quando n’ebbi bisogno; ora si tratta d’un affare di ben altra importanza. Ho fatto domandare in isposa al sultano la principessa Badrulbudur sua figliuola; ei me l’ha promessa, chiedendomi una dilazione di tre mesi. Invece di mantenere la sua parola, stasera, prima della scadenza, ei la marita al figliuolo del gran visir; l’ho saputo adesso, e la cosa è certa. Ciò ch’io ti domando, è che, appena il nuovo sposo colla sposa saranno coricati, tu li porti qui amendue nel loro letto.

«— Padrone,» rispose il genio, «corro ad obbedirti. Hai altro da comandarmi?

«— Null’altro per ora,» ripigliò Aladino. E nello stesso tempo il genio disparve.

«Il giovane tornò dalla madre, cenò colla solita tranquillità, e dopo cena s’intertenne seco lei per qualche tempo del matrimonio della principessa, come di cosa che più non l’imbarazzava. Tornato poi nella sua stanza, lasciò la madre in libertà d’andare a letto; quanto a lui, non si coricò, ma attese il ritorno del genio e l’esecuzione del comando impostogli.

[p. 79 modifica]«Durante quel tempo, tutto era stato preparato con molta magnificenza nel palazzo del sultano, per la celebrazione delle nozze della principessa, e la sera, passò in cerimonie ed allegrezze fino a notte inoltrata. Finita ogni cosa, il figlio del gran visir, al segnale fattogli dal capo degli eunuchi della principessa, si ecclissò destramente, e quell’officiale lo introdusse nell’appartamento della sposa fino alla camera nella quale stava apparecchiato il talamo nuziale. Si coricò egli pel primo: poco dopo la sultana, accompagnata dalle sue donne e da quelle della figliuola, vi condusse la nuova sposa, che faceva resistenza, secondo l’uso delle novelle maritate. La sultana aiutolla a spogliarsi, la mise in letto quasi per forza, e dopo averla abbracciata augurandole la buona notte, si ritirò con tutte le donne, l’ultima delle quali, uscendo, chiuse la porta della stanza.

«Appena la porta della camera fu chiusa, il genio, come schiavo fedele della lampada ed esatto ad eseguire gli ordini di quelli che la tenevano in mano, senza dar tempo al giovane di fare alla moglie alcuna carezza, porta via il letto cogli sposi, con alto terrore d’entrambi, e li trasporta in un attimo nella stanza di Aladino, dove lo depone.»


NOTTE CCCXXIV


— Sire, vostra maestà si ricorda senza dubbio che siamo rimasti al momento del mio racconto, in cui il letto, ove stavano il figlio del gran visir e la principessa, fu trasportato dallo schiavo della lampada nella camera d’Aladino. Questi, il quale aspettava con [p. 80 modifica] impazienza quell’istante, non soffrì che il figlio del gran visir rimanesse coricato accanto alla principessa. — Prendi lo sposo,» disse al genio, «rinchiudilo nel cesso, e torna domattina un po’ prima dello spuntar del giorno.» Il genio levò subito fuor dal letto il figlio del gran visir in camicia, e lo trasportò nel luogo accennatogli da Aladino, dove lasciollo dopo avergli lanciato addosso un soffio ch’egli sentì dalla testa a’ piedi, ed il quale gli fu d’impedimento a moversi dal posto.

«Benchè la passione di Aladino per la principessa Badrulbudur fosse grande, pure non le tenne egli un lungo discorso, allorchè si vide solo con lei. — Non temete nulla, adorabile principessa,» le disse in appassionato accento; «qui siete in sicuro, e per quanto violento sia l’amore che sento per la vostra beltà e le attrattive vostre, non mi farà mai uscire dai limiti del profondo rispetto che vi debbo. Se mi vidi costretto,» soggiunse, «di venirne a questi estremi, non lo feci allo scopo di offendervi, ma sol per impedire che un ingiusto rivale non vi possedesse in onta alla parola data in mio favore dal sultano vostro padre. —

«La principessa, la quale non sapeva nulla di tali particolarità, prestò pochissima attenzione a tutto ciò che Aladino potè dirle, non essendo ella in grado di rispondergli: lo spavento e lo stupore, in cui era per un’avventura tanto sorprendente ed inaudita, l’avevano immersa in tale stato, che il giovine non potè cavarne una parola. Allora, preso tosto il partito di spogliarsi, si coricò al posto del figlio del gran visir, colla schiena rivolta alla principessa, dopo aver presa la precauzione di mettere fra la giovine e lui una scimitarra, quasi a dimostrarle che meritava d’essere punito se avesse attentato al di lei onore.

«Contento Aladino di aver così privato il suo [p. 81 modifica] rivale della felicità di cui erasi lusingato di godere quella notte, dormì tranquillo, ma così non fu della principessa: in tutta la vita non erale toccato di passare una notte sì dispiacevole ed ingrata; e se vuolsi riflettere al luogo ed allo stato in cui il genio aveva lasciato il figlio del gran visir, si comprenderà che il novello sposo la passò in modo molto più doloroso.

«Alla domane, non ebbe Aladino bisogno di fregare la lucerna per chiamar il genio: questi tornò all’ora indicatagli, e mentre finiva di vestirsi.

«— Eccomi,» disse ad Aladino. «Che cos’hai da comandarmi?

«— Va a riprendere,» rispose il giovine, «il figlio del gran visir dal luogo ove l’hai posto; rimettilo in questo letto, e riportalo dove il prendesti nel palazzo del sultano.» Andò il genio a rilevare il figlio del gran visir di sentinella, ed Aladino riprendeva la sua sciabola, quand’egli comparve. Pose il nuovo sposo accanto alla principessa, ed in un batter di ciglio riportò il letto, nuziale nella stessa stanza del palazzo del sultano, d’onde l’aveva tolto.

«Bisogna notare che in tutto questo il genio non fu veduto nè dalla principessa, nè dal figlio del gran visir. La sua orrenda forma sarebbe stata capace di farli morire di spavento. Non udirono nemmeno i discorsi fra Aladino e lui, e non si accorsero se non dello scuotimento del letto e del loro trasporto da un luogo all’altro: certo ciò bastava per incuter loro quel terrore ch’è facile immaginarsi.

«Aveva appena il genio deposto a suo luogo il talamo nuziale, quando il sultano, desideroso di sapere come la figliuola avesse passata la prima notte delle nozze, entrò nella stanza per augurarle il buongiorno. Il figlio del gran visir, intirizzito dal freddo sofferto tutta la notte, nè avendo avuto ancora il tempo di riscaldarsi, non ebbe sì tosto sentito aprire la porta, [p. 82 modifica] che si alzò, e passò nella guardaroba dov’erasi spogliato la sera prima.

«Il sultano, avvicinatosi al letto della principessa, e baciatala in fronte, secondo l’uso, le augurò il buon giorno, e chiesele sorridendo come si trovasse della notte passata; ma alzando il capo e guardandola con maggior attenzione, stupì estremamente veggendola in profonda melanconia, e ch’ella non gli dimostrasse, nè col rossore che avrebbe potuto salirle al volto, nè per verun altro segno, ciò che potesse soddisfare alla sua curiosità. Gli volse ella soltanto uno sguardo de’ più tristi, in modo denotante somma afflizione od un grande malcontento. Egli le disse ancora qualche altra parola; ma vedendo che non poteva cavarne risposta, s’immaginò lo facesse per pudore, ed andossene. Non lasciò tuttavia di sospettare qualche cosa di straordinario dal suo silenzio; talchè risolse di recarsi sul momento dalla sultana, alla quale fece il racconto dello stato in cui aveva trovata la figliuola, e dell’accoglienza ricevuta. — Sire,» gli disse la sultana, «ciò non deve sorprendere vostra maestà: non v’ha novella sposa che all’indomani delle sue nozze non osservi la medesima ritenutezza. Non sarà lo stesso fra due o tre giorni; allora essa riceverà come deve il sultano suo padre. Vado a trovarla,» soggiunse, «e m’inganno a partito se mi fa la stessa accoglienza. —

«Vestitasi la sultana, recossi dalla principessa, la quale non era ancor alzata: si accostò al letto, ed abbracciandola, le diede il buon giorno; ma alta fu la di lei sorpresa non solo perchè la figliuola non le rispondeva nulla, ma ben anche perchè, guardandola, si avvide ch’era in un grande abbattimento, il quale giudicar lo fece fossele accaduto qualche cosa cui non giungeva a penetrare. — Figlia,» le disse la sultana, «d’onde viene che sì mal corrispondete alle [p. 83 modifica] mie carezze? È colla madre vostra che far dovete tutte queste smorfie? Dubitate forse ch’io non sappia tutto ciò che può succedere in una circostanza simile a quella nella quale vi trovate? Voglio ben credere che non abbiate tale idea: bisogna dunque vi sia accaduta qualche altra cosa; palesatemela francamente, e non lasciatemi più a lungo in un’inquietudine che m’opprime. —

«La principessa Badrulbudur ruppe finalmente il silenzio con un profondo sospiro. — Ah! signora e dilettissima madre,» sclamò, «perdonate se mancai al rispetto che vi debbo! Ho l’animo tanto occupato delle cose straordinarie accadutemi stanotte, che non sono ancora ben riavuta dal mio sbalordimento, nè dal terrore, ed ho gran fatica a riconoscermi da me medesima.» Allora le narrò, coi più vivi colori, in qual maniera, poco dopo ch’ella ed il suo sposo furono coricati, il letto fosse stato sollevato ed in un attimo trasportato in una brutta ed oscura stanzaccia, dov’ebbe a vedersi sola e separata dallo sposo, senza sapere cosa ne fosse avvenuto, e dove aveva veduto un giovane, il quale, voltole prima alcune parole, cui le riescì impossibile d’intendere per lo spavento, erasi coricato al posto del marito, dopo aver messa fra lei e lui la sua scimitarra, e ch’eragli stato restituito lo sposo, ed il letto riportato a suo luogo in altrettanto breve tempo. — Tutto questo era appena accaduto,» soggiunse, «quando entrò nella stanza il sultano mio padre; io era sì abbattuta dalla tristezza, che non ebbi la forza di rispondergli una sola parola: laonde dubito assai ch’egli non siasi sdegnato per la maniera con cui ho ricevuto l’onore ch’ei mi faceva, ma spero che mi perdonerà quando sappia la trista mia avventura, e lo stato compassionevole nel quale mi trovo ancora di presente.»

[p. 84 modifica]

NOTTE CCCXXV


— Sire,» continuò l’indomani Scheherazade, «la sultana ascoltò tranquillamente tutto il racconto della figliuola, ma non volle prestarle fede. — Figlia,» le disse, «avete fatto benissimo a non parlar di ciò al sultano vostro padre. Guardatevi di non dirne nulla ad alcuno; vi prenderebbero per una pazza, se vi udissero parlare in tal guisa. — Madama,» soggiunse la principessa, «posso assicurarvi che vi parlo di buon senno; potete informarvene dal mio sposo, il quale vi dirà la medesima cosa. — Me ne informerò,» tornò a dire la sultana; «ma quando pure me ne parlasse come voi, non ne rimarrei più persuasa di quel che sono. Alzatevi intanto, e toglietevi di mente questa fantasticheria; sarebbe bella che turbaste con una simile visione le feste ordinate per le vostre nozze, e che devono continuarsi più giorni nel palazzo ed in tutto il regno! Non udite già il clangore ed i concerti delle trombe, de’ timballi e dei tamburi? Tutto ciò vi deve ispirare la gioia ed il piacere, e farvi dimenticare tutte le fantasie delle quali mi parlaste.» Nello stesso tempo la sultana chiamò le donne della principessa, e quando l’ebbe fatta alzare e veduta porsi alla toletta, andò dal consorte, e gli disse infatti essere passata qualche fantasia per la mente della figlia, ma che non era nulla. Fece poi chiamare il figlio del gran visir per sapere da lui qualche cosa intorno a ciò che detto le aveva la figliuola; ma colui, il quale stimavasi infinitamente onorato del parentado del sultano, aveva preso il partito di dissimulare. — Genero,» gli disse [p. 85 modifica] la sultana, «ditemi, siete anche voi incaparbito come la vostra sposa? — Signora,» rispose il giovane, «oserei domandarvi a qual proposito mi fate tale domanda? — Basta così,» ripigliò la sultana; «non voglio saperne di più: voi siete più savio di lei. —

«Le allegrezze continuarono tutto il giorno nel palazzo, e la sultana, non abbandonando mai la figliuola, nulla dimenticò per ispirarle la gioia, e farla partecipare ai divertimenti che le si davano con varie sorta di spettacoli; ma dessa era talmente colpita dall’idea di ciò ch’erale accaduto la notte, da riescir facile a vedersi come ne fosse tutta occupata. Nè meno oppresso della cattiva notte passata sentivasi il figliuolo del gran visir; ma la sua ambizione lo fece dissimulare, talchè a vederlo niuno sospettò non fosse uno sposo felicissimo.

«Aladino, ben informato di quanto accadeva, non dubitò che gli sposi non dovessero dormire nuovamente insieme, malgrado la spiacevole avventura toccata loro la notte precedente. Ma egli non aveva voglia di lasciarli in riposo, per cui, appena inoltrata la notte, ricorse alla lucerna; il genio comparve subito, e fecegli il medesimo complimento dell’altre volte, offrendogli i propri servigi. — Il figlio del gran visir e la principessa Badrulbudur,» gli disse Aladino, «devono dormire ancora stanotte insieme; va, ed appena saranno coricati, portami qui il letto come ieri. —

«Il genio servì Aladino con altrettanta fedeltà ed esattezza del giorno precedente: il figlio del gran visir passò la notte sgradevolmente come già avea fatto, e la principessa ebbe la medesima mortificazione di avere Aladino per compagno da letto, colla sciabola posta fra loro. Secondo gli ordini del giovane, il genio tornò la mattina appresso, rimise lo sposo [p. 86 modifica] accanto alla sposa, prese il letto con essi, e lo riportò nella camera del palazzo d’onde avevalo tolto.

«Il sultano, dopo il ricevimento fattogli dalla principessa Badrulbudur il giorno precedente, inquieto di sapere come avesse passatala seconda notte, e se volesse fargli un’accoglienza simile a quella della prima volta, si recò di buon mattino alla camera di lei per chiarirsene. Il figlio del gran visir, più vergognoso e mortificato del cattivo esito di questa seconda notte che non della prima, appena ebbe inteso venire il sultano, si alzò a precipizio, e si gettò nella guardaroba.

«Il sultano s’inoltrò sino al letto della principessa, e datole il buon dì, dopo averle fatte le medesime carezze del giorno innanzi: — Ebbene, figliuola,» le disse, «siete anche questa mattina del medesimo cattivo umore come ieri? Mi direte come avete passata la notte?» Conservò la giovinetta il medesimo silenzio, ed il padre si avvide che avea l’animo molto meno tranquillo, ed era abbattuta più della prima volta. Non dubitò allora che qualche cosa di straordinario non le fosse accaduto, ed irritato del mistero che glie ne faceva: — Figlia,» le disse, acceso di collera, e sguainando la sciabola, «o voi mi direte ciò che mi tenete nascosto, o vi taglio la testa all’istante. —

«La principessa, più atterrita dalla voce e dalla minaccia del sultano offeso, che non dalla vista del ferro impugnato, ruppe finalmente il silenzio. — Mio caro padre e sultano,» sclamò colle lagrime agli occhi, «domando perdono a vostra maestà se mai la offesi. Spero però dalla sua bontà e clemenza che farà susseguire la compassione alla collera quando le avrò fatto l’esposizione fedele del tristo e miserando stato, nel quale mi sono trovata tutta questa notte e la precedente. —

[p. 87 modifica]«Dopo tale preambolo, che acchetò ed intenerì al quanto il sultano, gli narrò essa fedelmente quanto erale accaduto in quelle due spiacevoli notti, ma in modo sì commovente, ch’ei ne fu penetrato di dolore, per l’amore e la tenerezza che le portava. Essa finì con queste parole: — Se vostra maestà avesse il minimo dubbio sul racconto che le faccio, può informarsene dallo sposo che mi ha dato. Sono persuasa ch’egli renderà la medesima testimonianza alla verità ch’io le rendo. —

«Il sultano prese parte all’estrema amarezza che un’avventura sì straordinaria doveva aver cagionato alla principessa, e le disse: — Figliuola, avete torto a non esservi fin da ieri spiegata con me su d’un affare sì strano com’è quello che ora mi palesate, al quale non prendo minor interesse di voi medesima. Non v’ho maritata coll’intenzione di formare la vostra infelicità, ma bensì nell’idea di rendervi felice e contenta, e procurarvi tutto il bene che meritate, e che sperar potevate con uno sposo che parvemi di vostra convenienza. Scacciate dallo spirito le idee spiacevoli di tutto ciò che mi raccontaste: corro a far in modo che più non vi accadano notti tanto ingrate ed insopportabili quanto quelle che avete passate. —

«Rientrato il sultano nel suo appartamento, mandò a chiamare il ministro, e: — Visir,» gli disse, «avete veduto vostro figlio? non v’ha egli detto nulla?» Siccome il gran visir risposegli di non averlo veduto, il sultano gli narrò quanto raccontato aveva la principessa Badrulbudur. E terminando, soggiunse: — Non dubito che mia figlia non mi abbia detta la verità; pure mi riescirà gradito di averne la conferma dalla testimonianza di vostro figliuolo; andate dunque, e chiedetegli come sia la cosa. —

«Non tardò il gran visir ad andare in cerca del [p. 88 modifica] figliuolo, e partecipatogli ciò che comunicato gli aveva il sultano, gl’ingiunse di non celargli la realtà, e dirgli se il tutto fosse vero. — Non ve la nasconderò, padre mio,» rispose il giovane; «tutto ciò che disse la principessa al sultano è assolutamente vero; ma ella non ha potuto dirgli i maltrattamenti che mi furono fatti in particolare; eccoli. Dopo il mio matrimonio, ho passato due notti le più crudeli che si possano immaginare, e non trovo espressioni sufficienti per descrivere al giusto, e con tutte le circostanze, i mali che mi toccò soffrire. Non vi parlo dello spavento provato sentendomi sollevare quattro volte nel letto, senza vedere chi lo alzasse e lo trasportasse da un luogo all’altro, e senza poter immaginarmi come ciò potesse accadere. Giudicherete voi medesimo dello stato angoscioso in cui mi sono trovato, quando vi dirò che passai due notti in piedi e nudo in camicia in una specie di cesso assai stretto, senza avere la libertà di movermi dal sito in cui stava, e senza poter fare alcun movimento, benchè non mi vedessi davanti verun ostacolo che verosimilmente potesse impedirmelo. Dopo ciò, non è d’uopo estendermi più oltre onde farvi la minuta esposizione de’ miei patimenti. Non vi nasconderò che ciò non m’impedì di avere per la principessa mia sposa tutti i sentimenti d’amoro, di rispetto e riconoscenza ch’ella merita; ma vi confesso di buona fede che ad onta di tutto l’onore e lo splendore che deve su me ridondare per aver isposata la figlia del mio sovrano, preferirei morire piuttosto che vivere più a lungo in sì alta parentela, se fa d’uopo sopportare trattamenti tanto sgradevoli come quelli da me sofferti. Non dubito che anche la principessa non sia del medesimo mio sentimento, e converrà anch’essa facilmente che la nostra separazione non è men necessaria pel suo che pel mio riposo. Epperò, padre mio, vi [p. 89 modifica] supplico, per quella tenerezza che v’indusse a procurarmi tal onore, a far aggradire al sultano che il nostro matrimonio sia dichiarato nullo. —

«Per quanto grande fosse l’ambizione del gran visir di vedere il figlio genero del sultano, pure la ferma risoluzione in cui lo vide di separarsi dalla principessa, fece che non istimasse a proposito di proporgli d’aver pazienza almeno alcuni giorni per provare se quel travaglio non avesse un termine. Lo lasciò, e corse a portar la risposta al sovrano, al quale confessò di buona fede la cosa essere pur troppo vera, dopo ciò che ne aveva udito dal proprio figliuolo; senza poi attendere che il sultano gli parlasse di rompere il matrimonio, cosa alla quale ben vedeva ch’era anch’egli disposto, lo supplicò di permettere che suo figlio si ritirasse dal palazzo, e tornasse presso di lui, adducendo a pretesto non esser giusto che la principessa rimanesse un momento di più esposta, per amore del proprio figlio, a quella orribile persecuzione.

«Non provò il gran visir veruna difficoltà a veder esaudita la sua domanda. Da quel momento il sultano, che aveva già risoluta la cosa, diede gli ordini onde far cessare le feste nel palazzo e nella città, ed anche in tutta l’estensione del regno, dove fece spedire comandi contrari ai primi; ed in breve cessarono per la città e nel regno tutte le dimostrazioni di gioia e di pubblica allegrezza.»

[p. 90 modifica]

NOTTE CCCXXVI


— Sire,» ripigliò Scheherazade, «quel repentino ed inaspettato cangiamento diede occasione a molte diverse congetture; domandavansi l’un l’altro d’onde venir potesse quel contrattempo, ed altro non se ne diceva se non che erasi veduto il gran visir uscire dal palazzo e ritirarsi a casa accompagnato dal figlio, entrambi assai mesti. Non eravi che il solo Aladino, il quale ne conoscesse il segreto, e godesse in sè medesimo della felice riuscita procuratagli dall’uso della lucerna. Laonde, com’ebbe saputo con certezza che il suo rivale aveva abbandonato il palazzo, e sciolto era assolutamente il di lui matrimonio colla principessa, non ebbe più mestieri di strofinare la lampada e chiamar il genio per impedire che non avvenisse. Ciò che v’ha di singolare si è, che nè il sultano, nè il gran visir, i quali avevano dimenticato Aladino e la domanda da esso fatta fare, non ebbero il minimo pensiero ch’ei potesse aver parte all’incantesimo che cagionato aveva lo scioglimento delle nozze della principessa.

«Aladino intanto lasciò trascorrere i tre mesi prefissi dal sultano pel matrimonio fra la principessa Badrulbudur e lui; ne contò tutti i giorni con gran cura, e spirati che furono, il dì dopo non mancò di mandare la madre al palazzo, per rammentare al sultano la sua parola.

«Andò la vecchia al palazzo come detto avevale il figliuolo, e si presentò all’ingresso del divano, nel medesimo luogo di prima; il sultano non ebbe appena volti gli occhi sopra di lei, che, riconosciutala, [p. 91 modifica] si ricordò nel medesimo istante della di lei domanda, e del tempo a cui egli l’aveva rimessa. Il gran visir stava facendogli il rapporto d’un affare. — Visir,» gli disse il sultano, interrompendolo, «veggo là la buona donna che ci fece lo stupendo presente qualche mese fa; fatela avanzare: ripiglierete il vostro rapporto quando l’avrò ascoltata.» Il gran visir, volgendo gli occhi dalla parte dell’ingresso del divano, vide anch’egli la madre di Aladino, e tosto, chiamato il capo degli uscieri e mostratogliela, gli diede ordine di farla venire innanzi.

«La vecchia inoltrossi sino a’ piedi del trono, dove si prosternò secondo l’uso, e quando si fu alzata, il sultano le domandò che cosa desiderasse. — Sire,» gli rispos’ella, «mi presento di nuovo dinanzi al trono di vostra maestà per rappresentarle, in nome di Aladino mio figliuolo, che i tre mesi, dopo i quali ella lo ha rimesso sulla domanda ch’io ebbi l’onore di farle, sono spirati, e la supplico a volersene ricordare. —

«Il sultano, prendendo la dilazione di tre mesi per rispondere alla domanda della buona donna la prima volta che l’aveva veduta, credeva di non intendere più parlare d’un matrimonio da lui ritenuto come poco conveniente alla principessa sua figliuola, guardando soltanto alla bassezza ed alla povertà della madre di Aladino, che gli compariva davanti in un comunissimo arnese. L’intimazione però che colei veniva a fargli di mantenere la sua parola, gli parve imbarazzante, nè stimò a proposito di risponderle sul momento; ma consultando il gran visir, gli manifestò la propria ripugnanza a conchiudere il matrimonio della figlia con uno sconosciuto, la cui fortuna supponeva dovesse essere molto al disotto della più mediocre.

«Non esitò il gran visir a spiegare al sultano il [p. 92 modifica] proprio pensiero. — Sire,» gli disse, «mi sembra siavi un mezzo immancabile per eludere un matrimonio tanto sproporzionato, senza che Aladino, quand’anche fosse da vostra maestà conosciuto, possa lamentarsene; ed è di mettere la principessa a sì alto prezzo, che le sue ricchezze, qualunque esser possano, non giungano a supplirvi. Sarà questo il modo di farlo desistere da un’insistenza tanto ardita, per non dir temeraria, alla quale non ha senza dubbio pensato prima d’impegnatisi. —

«Il sultano approvò il consiglio del gran visir, e voltosi quindi alla madre di Aladino, dopo qualche momento di riflessione: — Mia buona donna,» le disse, «i sultani devono osservare la loro parola; son pronto a mantenere la mia, e rendere vostro figlio felice col matrimonio della principessa mia figliuola; ma siccome non posso maritarla se non sappia l’utile ch’essa vi troverà, direte a vostro figlio ch’io adempirò al mio impegno quando m’abbia mandato quaranta bei bacili d’oro massiccio, colmi delle stesse cose che già da sua parte mi presentaste, portati da egual numero di schiavi negri, che siano condotti da quaranta altri schiavi bianchi, giovani, leggiadri e di bella statura, e tutti magnificamente vestiti: ecco le condizioni alle quali son pronto a dargli la principessa mia figliuola. Andate, buona donna; attenderò che mi rechiate la sua risposta. —

«Prosternossi nuovamente la madre di Aladino davanti al trono del sultano, e ritiratasi, rideva fra sè, cammin facendo, della pazza immaginazione del figliuolo. — Veramente,» diceva, «dove andrà egli a trovare tanti bacili d’oro ed una quantità si grande di quei vetri colorati da riempimeli tutti? Tornerà nel sotterraneo, di cui è otturato l’ingresso, per coglierne dagli alberi? E tutti quegli schiavi come il sultano li vuole, dove andrà egli a prenderli? [p. 93 modifica] Eccolo ben lontano dalle sue pretese, e credo ch’ei non sarà certo contento della mia ambasciata.» Rientrata in casa colla testa piena di quei pensieri, i quali faceanle credere che Aladino non avesse più nulla a sperare: — Figliuol mio,» gli diss’ella, «vi consiglio a non pensar più al matrimonio della principessa Badrulbudur. Il sultano, per dir il vero, mi accolse con moltissima bontà, e credo fosse ben intenzionato per voi; ma il gran visir se non m’inganno, gli ha fatto cambiar opinione, e potete presumerlo al par di me da ciò che siete per udire. Dopo aver rappresentato a sua maestà che i tre mesi erano spirati, ed averlo da parte vostra pregato a rammentarsi della sua promessa, notai ch’ei non mi diede la risposta che adesso vi dirò se non quando ebbe parlato sotto voce per qualche tempo col gran visir.» E qui la vecchia fece un racconto fedele di tutto ciò che detto le aveva il sultano, e delle condizioni alle quali acconsentiva al matrimonio della sua figliuola con lui; terminando: — Figlio,» soggiunse, «egli attende la vostra risposta; ma fra noi,» proseguì sorridendo, «credo che l’aspetterà a lungo.

«— Non tanto come credereste, madre mia,» rispose Aladino; «ed il sultano s’inganna a partito anch’egli, se colle sue domande esorbitanti credesse di mettermi fuor di stato di pensare alla principessa Badrulbudur. Io mi attendeva ad altre difficoltà insuperabili, o che mettesse a molto maggior prezzo la mia incomparabile principessa; ma ora sono contento, e ciò ch’ei mi domanda, è poco in confronto di ciò che sarei in grado di dargli per ottenerne la mano. Mentre penserò a soddisfarlo, voi andate a prepararci da pranzo, e lasciatemi fare. —

«Appena la madre fu uscita per andare alla provvista dell’occorrente, Aladino prese la lucerna, e [p. 94 modifica] strofinatala alquanto, tosto gli si presentò il genio, e nei medesimi termini già da noi riferiti, gli chiese cosa avesse a comandargli, manifestandogli in pari tempo ch’era pronto a servirlo. Allora Aladino gli disse: — Il sultano mi dà in isposa la principessa sua figliuola; ma prima mi chiede quaranta pesanti bacili d’oro massiccio, colmi de’ frutti del giardino dove ho preso la lucerna, della quale tu sei schiavo. Esige inoltre da me, che questi quaranta bacili siano portati da altrettanti schiavi negri preceduti da quaranta schiavi bianchi, giovani, leggiadri, di bella statura, e sfarzosamente vestiti. Va dunque, e recami questo donativo più presto che puoi, affinchè possa mandarlo al sultano prima che levi la seduta del divano.» Il genio gli rispose che il suo comando sarebbe immediatamente eseguito, e disparve.

«Poco tempo dopo, il genio si fe’ rivedere accompagnato da quaranta schiavi negri, ciascuno de’ quali portava un bacile d’oro massiccio del peso di venti marchi, e tutti pieni di perle, di diamanti, di rubini e di smeraldi più scelti, anche per bellezza e grossezza, di quelli ch’erano già stati presentati al sultano; ogni bacile andava coperto d’una tela d’argento a fiorami d’oro. Tutti codesti schiavi, tanto negri che bianchi, coi loro piatti d’oro, occupavano quasi tutta la casa ch’era assai piccola, con un angusto cortile davanti ed un giardinetto di dietro. Il genio domandò ad Aladino se era contento, e se avesse ancora qualche altro comando da fargli, ed avutone in risposta che non abbisognava d’altro pel momento, subito sparve.

«La madre di Aladino, tornando dal mercato, rimase estatica al vedere tanta gente e tante ricchezze, e quando si fu scaricata delle provvigioni che portava, volle togliersi il velo che le copriva il volto; ma il giovane ne la impedì, e le disse: — Madre, non c’è [p. 95 modifica] tempo da perdere: prima che il sultano finisca la seduta, è importante che torniate al palazzo, per recarvi immediatamente il donativo e la dote della principessa Badrulbudur, ch’ei mi ha domandato, affinchè dalla mia sollecitudine e diligenza arguisca lo zelo ardente e sincero che ho di procurarmi l’onore d’entrare nella sua parentela.»

La storia d’Aladino piaceva sempre più al sultano delle Indie, e questo principe vedeva con dispiacere che l’alba sorgesse ad interrompere troppo presto il racconto. Ne attestò il suo rammarico con espressioni cortesissime alla sultana; quindi si alzò per andar a fare la sua preghiera e presiedere al consiglio.


NOTTE CCCXXVII


Come al solito, Scheherazade, destata dalla sorella, volgendosi al sultano suo sposo, gli disse:

— Sire, senza attendere la risposta della madre, Aladino aprì la porta della strada; vi fece sfilare successivamente tutti gli schiavi, facendo sempre procedere uno schiavo bianco seguito da un negro con un bacile d’oro sulla testa, e così fino all’ultimo. Uscita la madre dietro l’ultimo schiavo negro, chiuse la porta, e rimase tranquillamente nella sua camera, colla speranza che il sultano, dopo quel presente quale lo aveva domandato, sarebbesi infine degnato di riceverlo per genero.

«Il primo schiavo bianco uscito dalla casa di Aladino aveva fatto fermare tutti i passeggeri che lo videro, e prima che gli ottanta schiavi, così alternati di bianchi e negri avessero finito di uscire, la via trovavasi già piena d’una calca di gente accorsa da tutte le parti per vedere spettacolo sì magnifico e [p. 96 modifica] straordinario. L’abbigliamento d’ogni schiavo era tanto ricco di stoffe e di gemme, che i migliori esperti non credettero ingannarsi stimando ogni abito a più d’un milione. La grande pulitezza, il taglio ben inteso d’ogni abito, la grazia, il bell’aspetto, la statura uniforme e vantaggiosa di ciascuno schiavo, il loro grave incedere a distanza eguale gli uni dagli altri, collo splendore delle pietre di eccessiva grossezza incastonate intorno alle cinture d’oro massiccio con bella simmetria, e le insegne pur di gemme attaccate ai berrettoni ch’erano d’un gusto particolare, misero quella folla di spettatori in tanta ammirazione, che non potevano saziarsi dal contemplarli ed accompagnarli coll’occhio quanto lungi fu loro possibile. Ma le vie erano tanto ingombre di popolo, che ciascuno vedevasi costretto a rimanere al luogo dove si trovava.

«Siccome bisognava passare per diverse vie onde giungere al palazzo, ciò fece che buona parte della città, gente d’ogni ceto e d’ogni condizione, fosse testimonio di pompa sì imponente. Giunto il primo degli ottanta schiavi alla porta della prima corte del palazzo, gli uscieri, i quali eransi disposti in ispalliera appena avevano veduto avvicinarsi quella schiera maravigliosa, presolo per un re, tanto era riccamente e magnificamente vestito, gli si avvicinarono per baciargli il lembo della veste; ma lo schiavo, istruito dal genio, li fermò, e disse loro gravemente: — Noi non siamo che schiavi; il nostro padrone apparirà quando ne sia tempo. —

«Il primo schiavo, seguito da tutti gli altri, inoltrossi sino al secondo cortile, assai ampio e dove era schierata, durante la seduta del divano, la casa del monarca. Gli ufficiali, vestiti con grande sfarzo, stavano alla testa d’ogni schiera; ma essa fu ecclissata dalla presenza degli ottanta schiavi portatori del [p. 97 modifica] donativo d’Aladino, e che ne facevano parte anch’essi, nulla parve più bello, nè tanto risplendente in tutta la casa del sultano; e tutto lo sfarzo de’ signori della corte che lo circondavano, era nullo in paragone di ciò che offerivasegli allora alla vista.

«Avvertito il sultano della marcia e dell’arrivo di quegli schiavi, aveva comandato di farli entrare, talchè, appena presentaronsi, trovato libero l’ingresso del divano, vi entrarono in bell’ordine, dividendosi a destra ed a manca; quando tutti furono entrati, e ch’ebbero formato un largo semicerchio davanti al trono, gli schiavi negri deposero sul tappeto il bacile che ciascuno portava. Prosternaronsi poi tutti assieme, battendo al suolo la fronte, mentre la stessa cosa facevano, e nel medesimo tempo, anche gli schiavi bianchi; rialzatisi poi tutti, i negri, nell’eseguire tal movimento, destramente scoprirono i bacili che tenevano davanti, e rimasero in piedi, colle mani incrociate al petto, in posizione modesta.

«La madre di Aladino, la quale intanto erasi inoltrata sino appiè del trono, dopo essersi prosternata, disse al sultano: — Sire, Aladino, mio figliuolo, non ignora come questo dono, ch’egli vi manda, sia molto inferiore ai meriti della principessa Badrulbudur; tuttavia egli spera che vostra maestà si degnerà accettarlo, e vorrà pur farlo aggradire alla principessa, con tanta maggior fiducia, in quanto ch’egli ha procurato di conformarsi alla condizione che le piacque d’imporgli. —

«Il sultano non trovavasi in grado di far attenzione al complimento della madre di Aladino, poichè il primo sguardo volto sui quaranta bacili d’oro colmi delle gioie più brillanti, più risplendenti e preziose che si fossero mai vedute al mondo, e sugli ottanta schiavi che pareano tanti re, tanto pel bell’aspetto, quanto per la ricchezza e la magnificenza sorprendente del loro [p. 98 modifica] abito, avevalo colpito in guisa che non poteva rinvenire dalla sorpresa. Invece di rispondere alla vecchia, rivoltosi al gran visir, il quale neppur egli giungeva a comprendere d’onde provenir potesse tanta profusione di dovizie: — Ebbene, visir,» gli disse ad alta voce, «che cosa pensate di colui, chiunque esser possa, il quale mi manda un regalo sì prezioso e straordinario, e che nè io, nè voi conosciamo? Lo credete voi indegno di sposare la principessa Badrulbudur mia figliuola? —

«Per quanta gelosia e dolore provasse il gran visir al vedere che uno sconosciuto stava per divenir genero del sultano, preferibilmente al proprio figliuolo, non osò tuttavia dissimulare il suo pensiero, essendo troppo visibile che il presente di Aladino era più che sufficiente per meritare di venir ricevuto nell’alta parentela; rispose dunque al sultano, entrando ne’ di lui sentimenti: — Sire, ben lungi dal coltivare l’idea che quegli, il quale fa alla maestà vostra un regalo sì degno di lei, sia immeritevole dell’onore che gli vuol fare, oserei forse dire che meriterebbe di più, se non fossi persuaso non esistere al mondo tesoro sì ricco da esser posto in bilancia colla principessa figliuola di vostra maestà.» I signori della corte, i quali erano della seduta del consiglio, manifestarono co’ loro applausi che la loro opinione non era diversa da quella del gran visir.

«Il sultano allora non differì più oltre, nè pensò nemmeno ad informarsi se Aladino possedesse le altre qualità convenienti all’uomo che aspirar poteva a divenirgli genero. La sola vista di quell’immense ricchezze, e la sollecitudine colla quale questi aveva soddisfatto alla sua domanda, senza aver opposta la menoma difficoltà su condizioni esorbitanti come quelle impostegli, lo persuasero agevolmente che non gli mancasse nulla di quanto poteva renderlo compito e tale [p. 99 modifica] ch’ei lo desiderava. Laonde, per rimandare la madre di Aladino colla maggior soddisfazione ch’ella potesse bramare: — Buona donna,» le disse, «andate a dire al figlio vostro che lo aspetto per riceverlo a braccia aperte, e che quanto più si affretterà per venir ad accettare dalle mie mani il dono che gli faccio della principessa mia figliuola, ne avrò molto maggior piacere. —

«Appena la vecchia si fu ritirata, colla gioia onde può esser capace una donna della sua condizione vedendo il figlio pervenuto, contro ogni aspettativa, a tanta altezza, il sultano pose fine all’udienza di quel giorno, ed alzatosi dal trono, ordinò che gli eunuchi, addetti al servigio della principessa, venissero a prendere i bacili per portarli nell’appartamento della loro padrona, ove anch’egli si recò per esaminarli con lei a bell’agio; ordine che fu tosto eseguito per cura del capo degli eunuchi.

«Nè gli ottanta schiavi bianchi e negri furono dimenticati; li fecero entrare nell’interno del palazzo, e poco dopo, il sultano, che aveva parlato della loro magnificenza alla figliuola, comandò si facessero venire davanti all’appartamento, affinchè questa potesse considerarli attraverso le gelosie, e conoscesse che, ben lungi dall’averle egli nulla esagerato, aveva detto anzi molto meno della realtà.

«Intanto la madre di Aladino arrivò a casa con un’aria palesante anticipatamente la buona nuova che recava al giovane. — Figlio,» gli disse, «avete ogni motivo di essere contento; siete giunto, contro la mia aspettativa, al compimento de’ vostri desiderii, e voi sapete quello ch’io ve ne aveva detto. Per non tenervi troppo a lungo in sospeso, il sultano, con applauso di tutta la sua corte, dichiarò che siete degno di possedere la principessa Badrulbudur, e vi attende per abbracciarvi e concludere il matrimonio. Sta a [p. 100 modifica] voi di pensare ai preparativi per questo colloquio, affinchè corrisponda all’alta opinione ch’egli ha concepito della vostra persona; ma dopo ciò che vidi delle maraviglie che sapete fare, son persuasa non vi mancherà nulla. Non devo dimenticare di dirvi inoltre che il sultano vi aspetta con impazienza; laonde non perdete tempo a recarvi da lui.»

A questo passo, i primi raggi del giorno, cominciando a penetrare negli appartamenti del sultano delle Indie, misero fine al discorso della consorte.


NOTTE CCCXXVIII


— Sire,» continuò Scheherazade, «Aladino, lieto di quella notizia, e tutto pieno dell’oggetto onde era invaghito, disse poche parole alla madre, e si ritirò nella sua stanza. Quivi, presa la lucerna statagli sin allora tanto officiosa in tutti i bisogni ed in ogni suo desiderio, non l’ebbe appena strofinata, che il genio continuò a dimostrargli la propria obbedienza, comparendo subito senza farsi aspettare. — Genio,» gli disse il giovane, «ti ho chiamato affinchè tu mi faccia prender tosto il bagno; e poi, voglio che mi tenga pronto un abito il più ricco e magnifico che mai monarca abbia portato.» Aveva appena finito di parlare, che il genio, rendendolo invisibile al par di sè, lo sollevò e trasportollo in un bagno tutto di marmo finissimo, e di diversi colori bellissimi e svariati. Senza vedere chi lo servisse, fu spogliato in un magnifico e spazioso salone; quindi lo si fece entrare nel bagno, ch’era di temperato calore, e colà stropicciato e lavato con ogni sorti d’acque odorose. Fattolo quindi [p. 101 modifica] passare per tutti i gradi di calore, secondo le varie parti del bagno, ei ne uscì, ma tutto diverso di quando eravi entrato, fresco il colorito, bianco e vermiglio, e col corpo leggero e disposto. Rientrò quindi nella sala, ma non vi trovò più l’abito spogliato, avendo il genio avuto cura di mettervi in sua vece quello richiestogli, e la cui magnificenza sorprese Aladino appena lo vide. Se ne vestì dunque coll’aiuto del genio, ammirandone ogni parte secondo che l’indossava, tanto era superiore a ciò ch’egli avrebbe mai potuto immaginare. Quand’ebbe finito, il genio lo riportò a casa nella stessa camera d’onde avevalo preso, indi gli domandò se avesse altro da comandargli. — Sì,» rispose Aladino; «aspetto da te che mi conduca all’istante un cavallo, il quale superi in bellezza e bontà il destriero più pregiato che esista nelle scuderie del sultano, e la cui gualdrappa, la sella, la briglia e tutto il fornimento siano del valore d’oltre un milione. Domando pure che tu mi faccia nel medesimo tempo venire venti schiavi, vestiti col medesimo sfarzo di quelli che hanno portato il presente, per camminarmi a’ fianchi ed in coda, e venti altri con simili onde precedermi in due file. Fa parimenti venire a mia madre sei schiave per servirla, ciascuna vestita almeno come le schiave della principessa Badrulbudur, portante ciascuna un abito compito, magnifico e pomposo come se fosse per la sultana. Ho d’uopo inoltre di diecimila pezze d’oro in dieci borse. Ecco,» soggiunse, «quanto aveva da comandarti. Va, e fa presto. —

«Aladino ebbe appena finito di dare i suoi ordini al genio, che questi disparve, facendosi in breve rivedere col cavallo, coi quaranta schiavi, dieci dei quali portavano una borsa di mille pezze d’oro cadauno, e con sei schiave, ognuna delle quali aveva sulla testa un abito diverso per la madre di Aladino, [p. 102 modifica] avvolto in una tela d’argento; e presentò il tutto al giovine.

«Delle dieci borse, Aladino ne prese quattro sole, e consegnatele alla madre, dicendo che le servirebbero pe’ suoi bisogni, lasciò le altre sei in mano degli schiavi che le portavano, con ordine di gettarne il contenuto al popolo a piene mani, passando per le vie, nel cammino che dovevano percorrere per recarsi al palazzo del sultano, ordinando pure che lo precedessero cogli altri, tre a destra e tre a sinistra. Presentò finalmente alla madre le sei schiave, dicendole ch’erano sue, e poteva valersene come loro padrona, e che pure per di lei uso erano gli abiti da quelle recate.

«Allorchè Aladino ebbe disposti così tutti i suoi affari, disse al genio, congedandolo, che lo chiamerebbe quando avesse bisogno de’ suoi servigi, e colui scomparve sul momento; allora il giovane più non pensò che a corrispondere al più presto al desiderio manifestato dal sultano di vederlo. Inviò al palazzo uno de’ quaranta schiavi, non dirò il più leggiadro, chè lo erano tutti egualmente, coll’ordine di volgersi al capo degli uscieri, e domandargli quando potesse aver l’onore d’andare a gettarsi a’ piedi del sultano. Lo schiavo non istette molto ad adempiere al messaggio; ma presto fu di ritorno, portando in risposta che il monarca attendevalo con impazienza.

«Non differì dunque Aladino a montare a cavallo ed a mettersi in cammino nell’ordine che dicemmo, e benchè non avesse mai cavalcato, vi si mostrò nonostante per la prima volta con tal grazia, che il cavaliere più esperto non avrebbelo preso per novizio. In un momento, le strade per le quali passava, furono piene d’una folla innumerabile di popolo, che faceva rimbombar l’aere d’applausi, di grida d’ammirazione e di benedizioni, ogni volta particolarmente [p. 103 modifica] che i sei schiavi, portatori delle borse, facevano piovere per l’aria a destra ed a sinistra pugni di pezze d’oro; le acclamazioni non venivano da parte di quelli che sospingevansi e s’abbassavano per raccogliere le monete, bensì da quelli che, d’un grado superiore al popolo minuto, non poteano trattenersi dal dare pubblicamente alla liberalità di Aladino le lodi che meritava. Nè soltanto i molti, i quali ricordavansi averlo veduto giuocare per le vie in età già avanzata come un vagabondo, più nol riconoscevano, ma coloro stessi che da non molto l’avevano veduto, stentavano assai a rammentarselo, tanto aveva cangiati i lineamenti. Ciò proveniva dalla lampada, la quale aveva la facoltà di procurare gradatamente, a quelli che la possedevano, le perfezioni convenevoli allo stato cui arrivavano mediante il buon uso che sapessero farne. Si prestò allora molta maggior attenzione alla persona di Aladino che non alla pompa che accompagnavalo, notata già dalla maggior parte in quel medesimo giorno nella marcia degli schiavi che avevano portati o scortati i regali. Il cavallo però fu grandemente ammirato dagl’intelligenti, i quali seppero distinguerne la bellezza senza lasciarsi abbagliare, nè dalla ricchezza, nè dallo splendore de’ diamanti e dell’altre pietre preziose, onde andava ricoperto. Siccome erasi sparso il rumore che il sultano dava la principessa Badrulbudur in isposa ad Aladino, nessuno, senza aver riguardo alla di lui nascita, portò invidia alla sua fortuna od alla sua elevazione, tanto parevane degno!»

Scheherazade avendo cessato di parlare, il sultano si alzò dilettato talmente all’udir il racconto di tante maraviglie, che più non pensava a far morire la sultana, e l’indomani, di buon mattino, quand’essa ricominciò la novella, le prestò attento orecchio.

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NOTTE CCCXXIX


— Sire, Aladino giunse al palazzo, dove tutto era disposto per riceverlo. Quando fu alla seconda porta, egli volle mettere il piede a terra per conformarsi all’uso osservato dal gran visir, dai generali e dai governatori di province di primo grado; ma il capo degli uscieri, che d’ordine del sovrano lo attendeva, ne lo impedì, e lo accompagnò fin presso alla sala del consiglio o dell’udienza, dove lo aiutò a scendere di cavallo, benchè Aladino vivamente si opponesse, e nol volesse tollerare, senza potervi riuscire; gli uscieri, fatta intanto doppia spalliera all’ingresso della sala, il loro capo collocossi il giovane alla destra, e fattolo passare in mezzo, lo condusse sino al trono del sultano.

«Quando questi ebbe scorto Aladino, non fu meno maravigliato al vederlo magnificamente vestito che mai nol fosse stato egli medesimo, quanto sorpreso dal suo bell’aspetto, dalle leggiadre forme e da una cert’aria di grandezza lontana dallo stato di bassezza, nel quale eragli comparsa davanti la madre. Però nè la maraviglia, nè la sua sorpresa non lo trattennero dall’alzarsi e scendere sollecitamente due o tre gradini per impedire ad Aladino di gettarsi a’ suoi piedi, e d’abbracciarlo con una dimostrazione tutta piena d’amicizia. Dopo tale cortesia, il giovane voleva ancora gettarsi a’ piedi del sultano; ma questi lo trattenne per la mano, e lo costrinse a salire ed a sedere fra lui ed il visir.

«Il giovane, presa allora la parola: — Sire,» gli [p. 105 modifica] disse, «ricevo gli onori che la maestà vostra mi rende, perchè ha la bontà di degnarsi di farmeli; ma mi permetterà di dirle ch’io non ho dimenticato d’essere nato suo schiavo, che conosco la grandezza del suo potere, nè ignoro quanto la mìa nascita sia inferiore allo splendore ed al lustro del grado supremo cui ella è innalzata. Se v’ha alcun lato,» continuava, «pel quale possa aver meritato sì favorevole accoglienza, confesso non doverlo se non all’ardire, che un mero caso fece nascere in me, di sollevare gli occhi, i pensieri e le brame sino alla divina principessa che forma l’oggetto de’ miei voti. Domando perdono alla maestà vostra della mia temerità; ma non so dissimulare che morrei di dolore, se perdessi la speranza di vederne il compimento.

«— Giovane,» rispose il sultano, abbracciandolo una seconda volta, «mi fareste torto dubitando un sol momento della sincerità della mia parola. Troppo cara m’è ormai la vostra vita per non conservarvela, presentandovi il rimedio che sta a mia disposizione. Preferisco il piacere di vedervi e sentirvi, a tutti i miei tesori uniti ai vostri. —

«Ciò detto, il sultano fece un cenno, e subito si udì rimbombar l’aere del suono delle trombe, degli oboè e de’ timballi, e nel tempo medesimo il sultano condusse Aladino in una magnifica sala, dove fu servito un sontuoso banchetto. Il sultano mangiò solo col giovane; il gran visir ed i signori della corte, ciascuno secondo la dignità ed il grado loro, li accompagnarono durante il pasto. Il sultano, il quale teneva di continuo gli occhi sopra Aladino, tanto dilettavasi al vederlo, fe’ cadere il discorso su vari argomenti, e nella conversazione che ebbero insieme mentre sedevano a desco, su qualunque materia lo mettesse, il giovane parlò con tanta cognizione e saviezza, che terminò di confermare il sultano nella buona opinione alla prima già per lui concepita.

[p. 106 modifica]«Finito il pranzo, il sultano fe’ chiamare il primo giudice della capitale, e comandatogli di compilare il contratto nuziale della principessa Badrulbudur, sua figliuola, con Aladino, egli, per tutto quel tempo, continuò a discorrere col genero di cose indifferenti, alla presenza del gran visir e dei signori della corte, i quali ammirarono la solidità dello spirito di lui, la molta sua facilità di parlare e spiegarsi, ed i pensieri sottili e dilicati co’ quali condiva il discorso.

«Quando il giudice ebbe steso il contratto in tutte le forme volute, il sultano domandò ad Aladino se restar volesse in palazzo per terminare nello stesso giorno le cerimonie degli sponsali. — Sire,» rispose il giovane, «qualunque sia la mia impazienza di godere appieno dei favori di vostra maestà, la supplico a voler permettere che li differisca, finchè abbia fatto fabbricare un palazzo ove ricevere la principessa secondo il suo merito e la sua dignità. La prego intanto d’accordarmi un luogo conveniente nel suo, affinchè sia più a portata di farle la mia corte. Non dimenticherà nulla onde far in modo che il mio sia finito colla maggior sollecitudine. — Figlio,» soggiunse il sultano, «prendete tutta l’area che stimate opportuna; lo spazio è troppo grande davanti al mio palazzo, ed io medesimo aveva già pensato a riempirlo; però, ricordatevi che sono impaziente di vedervi unito alla mia figliuola, per mettere il colmo alla mia contentezza.» Sì dicendo, abbracciò di nuovo Aladino, il quale accommiatossi dal sultano colla medesima civiltà come se fosse stato educato, ed avesse sempre vissuto alla corte.

«Risalito il giovane a cavallo, tornò a casa col medesimo ordine onde n’era venuto, in mezzo alla stessa calca ed alle acclamazioni del popolo che auguravagli ogni sorta di prosperità. Entrato in casa, e [p. 107 modifica] smontato di cavallo, si ritirò nella propria camera, e presa la lucerna, chiamò nel solito modo il genio; questo non si fece aspettare, e subito comparso, gli offerì i propri servigi. — Genio,» disse Aladino, «ho ogni motivo di lodarmi della tua esattezza nell’eseguire puntualmente tutto ciò che finora ti richiesi, per la possanza di questa lucerna tua padrona. Oggi si tratta che, per suo amore, tu dimostri, se è possibile, maggior zelo ancora e sollecitudine che non abbia mostrato. Ti domando dunque che nel minor spazio di tempo possibile, mi faccia fabbricare, rimpetto al palazzo del sultano, ad una giusta distanza, un palazzo degno di accogliere la principessa Badrulbudur mia sposa. Ti lascio la libera scelta de’ materiali, cioè del porfido, del diaspro, dell’agata, dei lapislazzoli e del marmo più fino e svariato in colori, e del resto dell’edificio; ma intendo che nella parte più alta di esso tu faccia erigere un gran salone a cupola, a quattro facciate eguali, tutti i filari delle quali siano d’oro e d’argento massiccio, posti alternamente, con ventiquattro finestre, sei per ciascuna facciata; e che le gelosie d’ogni finestra, tranne una sola, che voglio si lasci imperfetta, siano intarsiate, con arte e simmetria, di diamanti, rubini e smeraldi, di modo che non abbiasi mai veduto nulla di simile in questo genere. Voglio pure che il palazzo sia accompagnato da una piazzetta, d’un cortile e d’un giardino; ma soprattutto vi sia, nel sito che mi dirai, un tesoro pieno d’oro e d’argento monetato. Desidero pure trovare nel palazzo cucine, dispense, magazzini, guardarobe, guarnite di suppellettili preziose per tutte le stagioni, e proporzionate alla magnificenza dell’edificio; scuderie piene de’ più bei cavalli, co’ loro scudieri e palafrenieri, senza dimenticare un equipaggio da caccia. Bisogna che vi si trovino anche ufficiali di cucina e credenza, e le schiave [p. 108 modifica] necessarie al servigio della principessa. Tu devi comprendere qual è la mia intenzione: va dunque, e torna quando tutto sarà fatto. —

«Il sole era già tramontato, quando il giovane finiva d’incaricare il genio della costruzione del palazzo, da lui immaginato. Alla domane, ai primi albori, Aladino, cui l’amore della principessa non permetteva di dormire tranquillamente, erasi appena alzato, che il genio gli si presentò davanti. — Padrone,» gli disse, «il vostro palazzo è terminato; venite a vedere se ne siete contento.» Accondiscesovi il giovane, il genio ve lo trasportò in un attimo; lo trovò egli tanto superiore alla sua aspettativa, che non potea saziarsi dall’ammirarlo. Lo condusse il genio in tutti i luoghi, e dovunque non trovò che ricchezze e stupenda magnificenza, con ufficiali e schiavi, tutti vestiti a norma del loro grado, e secondo i servigi cui erano destinati. Nè mancò, come una cosa tra le principali, di fargli vedere il tesoro, del quale apertagli la porta dal tesoriere, il giovane potè osservarvi un mucchio di borse di varie grandezze, secondo le somme che contenevano, innalzantisi sino alla volta, e disposte in un ordine che faceano piacere a mirarle. Uscendo, il genio lo assicurò della fedeltà del tesoriere, indi lo condusse alle scuderie, e gli fe’ notare i più bei cavalli che esistessero, ed i palafrenieri in gran movimento, occupati a governarli. Lo guidò poscia per magazzini pieni di tutte le provvisioni necessarie agli ornamenti dei cavalli ed al loro nutrimento.

«Esaminato ch’ebbe Aladino tutto il palazzo, d’appartamento in appartamento e di luogo in luogo, da cima a fondo, e specialmente il salone delle ventiquattro finestre, e trovatovi ricchezza e magnificenza, con ogni sorta di comodi superiori a ciò che se n’era ripromesso, disse allo spirito: — Genio, non [p. 109 modifica] posso essere più contento di così, ed avrei gran torto a lagnarmi. Una sola cosa rimane della quale non ti ho parlato, non essendomi venuta in mente, ed è di stendere dalla porta del palazzo del sultano sino a quella delle stanze qui destinate alla principessa, un tappeto del più bel velluto, affinchè vi cammini sopra venendo dal di lei appartamento. — Vado subito,» disse il genio. E come fu scomparso, poco dopo Aladino restò sorpreso vedendo eseguito il suo desiderio senza sapere in qual modo fosse stato fatto. Il genio ricomparve, e lo riportò a casa, mentre aprivasi il palazzo del sultano.

«I custodi della real dimora, all’aprire la porta, avendo sempre libera la vista dal lato ove trovavasi allora il palazzo d’Aladino, rimasero stupiti altamente nello scorgerla limitata, e vedere un tappeto di velluto che di là veniva sino alla porta del sultano. Non distinguevano bene alla prima cosa fosse; ma la sorpresa loro accrebbe a dismisura, quand’ebbero distintamente veduto il superbo edificio di Aladino. In breve si sparse ovunque la nuova della sorprendente maraviglia. Nè il gran visir, giunto quasi all’istante dell’apertura del palazzo, era rimasto meno incantato degli altri a tale novità; e narratolo prima di chiunque al sultano, volea fargli passare la cosa per un incanto. — Visir,» rispose il monarca, «perchè volete che questo sia incantesimo? Sapete, al par di me, che questo è il palazzo fatto fabbricare da Aladino, dietro la licenza che in presenza vostra io glie ne ho data, per alloggiarvi la principessa mia figliuola. Dopo il saggio delle sue ricchezze che abbiamo veduto, possiamo noi trovare strano ch’egli abbia fatto erigere quell’edificio in sì breve tempo? Ei ci volle sorprendere, e farci vedere che col danaro si ponno compire di tali miracoli da un giorno all’altro. Confessate con me, che l’incantesimo del quale mi volete [p. 110 modifica] parlare, viene da un pochetto d’invidia.» L’ora d’entrare in consiglio gl’impedì di continuare più a lungo il discorso.»


NOTTE CCCXXX


— Sire, riportato Aladino in propria casa e congedato il genio, trovò sua madre già alzata, e che cominciava ad abbigliarsi con uno degli abiti ch’egli avevale fatto recare; circa verso il tempo che il sultano stava per uscire dal consiglio, egli indusse la madre ad andare al palazzo colle sue schiave venute pel ministero del genio. La pregò dunque, se vedesse il sultano, di dichiarargli ch’ella veniva per aver l’onore di accompagnare verso sera la principessa, quando fosse in grado di passare nella sua dimora. Partì infine; ma benchè essa e le schiave, che la seguivano, fossero tutte vestite da sultane, la folla non dimeno fu minore a vederle passare, essendo elleno velate, ed un soprabito conveniente copriva la ricchezza de’ loro abbigliamenti. Aladino poi salì a cavallo, ed uscito dalla casa paterna per non più tornarvi, non dimenticando la lucerna maravigliosa, il cui soccorso eragli stato tanto utile per giungere al colmo della felicità, si recò pubblicamente al suo palazzo colla pompa medesima, ond’erasi recato il giorno precedente a presentarsi al sovrano.

«Appena ebbero i custodi del palazzo del sultano veduta la madre di Aladino, ne avvisarono il padrone; subito fu dato l’ordine alle compagnie di trombe, di timballi, di tamburi, di pifferi e d’oboè, che già stavano disposte in diversi luoghi de’ terrazzi, ed in un attimo l’aria risuonò di sinfonie [p. 111 modifica] e concerti che annunziavano la gioia ed il tripudio a tutta la città. I mercanti cominciarono ad addobbare le botteghe di bellissimi tappeti, di cuscini e di ghirlande, ed a preparare illuminazioni per la notte; gli artigiani tralasciarono il lavoro, ed il popolo si recò con premura alla gran piazza, che allora trovassi fra il palazzo del sultano e quello di Aladino. Codest’ultimo edificio si attirò alla prima la generale ammirazione, non tanto perchè erano già avvezzi a vedere quello del sultano, quanto perchè esso entrar non poteva in paragone col nuovo di Aladino; ma l’argomento del maggior loro stupore fu di non saper comprendere per qual inudita maraviglia vedessero sì magnifico edificio in un luogo dove il giorno prima non eranvi materiali, nè fondamenta preparate.

«La vecchia fu ricevuta nel palazzo con onore, e dal capo degli eunuchi introdotta nell’appartamento della principessa Badrulbudur, la quale, appena la vide, corse ad abbracciarla, e la fece sedere sul proprio sofà; e mentre le sue donne finivano di abbigliarla e adornarla de’ più preziosi gioielli a lei donati da Aladino, le fece ammannire una colazione magnifica. Il sultano, il quale veniva per passar colla figlia il maggior tempo possibile prima ch’ella si separasse da lui per andare alla stupenda dimora, le rese anch’egli sommi onori. La madre di Aladino aveva parlato più volte in pubblico al sultano; ma egli non avevala mai osservata senza velo, come allora gli comparve, mostrando ancora, benchè già al quanto avanzata negli anni, lineamenti che ben facevano conoscere dover essere stata nella sua gioventù nel numero delle belle. Il sultano, il quale l’aveva sempre veduta vestita semplicemente, per non dir poveramente, non fu poco maravigliato scorgendola ornata collo sfarzo e la ricchezza medesima della principessa sua figliuola: lo che fecegli fare la riflessione, [p. 112 modifica] essere Aladino, in ogni rapporto, prudente, savio ed assennato.

«Giunta la notte, la principessa s’accommiatò dal padre. Furono teneri i loro addii e misti di lagrime; abbracciaronsi più volte in silenzio, e infine la principessa, uscita dal suo appartamento, si mise in cammino colla madre di Aladino alla sinistra, seguita da cento schiave, vestite con istupenda magnificenza. Tutte le schiere musicali che non avevano cessato di farsi udire dal momento dell’arrivo della messaggera, eransi riunite ed aprivano la marcia; seguivano cento sciaù (2) ed egual numero di eunuchi negri in due file, coi loro officiali alla testa. Quattrocenti giovani paggi del sultano, in due squadre, camminavano ai lati con una fiaccola in mano per ciascuno, producendo una luce che, unita alle luminarie tanto della dimora, del sultano come di quella d’Aladino, maravigliosamente suppliva alla mancanza del sole.

«In tal ordine, la principessa procedeva sul tappeto disteso dal palazzo del sultano sino a quello del fortunato giovane; e mano mano che inoltrava, gli strumenti che stavano alla testa della marcia, avvicinandosi e mescolandosi a quelli che facevansi udire dall’alto delle terrazze dello stupendo edificio, formavano tale un concerto che, per quanto straordinario e confuso paresse, non lasciava di accrescere la letizia, non solo nella piazza gremita di popolo, ma ben anche in tutta la città, ed assai lontano al di fuori.

«Giunse finalmente la principessa alla nuova abitazione, ed Aladino corse con tutto l’immaginabile giubilo all’ingresso dell’appartamento destinato a riceverla. Aveva la madre di lui avuta la cura di [p. 113 modifica] far distinguere alla principessa il suo figliuolo in mezzo agli ufficiali che lo circondavano, e la giovane, scorgendolo, lo trovò sì leggiadro, che ne rimase colpita. — Adorabile principessa,» le diss’egli avvicinandosele, e salutandola rispettosamente, «se avessi la disgrazia d’esservi dispiaciuto per la temerità da me avuta di aspirare alla mano di sì amabile donzella, figlia del mio sultano, oso dirvi che converrebbe prenderla non già con me, bensì contro que’ begli occhi vostri e contro le vostre attrattive. — Principe, che così sono ora in diritto di trattarvi,» rispose Badrulbudur, «mi sottometto alla volontà del sultano mio padre, e mi basta avervi veduto per dirvi che gli obbedisco senza ripugnanza.

«Aladino, allettato da una risposta sì gradevole e soddisfacente per lui, non lasciò più a lungo in piedi la principessa dopo la strada da lei fatta, cui non era avvezza; presale la mano, e baciatala con grande dimostrazione di gioia, la condusse in un’immensa sala illuminata da un’infinità di lampade, dove, pelle cure del genio, si trovò la tavola servita per un superbo banchetto. I piatti erano d’oro massiccio, pieni delle più squisite vivande; ed i vasi, i bacili, le tazze, di che ben guarnita vedevasi la credenza, tutti anch’essi d’oro e di superbo lavoro. Gli altri ornamenti e tutti gli addobbi della sala corrispondevano perfettamente a quella grande magnificenza. La donzella, estatica al vedere tante dovizie in un medesimo luogo, disse ad Aladino: — Principe, io credeva che nulla al mondo esser potesse più bello del palazzo del sultano mio padre; ma vedendo questa sala, m’accorgo d’essermi ingannata. — Principessa,» rispose Aladino, facendola sedere a tavola nel posto a lei destinato, e ricevo come si dove una tal gentilezza, ma so cosa debbo pensarne. —

«La principessa Badrulbudur, Aladino e sua [p. 114 modifica] madre si misero a mensa, e tosto un coro d’armoniosi istromenti, toccati ed accompagnati da bellissime voci di donne, tutte della maggior avvenenza, cominciò un concerto che durò senza interruzione sino alla fine del pasto, con tanto diletto della principessa, che non potè astenersi dal dire allo sposo di non aver nulla inteso di simile presso il sultano suo padre. Ma ella non sapeva che quelle musicanti erano fate scelte dal genio, schiavo della lucerna.»

— Qual maravigliosa novella!» sclamò Dinarzade, quando la sorella ebbe cessato di parlare; «tu ne guidi di sorpresa in sorpresa, l’un dell’altra più grata e sorprendente: son persuasa che il sultano, nostro signore, avrebbe desiderato che l’alba avesse tardato a sorgere.» Schahriar nulla disse, e si alzò, aspettando con impazienza, senza dimostrarlo, l’indomani, perchè piacevagli singolarmente ad udir narrare gli effetti del potere dei geni e delle fate.


NOTTE CCCXXXI


— Sire, finita la cena e levate le mense, una schiera di ballerini e di ballerine susseguì alle musicanti, eseguendo varie sorta di danze figurate, secondo l’uso del paese, e terminando con un uomo ed una donna che danzarono soli con sorprendente leggerezza, e spiegarono, ciascuno a sua volta, tutta la grazia e l’agilità ond’erano capaci. Ma era già vicina la mezzanotte, quando, secondo il costume della China in quei tempi, Aladino, alzatosi, presentò la mano alla principessa Badrulbudur per danzare insieme, e chiudere così le cerimonie delle loro nozze; [p. 115 modifica] e ballarono con tal garbo, che fecero maravigliare tutta la brigata. Terminando, il giovane, non lasciò la mano della principessa, ma passarono insieme nell’appartamento nel quale stava preparato il talamo nuziale. Le donne della principessa si misero a spogliarla, e la posero a letto; altrettanto eseguirono gli offiziali di Aladino, e ciascuno quindi si ritirò. Così finirono le cerimonie ed allegrezze degli sponsali di Aladino colla principessa Badrulbudur.

«La mattina seguente, quando lo sposo fu svegliato, i suoi camerieri si presentarono per vestirlo, e gli fecero indossare un abito diverso da quello del giorno delle nozze, ma altrettanto ricco e magnifico. Fattosi poi condurre uno de’ destrieri a lui destinati, vi salì, e recossi al palazzo del sultano in mezzo a numerosa schiera di schiavi, che gli camminavano davanti, ai lati ed in coda. Il sultano lo ricevette coi medesimi onori della prima volta, l’abbracciò, e fattoselo sedere vicino sul trono, comandò che si recasse da colazione. — Sire,» disse Aladino, «supplico vostra maestà a dispensarmi oggi da tale onore: vengo invece a pregarla di farmi quello di venire a pranzo nel palazzo della principessa, col suo gran visir ed i signori della sua corte. «Il sultano gli accordò con piacere la grazia, ed alzatosi nel medesimo istante, siccome la via non era lunga, volle recarvisi a piedi. Uscì dunque con Aladino alla destra, il gran visir alla sinistra ed i signori in seguito, preceduto dagli sciaù e dai principali ufficiali della casa.

«Più il sultano avvicinavasi al palazzo di Aladino, e vie maggiormente rimaneva colpito della sua bellezza; ma fu ben altra cosa quando v’ebbe posto il piede, non cessando dalle esclamazioni ad ogni luogo che vedeva. Ma allorchè furono giunti al salone dalle ventiquattro finestre, a cui Aladino avealo invitato ad ascendere, quando n’ebbe veduti gli ornamenti, e [p. 116 modifica] soprattutto ebbe volti gli occhi sulle gelosie adorne di diamanti, rubini e smeraldi, tutti perfetti nella loro proporzionata grossezza, avendogli fatto notare il giovane medesimo che pari n’era la ricchezza al di fuori, ne rimase maravigliato in guisa, che stette come immobile. Rimasto alcun tempo in quello stato: — Visir,» disse a quel ministro che gli si trovava a fianco, «è mai possibile siavi nel mio regno, e tanto vicino al mio palazzo, un edificio sì stupendo, e ch’io l’abbia sinora ignorato? — Vostra maestà,» rispose il gran visir, «si ricorderà d’aver ier l’altro accordato ad Aladino, riconosciuto allora per di lei genero, il permesso di erigere un palazzo rimpetto al suo; il giorno stesso, al tramonto del sole, non eravi edificio alcuno in questo luogo, e ieri io ebbi l’onore di essere il primo ad annunziarle che il palazzo era bell’e finito. — Me ne ricordo,» ripigliò il sultano; «ma non mi sarei mai immaginato che codesta abitazione fosse una delle maraviglie del mondo. Dove trovarne in tutto l’universo che siano fabbricati di filari d’oro e d’argento massiccio, in vece di pietra o di marmo, e le cui finestre abbiano gelosie incrostate di diamanti, di rubini e smeraldi? Mai al mondo non si è fatto menzione di cosa simile! —

«Il sultano volle vedere ed ammirare la bellezza delle ventiquattro gelosie, e contatele, trovandone ventitrè sole che fossero della medesima ricchezza, maravigliò altamente scorgendo che la vigesimaquarta era imperfetta. — Visir,» diss’egli (chè il gran visir facevasi un dovere di non abbandonarlo), «stupisco assai come una sala di tal magnificenza sia rimasta in questo sito imperfetta. — Sire,» rispose il ministro, «forse Aladino ebbe premura, e gli mancò il tempo di rendere questa finestra simile alle altre; ma si può credere che abbia le gemme necessarie, e che fra poco vi farà lavorare. —

[p. 117 modifica]«Aladino, il quale aveva lasciato il sultano per dare qualche ordine, capitò in quel mentre. — Figlio,» gli disse il sultano, «ecco il salone più degno di essere ammirato di quanti ne esistano al mondo. Una sola cosa mi fa maraviglia, il vedere, cioè, questa gelosia imperfetta. Fu dimenticanza,» soggiunse, «o negligenza, o perchè gli operai non ebbero il tempo di dar l’ultima mano a sì bel pezzo di architettura?

«— Sire,» rispose Aladino, «non è per alcuna di questo ragioni che quella gelosia sia rimasta nello stato in cui la vede vostra maestà. La cosa fu fatta a bella posta, ed è per mio ordine espresso che gli operai non l’hanno toccata: io voleva che vostra maestà avesse la gloria di far terminare questa sala ed il palazzo a un tempo. La supplico a voler aggradire la mia buona intenzione, affinchè possa ricordarmi del favore e della grazia che avrò da lei ricevuto. — Se lo faceste in tale intenzione,» ripigliò il sultano, «ve ne son grato, e darò subito gli ordini necessari.» In fatti, comandò si chiamassero i gioiellieri meglio provvisti di pietre preziose e gli orefici più abili della capitale.

«Intanto il sultano discese dalla sala, ed avendolo il genero condotto in quella nella quale aveva trattato la principessa Badrulbudur il giorno delle nozze, poco dopo giunse la sposa in persona, ed accolse il padre con aspetto, che ben gli dimostrò quanto fosse contenta del suo matrimonio. Eranvi colà due tavole ammannite de’ cibi più dilicati, e servite tutte in vasellame d’oro; il sultano sedè alla prima, e mangiò colla principessa sua figliuola, Aladino ed il gran visir, mentre tutti i signori del seguito venivano trattati alla seconda, ch’era lunghissima. Il sultano trovò le vivande d’ottimo gusto, e confessò che mai non avevano mangiato di più eccellenti; la medesima [p. 118 modifica] cosa disse del vino, ch’era in fatti squisitissimo. Quello però ch’egli lodò maggiormente furono quattro larghe credenze cariche a profusione di fiaschi, bacili e di coppe d’oro massiccio, tutte stupendamente adorne di pietre preziose. Piacquero pure i cori di musica distribuiti per la sala, mentre il clangore delle trombe, accompagnato dai tamburi e dai timballi, echeggiavano al di fuori a proporzionata distanza per sentirne tutto il diletto.

«Quando il sultano stava per escire di tavola, vennero ad avvertirlo che i gioiellieri e gli orefici, chiamati di suo ordine, erano giunti: risalì allora, insieme a quegli artefici, al salone dalle ventiquattro finestre, e mostrando loro quella imperfetta: — Vi ho fatti chiamare,» disse, «per accomodar questa finestra, e ridurla alla stessa perfezione delle altre: esaminatela, e non perdete tempo a farla simile alle compagne. —

«Esaminarono gli artefici le altre ventitrè gelosie con attenzione; consultatisi quindi assieme, e convenuti di ciò cui poteva ciascheduno da propria parte contribuire, tornarono a presentarsi al sultano, ed il gioielliere di corte, pigliando la parola per tutti, gli disse: — Sire, siamo pronti ad adoperare le cure e l’industria nostra per obbedire a vostra maestà; ma fra quanti siamo qui della nostra professione, non abbiamo pietre così preziose, nè in numero sufficiente per finire sì gigantesco lavoro. — Io ne ho,» rispose il sultano, «ed al di là di quante ne potessero occorrere; venite al mio palazzo, ve le mostrerò, e voi sceglierete. —

«Allorchè il sultano fu di ritorno al palazzo, si fece portare tutte le gemme, ed i gioiellieri ne presero in grandissima quantità, specialmente di quelle che venivano dal dono di Aladino; ma le adoperarono tutte senza che il lavoro apparisse molto inoltrato. [p. 119 modifica] Tornarono quindi a prenderne altre a più riprese, ed in un mese non avevano finita la metà dell’opera. Impiegarono così tutte quelle del sultano, oltre ciò che il gran visir gli prestò delle sue, con tutto questo riuscendo appena a terminare la metà della finestra.»


NOTTE CCCXXXII


— Sire,» ripigliò la sultana, «Aladino, conoscendo che il sultano sforzavasi indarno di rendere la gelosia simile alle altre, e che mai non ne sarebbe uscito con onore, chiamati gli orefici, disse loro non solo di cessar dal lavoro, ma anzi di disfarlo tutto, e riportare al sultano tutte le sue pietre e quelle prese a prestito dal gran visir.

«L’opera che quei gioiellieri avevano messo più di sei settimane a fare, fu in poche ore distrutta. Ritiratisi allora, lasciarono Aladino solo nel salone, il quale, cavata la lucerna che portava indosso, e strofinatala, il genio gli fu subito davanti. — Genio,» dissegli il giovane, «io ti aveva ordinato di lasciar imperfetta una delle ventiquattro finestre della sala, e tu eseguisti l’ordine mio; ora ti ho chiamato per dirti che desidero di vederla eguale alle altre.» Il genio disparve, ed allora Aladino discese dal salone; ma tornatovi poco dopo, trovò la gelosia simile alle altre, come bramava.

«Intanto, gli artefici, giunti al palazzo, furono introdotti e presentati al sultano nel suo appartamento; il primo gioielliere, consegnandogli le gemme ch’essi gli riportavano, disse in nome di tutti: — Sire, vostra maestà sa da quanto tempo noi lavoriamo [p. 120 modifica] con tutta l’industria a finir l’opera, di cui ella ci aveva incaricati. Era già molto inoltrata, allorchè Aladino ci costrinse non solo a desistere, ma anzi a disfare il già fatto, e riportarle queste pietre e quelle del gran visir.» Il sultano chiese se il genero ne avesse spiegata la ragione, ed avendogli essi risposto ch’ei non avevane nulla manifestato, ordinò che sul momento gli si conducesse un cavallo, sul quale salito, parte senz’altro seguito che pochi de’ suoi che lo accompagnano a piedi. Giunto al palazzo di Aladino, va a smontare appiè della scala che metteva al salone delle ventiquattro finestre, ed ascende senza farne avvertito il genero; ma questi vi si trovò molto a proposito, ed ebbe appena il tempo di riceverlo alla porta.

«Il sultano, senza dare al giovane il tempo di dolersi cortesemente perchè sua maestà non lo avesse fatto avvertire, ponendolo nella necessità di mancare al proprio dovere, gli disse: — Vengo, o figlio, a domandarvi in persona per qual ragione volete lasciar imperfetto un salone sì magnifico e singolare come quello del vostro palazzo. —

«Aladino dissimulò la vera ragione, la quale consisteva che il sultano non era abbastanza ricco di gioie per sostenere l’enorme spesa; ma per fargli comprendere quanto il palazzo, qual egli era, superasse non solo il suo, ma ben anche qualunque altro del mondo, poichè egli non aveva potuto finirlo nella minima delle sue parti, gli rispose: — Sire, è vero che vostra maestà ha veduto questa sala imperfetta; ma la supplico di guardare adesso se alcuna cosa vi manchi. —

«Il sultano corse alla finestra, onde aveva veduta la gelosia imperfetta, ed osservando ch’era simile alle altre, credè essersi ingannato; laonde esaminò non solo le due finestre che stavanle accanto, ma le [p. 121 modifica] guardò tutte ad una ad una; quando si fu convinto che la gelosia, la quale era costata tante giornate di lavoro, trovavasi finita nel poco spazio di tempo a lui noto, abbracciò Aladino e baciollo in fronte, dicendogli, pieno di maraviglia: — Figliuolo, qual uomo siete voi, che fate cose sì sorprendenti, e quasi in un batter di ciglio? Non esiste il vostro simile in tutta la terra; e più vi conosco, più vi trovo ammirabile! —

«Ricevè Aladino le lodi del sultano con molta modestia, e rispose in questi termini: — Sire, è per me grandissima gloria di meritare la benevolenza e l’approvazione di vostra maestà. Ciò che posso assicurarle è, che non dimenticherò mai nulla onde vie meglio meritarmi l’una e l’altra. —

«Il sultano tornò al palazzo nel modo stesso che n’era venuto, senza voler permettere che il giovane lo accompagnasse, e trovato, arrivando, il gran visir che lo attendeva, ancora tutto pieno d’alto stupore per la maraviglia ond’era stato testimonio, glie ne fece il racconto in termini che non lasciarono dubitare a quel ministro la cosa non fosse come il sultano gliela narrava, ma che, al tempo medesimo, confermarono il visir nel pensiero, in cui già era, che il palazzo di Aladino fosse l’effetto d’un incanto: pensiero onde aveva fatto parte al sultano quasi nel momento stesso, in cui era apparso il palazzo. Volendo quindi ripetergli la stessa cosa: — Visir,» rispose il sultano interrompendola, «me lo diceste già un’altra volta; ma ben veggo che non avete ancora posto in oblio il matrimonio di mia figlia col figliuol vostro. —

«Ben comprese il gran visir che il suo padrone era prevenuto, e non volendo entrare in disputa con lui, lo lasciò nella sua opinione. Tutti i giorni, regolarmente, appena alzato, il sultano non mancava di recarsi in un gabinetto, d’onde scorgeasi tutto il [p. 122 modifica] palazzo del genero, andandovi inoltre più volte al giorno, per contemplarlo ed ammirarlo.

«Il giovane intanto non istavasene chiuso in casa; aveva cura di farsi vedere per la città più d’una volta alla settimana, sia che andasse a dire la sua preghiera ora in una moschea ed ora nell’altra, oppure che di tempo in tempo si recasse a visitare il gran visir, il quale affettava di andargli a fare la sua corte in certi determinati giorni, e veramente facesse ai principali signori, cui sovente banchettava nella propria dimora, l’onore di andarli a trovare nelle loro case. Ogni qual volta usciva, faceva gettare da due de’ suoi schiavi, che procedevano in truppa attorno al suo cavallo, pugni di monete d’oro per le vie e le piazze onde passava, e dove il popolo sempre accalcavasi in gran folla.

«D’altra parte, non presentavasi alla porta del suo palazzo un poverello, il quale non tornasse contento della liberalità che per ordine di lui venivagli usata.

«Siccome Aladino aveva diviso il suo tempo in modo che non v’era settimana in cui non andasse almeno una volta alla caccia, ora nei dintorni della città ed ora più lontano, la medesima liberalità esercitava per le strade e nei villaggi; la qual generosa inclinazione procuravagli da tutto il popolo mille benedizioni, e divenuta era cosa comune di non giurare che pel suo capo. In fine, senza dar ombra al sultano, cui faceva regolarmente la sua corte, può dirsi che Aladino erasi co’ suoi modi affabili e liberali acquistata l’affezione del popolo, e che, generalmente parlando, era più amato del sultano medesimo. A tutte queste doti accoppiava un valore ed uno zelo pel bene dello stato da non potersi abbastanza lodare, e ne diede anche belle prove all’occasione d’una rivolta scoppiata verso i confini del [p. 123 modifica] regno; non appena seppe che il sultano, per sedarla, levava un esercito, lo supplicò di concedergliene il comando, ed ottenutolo senza difficoltà, se ne pose immediatamente alla testa, lo spinse contro i ribelli, e si regolò in tutta la spedizione con tal celerità, che il sultano seppe prima essere stati i rivoltosi sbaragliati, puniti e dispersi, che non il di lui arrivo all’armata. La qual azione, che rese il suo nome celebre in tutta l’estensione del regno, non ne cangiò guari il cuore, tornando vittorioso bensì, ma egual mente affabile com’era sempre stato.

«Erano già più anni che Aladino operava di tal guisa, quando il mago, che senza pensarvi avevagli dato il mezzo di sollevarsi a sì alta fortuna, ricordossi di lui dall’Affrica, ove stava ritirato. Benchè sin allora fosse persuaso che Aladino era morto miseramente nel sotterraneo in cui avevalo lasciato, gli venne nonostante il pensiero di conoscere precisamente qual ne fosse stata la fine. Or siccome era grande geomante, trasse da un armadio un quadrato in forma di scatola coperta, di cui solea servirsi per fare le osservazioni di geomanzia, e sedendo sul sofà, se lo pone davanti, lo scopre, e dopo averne preparata e conguagliata la sabbia, coll’intenzione di sapere se Aladino fosse morto nel sotterraneo, getta i suoi punti, ne ricava le figure e forma l’oroscopo. Esaminando quindi quest’oroscopo per trarne un giudizio, invece di scoprire che Aladino era morto nel sotterraneo, viene a conoscere ch’erane uscito, e che viveva sulla terra in grande splendore, opulentissimo, ammogliato ad una principessa, onorato e rispettato.

«Appena il mago affricano ebbe scoperto, per le regole della diabolica sua arte, come Aladino si trovasse in tanta altezza di fortuna, che gli salì il fuoco al volto, e per la rabbia si fece a dire fra sè: — Quel miserabile figlio d’un sartore ha scoperto il segreto [p. 124 modifica] e la virtù della lampada! Io aveva tenuta per certa la sua morte, ed eccolo che gode il frutto delle mie fatiche e delle mie veglie! Voglio impedire che ne goda più a lungo, o perirò.» Nè stette molto a deliberare sul punto da prendere. L’indomani, di buon mattino, montò sur un barbero (3) che teneva nella scuderia, e si pose in cammino; di città in città, e di provincia in provincia, non fermandosi se non quanto abbisognava per non istancare di troppo il destriero, giunse alla China, ed in breve nella capitale del sultano, di cui Aladino aveva sposata la figliuola. Quivi smontò in un khan, dove, presa a pigione una stanza, vi rimase il resto del giorno e la notte seguente onde rimettersi dalle fatiche del viaggio.

«Il giorno dopo, prima d’ogni altra cosa, volle il mago sapere cosa si dicesse di Aladino; laonde, passeggiando per la città, entrò nel luogo più famoso e frequentato dalle persone distinte, dove soleano adunarsi per bere una certa bevanda calda (4), a lui nota sin dal primiero suo viaggio, ed appena vi fu seduto, che, riempitagli una tazza di quella bevanda, gli venne gentilmente presentata. Prendendola, siccome tendeva l’orecchio a destra ed a sinistra, intese che discorrevasi appunto del palazzo di Aladino. Quand’ebbe finito di bere, si accostò ad uno di quelli che ne parlavano, e frammischiandosi a proposito, gli chiese in particolare cosa fosse quel palazzo, del quale tanto discorrevasi. — D’onde venite?» sentì rispondersi dalla persona cui erasi rivolto.

«Bisogna che siate giunto da ben poco, se non avete veduto, o piuttosto se non avete ancora udito parlare del palazzo del principe Aladino.» Il giovane [p. 125 modifica] non chiamavasi altrimenti, dal tempo che aveva sposata la principessa Badrulbudur. — Non vi dico già,» continuò l’altro, «che sia una delle maraviglie dell’universo; ma bensì essere la maraviglia unica che esista al mondo: mai non si è veduta cosa più grande, ricca e magnifica! È d’uopo dire che veniate molto da lontano, se non avete ancora udito favellarne. In fatti, se ne deve parlare per tutta la terra, dacchè fu fabbricato. Andate a vederlo, e direte se avrò esagerato. — Perdonate alla mia ignoranza,» ripigliò il mago; «son giunto ieri appena, e vengo veramente sì da lontano, voglio dire dall’estremità dell’Affrica, che la fama non erane ancor giunta sin là quando partii; e siccome, per riguardo all’affare urgente che qui mi guida, non ebbi nel mio viaggio altra mira che di giungere al più presto, senza fermarmi, nè fare veruna conoscenza, non ne sapeva se non quanto testè me ne diceste. Ma non mancherò di andarlo a vedere: la mia impazienza anzi è tale, che m’accingo a soddisfar subito alla mia curiosità, se voleste farmi la grazia d’insegnarmi la strada. —

«La persona alla quale il mago erasi rivolto, si compiacque insegnargli la via da percorrere onde veder di prospetto il palazzo d’Aladino, e lo stregone, alzatosi tosto, vi andò al momento. Quando vi fu giunto, ed ebbe esaminato da vicino e da tutti i lati il palazzo, non dubitò che il giovine non si fosse servito della lucerna per fabbricarlo; chè, senza fermarsi all’impotenza di Aladino, figliuolo d’un semplice sartore, egli non ignorava essere dato soltanto di operare simili maraviglie a’ geni schiavi della lucerna, il cui acquisto eragli fallito. Punto al vivo della felicità e della grandezza di Aladino, della quale non facea quasi differenza con quella del sultano, tornò al khan ove avea fissato il domicilio.»

[p. 126 modifica]— Sono curioso di sapere,» disse il sultano a Scheherazade, che la comparsa del giorno aveva interrotta in quel passo, «se quel perfido negromante pervenne a rovinare la felicità di Aladino. — Vi pervenne di certo,» rispose la sultana, «ma il suo trionfo fu di breve durata, come vostra maestà potrà avvedersene, qualora mi permetta di proseguire questa storia.» Schahriar si alzò senza parlare, onde andar a presiedere il consiglio.


NOTTE CCCXXXIII


Scheherazade, continuando a volgersi al sultano: — Sire, si trattava di sapere ove fosse la lucerna; se Aladino la portasse indosso od in qual luogo la custodisse, ed era ciò che il mago affricano dovea scoprire mediante un’operazione di geomanzia. Giunto dunque all’alloggio, prese il quadrato e la sabbia, che portava in tutt’i suoi viaggi, ed ultimata l’operazione, conobbe che la lucerna trovavasi nel palazzo di Aladino; della quale scoperta provò colui tanto giubilo, che non capiva più in se medesimo. — L’avrò questa lucerna,» disse, «e sfido Aladino ad impedirmi di rapirgliela, e farlo tornare a quella bassezza d’onde spiccò sì alto il volo. —

«La disgrazia di Aladino volle che allora ei fosse andato a caccia per otto giorni, ed esserne partito da tre di soli, ed ecco in qual modo il mago ne fu informato. Quand’ebbe finita l’operazione che gli aveva messa tanta allegrezza, andò a trovare il custode del khan, sotto pretesto di discorrere seco lui, e ne avea uno naturalissimo che non era mestieri condurre [p. 127 modifica] troppo da lontano. Gli disse d’essere andato a vedere il palazzo di Aladino, ed esageratogli tutto ciò che v’ebbe notato di più stupendo, ed ogni cosa che avevalo maggiormente colpito, e che colpiva l’universale: — La mia curiosità,» proseguì, «va più innanzi, e non sarò contento se non abbia veduto il padrone, cui appartiene sì maraviglioso edifizio. — Non vi sarà difficile vederlo,» rispose il custode; «non v’ha quasi giorno ch’ei non ne dia l’occasione quando si trova in città; ma sono tre dì ch’è partito per una gran caccia che deve durare otto giorni. —

«Il mago affricano non volle saperne di più; prese congedo dal custode, e ritirandosi, pensò fra sè: — Ecco il tempo di agire: non devo lasciarmelo scappare.» Andato alla bottega d’un fabbricatore di lucerne: — Maestro,» gli disse, «ho bisogno d’una dozzina di lucerne di rame; me le potreste somministrare?» Il venditore gli rispose che glie ne mancavano alcune, ma che se voleva aver pazienza sino alla mattina seguente, la troverebbe completa all’ora che gli piacesse. Il mago acconsentì, e raccomandatogli che fossero belle e ben brunite, dopo avergli promesso che lo pagherebbe bene, tornò al khan.

«Alla domane, la dozzina di lucerne fu consegnata al mago, il quale ne pagò il prezzo che gli fu chiesto senza detrarne uno spicciolo, le pose in un paniere, del quale erasi espressamente provveduto, e con quello sul braccio, si avviò verso il palazzo di Aladino. Allorchè ne fu vicino, si mise a gridare: — Chi vuol cambiare vecchie lucerne con lucerne nuove?

«Mano mano che inoltravasi, sì da lontano che i ragazzini, i quali stavano giuocando per la piazza, l’ebbero udito, accorsero, e gli si affollarono intorno con alto schiamazzo, riguardandolo come un pazzo; sino i passeggieri ridevano della sua sciocchezza, [p. 128 modifica] come s’immaginavano. — Bisogna,» dicevano, «che abbia perduto il giudizio per offrir di cambiare lucerne nuove colle vecchie. —

«Non maravigliossi il mago delle beffe de’ ragazzi, nè di tutto ciò che dir potevasi di lui, e per ismerciare la sua mercanzia, continuò a gridare: — Chi vuol cambiare vecchie lucerne con lucerne nuove?» E ripetè tanto spesso il medesimo grido, andando su e giù per la piazza, davanti al palazzo e tutto all’intorno, che la principessa Badrulbudur, la quale trovavasi allora nella sala delle ventiquattro finestre, udì la voce d’un uomo; ma siccome non poteva distinguere cosa gridasse, per lo schiamazzo de’ fanciulli che lo seguivano, ed il cui numero ognor più cresceva, mandò una schiava a vedere cosa fosse quello strepito.

«Non istette molto la schiava a tornare, ed entrò nella sala ridendo sì sgangheratamente, che la principessa non potè a meno di non ridere anch’essa guardandola. — Ebbene, pazzerella,» le disse Badrulbudur, «mi vorrai dire perchè ridi? — Principessa,» rispose la schiava sempre ridendo, «chi potrebbe trattener le risa vedendo un pazzo con un paniere sotto il braccio, pieno di lucerne tutte nuove, che non chiede di venderle, ma di cambiarle con lucerne vecchie? Sono i ragazzi, da cui trovasi tanto circondato che può camminare a stento, i quali fanno tutto il fracasso che si sente, beffeggiandolo. —

«A tale racconto, un’altra schiava, pigliando la parola: — A proposito di lucerne vecchie,» disse, «non so se la principessa abbia osservato esservene là una sulla cornice; quello, cui appartiene, non avrà dispiacere di trovarne una nuova invece della vecchia. Se la principessa vuole, può pigliarsi il divertimento di provare se quel pazzo sia veramente tanto insensato di dare una lucerna nuova in cambio d’una vecchia, senza chiedere nulla in aggiunta. —

[p. 129 modifica]«La lampada di cui parlava la schiava, era la lucerna maravigliosa di cui Aladino erasi servito per sollevarsi al punto di grandezza ove trovavasi; e l’avea egli medesimo posta sulla cornice prima di andar alla caccia nel timore di perderla, avendo presa la medesima precauzione tutte le altre volte che vi era andato. Ma nè le schiave, nè gli eunuchi, nè la principessa medesima vi avevano fatta attenzione una sol volta fin allora durante la di lui assenza, portandola egli sempre indosso fuor del tempo della caccia. Si dirà che la precauzione di Aladino era buona, ma che almeno avrebbe dovuto chiuder via la sua lucerna. È vero: ma si sono commessi in ogni tempo simili falli, se ne fanno ancora oggidì, nè si cesserà di commetterne.

«Badrulbudur, la quale ignorava che quella lucerna fosse tanto preziosa com’era in vero, e che Aladino, senza parlare di lei medesima, aveva grande interesse che non la toccassero e fosse conservata, aderì alla celia, e comandò ad un eunuco di andare a far quel cambio. Obbedì l’eunuco, discese dal salone, ed appena uscito dalla porta del palazzo; scorgendo il mago affricano, lo chiamò, e quando gli fu vicino, mostrandogli la lucerna vecchia: — Dammi,» gli disse, «una lucerna nuova, che ti darò questa. —

«Il negromante non dubitò quella non fosse la lucerna che cercava; non ve ne potevano essere altre nel palazzo di Aladino, ove tutte le stoviglie e le suppellettili erano d’oro o d’argento; la prese dunque subito di mano dall’eunuco, ed avvoltala bene per metterla in seno, gli presentò il paniere, dicendogli di scegliere quella che più gli piacesse. L’eunuco ne prese una, e lasciato il mago, portò la lucerna nuova alla principessa; ma il cambio non fu appena eseguito, che i ragazzi fecero rimbombare [p. 130 modifica] la piazza coi maggiori schiamazzi che non avessero ancor fatto, burlandosi, secondo essi, della bestialità del mago. Ma costui li lasciò schiamazzare a loro talento, e non trattenendosi più oltre nei contorni del palazzo di Aladino, se ne allontanò bel bello e senza strepito, cioè senza più gridare, nè parlar altro di cambiar lucerne nuovo colle vecchie. Non ne volava altra fuor di quella che portava seco, ed il suo silenzio fece in fine che i fanciulli si sbandassero e lo lasciassero andare.

«Quando si trovò fuor della piazza che stava in mezzo ai due palazzi, fuggì per le strade più remote, e non avendo più bisogno nè d’altre lucerne, nè di paniere, depose questo e quelle nel bel mezzo d’una via, dove osservò non esservi alcuno; indi, avviatosi per un’altra contrada, affrettò il passo finchè giunse ad una delle porte della città. Quivi, continuando il cammino pel sobborgo, ch’era lunghissimo, fece, prima di uscirne, alcune provvisioni, e quando fu nella campagna, si diresse verso un luogo appartato, fuor della vista della gente, ove rimase fin al momento, che stimò opportuno, onde ultimare l’esecuzione del disegno che avevalo condotto in quel paese. Non si dolse del barbero che lasciava nel khan, dove aveva preso alloggio, credendosene a sufficienza indennizzato col tesoro acquistato.

«Il mago passò il resto del giorno in quel luogo sino ad un’ora di notte, quand’erano più oscure le tenebre, ed allora tratta di seno la lucerna, la fregò. A quella chiamata, il genio comparve.

«— Che vuoi tu?» gli chiese; «eccomi pronto ad obbedirti come schiavo tuo e di tutti quelli che hanno la lucerna in mano, io e gli altri suoi schiavi.

«— Io ti comando,» riprese il negromante, «che in questo stesso punto tu levi il palazzo, da te o dagli altri schiavi della lucerna fabbricato in questa [p. 131 modifica] città, quale esso è, con tutto ciò che contiene di vivo, e lo trasporti con me, nel medesimo tempo, nel tal sito dell’Affrica.» Senza rispondergli, il genio, coll’assistenza d’altri geni, schiavi come lui della lucerna, trasportò, in brevissimo tempo, lui ed il palazzo tutto intiero nel luogo dell’Affrica che avevagli indicato. E qui noi lasceremo il mago ed il palazzo colla principessa Badrulbudur, per parlare della sorpresa del sultano.

«Quando questi fu alzato da letto, non mancò, secondo il solito, di recarsi al gabinetto aperto, per aver il piacere di contemplare ed ammirare il palazzo di Aladino. Volto quindi lo sguardo dal lato in cui soleva vederlo, e non iscorgendo che uno spazio vuoto, qual era prima che ve lo erigessero, credè d’ingannarsi, e si fregò gli occhi; ma non vide nulla più di prima, benchè il cielo fosse sereno, l’aria pura, e l’aurora, che aveva cominciato a sorgere, distintissimi rendesse tutti gli oggetti. Guardò per le due aperture a destra ed a sinistra, e non vide se non ciò ch’era uso vedere da quelle due parti. Tanto grande fu allora il suo stupore, che rimase a lungo nello stesso sito cogli occhi rivolti verso la parte dov’era situato il palazzo, e dove più non lo vedeva, cercando ciò che non poteva comprendere, cioè: come potea darsi che un palazzo sì grande ed appariscente come quello di Aladino, ch’egli vedeva quasi ogni giorno dacchè era stato fabbricato con suo permesso, e recentemente ancora il dì innanzi, fosse svanito in modo, che più non ne apparisse il menomo vestigio. — Non m’inganno,» diceva fra sè; «stava in quel sito là; se fosse rovinato, si vedrebbero a mucchi i rottami; se la terra lo avesse inghiottito, qualche segno se ne vedrebbe, in qualunque modo ciò fosse accaduto.» Benchè convinto che il palazzo era scomparso, pure non lasciò di attendere qualche tempo ancora per [p. 132 modifica] vedere se infatti non s’ingannasse. Ritirossi infine, e guardatosi nuovamente indietro prima d’allontanarsi, tornò al suo appartamento, comandando di chiamare in fretta il gran visir; intanto sedè collo spirito agitato da pensieri così diversi, che non sapeva qual partito prendere.»


NOTTE CCCXXXIV


— Sire, il gran visir non fece attendere il sultano; venne anzi con tal precipizio, che nè egli, nè il suo seguito fecero riflessione, passando, che il palazzo di Aladino più non trovavasi al suo luogo; i custodi stessi, aprendo la porta, non se n’erano accorti.

«Presentatosi al sultano: — Sire,» dissegli il gran visir, «la premura con cui vostra maestà m’ha fatto chiamare, mi fa credere le sia accaduta qualche cosa di straordinario, non ignorando ella che oggi è giorno di consiglio, e ch’io non potea mancare di recarmi al mio dovere fra breve. — Ciò che accadde è veramente straordinario, come tu dici, ed ora te ne convincerai. Dimmi, dov’è il palazzo di Aladino? — Il palazzo di Aladino, o sire?» rispose il gran visir sorpreso; «vi sono passato davanti testè, e mi parve fosse a suo luogo; edifici tanto robusti come quello non cangiano di posto sì facilmente. — Va a vedere nel gabinetto,» riprese il sultano, «e sappimi dire se l’avrai veduto. —

«Andò il gran visir nel gabinetto aperto, e gli accadde la stessa cosa come al sultano; assicuratosi quindi che il palazzo di Aladino più non era dove prima sorgeva, e che non apparivane la minima traccia, tornò dal sultano, il quale subito gli [p. 133 modifica] domandò: — Or bene, l’hai veduto? — Sire,» rispose il gran visir, «vostra maestà può ricordarsi ch’io ebbi l’onore di dirle, che quel palazzo, il quale formava il soggetto della di lei ammirazione colle immense sue ricchezze, era opra di magia e di un mago; ma vostra maestà non volle credermi. —

«Il sultano, il quale non potea disconvenire di ciò che il gran visir gli rappresentava, montò in tanta maggior collera, in quanto che non potea sconfessare la sua incredulità. — Dov’è, dov’è quell’impostore, quello scellerato? Gli voglio far tagliare la testa. — Sire,» rispose il ministro, «sono alcuni giorni ch’ei venne a prendere congedo da vostra maestà; bisogna mandare a chiedergli dove trovasi il suo palazzo; ei non deve ignorarlo. — Sarebbe trattarlo con troppa indulgenza,» rispose il sultano; «va a dar ordine a trenta de’ miei cavalieri di condurmelo carico di catene.» Andò il gran visir a dare ai cavalieri l’ordine del sultano, ed istruì il loro ufficiale del modo in cui doveva contenersi affinchè non gli fuggisse di mano. Partiti dunque, incontrarono Aladino a cinque o sei leghe dalla città, che tornava cacciando; l’ufficiale, accostatosegli, gli disse che il sultano, impaziente di rivederlo, avevali mandati per dichiararglielo, e tornare in di lui compagnia.

«Il giovane non ebbe il menomo sospetto del vero motivo che conduceva quel distaccamento della guardia del sultano: laonde continuò a tornar indietro sempre cacciando; ma quando fu ad una mezza lega dalla città, il distaccamento lo circondò, e l’ufficiale, prendendo la parola, gli disse: — Principe Aladino, grande è il nostro dispiacere di dichiararvi l’ordine da noi avuto dal sultano di arrestarvi, e condurvi da lui come un delinquente di stato; vi supplichiamo di non isdegnarvi con noi, se obbediamo al nostro dovere, ed a perdonarcelo. —

[p. 134 modifica]«Simile dichiarazione fu argomento di grande sorpresa per Aladino, il quale sentivasi innocente, e chiese all’officiale se sapesse di qual delitto venisse accusato. Colui rispose che tanto egli, quanto la sua gente lo ignoravano.

«Siccome il giovane vide che i suoi seguaci erano inferiori di molto al distaccamento, ed anzi si allontanavano, smontato da cavallo: — Eccomi,» disse, «eseguite l’ordine che avete. Posso però asserire che non mi sento reo di alcun delitto, nè contro la persona del sultano, nè verso lo stato.» Gli passarono tosto intorno al collo una lunga e grossa catena, colla quale lo legarono anche a mezzo il corpo in modo, che non aveva nemmeno le braccia libere; e quando l’officiale si fu posto alla testa della squadra, un cavaliere prese l’estremità della catena, e camminando dietro all’officiale, condusse Aladino, il quale si trovò costretto a seguirli a piedi, ed in tale stato venne trascinato verso la città.

«Quando i cavalieri furono entrati nel sobborgo, i primi che videro condur Aladino come un reo di stato, non dubitarono non fosse per tagliargli la testa; e siccome era generalmente amato, alcuni presero spade od altre armi, e chi non ne aveva munironsi di pietre, e tutti seguirono i cavalieri. Coloro che si trovavano in coda si volsero, manifestando l’intenzione di volerli dissipare; ma ben presto quelli ingrossarono in tanto numero, che i cavalieri presero il partito di dissimulare, reputandosi troppo felici, se poteano giungere al palazzo del sultano senza che lor fosse tolto il prigioniero. Per riuscirvi, secondo che più o meno larghe erano le vie, ebbero cura di occupare la larghezza intiera del terreno, ora stendendosi ed ora stringendosi, e di tal modo giunsero alla piazza del palazzo, dove, schieratisi tutti in una linea, fecero fronte alla plebaglia [p. 135 modifica] armata, sinchè l’officiale ed il cavaliere che conduceva Aladino, fossero entrati in palazzo, ed i custodi avessero chiuse le porte per impedirne l’ingresso.

«Aladino fu condotto davanti al sultano, il quale aspettavalo sul balcone accompagnato dal gran visir; appena lo vide, comandò al carnefice, cui era già stato dato ordine di colà trovarsi, di troncargli il capo senza voler udirlo, nè ricavarne schiarimento alcuno.

«Quando il carnefice si fu impossessato di Aladino, gli tolse la catena che teneva al collo ed intorno al corpo, e disteso sulla terra un cuoio tinto del sangue d’una quantità d’altri delinquenti giustiziati, lo fece mettere in ginocchio, gli bendò gli occhi, e sguainata la scimitarra, prendeva le sue misure per iscagliare il colpo fatale, provandosi e facendo lampeggiare la sciabola in aria tre volte, nell’aspettativa che il sultano gli desse il segnale di morte.

«In quel punto il gran visir s’avvide che il popolo, il quale aveva sbaragliati i cavalieri, empiva la piazza, e già scavalcava in più siti le mura del palazzo, e cominciava a demolirle per praticar la breccia; laonde, prima che il sultano porgesse il segnale: — Sire,» gli disse, «supplico vostra maestà a pensare maturamente a ciò che sta per fare. Ella corre rischio di veder invaso il palazzo, e se tal disgrazia accade, l’evento potrebbe riuscirne funesto. — Il mio palazzo invaso!» rispose il sultano. «Chi potrebbe avere tanta audacia? — Sire,» ripigliò il gran visir, «vostra maestà si degni volgere gli occhi sulle mura del palazzo e dal lato della piazza, e conoscerà il vero di quanto le dico. —

«Lo spavento del sultano fu tale al vedere una sommossa sì violenta, che nel momento medesimo comandò al carnefice di riporre la scimitarra nel [p. 136 modifica] fodero, togliere la benda dagli occhi di Aladino e lasciarlo libero; diede pur ordine agli sciaù di proclamare che il sultano gli faceva grazia, e che ognuno dovesse ritirarsi.

«Allora tutti quelli ch’erano già montati sull’alto delle mura, testimoni dell’accaduto, abbandonarono il loro disegno, e scesi in pochi istanti, pieni di giubilo per aver salvata la vita ad un uomo che amavano di cuore, riferirono a tutti quelli che stavano loro intorno la felice novella, la quale passò in breve a tutto il popolo adunato sulla piazza, e le grida degli sciaù, che dall’alto delle terrazze, su cui erano saliti, annunziavano la medesima cosa, terminarono di farla pubblica. La giustizia dal sultano resa allora ad Aladino, facendogli grazia, disarmò la moltitudine, fè’ cessare il tumulto, ed insensibilmente ciascuno si ritirò alle proprie case.

«Allorchè Aladino si vide libero, alzò la testa verso il balcone, e scorgendovi il sultano: — Sire,» gridò, alzando la voce in modo commovente, «supplico vostra maestà ad aggiungere una nuova grazia a quella che testè si degnò accordarmi, e di farmi conoscere qual sia la mia colpa. — La tua colpa, perfido?» rispose il sultano; «già nol sai? Vieni qui,» soggiunse, «e te la farò conoscere. —

«Salì Aladino, e quando si fu presentato: -— Seguimi,» gli disse il sultano, camminandogli dinanzi senza guardarlo. Lo condusse al gabinetto aperto, e giunto alla porta: — Entra,» soggiunse; «tu devi sapere dove sia il tuo palazzo: guarda da tutte le parti, e dimmi che cosa ne avvenne. —

«Il giovane guarda, e nulla vede; scorge bensì tutto il terreno che il suo palazzo occupava, ma non sapendo indovinare come avesse potuto scomparire, quell’avvenimento sì straordinario e sorprendente lo mise in tal confusione e lo sbalordì in modo da impedirgli di rispondere una sola parola, al sultano. [p. 137 modifica]«Questi, impazientito: — Or dimmi,» ripetè, «dov’è il tuo palazzo, e dove la figlia mia?» Allora Aladino, rotto il silenzio: — Sire,» rispose, «ben veggo, e lo confesso, che il palazzo fatto da me fabbricare, più non si trova nel sito dov’era; vedo ch’è scomparso, nè so dire a vostra maestà ove possa essere; ma posso bensì assicurarla di non aver la minima parte in tale avvenimento.

«— Non mi prendo veruna briga di quanto sia accaduto del tuo palazzo,» riprese il sultano; «stimo la mia figliuola un milione di volte di più. Voglio che tu me la ritrovi; altrimenti ti farò tagliar la testa, e niuna considerazione potrà impedirmelo.

«— Sire,» tornò a dire il giovane, «supplico vostra maestà ad accordarmi quaranta giorni per fare le mie indagini; e se nel frattempo non vi riesco, gli do la mia parola che porterò appiè del suo trono la testa, affinchè ne disponga a suo beneplacito. — Ti concedo i quaranta giorni che domandi,» gli rispose il sultano; «ma non credere di abusare della grazia che ti concedo, stimando sfuggire al mio risentimento: in qualunque angolo della terra tu possa ricoverarti, saprò bene ritrovarti all’uopo.»

Dinarzade, vedendo che, a cagione del giorno che appariva, la sorella aveva cessato di parlare: — Mi spiace assai,» disse, «della disgrazia d’Aladino; ma spero riescirà a punire quel miserabile stregone. — E ciò che vedrai,» rispose la sultana, «nel corso delle notti seguenti.»

[p. 138 modifica]

NOTTE CCCXXXV


— Sire, Aladino allontanossi dalla presenza del sultano in grande umiliazione ed in uno stato da far pietà; passò lungo i cortili del palazzo a testa china senza osare alzar gli occhi nella propria confusione; e gli ufficiali di corte, ch’egli aveva tutti beneficati, quantunque amici, in vece di avvicinarglisi per consolarlo od offrirgli in casa loro un asilo, gli volsero le spalle, tanto per non vederlo, come perchè non potesse riconoscerli. Ma quand’anche gli si fossero accostati per porgergli qualche conforto, o fargli offerta de’ loro servigi, non l’avrebbero più riconosciuto, ed egli stesso non si riconosceva, non essendo più padrone del proprio spirito. E ben lo dimostrò quando fu fuor del palazzo; chè, senza pensare a ciò che si facesse, domandava di porta in porta, ed a tutti quelli in cui incontravasi, se non avessero veduto il suo palazzo, o non sapessero dargliene notizia.

«Quelle domande fecero credere a tutti che Aladino fosse impazzito. Alcuni anzi ne risero; mai più ragionevoli, e quelli specialmente che avevano avuto con lui legami d’amicizia e di commercio, ne rimasero veramente impietositi. Restò egli tre giorni nella città, andando or da una parte, or dall’altra, mangiando sol quello che venivagli per carità presentato, e senza prendere veruna risoluzione.

«Infine, più non potendo, nello stato infelice in cui trovavasi, rimanere in una città dove avea fatto sì bella figura, ne uscì, ed avviatosi per le campagne, scostandosi dalle strade maestre, dopo aver [p. 139 modifica] camminato per luoghi silvestri, giunse finalmente, sul calar della sera, alla sponda d’un fiume. Ivi fu assalito da un pensiero di disperazione. — Dove andrò a cercare il mio palazzo?» chiedea fra sè. «In qual provincia, in che paese, in qual parte del mondo lo troverò, al par della mia cara principessa, che il sultano mi domanda? Giammai vi potrò riuscire; è meglio dunque che mi liberi da tante inutili pene, e da tutti i cocenti affanni che mi straziano.» E già stava per precipitarsi nel fiume, secondo la disperata risoluzione; ma credè, da buon musulmano fedele alla sua religione, di non dover eseguirla senza far prima la sua preghiera. E volendovisi preparare, accostossi al margine dell’acqua per lavarsi le mani ed il volto secondo l’uso del paese; ma essendo quel sito un po’ in pendio, e bagnato dall’onda che vi batteva, sdrucciolò, e sarebbe caduto nel fiume, se non avesse afferrato un grosso sasso sporgente fuor dalla terra circa due piedi. Fortunatamente per lui, portava ancora l’anello che il mago affricano avevagli posto in dito prima che scendesse nel sotterraneo per levarne la preziosa lucerna smarrita; talchè stropicciandolo fortemente alla pietra nell’abbrancatisi, all’istante il medesimo genio comparsogli nel sotterraneo, dove avevalo rinchiuso il mago, nuovamente gli apparve, e:

«— Che vuoi?» gli disse. «Eccomi pronto ad obbedirti come schiavo tuo e di tutti quelli che portano l’anello in dito, io e gli altri schiavi dell’anello. —

«Grata fu la sorpresa di Aladino ad un’apparizione sì inaspettata nella terribile sua disperazione, e: — Genio,» rispose, «salvami una seconda volta la vita, insegnandomi dov’è il palazzo che feci fabbricare, o facendo che sia immediatamente riportato dove si trovava. — Quanto tu chiedi,» [p. 140 modifica] soggiunse il genio, «non è di mia attinenza: io non sono schiavo che dell’anello; rivolgiti allo schiavo della lampada. — Se così è,» tornò a dire Aladino, «ti comando dunque, per la potenza di codesto anello, di trasportarmi al luogo dov’è il mio palazzo, in qualunque sito della terra esso sia, e depormi sotto le finestre della principessa Badrulbudur.» Appena ebbe finito di parlare, tosto il genio lo trasportò in Affrica, in mezzo ad un prato dove stava il palazzo, poco lontano da una grande città, e depostolo precisamente sotto le finestre dell’appartamento della principessa, ivi lo lasciò. Tutto ciò fu eseguito in un attimo.

«Malgrado l’oscurità notturna, Aladino riconobbe benissimo il suo palazzo e l’appartamento della consorte; ma siccome la notte era inoltrata, e tutto pareva tranquillo nella dimora, si trasse alquanto in disparte, e sedè appiè d’un albero. Colà, pieno di speranza, riflettendo alla sua buona ventura, ond’era debitore al mero caso, trovossi in una situazione molto più tranquilla che non quando era stato arrestato, condotto davanti al sultano, e liberato dall’imminente pericolo di perdere la vita. S’intertenne alcun tempo in questi grati pensieri; ma infine, essendo cinque o sei giorni che non dormiva, non potè trattenersi di cedere al sonno che l’opprimeva, e si addormentò appiè dell’albero dove riposava.

«Alla domane, mentre sorgeva l’aurora, Aladino fu piacevolmente risvegliato non solo dal garrulo canto degli augelli che avevano passata la notte sull’albero sotto cui stava coricato, ma benanche sugli alberi fronzuti del giardino del palazzo. Volse egli allora primieramente gli occhi sullo stupendo edifizio, e si sentì penetrato d’inesprimibil gioia vedendosi sul punto di ritrovarsene in breve padrone, ed in pari tempo di posseder di nuovo la sua cara Badrulbudur. Alzatosi adunque, si avvicinò all’ [p. 141 modifica] appartamento della principessa, passeggiando alcun tempo sotto le sue finestre, nell’aspettativa che il giorno, penetrando nelle di lei stanze, la obbligasse ad alzarsi. Intanto andava tra sè cercando d’onde potesse essere provenuta la cagione della sua disgrazia, e dopo averci pensato ben bene, più non dubitò che tutto l’infortunio non gli derivasse dall’aver trascurato di tener sempre sott’occhio la sua lucerna, accusandosi di negligenza e della poca cura avuta di abbandonarla un solo istante. Ma ciò che più l’imbarazzava era di non potersi immaginare chi fosse l’invidioso della sua felicità: l’avrebbe tosto compreso, se avesse saputo ch’egli ed il suo palazzo si trovavano in Affrica; ma il genio, schiavo dell’anello, non avevagli detto nulla, e neppur egli erasene informato. Il solo nome d’Affrica avrebbegli rammentato il capital suo nemico.

«La principessa Badrulbudur alzavasi più presto che non soleva, dopo il rapimento ed il suo trasporto in Affrica per l’artifizio dello stregone, di cui era stata sin allora costretta a sopportare la vista una volta al giorno, essendo egli padrone del palazzo; ma ella l’aveva trattato sempre sì duramente, che colui non osò ancora prendersi l’ardire di venirvi a dimorare. Quando fu vestita, una delle sue donne, guardando da una gelosia, vide Aladino, e corse subito ad avvertirne la padrona. La principessa, la quale non poteva credere a tale notizia, venne sollecita a presentarsi alla finestra, e veduto anch’ella il marito, spalanca allora la gelosia; al rumore che la giovane fa nell’aprirla, Aladino alza la testa, la riconosce, e la saluta in aria esprimente l’eccesso del proprio giubilo. — Per non perder tempo,» gli dice la principessa, «sono venuti ad aprirvi la porta segreta; entrate e salite.» E chiuse la persiana.

«La porta segreta stava sotto l’appartamento della [p. 142 modifica] principessa; fu subito aperta, ed Aladino salì alle di lei stanze. Non è possibile esprimere la gioia che provarono quei due teneri sposi rivedendosi dopo essersi creduti separati per sempre. Si abbracciarono più volte, e si diedero tutte le dimostrazioni d’amore e di tenerezza che si possono immaginare, dopo una separazione sì trista ed inaspettata come la loro. Dato tregua infine a quegli amplessi, misti a lagrime di gioie, si misero a sedere, ed Aladino, prendendo la parola: — Principessa,» disse, «prima di discorrere d’altra cosa, vi supplico, in nome di Dio, tanto pel vostro proprio interesse e per quello del sultano vostro rispettabile padre, quanto pel mio in particolare, a dirmi cosa avvenne d’una vecchia lucerna, da me posta sulla cornice del salone dalle ventiquattro finestre, prima di andar a caccia?

«— Ah, caro sposo!» rispose la donna; «ben dubitai che la nostra disgrazia reciproca proveniva da quella lucerna, e ciò che mi dispera si è d’esserne io medesima l’origine! — Principessa,» rispose Aladino, «non imputatevene la cagione, ella è tutta mia, e doveva essere più sollecito a custodirla; ma ora non pensiamo che a riparare a codesta perdita, ed a tal fine fatemi il favore di raccontarmi come accadde la cosa, ed in quali mani la lampada sia caduta. —

«Allora Badrulbudur narrò al consorte com’era successo il cambio della lucerna vecchia colla nuova, ch’essa fecesi portare per mostrargliela; e come avvedutasi, la notte seguente, del trasporto del palazzo, si fosse alla mattina trovata nel paese ignoto, dove in quel momento gli parlava, e ch’era l’Affrica: particolarità da lei saputa dalla bocca stessa del traditore, che colla magica sua arte ve l’aveva trasportata.

«— Principessa,» disse, interrompendola, Aladino, «mi avete fatto conoscere il traditore al sol nominarmi che mi trovo in Affrica con voi. È il più [p. 143 modifica] perfido degli uomini. Ma non è questo il tempo nè il luogo di farvi una più ampia pittura delle sue iniquità. Vi prego soltanto di dirmi cosa abbia fatta della lucerna, e dove l’ha posta. — La porta avvolta preziosamente in seno,» rispose Badrulbudur, «e posso assicurarvene, essendosela tirata fuori in mia presenza per menarne vanto.

«— Principessa,» ripigliò allora Aladino, «non mi fate una colpa per le mie continue importune domande; esse sono egualmente importanti per voi e per me. Venendo ora a ciò che più particolarmente m’interessa, ditemi, ve ne scongiuro, come siete trattata da codesto insigne ribaldo? — Dacchè mi trovo in questo luogo,» riprese la principessa, «ei non mi si presentò davanti che una sola volta al giorno; e son persuasa che la poca soddisfazione ricavata dalle sue visite, fa sì che non m’importuni più di sovente. Tutti i discorsi che ogni volta mi tiene non tendono se non a persuadermi di rompere la fede giurata, e prenderlo in isposo, volendo farmi intendere che non devo sperare di mai più rivedervi, che più non vivete, e che il sultano mio padre vi ha fatto tagliar la testa. Aggiunse, per giustificarsi, che voi siete un ingrato, che la vostra fortuna a lui solo la dovete, e mille altre cose che gli lascio dire. E siccome non riceve da me per tutta risposta se non le mie dolorose querele ed i miei pianti, è costretto ad andarsene mal soddisfatto come quando giunge. Non dubito però non sia sua intenzione di lasciar passare i miei più vivi dolori, nella speranza che cangerò sentimento, ed usare poi finalmente la violenza se continuo a resistergli. Ma, caro sposo, la vostra presenza ha già dissipate le mie inquietudini.

«— Mia diletta,» interruppe Aladino, «confido ciò non sia indarno, poichè credo aver trovato il modo di liberarvi dal vostro e mio nemico. Ma a tal [p. 144 modifica] uopo è necessario che mi rechi alla città. Verso mezzodì sarò di ritorno, ed allora vi comunicherò il mio piano, e ciò che dovrete fare per contribuire alla sua buona riuscita. Ma affinchè ne siate avvertita, non maravigliatevi di vedermi tornare in altro abito, e date ordine di non farmi attendere alla porta segreta, al primo colpo che batterò. —

«La principessa gli promise che l’avrebbero aspettato alla porta, e che sarebbero pronti ad aprirgliela...»

— L’alba sorge assai mal a proposito,» sclamò Dinarzade, «ed è spiacevole vedersi interrotti nel passo, più interessante del racconto. — Sorella,» soggiunse Scheherazade, «domani fammi svegliare di buon’ora, ed io ripiglierò il seguito di questa novella, che tanto ti piace.»


NOTTE CCCXXXVI


La sultana continuò così la sua storia: — Sire, quando Aladino fu disceso dall’appartamento della principessa ed uscito dal palazzo, guardò da una parte e dall’altra, e vide un contadino che avviavasi per la campagna. Or siccome il contadino andava al di là del palazzo e n’era alquanto lontano, Aladino affrettò il passo, e raggiuntolo, gli propose di cambiar d’abiti, e tanto fece che quell’uomo acconsentì. Il cambio fu fatto all’ombra d’un cespuglio, quindi separatisi, Aladino prese la strada della città, dove appena entrato, e procedendo per le vie più frequentate, giunse al sito nel quale ogni sorta di mercanti e d’artigiani avevano la loro contrada particolare. Entrò egli in quella de’ droghieri, e direttosi alla bottega più [p. 145 modifica] grande e meglio fornita, chiese al mercante una certa polvere che gli nominò.

«Il mercante, immaginandosi che Aladino, a giudicarne dall’abito, fosse povero, e non avesse denaro bastante per pagarla, rispose di averne, ma che costava cara. Il nostro avventuriere, penetrando nel pensiero del mercante, cavò di tasca la borsa, e facendogli veder l’oro, domandò mezza dramma di quella polvere. Il mercante la pesò, l’involse, e presentandola ad Aladino, ne chiese una pezza d’oro, che questi gli pose in mano; e non trattenutosi nella città se non il tempo necessario per prendere un po’ di cibo, tornò al suo palazzo. Non aspettò molto alla porta segreta, la quale gli fu subito aperta, e salito alle stanze della consorte: — Principessa,» le disse, «l’avversione che avete pel vostro rapitore, come mi dichiaraste, farà forse che stenterete molto a seguire il consiglio cui sono per darvi. Ma permettete di dirvi esser bene che dissimuliate, ed anzi vi facciate violenza, se volete liberarvi dalla sua persecuzione, e dare al sultano vostro padre e mio signore la soddisfazione di rivedervi. Se volete seguire il mio consiglio,» continuò Aladino, «cominciate da questo momento ad ornarvi d’uno de’ vostri più begli abiti, e quando verrà il mago affricano, non fate difficoltà a riceverlo con tutta la miglior accoglienza, senza affettazione e senza sforzo, con viso sereno, in modo nondimeno che se vi resta qualche ombra di afflizione, possa egli percepire che col tempo anche questa si dissiperà. Nel conversare, dategli a comprendere che fate tutti gli sforzi per pormi in dimenticanza; ed affinchè si persuada meglio della vostra sincerità, invitatelo a cena con voi, e ditegli che vi sarebbe gratissimo di gustare del miglior vino del suo paese. Ei non mancherà di lasciarvi per andar a prenderne. Allora, attendendo che torni, quando sarà [p. 146 modifica] apparecchiata la credenza, gettate in una tazza, simile a quella nella quale siete solita bere, la polvere che vedete; ponetela a parte, avvertendo colei fra le vostre donne che mesce, di portarcela piena pur di vino al cenno che gliene darete, e del quale converrete con lei, badando bene di non ingannarvi. Tornato il mago, e postivi entrambi a tavola, alla fine del pranzo, fatevi recare la tazza, nella quale si troverà la polvere, e cangiate la vostra colla sua; egli troverà questo favore tanto grande, che non lo ricuserà: berrà anzi senza nulla lasciare nel fondo della tazza: ma appena l’avrà votata, subito cadrà al suolo. Se avete ripugnanza a bere nella sua coppa, fingetelo soltanto: lo potete senza timore; l’effetto della polvere sarà sì pronto e subitaneo, ch’ei non avrà il tempo di badare se bevete o no. —

«Finito ch’ebbe Aladino di parlare: — Vi confesso,» gli disse la principessa, «che mi fo grande violenza, acconsentendo ad usare al mago le gentilezze, che ben veggo essere necessario di fargli; ma qual determinazione non si deve prendere contro un crudele nemico? Farò dunque ciò che mi consigliate, poichè da questo dipende il mio riposo non meno del vostro.» Prese tali misure colla consorte, Aladino si accommiatò da lei, ed andò a passar il resto del giorno nei contorni del palazzo, attendendo la notte per avvicinarsi alla porta segreta:

«La principessa Badrulbudur, inconsolabile, non solo di vedersi disgiunta da Aladino, suo caro sposo, che aveva amato alla bella prima, e tuttora continuava ad amare, più per inclinazione che per dovere, ma ben anche dal sultano suo padre ch’essa tanto prediligeva, e dal quale era teneramente riamata, aveva sempre negletta la propria persona dal momento della dolorosa separazione, dimenticando persino la pulitezza che sta così bene alle persone del suo sesso, [p. 147 modifica] specialmente dopo che il mago le si era presentato per la prima volta, e ch’ella venne a sapere dalle sue donne averlo queste riconosciuto per lo stesso che aveva preso la vecchia lucerna in cambio della nuova; talchè eragli, per quella furberia insigne, venuto in orrore. Ma l’occasione di vendicarsene, come colui si meritava, e più presto che non avesse osato di sperare, fece sì che risolse di contentare Aladino. Laonde, appena fu partito, si pose alla toletta, si fece dalle donne acconciare nel modo più favorevole, ed indossò un abito sfarzoso ed il più opportuno. La cintura onde si cinse, non era che oro e diamanti, incastonati, i più grossi e meglio assortiti che si vedessero; accompagnò la cintura con una collana di perle, onde le sei da ciascun lato stavano in tale proporzione con quella di mezzo, ch’era la più grossa e preziosa, che le maggiori sultane e le regine più possenti si sarebbero stimate felici d’averne una completo della grossezza delle due più piccole di essa. I braccialetti, intrecciati di diamanti e rubini, corrispondevano egregiamente alla ricchezza del cinto e della collana.

«Allorchè la principessa Badrulbudur fu intieramente abbigliata, consultò lo specchio, sentì il parere delle donne sopra ogni parte del suo adornamento, e veduto non mancargli niuno de’ vezzi che poteano lusingare la folle passione del mago, sedè sul sofà attendendo che arrivasse.

«Il negromante non mancò di venire all’ora consueta. Appena la principessa lo vide entrare nella sala dalle ventiquattro finestre, nella quale stava attendendolo, si alzò in tutto il suo apparato di bellezza e di attrattive, e gli accennò colla mano il luogo onorevole ove desiderava ch’ei si mettesse, per sedere nello stesso tempo di lui: gentilezza distinta che non gli aveva peranco usata.

[p. 148 modifica]«Il mago, più abbagliato dallo splendore de’ begli occhi della principessa che non da quello delle gemme ond’era ornata, rimase assai sorpreso: la di lei aria maestosa ed una certa grazia con cui lo accolse, tanto opposta al contegno sdegnoso onde avevate ricevuto sin allora, lo confusero. Volle prima prendere posto sull’orlo del sofà, ma scorgendo che la principessa non voleva sedere, se egli non fosse assiso dov’ella desiderava, obbedì.

«Accomodatosi il mago, la principessa, per trarlo dall’imbarazzo nel quale lo scorgeva, prese la parola, guardandolo in modo da fargli credere che non le fosse più odioso, come aveva mostrato per lo innanzi, e gli disse: — Vi maraviglierete senza dubbio scorgendomi oggi assai diversa da quella che mi avete sinora veduta; ma cesserà il vostro stupore quando vi dirò che sono d’un temperamento sì contrario alla tristezza, alla malinconia, agli affanni ed alle inquietudini, che cerco di allontanarle da me al più presto possibile, appena trovo che ne sia passato il motivo. Ho riflettuto a ciò che mi diceste intorno al destino di Aladino, e dall’umore ben noto di mio padre, sono persuasa anch’io come voi, ch’egli non abbia potuto sfuggire all’effetto terribile del suo sdegno. Epperò, quando pur mi ostinassi a piangerlo per tutta la vita, ben veggo che le mie lagrime nol farebbero risuscitare. Per tal ragione, dopo avergli reso, anche sin nella tomba, gli uffici che l’amor mio richiedeva, mi parve di dover cercare tutti i mezzi per consolarmene. Ecco i motivi del cangiamento che vedete. Per cominciar adunque ad allontanare da me ogni argomento di tristezza, risoluta a bandirla affatto, e persuasa che vogliate tenermi compagnia, ordinai ci venisse apparecchiato da cena. Ma siccome io ho soltanto vino della China, e mi trovo in Affrica, mi venne voglia di gustare di quello [p. 149 modifica] ch’essa produce, e credetti che se ve n’ha, voi sapreste trovarne del migliore. —


NOTTE CCCXXXVII


— Sire, il mago, il quale aveva riguardato come impossibile la felicità di pervenire sì facilmente e tanto presto ad entrare nelle buone grazie della principessa Badrulbudur, le manifestò di non saper trovare termini abbastanza energici per impiegarle quanto fosse sensibile alla di lei bontà; ed in fatti, per finire alla più breve un colloquio, dal quale avrebbe assai stentato a cavarsi se si fosse impegnato più innanzi, si gettò sul vino affricano, di cui essa avevagli parlato, e le disse che fra i vantaggi de’ quali l’Affrica potea gloriarsi, quello di produrre squisitissimi vini era uno de’ principali; che ne aveva una botte di sette anni non ancor toccata, e che, senza volerlo troppo apprezzare, era un vino che superava in bontà i più eccellenti del mondo. — Se la mia principessa,» soggiunse, «me lo permette, andrò a prenderne un paio di bottiglie, e sarò fra poco di ritorno. — Mi dorrebbe di darvi questo disturbo,» rispose la principessa; «sarebbe meglio che mandaste qualcuno. — È necessario che ci vada io stesso,» tornò a dire il mago; «niuno fuor di me sa dove sia la chiave del magazzino, e nessuno sa pure il segreto di aprirlo. — Se così è,» rispose la principessa, «andate dunque e tornate subito. Più tempo ci metterete, e maggior impazienza avrò di rivedervi; pensate che appena sarete di ritorno, ci metteremo a tavola. —

«Pieno il mago di speranza della pretesa sua [p. 150 modifica] felicità, volò a prendere il suo vino di sett’anni, e tornò subito. La principessa, la quale non dubitò ch’ei nol facesse con prontezza, aveva gettata in persona la polvere recata da Aladino in una tazza messa da lei in disparte, ed ordinato di portar in tavola. Si misero dunque a desco l’uno rimpetto all’altro in modo che il mago voltava il tergo alla credenza; la principessa, presentandogli ciò ch’eravi di migliore, gli disse: — Se volete, vi darò il diletto dei suoni e dei canti; ma siccome qui siamo in due soli, mi sembra che la conversazione ci darà maggior piacere.» Il mago riguardò questa scelta come un nuovo favore.

«Mangiato ch’ebbero d’alcune vivande, la principessa chiese da bere, e portando un brindisi alla di lui salute: — Avevate ragione,» soggiunse, «di far l’elogio del vostro vino; non ne ho mai bevuto di così delizioso. — Vezzosa principessa,» rispos’egli, tenendo in mano la tazza che gli avevano presentata, «il mio vino acquista nuova bontà per l’approvazione che vi compiacete di dargli. — Bevete alla mia salute,» ripigliò la giovane; «capirete anche voi se me ne intendo.» Bevve egli alla salute della donna, e restituendo la tazza: — Principessa,» soggiunse, «mi stimo ben felice di aver riservato questa botte per un’occasione tanto bella; confesso io pure di non averne in mia vita assaggiato di sì eccellente. —

«Continuarono a mangiare, e bevuto ch’ebbero tre altre volte, la principessa, la quale aveva finito d’ammaliare il mago colle sue gentilezze e colle maniere cortesi, diede finalmente il segnale concertato alla donna che le mesceva, dicendo in pari tempo le si recasse la sua tazza piena di vino, si colmasse parimenti quella del mago, e gliela presentassero. Allorchè furono ognuno colla coppa in mano: [p. 151 modifica]— Io non so,» diss’ella, «come si usa da voi quando si vuol bene e si beve insieme come noi facciamo; ma da noi, alla China, gli amanti si scambiano reciprocamente le tazze, e così bevono alla salute l’un dell’altro.» E nello stesso tempo gli presentò la tazza che teneva, allungando la mano per ricevere la sua. Affrettossi il mago a fare il cambio con gran piacere, considerando questo favore come il segno più certo d’aver conquistato il cuore della principessa, il che lo pose al colmo della felicità; ma prima di bere: — Principessa,» le disse colla tazza in mano, «debbo confessare che i nostri Affricani non sono troppo esperti nell’arte di condir l’amore con tutti i suoi diletti, quanto i Chinesi; istruendomi d’una lezione che ignorava, imparo pure sino a qual punto esser deggio sensibile alla grazia che ricevo. Non lo dimenticherò mai, amabile principessa; ho trovato, bevendo nella vostra coppa, una vita, di cui la vostra crudeltà avrebbemi fatto perdere la speranza, se avesse continuato. —

«Badrulbudur, annoiandosi del discorso, interminabile del mago: — Beviamo,» disse, interrompendolo; «ripiglierete poi quello che volevate dire.» E sì dicendo, recossi alla bocca la tazza, cui non toccò se non a fior di labbro, mentre il mago sollecitossi tanto a prevenirla, che votò la propria senza lasciarne una stilla. Avendo alquanto piegata la testa indietro per finire di votarla, onde mostrare la sua prontezza, rimase alcun tempo in quella situazione sinchè la principessa, la quale teneva sempre presso alle labbra l’orlo della coppa, vide che gli si voltavano gli occhi, e poco stante cadde rovescio senza sentimenti.

«Non ebbe la giovane bisogno di comandare che andassero ad aprire la porta segreta ad Aladino; le sue donne, che sapevano tutto, eransi collocate di distanza in distanza dal salone sino al basso della [p. 152 modifica] scala, di modo che il mago non fu appena caduto, che la porta gli venne quasi nel medesimo momento aperta.

«Aladino salì, ed entrato nella sala, vedendo il negromante disteso per terra dietro il sofà, fermò Badrulbudur, la quale, alzatasi, s’inoltrava verso di lui per dimostrargli la sua gioia abbracciandolo, e: — Principessa,» le disse, «non n’è ancor tempo; fatemi il favore di ritirarvi nel vostro appartamento, ed ordinate di lasciarmi solo, mentre m’accingo a farvi tornare alla China colla sollecitudine medesima onde ne foste allontanata. —

«In fatti, quando la principessa fu fuor della sala colle donne e cogli eunuchi, Aladino chiuse la porta, avvicinossi al cadavere del mago, gli aprì la veste, e trattane la lucerna avvolta nel modo dalla consorte indicatogli, la disciolse e la strofinò. Immediatamente il genio comparve, volgendogli il solito complimento. — Genio,» gli disse Aladino, «ti ho chiamato per ordinarti, da parte della lucerna, tua buona padrona che qui vedi, di fare che questo palazzo sia sul momento riportato alla China, nel luogo stesso d’onde fu arrecato.» Il genio, mostrando con un inchino che andava ad obbedire, sparve. In fatti, il trasporto si fece, e non si sentì se non per due leggerissime scosse: una quando fu sollevato dal luogo ove trovavasi in Affrica, e l’altra allorchè venne deposto alla China rimpetto al palazzo del sultano; cosa che si effettuò in brevissimo spazio di tempo.

«Aladino discese nell’appartamento della consorte, ed allora abbracciandola: — Principessa,» le disse, «posso assicurarvi che la vostra gioia e la mia saranno domattina compiute.» Siccome la giovane non aveva finita la cena, ed Aladino sentiva bisogno di mangiare, essa fece portare dal salone delle ventiquattro finestre le vivande che vi erano [p. 153 modifica] ammanite, ed a cui non erasi quasi toccato. I due sposi, mangiarono insieme e bevettero del buon vino vecchio del mago; indi, dopo alcuni discorsi, ritiraronsi nel loro appartamento.

«Dopo il trasloco del palazzo d’Aladino e della principessa Badrulbudur, il sultano, suo padre, era inconsolabile d’averla perduta come se lo immaginava; non dormiva quasi nè notte, nè giorno, ed invece di evitare tutto ciò che potea mantenerlo nel suo cordoglio, era anzi quello ch’ei cercava con maggior premura. Così, mentre prima non andava se non la mattina nel gabinetto aperto del suo palazzo, per compiacersi del diletto di quella vista di cui non poteva mai saziarsi, allora vi andava più volte al giorno a rinnovarvi le sue lagrime, ed immergersi vie maggiormente nel profondo dolore, all’idea di non veder più ciò ch’eragli tanto piaciuto, e d’avere perduto quanto possedea di più caro al mondo. L’aurora era appena comparsa all’orizzonte, quando il sultano, la mattina stessa che il palazzo di Aladino era stato riportato a suo luogo, venne al solito gabinetto, ed entratovi, era tanto sovrappensieri e così penetrato dal suo cordoglio, che volse gli occhi tristamente verso il sito dove non credeva di vedere se non lo spazio, senza accorgersi del palazzo. Ma come osservò pieno quel vacuo, immaginossi fosse l’effetto d’una nebbia; guarda con maggior attenzione, e riconosce, da non poterne dubitare, ch’era il palazzo di Aladino. Allora la gioia e l’allegrezza del cuore succedettero in lui al cordoglio ed alla mestizia; torna, affrettando il passo, al suo appartamento, e comanda che, sellato un cavallo, gli venga subito condotto. Giunto il destriero, vi sale, parte, e gli pare di non poter, giungere abbastanza sollecito presso la figliuola.»

[p. 154 modifica]

NOTTE CCCXXXVIII


— Sire,» proseguì Scheherazade, «Aladino, il quale aveva preveduto ciò che poteva accadere, erasi alzato ai primi albori del giorno, ed indossato uno degli abiti più magnifici, era salito al salone delle ventiquattro finestre, d’onde potè veder venire il sultano; discesone immediatamente, fu abbastanza in tempo di riceverlo appiè dello scalone, ed aiutarlo a scendere da cavallo. — Aladino,» gli disse il sultano, «non posso trattenermi con voi se non abbia prima veduta ed abbracciata mia figlia. —

«Il giovane condusse il sultano all’appartamento della consorte Badrulbudur, la quale, avvertita da Aladino, dell’alzarsi, di ricordarsi che più non era in Affrica, ma bensì alla China e nella capitale del padre, vicino al di lui palazzo, già finiva di vestirsi. Abbracciolla il sultano più volte, col volto bagnato di lagrime d’allegrezza, mentre la giovane, da parte propria, gli diede tutte le dimostrazioni possibili del piacere estremo che provava rivedendolo. Il sultano stette alcun tempo senza poter aprir bocca, tanto era intenerito dall’aver trovata, dopo averla pianta sinceramente come perduta, la sua cara figlia, la quale intanto struggevasi in lagrime di gioia per vederglisi restituita.

«Infine, il tenero genitore, rotto il silenzio: — Figliuola,» le disse, «voglio credere essere la contentezza che provate nel rivedermi, la quale fa che mi sembrate sì poco cambiata, come se nulla vi fosse accaduto di dispiacevole. Eppure sono persuaso che [p. 155 modifica] abbiate molto sofferto. Non si vien trasportati in un intiero palazzo da un sito all’altro, e tanto repentinamente come lo foste, senza gran terrore ed angosce mortali. Voglio che mi raccontiate com’è stata, e non mi celiate cosa alcuna. —

«La principessa si fece un piacere di dar al padre la soddisfazione che chiedeva, e gli disse: — Sire, se sembro così poco cangiata, supplico vostra maestà a voler considerare che sin da ieri di buon mattino cominciai a respirare per la presenza di Aladino mio caro sposo e liberatore, cui aveva riguardato e pianto come perduto per me; e che la felicità non ha guarì provata di abbracciarlo, mi rimette all’incirca nella medesima calma di prima. Tutto il mio dolore però, a propriamente parlare, non fu che per vedermi strappata da vostra maestà e dal caro mio sposo, non solo riguardo alla mia inclinazione per Aladino, ma anche per l’inquietudine in cui mi trovava sui tristi effetti dello sdegno vostro, al quale non dubitava non dovesse egli trovarsi esposto, innocente qual pur era. Ho meno sofferto dall’insolenza del mio rapitore, che mi teneva discorsi che non mi piacevano, avendone arrestato il corso mercè l’ascendente che seppi prendere su di lui. D’altra parte, fui sempre rispettata, quasi come lo sono di presente. Quanto al mio rapimento, Aladino non vi ebbe parte veruna; io sola ne sono la cagione innocentissima. —

«Onde persuadere il sultano che gli dicea la pura verità, gli fece essa l’esposizione minuta del travestimento del mago affricano in mercante di lucerne nuove da scambiare colle vecchie, e del divertimento preso di fare il cambio della lucerna di Aladino, di cui ignorava il segreto e l’importanza; del rapimento del palazzo e della sua persona, dopo quello scambio, e del trasporto dell’uno e dell’altra in Affrica, [p. 156 modifica] col mago, stato riconosciuto da due delle sue donne e dall’eunuco che aveva fatto il cambio della lucerna, quand’ebbe l’ardire di venir a presentarsele per la prima volta dopo il successo dell’audace sua impresa, proponendole di sposarla; finalmente della persecuzione sofferta sino all’arrivo di Aladino; delle misure prese unitamente per togliergli la lucerna che portava indosso; come vi fossero riusciti, ella in ispecial guisa, abbracciando il partito di dissimulare con lui ed invitarlo a cena, ed infine narrò della coppa piena di vino avvelenato che avevagli propinato. — Quanto al resto,» conchiuse, «lascio ad Aladino l’incarico di narrarvelo. —

«Il giovane aveva ben poco da aggiungere. — Quando,» gli raccontò, «m’ebbero aperta la porta segreta, e che, salito alla sala delle ventiquattro finestre, ebbi veduto il traditore morto sul sofà per la violenza della polvere; siccome non conveniva che la principessa si trattenesse più oltre in quel luogo, la pregai a discendere nel di lei appartamento con tutte le donne e gli eunuchi. Rimasto allora solo, e tolta dal seno del mago la lucerna, mi servii del medesimo segreto ond’erasi egli servito per trasportare questo palazzo nel rapire la principessa; feci in modo che l’edificio si trovasse al posto di prima, ed ebbi la bella sorte di ricondurre a vostra maestà la figliuola sua e mia consorte, come mi aveva comandato. Non dico alla maestà vostra se non la pura verità, e se vuol prendersi l’incomodo di salire sino al salone, vi vedrà il mago punito come meritava. —

«Per assicurarsi perfettamente del vero, alzossi il sultano, e salito alla sala, quand’ebbe veduto il mago freddo morto, col volto già livido per la forza del veleno, abbracciò con molta tenerezza il genero, dicendogli: — Figlio, non mi serbate rancore del contegno tenuto con voi; l’amore paterno mi vi costrinse, [p. 157 modifica] e merito che mi perdoniate l’eccesso cui mi lasciai trasportare. — Sire,» rispose Aladino, «non ho il minimo motivo di lagnanza contro la condotta di vostra maestà; ella non ha fatto se non ciò che far doveva. Il mago, quell’infame, quell’infimo degli uomini, è la causa unica di tutte le mie disgrazie. Quando vostra maestà ne abbia il tempo, le farò il racconto di un’altra iniquità usatami da colui, non meno nera di questa, dalla quale fui preservato per la grazia speciale di Dio. — L’ascolterò assai volentieri,» rispose il sultano, «e tra poco. Ma pensiamo a rallegrarci, e fate levare quest’odioso oggetto. —

«Aladino fece portar via il cadavere del mago, con ordine di gettarlo al letamaio per servir di pasto agli animali ed agli uccelli rapaci; il sultano, intanto, avendo comandato che tamburi, timballi, trombe ed altri stromenti annunziassero la gioia pubblica, fece bandire una festa di dieci giorni, per l’allegrezza del ritorno della principessa Badrulbudur e del genero col palazzo.

«Così adunque Aladino schivò per la seconda volta il pericolo quasi inevitabile di perdere la vita; ma non fu l’ultimo, e ne corse un terzo di cui riferiremo le circostanze.

«Il mago affricano aveva un fratello minore, non men abile di lui nell’arte magica; anzi, può dirsi che lo superasse in malignità e perniciosi artifizi. Siccome non dimoravano sempre insieme o nella stessa città; assai spesso uno trovavasi a levante, mentre l’altro stava a ponente, ciascuno da per sè, e non mancavano d’istruirsi vicendevolmente, per mezzo della geomanzia, in qual parte del mondo fossero, in che stato si trovassero, e se avessero bisogno l’un l’altro di soccorso.

«Qualche tempo dopo che il mago dovè soccombere nella sua impresa contro la fortuna di Aladino, [p. 158 modifica] il suo fratello minore, il quale non avevane ricevuto nuova da più d’un anno, e non trovavasi nell’Affrica, ma in lontano paese, volle sapere in qual sito della terra dimorasse, come stesse e cosa vi facesse. Portava anch’egli sempre con sè, al par del fratello, il suo quadrato geomantico, ovunque andasse; prende in tal pensiero il quadrato, ne accomoda la sabbia, getta i punti, ne ricava le figure, e finalmente forma l’oroscopo. Percorrendone ogni figura, trova che il fratello più non esisteva, ch’era stato avvelenato e morto subitamente; che ciò era accaduto alla China, in una capitale di quel paese, situata nel tal sito; in fine che l’uomo, il quale avevalo avvelenato, era persona di bassa condizione, sposatasi ad una principessa figliuola d’un sultano.»

— Ancora un nemico del povero Aladino,» disse la buona Dinarzade; «arriverà costui a vendicare il malvagio suo fratello? — Lo vedrai nel corso delle seguenti notti, se il sultano, mio sposo, si degna lasciarmi finire codesta storia.» Il sultano, il quale erane contento, v’accondiscese volonteroso.


NOTTE CCCXXXIX


— Sire, quando il mago ebbe per tal via conosciuta la trista fine del fratello, non perdè il tempo in vane lamentazioni che non avrebbero servito a ridonargli la vita; ma presa tosto la risoluzione di vendicarne la morte, monta a cavallo e si mette in cammino, prendendo la via della China. Traversa pianure, fiumi, montagne, deserti, e dopo lunghissimo viaggio, senza mai fermarsi in verun luogo, con fatiche e stenti incredibili, giunge finalmente alla China, e [p. 159 modifica] poco dopo alla capitale indicatagli dalla geomanzia, dove, certo di non essersi ingannato e non aver preso un regno per l’altro, si ferma e vi prende alloggio.

«Il giorno dopo il suo arrivo, il mago escì di casa, e passeggiando per la città, non tanto per osservarne le bellezze, ch’erangli indifferenti, come nell’intenzione di cominciare a prendere le misure necessarie all’esecuzione del pernicioso suo disegno, s’introdusse ne’ luoghi più frequentati, prestando attento orecchio a tutto ciò che vi si diceva. In un luogo, nel quale passavano il tempo divertendosi a varie sorta di giuochi, e dove, mentre taluni giuocavano, altri discorrevano chi delle nuove e degli affari del momento, chi delle proprie faccende, intese che si parlava e raccontavansi maraviglie della virtù e pietà d’una vecchia ritirata dal mondo, chiamata Fatima, e persino de’ di lei miracoli. Or siccome credette che quella donna gli potesse riuscir utile nel piano che meditava, preso a parte uno della brigata, lo pregò a volergli dire più partitamente chi fosse quella santa donna, e che sorta di miracoli facesse.

«— Come!» gli rispose colui; «non avete ancora veduto quella donna, nè udito parlare di lei? Essa forma l’ammirazione di tutta la città co’ suoi digiuni, colle austerità e col buon esempio che dà a tutti. Tranne il lunedì ed il venerdì, non esce mai dal suo piccolo romitorio; ed i giorni, ne’ quali si fa vedere per la città, opera beni infiniti, e non v’ha persona, afflitta da mal di capo, che per l’imposizione delle sue mani non ne riceva la guarigione. —

«Il mago non volle saperne di più su tale soggetto; solo domandò alla stessa persona in qual quartiere della città si trovasse il romitorio della santa donna. Colui glielo insegnò; su di che, avendo già concepito e fissato l’abbominevol pensiero del quale fra breve [p. 160 modifica] parleremo, affine di riuscirvi più sicuramente, osservò tutti i suoi passi il primo giorno ch’ella uscì di casa, dacchè ebbe attinte quelle nozioni, senza perderla mai di vista sino alla sera che la vide rientrare nell’eremo. Avendone notato bene il sito, si ritirò in uno de’ luoghi già da noi detto, ne’ quali si bevea certa bevanda calda, e dove poteasi, valendo, passare la notte, specialmente ne’ grandi calori, stagione in cui si preferisce, in quei paesi, dormire sulla semplice stuoia non che in letto.

«Il mago, dopo aver soddisfatto il padrone del luogo, uscì verso mezza notte, ed andò direttamente al romitorio di Fatima, la santa donna, nome sotto cui era conosciuta per tutta la città. Ivi non istentò molto ad aprire la porta, chiusa appena dal saliscendi; entrò senza far rumore, ed al chiarore della luna scoprì Fatima, coricata a ciel sereno, la quale dormiva sur un sofà, coperta d’una cattiva stuoia ed appoggiata alla celletta. Le si avvicinò, e sguainato il pugnale che portava al fianco, svegliolla.

«Sommo fu lo spavento della povera Fatima al vedere, aprendo gli occhi, un uomo in atto di pugnalarla! Puntandole lo stiletto al cuore, e pronto ad immergervelo: — Se gridi,» le disse, «o se osi fare il minimo rumore, ti uccido; ma alzati, e fa quello che sono per dirti. —

«Fatima, che dormiva vestita, si alzò tremando di paura. — Non temere,» tornò a dirle il mago, «non domando che il tuo abito; dammelo, e prendi il mio.» Fecero il cambio dell’abito, e quando il ribaldo ebbe indossato quello di Fatima, soggiunse: — Coloriscimi il volto come il tuo in modo ch’io ti somigli, e che il colore non si scancelli.» Vedendo che continuava a tremare, per rassicurarla, ed affinchè facesse con maggior sicurezza ciò che da lei desiderava, proseguì: — Non temere, ti ripeto; giuro, pel nome di [p. 161 modifica] Dio, che ti lascio la vita.» Fatima lo fece entrare nella sua celletta, accese la lampada, e preso col pennello un certo liquore da un vaso, glie ne impiastrò il volto, assicurandolo che il colore non cangerebbe, e che aveva il viso dello stesso colorito di lei, senza differenza alcuna. Gli pose poscia sul capo il proprio turbante con un velo, col quale gl’insegnò come dovesse nascondersi il volto girando per la città. In fine, dopo avergli posta al collo una grossa corona che gli pendeva davanti sino alla metà del corpo, gli mise in mano il bastone che soleva portare ella medesima, e presentandogli uno specchio: — Guardate,» gli disse, «e vedete se si possa rassomigliarmi meglio.» Il mago trovossi qual desiderava di essere, ma non tenne alla buona Fatima il giuramento sì solennemente fatto. Affinchè, trafiggendola col pugnale, non se ne vedesse il sangue, la strangolò, e quando la vecchia ebbe esalato l’estremo anelito, ne trascinò pei piedi il cadavere sino alla cisterna del romitorio, e ve lo gettò dentro.

«Il mago, così trasfigurato in Fatima la santa donna, passò il resto della notte nell’eremo, dopo aver commesso quell’abbominevole misfatto. All’indomani, ad un’ora o due del mattino, sebbene in un giorno che la santa donna non era solita uscire di casa, ei non lasciò di farlo, persuaso che non avrebberlo per ciò interrogato, pronto d’altronde a rispondere, nel caso lo interrogassero; e siccome una delle prime cose da lui fatte, era stata di andar a riconoscere il palazzo di Aladino, essendo colà che progettava di rappresentare la sua parte, s’avviò dilettamente a quella volta.

«Appena fu veduta la santa donna, come tutto il popolo la credeva, il mago trovossi in breve circondato da gran moltitudine di gente; taluni raccomandavansi alle sue preghiere, altri le baciavano la mano; [p. 162 modifica] questi, più riservati, baciavanle il lembo della veste, e quelli, sia che avessero il mal di capo, oppure che la loro intenzione fosse d’esserne preservati, le s’inchinavano davanti, affinchè v’imponesse sopra le mani, cosa ch’egli faceva borbottando alcune parole a guisa di preci, imitando così bene la santa donna, che ciascuno lo prendeva per lei. Dopo essersi spesso fermato per soddisfare queste sorta di persone, le quali non ricevevano nè ben nè male da simili imposizioni di mani, giunse finalmente alla piazza del palazzo di Aladino, dove essendo maggiore l’affluenza, maggiore fu pur la premura di accostarsele, ed i più forti e zelanti fendendo, per farsi luogo, la calca, suscitaronsi da ciò molte querele, il cui strepito fecesi udire sin nel salone delle ventiquattro finestre, dove allora trovavasi la principessa Badrulbudur.

«Domandò questa la causa di quel tumulto, e siccome nessuno gliela sapeva dire, comandò di andar a vedere, e tosto si tornasse a renderlene conto. Ma senza uscire dalla sala, una delle sue donne guardò per la gelosia, e corse a dirle che quel rumore proveniva dalla folla di gente che stava intorno alla santa donna per farsi guarire dal mal di capo, mediante l’imposizione delle sue mani.

«La principessa aveva inteso da gran tempo parlar molto bene della santa donna, ma non avendola mai veduta, ebbe la curiosità di mirarla e conversare seco lei; per la qual cosa, dimostratone qualche intenzione, il capo de’ suoi eunuchi, che trovavasi presente, le disse, che se lo desiderava, era facile farla venire, e che dovesse comandare. La principessa acconsentì, ed egli tosto mandò quattro eunuchi, con ordine di condurre in casa la falsa santa donna.

«Appena furono usciti dalla porta del palazzo, e si vide che venivano verso il sito dove stava il mago mascherato, la folla si dissipò; il ribaldo, trovatosi [p. 163 modifica] libero, e, scorgendo che quelli venivano alla sua volta, fece con molto maggior giubilo una parte del cammino, perchè vedeva già ben avviata la sua astuzia. Uno degli eunuchi, presa la parola, gli disse: — Santa donna, la principessa vi vuol vedere: venite, seguiteci. — La principessa mi fa troppo onore,» rispose la finta Fatima; «eccomi pronta ad obbedirla.» E in pari tempo seguì l’eunuco, il quale aveva già ripresa la via del palazzo.

«Quando il mago, che, sotto un abito di santità, nascondeva un cuore diabolico, fu introdotto nella sala delle ventiquattro finestre ed ebbe scorta la principessa, esordì con una preghiera contenente un’enumerazione lunghissima di voti e di augurii per la sua salute, la prosperità sua e l’adempimento di tutto ciò che potesse desiderare. Spiegata poscia tutta la sua rettorica d’impostore e d’ipocrita per insinuarsi nell’animo della donna, sotto il manto di una finta pietà, gli fu tanto più agevole riuscire, in quanto che la principessa, d’indole buona, era persuasa che tutti fossero buoni al par di lei, quelli e quelle specialmente che faceano professione di servir Iddio nel ritiro.»


NOTTE CCCXL


— Sire,» proseguì Scheherazade, «terminata che ebbe la falsa Fatima la lunga sua arringa: — Mia buona madre,» le disse la principessa, «vi ringrazio delle vostre fervorose preci; confido e spero che Iddio vorrà esaudirle; avvicinatevi, e sedete qui, vicino a me.» La falsa donna sedè con modestia affettata, ed allora, ripigliando il discorso: — Mia buona [p. 164 modifica] madre,» disse di nuovo Badrulbudur, «vi chieggo una cosa che bisogna concedermi: non vogliate negarmela, ve ne prego; bramerei che restaste con me, onde raccontarmi la vostra vita, ed io impari da voi e da’ buoni vostri esempi, come debba servire a Dio.

«— Principessa,» rispose allora la finta Fatima, «vi supplico a non esigere da me una cosa, cui non posso accondiscendere senza distogliermi e distrarmi dalle mie preghiere e da’ miei esercizi di divozione. — Che ciò non vi dia pensiero,» ripigliò la principessa; «ho vari appartamenti disoccupati; sceglierete quello che vi converra meglio, ed ivi farete tutti i vostri esercizi di pietà colla stessa libertà come nel vostro romitorio. —

«Il mago, non avendo altro scopo fuorchè d’introdursi nel palazzo di Aladino, ove gli sarebbe riuscito più facile d’eseguire l’iniquità che meditava, dimorandovi sotto gli auspicii e la protezione della principessa, di quello che se fosse stato costretto ad andare e venire dall’eremo al palazzo e viceversa, non fece altre istanze per iscusarsi dall’accettare la gentile offerta di Badrulbudur, e: — Principessa,» le disse, «qualunque sia la risoluzione fatta da una povera e miserabile donna com’io sono, di rinunziare al mondo, alle sue pompe ed alle grandezze sue, non oso prendermi l’ardire di resistere al volere ed ai comandi d’una principessa sì pia e caritatevole. —

«A simile risposta, la giovane, alzandosi, gli disse: — Venite con me; vi farò vedere gli appartamenti disponibili, affinchè possiate scegliere a vostro piacere.» Seguì egli la principessa Badrulbudur, e fra tutti gli appartamenti che gli fece vedere, tutti magnifici e stupendamente addobbati, scelse quello che gli parve più umile degli altri, dicendo per ipocrisia ch’era anche troppo, e non lo sceglieva se non per compiacere alla principessa. [p. 165 modifica]«Volea questa ricondurre il furbo al salone delle ventiquattro finestre per farlo pranzare con lei; ma siccome per mangiare sarebbe stato d’uopo di scoprirsi il viso, da lui sin allora tenuto sempre velato, e temeva che la principessa venisse a conoscere non esser egli Fatima la santa donna, com’ella credeva, la pregò con tanta insistenza di dispensarnelo, attestandole che mangiava soltanto pane e qualche frutto secco, e di permetterle che facesse il suo piccolo pasto nel proprio appartamento, ch’ella acconsentì. — Mia buona madre,» le disse dunque, «fate come se foste nel vostro romitorio; vado a dar ordine di mandarvi qualche cibo: ma ricordatevi che vi aspetto appena avrete mangiato. —

«La principessa pranzò, e la falsa Fatima non mancò di andarla a trovare appena seppe da un eunuco, da lei già pregato di venirla ad avvertire, esser ella uscita di tavola. — Buona madre,» le disse Badrulbudur, «sono assai lieta di possedere una santa donna, come voi, che sta per formare la benedizione di questo palazzo; a proposito, come lo trovate? Ma prima che ve lo faccia vedere camera per camera, ditemi anzi tutto il vostro parere su codesta sala. —

«A tale domanda, la falsa Fatima, la quale, onde vie meglio rappresentare la sua parte, aveva fin allora affettato di tenere la testa bassa, senza nemmeno voltarla per guardare da un lato o dall’altro, la sollevò in fine, e percorrendo cogli occhi da un capo all’altro il salone, dopo averlo ben considerato: — Principessa,» le disse, «veramente mirabile è questa sala e di grande bellezza; ma pure, da quanto può giudicarne una solitaria, la quale non intendesi di ciò che il mondo trova bello, mi pare vi manchi una cosa. — E qual mai, mia buona madre?» riprese l’incauta donna. «Ditemela, ve ne scongiuro. Per me, io credeva, ed ho sempre anche udito [p. 166 modifica] asserire, clic non vi mancasse nulla. Se v’ha qualche difetto, vi farò rimediare.

«— Principessa,» ripigliò la falsa Fatima con somma dissimulazione, «perdonate la libertà che mi prendo; il mio parere, se può essere di qualche importanza, sarebbe che se là in alto, nel mezzo della cupola, fosse sospeso un uovo di roc, questo salone non avrebbe l’eguale nelle quattro parti del mondo, ed il vostro palazzo sarebbe la maraviglia dell’universo.

«— Buona madre,» domandò la giovane, «che uccello è questo roc, e dove potrebbe trovarsene un uovo? — Principessa,» rispose la falsa Fatima, «il roc è un uccello di prodigiosa grandezza, che abita sulle più alte vette del monte Caucaso; l’architetto del vostro palazzo può bene trovarne uno. —

«Ringraziata la falsa Fatima del buon suggerimento, a quanto credeva, Badrulbudur continuò a conversar con lei sopra altri argomenti, ma non dimenticò l’uovo di roc, e si ripromise di parlarne ad Aladino appena tornasse dalla caccia, essendo già sei giorni ch’ei vi era andato; ed il mago, il quale non ignoravalo, aveva voluto approfittare della di lui assenza. Tornò egli il medesimo giorno verso sera, nel momento appunto che la falsa Fatima erasi congedata dalla principessa, per ritrarsi nel suo appartamento. Arrivando, salì alle stanze della consorte ch’eravi allora rientrata, la salutò, abbracciolla, ma gli parve ch’ella lo ricevesse con freddezza. — Mia cara,» diss’egli, «non iscorgo in voi la medesima giovialità che son solito trovare. È accaduta qualche cosa durante la mia lontananza che vi sia dispiaciuta, e v’abbia cagionato dolore o malcontento? In nome di Dio, non celatemi cosa alcuna; non v’ha nulla ch’io non sia pronto a fare per dissiparlo, se sta in mio potere. — È poca cosa,» rispose la [p. 167 modifica] principessa, «e mi dà sì poca inquietudine, che non avrei mai creduto dovesse trasparirmi sul volto per farvene accorto. Ma poichè, contro mia aspettativa, vi scorgete qualche alterazione, non ve ne dissimulerò la causa, ch’è di lievissima importanza. Aveva creduto come voi,» continuò Badrulbudur, «che il nostro palazzo fosse il più superbo, magnifico e perfetto che mai esistesse. Non ostante vi dirò che cosa mi venne in pensiero, dopo aver ben esaminata la sala dalle ventiquattro finestre. Non pare anche a voi, quanto a me, che non vi sarebbe più nulla a desiderare, se in mezzo alla cupola fosse sospeso un uovo di roc? — Principessa,» disse Aladino, «basta che voi troviate mancarvi un uovo di roc, acciò anch’io vi trovi il medesimo difetto. Vedrete, dalla mia premura nel rimediarvi, non esserci nulla ch’io non faccia per amor vostro.»


NOTTE CCCXLI


— Sull’istante,» disse Scheherazade, «Aladino, lasciata Badrulbudur, salì al salone delle ventiquattro finestre, ed ivi, tratta dal seno la lucerna che portava sempre indosso, in qualunque luogo andasse, dopo il pericolo incorso per aver trascurata simile precauzione, la strofinò, e tosto comparsogli davanti il genio, così gli disse: — Genio, manca a questa cupola un uovo di roc sospeso nel mezzo della volta; ti chieggo, in nome della lucerna che tengo in mano, di fare in modo che codesto difetto venga riparato. —

«Non avea finito di pronunciare tali parole, che il genio mandò un grido sì romoroso e [p. 168 modifica] spaventevole, che ne fu scosso il salone, ed Aladino ne traballò quasi da caderne. — E che, miserabile!» gli disse il genio con tal voce da far tremare l’uomo più coraggioso; «non ti basta ch’io ed i miei compagni abbiam fatto tanto in tua considerazione, per domandarmi ora, con un’ingratitudine senza esempio, ch’io ti porti il mio padrone, onde appenderlo in mezzo alla vôlta di quella cupola? Questo attentato meriterebbe che foste tutti sull’istante ridotti in cenere, tu, tua moglie ed il tuo palazzo. Ma hai la fortuna di non esserne l’autore, e che la domanda non venga direttamente da parte tua. Sappi chi ne fu la vera origine: è il fratello del mago affricano, tuo nemico, che sterminasti come meritava. Ei trovasi qui nel palazzo, sotto il mentito abito di Fatima la santa donna, da lui assassinata; egli fu che suggerì a tua moglie di fare la dannosa domanda che mi volgesti. Suo disegno è di ucciderti; a te tocca di guardartene.» Ciò detto, sparve.

«Aladino fe’ tesoro delle ultime parole del genio; aveva inteso parlare di Fatima la santa donna, e non ignorava in qual maniera guarisse, a quanto pretendevasi, il mal di capo. Tornò dunque all’appartamento della principessa, e senza parlarle dell’accaduto, si pose a sedere; dicendo di essere stato sovrappreso di repente da un fiero dolor di festa, e tenendosi la mano appoggiata alla fronte. La principessa ordinò tosto che si facesse venire la santa donna, e mentre andavano a chiamarla, raccontò ad Aladino per qual occasione costei si trovasse nel palazzo, dove avevale dato un appartamento.

«La falsa Fatima giunse subito, ed appena fu entrata: — Venite, mia buona madre,» le disse Aladino, «sono assai lieto di vedervi, e che la mia buona ventura voglia che vi troviate qui. Sono tormentato da un fiero dolor di capo che m’ha colto d’ [p. 169 modifica] improvviso. Domando il vostro aiuto per la fiducia che ripongo nelle vostre buone preghiere, e spero non mi negherete la grazia cui concedete a tanti afflitti dal medesimo male.» Sì dicendo, alzossi abbassando la testa; la falsa Fatima, da parte sua, inoltrossi, tenendo la mano sull’elsa d’un pugnale che portava alla cintura sotto la veste; ma Aladino, che l’osservava, le afferrò la mano prima che lo sguainasse, e trapassandole il cuore col suo, la gettò morta al suolo.

«— Mio caro sposo, che cosa mai faceste?» sclamò la principessa, spaventata. «Avete ucciso la santa donna! — No, mia diletta,» rispose Aladino, imperturbabile, «non ho ucciso Fatima, ma uno scellerato che stava per assassinarmi se non l’avessi prevenuto. È questo iniquo che vedete,» continuò poi, scoprendolo, «il quale strangolò Fatima, che voi credeste compiangere accusandomi della sua morte, e che si era travestito coll’abito di lei per pugnalarmi. Affinchè lo conosciate meglio, sappiate ch’era fratello del mago affricano vostro rapitore.» Le narrò poscia per qual via avesse sapute tali particolarità; quindi ne fece portar via il cadavere.

«Così Aladino fu liberato dalle persecuzioni de’ due fratelli maghi. Pochi anni dopo, il sultano morì in estrema vecchiaia, e non lasciando maschi, gli successe la principessa Badrulbudur, in qualità di legittima erede, e diviso con Aladino il potere supremo, regnarono insieme lunghi anni, lasciando un’illustre posterità.

— Sire,» disse la sultana Scheherazade, terminando la storia delle avventure accadute in occasione della lampada maravigliosa, «la maestà vostra avrà senza dubbio notato, nella persona del mago affricano, un uomo dedito alla passione smoderata di possedere tesori per vie illecite, che gliene scoprirono d’immensi, ma de’ quali non potè fruire, essendosene reso indegno. [p. 170 modifica] In Aladino ella vede, per lo contrario, un uomo di bassa nascita, il quale innalzasi al regno, valendosi degli stessi tesori, che gli vengono senza cercarli, a misura soltanto che ne ha bisogno per giungere allo scopo propostosi. Nel sultano avrà imparato quanti pericoli corra un monarca buono, giusto ed equo, e come arrischi persino di essere detronizzato, allorchè, con manifesta ingiustizia e contro tutte le regole dell’equità, osa, con irragionevole precipitazione, condannare un innocente, senza volerlo prima intendere a giustificarsi. Infine avrà sentito orrore delle abbominazioni dei due scellerati maghi, l’uno de’ quali sagrifica la vita per possedere tesori, e l’altro vita e religione alla vendetta di uno scellerato suo pari, e che, come lui, riceve il degno castigo delle sue iniquità.»

Il sultano delle Indie dichiarò alla consorte Scheherazade di essere soddisfattissimo dei prodigi uditi della lucerna maravigliosa, e come le novelle ch’ella ogni notte gli raccontava, gli recassero molto diletto. In fatti, erano divertenti, e quasi sempre condite di buona morale. Ben vedea che la sultana faceale destramente susseguire l’un all’altra, e non gli dispiaceva ch’essa gli somministrasse, per tal mezzo, occasione di tener sospesa, a di lei riguardo, l’esecuzione del giuramento fatto sì solennemente di non conservare una moglie che una sola notte, facendola la mattina appresso morire. Già non avea ormai quasi altro pensiero che di vedere se non perverrebbe finalmente a fargliene esaurire la sorgente.

L’alba, che cominciava a spuntare, mise termine alle riflessioni del sultano, il quale si alzò risoluto di chiedere egli medesimo, l’indomani, un nuovo racconto alla consorte. [p. 171 modifica]

NOTTE CCCXLII


Secondo la sua risoluzione della vigilia, il sultano delle Indie, svegliatosi la notte seguente molto prima del giorno, prevenne Dinarzade, e destando egli medesimo Scheherazade, le domandò se fosse al termine delle sue novelle.

— Al termine delle mie novelle, o sire!» rispose la sultana, risentendosi a tale domanda; «ne sono ben lontana: il numero n’è tanto grande, che non sarebbe a me stessa possibile dirne a vostra maestà il numero preciso. Quello che temo, o sire, è che finalmente vostra maestà non si annoi, e si stanchi d’ascoltarmi, piuttosto ch’io mancar d’argomenti d’intertenerla su tale materia. — Scacciate simil timore,» ripigliò il sultano, «e vediamo cosa avrete a raccontarmi di nuovo.»

Incoraggiata Scheherazade da tali parole del marito, cominciò a narrargli una nuova storia in questi termini:

— Sire,» gli disse, «ho più volte intertenuto vostra maestà di alcune avventure accadute al famoso califfo Aaron-al-Raschid; gliene sono avvenute altre in gran numero, fra le quali questa non è meno degna della vostra curiosità.

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Il Mago africano e la Principessa Budrulbudur.               Disp. XVI.


Note

  1. Luna piena delle lune piene.
  2. Specie di uscieri.
  3. Cavallo di quella parte della costa d’Affrica che si chiama Barberia.
  4. Il tè.