Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VII/Libro I/Capo II

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Capo II – Favore e munificenza de’ principi verso le lettere

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Capo II – Favore e munificenza de’ principi verso le lettere
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[p. 20 modifica]C A P O II. j Favere e munificenza de' principi verso le lettere., I. Come ne’ fasti della romana letteratura il secolo d’ Augusto fu il secol de’ dotti che in lui i e nella corte di esso trovaron favore e ricompensa alle lor fatiche, così nella storia delle arti e delle letterature italiane il secol di Leon X è il secolo della lor gloria e del lor trionfo. Tutte le I storie e i monumenti tutti di quell'età son pieni delle lodi di questo pontefice, per ciò che appartiene al favorire e all’avvivare le belle arti;] c i dotti de’ nostri giorni, quando lor sembra I di non essere abbastanza premiati pel lor sapere,] 11011 hanno più dolce sfogo che il dolersi di non esser vissuti a quei’ tempi cotanto lieti. E vera-] mente 11011 vi ebbe forse sovrano che più oltre spingesse lo splendore e la magnificenza della sua corte riguardo a’ dotti. Ei però non fu solo e così gli altri pontefici, come la maggior parte dei’ principi che in questo secolo ebber dominio in Italia, benchè involti sovente in guerre difficili e pericolose, ebbero in onore e in pregio non men gli uomini eruditi, che i valorosi guerrieri. Egli è vero che il numero de’ principi italiani, e quindi de’ mecenati dell [p. 21 modifica]PRIMO ai letteratura, fu in questo secol! minore che nei precedenti. Oltre le piccole signorie che quasi tutte vennero meno, noi più non troviamo nè i re di Napoli, nè i duchi di Milano (perchè gli ultimi due appena n ebbero il nome), nè i marchesi di Monferrato. Ma la mancanza di essi fu ben compensata dall ingrandimento di altri, e dallo splendore che in questi tempi si vide non solo in tutte le corti, ma ancor ne palagi di molti privati, che in ciò parvero gareggiar co’ sovrani. li. Per servare l’ordin de tempi. prima che di Leon X, ci convien dir qualche cosa di Giulio II che lo precedette. Pontefice bellicoso e tutto rivolto a ricuperare e ad accrescere gli Stati della Chiesa, pareva che non doveva curarsi molto di lettere e di letterati. Ma uomo, com’egli era, di animo grande e di vastissime idee, seppe colla mano medesima maneggiar l armi e fomentare le scienze e l arti. La sola fabbrica della basilica vaticana da lui intrapresa basta a renderlo immortale nella storia delle belle arti, nel ragionar delle quali ne diremo più a lungo. Vedremo ancora altrove la nuova biblioteca che da lui fu aperta a privato suo uso e de’ suoi successori. E qual conto egli facesse non solo de’ professori delle arti, ma ancor de’ coltivatori dell’amena letteratura, il diè a vedere nell' amorevol premura ch ei mostrò a riguardo di Giannantonio Flaminio. Perciocchè avendo questi recitata in Imola innanzi al pontefice un’orazione in nome di que’ suoi cittadini l’an 1506, Giulio lo accolse con [p. 22 modifica]22 LIBRO testimonianza di stima e di affetto non ordinario, lo invitò con premura ad andarsene a Roma, ed essendosene il Flaminio scusato, gli fece tosto sborsare 50 scudi d’oro. Quindi qualche tempo appresso, venuto ad Imola per commissione di Giulio il vescovo di Narni, prima di ogni altra cosa cercò del Flaminio, e poichè sel vide innanzi, gli disse avergli ordinato il pontefice che chiedesse di lui, che lo assicurasse dell'amor che gli portava, c che espio* rasse se v’ avea cosa ch’ ei per avventura bramasse o dalla sua patria, o dal pontefice stesso, che questi avrebbe fatta per lui volentieri ogni cosa Tutto ciò abbiamo dalle lettere latine dello stesso Flaminio (l. 1, ep. 4, 6). Quindi abbiam motivo a raccogliere che se Giulio si fosse meno occupato nelle guerre, avrebbe potuto aver luogo tra’ pontefici più benemeriti della letteratura; e forse ancora sarebbe di lui rimasta più chiara fama, se Leon X non l avesse j col suo splendore quasi oscurata. III. Figlio di Lorenzo il Magnifico, e allevato tra’ dotti, de' quali pieno era il palagio di quel gran mecenate e padre della letteratura, fino dalla più tenera età cominciò Giovanni de’ Me-< dici ad onorarli e ad amarli. E non sì tosto fu innalzato sulla cattedra di S. Pietro, che il Vaticano divenne il più luminoso teatro che mai avesser le arti e le lettere. Io potrei qui lasciare di stendermi nel ragionarne, perchè ad ogni passo di questa Storia ci si farà ini nunzi il nome di questo pontefice. Ma qui appunto de dotti.si in poclii tratti ili penna adombrarci [p. 23 modifica]primo a3 etò clip dovrem qua e là svolgere più stesamente. Il giorno in cui egli fu solennemente coronato, fece conoscere che si potesse sperar da lui; perciocchè vuolsi che fino a centomila scudi d oro fossero in questa occasione sparsi fra ’l popolo (Jovius Vita Leon. X l. 3; Ciacon. Vit. Pont). Pietro Bembo e Jacopo Sadoleto, i due più eleganti scrittori latini che allor vivessero, furon tosto chiamati all’impiego di secretarj. Giovanni Lascari uom dottissimo in greco fu egli pure invitato a Roma. A Filippo Beroaldo il giovine, uomo esso ancora assai dotto, fu confidata la biblioteca Vaticana. All’ università di Roma furon da ogni parte invitati i più celebri professori, di molti dei’ quali direm nel decorso di questa Storia. Chiunque o era, o lusingavasi di essere valoroso poeta, eloquente oratore, scrittor colto e leggiadro, accorse tosto a Roma, e trovò in Leone amorevole accoglimento e liberal ricompensa. Quindi a spiegare il comun tripudio de’ dotti, si videro scolpiti su un arco trionfale al Ponte S. Angelo questi due versi: Olim Imbuì t Cypris sua tempora, tempora Mavors Olim habuit; sua nunc tempora Pallas habet. Jov. ih. I Le lettere da lui scritte a Niccolò Leoni ceno, a Marco Musuro, al card Egidio da Viterbo, a Giovanni Lascari e ad altri uomini dotti, che si hanno tra quelle del card Bembo, e quelle scritte al celebre Erasmo colle risposte di esso (t. 1 Epist. Erasm. ep. 178, 193, ec.), ci mostrano questo pontefice tutto occupato in [p. 24 modifica]^4 LIBRO favorirne e in premiarne le fatiche e gli studiAlfine di dilatar maggiormente lo studio della i lingua greca per mezzo del poc’ anzi nominato Giovanni Lascari, fece venir di Grecia molti giovani scelti, e raccoltigli in Roma in un seminario provvidegli d’ogni cosa, sicchè più agevolmente potessero coltivare gli studi (J uld Poetica l. 1). Non perdonò a spesa per raccogliere da ogni parte le opere inedite di antichi scrittori, e per eccitare in tutti un ardente 1 brama di far fiorire le lettere. In ter ceteras cu- 1 ras, dice egli in una lettera che a nome di lui I scrisse il Sadoleto a Francesco Rosa (Sailol. I Epist Pontif, p. 68, ed. rom. 1759)), quas in 1 iute hitnianariiin rerum curatione divinitus no- 1 bis concessa, subimus, non in postremis hanc! quoque habendam ducimus, ut Latina lingua 1 nostro Pontificatu dicatur facta auctior, et bonarum artium cupi dis ad ma.virnos in dis ci ¡diti is progressus non mediocrem aportatam fuisse opem. Idcirco nulli parcendum ducimus imperisele y ut ce te re s Scriptorcs ubinue gerì tinnì diligentissime inquirantur, et ad nos deferantur. Le magnifiche fabbriche da lui fatte innalzare, e quella singolarmente della basilica Vaticana da lui con grande ardor proseguita, ed i premj liberamente accordati a tutti i professori delle belle arti fecero che insiem con quel di Leone | fossero all immortalità consecrati i nomi de’j Tiziani, dei’ Rafaelli, de’ Buonarroti e di tanti altri pittori, scultori e architetti, i cui nomi non si possono ricordare senza un sentimento di ammirazione insieme e d’invidia. Ma ciò di che Leone dilettavasi principalmente, era la [p. 25 modifica]pniMo a5 poesia, c perciò egli era continuamente assediato e importunato da' poeti, come leggiadramente racconta Pierio Valeriano (Carm, p. 28, ed. Ven. 1550). Il Giovio descrive a lungo (l.c. l 4)t e no* dovrein ragionarne a luogo più opportuno, le cene che presso di lui si tenevano, ove fra le più squisite vivande e fra i più rari liquori gareggiavano i poeti in dar pruove di lor talento. Vero è che in queste occasioni cotai poeti eran comunemente più amici di Bacco che delle Muse, e servivan di giocoso trastullo al pontefice e a cardinali per le burle che di essi ognun si prendeva j e celebri sono ancora i nomi delTArcipoeta e di Baraballo, de’ quali diremo altrove Ma gli eleganti e leggiadri poeti non eran men cari a Leone, e godeva egli principalmente delle rappresentazioni drammatiche, al qual fine faceva ogni anno venir da Siena la Congrega ossia l Accademia de Rozzi, che nel Vaticano recitava le sue commedie (Stor. del! dee ad. de' Rozzi, p. 11), e il card Bernardo da Bibbiena ebbe l onore di aver il pontefice spettatore della rappresentazione della sua Calandra. Qual maraviglia perciò, che gli scrittori di quel tempo esaltassero a gara un sì benefico mecenate? Fra moltissimi le cui parole potremo qui arrecare, basti un solo, cioè Rafaello Brancolini da noi mentovato nel precedente tomo, ch essendo vissuto fino a principj del pontificato di Leon X., compose in onor di esso l elegante suo dialogo intitolato Leo. Nè sia grave a chi legge, ch’ io ne rechi qui intero il bel passo in cui egli celebra la beneficenza di esso verso le lettere: Nulltim [p. 26 modifica]• LIBRO est artis, dic egli (p. 125), nullum di sci piinae, nullum virtutis genus, 171/01/ i/òi Jovendum, remunerandum, extollendumque non constituerit. Convocat ingeniosissimos ex Etruria Architectes; invitât. Pic tores; Sculptore.s beneJiciis provocai, uf inchoatam Principi s Apostolortun molem perficiat, ac pic furi s et sculpturis exornet. Musicos manu voceqne praestantissi mos al licit; quippc quorum suavissimis c one entibas (quod est honestissimum voluptatis genus) magnopere de lee ta tur; Geómetras ac A rit bineticos bello paceque opportunos admittit; Astronomos non contemnit, tametsi in gratiam illi. amicorum, quam pro sy derum ratione, saepiut et scndunt, et divinant. Ingenuarum artium ac utriusque linguae sectatores studiososque tam benigne et tam ex animo complectitur, ut non modo vel Pio II vel Nicolao V, sed caeteris omnibus, qui multis jam annis clarissimi extiturunt, Pontificibus hoc uno liberalitads et munijicentiae genere praestiturus videatur. (Quam in presenti benevolentiam dicendi peritis, quam sapientiae Professoribus reverentiam habet; ut sub eo uno spiritimi et sanguinem et patrian receperunt studia, quae temp orimi perversi fus, bellomm varíelas, Principimi imperida, aversusqite il lis animus relegarat, depresserat, conculcarat! Cunctos ractionis, naturae, montra j /rumarli diviniqnae juris, at* supremac illi ufi sdentine} quarti Theologiani vacant, perilissimos viros accorsit, probal. honestissimisqrie stipendi is re foci Hat, quodquc in primis est memo ratu\ dignissimum, praestat quaecumque praecipiunt:\ et. tantum viros in omni disciplinarum genere 1 [p. 27 modifica]PRIMO praestantissimos diligif, quantimi ab illis quotidie probatur. Nec sane quisquam humnitatis studia professus uberiores laborum ac vigiliarum fructus sperat, quam qui hujus Ponti/icis jnansuetudinem, aequi tatem. clenicntiam, pietatcm, munificentìam, cac/craque iti genus animi ornamenta saepius extollit, facilius exprimìi y commodius narrat, idque ut libcntius et erebrius Jiat7 c/ juvenum et virorum ingenia acrioribus quotidie stimulis excitantur. Nullum literati hominis munusculum non liberi ter acci pii, perlegit diligenter, miri/ire commendai, et, f/nor/ jampritlem concepii animo, quodque a majoribus acceptum haereditatis genus per omnes fortwiae gradtis firmi ss ime. re tinnii, bene ficus reni uno randum constituit. Ipsam quoque juventutis aetatem ac linguam sapientissime informandam doctissimeque instruendam curat: accersivit enim nuperrime acutissimos Philosophos, gravissimos Jt ire con s ulto s, valentissi/nos e cunclis 1(aline Galliaeque Gymnasiis Medicos, ut, quae Peli gionis, digni taf is, opulentiae urbs obtinet principatum j ita quidam rutissimus virtutis, sapienti ac, eloquentiac portus verissime censeatur. Non deesi però a questo luogo dissimulare che fra molti vantaggi che si trassero dall’ amore e dalla munificenza di Leon X verso le lettere, ne vennero parimente due non piccoli danni. E il primo fu che il veder il pontefice dilettarsi cotanto all’udir poesie e scherzi non sempre onesti, e intervenire a commedie nelle quali il buon costume non era molto rispettato, avvilì non poco la gravità e la dignità pontifìcia, e risve* gliò ancora sospetti a lui poco onorevoli. Ma [p. 28 modifica]IV. Stato di esse sotto Ailriano V I. 28 LIBRO ciò che uscì ancor più dannoso alla Chiesa fu che mostrandosi Leone singolarmente inclinato alla poesia e agli altri piacevoli studj, le gravi scienze non furono molto curate; e sorte quindi a que’ tempi le nuove eresie, non si trovò quella copia e quella sceltezza di prodi difensori della Chiesa, di cui ella abbisognava. IV. Questa si chiara luce che sull’amena letteratura si sparse ne’ lieti tempi di Leon X, fu oscurata da una passeggera ma folta nube nel breve pontificato di Adriano ^ I. I n pontefice fiammingo, e vissuto sempre fra le scolastiche sottigliezze, poteva egli godere o degli Epigrammi del Bembo, o dell’eleganti Lettere del Sadoleto ■(*)? Appena egli fu in Roma, che I (*) 11 sig. ab Lampillas ha altamente disapprovate (Saggio, par. 2, t. 1, p. 23, ec.) le lodi ch'io ho qui date alla munificenza di Leone X verso i poeti, e il carattere che ho fatto di Adriano VI dipingendolo come I nemico degli studj poetici. Riguardo a Leon X io ho I lodato ciò ch’era in lui a lodarsi, ho biasimato ciò che I in lui biasimano i saggi tutti. Per ciò che appartiene I ad Adriano, ei riporta fedelmente le mie parole, ove I dico: Un pontefice fiammingo, e vissuto sempre fra le I scolastiche sottigliezze, poteva egli godere o degli A’/ii-l I grammi del Bembo, o delle eleganti Lettere del Sado-\\ letn? Ma poscia coll'usata sua maniera d" argomentare jI cos'i mi stringe: Non so, perché non possa un Fi inimingo godere de' belli epigrammi e delle lettere scritte con eleganza. Di grazia: ove ho io scritto semplice- 1 inente che un pontefice fiammingo non potesse gode- I re, ec.? Ho scritto un pontefice fiammingo, e vissuto I sempre fra le scolastiche sottigliezze; ov’è evidente ch’io fo forza singolarmente sullo studio da esso fatto, che certo era difficile a combinarsi coll’amore della | grAia e dell’ eleganza nello stile. Ma che giova il trat-! tenersi in ribattere tali ed altre somiglianti accuse che [p. 29 modifica]P1UMO 21) Mtta la poetica turba sembrò percossa dal folgore, e qua e là si disperse, c il Sadolcto mi dà il sig. ab. Lampillas? Solo io non posso a meno di non far qualche riflessione su ciò ch ei mi rimprovera, ch’io non abbia parlato nella mia Storia di molti Spagnuoli vissuti in Italia. Or io dimando, dic egli (ivi, p. 25), non sarebbe un p;u giusto modo di pensare il dare onorevole posto frai benemeriti della letteratura italiana a quegli immortali Spagnuoli che promossero ed illustrarono in Italia le dimenticate gravi scienze, e diedero alla Chiesa quella copia e quella sceltezza di prodi difendi tori, di cui ella abbisognava, invece di esaltare con ismoderate lodi, ed invidiare la sorte di quelli che s'occuparono soltanto in empire l’Italia di versi e di prose or d amor, or d’ozio, cosa che riuscì sommamente dannosa alla Chiesa, ec.? E quindi occupa gran parte singolarmente del tomo secondo della seconda parte in far grandi panegirici di molti Spagnuoli che ottennero illustre nome nella teologia, nella giurisprudenza canonica e in altre scienze, e che per molto o per poco tempo furono in Italia, de’ quali perciò dice ch’io avrei dovuto parlare nella mia Storia. Ma ci dica di grazia il sig. ab. Lampillas. Sono eglino solo gli Spagnoli che abbian diritto ad entrar nella Storia della Letteratura italiana? Furon pure in Italia moltissimi altri stranieri Francesi, Polacchi, Ungheri, Inglesi e di ogni altra nazione, che coltivarono con felice successo le scienze, e ne furono professori in alcune Università. Se io dunque dovea nella mia Storia parlare degli Spagnuoli, ad egual ragione io doveva parlare ancor degli altri. Or che sarebbe allor divenuta quella mia opera? e come avrebbe essa potuto dirsi Storia della Letteratura italiana? Più volte mi son protestato che nella vastissima estensione dell argomento ch’io avea per le mani, non solo io non avrei parlato di alcuni dei’ più illustri stranieri vissuti lungamente in Italia, come in altri tomi avea fatto, ma che anche molti Italiani avrei passato sotto silenzio. Eppure mi si volge a delitto il non aver fatta menzione [p. 30 modifica]3o unno medesimo ritiratosi alla campagna, passò poscia al suo vescovado di Carpentras. Monsignor Sudo leto, scriveva Girolamo Negri a Marcantonio Micheli a 17 di marzo del i5:t3 (Lettere di Principi j L 1, p. 96, cd. Veri. i564), sta bene alla vigna sequestrato dal volgo, e non si cura di favori; massimamente che il Pontefice l altro dì leggendo certe lettere latine ed eleganti, ebbe a dire: Sunt litterae unius Poetae, (quasi beffeggiando la eloquenza Ed essendogli ancora mostrato in Belvedere il Laocoonte per una cosa eccellente e mirabile, disse: Sunt Idola antiquorum. Di modo che dubito molto un dì non faccia quel che si dice aver fatto già S. Gregorio, e che in tutte queste statue, viva memoria della grandezza e gloria romana, non faccia calce per la fabbrica di S. Pietro. Nè è già che Adriano fosse nimico de’ dotti. Ma egli primieramente non credeva degni di colai degli Spagnuoli. Nulla poi dico de" paragoni clic continuamente va facendo l’ab. Lampillas degli Spagnuoli cogl1 Italiani e con tutte le altre nazioni, lo mi son tenuto lontano da cotali confronti, che sempre sono odiosi, e non voglio gì'tare il tempo iu recarli ad esame, fierchù non sembri ch'io sia invidioso o nemico del-, ’altrui gloria. Di tutto ciò adunque circi dice a prò-.] vare che gli Spagnuoli hanno l’alto a pro delle scienze al pari degl’italiani, o anche più di essi, io non farò] parola, e lascerò clic accingasi a far questo esame chi può farlo più felicemente eli' io forse non potrei. Solo su alcuni punti particolari, ne’ quali 11011 ha luogo a ingiuriosi confronti, ini tratterrò venendone l’occasione, | c 0 mi ritratterò, ove conosca di avere errato, o esporrò le ragioni clic mi confermano nell autica mia; opinione. [p. 31 modifica]pii ¡no 3i 110ine altri che gli Scolastici. E inoltre la proli alita ili Leone aveva talmente esausto l erario che non solo Adriano non aveva di che donare gli eruditi, ma mancavagli il denaro pe più pressanti bisogni. Per altro nel breve suo pontificato di due non interi anni, ei si mostrò adorno di pietà e di zelo ecclesiastico, che avrebbe prodotti più ampj frutti, se l'inesperienza negli affari, e la diffidenza in cui era di tutti, non ne avesse renduti inutili le ottime intenzioni. V. Clemente VII parve dapprima inalzato sulla cattedra di S. Pietro per richiamare i tempi di Leon X, di cui era cugino. E certo gli onori da lui conceduti a Girolamo Vida, a Pierio Valeriano, al Sanazzaro, al Berni, al vescovo Giammatteo Giberti e ad altri uomini dotti, ci fan conoscere ch’ essi gli erano cari. Appena eletto pontefice richiamò alla sua corte il Sadoleto. Erasmo fu più volte da lui invitato con grandi promesse ad andarsene a Roma; e due volte gli mandò il pontefice in dono 200 fiorini d'oro (V. Erasmi Epist. t. 1, ep. 646, 647, 655, 854)- Vedremo in fatti che a tempi di Clemente fiorivano in Roma le accademie e gli studj, e, gran copia era ivi raccolta d’ uomini eruditi d’ogni maniera. Ma le guerre nelle quali egli lasciossi avvolgere, e che furon poscia cagione delForribil sacco di Roma nel 1527, e di molte altre sventure non solo di quella città, ma di tutta PItalia, renderono quel pontificato funesto ed odioso. E lo stesso pontefice, inquieto e ondeggiante fra tanti mali, non corrispose abbastanza alle liete speranze che se [p. 32 modifica]3 2 Li RIVO n1 erano concepute. Ma ciò die a Clemente Vii non permisero le turbolenze de’ tempi, fu più felicemente eseguito dal card Ippolito de Medici figliuol naturale di Giuliano, un de tre figli di Lorenzo il Magnifico. Sollevato in età ancor giovanile all onor della porpora l an 1529), formò la sua corte, come si narra, dal Varchi (Stor. fior. l. 7, p. 4&))> d’uomini dotti, co’ quali godeva di conversare amichevolmente e di favellare di cose erudite. Eran tra essi Francesco Maria Molza, Gianpierio Valeriano, di cui abbiamo una bella elegia in lode di esso (l. 5 Amor. el. ult.), Bernardo Salviati che fu poi cardinale, Gandolfo Porrino, Marcantonio Soranzo e Claudio Tolommei. E memorabile è la risposta ch’ei diede al suo maestro di casa, e che vien riferita da Giara* mntteo Toscano scrittore di questo secolo (Pc~l plus ltal. p. 468, ed. Hamburg 1730 Perciocchè avendogli questi per ordine di Clemente rappresentato, mentre stava in Bologna, che soverchio era il numero de’ famigliari, quasi tutti uomini dotti, che ei teneasi in casa, i quali erano oltre a trecento, e che perciò conveniva congedarne parecchi, No, rispose egli io non gli ritengo in mia corte, perchè abbia di lor bisogno; ma hanno essi bisogno di me per essere mantenuti. Nè sol favoriva, ma coltivava egli stesso le lettere, e oltre alcune rime che se ne leggono in diverse raccolte, ne abbiamo alle stampe il secondo libro dell Eneide di Virgilio da lui tradotto in versi sciolti. Così non fosse egli troppo presto mancato di vita nel 1535, non senza sospetto di veleno, che [p. 33 modifica]primo 33 aiiil« vantaggi avrebbe!* da Ini ricevuti gli • Ji VI. Or tornando a’ pontefici, Paolo III, successor di Clemente, e uno de più saggi pontefici che avesse la Chiesa, non ostanti i difetti da cui non fu esente, pieno di zelo per la riforma degli abusi e per l’estinzione dell eresie, conobbe che a ciò facea d’uopo singolarmente d’uomini veramente dotti e forniti insieme di quella letteratura di cui tanto vantavansi alcuni de’ novatori, come se ella fosse propria di lor solamente. Il rozzo stile e le scolastiche sottigliezze de’ teologi di quel tempo rendevangli oggetto di disprezzo e di scherno agli eretici, a’ quali sembrava di ritrovare nella barbarie degli scrittori cattolici un nuovo argomento a difesa delle lor nuove opinioni. Quindi appena fu Paolo III innalzato alla cattedra di S. Pietro, che tosto pensò a sollevare agli onori ecclesiastici uomini di tal valore che sostener potessero con felice successo gli assalti che da ogni parte premevan la Chiesa. Ed egli era uomo più che ogni altro opportuno a discernerli. Fin da’ primi suoi anni erasi stretto in amicizia co’ più eruditi uomini di quel tempo; e abbiam veduto ch ei fu uno de’ confidenti di Paolo Cortese, il primo scrittore che sapesse congiungere insieme la teologia colla eleganza. Alla scuola di Pomponio Leto coltivò lo studio delle lingue greca e latina, e nelle case di Lorenzo de’ Medici, con cui per qualche tempo egli visse, apprese ad essere splendido protettore de’ dotti.* Quindi il Fracastoro a lui ancor cardinale dedicando i suoi libri do Tuia buschi, yol. X. 3 vi. Pii,In IH lonirnl* e prontiio« c ogni «ori* •li il udì. [p. 34 modifica]34 LIBRO Sympathia et 4 riti patina, lo esalta con somme lodi, perchè colla benevolenza, col favore J colla liberalità sostiene ed anima gli studiosi J e dice di averne fatta prova egli stesso, a cui senza esserne chiesto avea conceduii se-, gnalutissi ini benefizi; e l Ariosto parlando cfi I lui ancor cardinale, lo rappresenta circondato da uomini eruditi. Ecco Alessandro, il mio Signor, Farnese: O dotta compagnia, che seco mena! Fedro, Cappella, Porzio, il Bolognese Filippo, il Volterrano, il Maddalena, Blosio. Pierio, il Vida Cremonese, IXalta facondia inessiccabil vena, E Lascari, e Al usuro, e Navagcrn E Andrea Marone, e l Monaco Severo. Ori. c. 46? st- *3. J Non è dunque a stupire se fatto pontefice spargesse sopra essi a piena mano (que’ doni di cui potea essere a lor liberale. Basta il vedere# il catalogo de’ cardinali da lui nominati, per conoscere quanto gli fosser cari i colti valor delle lettere. I nomi di Gaspero Contarini, di Jacopo Sadoleto, di Rodolfo Pio, di Reginaldo Polo, di Pietro Bembo, di Federigo Piegoso, di il» cello Cervini che fu poi Marcello II. di Jacopo Savelli, di Giovanni Morone, di Gregorio Cortese, di Federigo Cesi, di Niccolò Ardinghelli, di Bernardino Maffei son celebri nella repubblica delle lettere; e l’onor della porpora lor conferita da Paolo ridonda ugualmente in gin ria di chi il ricevette e di chi conici ilio. Quii« • • • • Ir a ragione Lodovico Senso, in una Orazione delle lodi di Paolo III citata dal Cardinal One [p. 35 modifica]► primo 35 I afft.,ma che niun pontefice mai avea avuto al fianco sì gran numero (d uomini nella divina e nella umana letteratura dottissimi; che niuno aveva mai mostrato verso di essi liberalità e | beneficenza maggiore; che nè Tolommeo, nè Augusto, nè verun altro sovrano di qualunque età o di qualunque nazione poteano in ciò venire a confronto con Paolo, il quale ovim(|tia scorgesse alcun dotato di raro ingegno, a sè tosto chiamavalo, e con larghi doni e con amplissime ricompense a sè lo stringeva. Non dunque a stupire che nel concilio di Trento | da lui radunato si vedesser raccolti tanti dottissimi uomini che destarono maraviglia del loro sapere nel mondo tutto, e recarono con esso sì gran vantaggio alla Chiesa, che non v'ebhe h mai forse concilio alcuno che le accrescesse I gloria maggiore. Nè pago di fomentar gli studi, I non lasciava Paolo nel tempo stesso del suo I pontificato di coltivarli. Quindi essendo a lui I venuto Celio Caleagnini, questi/poiché fu tornato a Ferrara, in una lettera latina a lui scritta, fra molte altre lodi rammenta ancor questa; Che — anzi, dic egli, per animim i, io credo, col H vostro esempio a inoltrarci con più ardore negli studj, voi ragionate sovente delle stesse scienze più astruse della filosofia e della filologia con tal forza, con tal dottrina, con erulai l^Z ione sì vasta, che chiunque vi ode disputare e in greco e in latino, non può a meno di non stupirsi, come mai un sommo pontefice, da cui dipende la pubblica felicità, e che è opS presso da una sì gran mole di affari, possa avere e memoria e tempo per ricordarsi di tali [p. 36 modifica]36 LIBRO coso (l 16 Epist p. 216). E il Fracastoro suddetto, dedicando a lui già pontefice il Trattato degli Omocentrici, afferma che dopo il pensiero della religione niuna cosa più sta a cuore che i filosofici studi, e quegli.sin. golarmente dell astronomia. Anzi quest ultimo studio appunto diede occasione ad alcuni di ci lunniarlo come seguace dell’astrologia giudici» ria. Ma cotali accuse troppo felicemente si spar, gon tra ’l volgo, e troppo facilmente si adofc tano da chi afferra volentieri ogni occasione di screditare gli uomini grandi. Oltre di che non sarebbe molto a stupire che in un tempo in cui l’astronomia non era ben conosciuta, fossero alcuni anche tra’ dotti che credesser le stelle presaghe dell’ avvenire. \ 11. In questo capo non farem distinta in« zioue de’ duchi di Parma e di Piacenza, poi che essi, o perchè la loro indole fosse rivolta a tutt’altro fuorchè agli studi, come il duca Pier Luigi (di cui sappiamo però ch’ ebbe tra. suoi secretarii molti de’ più eleganti scrittori di quell’età (Poggiali, Stor. di Pine. ¿9, p. 1 jSJ e fra essi Annibal Caro e Giandolfo Porrino o perchè di continuo occupati fosser fra l armi come Ottavio, e più di lui il grande Àleftsiil dro, non ci lasciarono gran monumenti del loro amor per le scienze. Ma non debbonsi ommettere i nomi di due cardinali figliuoli« Pier Luigi e nipoti di Paolo 111, AlessandroI Ranuccio. Il pontefice nel sollevarli ancor;;i<| vinetti all’ onor della porpora, mostrò che al che i più grand’ uomini si lascian talvolta si durre dall1 amore del sangue..Ma quel mer* [p. 37 modifica]PRIMO 37 l i cSS[ non ebbero ad ottenerla fu troppo ben compensato dal lustro ch essi accrebbero alla lor dignità. Alessandro non contava che 14 anni ,di età « quando fu annoverato tra' cardinali nel J53 i? e arricchito dall avolo dell entrate di moltissimi beneficii ecclesiastici die successiva* mente vennegli conferendo. Le ricchezze però e gli agi non lo distolsero dal coltivare gli studi; e vaglia per tutti il testimonio del celebre Pier Vettori che in una sua lettera scritta al cardinale Bernardino Maffei nel dicembre del 1 J>51, parlando del cardinale Alessandro ch era allora in Firenze, descrive l indefesso applicarsi ch ei faceva alle lettere, l attenzione con cui andava leggendo gli autori classici greci e latini, il grande ingegno, la rara memoria e il senno non ordinario di cui era fornito; talchè egli dice che, come in addietro il cardinale era salito in altissima stima per la singolar sua destrezza nel maneggiare gli affari, così dovea sperarsi che non minor fama ottenesse nella carriera delle lettere, or che nel cambiamento di sua fortuna ritirato erasi a vivere tranquillamente in quella città (P. Vict. Epist. l 2, p) 42). Allude qui il Vettori allo sdegno che Giulio III avea nello stesso anno concepii lo contro di Ottavio Farnese, e contro del cardinale Alessandro, per cui fra le altre cose fu questi privato del ricco arcivescovado di Monreale, e dovette perciò uscendo di Roma fissar la sua stanza in Firenze (V. Murat. Ann. </* hai. ail ìi. an.). In questa città medesima continuò il cardinale a dar prova della sua splendida munificenza verso de’ dotti, de’ quali sempre avea piena la casa; [p. 38 modifica]38 LIBRO di che lo slesso Vettori con lui si rallegra nell atto d’inviargli con sua lettera dell aprile j del 1552 la traduzion da sè fatta di Demetrio Falereo (l. 3 Epist. p. 45). Più ampiamente ancora questo scrittore medesimo esalta la liberalità e il favore del cardinale Alessandro verso le lettere nell’atto di offerirgli nel 1562 i suoi Comenti latini sul poc anzi accennato DenJ trio. Rechiamone le stesse parole, perciocchè trattiamo di un secolo in cui gli scrittori si leggono con piacere da chi non è del tutto nemico della latina eleganza: Quis nescit. (l. 4 Epist p.C)5), dice egli, quanto studio tu semper ornaris doctos et eruditos viros, et quanlopere di guitas con/m conimodaqiic cunte tibi fuer ini] nec tantum quum vivente Paulo 111 Jlorvib tibusque luis rebus concursus ad te literatorum fiebat, eorumque omnium, qui in aliqua ho* ncsta arte ceteris praestabant, quibus omnibus praesidio eras, in eosque alacri animo gratiam tuam benign ita tinique confcrebas, sed eliam r& liquis temporibus, ac duri ore quoque tua /or* tuna; nunquam enim desti ti s ti favore opti/m studia, scmperquc do mus tua plena fuit eru* di forum hominum, et ornili genere litera rum magnopere celebratoruni. Oltre questo favore da lui continuamente accordato alle lettere, le belle arti ancora furon da lui con regai lusso avvivate, e testimonio ne sono ancora in Roma il superbo palazzo Farnese cominciato già da suo avolo, e da lui poscia compito, le delizie di Caprarola, che somministrarono argomento di canto a molti poeti, il magnifico tempio che a' Padri della Compagnia di Gesù della caf? [p. 39 modifica]PRIMO 3<j r0fessa di quella città fu da lui eretto ed ornato. e ove ancora, morendo nel 1589), volle esser seppellito per testimonianza del suo affetto a que religiosi, che da lui in più luoghi e in. più maniere erano stati beneficati. Assai più breve fu il corso della vita del cardinale Ranuccio nato nel 1530, eletto cardinale nel 1545, e morto in Parma nel 1565. Quali speranze si fosser di lui formate, abbastanza cel mostra una lettera a lui scritta dal cardinale Sadoleto nell’ anno stesso in cui fu Ranuccio onorato delle divise di cardinale, nella quale con lui si rallegra che in sì tenera età, la qual non suol essere comunemente abbastanza matura a dar frutti di virtù e di sapere, e in sì ridente fortuna, che suol per lo più allontanare i giovani dal sentier delle scienze, abbia nondimeno già fatti e nelle virtù e nelle lettere sì lieti progressi, che tutti affermano non potersi da un uom maturo aspettare nè erudizione maggiore, nè maggior compositezza; e rammenta principalmente una solenne disputa da lui di fresco tenuta innanzi a una numerosissima e sceltissima assemblea, in cui avea date luminose prove del suo sapere in ogni sorta di scienza (Sadol. Epist t. 3, p. 415, ed. Hom.) (*). Egli . (*) Della solenne disputa tenuta dal cardinale Ranuccio Farnese d eh. 1*. Affò ha veduta una Relazione scritta a que’ tempi, in cui si dice chJessa fu fatta in Viterbo nel settembre del mentre egli era Eletto di.Napoli, e in età di soli 15 anni e si narra che dopo aver sostenute in presenza del papa alcune proposizioni dialettiche, passò alla spiegazione de migliori scrittori greci e latini. Egli ha ancora alcune lettere [p. 40 modifica]40 LIBRO ancora meritò gli elogi di molti fra gli scrittor di que tempi, per la protezione di cui onorava i dotti. Ma morto in età di soli trenM^P cinque anni non potè lasciarne que’ durevoli monumenti che, se avesse avuta più lunga vita, ne sarebbon rimasti. Vili. Giulio Ili, che fu surrogato nel 1550 a ! Paolo III, fu un di quegli uomini che sembrali - degnissimi delle più cospicue dignità prima di conseguirle; ma poichè vi son giunti, dimo*. strano di non aver forza a sostenerle. Le virtù e il senno di cui egli aveva date gran prove, singolarmente nel concilio di Trento, cui in nome di Paolo III avea presieduto, persuasero tutti ch ei fosse il più opportuno a succeder! gli. E ne’ primi giorni alle speranze corrispo-: sero i fatti. Ma l onor della porpora da lui conceduto a Innocenzo del Monte suo nipote adottivo, giovine degno di rimanersi tra’cenci, da cui il pontefice allor cardinale avealo tratto pietosamente, e poscia la vita molle e indolente a cui sotto pretesto della sua mal condotta salute si abbandonò, fece conoscere quanto sieno spesso incerti e fallaci gli umani giudicii. Quanto però ei fu infelice nell' onorare un ni potè adottivo, altrettanta lode ottenne per la medesima dignità conceduta a un suo vero nipote, cioè a Roberto de’ Nobili, il cui padre Vincenzo era figlio di Lodovica del Monte sorella di Giulio III. Non avea x*gli cbe tredici latine scritte da Ranuccio al padre suo Pier Luigi Farnese, le quali pruovano il progresso clic latto avea ne' buoni studi. [p. 41 modifica]PRIMO 4 * anni di età, quando il zio lo sollevò a quel grado nel 1553 5 ma fin d allora egli era f og;,,.Uu delle meraviglie comuni, perciocchè, se crediamo al Ciaconio (l it. Ponti/ in Jul. III)) in età di soli 10 anni ei parlava con ammirabile facilità nelle lingue greca e latina. Il pontefice per coltivare sì belle speranze gli pose al fianco parecchi valorosi maestri, e tra essi Giulio Poggiano e Ottavio Pantagato Servita, scrittore elegantissimo il primo, il secondo uomo di vastissima erudizione; e Latino Latini in una sua lettera scritta ranno 1554* e citata dal p Lagomarsini (in praef. ad Epist. Po gì ani, jt. 3), descrive la sollecitudine con cui il! secondo già assai avanzato in età veniva istruendo per tre o quattro ore ogni giorno il giovine cardinale. Marcello II non sì tosto fu papa, che determinò di concedergli la prefettura della biblioteca Vaticana, da lui finallor sostenuta (Pollidor. Vita Marc. II, p. 126). Allo studio congiungeva egli una singolare pietà, un illibatezza rarissima di costumi, e un'austerità di vita in mezzo a tante occasioni di lusso maravigliosa. Così egli era fin d’allora, e disponevasi ad essere vie maggiormente uno de’ più chiari lumi della Chiesa romana, quando una troppo immatura morte venne a rapirlo in età di soli 19 anni nel 1559. Più altre cose intorno a questo piissimo cardinale si posson vedere presso il Ciaconio e il suddetto Lagomargini. IX. Breve fu il pontificato di Giulio, ma assai più breve fu quello del successore Marcello II, che soli 21 giorni sedè sulla cattedra [p. 42 modifica]4 3 LIBRO di S. Pietro con tanto maggior dispiacere di Roma e del mondo, quanto più ferme e universali erano le comuni speranze di avere in lui uno de più grandi pontefici di cui gloriar si potesse la Chiesa di Dio. Fin da’ più teneri anni erasi Marcello rivolto con grande ardore a coltivare ogni sorta di lettere, seguendo in ciò l’esempio e l’istituzione di RiCcardo Cervini suo padre, uomo assai dotto, e nella filo-' sofia singolarmente e nell’astronomia versatis-1 simo. In Montepulciano sua patria, indi in Siena ed in Firenze, attese allo studio delle lingue italiana, latina e greca, e in tutte scrivea con felicità e con eleganza. Non trascurò le scienze più gravi, e nella giurisprudenza e nella filosofia e nella mattematica fece lieti progressi Passato a Roma, venne accolto onorevolmente dal cardinale Alessandro Farnese che fu poi Paolo III, e in quella corte, ch era il centro della letteratura, si strinse in amicizia cogli uomini eruditi che la frequentavano, e sin/ larmente con Angiolo Colucci, con Anni hi Caro, col Lascari, col Lampridio, col Tebs dco, col Bembo, col Giovio. Il sacco di Roma costrinselo nel 1527 e ritirarsi a Montepulciano J e di quel tranquillo riposo si valse a tutto iin-l mergersi negli amati suoi studi. Poichè udì la creazione di Paolo III, fece ritorno a Roma, e rinnovò l’antica amicizia co’ dotti di (quella città. Formossi per se medesimo una copiosa e scelta biblioteca, e di niuna cosa godeva ei maggiormente, che di esaminare e confrontare tra loro gli antichi scrittori, correggerne i codici, illustrarne i passi oscuri; consultato [p. 43 modifica]PRIMO -P erCiò con lettere e onorato con grandi elogi da tutti gli eruditi. Paolo III era troppo saggio discernitore del vero merito, per lasciar lungo tempo nascosto quel del Cervini. Oltre la cura che a lui confidò de due suoi nipoti i cardinali Alessandro e Ranuccio, che sì ben corrisposero poscia alle sollecitudini del zio e del direttore, il promosse successivamente a diverse dignità ecclesiastiche, lo adoperò a difficili legazioni, sì prima di onorarlo della sacra porpora, come dopo avergli conceduto questo ben meritato onore nel 1 53q. Io non mi tratterrò in parlare de’ viaggi da lui fatti per ordine del pontefice in Francia e in Allemagna, e delle grandi cose da lui ivi operate per la religione, nè delle diverse chiese alle quali in diversi tempi (fu dato vescovo, tra le quali fu quella di Reggio di Lombardia, nè delle singolari virtù delle quali in ogni tempo mostrassi adorno. Ma non deesi già ommettere la prefettura della biblioteca Vaticana, che da Paolo III e da Giulio III gli fu confidata. Il Poggiano, nell orazion funebre di Marcello II, afferma (Poiani Epist t. 1, p. 103) che Paolo nell atto di nominarlo a tal carica protestò che a ciò avealo indotto così l'insaziabile sete di leggere e di studiare, da cui sapeva che compreso era il Cervini, come il vivissimo desiderio che questi avea di giovare in ogni possibil maniera agli uomini dotti. In fatti non sì tosto Marcello ne prese la cura, che l’ accrebbe tosto di rarissimi codici, di molti de suoi medesimi più pregevoli le fè dono, e cercò diligentemente libri di tutte le più pellegrine lingue, valendosi a tal fine del [p. 44 modifica]44 LIBRO Sirleto, che fu poi cardioale, uomo assai ver* sato non sol nella greca, ma nell’ebraica, nella caldaia, nella siriana e nell’ arabica; e di un Etiope di nome Pietro, che allora era in Roma, e che oltre la natia sapea ancora le lingue arabica e turchesca. Essendosi allora scoperto nel Campo V orano un marmo antico, in cui colla statua di S. Ippolito era espresso il Canone Pasquale, il fè trasportare nella \ alienila, ove alla biblioteca aggiunse ancora un museo d’ antichità ben fornito di rare medaglie, di statue e d’altri pregevoli monumenti. La corte del cardinale Cervini era tutta composta d uomini per sapere e per probità lodatissimi, e a’ domestici non solo, ma agli stranieri ancora dava colla sua liberalità nuovi e continui stimoli a coltivare le scienze. A Niccolò Beni ei persuase il tradurre dalla latina nell' italiana favella il Commonitorio di Vincenzo Lirinese contro le eresie, a Annibal Caro il recare in lingua volgare due orazioni di S. Gregorio Nazianzeno J al Panvinio e al Pantagato l’applicarsi diligentemente ad illustrare la storia ecclesiastica, a Pier Vettori il pubblicare più corrette le Opere di Clemente Alessandrino, a Luigi Lippomano il dare in luce le vite de’ Santi, a Pier Frani cesco Zeno il traslatare in italiano due orazioni di S. Giovan Damasceno, a Genziano Erveto il far latini i Comenti di S. Giovan Grisostomo sopra i Salini (a). A lui si dee V edizione de1 (n) Di alcune di queste e di altre opere ancora per opera del Cervino date alla luce si fa menzione nella dedica a lui, come a protettor dell' Ordine, fatta dal [p. 45 modifica]PRIMO *45 quattro Vangeli in lingua etiopica; a lui la traduzione delle Storie sacre di Teodoreto, di Palladio e di Metafraste, che a diversi suoi famigliari ei commise (‘). Tutte queste fatiche furon da lui promosse non sol con consiglio, n,a con grandissime spese; perciocchè egli fu sempre pronto a profondere liberalmente il denaro, ove trattavasi di promuovere i sacri non meno che i profani studi. Ippolito Salviani, dedicando a lui la sua Storia de’ Pesci, rammenta che il Cervini non solo avealo col suo denaro aiutato in quell’ opera sì dispendiosa, nè solo aveva eccitati più altri a dargli ajuto, ma ancora a sue proprie spese avea fatte venire dalla Francia, dall’ Alemagna, dal Portogenerale degli Agostiniani Cristoforo da Padova del primo tomo delle Opere di Lgidio romano i Tua opera Aruobius quotar vetusti *simu.s, JVit ola tu Pontjex, r/ui primus eo nomine dieta* fail, Innocenti ut teniasi ex Graecis vero Chrysostowut in Inalato*, Tbcodnritus cantra haerescs, Joantns Damascenas de ¡mn^inibus, in ertalitorum manibus nane habenlur, et cutn magna omnium atilitatr nane leguntur. {*) Presso la nobil famiglia Cervini in Siena conservavansi lino a quaranta touii di Lettere scritte da Maicello 11, prima che fosse papa, a diversi, c*dn diversi a lui, insieme con diverse scritture da lui distese in oc casini) degli affali clic a lui furono raccomandali. Il sig. co. aliale Bernardo Zamagna celebre per la suu bella traduzione in versi latini dell’Odissea di Omero, e per altre sue eleganti poesie, ine ne ha gentilmente trasmesso il catalogo; c questa raccolta è certamente uno dei più preziosi tesori che castano in questo genere, e degno d’essere diligentemente serbato, hssa già da qualche anno è passata alla biblioteca Laurenziana per acquisto fattone dal gran duca ora iusperudore Leopoldo 11. ^ [p. 46 modifica]i/- l 4(> * LIBRO gallo, dall’ Inghilterra, e pei fin dalla Grecia le immagini esattamente dipinte de’ pesci più rari, perchè ne adornasse quell’ opera. Per la ina- 1 gnifica edizione de’ Comenti di Eustazio sopra Omero fatta in Roma nell’anno iS \>. sborsò 600. scudi, e a sue proprie spese fece fondere i caratteri a ciò necessarii. Da un tal uomo sol- | levato alla dignità di pontefice, che non do- fl vean promettersi le scienze tutte? In fatti ne’fl pochi giorni ch’ ei sedette sul trono, pareva I eh’ esse sorgesser di nuovo al più alto onore. 9 La famiglia di Marcello fu tosto piena d’ uo- 1 mini ciotti, tra’ quali il Connnendone, il Sir- | Urlo, il Gualtieri. A Pier Vettori, venuto a I Roma alla nuova dell’ elezione di esso, diede 1 i più teneri contrassegni di affetto. Chiamato 1 a se Bernardino Telesio ch era più ricco di 1 sapere che di sostanze, gli diè parola di sov- fl venirlo presto copiosamente. Pensò tosto a’ vali- 1 taggi della biblioteca Vaticana, e vi pose due! correttori ossia revisori de’ libri, e avea delerj fl minalo di aggiugnervi una stamperia greca e fl latina. Ma sì bei principii e sì liete speranze non giovarono ad altro che a render vie più 1 luttuosa ^immatura morte di questo ottimo poli- I tefice. lo ho accennate di volo le cose da lui fl operale a prò delle lettere, le quali si posson I vedere assai più ampiamente distese nella bella 1 ed elegante Vita che ne pubblicò il Poli ¡dori I l’anno 1744 ove si potrà ancor vedere la notizia di alcune operette che di Marcello ci son ] rimaste, alle quali deesi aggiunger la Relazion 1 latina della sua Legazione all’ imperador Carlo V di fresco uscita alla luce (Anecd. rom. L 1, I p. i3g). [p. 47 modifica]PKIMO 47 A. Da Paolo IV, successor di Marcello, potevasi parimente aspettare un pontificato assai lieto alle scienze. Egli ne’ diversi gradi e ne’ diversi impieghi finallor sostenuti, e come vescovo di Chieti, e come nuncio apostolico, e come fondatore de’ Cherici Regolari, e come cardinale, e adoperato in gravi e difficili affari, avea dato gran saggio di prudenza, di virtù, di sapere. Io potrei qui recare non pochi elogi che di lui si leggono presso gli scrittori di que’ tempi. Ma basti per tutti quello di uno che non può esser sospetto di adulazione, e ch era ottimo discernitore del vero merito, dico di Erasmo da Rotterdam, il quale scrivendo nel 1515 a Leon X, e nominando coloro da quali era stato esortato a pubblicar le Opere di S. Girolamo, ne dà principalmente la lode a Giampietro Caraffa vescovo allora di Chieti e nuncio in Inghilterra, e ne esalta l’eloquenza, l autorità, i santi costumi, la perizia nelle lingue ebraica, greca e latina, il profondo studio della teologia. Quid enim, dic egli (Epist. t. 1, ep. 174) j non persuadeat illa tam singularis hominis eloquentia? quem non permoveat tam integri, tam gravis auctoritas Praesulis? quem non inflammet tam rara optimi viri pietas 'f Nani ad trinm lingua rum ìiaud vulgurem peritiamo ad summam cum omnium disciplinarum s timi praecipue Theologicae rei cognitionem, tantum homo juvenis adjunxit integritatis ac sanctimoniae, tantum modestiae, tantum mira gravitate conditae comitatis, ut et Sedi Romanae magno sii ornami rito, et Britannis omnibus absolutum quoddam cjctmplar cjchibeat, linde omnes omnium x. Condutta »enofili leiunta eia Paniti IV c da Pio IV. [p. 48 modifica]4« LIBRO virtutum formarti sibi paterepossint Ma in questa occasione «incora alle speranze non corrispose il frutto e l’indole sospettosa e la soverchia severità del vecchio pontefice, e la guerra, in cui lasciossi avvolgere, contro la Spagna, fu anzi cagione di sciagure e di danno ad alcuni uomini grandi, come nel decorso di questa Storia dovrem vedere (a). Pio IV, che sul finir« (a) Benché il pontificato di Paolo IV fosse alla Chiesa per le ragioni arrecate poco felice, non lasciò egli non. dimeno «li far di esso ancora vedere que’ molti pregi ■ che in lui eransi già ammirati. E degno d esser qui riferito è l’elogio che nel t. 17 della sua grand’opera geografica ms. altrove ricordata ne inserì Pietro Ligerio, comunicatomi dal di. stg. 'r.yon Yernazza: Tentvr\ e antichi minili Ciuà (T lini in, Episcopato, la quale il vulgo chiama Chicli... tirila (piale rià tendo E pi <9 scopo il Signor Don Pietro Cara fa ri nunzi*} P Episco^k pato a Pap i Clemente, et per darsi all' humanità et alla divina contemplazione fondò una religione di preti, di uomini quietissimi, detti (dalla dignità d’esso fondatore Teatini; et stando egli con ogni sorte d'humanità tutto 1 dato alle spirituali opere, piacque a Papa Paolo terzo di crearlo cardinale come huomo dottissimo: fin al meni e\ ascese al santo Pontificato dopo Papa Marcello secohM do, et fu appellato Papa Paulo quarto, huomo di somma charità et santimonia, liberalissimo, che </o*l nava gli uffu'j, et segretamente a povere persone r/rl tuose donava senza numerare, prendendo con ambe, le, mani i pugni di scudi; et se quelli le volevano fare delle parole, in riconoscere la sua carità, gli min arci ava dicendogli, che quelli godessero a gloria d' Iddio, et che non ne parlassero con altri per non farsi invidia et emulatione. Et per lo Evangelio, che Joanne Greco gli scrisse in lingua Greca in venti giorni, gli donò cinquecento e tre scudi presi senza numerarli dalla cassa sua tenuta per fare delle lemosine segrete et si-] guaiule. Et donò a me mille scudi per haverle fattavi disegno del tabernacolo di bronzo, che ora è in Milano per custodia del Signor nostro. [p. 49 modifica]PRIMO |t.|Tanno i5% gli succedette, benché prima ¡,on f«ssc avuto i|1 di gran protettor delle scienze, fu nondimeno loro più utile, che non si sarebbe forse sperato. E se altro non avesse egli fatto che conferire l’onor della porpora e l’arcivescovado di Milano al suo nipote S. Carlo Borromeo, e affidarli in gran parte i più importanti affari, dovrebbe per ciò solo aver luogo tra’ più benemeriti della letteratura; tanti furono i vantaggi che da questo gran cardinale riceveron le scienze tutte e le arti. Di lui dovrem parlare assai spesso in questo volume, e io quindi non mi arresterò a dirne qui lungamente, Io accennerò solamente la dedica che a lui fece Pier Vettori nel 1565 delle Commedie di Terenzio, nella quale afferma che quanto di tempo rimaneva al giovine cardinale dalle sue gravissime occupazioni, tutto da lui impiegavasi nello studio della sacra letteratura insiem co’ molti dottissimi e piissimi uomini ch’ ei teneasi al fianco; e altamente ne loda la pietà, la modestia, la castità ammirabile nel fior degli anni, e l’amor che portava alle scienze, alle arti, e a'loro coltivatori (Epist. l. 5, p. 129). Nè temerò di aggiugnere che al Borromeo si dovette in gran parte e il compimento tanto aspettato del Concilio di Trento, e la magnificenza con cui il pontefice prese a rifabbricar Roma in più luoghi, talchè Paolo Manuzio fin dal primo anno scriveva (Epist. l. 6, ep. 8) che vedevasi quella città rifiorire ogni giorno, rinnovarsi le strade, formarsi nuovi acquedotti, e disotterrarsi i monumenti antichi; e finalmente la scelta di dottissimi uomini che da Pio furono ascritti nel Tm a boschi, Voi. X.% 4 [p. 50 modifica]5o. L M<llO numero ile cardinali, tra* quali veggiamoGii0. lumo Seripando, Stanislao Osio, Marcantonio Amulio, Marcantonio Colonna, Tolommeo Gallio, Ugo Buoncompagni che fu poi Gregorio XIII Gianfrancesco Commendone, Francesco Alciati Guglielmo Sirleto, Gabbriello Paleotti. Cosa vera, mente ammirabile! vedere un giovane di venti cliir non interi anni, quanti contavane il Borromeo, quando fu eletto cardinale, sostenere la maggior parte delle cure del pontificato, e regolare con maturità prodigiosa i più difficili affari, e quello singolarmente del sopraccennato Concilio;, rendere in tal maniera glorioso il pontificato del zio, che forse sarebbe stato ancora più illustre, se la morte da cui fu preso Pio IV sul finire dell’an 1565, non ne avesse troncati molti altri disegni. XI. Degli altri sommi pontefici che in questo, secolo occuparono la cattedra di S. Pietro, ci spediremo più in breve. S. Pio V, detto prima il cardinale Ghislieri de Predicatori, che la tenne dal 1566 fino al 1572, e la onorò collo splen dorè dell1 eroiche sue virtù, mostrò qual conto facesse degli uomini dotti, scrivendo a luttii vescovi del mondo cattolico (Ciacon. Vit. Pontif) in Pio V), e ordinando lor di trasmettergli i nomi di tutti quelli che per pietà e per sapere fosser più degni di stima, risoluto di far loro provare gli effetti dell amor suo paterno e della sua provvida munifìcenza. Ma le immense somme da lui profuse nel sollievo de poveri e nella guerra contro de Turchi, fecero ch ei non potesse, quanto avrebbe voluto, soddisfare alle sue brame. Più gloriose memorie di splendidi [p. 51 modifica]Pl'.iMO 5» pjumficenza verso le lettere e le arti lasciò il cardinale Ugo Buoncompagni successore di s pio V, col nome di Gregorio XIII, che resse il pontificato fino al 1585. Era egli stesso uom dotto, e per otto anni avea sostenuta la cattedra delle leggi in Bologna sua patria. E non sol tra gli onori e tra le dignità avute ne’ tempi addietro, ma fra le cure stesse del suo pontificato non cessò mai dagli studi, solito a dire che a niuno conveniva più il sapere molto, che al romano pontefice (Ciacon.). A porre in chiaro quanto egli operasse a pro delle lettere, non poco tempo richiederebbesi, nè lieve fatica. Ventitrè collegi e seminarii da lui aperti e dotati, la riformazione del Calendario romano, la correzione de libri del Diritto canonico, il ristoramento della Sapienza ossia dell’università romana, gli uomini dotti chiamati a Roma, e in più guise onorati e premiati, le magnifiche fabbriche in ogni parte di Roma e in più altre città dello Stato innalzate, le nuove strade aperte, e mille altri monumenti di sovrana magnificenza congiunti co’ grandi esempii di cristiana pietà, e colle prodigiose somme di denaro da lui profuse a benefizio de poveri, renderanno sempre onorevole e dolce a tutta la posterità la memoria di questo ottimo pontefice. Io accenno solo tai cose, che si possono leggere più minutamente distese presso gli storici di questi tempi, e singolarmente negli Annali di questo pontificato assai elegantemente scritti in lingua italiana del P. Giampietro Maffei della Compagnia di Gesù, il quale con essi volle ancora lasciare un durevole monumento di gratitudine all affetto con [p. 52 modifica]•>2 L1BH0 cui Gregorio avea sempre rimirata e distinta! la sua Religione. Di molte delle cose qui indicate dovrassi poscia parlare altrove più a lungo; e qui ricorderò solo una delle molte riprove che diede Gregorio XIII del suo impegno nel premiare e nel tenere presso di sè gli uomini dotti. Era allora professore in Roma il celebre Marcantonio Mureto, quando Stefano re di IV Ionia bramoso di aver nel suo regno un uom sì famoso, a sè invitollo l’an 1578 colla generosa proferta di 1500 scudi d’oro annui, di 1111 beneficio che gliene renderebbe altri 500. Ma Gregorio non volle di lui privarsi, e secondando ancor le preghiere de’ Conservatori del popolo romano, a’ 500 scudi d’oro che già contavansi al Mureto per suo stipendio, ne aggiunse altri 200; e al Cardinal Datario ordinò che gli assegnasse una pensione annuale di altri 300. Così racconta lo stesso Mureto in una sua lettera (inter Epist. Pauli Sacrati, l. 5. p. 291). Uomo parimente assai dotto, e che al suo talento tutta dovette la sua esaltazione, fu Sisto V, detto prima il cardinale Felice Peretti dell’Ordine de’Minori. Non v’ha forse ponte- j lice che abbia lasciati a Roma tanti monumenti di una sovrana grandezza, quanti ne lasciò Sisto in soli 5 anni di pontificato. Tra essi quello che più direttamente appartiene a questo argomento, è la nuova magnifica fabbrica della biblioteca Vaticana, di cui sarà d’altro luogo il dire più stesamente. Dopo la morte di Sisto, accaduta nel 1590, tre pontefici ebbe Roma di troppo breve durata; Urbano VII tenne la sede per dodici giorni soli, Gregorio XIV per dieci [p. 53 modifica]PRIMO 53 nK»si, Innocenzo IX per due. Finalmente il cardinale Ippolito Aldobrandini, che eletto nel gennaio del i5i)2 prese il nome di Clemente VIII, e resse il pontificato fino all’an 1605, avendo coltivate egli pure con buon successo le scienze, fu saggio estimatore del vero merito, e ne diè pruova col promuovere all’onor della porpora dottissimi uomini, tra’ quali furono Cesare Baronio della Congregazione dell’Oratorio, Francesco Mantica, Domenico Toschi reggiano, Silvio Antoniano, Francesco Toledo e Roberto Bellarmino, amendue della Compagnia di Gesù, Silvestro Aldobrandini, e più altri che furono di grande ornamento alla Chiesa. XII. Così quasi tutti i sommi pontefici di questo secolo usarono del lor potere non meno che de’ loro tesori ad avvivare gli studi, e ad accrescere con onore e con ricompense nuovo coraggio agli studiosi. Al lor esempio molti dei’ cardinali sembrarono in ciò gareggiare con essi; e nelle lor corti trovavano i letterati e protezione e premio alle lor fatiche. I cardinali Ilafaello Riai io, Sadoleto, Contarini, Polo, Bernardino e Giovanni Salviati, Rodolfo Pio, Fregoso, Cervini, Guido Ferreri, Luigi Cornaro, Bernardino Maffei, i due Farnesi e molti altri, de’ (quali nel decorso dell’ opera e di alcuni in questo capo medesimo farem menzione, pareva che non fossero saliti a sì alto grado, che a pro delle scienze. Le dedicatorie degl’infiniti libri in questo secolo dati alla luce, le lettere famigliari di tanti eruditi uomini di questa età, che si hanno alle stampe, i monumenti della loro magnificenza che tuttora esistono in Roma e in più altre [p. 54 modifica]54. LIBRO città, ne sono e ne saranno sempre una cliia. i issima pruova. Qual maraviglia perciò, che Roma al tempo di tanti splendidi mecenati fosse a guisa di un luminoso teatro, in cui quasi tutti i più grand uomini che vissero a questi tempi, venivano a far pompa del lor sapere, e che perfino dalle più lontane parti d’Europa accorressero alcuni tratti dalla non fallace speranza di ritrovarvi un giusto e onorevole guiderdone de lor sudori! Ma di Roma basti il detto fin qui; e passiamo ormai a vedere qual fosse il favore e la munificenza degli altri principi italiani nel favorire e nel promovere gli studi, j XIII. Gli Estensi e i Medici esigono a que■ sto luogo a ragione di essere preferiti a tutti,

e il comune consentimento degli scrittori di

que tempi ha loro assicurata un eterna e gloriosa memoria. Io non entrerò ad esaminare a quale di queste due sovrane famiglie sien più debitrici le scienze. Ma poichè a Leon X deesi in gran parte il fiorire che allora fece l'italiana letteratura, e gli esempii di lui furono a guisa di stimolo a gran duchi che gli vennero appresso, come que di Cosimo e di Lorenzo aveano stimolato lui a seguirne le tracce, perciò farem principio da Medici. Alessandro, ch’ebbe prima d’ogni altro il titol di duca, benchè da alcuni ci venga dipinto come principe istruito in ogni sorta di lettere, non lasciò però alcun; monumento che lo mostrasse benefico verso di esse, o perchè il breve tempo del suo governo non gliel permettesse, o perchè ad altre cose avesse rivolto Vanimo. Cosimo I fu quegli a cui Firenze e la Toscana dovette, non [p. 55 modifica]«lirò g<ò d risorgimento delle scienze e delle arti. le quali già da gran tempo aveano ivi cominciato a ravvivarsi felicemente, ma l’universal! fervore e l vivo entusiasmo con cui presero a coltivarsi, e la perfezione a cui furon perciò condotte. Il decorso di questa Storia ci darà ad ogni passo luminosissime pruove della reale munificenza di questo gran principe nel promuovere le scienze e nell’ onorare i dotti. Da lui vedremo fondata l’Accademia fiorentina, e arricchita di grazie e di privilegi; da lui riparata l’università di Pisa, sostenuta quella di Siena, e amendue, non meno che lo Studio pubblico di Firenze, provvedute di dottissimi professori da ogni parte invitati; da lui rinnovata e accresciuta di pregevolissimi codici e aperta a pubblico benefizio la biblioteca Mediceo-Laurenziana; da lui cominciata la regal galleria; da lui chiamati a Firenze peritissimi stampatori; da lui ordinata la pubblicazione delle Pandette sul codice fiorentino, e di altri pregevolissimi libri; da lui formato in Firenze ed in Pisa il giardino de’ semplici. L’astronomia, la nautica, l’agricoltura furon da lui sostenute e promosse. Ma le belle arti singolarmente trionfarono sotto il gran Cosimo. Quanti avea in Italia e in ogni altra parte d’Europa eccellenti pittori, scultori, architetti, eran sicuri di trovar presso di lui e esercizio e premio del lor valore. Piena è tuttora Firenze, anzi la Toscana tutta, delle magnifiche fabbriche, delle statue, delle pitture, de’lavori d’ogni maniera da lui ordinati. Ma più d’ogni cosa ella è a lui debitrice de’ gran vantaggi che ha ritratti dall’Accademia [p. 56 modifica]56 MBTIO del Disegno per lui fondala. Amante egli stesso de’ buoni studi, qualunque tempo gli rima, neva libero dalle pubbliche cure, in essi in,, piegava, c singolarmente nel riandare, o nel farsi legger da altri le storie, del che godeva egli tanto, che ancor quando era infermo non sapeva cessare da quel piacevole trattenimento. E quindi ne venne il sì gran numero di storici valorosi ch’ebbe a que’tempi Firenze, come l’Adriani, il Varchi, il Nerli, l’Ammirato, il Borghini e più altri. Lo studio prediletto di Cosimo fu quello dei’ semplici, de’ quali egli era spertissimo conoscitore, sapendo additare ove nascessero, quai ne fossero i pregi, a quali usi servissero; anzi godeva egli stesso di far distillare erbe e fiori diversi, e di trarne acque ed olj opportuni a diversi medicamenti; Un sovrano così amante degli studi di ogni maniera non è a stupire che procurasse d’istillarne l’amor ne’ suoi figli, e che questi corrispondessero felicemente alle paterne sollecitudini. Ciò che diremo fra poco di Francesco e di Ferdinando, che l’un dopo l’altro gli succedettero, ne farà prova. Ma oltre ad cs.d decsi qui far menzione del cardinale Giovanni e d’isabella, amendue figliuoli di Cosimo. Il primo onorato della porpora l’an 1560, in età di soli 17 anni, fu due anni appresso rapito da immatura morte, o per infermità naturale, come narrano alcuni scrittori di que tempi, o ucciso a tradimento, come da altri si disse, da don Grazia suo fratello (V. Mu• rat. Ann. dltal. ad an. 1562). Or egli ancora era giovane amante assai degli studi, e godeva [p. 57 modifica]MIMO

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mfincipalmmlc ili raccogliere antichità (V. In tiere del cardinale. Giov. de Med. p. 151). Isabella, .che fu maritata a Paolo Giordano Orsino duca di Bracciano, fu donna assai colta e bene intendente delle lingue spagnuola, francese e latina, e se ne ha alle stampe qualche opuscolo intorno a una quistione di lingua toscana. XIV. F rancesco I, figlio e successore di Cosimo, n ereditò l’amor per gli studi, e ne superò ancora la premura nel coltivarli. Pietro Angelio da Barga, nell orazion funebre di Francesco, che si ha alle stampe, afferma ch'egli era sì ben versato nelle lingue greca e latina, che non v’ era antico o recente scrittore di storia ch' ei non avesse diligentemente studiato, nè poeta alcuno che in sua gioventù non avesse letto; aggiugne ch'ei fu d'ingegno sì pronto in apprendere, di memoria sì ferma nel ritenere, e nel pronunciare di lingua così spedita, che recava maraviglia ad ognuno; e recando per ultimo la testimonianza di Antonio Augelio suo fratello che gli era stato maestro, racconta che questi solea dire pubblicamente di non aver mai avuto scolare a cui egli insegnasse non solo con minor fatica, ma con maggior suo piacere, per la docilità singolare, per la grande memoria, per la rara grandezza e prontezza d’ingegno, che in lui scorgeva. La poesia, la filosofia, la matematica, fastronomia non solo furono da lui protette, ma possedute in modo, ch era udito ragionarne da’più intendenti con gran maraviglia. Quindi non contento di seguir gli esempj paterni nell' accrescere lustro sempre maggiore alle università [p. 58 modifica]— XV. Da Ferdinando I. •r>8 li fino rii Pisa, tli Firenze, ili Siena, nel proteggere ed onorare l’Accademia fiorentina e quella della Crusca nata a’suoi tempi, nelTaggiugnere nuovi codici alla biblioteca Laurenziana, nel promuover lo studio della botanica, di cui egli pure era intendentissimo, nell’accordare ricompense ed onori agli uomini dotti, i quali in gran numero gli dedicarono le loro opere, nell’avvivare le arti colla fabbrica di palagi, di giardini, di ville con regal lusso; non contento, dico, di ciò, un particolar monumento. della sua munificenza a pro degli studi ei lasciò a Firenze, che renderà sempre immortale il nome de’ Medici. Parlo della real galleria che da Cosimo incominciata colla raccolta di molte. pregevoli antichità, e colla fabbrica delle stanze ad essa opportune, fu da Francesco compita,>1 come a suo luogo vedremo. Al che egli aggiunse i1 il condurre artefici valorosi, altri ad incidere maestrevolmente qualunque sorta di gemme c f di pietre dure, altri con nuovo e non più usato 1 artifizio a lavorar, come dicesi, per commesso! colle stesse pietre, rappresentando coll intreccio di esse a macchie di varii colori ogni genere di figure. In tal maniera rendette a’ coi*® temporanei ed a’ posteri glorioso il suo nome, e fece che la munificenza da lui profusa a favore de’ dotti servisse come di velo a coprii« 1 altre cose che in lui non furono ugualmente lodevoli j e che fosse riputata a gran danno della Toscana l’immatura sua morte in olà di® quarautasettc anni accaduta nel 1087. XV. L’ ultimo de gran duchi di questo se- I colo, e che visse fino al 1609, fu Ferdinando, 1 [p. 59 modifica]PEI.HO 5») clic, a la porpora cardinalizia, succedei!i» s,io fratello Francesco, ne imitò generosa* niente gli esempii nella protezion delle scienze, e ne superò di gran lunga la fama nelle virtù e nel senno, per cui divenne uno de’ principi più rinomati a’ suoi tempi. Ciò che abbiam detto di Cosimo e di Francesco riguardo alla università, alle accademie, alla biblioteca, alla galleria, alle fabbriche, agli onori accordati agli uomini dotti e agli artefici industriosi, deesi ripeter qui ancora -, perciocché Ferdinando continuò a rendere la Toscana, e singolarmente Firenze, oggetto di ammirazione insieme e d’invidia. La famosa Venere Medicea da lui acquistata, la reale cappella di S. Lorenzo cominciata per suo ordine, e la magnifica stamperia de’ caratteri orientali da lui aperta in Roma, e poi trasportata a Firenze, la statua equestre da lui fatta inalzare a Cosimo suo padre, e gli ornamenti da lui aggiunti a Firenze, a Livorno ed a Pisa, saranno durevoli testimonianze del grande e magnifico animo di questo immortal sovrano. Ciò che io ho detto finora di lui e degli altri due gran duchi, non è che un semplice abbozzo di ciò che avrebbesi a dire in sì vasto argomento. Nè io ho creduto di doverne ragionare più oltre, sì perchè della maggior parte delle cose ora sfuggitamente accennate dovrem poscia parlar di nuovo più a lungo, sì perchè la storia dei’ gran duchi è stata sì ampiamente illustrata da molti scrittori toscani, che io nella sterminata estensione dell argomento che ho tra le mani, penso di non dovermi qui arrestare in ripetere ciò che per [p. 60 modifica]tio LIBRO mille libri è già noto. Fra tutti però meritano di esser letti i ragionamenti dei Gran Duchi di Toscana del sig. Giuseppe Bianchini stampati magnificamente in Venezia nel 1741 ne' quali egli ha diligentemente raccolto e descritto quanto i sovrani della real casa de Medici hanno operato a vantaggio delle scienze e delle arti da’ tempi di Cosimo I fino a’ dì nostri. XVI. Ugual sorte non hanno finora avuta gli Estensi, i quali, benchè i lor meriti verso le lettere non siano infei lori a quelli d’ alcun’ altra | sovrana famiglia, e benchè tra queste niuna ve n’ abbia che sì lungamente abbia esercitata verso di esse la sua munificenza, non hanno ancor ritrovato chi raccogliesse con diligenza i monumenti del magnanimo lor favore verso de’ dotti, se se ne tragga il poco che per incidenza ne ha detto l'eruditissimo Muratori nelle sue Antichità Estensi, Io mi compiaccio che l’idea di questa mia Storia mi conduca per se medesima a trattare questo argomento, sicchè io possa al tempo medesimo e aggiungere nuovo lustro alla letteratura italiana mostrandola onorata e promossa da sì grati principi, e secondar con piacere i sentimenti della mia gratitudine e del mio ossequio nel rendere i dovuti encomii ad una famiglia a cui dovrò professar, finchè viva, una sincera e divota riconoscenza. Alfonso I, nello spazio di circa 30 anni che fu duca di Ferrara, fu quasi continuamente involto in di (Beili ed aspre guerre or contro de’ Veneziani, or contro de’ pontefici Giulio II e Leone X, e per molti anni videsi spogliato di due delle principali città del suo Stato, cioè di Modena e di [p. 61 modifica]PRIMO Gl Hcgglo. Non sarebbe perciò a stupire ch egli ridotto ad assai più stretti confini, e costretto a impiegare il denaro nell'assoldare le truppe, non avesse rivolto il pensiero a fomentare le scienze. Nondimeno, oltre le prove che ei diede del suo amor verso i popoli, a’ quali non volle mai che s'imponessero nuove gravezze (Murat. Antich. Est. par. 2, p. 3(Ì2), appena ei cominciò a respirare dalle lunghissime guerre, che tosto si accinse, come altrove vedremo, a far rifiorire l università di Ferrara, che fra l tumulto deiformi avea sofferto gran danno, nè mai volle fra le stesse angustie di lunghissime guerre, che venisse a" professori ritardato il dovuto stipendio (Jov. in Vita Alph. p. 58, ed. flor.). Ai’ tempi innoltre di Alfonso fu la sua corte frequentata da uomini dotti, di molti de’ quali dovrem parlare nel seguito di questa Storia. Il grande Ariosto fra gli altri, quanto mal soddisfatto mostrossi del cardinale Ippolito il vecchio, di che diremo tra poco, tanto ebbe ad esser contento della bontà con cui Alfonso lo accolse alla sua corte; perciocchè oltre le onorevoli ambasciate di cui incaricollo più volte, e oltre la carica che gli confidò di commissario della Garfagnana, lo ebbe sempre in conto di carissimo famigliare, il volle sovente alla sua tavola, e spesso gli fu liberale di grazie da lui chieste o per sè o per altri (Ariosto, sat. 7); anzi, se crediamo al Giovio (E log. Vir. l'ut. ili. p. 158, ed. Basil. 1577), colle liberalità del duca potè l Ariosto fabbricarsi una casa in Ferrara, ornata ancora in un ameno [p. 62 modifica](rj LIBRO giardino. Egli ebbe inoltre a suo segretario e confidente ministro Bonaventura Pistofilo da Pontremoli, uom celebrato pel suo amore verso de' dotti da tutti i poeti e da tutti gli scrittori ferraresi di quella età, e dal Bembo ancora, di cui abbiamo alcune lettere a lui scritte (t. 3, l 4). Parecchie ancora ne abbiamo del Calcagnini allo stesso Pistofilo, e frequente menzione ancora ne fanno Giglio Giraldi e Tito Vespasiano Strozzi, tra le cui Poesie abbiamo un magnifico elogio di Bonaventura (Carm, p. 145, ed. ald. 1513). Alcune Rime, benchè non troppo felici, se ne leggono in diverse raccolte, e vedremo altrove quanto diligente raccoglitor di medaglie ei fosse, e quanto sollecito nel ben conservarle. Così Alfonso, anche in mezzo al rumor della guerra, seppe amare le lettere, e ciò ch è più ammirabile, si è ch’ ei le amò quasi senza conoscerle; perciocchè le malattie frequenti a cui fu ne’ primi anni soggetto, non gliel permisero. Ma s’ ei non seppe far versi, nè disputar delle stelle, seppe acquistar tal fama nell arte militare, che fu uno de’ più celebri capitani del’età sua. E godeva innoltre egli stesso di occuparsi nel lavorare cannoni ed altre macchine per la guerra, e una fra le altre ne descrive il Giovio (Vita Alph. p. 27) da lui trovata, con cui a forza di acqua e colle braccia di un sol fanciullo più pestelli ad un tempo apprestavano una gran quantità di polvere da fuoco. XV li. Al tempo stesso che il duca Alfonso I mostrava in tal modo la stima in cui avea le [p. 63 modifica]PRIMO 63 scienze, Lucrezia Borgia di lui moglie era ella pure protettrice de’ dotti e de' poeti singolarmente, tra’ quali il Bembo le fu carissimo; e secondo alcuni coltivava ancora la poesia italiana; intorno a clic veggasi il co. Mazzucchelli che di questa principessa ci ha date le più esatte notizie (Scritt ital. t 2, par. 3, p. 1751). Io passerò invece a parlare del cardinale Ippolito detto il Vecchio, di lui fratello, il quale come nel senno e nel valor militare, così ancor nell’ amor verso i dotti non gli fu punto inferiore. Principe di animo grande, anzi tacciato da alcuni come avido di usurparsi talvolta il comando che proprio era di Alfonso, in mezzo alle ricchezze ed al lusso non trascurò d’istruirsi nelle scienze più astruse, e compiacquesi di coltivare, più che ogni altra, la mattematica e la filosofia. Quindi Celio Calcagnini a lui dedicando la sua parafrasi delle Meteore di Aristotele, dice di avere spesso con lui parlato di quell’argomento, e che veggendo quanto egli si dilettasse così di questa, come di ogni altra sorta di scienza, avea determinato d’inviargli quella sua opera, perchè ei la unisse a quella ammirabile sfera, e a’ molti stromenti e a’ molti libri mattematici che avea presso di sè (Calcagn. Op. p. 426). Dalle Lettere del medesimo Calcagnini noi raccogliamo ch essendo questi col cardinale Ippolito in Ungheria nel 1518, e avendovi conosciuto Jacopo Zieglero mattematico a que tempi famoso, lo’introdusse nell’amicizia del cardinale; che questi ebbe molto piacere in vedere [p. 64 modifica]{>4 LIBRO alcuni stromenti astronomici da lui ideati; che gli diè ordine di provvedergli alcuni libri di matematica; e nelle stesse lettere ancora fa il Calcagnini menzione del tempo che il cardinale dava ogni giorno agli studi dell astronomia, della geometria e di altre parti della matematica (ih. fj. j 55, ec.). Poichè ei fu tornato in Italia nel 1519, il Calcagnini! scrisse al Zieglero, che il cardinale per quell amore che aveva per tutti i dotti, gliene avea chieste novelle, ne avea lodato molto il sapere, e avea al Calcagnini stesso ordinato di scrivergli che volentieri lo avrebbe veduto in Italia; ch era allora appunto vacante la cattedra di mattematica nell università di Ferrara, che a niuno sarebbe essa stata accordata, s ei si risolvesse venire; nel qual caso il cardinale aveva già ordinato ch’ei fosse abbondantemente provveduto di quanto poteagli abbisognare al viaggio (ib. p). 175). Il Zieglero venne di fatto in Italia, come altrove vedremo, ma è probabile che ciò fosse dopo la morte del cardinale, che avvenne nel settembre del 1520, mentre ei contavane soli 40, essendo nato nel 14&01 (drìostO) Ori c. 35, st. 4). Queste cose, e la concorde testimonianza di tutti gli storici che lodano il cardinale Ippolito come uno de più splendidi protettori delle scienze, non ci lascian luogo a dubitare ch' ei non debba essere annoverato tra1 meceuali della letteratura. Nondimeno ciò che narrasi dell'Ariosto, sembra sminuirgli alquanto tal lode. Avealo il cardinale onorato assai, e avea eli ancora assegnato sull* [p. 65 modifica]PRIMO 65 Cancelleria della Chiesa di Milano, di cui era arcivescovo, una pensione che rendevagli ogni quattro mesi 25 scudi. Ma quando questi gli offrì il suo Orlando, vuolsi che Ippolito scorrendolo alquanto l’interrogasse o per disprezzo, o per giuoco, ove avesse trovate tante corbellerie. Un tal complimento a un poeta che di sì gran fatica sperava pure qualche non piccola ricompensa, non dovette riuscir troppo dolce. Peggio fu ancora quando all’occasione del viaggio d’Ungheria nel 1518, da noi poc’anzi accennato, volle il cardinale che l’Ariosto il seguisse; e questi a cagione della sua età già alquanto avanzata. degli incomodi e della fatica che seco portava il servigio del cardinale, e di alcune indisposizioni a cui era soggetto, ricusò d’intraprender quel viaggio, di che il cardinale sdegnossi molto, e il privò della sua grazia, ma non della pensione, come prova l’eruditissimo dottor Barotti nell’esattissima sua Vita di questo poeta. Or quanto al primo fatto, a me non par veramente che gli autori citati in pruova dal co. Mazzucchelli (Scritt, ital. t. 1, par. 2. p. 1069)) sieno di tal peso che bastino ad accertarlo. E ancorchè si ammetta per vero, io mi stupisco che un uomo come il cardinale Ippolito, che dilettat asi principalmente de' gravi studi astronomici e filosofici, rimirasse il poema dell'Ariosto come un tessuto di ri datoli bufibnerie. Perciocché, comunque l’Ariosto medesimo cel rappresenti come amante della poesia non meno che della filosofia in que' versi: Tiraboschi, Voi. X. 5 [p. 66 modifica]XVIII. Da Ercole 11 e dalla durile»** Renata. 66 LIBRO Di filosofi altrove e di poeti Si vede in mezzo un onorata squadra; Quel gli dipinge il corso de' pianeti, Questi la terra f quegli il Ciel gli squadra; Questi oneste elegie, quei versi lieti, Quel canta eroici e qualche oda leggiadra: j Ori. c. 46 » st- 92. è certo però, che il genio d’Ippolito era singolarmente per la filosofia e per l’astronomia. Per ciò poi, che appartiene allo sdegno di che egli arse contro di lui, pel ricusare che’ei fece di accompagnarlo in Ungheria, sarebbe certo un nuovo argomento di lode pel cardinale, s’egli avesse accolte cortesemente le scuse del1*Ariosto; ma s’ei dovesse perciò esser tolto dal ruolo de’ mecenati de’ dotti, a troppo scarso numero si verrebbe questo a ristringere. Finalmente il cardinale Ippolito il vecchio dee ancor registrarsi tra gli scrittori italiani. Perciocchè la narrazione della sconfitta che diede egli stesso all’armata navale veneta nel 1509(), la quale è tra le Opere del Calcagnini, fu dal cardinale scritta da prima in lingua italiana, e del Calcagnini fu poi recata, senz’alcun cambiamento, come ei medesimo si protesta (Op. p. 4^4)> in lingua latina. Isabella ancora sorella di Alfonso fu principessa di animo liberalissimo a favore de’ dotti; ma di lei diremo nel parlar de’ Gouzaghi. XVIII. Ercole II, figliuolo e successore d’AI fonso I, visse in tempi assai meno sconvolti, e potè quindi più facilmente mostrare la sua generosa propensione a favor delle scienze. Aveale egli stesso coltivate felicemente; talché [p. 67 modifica]PRIMO 6-» f Ariosto potò annoverarlo tra’ più colti del te,i)po suo (c. 37, st. 13). Antonio Musa Brasavola, a lui dedicando le Opere del Calcagnini poc’anzi nominato, giunge ad affermare che nello scrivere sì in verso che in prosa non era inferiore ad alcuno. Il che, benchè voglia credersi detto con qualche esagerazione, suppone nondimeno che Ercole si fosse con buon successo applicato alla letteratura. In fatti ei diede prova del conto in cui aveva i buoni studi, col chiamar che fece all'università di Ferrara dottissimi uomini, dei’ quali diremo a suo luogo, e col raccogliere una quantità per que’ tempi ammirabile di medaglie, sicchè ei può essere considerato come il primo autore del Museo Estense, di che filtro ve ragioneremo. Ei fu ancora magnifico nelle fabbriche, e ne fan fede i palagi da lui innalzati e gli ornamenti aggiunti a Ferrara e fampliazione di Modena, a cui egli aggiunse quella che perciò chiamasi Città nuova e addizione Erculea. Ad accrescere vie maggiormente l’amore di questo principe verso le lettere, e a rendere più luminosa la corte di Ferrara, giovò non poco Renata figlia di Lodovico XII re di Francia, ch’egli ebbe in moglie. Era ella principessa di grande ingegno, e perciò molto inclinata a coltivare gli studi e insieme a promuovergli ed avvivargli. Quindi Giglio Gregorio Giraldi a lei dedicando i suoi Dialoghi della Storia de Poeti, e quei de’ Poeti de suoi tempi, e il Trattato de’mesi e degli anni, ne loda altamente le rare virtù non meno, di cui mostravasi adorna, che il favore e la protezione di cui onorava le belle [p. 68 modifica]68. LIBRO arti 5 e accenna i benefici che ne’avea ei medesimo ricevuti. Più glorioso è ancora l elogio che ne fa in una sua lettera Aonio Paleario, il quale, scrivendo a Bartolommeo Ricci ch era alla corte maestro dei giovani principi, rammenta f in» grgno e il saper di Renata, la perizia ch'ella avea delle lingue latina e greca, l istruir che in esse facea Anna e Lucrezia sue figlie, e il fervore con cui ella si era poscia rivolta a più gravi studi. Qui habitas in oculis Principum così egli al Ricci (l. 4> cfK 4)» quorum feminae multis Regi bus sunt sapientiores. Nam (quid est, si non haec verissima gloria est, potentissimi Regis fili ani, maximi Ducis uxorem, sic versari in studiis nostris, ut excellat? Annam vero et Lucre tiara, aureos Herenaeae partus, scrutari interiores Literas Latinas et Graecas? quae cum in matre quoque essent, et eae nequa p aucne, ncque viti gares, regina in philosophia hac humana noluit acquiescere, sed ob magni• tudinem ingenti, et studium sanctitatis, quae in ista semper veluti divinum aliquid eluxit, maturi ore ac tate relulit se ad caelestes artes, et ad disciplinas theologicas. E così non avesse ella fatto ciò di che qui udiremo lodarla dal Paleario, cioè di volgersi a’ teologici studi j clic non sarebbe ella caduta ne’ funesti errori della eresia di Calvino, ne’ quali la avviluppò questo settario medesimo, che per alcun tempo soggiornò sconosciuto in Ferrara, e in Renata e in altre di quella corte sparse il veleno della sua eresia. Delle vicende a cui ella perciò fu soggetta vivente il duca suo marito, e del tornarsene ch’ella fece in Francia, poichè egli fu [p. 69 modifica]r PRIMO 69 morto, non è di quest'opera il ragionare, e ognun può vederne la storia presso il Muratori Antich. Est. par. 2, p. 389, ec.). XIX. Le due principesse Lucrezia ed Anna, che abbiamo veduto dal Paleario lodarsi come seguaci degli esempii materni nel coltivare gli studi, erano amendue figlie di Ercole e di Renata. Abbiamo una lettera di Bartolommeo Ricci loro maestro, in cui loda generalmente refudizione e Io studio delle giovani principesse figlie di Renata (Op. t. 2, p. 411). E quanto alla prima, che fu poi duchessa d’Urbino, è degna d’esser letta la dedica che a lei fece Francesco Patrizi della sua Deca istoriale della Poetica, in cui rammenta quanto ella avesse amata la musica, a qual perfezione fosse in essa pervenuta, quanto grata le fosse tuttora la poesia, e quanto cari le fossero tutti gli uomini dotti. Anche il co Annibale Romei, a lei dedicando i suoi Discorsi, afferma che non capita alla Città di Ferrara alcun famoso Letterato, ch ella a sè non lo chiami per udirlo discorrere, e disputar con altri dotti. Della seconda ch era la primogenita, e fu maritata nel 1548 a Francesco duca di Guisa, e poscia in seconde nozze a Jacopo duca di Nemours, trovi am grandi elogi, coi' quali ella fu onorata, prima che partisse d'Italia. Il sopraccitato Ricci scrivendo da Venezia al duca Ercole nell anno stesso in cui ella andò a marito, dice che richiesto quai ne fossero i pregi, aveva risposto che'ella era dotata di grandissimo ingegno, che nelle lettere e nella musica avea fatti sì lieti progressi, che difficilmente sarebbonsi potuti sperare gli eguali [p. 70 modifica]70 LIBRO dii altri di elà più matura, e ch’era finalmente ornata di que’ costumi, ed educata in quel modo che a virtuosissima principessa conviene (ib t 2, p. 35). Abbiam innoltre due lettere a lei scritte da Celio Calcagnini nel io.fi, quando ella non contava che 10 anni di età, nelle quali le dà gran lode per l’eleganza con cui avea recate alcune favole dalla lingua italiana nella latina (Op. p. 205); e scrivendo a Olimpia Morata, damigella data a lei per compagna in tali suoi studi, della quale diremo altrove, esalta quella giovine principessa, perchè in sì tenera età non conosceva altro trastullo che lo studio delle lingue greca e latina e della eloquenza (ib. p. 206). Giglio Gregorio Giraldi ancora ne parla spesso con lode; ma bello singolarmente è l’encomio ch’egli ne fa nell’atto di dedicarle il terzo de’ suoi Dialoghi sulla Storia de’ Poeti, e ch’io riferirò qui tradotto nella volgar nostra lingua: In questo dialogo molte cose al certo vedrete che non sono comunemente conosciute da nostri, e che a voi recheranno piacere e diletto non ordinario; perciocchè siete a tali studi inclinata assai più che non sembra proprio alla vostra sì tenera età. Non avendo ancora passato il decimo anno, voi paragonate in tal modo gli autori greci co’ latini, ch è cosa da stupirne. Che dirò io con quale facilità voi traducete dalla lingua latina nell italiana, e dall’italiana nella latina? Che dirò del sì elegante vostro carattere nello scrivere? che della vostra eccellenza nella musica, e di tutte l altre virtù finalmente degne di principessa, ammirabili in sì tenera gioventù, e che i [p. 71 modifica]PRIMO 71 / ' difficilmente si trovano in età più matura? 1 mg. ile Thou (Hist. l. 24, c. 21), poscia il Noltenio (Diss. de Olimp. Morata, p. 7, ec.) e più recentemente il Gerdesio (Specimen Ital fcf'onn. p. 29, ec.) affermano che essa ancora seguì gli errori della madre, e che in essi visse costantemente fino alla morte. Che cosa essa sentisse nell’animo, nè io il so, nè credo già che 'l sapessero i mentovati scrittori. Ma ognun vede se è verisimile che il duca di Guisa capo del partito cattolico in Francia nel tempo delle guerre civili permettesse alla sua moglie il dare esternamente prova del suo attaccamento per le opinioni di Calvino. XX. Alla protezione da Ercole Il accordata alle scienze, all' amor che per esse ebbe Renata, e che ispirò alle figlie, si aggiunse al tempo medesimo la splendida munificenza del cardinale Ippolito il giovane fratello del duca, arcivescovo egli pure di Milano, come l altro Ippolito suo zio, e innoltre secondo il costume di que’ tempi vescovo, ossia amministratore della Chiesa di Ferrara e di alcune altre in Francia. Pochi principi ebbe il secolo di cui scriviamo, che nella pompa e nella grandezza a lui si potessero paragonare. La sola sì celebre villa di Tivoli da lui fabbricata, che ancor appartiene a quella serenissima casa, e che fu allora sì vagamente descritta da Uberto Foglietta col suo opuscolo intitolato Tiburtinum Hippolyti Estii, ne è una immortale testimonianza. E nondimeno non fu questa la sola prova che’ egli ne desse. Leggansi le Orazioni funebri fatte nell’ esequie di questo gran [p. 72 modifica]72 LIBRO cardinale dal Mureto e da Ercole Cato, e si ve) drà fino dove egli spingesse la sua veramente regia magnificenza: Quis umquam, dice il Mureto, illo in tota ratione vive ridi splendidi or (* magnificenlior fuit? Quae in Gallia, quae in Italia, et quam sumptuosa aedificia extruxit? Quam multa ingeniose, et solerter e oc co gitati ab antiquis, sed postea per posteriorum ignaviam oblivione obruta, quasique sepulta revocavi t? Quam multos egregios artifices ad nova excogitanda propositis praemiis excitavit? Quis umquam Princeps, quis Principis alicnjus Legatns. quis denique ma gnu s clarusque vir apud eum diversatus est, quin sibi non a splendido Cardinali, sed a praepotenti aliquo Rege exceptus videretur? Quindi rammentate le copiose limosi ne di cui era co poveri liberale, soggiugne che non vi ebbe mai chi più ardentemente amasse gli uomini eruditi e dotti, niuno n ebbe maggior numero alla sua corte, niuno fu verso di essi più benefico e più liberale •, che udiva le lor dispute, mentre stavasi alla mensa, e che con essi impiegava per suo sollievo qualunque tempo gli rimanesse libero dalle più gravi sue cure. Lo stesso Mureto in una sua lettera ai Sacrati afferma (Muret. Epist. l. 1, ep. 23) che la corte del cardinale Ippolito era a guisa di un’accademia, tanti e sì eruditi eran quelli che la componevano; e che il cardinale, benchè egli non fosse uomo dottissimo, godeva nondimeno al sommo di conversare con essi, e di riportarne sempre qualche nuova cognizione. Ma il più bell elogio che questo scrittor medesimo ce ne ha lasciato, è nella dedica a [p. 73 modifica]PRIMO ^3 Ini falla delie sue varie Lezioni, e io non posso trattenermi dal riferimento qui per disteso j perchè parmi cosa e all Italia e alla casa d Este troppo gloriosa all’udire un Francese porre a confronto il cardinale Ippolito col re Francesco I, e rimanersi quasi dubbioso a chi debba dare la preferenza: Te vero, dic egli, cum omnis honestatis ac dignitatis amantissimum, quae ad comparandam veram ac solidam gloriam pertinent, appetentissimum natura genuisset, consecuta deinde Franti sci Falesi i Gal Uàrum Regis optimi ac maximi intima illa, qua tot annos usus es, consuetudo magis etiam incitavit ad easdem illas vias, in quas ipsa te natura deduxerat, animosius et conslandus perse quendas. Jlle homines eruditos ad se ex omnibus terrarum partibus, amplissima eorum industriae praemia statuens, convocabat: idem illud exemplum jamdudum Italia te maxima cum tua laude renovantem intuetur. Ad regale ni illius mensam non ullum acroama aut libentius aut saepius, quam vox alien jus eruditi hominis, audiebatur; epulae quoque tuae quoti die nulla re magis quam gravissimis et honestissimis virorum doctrina praestantium sermonibus condiuntur. Ille igime ad caeteras suas laudes aun additi’t, qua nulla meo quidem judicio major est, nulla praeclarior, ut communi omnium populorum consensu Litterarum Pater nominaretur: idem illud cognomen tibi apud posteros tributum iri, crtivis per facile est, qui tuam erga homines liberalium artium scientia excultos munificam planeque regiam voluntatem cognoverit, augurari. Ei ne parla ancora verso la fine di [p. 74 modifica]7Ì LIBRO quella stessa sua opera, e con sentimento di riconoscenza confessa (l. 16, c. 4) che al cardinale Ippolito è debitore della sua sorte; che 15 anni era stato presso di lui e da lui trattato con tal bontà, che non isdegnavasi di chiedergli consiglio ne più gravi affari; che soffriva volentieri di udirsi ancor contraddire; che gli dava ottimi avvertimenti secondo le diverse occasioni; e che in Tivoli singolarmente, ove soleva trattenersi la state, appena passava giorno in cui, escluso ogni altro, non occupasse con lui più ore in soavissimi ragionamenti. Alcune lettere scritte al Mureto dal cardinale Ippolito (Miscell. Coll rom. t. 2, p. /p° • 4^7? 4^8) ci mostrano in fatti ch ei veramente lo amava assai. Somiglianti sono gli elogi con cui ne favellano tutti gli scrittori di que’ tempi. Un solo io sceglieronne per amor di brevità, tratto dalla prefazione con cui Uberto Foglietta dedicò la sua Storia de Conjaratione Jo. Lodovici Flisci, ec. a Girolamo Montenegro: Is me, dic egli del cardinale Ippolito, in familiarium suorum numerum amanter exceptum omnibus commodis fovet ac tuetur. Neque vero me uno ejus benignitas terminatur; sed omnes amplectitur quoscumque excellenti aliqua ’fandiale pmestare i nielligit, ut in illius liberali tate regioque splendore atque animi celsitudine firmissimum sit egregiorum afjlictaefortunae praesidium, ejusque domus insignibus viris semper referta, virtutum ac bonarum artium asilum dici possit. M'ssas mine facio ceteras laudes. quae in illo plurimae et eximiae sunt, singularemque pruda fi am ac re rum human arum cura/n rgregiaquc [p. 75 modifica]I PRIMO rf> in rcmp. merita. Questo gran cardinale finì di vivere nel 1572, mentre era duca di Ferrara Alfonso II di lui nipote, di cui ora passiamo a dire. XXI. Niuno tra predecessori di Alfonso avea fatta pompa di una sì splendida magnificenza, quanta ne diede egli ne’ solenni spettacoli, nelle giostre, ne torneamenti, nelle caccie, ne’viaggi, nel ricevimento di principi e di ambasciadori, nelle fabbriche, nelle guardie della sua corte, nelle limosine distribuite a’ poveri, in ogni cosa, in somma, ove il lusso di un principe può grandeggiare (Murai, ylriti eh. Est. par. 2, p. 404, ec.). Era egli stato scolaro di Bartolommeo Ricci; e benchè il suo andarsene in Francia nel 1552 in età di soli 19 anni non gli permettesse il trarre dalla scuola del valoroso maestro quel frutto che in più lungo tempo avrebbe potuto raccoglierne, apprese nondimeno ad amare e a stimare le lettere e i loro coltivatori. Quindi non sì tosto si udì ch’egli avea preso il governo dei suoi Stati dopo la morte del padre, che Paolo Manuzio scrivendo a Giambattista Pigna, con lui rallegrossi (l..4, ep. 45), perchè in Ferrara sarebbon certamente fiorite le scienze sotto un tal principe, e gli uomini dotti vi avrebbon trovato premio alle lor fatiche. E veramente se altro non sapessimo di Alfonso II, se non che a lui deesi propriamente la biblioteca Estense, la quale vedremo altrove con qual vastissima idea egli prese a formare, ciò basterebbe a renderne immortale la memoria. Ma egli innoltre ebbe dottissimi uomini e alla sua corte e nella sua università di Ferrara, XXT. Munitimi«a della corte di Alfonso 11. [p. 76 modifica]7^> LIBRO ili molti de1 quali dovrem ragionare a luogo più opportuno. Quindi Francesco Patrizi, a lui dedicando i suoi Dialoghi dell’ Istoria, afferma che sì grande e sì scelto numero d’uomini dotti avea egli alla sua corte raccolti, che non vi era altri tra’ principi che gli andasse del pari. E il co Annibale Romei ferrarese nel primo de’ suoi Discorsi, f'ive, dice, il Serenissimo Signor Duca Alfonso da Este, secondo di questo nome, per nostro felicissimo destino hora Duca di Ferrara, con tanto splendore, che la Corte di sua Altezza sembra più tosto una gran Corte Regale, che Corte di Gran Duca, perchè non solo di nobilissimi signori et valorosissimi cavalieri è tutta piena, ma è ricetto di dottissimi et gentilissimi spiriti, e d uomini in ogni perfezione eccellentissimi; e siegue indi descrivendo la magnificenza veramente regale di quella corte. Questi discorsi medesimi sono pruova del fiore in cui erano ivi le lettere; perciocchè si suppongon tenuti nella corte medesima dagli eruditi che vi erano in gran copia, cioè da Francesco Patrizi, da Battista Guarino, dal cav Gualengo, da Ercole Varani, dal co Ercole Tassone, da Giulio Cesare Brancaccio e da altri. Anzi le dame ancora vi s’introducono e ad ordinare cotai discorsi eruditi e ad esserne parte, e fra le altre Leonora Tiene contessa di Scandiano, Tarquinia Molz.a, Laura Turca, Cammilla Canale, la contessa di Sala, Leonora Sacrati, Cammilla Mosti, Lucrezia Macchiavella, Anna Strozzi, Cammilla Bevilacqua, Lucrezia Calcagnina, Silvia Villa, ec. Qui fu per ultimo che il Tasso compose la sua Gerusalemme, [p. 77 modifica]PKIMO e da quel principe fu sempre onorato e distinto, sinchè il nero umore da cui venne miseramente compreso, non rendette questo grande ma infelicissimo uomo oggetto di compassione al duca medesimo, come altrove vedremo. XXII. Come Alfonso II nel protegger le lettere imitò gli esempj del padre Ercole II e dell’avolo Alfonso I, così il cardinale Luigi fratello del detto Alfonso imitò gli esempii dei’ due cardinali Ippolito d’Este, suo zio il secondo, prozio il primo. Egli ancora era stato scolaro di Bartolommeo Ricci, e questi dice (Op. t. 1, p. 1) che a richiesta di esso avea presa a scrivere l’orazione a favor di Milone, che ne abbiamo alle stampe, in cui per via diversa da quella tenuta da Marco Tullio ei ne difende la causa. Questo scrittor medesimo racconta altrove (Op. t. 3, p. 165), ch essendosi il cardinale nel tempo della più calda state ritirato all" amenissima villa di Belriguardo presso Ferrara, e avendo seco condotti parecchi uomini eruditi, cioè il co Fulvio Rangone, Cammillo Gualengui, Francesco Martelli, Benedetto Manzoli e Giambatista Canani, non aveavi piacer maggiore, che il trattenersi con essi or all ombra de’ folti boschi, or ne' suoi deliziosi giardini, passando le ore in dotti e piacevoli ragionamenti. L'affabilità di questo ottimo cardinale verso de' letterati parve perfin soverchia al Mureto, il quale dopo aver detto de’ famigliari colloquii che soleva avere col cardinale Ippolito allor già morto, soggiugr.e che il Cardinal Luigi ancora ama sommamente i dotti, XXII. Il Cardinal Luigi di lui fratello gran i> rotell»r« da’ dalli. [p. 78 modifica]7® L1BUO ina che questo amor medesimo gli era dannoso y perciocché ricevendo tutti cortesemente, e con tutti trattenendosi con bontà singolare, costringe bensì tutti ad amarlo teneramente j ma è talmente assediato da quelli che ne ambiscon la grazia, che appena gli riman tempo a pensare a se stesso j e parlando di se medesimo, dice che avvezzo, com era, a starsi tante ore solo col cardinale Ippolito, or al vedersi fra tanta turba, pareagli di essere in un mondo del tutto nuovo. Così egli scriveva da Roma nel i5;7 (/.a, ep. 23). Ma ei probabilmente cambiò linguaggio, quando l anno seguente si vide da lui onorato di un grande e onorevole donativo, il qual però non sappiamo che fosse, perciocchè insieme gli ordinò di tacerlo, com egli scrive al Sacrati (inter Epist Socrat. l 5,p. 292) nell’an 1578: Cardinalis Estensis simulatque istinc rediit (cioè da Ferrara) amplo me atque hnnorijico ninnere dori avit, quod ego eo magis praedicare gestio quod ipse tacere me jussit. Abbiam ancora la testimonianza di Giglio Gregorio Giraldi del grande desiderio di apprendere cose nuove, di cui ardeva il cardinale Luigi fino da’ primi anni della sua gioventù; perciocchè egli a lui dedicando uno de suoi Dialogismi (dial. 6), dice che da tutti veniagli riferito quanto avido ei fosse dello studio, a cui anche senza altrui stimolo attendeva con sommo impegno; sicchè qualunque uom dotto venissegli innanzi, tosto lo interrogava or d una, or d’ altra cosa concernente le lettere. Si posson vedere per ultimo [p. 79 modifica]PRIMO 79 l'orazioni funebri con cui ne furono onorate le esequie l’an 1586 da Torquato Tasso, dal Guarino, e da Gio Jacopo Orgeat francese, professore allora di belle lettere in Ferrara, i quali tutti ne lodano a gara il favore di cui onorò gli eruditi, e si può ancora vedere ciò che della magnificenza di questo cardinale narrasi dal Muratori (l. c. p. 4°°)• XXIIL Questa continuata serie di splendidi mecenati della letteratura, che rendette famosi ne fasti di essa i principi Estensi, fece che gli stranieri ancora rimirassero questa sovrana famiglia, come una delle più benemerite di tutte le scienze. Pier Vettori fra gli altri, fiorentino di patria e che niuna relazione ebbe mai cogli Estensi, in una lettera scritta a Cosimo de’ Medici primo gran duca di Toscana, di cui pure abbiamo veduto qual fosse l animo verso de’ dotti, non temè di proporgli l’esempio degli Estensi, esortandolo ad imitarli: In tanto autem numero, gli scrive egli Epist. l. 4 p. 80) parlando de’ principi fautori delle belle arti, honestissimarum familiarum, tantaque uber/ate ingenieri mi, hoc etiam nobilis et illustri s in primis A te stina domus, quam tu tibi affinitate conjunxisti, hac aetate assecuta est, unde plurimum honoris ac gloriae factis ipsius accessit, semperque magis celebrabitur. Fra tutti però gli elogi in questo secol renduti a’ principi Estensi, il più magnifico è quello di Francesco Patrizi sanese poc’ anzi citato, e professore allora in Ferrara, nell’atto di offrire a Lucrezia d’Este figlia di Ercole II la sua Deca istoriale della Poetica. Comincia egli con dire che se mai [p. 80 modifica]8o liuro Nobile famiglia al mondo fu nominata, che per. grandi ed alti affari divenisse gloriosa, è fra le pochissime la Casa d Este. Quindi accennate le imprese in pace e in guerra da essa fatte. la grandezza e la lunghezza del dominio tenuto, i parentadi contratti co' più potenti sovrani, le supreme dignità ottenute, passa a dire della protezione accordata alle scienze, e singolarmente alle belle lettere, alla musica e alla poesia; rammenta le grandi cose in ciò operate da Alberto, da Niccolò III, da Leonello, da Borso, da Ercole I, e schiera innanzi i dottissimi uomini da essi chiamati a Ferrara, a quali deesi principalmente il risorgimento della letteratura. Ragiona poi della musica, e dopo aver ricordato ch’ella era in certo modo rinata in quel dominio per opera del famoso Guido monaco della Pomposa, dice che fu poi cresciuta, e raffinata da Ludovico Fogliari Modenese in teorica insegnata, ed esercitata da Giusquini, dagli Adriani, e da' Cipriani, e da tant' altri, che (qui prima ebbero sostegno; e finalmente e la Cromatica e l Enarmonica per D. Nicola Vicentino ne servigi di vostra Casa prima qui si fè sentire. Più lungamente poi stendesi intorno la poesia, mostrando che sotto gli auspicii de duchi di Ferrara era rinata la commedia per opera di Pandolfo Colennuccio e di Lodovico Ariosto, e perfezionata la tragedia di Giambatista Giraldi; che ivi prima che altrove erano state scritte satire in lingua italiana dal sopraccitato Ariosto; ivi e la poesia latina avea fatti lieti progressi ne’ due Strozzi, e l'italiana prima nell’Ariosto, [p. 81 modifica]PRIMO ^ 8l poi nel cav Guarini, in Torquato Tasso, ,,in Tarquinia Molza e in più altri. Quanto a poemi romanzeschi ed eroici ricorda Francesco Cieco, Matteo Maria Boiardo, seguito .)poi da Niccolò Agostini, e dal suddetto Ariosto, e il Rinaldo e la Gerusalemme del Tasso; sicchè, aggiugn egli, in una Città sotto la protezione de Principi suoi, l uno seguente all altro sei Poeti di sette Poemi Eroici sono stati compositori: di che niun altra Città, non Roma antica, non Atene si può dar vanto, non (quasi Italia tutta, non altra Provincia veruna altrettanti n ha prodotti a tempi più moderni. Finalmente annovera quelli che ivi scrissero dell’ arte poetica; e, qui dice, tornò in vita la arte della Commedia, e nacque l arte del Romanzo dal Giraldi e da Gio. Battista Pigna, e dal Tasso l'arte dell'Eroico, e qui fu compilata la Poetica del Castelvetro, e qui da noi una più ampia se ne fabbrica. Nè altra Città si può gloriare di aver nodrito sette scrittori dell Arte Poetica fuorchè Ferrara sola. E questo è avvenuto per la sola buona mercè del Serenissimo Alfonso II vostro fratello, e di voi Serenissima Madama, i quali con gli ajuti e co favori e con la protezione loro hanno fatto e produrre e portare frutti dagli ingegni nostri gloriosi e per voi, Principi Serenissimi, e per noi. U pi I ilAJg. XXIV. 1 Gonzaghi marchesi e poi duchi di Mantova emularon i Medici e gli Estensi nel proteggere le lettere, e fors’ anche li superarono nel coltivarle. Non v ebbe tra le sovrane famiglie d'Italia, chi più di questa si dividesse in Tiraboschi, Voi. X. 6 [p. 82 modifica]8? LIBRO vari rami quasi tutti sovrani, i quali sembrarono ereditare da’ loro capi quell amor per le scienze e per le arti, da cui questi eran compresi. Cominciamo dalla famiglia dominante in Mantova; e passerem poscia alle altre. Il ch. sig ab. Bettinelli negli eleganti suoi Discorsi delle Lettere e delle Arti mantovane, e nell erudite note ad essi aggiunte, ha già illustrato molto questo argomento, ma entro que’ ristretti confini che la natura della sua opera gli prescriveva. Io potrò dunque giovarmi ad un tempo delle ricerche già da lui fatte felicemente, e aggiugnere insieme più cose, alle quali egli non ha potuto dar luogo. Francesco Gonzaga marchese di Mantova dal 1484 *5*9 hi principe valoroso in guerra e splendido in pace, nel che egli, come si nan a dal Giovio (Elog. Vir. bell. virt. ill. p. 234, ec.), non cedeva punto a più potenti sovrani, singolarmente nel numero, nella varietà, nella bellezza de suoi cavalli, che ei facea venire perfin dalla Spagna, dall Irlanda e dalla Numidia. Questa sua magnificenza fu da lui stesa ancora agli studi, e ne è pruova il bel verso posto da Battista Fiera sotto i tre busti di Virgilio di Battista mantovan, e dello stesso Francesco in mezzo ad essi: Argumentum utrique ingens, si saecla coissent. Nè solo egli protesse, ma coltivò ancora la poesia italiana (*), s1 ei veramente fu l’autore {*) Che Francesco Gonzaga marchese di Mantova c marito d'isabella d'liste fosse non solo protetlor de' [p. 83 modifica]PRIMO 83 Jj quelle Rime che il Quadrio gli attribuisce Stor. della Poesia, t. 2, p. 212, t. 7, p. 64), di che io non ardisco decidere. Ma quel più cl,e al marchese. Francesco non fu permesso di fare nel pruomover gli studi e le arti dalle continue guerre in cui trovossi avvolto, fu ben compensato dalla magnificenza d’Isabella d’Edi lui consorte e sorella di Alfonso I duca di Ferrara. L’ab. Bettinelli descrive minutamente (Delle Lettere ed Arti mantov. p. 87, ec.) due superbi appartamenti ch’ ella fabbricò in quella corte, ove ancor ne riman qualche parte, e il bellissimo mausoleo da lei pure innalzato nella chiesa della Cantelma. Fu amantissima di cammei, di medaglie, di statue antiche, alcune delle quali veggonsi celebrate co’ loro versi da’ poeti di quella’ età. Ma i tesori da essa raccolti furono in gran parte preda dell’ingordigia degli stranieri nel sacco dato a Mantova nel 1630. Tra le lettere del Castiglione ne abbiam! molte a lei scritte, le quali mostrano la stima in cui ella l’avea, e insiem la premura con cui essa vegliava all’ educazion de’ suoi figli; perciocchè veggiamo ch’ella al Castiglione commise di trovarle un valoroso maestro per Ercole suo figlio (Lett. di Negozii del Castigl. t. 1, p. 68), quel desso che fu poi cardinale, e di cui parleremo tra poco. Quindi a ragione il poeti, ma coltivatore ancora della poesia, ne abbiamo sicura testimonianza nelle stanze dell*Ariosto in onor di amenduc composte, ove ha fra gli altri <jue’ due versi: Dà insieme egli materia, onde altri ter ira, E fa la gloria altrui »rivendo tara. Ori. Fur. <\ 3-j, *t. 8. [p. 84 modifica]84 LIBRO Caviceo dedicando nel 1508 il suo Peregrino.) a Lucrezia Borgia, e annoverando le donne allor celebri per virtù e per sapere, nomina fra le altre Isabella: Accede alla tua excellentia quello lume, che extinguere non si può, di quella vera mortale Dea Estense di Gonzaga. Principessa Mantuana, alla quale le Muse fanno reverenzia. Nè debbonsi ommettere Lisabetta sorella del marchese. Francesco e duchessa d’Urbino, e il cardinale Sigismondo di lui fratello. Della., prima abbiam già ragionato nel tomo precedente. Sigismondo, tutore del marchese. Federigo suo nipote, gli diè a maestro in lingua greca e in astronomia il celebre Pontico Virunio da noi mentovato altrove, a cui ancora fece tradurre dal greco più opere spettanti alla veterinaria (Zeno, Diss. voss. t. 2, p. Ao'j). A lui innoltre deesi principalmente la venuta a Mantova di Giulio Romano, e quindi i tanti saggi del suo raro valore che’ ei lasciò in quella città a’ tempi di Federigo. Finalmente Lodovico Gonzaga zio del marchese Francesco e vescovo di Mantova, che finì di vivere nel 1511, lo istruì col suo esempio ad amar gli studiosi; perciocchè, come narra il Bandello testimonio di veduta (Novelle t. 1 j nov. 8), mentre egli abitava in Gazzuolo, sempre vi tenne una Corte honoratissima di molti e virtuosi Gentiluomini, come, colui, che si dilettava de la vcrùì, e mollo largamente spendeva. XXV. Federigo, che fu il primo duca di Mantova, nella magnificenza degli spettacoli, delle feste teatrali e delle sontuose fabbriche superò di gran lunga tutti i suoi predecessori, e appena [p. 85 modifica]piìimo 85 [¿sciò speranza a' posteri di poterlo uguagliare Quindi tutte le belle arti giunsero a que’ tempi'in Mantova alla lor perfezione, perchè vi furono ed accolte e onorate con larghissime ricompense; intorno a che abbiamo una bella Oda del co. Niccolò d Arco (Nic. Ardili Carni. „ i85, ed. Patav. 1739). Nè egli trascurò gli studi dell amena letteratura; e per istruire in essi il giovinetto suo figlio Francesco nel 1536, fece venire a Mantova Benedetto Lampridio ch era forse allora il più celebre tra’ professori, e per averlo gli propose amplissime condizioni, e ne diè commissione al cardinale Gregorio Cortese, allora monaco Casinense: Non tacerò, scrive questi in una sua lettera da Venezia agli 8 di marzo del detto an 1536 (Cortes. Op. t.1, p. 104), come a giorni passati essendo in Mantova fui pregato da quell Illustriss Signore di fare, che M. Lampridio an.lasse a stare con lui ad effetto che il suo unico figliuolo avesse la creanza sotto esso, ed anco desiderando il prefato Signor avere una compagnia, con la quale alle volte potesse esercitarsi in ragionamenti virtuosi; e così conclusa la cosa, M. Lampridio se n è andato con provvisione di 300 ducati, e le stanze, e le spese per tre bocche; e spero debbia essere di utilità e a quel Signore, e anche a tutto quel Stato, il che ho scritto a V. S. Reverendissima (al cardinale Contarini), perchè so che lo Illustriss e Reverendiss Cardinale di Mantova altre volte cercò d" averlo a suoi servigii; perchè esso conclude che la servitù sua fosse destinata a quella Illustrìssima Casa, e persuade si [p. 86 modifica]86 LIBRO al presente essere a servizii dell uno e l altro Signore. Il Cardinal di Mantova qui nomi, nato è Ercole fratello del duca Federigo onorato della porpora nel 1527, uno dei più grandi ornamenti della Chiesa romana nel sec xvi, e che morì nel 1563 mentre attuai, mente presiedeva al gran Concilio di Trento Delle magnifiche fabbriche da lui intraprese in Mantova nel tempo principalmente in cui, morto Federigo nel 1540, egli era reggente di quello Stato e tutore del giovinetto duca Francesco, parla a lungo il sig. ab. Bettinelli (l. c p.S 1, ec.). Io dirò invece più stesamente di ciò che np. partiene alla protezione di cui egli onorò sempre le scienze e le lettere. Da una lettera del Castiglione scritta nel 1522 raccogliesi (Lett, di Negozii, t. 1, p. 79) ch erasi dapprima trattato di dargli a maestro o Pietro Valeriano, o Benedetto Lampridio. Io non so chi fosse poi trascelto a tal fine, ma dalla dedica a lui fatta da Girolamo Casio del suo libro intitolato Bellona si raccoglie ch’ ei fu per qualche tempo in Bologna scolaro del Pomponazzo, e che, poichè questi fu morto, ei tornossene a Mantova, ove poscia nella state dell’an 1525 invitò Romolo Amaseo da lui conosciuto in Bologna a venirsene a star seco per tre mesi. Una lettera da Romolo scritta a Violante sua moglie nel breve tempo in cui trattennesi in Mantova, pubblicata dal ch. sig. ab Flaminio Scarselli, contiene un sì bello e sì giusto elogio di Ercole non meno che di tutta quella magnifica corte, che io non posso a meno di qui riferirla distesamente: Subito ch io fui, scrivergli [p. 87 modifica]PRIMO 87 a’ 3o (li luglio del 1525 (Vita Rom. Amas. p. 214), giunto al diporto del Sig. Ercole, io vi scrissi, e vi avvisai, dell accetto buonissimo che mi aveva fatto Sua Signoria... Noi siamo qui in un freschissimo e gentilissimo aere, e finora siamo stati bene, e Pompiglio meglio, che mai lo stesse, il quale studia il tempo suo, e poi a mille spassi soavi e senza pericolo, ed il Signor (Ercole) per sua grazia non gli potria far più carezze, se gli fosse figliuolo; ha voluto, contro ogni voler mio, che di continuo gli sieda a tavola, e innanzi il desinare e la cena viene fino alla camera a levarlo, acciocchè vada con lui a spasso; e della sanità sua e comodi ne ha più cura di me. Io lo ritrovo il più dabbene e il più costumato Signore ch io conoscessi; di me veramente ne ha fatto conto, che. dice apertamente aver fatto maggior frutto in h'tterc in quattro giorni che io sono stato con lui, che in un anno per il passato, nè perciò mi dà maggior fatica, che di due, ore al dì. Io gli siedo a tavola appresso, ed alle ore di spasso o gli passeggio, o cavalco a lato. Poichè fu fatto cardinale, non cessò dagli studi; e una bella pruova ne abbiamo in una lettera da lui scritta da Mantova a 9 di dicembre del 1541 al cardinale Contarini, in cui lo ringrazia dell’avviso che questi dato gli avea d'un certo filosofo di Anversa, che leggeva filosofia in Roma, e dice che il prenderà volentieri al suo servigio, avendone allora bisogno; ma vorrebbe ch’ei sapesse di greco, perchè potesse ajutarlo nello studiare l opere di Aristotile co’ Comenti de Greci antichi; e che non [p. 88 modifica]88 unno fosse un cianciatore, come sono, dic’egli, quasi tutti di quella nazione, e si offre pronto a dargli cento scudi Panno, ed accrescergli poscia lo stipendio (Quirin. Diatr. ad vol. 3 Epist Poli, p. 283). Tra le Lettere di Giulio Gabrielli da Gubbio ne abbiamo una a lui scritta, in cui dice ch’ eragli stato da lui comandato di recare in latino la Geografia di Tolommeo, e offrendogliene il primo libro da sè già tradotto, dice di aver consultato Lodovico Ferrari dottissimo matematico del cardinale medesimo (Gabriel. Epist. p. 25, ed. ven. 1569). La fama sparsa della magnificenza del cardinale Ercole fece che Francesco Maria Molza sapendo che trattavasi di vendere e di mandare in Inghilterra una ricchissima biblioteca, a lui scrivesse da Roma a’ 28 d’aprile del 1529, invitandolo a comprarla, acciocchè si pregevol tesoro non uscisse d’Italia (Molza, Op. t. 2, p. 140). Ma non sappiamo se ciò avvenisse. Ei coltivò l amicizia de’ più dotti uomini del suo tempo, e tra essi de’ cardinali Osio, Bembo e Sadoleto; e tra le Lettere di quest’ultimo due ne abbiamo bellissime a lui scritte, la prima nel 1531, in cui fa un magnifico elogio delle rare virtù che lo adornavano mirabilmente, fra le quali annovera l’amore e l’onore in cui avea gli studi (Epist t. 1, ep. 125, p. 383,.ed..Rorn.)*, l'altra nel 1540 per consolarlo della morte del duca Federigo di lui fratello, in cui ancora gli dà opportuni consigli per ben sostenere il governo a lui affidato (ib. t. 2, ep. 363, p. 227). Nel Museo mazzucchelliano si accennano un’orazione da [p. 89 modifica]pniurr lui della nel concilio di Trento, le sue Lettere un suo libro De institutione vitae christianac i,/). 327); e l’ab. Bettinelli vi aggiunge un dotto Catechismo ch’ ei fece pubblicare per la Chiesa di Mantova, di cui era vescovo. In questa biblioteca Estense abbiam due tomi di Lettere inedite da lui scritte, che tutte appartengono al 1559, ed esse ancora ci mostrano quanto |,gli fosse onorato da tutti i dotti. In una ringrazia l’Accademia veneziana pel dedicargli ch essa avea fatto le Lezioni del Boccadi ferro sopra la Fisica d’Aristotile; in un’altra ringrazia Giambattista Giraldi, perchè gli abbia mandata copia del suo Ercole; in un’altra ringrazia il Foglietta per un suo dialogo che trasmesso gli avea. XXVI. Francesco III succeduto al padre, come si è detto, in assai tenera età, ebbe brevissimo impero, e morì in eta di soli 17 anni nel 1550, lasciando lo Stato a Guglielmo suo fratello che il tenne fino al 1587, e a lui poi, come si è detto $ successe Vincenzo di lui figliuolo fino all'an 1611. Di questi due duchi io non ho che aggiugnere a ciò che ne ha scritto il suddetto ab. Bettinelli, il quale descrive ed esamina (l. c. p. 78) i monumenti di regia magnificenza che di essi ci son rimasti e nelle storie degli scrittori di (quei’ tempi e nelle grandiose fabbriche da essi innalzate. Amendue furono splendidi protettori de’ dotti, e ne vedremo più pruove nel decorso di questa Storia, singolarmente ove parleremo

  1. di Torquato Tasso, che dal duca Vincenzo fu [p. 90 modifica]yo LiBno

amalo al sommo, e nelle sue sventure pietosamente assistito. Del duca Guglielmo ha scritta ampiamente la Storia il Possevino, e noi rimettendo ad essa chi ne voglia più copiose notizie, ci volgiamo omai agli altri rami di questa illustre famiglia, e prima a’ signori e duelli di Guastalla. XXVII. Ferrante I, fratello di Federigo primo duca di Mantova, principe di Molfetta e signor di Guastalla, fu valoroso guerriero e celebratissimo nella storia di que’ tempi; ma non fu che guerriero; anzi egli credeva ad un principe, appresi i primi elementi, non convenisse l’ avanzarsi più oltre nella letteratura. Veggiam nondimeno che’ei coltivò l’amicizia del famoso Pietro Aretino, a cui abbiam quattro lettere da lui scritte, dalle quali raccogliesi ch’ei gli passava una stabil pensione (Lettere all'Aret t. a, l>. 236, ec.); e una pure dell’Aretino a lui scritta nel 1546, in cui si rallegra che sia stato fatto governator di Milano (Aret. Lett. l. 4, p. 50, ed. parig 1609). Più altre lettere dell’Aretino a D. Ferrante conservansi nel segreto archivio di Guastalla, delle quali ho avuta copia per opera del ch. P. Ireneo Affò minore Osservante, alla cui molta erudizione e singolar gentilezza io son debitore di tutto ciò che nel decorso di questa Storia accennerò come tratto da quell’archivio. Anzi molte altre lettere che ivi pur si conservano, ci fan vedere che molti erano i letterati che a lui scriveano, come Gabriello Simeoni, Paolo Giovio, Giangiorgio Trissino, Agostino Beaziano, Antonfrancesco Doni, [p. 91 modifica]PRIMO ()| ,d altri j die al suo servigio egli ebbe molti uomini celebri per letteratura, come Giuliano Goselini, Girolamo Muzio, Luca Contile; e che fu avvivatore e promotore delle belle arti, come si raccoglie da varie lettere a lui scritte da Giulio Romano a da Leone Aretino. Vero è ch'egli era persuaso, come si è detto, che a un principe non convenisse il maneggiar libri e il coltivar le lettere, e stette perciò lungo tempo ostinato a non voler che D. Cesare suo figlio fosse in esse istruito. Mi duol bene, scrive in una sua lettera inedita, ch è nel detto archivio, Nino Nini a D. Ferrante da Roma a 28 di giugno del 1542, perdonami V. E.. che essa persevera nella sua opinione, che li suoi figliuoli non habbino a imparar lettere; et al credere mio sarà sola; che il Duca d Urbino, che non avea studiato, quando havea tempo, si facea sempre leggere; e gli gran Capitani antichi tutti erano letterati; nè so perchè V. E. tenga in sì poco l imparare; oltre che tutti li suoi figliuoli non hanno da esser soldati. Convien dire però, ch’ei mutasse poi sentimento, perciocchè non solo D. Cesare, di cui ora diremo, ma ancora Ippolita figlia di D. Ferrante, negli studj sostenne le veci del padre, e in tenera età sembrò un prodigio di erudizione. Ne fanno testimonianza tre medaglie in onor di essa coniate. due mentre avea soli 15 anni, l’altra quando contavane 17, le quali si veggono nel Museo Mazzucchelliano (t. 1, p. 327). Una di esse principalmente colla sfera e con più altri stromenti matematici che si veggono nel rovescio, ci mostra che di cotali studi ella dilettava?.! [p. 92 modifica]<)2 LIBRO assai. La poesia ancor le fu cara e Giulio Bidelli, e lei dedicando le sue Rime nel 1551, la dice donna più di ogni altra atta a ben giudicarne. Nelle Rime di diverse donne raccolte dal Domenichi se ne hanno alcune d Ippolitae il Quadrio afferma (Stor. della Poesia, t. 2, p. 362) ch essendo ella morta nel 1563, molti poeti la piansero, e le lor rime furon raccolte da Antonio Securi (a). Ella fu moglie prima di Fabbrizio Colonna, poi di Antonio Caraffa duca di Mondagrone, di cui il Quadrio medesimo dice (ivi, p. 251) di aver vedute alcune rime. Cesare figliuolo e successor di Ferrante fu fondatore dell’Accademia degl'lnvaghiti di Mantova, e meritò le lodi di Torquato Tasso che nel suo Trattato delle Dignità, parlando delle accademie, dice: Dal medesimo Pontefice (Pio IV) fu con molti privilegi onorata quella degli Invaghiti, di cui fu Protettore il Signor Cesare Gonzaga, Principe di alto ingegno, e di maturo giudizio, e di somma prudenza, amatore de Letterati e de Poeti grandissimo, a' quali porgeva non solo materia, ma comodità di scrivere e di poetare (Op. t. 3, p. 129, ed. Fir. 172 4)• E più chiaramente nella prefazione di Giulio Castellani alle Poesie italiane e latine di diversi in morte del cardinale Ercole composte nel 1563, in cui essa accadde, e stampate in Mantova fanno seguente, e dedicate a Cesare: Illos tihi (a) I)'Ippolita Gonzaga ha scritta esattamente la Vita il 1’. Ireneo Allò, inserita prima nella Raccolta ferrarese di Opuscoli (l. 6, p. 4'"»), <* poscia con più aggiunte ristampata in Guastalla nel 1781. [p. 93 modifica]PRIMO y3 ojj'eram prius, qui ex ea nobili illustrique Accademia, quam in aedibus tuis anno praeterito (cioè nel 1562) incredibili cum tui ac patriae laude instituisti, quo partim legendo, partim audiendo, cum a negotiis vacas, imperatoriae, laudi etiam philosophiae et optimarum artium gloriam adjun gas} ac ceteri Principes a te uno discant, quanto illi studio virtutem colere, quantaque literatos viros benevolentia et charitate complecti debeant. Elogio ancora più ampio ne fa il medesimo Castellani in una delle sue Lettere, in cui gli manda la Storia di Alfonso d’ Aragona re di Napoli scritta dal Fazio, cui Francesco Filopono pensava di pubblicare a lui dedicandola, come poi fece. Ora in essa ricorda gli studj di filosofia, de’ quali Cesare compiacevasi molto, e nei’ quali avea il Castellani la sorte di essergli compagno più che maestro. Aggiugne ch ei gode sommamente della lettura delle antiche e delle moderne storie, che ama e favorisce e protegge tutte le belle arti, e ne reca in pruova tutti gli uomini dotti che allora erano in Mantova: Quod sane multi hujus praeclarae urbis nobiles ac doctissimi viri omnium maxime noverunt, qui saepe in aedes tuas, tamquam in Academiam conveniunt ubi magna cum tui gloria rniraque co rum militate in veterani Poctarum ac Oratorum libris tractandis et imitandis se exercent (Castell. Epist l. 1, p. 19, ed. Bonon. 1575). Di questa accademia parleremo più a lungo, e altrove pur proveremo quanto avido raccoglitore d’antichità egli fosse. Qui avvertirem solamente che le moltissime lettere ad esso scritte, [p. 94 modifica]1)4 LIBRO che luttor si conservano nell’archivio di Guastalla, cel mostrano corrispondente, amico e benefattore de più celebri letterati di questa età, come di molti d’essi parlando dovrem vedere. XXVIII. Dopo la morte di Cesare, il quale finì di vivere in Guastalla nel 107^ » assistito dal S. cardinale Carlo Borromeo fratello di Cammilla sua moglie, Ferrante II, di lui figliuolo, gli succedette in età di 12 anni, perciocchè, come raccogliesi da una lettera inedita di Paolo Giovio, era nato nel luglio del 1563, e perciò sotto la tutela della suddetta sua madre (V. Affò, Antich. e pregii della Chiesa di Guast. p 141). Grande era stata la cura di Cesare nel farlo istruir negli studi; e fra le lettere mss. di esso molte se ne hanno da lui perciò scritte a diversi l’an 1570, affin di trovargli un ottimo precettore. Fu richiesto fra gli altri il celebre Lorenzo Frizzolio; ma egli se ne scusò; nè io so chi fosse poi a tal fine trascelto. Egli cresciuto in età non imitò solamente, ma superò ancora di molto gli esempii del padre nel coltivare e nel protegger le lettere. Francesco Patrizi, a lui dedicando nel 1586 la sua.Deca disputata della Poetica, dopo aver rammentate le lodi di Ferrante di lui avolo e di Cesare di lui padre, passando a quelle dello stesso Ferrante II, dice ch’egli fin da fanciullo s’invogliò di sapere la teologia, la filosofia morale, la politica, la matematica; e che in età di 15 anni scrivea sì elegantemente in ogni genere di poesia italiana, ch’ era già oggetto a tutti di maraviglia. Annovera quindi gli uomini dotti [p. 95 modifica]PRIMI) if5 che ei teneva nella sua corte: Compagni quasi alle vostre lettere e alla vostra Poesia avete oltre a tante altre doti voluto avere vosco due Bernardini, il Mariani Segretario vostro, e il Baldi, mercè vostra, ora Abate di Guastalla, Filosofo e Matematico e Poeta grande... e Girolamo Pallantieri poeta Lirico e Bucolico... e con costoro Muzio Manfredi ormai famoso ed eccellentissimo Rettorico e Poeta e Lirico e Tragico... carissimi tutti a voi, Principe magnanimo, e che sentono e godono della vostra beneficenza. In fatti le moltissime lettere a lui scritte e da lui, che tuttor si conservano nell archivio di Guastalla, ci mostrano questo principe in continuo ed amichevol commercio con molti de’ migliori scrittori di quel tempo, come con Diomede Borghesi, con Angelo Ingegneri, col suddetto Baldi, col P. Antonio Possevino gesuita, con Cammillo Capilupi, e con più altri. Bella testimonianza innoltre del favore in cui era la poesia alla corte di Guastalla, abbiamo in una lettera del cav Battista Guarini scritta al Vialardi nel 1583, ove racconta che tornando da Milano, era stato ivi accolto da D. Ferrando, che certo si può dire il vago delle Muse, e che ivi a vea trovato Curzio Gonzaga, Muzio Manfredi, la contessa di Sala con più altre gentilissime dame; e che Ferrando avea voluto che in presenza di quella sì onorevole compagnia ei recitasse il suo Pastor fido, il quale vi era stato udito con grandissimo applauso (Guar. Lettere, p. 60, ed. Ven. 1606). Oltre le Rime che se ne trovano sparse in diverse raccolte, avea egli scritta una favola [p. 96 modifica]</> I.Ili HO pastorale intitolata Enone. E fin dal 1593 era essa così innoltrata, che scrivendo a Diomede Borghesi, la mia Enone, gli dice, è da un pezzo in qua in termine, che si potrebbe finire in una settimana d ozio, il quale mi va fuggendo di sì fatta maniera, che non posso arrivare per molto che lo desideri. Essa però non venne mai alla luce, ma fu veduta allora da molti. ed esaltata con somme lodi. Basti qui il recar le parole del sopraddetto Patrizi: Di simile nobiltà, dic egli (Della Poetica Deca di.sput. I. i, p. 31, ed. Ferr. i58(5), è la Enone Poema Dramatico del Signor D. Ferrante Gonzaga Signor di Guastalla, il qual Poema, comecchè il fondamento abbia sull antichissima favola di Paris e dErtone, e così tessuto di episodi, di affetti, e di costumi, e di sentenze, e dedaltre bellezze tutte, che maraviglia fanno a chi l ascolta, pari e simile a quella, che prende altrui in udendo le sue liriche composizioni piene di sì nuovi e sì leggiadri trovamenti, che non solo di gran lunga avanzano la giovinetta età sua, ma possono eziandio invidia muovere, ne’ petti de' poeti, anco de più celebrati. Egli morì a’ 5 d’agosto del i(53o. XXIX. Un altro ramo de’ Gonzaghi ebbe la. signoria di Sabbioneta e di Bozzolo, e ne fu capo Gianfrancesco figlio di Lodovico I marchese di Mantova. Da Luigi I, figlio di Gian Francesco, e da Francesca di Gio Luigi Fieschi di lui moglie l’an 1500 nacque Luigi II conte di Sabbioneta, che pel suo valore nell’armi, o, secondo altri, per avere ucciso un Moro in battaglia, fu soprannomato Rodomonte. Egli [p. 97 modifica]PRIMO py dopo aver nel 1527 accolto e.scortato il pontef Clemente Vii nella sua fuga da Castel S. Angelo, ferito alcuni anni appresso sotto Vicovaro finì di vivere in età di 33 anni, e il cadavere ne fu trasportato a Fondi. Il Muratori, citando gli storici di quel tempo, ne fissa la morte al i533 (Armai. À1tal. ad h. a.), ma insieme accenna l autorità di Alessandro Sardi, secondo il quale egli era ancor vivo nel 1537. Ma il Luigi di cui parla il Sardi, dovette essere l altro di cui diremo tra poco. Egli non fu meno illustre nel coltivare la poesia. che nel maneggiar la spada, e amendue queste doti furono felicemente comprese da Giammatteo Toscano in questo epigramma: Ut primum, Gonzaga, tibi vitalia coepit Ducere felici stantina Parca colo, AiUlit.t ljinc Mavnrs, bine cunis pulcher Apollo, Asserere infantem certus uterque sibi. Spicula jam pharetra hic, vagina ille eripit ensem; Sumere jam discors jusserat arma furor. At fratres Pallas concordi foedere junx.it: Servici Ine veslrum, dix.it, utnque jiuer. Sic. ('Gonzaga, tibi fuerit cum robur Acbillis, E Ir u scia numeris alter Homerus eras Peplus It. p). 483, ed. Hamburg. 17.io. Il Bandello dedicò a lui una delle sue novelle (t. 1, Nov. 39)), e nella lettera dedicatoria rammenta una notte ch' ei passò intera con esso in Castelgiuffrè parlando sempre della poesia e della lingua italiana. Di lui sono le dodici stanze in lode dell Ariosto, che leggonsi in molte edizioni dell Orlati lo, oltre alcune poesie che si leggono in diverse raccolte, lina Leila Tijubosuu. Voi X. 7 [p. 98 modifica]ytt LIBRO elegia in morte di Luigi abbiamo nelle Poesie del conte Niccolò (d'Arco, in cui lo introduce a parlare colla vedova sua moglie Lisabetta figlia del duca di Traietto (Nicol. ArchiiCarm. I. 3, carm, 1). E in essa fra le altre cose rammenta i suoi studi poetici: Tecum intermissas meditabar visere Musas, Aptare et Lyricis carmina Tusca modis. Carmina nani recolo, quae (dum fera classica cessant) Luci Pieridum non renuente choro. Nec Phoebaea minus colui, quam Martia signa; Utraque et hinc meritis laurea parta meis. Vuolsi però avvertire che non è sì agevole l accertare quali tra le poesie che van sotto il nome di Luigi Gonzaga, debbano attribuirsi a lui, trattene quelle nelle quali veggiamo aggiunto il soprannome di Rodomonte. Perciocchè un altro Luigi fu a questi tempi in quella famiglia, ma non sappiam di qual ramo, che visse più anni dopo Rodomonte (*). Di lui parla (*) Non due soli, ma tre Luigi Gonzaga furono al tempo medesimo: uno fu Luigi figlio di Rodolfo quartogenito di Lodovico marchese di Mantova. signore di Castiglione delle Stivi ere e di CastelgiuflVedo, marito in prime nozze di Ginevra del co. Niccolò Rangone, vedova di Giangaleazzo di Correggio, e poi di Caterina Anguissola, da cui nacque d Ferrante padre di s Luigi. Ma da lui non sappiamo che fosser coltivate molto le lettere. Un altro fu Luigi figlio di Gianpietro Gonzaga discendente da Corrado nipote di Luigi pi uno capitano di Mantova, marito prima di Agn« se Torelli, poi di Isabella Lampugnani, da cui ebbe tre figli, Silvio, Claudio e Curzio autore del Fido.Amante. Di lui parla il Campana nel luogo da me citato, e il co d' Arco nell epistola in cui accenna la morte del duca Federigo, e a lui pure è diretta la lettera qui da tue [p. 99 modifica]PRIMO <)() Cesare Campana (Arbori delle fomiti, che hanno signoregg in Mani.), e dice eli1 ei dileltavasi principalmente di studi astronomici, e che perciò aveasi eretta in sua casa una specola, su cui saliva sovente a contemplare le stelle (a). \ lui indirizza il suddetto Niccolò (l'Arco un suo Eroico intitolato Ad Jllustrissimum Aloysiuin Gonzagam Marchionali, in cui appunto ne loda lo studio della filosofia e dell’astronomia: Et quantio<jue placet gravioribus appheuisse Intentimi studiis animuin: juvat alla vagali; Monuunquain rerum gaudes perquirere cuutas, Et vetei uin volvis divina voluinina vatuui, lngeuium osleudens cunctis versatile rebus. Loco cit. I. i, carni. /\\. alata dell1 Aretino. Ma i versi del co. d’Arco indrizzali mi Illustri ini munì Aloysium Gonzagam Marchionem, ch' io ho creduti appartenenti a questo Luigi, appartengon veramente al terzo, cioè al Rodomonte, come ha provato l’eruditissimo P. Ireneo Affò nella bella sii.i \ ila di quest’ ultimo Luigi Gonzaga, stampata in Parma nell’anno 1780, ove ha egli il primo diligentemente distinti questi tre personaggi dello stesso nome e rogno-* me, ed ha parimente mostrato che le due egloghe del Muzio, nelle quali io ho dubitato che si parlasse di Luigi di Giampietro, debbono riferirsi al Rodomonte. Lo stesso valoroso scrittore ci ha poi ancor data la Vita di Vespasiano Gonzaga, in cui si veggono più ampiamente illustrate le cose che io ho qui accennate, del grande impegno con cui ei promosse ogni sorta di studi. (ft) Questa specola nella sua propria casa innalzata de Luigi Gonzaga, il qual finì di vivere circa;il 1549 è, a mia notizia, la prima e la più antica di tutte in Italia. dopo il risorgimento de" buoni studi. Non è però il Campana autor quasi contemporaneo che ce ne fa (fede; ma I A ma dei, autor recente, e non sempre molto esatto, nella sua Storia ms. di Mantova. [p. 100 modifica]IOO Ltimo A lui pure è indirizzata un’epistola in versi eroici dello stesso poeta, in cui accenna la morte del duca Federigo avvenuta, come si disse, nel 1540, e in cui fra le altre cose lo esorta a ripigliare gl’intramessi studi poetici: Felix si mecum studia intermissa revisas Mwsanun. Ib. t. 2, carm. 31. A lui ancora è scritta una lettera di Pietro Aretino, il quale avendogli Luigi mandati alcuni scudi in dono, e fatte insieme vedere alcune sue poesie, quello sfrontato impostore, a cui gli scudi dovettero sembrar pochi, così gli rispose: Il Magnifico M. Francesco Gritti mi ha con le sue lettere mandate due vostre Stanze et il Signor Scipio Costanzo fatti pagare gli scudi, che gli imponete che mi dia: e perchè quello aspetta il mio giudizio nella poesia, e questo la mia risposta nella cortesia, dico, che se voi sapeste sì ben donare, come sapete ben versificare, che Alessandro e Cesare potrebbero andare a riporsi. Attendete dunque a far versi, perocchè la liberalità non è vostra arte: et è certo, che non ci avete una inclinazione al mondo. Non altro: siate sano. Venezia 18 Maggio 1540 (Aret. Lett. l. 2, p. 148, ed. Parig. 1609). l)i lui per ultimo par che debbansi intendere due egloghe del Muzio, una in lode di esso ancor vivo, l’altra nella sua morte (Egl.p. 56, 76, ed. Ven. i55o) (’). (¥) Ho creduto che le due egloghe del Muzio in lode di un Luigi CÌ0117 igo fossero scritte non in lode di quel Luigi clic l'u sopra*»nom ilo Rodomonte, ma di (quell altro da me ivi accennalo, die tu padre di Curzio. [p. 101 modifica]t”U*0 tot XXX. Più benemerito ancor delle lettere fu Vespasiano, figlio di Rodomonte, e ch’ebbe il titolo di duca di Sabbioneta. Due Vite abbiamo di questo principe, una scritta in latino da Alessandro Lisca giureconsulto e patrizio veronese, che lo avea servito in carattere di vicario generale nei’ suoi Stati, la quale fu stampata in Verona nel 1592 l’altra inedita scritta in lingua italiana da Giulio Faroldi da Sabbioneta (di cui nell’ archivio di Guastalla si ha anche una lettera latina al medesimo V espasiano di congratulazione per le sue nozze), della quale io son debitore alla gentilezza di S. e. il sig. marchese Carlo Valenti consigliere intimo attuale delle LL. MM. II. e ornatissimo cavaliere, che cortesemente me l’ha trasmessa insiem colla prima. Esse per le più c’istruiscono de’ viaggi e delle guerre di Vespasiano, che servendo l imp Carlo V, e poscia il re Filippo II, si acquistò fama di un de’ più saggi e de’ più valorosi condottieri di guerra che allor vivessero. Ciò non appartiene al mio Ma il diligentissimo P. Allo ini ha fatto avvertire il mio errore, mostrandomi die il Muzio parla ivi di Elisa moglie di Luigii c la moglie di Luigi Rodomonte fu appunto Lisabetta Colonna duchessa di Traietto; ilice ch’egli era figlio d'una Genovese; eri egli appunto era figlio di Fraucesca Riescili, e più altre circostanze si accennano, che rendon certissima questa opinione. E fini io aggiugnerò ancora, die la morte di Luigi detto il Rodomonte non deesi certo differire al 1037, come ha dubitato il Muratori, ma die era accaduta nel i533, anzi fino da’ 3 «li deoemhre del i^Sa, come si narra da un certo Daino autor ili una Cronaca di <jue' tempi veduta dal P. Affò. [p. 102 modifica]102 LIBRO intento, e io mi debbo trattener solo in ciò che spetta al proteggere e al fomentare ch ei fece le scienze e le arti. Ei diede pruova della sua magnificenza nel fabbricar tutta di pianta la città di Sabbioneta, che per la larghezza e dirittura delle sue vie, per l’architettura delle case private, per la bellezza de’ sacri templi, per la simmetria della pubblica piazza, per gli ornamenti che Vespasiano vi aggiunse di antiche statue e di vaghe pitture, e finalmente per le belle fortificazioni di cui circondolla, fu oggetto di maraviglia a tutti i vicini. Quanto al favore accordato alle lettere, il Lisca ci dice sol brevemente che la casa di lui era sempre piena d’uomini dotti da lui onorati ed amati. Ma nè egli nè il Faroldi nulla ci dicono delle pubbliche scuole di lingua greca e latina ch' egli fondò in Sabbioneta, e del chiamarvi ch’ ei fece Mario Nizzoli, uno de’ più dotti uomini di quel tempo. Noi ne abbiamo in pruova la patente medesima di professore data al Nizzoli coll’assegnamento dell’annuo stipendio di 300 scudi, che si conserva tra’ libri della cancelleria di Vespasiano nell' archivio secreto di Guastalla, della qual notizia io son tenuto al ch. P. Affò da me lodato più volte. Essa è segnata a’ 6 di ottobre del 1562, ed ha fra le altre queste parole: Tandem propositus fuit nobis E. D. Marius Nizzolius Brixellensis, vir latine graeceque doctissimus, et propter senectutem jam in perlegendi ac docendi munere perfectus, et consumatus, quem per aliquot ante menses auditum a nobis cognitum et approbatum tam in moribus et vita, quam in litcris [p. 103 modifica]PRIMO io3 et doctrina, nunc demum institutae Academiae nostre praelectorem, doctorem, et moderatorem eligimus... pro mercede sua annua incipiendo a prima die Decembris millesimo quingentesimo sexagesimo secundo capiat scutatos trecentos quotannis persolvendos. In falli a1 C> (li dicembre dello stesso anno recitò il Nizzoli un’orazione latina per l aprimento di quel pubblico Studio, che fu poi stampata l anno seguente in Parma col titolo: Marii Nizzolii lì nocelle usis Oratio habita in principio Academiae Sabulonetanae tam Graecae quam Latin ac ab illustriss. Principe Vespasiano Gonzaga in Sabuloneta sua nuper a sè condita mi per institutae. Ella tutta si volge intorno alle lodi di Vespasiano, sì per quella città da lui fabbricata di nuovo, sì per le scuole da lui ivi aperte, sì finalmente per le molte virtù di cui egli era adorno, Io ne recherà solamente tradotto in italiano un breve periodo in cui egli ragiona degli studi di questo principe: Noi non udiamo già per altrui relazione, ma veggiamo di presenza noi stessi non rare volte, e con nostra gran meraviglia, con qual dottrina. con qual memoria, con qual sottigliezza voi ragionate sovente or de versi de’ poeti, or de' monumenti delle storie, ora delle opinioni degli astrologi, or di altre somiglianti arti liberali. e delle più recondite scienze, sicchè ci sembra che voi possiate a ragione stare al confronto con molti illustri professori delle arti e delle scienze medesime. E ciò voi fate non essendo ancor giunto a' 33 anni di età, cioè circa il mezzo di vostra vita. A ragione dunque Torqualo [p. 104 modifica]I04 LIBRO Tasso di lui parlando lo dice: Signore di bello e ricco Stato, ma d animo, di valore, di prudenza, d intelligenza superiore alla sua propria fortuna, e degno d essere paragonato co’ maggiori e più gloriosi Principi de secoli passati (Il Conte, o delle Imprese. Op. t. 4, p. 273, ed. Fir.). Un belfeogio di Vespasiano abbiamo ancor nelle lettere di Luca Contile, che scrivendo nel 1562 a Diego Mendozza, che allor trovavasi in Sabbioneta, Veramente, gli dice (Contile, Lett t. 2, p. f\o6), a Sl nobile gentiluomo e a sì dotto intelletto non conveniva altro luogo, che dove risiede il Signor fie spasi ano, degno Principe per merito, et unico cavaliere per valore. Il suo merito è spettabile nella generosità del sangue; l esser egli unico fra gli altri de' nostri tempi, nasce dalla magnanimità, et scienza, che in lui maravigliosamente risplendono; et se non fossi obbligato, volentieri verrei a far mia vita costi. Abbiamo alcune altre lettere dal Contile a lui scritte (ivi p. 4o(>, 448, 455), e una di Stefano Guazzo, in cui gli dice: Et perché esso è principe tanto consumato in tutte le lettere., che non gli resta più nulla a sapere. (Guazzo, Letere, p. 285, ed. Veti. 1 ik)(j). Ch’ei fosse innoltre ricercatore e raccoglitore di molti libri, raccogliesi da una lettera a lui scritta da Napoli da Antonio Guido nel 1551, che conservasi nel sopraccitato archivio (ri). Di lui però (a) Della magnifica biblioteca raccolta da Vespasiano Gonzaga più copiose notizie ci ha poi date il soprallodato P. Affò (Vita di Vesp. Gonz. p. 95). F.j;li ancora ha osservato che Vespasiano morì veramente a' 26 di febbrajo (ivi, p. ia5). [p. 105 modifica]PRIMO 1 o5 „oli abbiamo alle stampe, ch’io sappia, fuorchè una lettera scritta nel 1561 a Bernardino Rota, in cui lo ringrazia d una lettera e d’un sonetto da lui inviatogli (Zucchi, Idea del Segret. t. 1, p. 243). Egli morì in Sabbioneta in età di sessantanni nel 15t> 1, ma nel dì della morte discordano il Faroldi e il Lisca, perciocchè il primo lo dice morto a’ 26 di febbraio, il secondo Tertio Id. Martii, ossia a 13 di marzo. XXXI. Al ramo de’ duchi di Sabbioneta appartengono ancora il cardinale Scipione e monsig Francesco Gonzaga vescovo di Mantova dell’Ord de Minori Osservanti, detto nel secolo Annibale, figliuoli amendue di Carlo conte di S. Martino, figliuolo di Pirro ch era fratello di Luigi I padre di Rodomonte, e amendue hanno diritto ad aver luogo in questa Storia. Del cardinale io ho veduto i Commentarii inediti della sua Vita da lui medesimo assai elegantemente scritti in lingua latina, trasmessimi dal poc’anzi lodato P. Affò, a cui perciò ancora io professo vivissima obbligazione. Nato nel 1542 e istruito diligentemente negli elementi della letteratura per opera del cardinale Ercole che teneramente lo amava, fu poi inviato a Padova, perchè ivi coltivasse gli studi; ed egli si volse dapprima alle lingue greca e latina, e alla lezione de poeti, degli storici, degli oratori; nel che diede pruove di pronto e vivace ingegno. In Padova istituì l Accademia degli Eterei, di cui poscia diremo, e finchè ivi trattennesi, ne fu protettore e capo (Erythr. Pinacothec. pars 2. p. 39(). ed. Lips. 1692). Quindi tra le Rime di quegli accademici, stampale [p. 106 modifica]IOG LIBRO la prima volta nel 1567, alcune se ne leggono di Scipione. Si volse poscia a’ più gravi studi della filosofia e della teologia, e in essi an' cora ottenne gran nome. Il Mureto, a lui dedicando nel 1571 il primo tomo delle sue Orazioni, ne loda altamente l’ingegno e il fervor con cui dagli studi della’ amena letteratura passando a quelli delle più difficili scienze, avea in assai fresca età ottenuti con ciò quegli onori che non sogliono concedersi che ad uomini di età provetta. Nè egli però pose del tutto in dimenticanza i piacevoli studi, ne quali godea di tal fama, che il Guari ili all’esame e alla censura di lui sottopose il suo Pastor Fido (V. Barotti, Difesa degli Scrittori ferraresi, p. 78). Le molte lettere a lui scritte dal Guarini, e dal Tasso, che il consideravano come giudice delle lor poesie, sono chiara ripruova della stima in cui essi l’aveano, e quelle pure del medesimo cardinale scritte ad essi e ad altri letterati, che leggonsi in diverse raccolte, ci mostrano quanto egli gli amasse. Eugenio Cagnani, scrittor mantovano ne’ primi anni del secolo susseguente, ci assicura che il cardinale Scipione corresse a richiesta del Tasso la Gerusalemme liberata: potendosi lo stesso conoscere, dic egli (Lettera cronolog. al duca Franc. Gonz. innanzi alle rime de’ Poeti mant.), anco dalle molte opere di simili scienze composte dall'Illustrissimo Scipione Gonzaga Cardinale, di Santa Chiesa, e per la correzione fatta dal medesimo alla Gerusalemme liberata, avanti comparisse in luce (così pregatone dal nominato Tasso) che tuttora si trova in mano dello Stampatore, dalla quale si [p. 107 modifica]PRIMO ioy può comprendere, quanto i nobilissimi Gonzaghi sieno dell’ arte poetica intendenti. L’Eritreo S non parla delle correzioni che Scipione facesse al detto poema, ma solo dice che il cardinale il copiò di sua mano, anzi assai più cose racconta del tenero amore che’egli avea pel Tasso, dicendo che in Padova volle avere con lui comune la stanza, la tavola ed anche il bicchiere: ut Patavii cum esset eodem atque ille (il Tasso) cubiculo, eadem mensa, et eodem poculo uteretur, et quod est mirabilius, quodammodo eidem ad manum scribae loco esse non dedignaretur; nam totum illius Hierosolymae Liberatae Poema sua manu descripsit (Pinacothec. pars 2, p. 202). Egli fu fatto cardinale da Sisto V nel j 58y, c morì in Sanmartino uno de’ feudi della sua casa nel i5c)3, e tuia medaglia in onor di esso coniata si ha nel Museo mazzuchelliano (t. 1, p. 391) (4). Di Fra Francesco {*) Quanto copiosi e felici frutti producesse fin da’ più teneri anni il talento e lo studio di Scipione Gonzaga, ne è prova fra le altre una bella lettera latina a lui scritta, mentre non contava che 16 anni di età, cioè nel 1558, da Ippolito Capilupi. Essa conservasi nelfarcliivio Vaticano, onde fu tratta copia per S. E. il sig. cardinale Luigi Valenti: ]ppolùtts i apilupu* S. D. Se ’rioni Gonzagae = Legi Fpista la ni mani, (¡unni tnperioribus diebus ad Illusirissimum Cardi nalem deditti, in qua manum atque. ingenium tuum vehementer sum admiratus: erat enim scripta literis tam concinnis, atque apte inter se cohaerentibus, ut ad speciem pulchrior asse non poeset; sententiis vero et cerbi.* tam ornata, ut ex Ciceronis fonte emanasse videretur. Me certe delectavit mirum in modum; nam uno tempore ejus lectione oculi, aures, mensque tota tenebatur; teque sum admiratus annos vix sex deci ni natimi in hoc [p. 108 modifica]\ ijuro Gonzaga fralcllo del cardinale, prima paggio nella corte del re Filippo li, poi religioso scribcndi genere tantum profecisse, ut ad summam rio. quondam jani accedere ut ibis videaris. Se d majore edam affinar admiratinne, cu ni celerai iugenum arici drtutesque tuas animo et cogitatione compiertor. L’u enim jam cum Latina lingua Graecam conjunxisti, sicque in ea versaris, ut utram magis calieas non facile pos. sii dijudicari. In musicis praeterea adeo excellis, ut non solum modulate canas, et ornnes vocimi iufi e aio. nes numerosque optime agnoscas, ut quidqnid in hoc genere animi causa tuo ingenio perfectusn est, ab ani. ni bus, qui hujus artis non sint imperiti, maximis lati, dibus efferatur. Haec ego dum mecum reputo, in liane sententi a m adducor, te in studis philosophicis, quibus modo te totum tradi disti, incredibiles progres sui esse fat turimi, notate prucserlini in dies tibi plus judicii afferente. Et enim natura te ita fin xit, et creavi t, ut• ft/À/7 sit ab ea obscuritate tanta i rivolutimi, <yrto tui in« genii acies penetrare non possit. Hoc profecto rerum causas quantumvis diffciles brevi assequeris, ad quarum notitiam ceteri multis annis et multo labore 1 ir aspirare possunt. Sed ad has quoque percipiendas ce. terasque virtutes adolescentulo dignas illustri genere nato domini mei praecepta atque exempla te execitare atque inflammare possunt; a quibus si mentem et co. gilationem nunquam amoveris, non rudes gubernatores in tempestatibus imitatus, qui a stellis oculos numquam dejiciunt, facillime in portum devenies, ma si ni aq uè lattitia eum afficies, qui adirne stuiliorum tuonali uro. rumque fuit quasi rector et gubernator, cui quantum debeas, tuum est considerare, quantopereque tibi elaborandum sit, ut ejus nomen tua virtute augeatur. Quidquid enim praeclari operis ex te prof ectimi fuerit, id omne ex ejus tamquam optimi artificis officina ex/, isse ornnes ex/stimabunt, isque laetabitur eos fructus, qui ei a te debentur, percepisse. Huic igitur ut satisfa, cias, loto animo atque omni studio tibi est incurnbcn. dum: idque facillime facies, si factot um dictorumque [p. 109 modifica]PRIMO I09 dell’ Ordine de’ Minori, indi generale del medesimo, e per ultimo vescovo successivamente di Cefalù in Sicilia, di Pavia, di Mantova, ove morì l anno ()1620, oltre la V'ita che il Donesmondi ne ha scritta, un bell elogio ne abbiamo nella Pinacoteca dell’Eritreo (pars 2, p. 202), ove a lungo descrive le singolari virtù delle quali fu adorno, l’eroico disprezzo delle pompe del mondo, il costante rifiuto delle dignità di cardinale, e, finchè gli fu lecito, di quella di vescovo, l ardente zelo e la saggia condotta delle chiese a lui affidate, i molti luoghi pii da lui fondati e dotati, le magnifiche fabbriche da lui innalzate a pro della Chiesa di Mantova, le copiose limosine a’ poveri distribuite, ed altre somiglianti singolarissime doti di questo sant’uomo. Ei fu innoltre dottissimo in ogni sorta di scienze sacre. La Storia latina da lui scritta dell’origine e de’ progressi dell’ Ordine di S. Francesco è la prima che abbiamo di quell’ argomento, distesa con sobrietà e con erudizione. L" Eritreo ne rammenta ancora i trattati teologici e le prediche, le quali però sin d’allora era incerto ove si conservassero. E questo scrittor medesimo aggiugne di aver udito da chi erano stalo rationem ci reddendatn esse scapi r existimahis, eumque imita bere, qui religione, Louis artibus, tuaviusimis morbus citm gravitate con/unctis, anni denique laude cumulatiti, vi a ni virtutis nobis demonstrat, a qua non anihtio, non avaritia cimi nunquam deduxit. SeJ ne~ scio quo pacto te eoliortatus sum, ut ei pertimilis esse veliti cujus vesti gin per sequi, nutusque oancs mihi visus es stmper in tue ri. Quamobrein libi persuadali velini, incanì uraliani ni abundantia amoris erga (e //ivi ad hortationem esse delapsam. Vale. [p. 110 modifica]essi deesi annoverare singolarmente Cesare, amico e compagno negli studi di Baldassar Castiglione ili Milano c nella corte d'Urbino, e morto in età immatura nel i5ii. Oltre una canzone e cinque lettere che se ne hanno Ira le Opere del Castiglione, son celebri singolarmente le Stanze da lui e dal Castiglione composte, e che furono recitate nella suddetta corte d Urbino, e che sono una specie di dramma pastorale. Più copiose notizie si posson vedere intorno a Cesare raccolte dal chiarissimo abate Serassi, e premesse alla nuova edizione da lui fatta in Roma delle Poesie d'amendue nel i 760, e presso l'abate Bettinelli (l.cit p.S3). Di Curzio Gonzaga, che fu in armi non meno che in lettere valoroso, abbiain le Poesie stampate in Venezia nel 1535, e una commedia intitolata Gli Inganni, e un poema eroico col titolo di Fidamante} lodato dal Tasso, ma die ciò 11011 ostante non è in gran pregio (V. Quadrio, t. 1, p. 2(>7; t. 5, p. q3; t. 6, p. 668). Tra le Lettere mss. di D Fer laute Gonzaga ve n1 lia alcune a lui scritte da Curzio nel i5y5. Il Cagnaui, nella Lettera cronologica poco innanzi citata, accenna ancora 110 LIBRO testimonio di veduta, che Clemente V ili trenta e più lettere aveagli scritte in diversi tempi a lui chiedendo consiglio or intorno a quistioni teologiche, or intorno alla riforma de’ religiosi: tanto era il concetto in cui quel pontefice avea la prudenza e il saper del Gonzaga. XXXII. Io non mi stenderò a ragionare distesamente di altri di questa famiglia, di alcuni de’ quali non sappiamo se da vicino o da lungi appartenessero a’ principi della medesima. Tra [p. 111 modifica]PRIMO 1 J I je Poesie di Galeazzo, di Giulio Cesare e del marchese Fulvio, tutti della stessa famiglia, le quali ei dice che con quelle di più altri raccolte furono da Ettore Rogna gentiluom mantovano. Giulio Cesare fu uno de’ più illustri accademici Invaghiti col nome di Avvilito, e fu rettore dell accademia nell" anno i5G4; c molte lettere da lui per essa scritte a d). Cesare si conservano in Guastalla. A questi aggiungansi alcune donne, oltre le altre già mentovate. Quella Giulia Gonzaga, sorella di Luigi detto il Rodomonte, di cui, come osserva l’ab. Bettinelli (l. c. p. 89), si trova menzione presso molti scrittori di que’ tempi, non veggo che sia da alcuno lodata, come seguace di Apolline e delle Muse. Ben veggiamo data tal lode a Cammilla Gonzaga, di cui a’tempi di Adriano VI divenne amante in Bologna il celebre Francesco Maria Molza, come da alcuni sonetti del Casio pruova l ab. Serassi nella Vita di quel poeta (innanzi al t. 1 deli Op. p. 13). Il detto Casio compose in onor di essa il libro di Poesie intitolato la Gonzaga; ed ei la dice figlia di Gianpietro Gonzaga conte di Novellara. Fu però al tempo medesimo un’ altra Cammilla Gonzaga, sorella di Luigi conte di Sabbioneta, di Federigo da Bozzolo e di Pirro da Gazzuolo, alla quale dedica una sua novella il Bandello (t 1,nov.7), e che fu maritata nel marchese della Tripalda. Un sonetto di Bianca Gonzaga verso la fine di questo secolo è rammentato dal Quadrio (t. 2, p. 278). Ma più di queste fu celebre Lucrezia Gonzaga da Gazzuolo. Ella fu figlia di Pino signor di Gazzuolo, Rateilo [p. 112 modifica]Ila LIBRO di Luigi I conte di Sabbioneta. e di Cammii((1 Bentivoglio, come Ortensio Landi fa narrare lei stessa (Diai. (L'ila consolaz. della sacra Scrit. p. 2). In fatti tra le sue lettere ne scrive una ad Emilia sua cognata (Lettere, p. 103), cioè ad Emilia Gonzaga moglie di Carlo Gonzaga conte di Sanmartino di lei fratello, Io so che le Lettere stampate sotto il nome di essa sono di Ortensio Landi, come molti hanno avvertito (V. Fontanini, Eloq. ital, colle, note (d Ap. Zeno t 1, p. 220). Le cose però, che in esse si narrano della prigionia di Gianpaolo Manfroni di lei marito in Ferrara, per le trame da esso ordite contro la vita del duca Ercole II, della condanna di morte che contro lui fu pronunziata solennemente al 1 d'agosto del i5<{(5, e della grazia che il duca gli fece, cambiando la pena di morte nella perpetua prigionia, ove poscia morì a 9 di febbraio del 1552 tutte queste cose, io dico, son certe, e chiaramente )>111 ovate, sì dalle due orazioni di Bartolommeo Ricci, una a favor del Manfroni, l’altra a nome di Lucrezia in ringraziamento al duca per la vita conceduta al marito (Op. t. 1, p..jG, cc.), sì dalla storia del fatto medesimo che narrasi dal Muratori (Antich. Est par. 2, p. 369)). Il Landi adunque dovette finger le lettere sulla verità del fatto5 e solo io credo che v aggiugnesse del suo lo scrivere che fa Lucrezia a tutti i potentati del mondo, e perfino al Gran Turco, perchè s’interpongano a favore del suo marito presso il duca Ercole. Se’non che narrandosi da Filippo Rodi ne’ suoi mss. Annali di Ferrara esistenti in questa biblioteca Estense, [p. 113 modifica]PRIMO l i 3 Jje il Man Croni sapendo di esser cercato dal duca di Ferrara, andò dapprima aggirandosi per le primarie corti d’Europa, chiedendo aiuto, j;t che non sia impossibile che Lucrezia ancora potesse per lui ricorrere ai’ medesimi principi. Una di queste lettere è da lei indirizzata al celebre Matteo Bandello, che allora era in Francia e in essa ricordagli il tempo in cui avealo avuto a suo maestro in Castel Giuffrè, e avealo udito spiegarle Euripide. E il Bandello medesimo dedicando una sua novella a isabella Gonzaga di Povino sorella di Lucrezia, ricorda i benefizii ch'egli avea ricevuti da Pirro Gonzaga e da Cammilla Bentivoglia lor genitori, e accenna insieme le Stanze da sè composte in lode della stessa Lucrezia (t 1, nov. 57). In fatti si hanno alle stampe undici canti in ottava rima da lui scritti su tale argomento (V. Mazzucch. Scritt. it. t. 1, par. 1, p. 203). Alla stessa Lucrezia dedicò egli una delle sue novelle (t. 2, nov. 21), e in onore della medesima abbiamo un’egloga e un epigrammna di Giulio Cesare Scaligero (Carm, t. 1, p. 278, 377, ed. 1591), e Ortensio Landi ancora, benchè senza il suo nome, diede alle stampe in Venezia nell*anno i552 un Panegirico in lode di Lucrezia, insiem con un altro in lode della marchesana della Padula. Una Raccolta ancora di Rime di molti diversi poeti in lode di essa fu pubblicata in Bologna nel 1565 (Quadrio, t. 2, p. 513; t. 7, p. 129). Il Quadrio dice che di Lucrezia si hanno alle stampe alcune bell opere, e fra le altre un volumetto di Rime (t. 2, p. 2^o)f e ch’ella mori Tiraboschi, Voi. X. 8 [p. 114 modifica]XXXIII. De’ duchi d* L'rbioo. « 1 4 LIBRO in Mantova a a di febbraio dell’anno i5;6 (Ln p. 129). XXXITI. I tre duchi d’Urbino che in questo secolo ebbero il dominio di quello Stato, Un» chè esso non fu devoluto al pontefice, nel favorire le lettere seguiron le gloriose orme de' loro predecessori. Francesco Maria della Rovere per opera di Guidubaldo di Montefeltro suo zio fu istruito nella letteratura da Lodovico Odassio da noi mentovato nel tomo precedente, e da Antonio de Cristini da Sassoferrato, uomini amendue assai dotti (Reposati, Zecca di Gubbio, t. 2 f p. 5). Ma costretto fino da’ primi anni a cambiar i libri coll armi, e avvolto quasi sempre in difficilissime guerre, nelle quali ottenne il nome di uno de’ più valorosi capitani del secol suo, non potè coltivar gli studi per modo che potesse dirsi principe erudito. Se ei però non potè esercitarsi nelle bell’arti, seppe almeno promuoverle e sostentarle; nel che gli dovette essere e di esempio e di stimolo Leonora Gonzaga sua moglie da noi nominata poc’anzi. Qual fosse il fiorente stato di quella corte negli ultimi anni del duca Guidubaldo, e ne’ primi di Francesco Maria, descrivesi da molti scrittori di que’ tempi, e tra gli altri dal Sadoleto, il quale non teme di affermare che non v’ era luogo per avventura in cui fosser raccolti tanti e sì dotti uomini: Non uspiam alibi terrarum neque nostra, opinor, neque antiquorum memoria tot et tales principes ingenii et literarum facile uno in loco quispiam possit nominare y quot mute L rbini praeclarum coetum constituunt; quippe [p. 115 modifica]PRIMO 11J l'i/in Mie mi sii et Petrus Bembus maxima ce~ lebritate et nomine vir, quem prue ter eximiam oninis virtù tis et humanitatis laudem vere parentem cum Romanae veteris, tum recentis hujus Italae eloquentiae possumus appellare., et duo fratres Italiae vel praecjpua lumina Fridericus et Octavianus Fregosii, nobilitate, dignità te j prudenti a, literis maxime Must ras, itemque spectatum ac nobile par Baldassarus Castilionaeus ac Caesar Gonzaga, qui militaribus ambo et bellicis virtutibus insignes ad illam laudem optimarum quoque et. litterarum ac artium non inferius decus addidere. Quamquam, ne singulos colligam, illam ego urbe ni hoc tempore non honiinum cujusquemodi domiciliuni, sed musarum diversorium esse puto (De Laudib. Philosoph. l. 2). Il ch. proposto Reposati aggiugne (Della Zecca di Gubbio, t. 2, p. 127) che il duca Francesco Maria godeva assai dello studio delle antiche storie, e che raccolti nelle sue camere e letterati e soldati ed uomini di diverse professioni, dopo la lettura di qualche passo di storia, soleva eccitarli a disputare tra loro per illustrarlo. Ciò è verisimile; ma non è egualmente verisimile ciò ch’ei soggiugne, cioè ch’egli con la sua munificenza ajutasse il famoso Ulisse Aldovrandi nel formare il suo ricco museo; perciocchè (quando il duca Francesco Maria finì di vivere nel 1538, l Aldovandi non contava che 16 anni, ed avea i pensieri a tutt’ altro rivolti che a formare un museo. Quindi il sig. conte Giovanni fantuzzi nella esattissima Vita che di fresco ci ha data di quel grand’uomo, attribuisce cou [p. 116 modifica]1 i6 LIBRO ragione lai lode a Francesco Maria li, nipote del I (Vita'd Ulisse Aldovrandi,.p. 57). Guidubaldo di lui figliuolo fu egli ancora e nella magnificenza delle sue fabbriche, e nella protezione accordata alle scienze imitator degli esempii paterni. Ma assai maggior nome lasciò a questo riguardo l’ultimo de’ duchi d’Urbino, cioè il suddetto Francesco Maria II, figliuolo di Guidubaldo. Tutti gli scrittori di que’ tempi ce lo rappresentano come principe versatissimo nelle lettere e nelle scienze di’ogni maniera, occupato, in quel tempo che le pubbliche cure gli lasciavano libero, nella lettura de’ migliori libri, e nelle erudite conversazioni co teologi, co’filosofi, co'professori più illustri, e fornito perciò delle più belle cognizioni intorno alla storia naturale, alla teologia, e ad ogni altro genere di erudizione. Egli di fatto, oltre l aver avuto a suo aio il celebre Muzio Giustinopolitano, da cui gli si dovette istillare nell’animo una non ordinaria stima pe’ dotti, ebbe ancora a suoi maestri ne’ primi studj Vincenzo Bartolii da Urbino e Lodovico Corrado mantovano, famoso letterato, come lo dice lo stesso duca nella Vita che di se medesimo scrisse, e che di fresco è stata data alla luce (N. Racc. Calog. t. 29, p. 6). Quindi negli anni suoi più maturi coltivò studiosamente la matematica sotto il celebre Federigo Commandini, e in essa fece assai lieti progressi, come si afferma da Bernardino Baldi (Elog: della patria, p. 30). Lo stesso duca di sè parlando nella poc’anzi citata sua Vita, Ritornò, dice (l. c. p. 100), a suoi studi tralasciati, i quali erano stati prima di [p. 117 modifica]PRIMO II*Afatematica lettagli da Federico Comandini e poi di Filosofia con Cesare Benedetti, e che fece poi far Vescovo di Pesaro, Felice Pacciotti, Giacomo Mazzone e Cristofaro Guarinone. Oltre la detta Vita egli scrisse ancora un trattato di educazione pel giovine principe suo figlio, che, come si afferma dall'editore di essa (ivi. p. 62), credesi che si conservi manoscritto in Firenze. Ma egli ebbe il doppio dolore, prima di vederlo battere una via troppo opposta a quella ch’egli gli avea additata, poscia di vederselo da immatura e improvvisa morte rapito. XXXIV. Tra’ duchi di Savoia di questo secolo Carlo III avea date liete speranze nel principio del suo governo, e poteansi lusingare le scienze di avere in lui uno splendido mecenate. Quindi Galeazzo e Pietro Paolo Porro fratelli stampatori, dedicando a lui il Graduale stampato a uso del coro in Torino nell’an 1514 così dicono: Cum nulla, quae in Status tui subditorumque conservatione et augmento praestent studia y ullo omittas tempore, Illustrissime Princeps, cujus mens et cogitatio ad haec omnia intenta assiduis cernitur operibus, iccirco ducuntiir plerique omnes (de bonis loquor) ut et in te tuamqne sub li mi tatem praestent obsequia. quae a subditis erga veros dominos proficisci possunt. La qual dedicatoria, che altrove ancora si dovrà rammentare, mi è stata additata dal ch. sig. baron Vernazza. Ed è veri simile che questo favor prestato alle lettere fosse in gran parte effetto dell’ amor che ad esse e a’ loro coltivatori avea mostrato sul fine del secolo precedente, e ne’ primi anni di questo, Amedeo [p. 118 modifica]Il 8. LIBRO Romagnano, che allo splenrdor della nascita congiunse quello delle civili e delle ecclesiastiche dignità che in lui si vider congiunte, essendo egli stato eletto nel i4l)^ cancelliere in Savoia, e nel 1497)" vescovo di Mondovì. Col senno di questo grand uomo si ressero felicemente quelle provincie fino al 1509, in cui a 17 • di marzo chiuse Amedeo i suoi giorni; e fra le altre cose, a lui si dovette la riforma di molte leggi maggiormente ordinata, e la nuova edizione degli Statuti di Savoia fatta nel 1505. Le dediche a lui fatte delle Opere di Pietro Leone Vercellese nel 1496, de Salmi del Petrarca nel 1497 e di più altri libri, son piene delle lodi di questo illustre ministro, che ci viene in esse dipinto come uomo di raro ingegno, di profonda dottrina in ogni genere d’erudizione, di singolare prudenza nel maneggio degli affari, splendido protettore de’ letterati, e sempre intento a fornire l’università di Torino di esimii professori, e a premiarli ampiamente secondo il lor merito. Le quali notizie io ho estratte da un lungo ed esattissimo articolo intorno alla vita del Romagnano steso dal mentovato sig. baron Vernazza, e da lui stesso trasmessomi. Ma le guerre e la perdita di quasi tutti gli Stati, che ne venne in seguito, vietarono al duca Carlo III il continuare a dar prove della sua magnificenza. E nondimeno non lasciò di dar qualche saggio, come gli era possibile, dell’animo suo splendido e liberale; perciocchè avendogli Francesco Alessandri vercellese dedicato nell’an 1551 un libro intitolato Bivium, il duca dichiarò il padre di esso esente da ogni carico, finché [p. 119 modifica]PRIMO | 19 vìvesse. Così racconta lo stesso Alessandri innanzi al suo Trattato della Peste stampato in Torino nel 1586, ove aggiugne che avendo poi egli stesso dedicato nel 1565 al duca Emanuel Filiberto un’ altra sua Opera intitolata Apollo irradians, era stato da lui nominato suo consigliere e medico. Abbiam poc anzi accennato per qual maniera il detto Emanuele Filiberto figliuolo di Carlo III, uno de’ più gran principi e per valor militare e per senno, che mai avesse l’Italia, ricuperato il dominio trasmessogli da’ suoi maggiori, rientrasse finalmente ne' proprii suoi Stati, da quali era sì lungamente vissuto lontano. Or appena egli si vide fermo sul trono, che tosto rivolse l animo a procurare a’ suoi sudditi que’ vantaggi che dal coltivamento delle lettere e delle arti in lor si derivano. Vedremo nel capo seguente, ove ragioneremo dell università di Torino, ch egli prima nel Mondovì, ov’essa era stata trasportata, poi nella capitale suddetta, raccolse da ogni parte dottissimi professori, e assegnò loro assai lauti stipendii, fra quali Giambatista Girai di ebbe ogni anno 400 scudi d' oro. Perciò Pier Vettori, a cui avea il suddetto Giraldi dato ragguaglio di quel suo stabilimento, rispondendogli con sua lettera de 26 di giugno del 1564 loda altamente quel principe, e mostra il desiderio che avrebbe egli pure di colà trasferirsi, se troppo strettamente non fosse legato al suo sovrano: Contulisti enim te, dic egli, (Vict. Epist. l. 5, p. 122), ad Principem humanissimum, ac bonarum omnium arti uni cupidissimum (ut majores ejus et illustriores [p. 120 modifica]J20 LIBRO laudes nunc taceam). Quis enim nescit, ipsum undique ad se., magnis propositis prae.miis, do. ctissitnos quosque et honestissimos viros, atque ipsos omni amore ac bencvolentia prosequir. r ranciscum Ottonatimi.... gaudeo in honore esse apud istum optimum Principem, ac summum dot torimi hominum et aliqua ingenii laude florentium amatorem. Tu quoque laeto animo istic vive., et magnis istius regionis commodis libens fruere. Ego certe tibi affirmo, ac vere sincereque praedico, nisi aetas mea jam gravis impediret, ac si per Principem nostrum facere mihi liceret. cui deesse non possum nec debeo, me libenter ad istum consessum gregemque doctissimorum virorum, ad quem etiam invitatus sum, concursurum fuisse et aliis nonnullis de rebus, et ut uterer consuetudine multorum, qui in istis locis degunt, in sinuque atque oculis istius Principis sunt et amicorum et affinium hominum. In tal maniera Emanuel Filiberto si rendette non meno illustre in pace che in guerra; e come col suo valore rendette finalmente la tranquillità e la pace alla Savoia e al Piemonte, così colla sua munificenza fece in quelle provincie fiorire lietamente le scienze e le arti. Nel che egli fu poi felicemente seguito e imitato da Carlo Emanuele di lui figliuolo, di cui diremo nel secol seguente. XXXV. Un altro principato formossi nel corso di questo secolo in Italia, cioè quello di Massa e Carrara, di cui fu il primo principe Alberico Cibo Mala spina, figliuol di Lorenzo che ne fu il primo marchese, e nipote del cardinale Innocenzo arcivescovo di Genova morto nel i55o. [p. 121 modifica]PRIMO IJI Quest* ultimo figliuolo di Maddalena de Medici, sorella di Lorenzo il Magnifico, sembrò che da essa apprendesse quella regia magnificenza ch’era stata propria di Cosimo e di Lorenzo, e che in questo cardinale ancora fu uguale a quella de più splendidi principi. Più cose ne racconta il Ciaconio, seguito dagli altri scrittori delle Vite de’ cardinali; dai’ quali raccogliesi che come in ogni altro genere, così ancora nel proteggere e nel favorire i dotti ei profuse immensi tesori; che godeva sovente di trattar con lauti banchetti quanti erano in Roma uomini singolarmente celebri per sapere, e che molti ancora eran da lui mantenuti interamente a sue spese. L’esempio di un tale zio eccitò il principe Alberico a seguirne le traccie. Ei fu di professione guerriero; ma fra i rumori dell armi seppe coltivare ancora i tranquilli studj delle belle arti. A lui Paolo Manuzio dedicò i dieci libri delle sue Lettere latine; e nella lettera con cui glieli offre, rammenta il favore di cui è liberale verso degli uomini dotti, a quali non vuole che manchi nè agio nè onore alcuno, e la premura con cui desidera che le imprese degli uomini più famosi sien tramandate dalla lor penna alla memoria de’ posteri; e aggiugne di aver udito ancora Michele Bruto celebre storico di quell'età lodare al sommo il valore, l’ingegno e il senno di cui egli era fornito, lo studio a cui attendeva delle più nobili scienze, e la cortesia insieme e L'amabilità de’ costumi, che in lui tutti ammiravano. In qualche raccolta, mentovata dal Quadrio (Stor. della Poes. t. 2, p. 368), si trovano alcune [p. 122 modifica]'22 LIBRO rime di Alberico; e il detto scrittore aggiugne ch’ egli era ancor felice nella poesia latina. Altre notizie di questo principe si posson vedere presso il sig. Domenico Maria Manni (Sigilli t. 18, sig. 1), il quale ancor fa menzione di Caterina duchessa di Camerino di lui zia, che dagli scrittori di quei tempi è lodata per singolar perizia nelle lingue greca e latina, e di cui pure hannosi alcune rime (Qnailr. I. eit P• 263) (*>. XXXVI. Così non v’ era parte d1 Italia che ne’ suoi principi non avesse comunemente splendidi mecenati delle scienze e delle arti. A imi» tazion di essi, molti ancora de’ più potenti (*) Alle lodi di Alberico Cibo deesi aggiungere ciò che abbiam poscia in altro luogo avvertito, cioè ch’ei fu uno de primi a sospettare che il celebre Ciccarelli fosse nelle sue Genealogie un solenne impostore. l)i lui fa un bell elogio il Tasso nel suo Amadigi: Ed Alberigo, a cui Massa e Cari ava Portan di marmi in sen varia ricchezza, A cui non fu l’alma natura avara D’alta presenza e di vini belUzza 1 Cui fortuna e virtù diedero a gara Tutti que' doni, onde l' uom più si' apprezza,, Liberal, saggio, valoroso e forte, Atto a fai' schermo alla seconda morte. c. C, st. »7. « Del principe Alberico Cibo, e di altri di quer.la il» lustie famiglia coltivatori a un tempo e promotori dei buoni studi, si è più lungamente parlato nella Biblioteca modenese (t. 2, p. 36, ec.). Veggansi ancora le mie Riflessioni sugli scrittori genealogici, ove a lungo ho trattato delle arti con cui il Ciccarelli tentò, ma inutilmente, di aver questo principe a fautore delle sue imposture •>. [p. 123 modifica]PRIMO, a3 privati furono magnifici favoreggiatori degli eruditi, e io potrei qui tesserne una lunghissima serie. Dovrebber tra essi aver luogo il famoso generale Gianjacopo Trivulzi, uno de’ più illustri condottieri d armata che fiorissero al principio del secolo XVI, e morto nel 1518, di cui si legge che godeva spesso di andarsene anche in età avanzata alle pubbliche scuole ad udirvi or l’uno or l’altro de professori (Jovius Elog. Viror, bello ill. p. 228) (a), e l’altro celebre capitano Prospero Colonna che alla scienza militare congiunse V amore e il coltivamento delle bell’arti (ib. p. ^46); e più altri similmente venir nominando. Ma a non ¿stendermi troppo a lungo in sì vasto argomento, mi basterà il dire di tre famiglie che in questo secolo occuparmi singolarmente le penne de’ letterali, perchè in esse trovarono protezione, ricompensa ed onore alle loro fatiche. £ sia la prima quella de’ Davalos orionda dalla (a) Dee tra essi aver luogo Giaffredo Caroli nobile saluzzese, che dopo avere in più occasioni e in onorevoli ambasciate servito il suo principe, cioè Lodovico II marchese di Saluzzo, passato in Francia vi ebbe la dignità di presidente del senato di Grenoble, e poscia da Lodovico XII, nel tempo che fu signor di Milano, fatto presidente ancora di quel senato, l'eresi sempre conoscere splendido mecenate de’dotti per tal maniera, che quasi tutti i libri che di quel tempo ivi stamparonsi, furono a lui dedicati, e tutti son pieni delle lodi di Giaffredo, e della beneficenza d’ ogni maniera che spargeva su tutti i coltivatori de buoni studi, e del quale celebre personaggio più distinte notizie si avranno, io spero, un giorno, quando il ch. sig. Vincenzo Malacarne pubblicherà le sue Memorie de" Letterati saluzzeii. [p. 124 modifica]1 24 LIBRO Spagna, ma fin dal secolo precedente stabilita nel regno di Napoli. XXXVII. Ferdinando Francesco Davalos mar. chcsc di l’escara nato in Napoli, e marito della famosa Vittoria Colonna, di cui diremo nel ragionar de’ poeti, fino da’ primi anni diè saggio di tal valore, che giunse alle più ragguardevoli dignità militari, e parve voler uguagliar la gloria dei’ più gran capitani. La vittoria di Pavia del 1525, in cui il re Francesco fu fatto prigione, si dovette in gran parte al coraggio e al senno del marchese di l’escara. Ma essa gli fu fatale, perciocchè le molte ferite ch ei riportonne, e i disagi della guerra, il condussero a morte in Milano nello stesso anno 1525 nel più bel fiore della sua età, di cui contava appena 32 anni, o, secondo altri, 35. Molto in lui perdettero le armi Cesaree, ma molto ancora perdettero le lettere, delle quali egli era ad un tempo e coltivator diligente e magnifico protettore. La somiglianza, che in ciò era grandissima, tra lui e la sua moglie Vittoria, strinse sempre più il vicendevol vincolo coniugale, ed egli ne diè pruova alla moglie, quando fatto prigione nella battaglia di Ravenna nel 1512, scrisse in quel tempo alla moglie un Dialogo d’amore, che faceva testimonianza e del suo affetto per essa e dello studio da lui impiegato nell arte di scrivere con eleganza. Così ci assicurano tutti gli scrittori che ragionan di lui; ma io non so se tal libro abbia mai veduta la luce, nè trovo chi affermi di averlo avuto tra le mani. Egli morendo nominò erede Alfonso Davalos marchese del [p. 125 modifica]PRIMO | «j.*» Vasto suo cugino; e questi è a cui con più giusta ragione ci convien dare onorevol luogo tra mecenati della letteratura. Io non debbo qui riferirne le militari imprese, nelle quali egli ancora ottenne gran nome; ma debbo sol rappresentarlo qual egli fu verso de dotti. Il Giovio 2,el farne f elogio sembra sollevarsi sopra se stesso, e non aver parole che bastino a descriverne i pregi: Quonam honestissimo, così egli comincia (Elog. Viror, bello ill. p. 335), praecellentis et meritae laudis praeconio te ornare ri m, Alplionse Davale, idem mortalium formosissime, et fortissime Ducum, (¡ui cune tos scculi nostri triumphales Duces magnitudine animi et perpetuo immensae liberalitatis splendore superasti? Unde hoc unum tibi peculiare decus paucis concessum aut usurpatimi compararli y scilicet ut post devictos hostes humanitatis et pietatis fura tue ri, totius eie gantiae studia provehere, sublevare virtutem, ingenia fovere, et clementiae laude potiri, ncc obi ter (jucmquam, vel hostem, diu miserum esse pati condisceres Ma poichè il Giovio è scrittore i cui elogi si credon talvolta non troppo sinceri, veggiamo altre testimonianze che ancor più chiaramente ci mostrino il grande e liberale animo del marchese del Vasto, l’insaziabile sua avidità di esercitarsi negli studi ancor fra’l tumulto dell’armi. Luca Contile, che al principio del in.ji trovavasi alla corte di lui, mentre era governator di Milano, così ne scrive a’ 21 di gennaio del detto anno: Trovo nella Corte del gran Marchese del Vasto modestia et esemplarità di buona vita; nè ci si biastema, [p. 126 modifica]

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ne ci si giunca, nè ci sì vetld mala conili, zione.... trem è. che qui non ci si spera quelle dignità che conducono altrui a gradi superiori; imperò chi si contenta di poco ben di fortuna con molta soddisfazion di conscientia venga qui (Let. t. 1, p. 58). Non er;i però $sì tenue la fortuna di cui godevan coloro ch erano pel lor sapere stimati dal marchese del Vasto f e noi vedremo parlando di Giulio Cammillo, che questo splendido cavaliere gli assegnò lo stipendio annuale di 400 scudi, c 5oo gliene sborsò immantinente pel viaggio che allor dovea fare da Vigevano a Venezia. In un’altra lettera de’ 22 d’aprile dello stesso anno, Credami pure, scrive il Contile (ivi p. (69), che di questo Principe sono assai maggiori le virtù che le laudi. Anzi chi lo pratica, et per la beò lezza singolare del suo corpo, et per la gratia, che lo fa d aspetto divino, et per la naturale eloquenti a, onde niun da lui si parte mal soddisfatto, s' ingombra di tante idee la mente, di quante maraviglie escono da ogni sua attione in ogni tempo et in ogni luogo. In qual maniera poi si contenesse egli co’ letterati che avea alla sua corte, udiamolo da una lettera dello stesso Contile scritta a’9 di giugno del i5 ¡3 (ivi p. 90). Il Sig. Marchese del Vasto prende cotidiana consolazione di domandar hor uno, hor un altro, hor di hi storia ì hor di cosmographia, hor di S. Scrittura, et il più delle volte di poesia, dove egli ancora mostra bellissimo ingegno, come alcune sue cose ne ponno far testimonio. Di questi medesimi si prevale in mandargli a negoziare con diversi Principi tanto [p. 127 modifica]PRIMO J2» Ji cose di guerra, quanto ancora d altre necessarie occasioni. Nella schiera di costoro mi trovo io; per lo che non solamente ho tempo di studiare, et di conversare con i dotti, ma parimenti d imparare nei ragionamenti che ogni giorno dinante a tanto Principe si fanno. Qui si trova (Giulio Camillo, il Cavalier Vendramino il Quinzio, uomini, come si dice, della prima bossola dell’ età presente. Ma niuna cosa ci descrive più vivamente il cortese animo insieme e r avidità di studiare del marchese del Vasto, quanto una lettera di Girolamo Muzio in cui descrive il viaggio che con lui fece da Vigevano fino al Mondovì nel 1543: Dal partir nostro di Vigevano, dice (Lettere p. 6(5, ed. ven. 1600), infin che siamo arrivati qui al luogo delle faccende, il Sig. Marchese ha sempre havute le Muse in compagnia: et ha fatto infino a dodici sonetti, et una lettera di ben cento versi in rime sciolte per risposta di una mia; et ha costretto me a fare ogni giorno alcuna cosa. In cavalcando faceva come a gara, che egli ed io ci rimovevamo dalla compagnia: et come io haveva fatto un sonetto, così andava alla volta sua a recitarglielo, et il medesimo faceva egli con me facendomi chiamare. Poi come eravamo giunti la sera allo alloggiamento, io scriveva ciò chè io haveva composte il giorno, et glielo portava. Et egli di sua mano scrivea le cose sue, et o me le mandava, o le mi dava, come io andava a lui. Lo stesso Muzio ci dà altrove l idea della cortesia e della docilità di questo eroe, narrando che, venuto egli a ragionare con lui su certa [p. 128 modifica]» XXXVIII. Di diversi personaggi 1^8 LIBRO quistione, ed essendo il marchese di sentimento diverso dal suo, questi gli ordinò che stendesse in iscritto le sue ragioni, avvertendolo però in aria di scherzo, ch ei voleva star fisso nella sua opinione; ma non sì tosto ebbe lette una parte dello scritto del Muzio, che si diè vinto senza difficoltà (Avvertim. morali p. 64, ed. ven. 1572). E più altre lodi ei ne dice in diverse delle sue egloghe. Il suddetto viaggio però fu fatale al marchese; perciocché fanno seguente essendo ancora in Piemonte generale deiformi Cesaree, e venuto a battaglia contro de’ Francesi, vi fu sconfitto e ferito. A questa sventura un'altra peggior se ne aggiunse, cioè l accusa datagli presso l imperadore di soverchie gravezze imposte allo Stato di Milano, di cui era governatore, e il poco favorevole accoglimento che trovò alla corte imperiale, pel quale mal soddisfatto tornò a Vigevano, ove poscia morì l’ultimo di marzo del 1546 in età di soli 43 anni (V. Giovio Lettere p. 19, ed. ven. 1560). Il co. Mazzucchelli ci ha datomi esatto catalogo delle molte Rime che qua e là se ne leggono sparse in diverse raccolte, e insiem le notizie di alcune medaglie in onor di esso coniate (Scritt. it. t. 1, par. 2, p. 1222). Giovanni Tosi, di cui direm tra gli storici, avea scritta la Vita d Alfonso. Ma questa non ha mai veduta la luce, e di un uomo sì benemerito degli studi poche notizie ci sarebbon rimaste, se gli scrittori poc’anzi citati non ce n avessero fatto nelle lor lettere i riferiti elogi. XXXVIII. Nello stesso regno di Napoli, ov era stabilita la casa del marchese del Vasto, [p. 129 modifica]\ PRIMO |;*j fioriva in questo secolo per gloria nel coltivare non meno che nel fomentare gli studi la nobilissima famiglia degli Acquaviva duchi d’Atri. Di questi io dirò assai brevemente, perchè le notizie intorno ad essi si posson vedere diligentemente raccolte ed illustrate dall eruditiss co. Mazzucchelli (t 1,par. 1,p. 118, ec.) (a). Andrea Matteo e Belisario figliuoli amendue di Giulio Antonio, e amendue morti nello stesso an 1528, debbon aver luogo tra più splendidi mecenati della letteratura di quel regno. Le opere dedicate al primo da Alessandro di Alessandro, da Gioviano Pontano e da Pietro Summonte, e le lodi di cui l’onorarono ne’loro scritti il Sannazzarro, il Minturno, il Toscano, il Latomio e più altri, ne fanno sicura testimonianza. Per agevolare vie maggiormente gli studi, egli giunse ad erigere nel suo proprio palazzo una stamperia, e vuolsi ancora che la soverchia liberalità recasse qualche sconcerto allo stato della famiglia. Non minori sono gli elogi che veggiam fatti di Belisario dal suddetto Pontano, della cui Accademia fu uno de’ più solleciti frequentatori, dal Cariteo, da Antonio Ferrari, da (<;) Di questi e di altri illustri personaggi della nobilissima famiglia Acquaviva copiose e diligenti notizie ba pubblicate dopo la prima edizione di quest’ Opera l’eruditissimo P. Eustachio d’Afflitto dell’Ordine <le’ Predicatori (Memor. degli Scritl. napolet. t. j, p. 3y,ec.); e ha in esse corretti parecchi errori commessi dal co. Mazzucchelii e da altri. Deesi fra le alti e correggere l’anno della morte di Andrea Matteo, che non iu l’anno i52&, ma il seguente. ÍJIUIAmjii* Tìuàboschi, Fol X. 9 [p. 130 modifica]l3o / LIBRO monsig. della Casa e da più altri eruditi di qUe{. I1 età, co’ quali ebbe e amicizia e commercio di lettere. l)i amendue ci son rimaste alcune opere, delle quali ci ha dato il catalogo il mentovato co. Mazzucchelli. Giovanni Girolamo, nj. potè di Andrea Matteo e fratello del P. Claudio generale della Compagnia di Gesù, fu egli ancora avuto in conto d uom dotto e assai versato nelle lingue greca e latina; e ne abbiamo fra le altre pruove una lettera a lui scritta,, nel 1567 da Pier Vettori, in cui ne dice gran lodi, perchè alla gloria militare congiunge gli studi della filosofia e delle belle arti, e colla munificenza li va fomentando in altrui. E sommamente ancora glorioso all’Acquaviva è il ragguaglio con cui Traiano Boccalini finge ch’ei fosse con grandi elogi ricevuto in Parnaso (cent. 2, ragg. 85). Finalmente Ottavio arcivescovo di Napoli e cardinale, figliuolo di Giangirolamo, dovette le onorevoli dignità alle quali fu sollevato, non alla sua illustre nascita solamente, ma più ancora al profondo studio da lui fatto nel Diritto civile e canonico e nella sacra teologia, di cui ancora diè saggio riducendo in compendio in due tomi scritti di sua propria mano la Somma di S. Tommaso, la qual opera però non ha mai veduta la luce. XXXIX. Ma fra tutte le private famiglie d’Italia che nel promuovere e nel fomentare la scienze ottennero gloriosa fama, di niuna ho io trovata più frequente menzione presso gli eruditi scrittori di questo secolo che di una, nel ragionar della quale io godo di poter rendere senza taccia di adulazione un sincero [p. 131 modifica]f RIMO,3, ^testato di riconoscenza e di stima ad essa non meno che a questa città di Modena, di cui essa è uno de più ragguardevoli ornamenti. parlo della nobilissima famiglia de’ Rangoni di cui abbiamo altrove veduto in qual fiore ella fosse fin dal secolo XIII (t. p- 382) (a). Viveva al fine del secolo xv il co Niccolò Rangone figliuolo del co Guido; e benchè egli, com eran quasi tutti a quel tempo i più nobili tra gl Italiani, fosse uomo di guerra. il veggiamo ciò non ostante lodato come splendido protettore de dotti, e de poeti singolarmente. Ermi co Cajado portoghese, che studiava allora in Bologna, ove nei 15o i diede alle stampe le sue Poesie latine 7 oltre un epigramma con cui il descrive nell’atteggiamento di premere il dorso a un generoso destriero (Epigr l 1), a lui volle dedicare il libro secondo delle suddette Poesie, sul principio del quale volgendosi a’ suoi versi, così lor dice in lode del co Niccolò: Non penitus vobis l'autore?, carmina, desunt. Supplice Rangoni faudite corde preces. Nam fovet ingenia, et vatum miratur' acumen, Et multum vobis numinis esse putat. Sunt etiam dulces coelestia pignora nati, Quales crediderim vix genuisse Jovem. Inter quos Guido fratrum pulcherrimus hausit E nostro vates flumine factus aquas. Ite igitur, placidi nec Principis ora timete; Continget vestrae nulla repulsa preci. (a) Di lutti questi c di più altri personaggi di quella illustre famiglia si soii prodotte anche più copioso notizie nella Biblioteca modenese (t. 1, p. zi i, cc.). [p. 132 modifica]i3a li ouo losicrn col padre veggiam qui lodati i figli cj,c gli ebbe da Bianca Bentivoglia sua moglie, e sopra tutti Guido. In fatti la gloria dal co Niccolò acquistata nel protegger le lettere servì di stimolo a’ figliuoli di esso per seguirne gli esempii, ed essi li seguirono in modo, che non solo uguagliarono, ma superarono ancora la gloria del padre (*). Otto essi furono, Annibale che fu poi capitano delle guardie pontificie, Francesco, Guido, Alessandro, Ercole poi cardinale, Lodovico, Antonio Galeazzo e Girolamo. Due di questi veggiam sopra gli altri lodati dagli scrittori di quei tempi, il co Guido e il cardinale Ercole, e di ciascheduno perciò dobbiam qui dire partitamente. Ma prima di parlar dei’ figli, non deesi passare sotto silenzio un fatto particolar della madre, alla quale possiamo dir con ragione che si dovesse in gran parte la salvezza del cardinale Giovanni de’ Medici, che fu poi Leon X, e quindi il vantaggio che da lui riceveron le lettere. Narra adunque il Ban(*) Un bel monumento della sollecitudine con cui il co. Niccolò Rangone faceva istruir nelle lettere la numerosa sua figliuolanza, abbiamo in un rarissimo opuscolo di Antonio Maria Visdomini, stampato in Bologna nell'anno i5oo, e intitolato: Dialogus Antonii Mariae yiidornini de Odo et Sybillis. Esso è un dialogo in cui s’introducono a ragionare Biagio cancelliere del conte Niccolò allora generale de’ Bolognesi, Guido, Annibale e Ginevra figli del detto conte, e il Visdomini loro maestro. Vi si parla della premura che il padre nvcu perchè fossero ben ammaestrati i suoi figli, si riferiscono alcune lor lettere e alcune lor poesie latine, e fra le altre un epigramma di Ginevra, di cui si dire che avea -sempre in mano il Petrarca. [p. 133 modifica]PRIMO,33 dello scrittoi- di que' tempi, e in tali cose degno di fede (£.3, nov. 34), die quando il Cardinal Giovanni fatto prigione nella battaglia di Ravenna l’anno i5ia fuggì poscia dalle lor mani, sen venne a Modena solo e sprovveduto di ogni cosa; e che andatosene direttamente al palazzo de’ conti Rangoni, non solo fu accolto cortesemente da Bianca, ma da essa ancora fu prontamente provveduto di vesti, di denari, di cavalli, di muli e di un bello e copioso vasellame d’argento. E ben mostrossi poscia Leone grato a sì splendida benefattrice, sollevando a ragguardevoli cariche parecchi figli della medesima. XL. Tutti gli storici di questo secolo son pieni delle militari imprese del co Guido che fu uno de più celebri capitani de’ tempi suoi. Degna è d’esser letta fra le altre cose la dedica che nel 1521 a lui fece Tommaso il Filologo da Ravenna del suo opuscolo De optìma homimimfelicitate; nella quale raccoglie in breve le cose da lui in guerra operate fino a quel tempo, essendo condottiero prima de’ Bolognesi in assai tenera età, indi de’ Veneziani, poscia dei’ Fiorentini, e finalmente del pontef Leon X; accenna le molte vittorie da lui riportate; la guerra fatta nel ducato d’Urbino contro il duca Francesco Maria; Fermo e Rieti liberate con poche truppe dallo stretto assedio, di cui cingeale il numeroso esercito degli Spagnuoli; e più altre somiglianti imprese che non è di quest’opera il rammentare. Ei passò poscia al servigio del re di Francia Francesco I, da cui Fanno 153G fu nominato capitan generale [p. 134 modifica]134 LfSRO delle sue truppe in Italia; e abbiamo una lettera a lui scritta a 20 di novembre di questo anno da Pietro Aretino, nella quale con lui si rallegra del nuovo onor concedutogli (l. \ f p. 61). Ma poco tempo ei ne godette; perciocchè mandato dal re a Venezia nel 1537 per distogliere i Veneziani dall’ amicizia di Cesare, mentre questi si adoperavano ad allettare al) loro servigio un general sì famoso, ei venne ivi a morire, e fu con sommo onore sepolto nella chiesa de’ SS. Giovanni e Paolo. Una medaglia coniata in onore di questo gran capitano si ha nel Museo Mazzucchelliano (t 1, p. 284). Girolamo Muzio in una sua lettera accenna le molte medaglie del Conte Guido Rangoni fatte dal Cavalierino (Lettere^p. 178), nome, com io credo, di artefice modenese. E veramente era degnissimo il co Guido di tali onori, non solo pel valore militare, ma anche per rumor delle scienze. Il Filologo, nella dedicatoria poc’ anzi citata, afferma che niuno vi era il quale in liberalità e in munificenza lo sorpassasse; che la casa e le ricchezze di lui eran quasi pubbliche e comuni a tutti gli uomini (dotti; e ch era ancora egregiamente istruito in tutte le scienze, e principalmente nella’astronomia; nel che però seguì egli ancora il comun pregiudizio di quella età, credendo che le stelle presaghe fossero del futuro. La stima ch’ egli avea degli uomini dotti, fece ch’ ei prendesse a suo segretario Bernardo Tasso, che lungamente il servì, e abbiam molte lettere da lui scritte in nome del suo padrone. Egli stesso però non abbisognava di altri a tal fino, cd [p. 135 modifica]PRIMO 135 avea nel dettarle facilità ed eloquenza non ordinaria. Egli è certo y dice Pietro Aretino scrivendo a Scipio Costanzo intorno allo scriver lettere, che il gran Guido Rangone recolenda memoria valse assai in dettarle; et anche il Conte Lodovico fratello suo è di molta eloquentia in ciò (Lett. l. 2, p. 48). Queste lodi in bocca dell’Aretino potrebbon parer sospette, poichè veggiam che il co Guido non sol ’ onorava talvolta con sue lettere (Lettere all’ Aretino, t. 1, p. 234), ma ancor con doni, come diremo tra poco. Testimonio assai più degno di fede ne abbiamo nella lettera dedicatoria con cui Giglio Giraldi gli offre il sesto de’ suoi Dialoghi sulla Storia de’ Poeti. Ella è troppo lunga per essere qui inserita. E io ne recherò solo quel tratto che appartiene agli studi, lasciando ciò che spetta alla guerra nè spiacerà, io spero, a chi legge, ch’ io il riporti nel suo originale latino. Sed incredibili % quaedam ingerii i tui vis ac magnitudo nec disciplinam nec usum tam multum desiderabat; ita enim tibi partim comparaveras a peritis percontando, partirli in rebus gestis et libris legendis, partim et quotidiana et assidua quadam exercitatione. Nam cum primum domo profectus es y literarum et rei militaris rudis non fuisti: adhuc enim pene infans cum armis literas, libros et stilum cum equis et hastis contulisti, tantumque proferisti, ut longe post te aequales reliqueris. Quid nunc dicam de carminibus abs te in adolescentia compositis? quid de mira illa tua in perscribendis quotidiani sermonis epistolis elegantia? qua non modo tui [p. 136 modifica]«36 Muro ordìnis virìs, sed et qui eam studiosissime, pmfi tentar industriara, scribis, a secretis et epti stolis vocatis, longe antecellis. Memini Leonem X et deinde Clementem VII. Pontifices Máximos y qrwties in eorum manus tuae Iti terae pervcnircnt, id constantissime affirmare solitos. Quid vero de astrorum peritia? qUa ita tu stellarum vel trajectiones vel concursus percalles, ut si quid modo ex iis praevideri possit, tu longe, antequam fiant, futura praevideas. Rerum etiam divinam quamdam memoriam semper habuisti; quam in TItemi stock singulärem finisse scribit M. Cicero, eumque propterea inter Graecos duces principem ponit.... Sed numquid sunt aliis ista minora f quae ipse tantum attingo munificentia ac liberalitas? Quis a te umquam quocumque ille virtutis genere ornatus, indonatus abivit? Illud de te verissime dicere ac praedicare possumus. nullum te umquam diem perdidisse. Fin qui il Gi ral di. XLI. La moglie del co Guido, Argentina . Pallavicina, sembrava gareggiar col marito nella ' liberalità verso i dotti. Pietro Aretino, a cui, direi quasi per una fatal cecità, tutti i grandi di quel secolo faceano gran doni, mostra in una sua lettera ad essa scritta a 22 di maggio del 1537 quanti e da lei e dal co Guido ne avesse avuti. Perciocchè, dopo averle rendute grazie di uno scatolino con una medaglia d’oro e 24 puntali simili a quelli che già aveagli recati di Francia il suddetto co Guido, così continua: quanto è, ch' io le ebbi le due vesti di seta, che vi spogliaste il dì, che ve le metteste? quanto è, che [p. 137 modifica]PRIMO jpi daste i velluti d'oro, e le ricchissime maniche, (la bellissima cuffia? quanto è, che mi mandaste i dieci, e dieci, ed otto scudi? quanto è, (che mi faceste porre il Tribbiano nella cantina? quanto è, che mi accomodaste dei fazzoletti lavorati? quanto è, che mi poneste in dito la turchina? Sei mesi sono. anzi non pur quattro Presso a’ dieci anni siete vissi qui con una spesa di maschii e di femmine, ed a Mestre con una di genti e di cavalli, che avrebbe vuoto il mar d acqua, non che le vostre borse di denari. Ma è pur vero, che Iddio è thesauriero de larghi spenditori, ed è pur chiaro, che la virtù e la fede ha con letizia vostra spinto il gran Guido al Cielo (l. i, />. ioa). In altra lettera de 30 novembre del 1537 dice che non le scrive per renderle grazie del dono avuto la sera innanzi, nè per sollecitarla a mandargli quell'altro ch'ella aveagli apparecchiato; ma per rallegrarsi con lei e col co Guido delle nozze da essi fatte di Bianca Rangona Collalta loro nipote col co Gianfrancesco da Bagno (ivi, p. 209). Due altre lettere abbiamo a lei scritte dall’Aretino nello stesso anno (ivi, p. 230, 256), nella seconda delle quali le dedica la sua commedia intitolata il Marescalco, dono, a dir vero, mal conveniente a saggia ed onesta dama, qual ella era. Questa liberalità a favore dell’Aretino era certamente mal impiegata, ma essa pruova l’animo generoso di Argentina e del co Guido, di cui solo dobbiam dolerci che non fosse rivolto a migliore oggetto. Una medaglia in onor di essa coniata si vede nel Museo del co Mazzucchelli (t. 1, p. 179) [p. 138 modifica]XMI. 0.1 < i< rdi il al Eiwlf frai*■!!o.lei ni. Guido. »38 U13R0 Il Quadrio l’annovera tra le limatrici, « eli’ ella ebbe cognizione di molte scienze, ma che dilettossi singolarmente della bottanica e della poesia (/.?-,p- 228). Mi giova il credere che non abbia ciò asserito senza l'autorità di .scrittori degni di fede. A me non è avvenuto di trovarne poesia alcuna; e sol ne ho veduta una lettera scritta a un M. P. F., ch’io non so chi sia (Lettere di diversi racc. da Curzio Troiano, p. 66). Io trovo però, che il Sansovino la dice Signora celeberrima per molte sue doti singulari perciocchè essendo di gravissimo giudizio et prudentissimo nel governo, fu anche molto eccellente nell intelligenza delle cose del Mondo, con migravi glia dell’ età sua, onde perciò fu esaltata dagli Scrittori, come rarissima d'ingegno, et liberale, a benemeriti (Orig. delle Case ill. d Ital! p. 90) (*). XLI1. Del Cardinal Ercole ci ha lasciata onorevol memoria in più luoghi delle sue opere il poc’anzi mentovato Giraldi, c he lo aveva avuto a suo scolaro, ed eragli per qualche tempo vissuto in corte (praef ad Syntagma 4, de Diis.). Egli afferma che questo giovane cardinale era sempre stato splendido benefattore di tutti gli uomini dotti (praef. ad Vit Herc.), tra quali alcuni de più doti, oltre lo stesso Giraldi, aveagli dati a maestri Bianca sua madre. A lui egli dedica il primo de' suoi Dialoghi sopra i Poeti del suo tempo, e loda la cognizione ch’esso avea non (+) Un bellissimo elogio ili Argentina Pallavicina moglie del co. Guido Raugone si puiS vedere presso il Retassi (Addiz. alle Donne Ut. dii Doeacc. p.?o6). [p. 139 modifica]PRIMO |3y I jo'i «le’ poeti presenti, ma degli antichi ancora, Ial principio del dialogo stesso fa ancora uu i giusto elogio de' due fratelli di esso, cioè di Lodovico, di cui ora diremo, e di Alessandro fhe daini ivi è introdotto a ragionare, e lodato come uomo nella milizia non meno che nelle lettere illustre. Ercole fu onorato della porpora (da Leon X nel 1517. Ma dieci anni appresso, dopo forribil sacco di Roma, mentre stavasi insieme col papa racchiuso in Castel S. Angelo, in età ancor fresca finì di vivere. Qual fosse il dolore che sentì il Giraldi per tal morte, e quali speranze da essa venisser troncate, udiamolo dallo stesso Giraldi che così sfoga il suo rammarico scrivendo ad Antonio Tebaldeo: Unus praeterea serae solatia vitae Restabat Rhango, Rhango clarissimus inter Purpureos patres juvenis, sanctumque senatum, Quem mihi jam pridem puerum mandarat alendum Mater; tunc juvenem senior comes usque sequebar. Me jubet ille bono esse animo, citoque affore tempus, Quo laeteris, ait, mutataque fata videbis. His me necquicquam dictis solabar amicis, Nescius ah! juvenem quam tristia fata manerent. Ecce autem ardentes torret cum.Sirius agros Coecis coeca urit sensim praecordia febris Ignibus, interiusque ardens depascitur artus. Occidis in media Rhango surrepte juventa, Occidis o patrum magnum pater incrementum. O vanas hominum spes! o hominum irrita vota! Ocia qui modo spondebas, melioraque vitae Tempora, nunc lacrymas tantum et suspiria linquis, Rhango, mihi, et serae tantum dispendia vitae. Aeternum vero salve mihi, maxime Rhango, Aeternumque vale: probibet sors plura datnnim. Op. t. 2, p. 917, cd. Lugd. Balav. 169(1. Nè fu solo il Giraldi a lodar per tal modo il [p. 140 modifica]

  • 4° LIBRO

Cardinal Ercole. Un bellissimo elogio ce ne ha lasciato il Vida nella sua Poetica, non qual essa si ha alle stampe, ma quale era stata prima da lui composta, e qual si legge in un bellissimo codice che è presso il ch sig baron Vernazza in Torino. Ivi nei libro II dopo il verso 238, secondo l’edizion Cominiana, così siegue lodando non solo quel cardinale, ma gli altri di lui fratelli non men di esso famosi. Salve magna parens frugum Saturnia tellus, Clara olim, sed nunc externis addita sceptris. Atque ego qui potero gratus, si quando sinet res, Quidquid agam, quodcumque canam, non Herculis esse Rangonis memor, et laudum meminisse tuarum, O praestans animi juvenis, spcs maxima vatum! Tu magnum mihi concilias ultro ipse Leonem: Ocia tu mihi l'ecisti; me spernere vulgi Insanas curas, atque impia vota dedisti Contentum parvo ob Musas, modicoque beatum. Quid tibi pro meritis, tantis pro laudibus optem? Dii coelum meriti vestris virtutibus olim Sydereas sedes et lucida templa tenentes, Hunc juvenem una omnes cunctis arcete periclis, Atque illi in terris dantem orbi jura Leonem Incolumem servate diu, fra treni qu e Leonis Vatum praesidium angustis in rebus Iulum, Quorum ope purpureo caput ille insignìit ostro Romanos inter patres sacri inique Senatum. Hoc primum; tu ni maguanimos decora alta Latini Nominis aspiciat fratres socia arma secutos Laurenti Medicis post bella exhausta reverti Quadrijugis omnes in equis, insignibus omnes Velatos pariter lauri capita alta coronis, Guidumque, Annibalumque, et spem virtutis avitae Ludovicum, acres si se se Martis in artes Tradi deri t puer, et duris assueverit armis. [p. 141 modifica]PRIMO 1 4 1 XLIII Potrebbe qui ancora aver luogo il co Lodovico fratello de due or mentovati; perciocchè ed egli e Barbara Pallavicina sua moglie, da cui egli e i suoi discendenti ebbero il feudo di Roccabianca, onorarono della lor protezione, e furono liberali de’ loro doni all’Aretino (V. Aretino, Lett. I. i, />. 78} l. 2, p. 248, 279; l. 3, p. 330, 357; l. 5, p. 234 l 6, p 35; Lett. all Aret. t. 1, p. 314)? seguendo il pregiudizio comune a’ grandi di quell età. E potrebbesi pur nominare l’altro loro fratello Annibale, in lode del quale, oltre un cattivo sonetto di Girolamo Casio (Epitafii, p. 18), abbiamo un bell elogio del Vida nel poc’anzi mentovato codice della sua Poetica, il quale, perchè manca nell’edizioni, non sarà, cred’io, discaro a chi legge, ch’io qui il riporti. Esso è al l 1, dopo il verso 397 dell’edizione Cominiana: At secus Annibali Rangonum e gente vetusta Evenit nam cum puer olim aceensus a more in M usarti m solimi co'cret sanctosque poetas, Hanc unam ob causam belli se vertit ad artes, Unde pedem mox non longum detentum in aevum Rettulit. Arma placent, Martisque ante omnia curae, Quamvis Pieridum irriguos accedere l’onles Interdum juvat, et sacris requiescere in antris. Nec fuit omnino vobis non utile Musae, Esset ut imbelles vates aliquando piosque, Qui justis ultro praesens defenderet armis. Quod si forte Leo, late qui praesidet orbi, Egregias iras Turcam convertat in hostem, Hic juvenis quantas strages, quae funera campis Externis dabit Ausonio late agmine septus! Quae quondam nostri vates facta inclyta fama Una omnes paribus studis aequare canendo Contendent. Nil non illo promittitur ense. [p. 142 modifica]I-H LIBRO Ma più (li essi sono celebri nelle opere degli eruditi due loro sorelle, e figlie esse pure del co Niccolò e di Bianca Bentivoglio, cioè Costanza e Ginevra. Costanza fu moglie dapprima dal co Tommaso Calcagnini nipote del celebre Celio. che a lui scrivendo gli mostra quanto debba sperar dal pontefice per mezzo de tre suoi cognati, il co Guido general delle truppe del papa, il co Annibale capitan delle guardie, e il cardinale Ercole (Epist. Quaest. l. 3, p. 41 Op. ed. Basii. i544)* Dopo la morte del co Tommaso ella passò alle seconde nozze con Cesare Fregoso genovese, generale prima de Veneziani e poscia di Francesco I re di Francia, il quale l’an 1541 mentre andava sul Po a Venezia, sorpreso da uomini sconosciuti, che si crederono spediti dal marchese del Vasto generale di Cesare, fu da essi barbaramente trucidato (Murai. Ann. Aitai. ail an. 1541)■ Costanza allor credendosi forse non ben sicura, fuggissene in Francia, come raccogliamo da un epigramma di Giulio Cesare Scaligero: Tu quoque divini post impia fata mariti, Impia, quae poterant tollere ab orbe Deos, Alpigenas profugo superans pede protinus arces i Barbaricas te isto pectore ferre nives?) Insolito domitans infamia fata labore Fortunam aggressa es velle docere, quid est. Carm, t. 1, p. 506, ed. 1591. Nè è questo il sol passo in cui lo Scaligero parli di Costanza con molta lode. Molte sono le poesie da lui composte per encomiarla, e molte quelle che volle a lei dedicare (ib. p. 09, [p. 143 modifica]PRIMO |d3 ,,3, 224, 289), e negli Epigrammi da lui scritti per esaltare le più celebri eroine, uno ne ha in onor di Costanza (ib. p. 359). Più sovente ancora ne fa menzione il Bandello. Fin quando ella era in Verona nella casa del secondo suo marito, ov egli sbandito da Genova erasi ritirato, egli si stava con lei, e con lei pure fuggissene in Francia, ove il re Arrigo II, per premiare in lui i servigi di Cesare insieme e di Costanza, gli diede nel 1550 il vescovado di Agen, riservando però la metà delle rendite per Ettore Fregoso loro figliuol primogenito, allor fanciullo (V. Mazzucch. Scritt. ital. t 2, par. 1, p. 202). Ivi dunque visse lungamente Costanza, e molte infatti delle novelle del suddetto Bandello si veggono innanzi ad essa narrate, e dalle medesime raccogliamo che la casa di essa era di continuo frequentata da uomini dotti che insieme con lei passavano i giorni in eruditi e piacevoli ragionamenti (V. Novell, t. 2, nov. 24 29, 32, 33, 37;. Ma sembra poi, ch’ ella passasse a Padova, come raccogliamo dalla Vita di Vincenzo Pinelli scritta da Paolo Gualdo. Ginevra Rangona sorella di Costanza fu moglie dapprima di Giangaleazzo figlio del celebre Niccolò di Correggio, poscia in seconde nozze di Luigi Gonzaga marchese di Castiglione, e padre di D. Ferrante, come raccogliamo da due novelle del sopraccitato Bandello (t. 1, nov. 58; t 2, nov. 8), e da un’ altra (t 2, nov. 15), in cui nominando il co Guido di lei fratello lo dice cognato del suddetto marchese Luigi. Ella ancora fu posta da Giulio Cesare Scaligero nel numero delle [p. 144 modifica]144 Mimo eroine con questo epigramma, in cui la pone(. a confronto del gran Guido suo fratello: Cum gemino excellens proles Rangonia sexu Fxaequet magni semina cuncta Dei, Incertum est, ingens Diva (frater ne sorore, An fiat magli « maxima fratre soror. Carm. t. 1, p. 367. Tra le Lettere da molti signori scritte a Pietro Aretino due ne abbiamo di Ginevra del 1537 colle quali accompagna certi doni che in nome suo e di suo marito gli manda, aggiugnendo che ha voluto ella stessa aggiugnervi il lavoro delle sue mani, ed essi sono due camise lavorate d oro, et di seta cremisina luna, laltra di seta turchina, et un paro di calze di seta bianca con oro di sopra (Lettere all Are 1.1 i, p, 344)• Ir« tal maniera l’ amor delle lettere e la munificenza verso i loro coltivatori fu dal co Niccolò comunicata alla numerosa sua prole, che in più parti d’Italia e di Francia ne diede copiose pruove. XLIV. Al tempo stesso il co Claudio Rangone e la contessa Lucrezia di lui moglie figlia di Lodovico Pico della Mirandola e di Francesca Trivulzia, ottennero per le ragioni medesime la stima e le lodi degli eruditi. Del co Claudio abbiam cinque lettere all’Aretino, le quali ci mostrano che questi mandava al conte le sue opere; ch’ egli le gradiva assai; e che in ricompensa mandavagli botti di vino, e ciò, come colui arditamente esigeva, col dazio arcipagatissimo (ivi p. 46, ec.). Tra le Lettere dell’Aretino ne abbiamo una a lui scritta (Aret. Lett. l. 1, p. 35). Pruova ancora più certa del favore [p. 145 modifica]PRIMO 1^5 Ji cui il conte Claudio era liberale a’ dotti, abbiam nella dedica dal Bandello a lui fatta di una delle sue Novelle (t. 1, nov. 43), in cui racconta di se medesimo, ch essendo ito in Milano a desinare con lui, vi trovò ancora Bernardo Tasso, e che tutto quel tempo fu da essi impiegato in ragionar della poesia italiana, de’ quali discorsi provava il conte piacer singolare. Un bell’ elogio inolil e ne abbiamo in una lettera a lui scritta dal cardinale Sadoleto in risposta alla congratulazione del conte per l’onor della porpora a lui conferito; in cui gli scrive che avendolo conosciuto fino dai’ primi anni, e avendo scorte in lui fin d" allora quelle rare doti d’animo e d’ingegno da cui poscia eran nati sì copiosi frutti, l’aveva sempre amato non meno che rispettato assai (Epist. t. 2,p. 463, ed. Rom.). Piene ancora di elogi sono le lettere a lui scritte da Bernardo Tasso (fì. Fassa, Lc.tt. t. 1, p. 60, 62, 66, 69, 74 80, 86, ec. ed. comin.), le quali ci mostrano che questi inviava i suoi componimenti al co Claudio, quasi ad ottimo giudice, e che il conte era con lui sì liberale di doni, che il Tasso medesimo credette di dover por freno a sì grande munificenza. Nella lettera di Girolamo Muzio, poc anzi citata nel ragionare del co Guido, si fa menzion del sepolcro del co Claudio, che or si vede nella chiesa parrocchial di s Giorgio detta già di S. Francesco, e ad essa dobbiam la notizia ch esso fu opera di Giulio Romano; perciocchè dopo aver accennate le molte medaglie in onore del primo coniate dal Cavallerino, soggiugne: et la bellissima Tiraboschi, Voi X. 10 [p. 146 modifica]^4® libro sepoltura del Conte Claudio ordinata da Giulio Romano. Di Lucrezia di lui moglie, oltre una lettera a lei scritta da Vincenzo Martelli (Ect~ tere di XIII Uomini ili. Veri. i564, Aggiunta p. 22), troviam più distinta menzione in tre lettere di Girolamo Muzio (Muzio, Lett. p.96, 117, 120, ed. Fir. 1590), nelle quali la esorta alla pietà cristiana, e sembra temere ch ella non si lasci avvolgere nelle recenti eresie, e accenna il nimico ch’ ella ha in casa; colle quali parole allude per avventura ad alcuno di religione non ben sicura ch ella avea al suo servigio. L' ultima però delle accennate lettere ci dimostra ch’ essa stava ferma nella sua fede; perciocchè il Muzio così le scrive: Dolgomi di haver con la lettera mia turbato l animo vostro, et mi allegro della cagi'on di ud turbazione, la quale a voi non può essere se non di merito appresso Dio; dappoichè vi duole, che altri abbia da dubitare che voi siate fuori del grembo della Cattolica Chiesa, la quale è ferma colonna et fondamento della verità. Queste lettere appartengono al 1545, e sei anni appresso morì Lucrezia, come ricavasi dalla lettera di condoglianza che Paolo Sadoleto ne scrisse al co Fulvio di lei figliuolo (Appen, ad Epist Jac. Sadol. p. 262, ed. rom. 1767). Questi ancora e Claudia di lei sorella non debbon qui essere ommessi. Del co Fulvio, quando era ancora in assai tenera età, scrive Vincenzo Martelli in una lettera a lui indirizzata (Lett, di XIII Uomini ill. Agg. p. 10), ch'egli avea già risvegliata sì grande aspettazione di se medesimo, che se tutti gli altri giovani [p. 147 modifica]I RIMO 1^7 fossero a lui uguali, ciò renderebbe Modena troppo superiore a tutte le altre città; ejàcnche ella sia piena di rari spiriti, e di nobilissimi intelletti, non è però a credere che ella sia piena di miracoli. Egli ebbe a suo maestro il famoso Siconio, come di lui parlando vedremo 5 e al valor del maestro, e all’aspettazione che dava il discepolo, ben corrispose il successo: Viene il Signor Conte Fulvio Rangone, scrivea nel 1560 Luca Contile (Lctt. I. a, p 2'j5), mandato Ambasciadore a Sua Cesarea Maestà dal Sig. Duca di Ferrara. È egli molto mio amico, et gentilhuomo di valore, di dottrina, di cavalleria, et giovane insomina di rara riputazione. E similmente Torquato Tasso parlando degli uomini illustri adoperati dal duca Alfonso II nelle ambasciate, ove lascerò, dice (Il Messaggero, Op. t 3, p. 25, ed. Fir. 1724), il Signor Conte Fulvio Rangone, che ha pochi paragoni nelle lettere y e nell' acutezza, e nella maniera del negoziare, e pochi nella nobiltà e nello splendor della vita. Degno ancor d’esser letto è l’elogio che ne ha inserito nella sua Cronaca ms. di Modena Francesco Panini, ove, dopo aver detto a lungo de’ meriti grandi di questo cavaliere e degli onori da lui ottenuti, aggiugne: Ma non men riverito è da tutti i Letterati, de' quali egli come versato in ogni sorte di belle lettere è ottimo padrone. Tra l'altre virtù, ch io soglio ammirare et lodare in questo Signore, è l acutezza del giudizio, et la grandezza dell' eloquenza, che in lui si scuopre così nel dire, come nel scrivere, nella quale può latito, che [p. 148 modifica]>48 LIBRO ragionevolmente io credo li scritti suoi in Hnguag/taliaria non potersi agguagliare a quelli di qualsivoglia dotto e eloquente Oratore, de nostri tempi Et io se in questa parte valessi, come non vaglio, qualche poco, mi potrei gloriare di haver havuto un tanto maestro nel tempo che ancora giovanetto stetti appresso a questo virtuosissimo Signore. Più celebre ancora fu Claudia maritata con Giberto da Coreggio. Grandi sono le lodi che di essa ci dicono Vincenzo Martelli (l. c.p. 13), Luca Contile (l. c. p. 325), Marcantonio Piccolomini (Lettere volgari di diversi, l. 3, p. 190, Ven. i5(54) y Kinaldo Corso (Lettere facete di diversi, l-2,p. 261, Ven. 1601) e Dionigi Atanagi nell’ atto di dedicarle le Poesie in morte d" Irene di Spilimbergo, e singolarmente Annibal Caro in tre sue lettere ad essa dirette (Lettere, t 2, lett. 78, 82, 152). A me basterà il qui recare l elogio che ne fa il Sansovino, scrittore egli ancora contemporaneo: Claudia, dic’ egli (l. c. p. 91), già moglie di Giberto da Correggio, donna veramente mirabile, et degnissima d ogni riverenza et di honore, come è ben noto a ciascuno. Perciocchè ella ripiena di Filosofia et di Theologia non pur nella lingua, ma nel petto ancora, acquistatasi universalmente lode d' intera pietà cristiana, et de incomparabile cortesia, et disciplina nella Religione, e maravigliosamente ornata di tutte quelle qualità che la fanno singolarmente ammirare non solamente da tutta Roma, ma da tutte le genti che hanno cognizione di tanta donna. La quale Pio V sommo Pontefice et di santa memoria havendo in molta venerazione, \ [p. 149 modifica]PRIMO l/jjj non era cosa, ch egli non facesse per gratificarla, come degnissima et singolarissima fra tutte le donne regalmente qualificate nei tempi nostri. Il matrimonio di essa col suddetto Giberto fu poi sciolto dal papa j ed ella allora passata a Roma, vi si trattenne fino al fin della vita, onorata da’ più ragguardevoli personaggi di quella corte, e da essi consultata ne più importanti atri, come raccogliesi dal copioso carteggio che tuttor ne conserva questo ornatiss sig. marchese Gherardo Rangone. Ella morendo lasciò eredi i PP. Barnabiti di Roma, che per tale munificenza poterono edificare la loro chiesa di S. Paolo alla Colonna (Rare Ili, Meni, de' Cher. reg. Barn. t. 1, p.48). Il conte e poi marchese Taddeo Rangone di lei nipote diè parte al collegio de’ cardinali della morte di Claudia \ ed egli ancora debb’ essere qui rammentato, perciocchè e negli anni giovanili coltivò insieme col co Claudio II suo fratello la giurisprudenza in Padova sotto il celebre Panciroli, e amendue ne riceveron la laurea, e poscia allor quando per una percossa avuta da un cavallo divenne inabile della persona, cercò nelle lettere un dolce sollievo alla sua sventura, e della sua casa formò quasi un accademia di scienze, a cui accorrevano tutti gli uomini dotti. Raccolse gran copia di libri latini, e ancor di greci, dei’ quali dilettavasi singolarmente, e ne son pruova le più belle edizioni degli antichi scrittori che ancor conservansi insieme con alcuni pregevoli manoscritti presso il soprallodato marchese Gherardo Rangone. Del marchese Taddeo ci ha lasciato un [p. 150 modifica]i5o Liuno giusto elogio il Vedriani (Dott. Moderup. 236), il quale ancora ragiona del co Ercole (ivi p. 130) cugino del co Claudio I, e figliuolo del co Gherardo, uomo celebrato non solo dall’Aretino, il quale scrivendogli dice di volar mostrare al mondo quanto ei sia valente in la scienza delle Lettere, in l’harmonia della Musica, e nel mestiero della Milizia (Lett. l. 3 p. 222), ma ancora dal Sansovino che l’avea conosciuto in Venezia, e che oltre più altre lodi lo ilice ertali lo di Belle Lettere, et celebrato dagli uomini dotti de’ suoi tempi, de quali era protettore, amatore et benefattore (l. c. p. 90). Più bello ancora è l’elogio che ne fa il suddetto Panini nella citata sua Cronaca, dicendo ch’egli sempre con l amore, nelle quali ha acquistato non poco di gloria, accompagna in modo le lettere, ch all' improvviso fa versi latini degni di qualsivoglia buon Poeta, et. hora così vecchio, com egli è, d anni più di 70, più che mai si trastulla con le Muse volgari et Latine, et di questo posso io far fede certa, avendomi questo cortesissimo Signore più volte fatta parte delle sue belle et dotte composizioni nell' una et nell' altra lingua, eccitando ancor me alle medesime muse. XLV. Abbiamo annoverati sinora i principi e gli altri gran personaggi italiani che sostennero col lor favore ed avvivaron le lettere e le scienze. De’ sovrani stranieri due soli furono ch’ebber parte nelle cose d’Italia, e troppo più che pel riposo di essa non era a bramare, Carlo V e Francesco I. Amendue corser più volte I'Italia co' loro eserciti, e recarono a [p. 151 modifica]PRIMO 1 5 0 molto provincie desolazione e strage. Nondimeno Francesco I dee aver luogo tra’ mecenati dell’italiana letteratura pe’molti che dall'Italia condusse in Francia, e ivi ricolmò di benefizii e d’onori in premio del lor sapere. Ne vedremo nel corso di questa Storia non pochi esempii; e io qui avvertirò solamente che volendo egli dare al suo figlio un valoroso maestro, a tutti antepose un Italiano, cioè Benedetto Tagliacarne, o, come egli solea appellarsi, Teocreno, di patria genovese. Ei fu dapprima in Genova al servigio di Federigo e di Ottaviano Fregosi, e fu involto nel funesto sacco che quella città sofferse nel 1522, nella qual occasione ei fu dapprima tenuto prigione per quattro giorni, poscia fra mille pericoli e a forza di molto denaro ritirossi in Francia, com’egli medesimo scrive al cardinale Gregorio Cortese allora monaco (Cort. Op. t. 2, p. 118, ed. Patav. 1772). Era questi grande amico del Teocreno, e tra le lettere di esso molte ne abbiamo a lui scritte, come pure parecchie del Teocreno al Cortese (ib. p. 36, 50, 51, 53, 54, 67, 85, 119, 122), il quale ne parla sempre con sentimenti di molta stima per l’eleganza e pel sapere di cui era fornito. Paolo Giovio ancora scrivendo nel 1536 al vescovo di Faenza nuncio in Francia, al dotto Teocreno, dic egli (P. Giovo, Lettere p. 101), raccommandate il nome mio, come io ho raccomandato il suo agli immortali discorsi delle Muse nel mio Dialogo; e il Giovio stesso era sì a lui caldamente raccomandato, perchè facesse conoscere e stimar le sue Storie al re Francesco I, come raccogliamo da una lettera [p. 152 modifica]«Sa LIBRO del medesimo Teocreno (post Gudii Epist. p. 142 &). E certo convien dire che questi godesse fama d’uomo dotto, s'ei fu scelto dal re Francesco a sì importante impiego. Bella è la lettera che in tal occasione gli scrisse il Cortese, con cui rallegrandosi di tanto onore, e rallegrandosi nulla meno e col re e colla real famiglia e con tutta la Francia, Quo nomine, gli dice egli fra l’altre cose, non tibi solum, aut patriae tuae, universae Italiae laudis famaeque incredibilem accessionem faciendam esse tibi persuadeas velim; nunc demum enim eruditionis Italicae splendor sic gentibus illis elucere incipiet, ut tandem credituris sint, fuisse nomines nostros tanta non innocentia solum et iute grifate, sed etiam doctrina et eruditione, ut hi populi beatissimi judicarentur, quibus partem aliquam tantae felicitatis voluissent impcrUri (l. cit. p. 143). Ma assai diverso è il carattere che ne Fa Piergiovanni Oliario in una sua lettera ad Erasmo, stampata tra quelle di questo secondo scrittore, ove lo dice pedagogo de’ figliuoli del re di Francia, uom pieno di boria e di jattanza, come soglion essere, dic egli gentilmente, tutti gfItaliani, senza erudizione, senza discernimento, e versato solo nelle lingue greca e latina e italiana (Epist. Erasm. t. 2, App. p. 4^9)- ® facile intendere per qual motivo l’Olivario ammiratore di Erasmo fosse si mal prevenuto contro il Teocreno. Questi avea parlato con qualche disprezzo di Erasmo, dicendolo, come per ingiuria, Olandese, e perciò ei dovea essere un uom da nulla presso chi avea Erasmo in concetto di un Dio. [p. 153 modifica]PRIMO l53 Egli, olire alcune badie, ebbe in premio dal re Francesco il vescovado di Grasse nel 1534, di cui non potè godere che circa due anni (V. Gallia christ. t. 3, p. 1175). Se ne hanno alle stampe alcune Poesie latine da lui composte in età giovanile, e stampate poco innanzi alla morte. Io non le ho vedute; ma le lettere poc’anzi accennate sono scritte con eleganza, benchè talvolta senza quella facilità che forma il miglior pregio d'uno scrittore. XLVI. Dalle cose dette finora è manifesto abbastanza che nel corso di questo secolo mai fu priva l'italiana letteratura di appoggi, di stimoli e di ricompense; e noi la vedremo in fatti stendersi per ogni parte rapidamente, e germogliarne copiosi e lietissimi frutti. Nondimeno se noi udiamo alcuni degli scrittori che allor viveano, per poco non siam tentati di credere ch'essi fiorissero al tempo dei’ Longobardi. Paolo Manuzio fra gli altri bramava di esser vissuto ne' secoli addietro, ne’ quali, dic’egli, i principi tutti onoravano del lor favore le lettere, laddove a suo tempo essi d’altro non si dilettavano che d’inezie e di frivolezze: Vetus illa Principimi viro rum benignitas exaruit: inania plerique sequuntur; nihil solidum amant nihil magnificum, nihil illustre Musae ubique locorum algent, neglectae ab iis, qui fovere eas ut maxime poterant, ita maxime debebant (l. 4 ep. 36). Questo passo sembra indicarci che al Manuzio più felici del suo paressero i secoli precedenti. Altrove però ei ristringe la sua invidia a’ tempi di Leon X: Habuit istam gloriam, dic'egli (l. 7, ep. 1), proxima superior aclas, [p. 154 modifica]• "4 LIBRO vtun Jlorerent illi viri, de quibus nulla posteritas con tic e se et. /lembi, Sadoieti, Poli, et ho rum vcl aemuli, vel imi tutore s, multi Tunc industriam benignitas excitabat, fructus laborem sequebatur, ad opes, ad honores aditus patebat Nunc obsolescit splendor omnis Romanae linguae, et desti tuta praemiis migrat ad exteras nationes eloquentia. Così scriveva il Manuzio nel! 1565, quando I’Italia avea in ogni sua provincia tai principi 7 la memoria de quali è rimasta, e sarà sempre gloriosa ne fasti delle lettere e delle scienze, per la beneficenza con cui le promossero, e vedremo altrove che il Manuzio stesso ne fu a parte. Ma questa non è cosa a stupirne. Un uom difficile e querulo, se in qualche occasione gli sembra di non essere abbastanza ricompensato, sfoga il suo mal talento, si augura di essere vissuto a tempi migliori, e tutti gli paion migliori che quello a cui vive. Ciò ch è più leggiadro a vedersi, si è che quasi al tempo medesimo un altro scrittore, cioè il Doni, antiponeva di molto la sua età a quella di Leon X. Perciocchè egli parlando dell Ariosto, e del poco fruito clfei trasse dal suo poema, così fa il Mondo, dice (Zucca, p. 105), degli uomini: non gli conosce mai, se non quando gli ha perduti. Vedi, come, stava il povero Ariosto, uomo eccellente: leggi i suoi scritti, e vedi, se il mondo lo conosceva. Se risuscitasse oggi, ogni Principe lo vorrebbe appresso, ogni persona l onorerebbe. Così il secolo stesso secondo la diversa indole di ciascheduno, o ancora secondo le circostanze diverse in cui si ritrovano, sembra ad alcuni oggetto di'invidia, ad altri di [p. 155 modifica]PIUMO |55 abbonimento. Non deesi dunque giudicar solo da’ loro detti ma debbonsi chiamare i fatti ad esame. Or noi abbiam veduto poc’anzi, e vedrem nel decorso di questa Storia innumerabili pruove dell’animo splendido e liberale de’ principi italiani in ogni parte di questo secolo verso le lettere, e perciò niuna forza aver dee presso un uom saggio il lamento di qualche non mai pago scrittore. E a dir vero, se il fiorire delle belle arti è proporzionato comunemente a’ premii ad esse proposti, come non vi ebbe mai secolo in cui l’Italia vantasse sì gran numero di eleganti e dotti scrittori, così ci è forza affermare che per essa non vi ebbe mai secolo sì fecondo di mecenati. Chiudiam questo capo col recare in pruova di ciò che ora si è detto, la testimonianza di un erudito straniero, cioè di Dionigi Lambino, che venuto in Italia alla metà di questo secolo stesso, non potè non ammirare la sceltezza e la copia de’ rari ingegni di cui ella era allora ricchissima: Cum in optimo quoque Scriptore, dic egli (praef'. ad Op. Cicer.), et Graeco et Latino evolvendo ac. legendo aliquot annos in Gallia consumpsissem, in Italiam profectus sum acerrimis ingeniis semper florentem, ex qua orti eruditissimi homines terras onmes Immani tatù participes, immortali sui nominis gloria paulo ante aetatem nostram compleverunt, Bembi, Sadoleti, Bonamici, si mas aci, Vietarli, Casae, Pantagathi, Manutii, Faerni, Sirleti, Sigorii, Zanchii, Comenduni, Robortelli, Luisini Taurelii, Panvinii, Ursini. Bargaei, sexcenti alii. E a ragione egli aggiugne queste [p. 156 modifica]I. IMI* univémlá in questo serolo in generale.

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ultime parole, perchè ei poteva nominar similmente i Flaminii!, i Molza, i Bonfadii, i Cortesi, i Fracastorì, iSannazzari. i Sannazzari, i Latu» pridii, i Fumani, i Maffei, gli Ariosti, i Tassi, i Castelvetri, i Navageri, i Giraldi, i Vida, gli Alciati, gli Aleandri e mille altri, pei’quali l’Italia fu in questo secolo oggetto d’ammirazione e d'invidia alle straniere nazioni, e la maggior parte dei’ quali viveano ancora mentre il Manuzio doleasi che per mancanza de’ mecenati la letteratura italiana era omai del tutto perita.