Utente:Xavier121/Prove/Commedia

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COMMENTO


SULLA DIVINA COMMEDIA DI DANTE ALLIGHIERI.



volume terzo

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Proprietà Letteraria.

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BENVENUTO RAMBALDI

DA IMOLA

illustrato nella vita e nelle opere


e di lui

COMMENTO LATINO

SULLA DIVINA COMMEDIA DI DANTE ALLIGHIERI


voltato in italiano

DALL’AVVOCATO GIOVANNI TAMBURINI



VOLUME TERZO




IMOLA,

DALLA TIPOGRAFIA GALEATI


1856

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PARADISO

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PROEMIALE


Torna bene, secondo Averroe, vagliare un moggio di sabbia per trovare una pietra preziosa, come ha fatto Dante nel suo Divino Poema. Nella prima cantica vagliò la più nera sabbia, e trovò modo di scampare dal centro di ogni tristezza esaminando e meditando colpe e pene. Poscia vagliò altro moggio di sabbia men rea, e nella seconda Cantica, meno oppresso, si arrampicò sopra di monte altissimo, in cui mirando e contemplando colpe men gravi, e pene più lievi, si aprì la strada dell’eterna beatitudine. In questa terza ed ultima Cantica descrive il termine di ogni fatica, la pietra preziosa già trovata, la eterna gloria. E nell’ascendere al cielo egli parla in tal modo.

Il desiderio della gloria è nel cuore e nella mente di ogni uomo, anzi dai sapienti si tiene per un’ombra della stessa virtù, cui van correndo dietro, e che spesso la precede, come veggiam ne’ fanciulli di sviluppo precoce nelle facoltà della mente. Chi desidera gloria, segua prima virtù, e l’otterrà. Coi sudori e gli stenti degli studi e dell’armi, in mezzo al [p. 14 modifica]gue, alle morti cercarono di arrivarla i principi, i capitani, i filosofi. Per lunga serie di secoli i romani per lei operarono gesta memorande e non mai periture: bramavano per lei la vita; temevano di perderla senza di lei: furono prodighi di ricchezze: furono avidi di gloria. .E se i romani per la glo• ria terrena, al dire di sant’Agostino, tante maraviglie operarono, e come non dovremo noi a tutto cuore tentare il conquisto della gloria del cielo?

Sgravato da due pesi enormissimi, il terzo se a Dio piace, con tutte mie forze tenterò di portare. La terza Cantico sarà pur essa di trentatrè canti, e divisa in due parti. Nella prima, si mostreranno sette classi di spiriti gloriosi delle sfere diverse, sottol’iiìflusso di settepiancti,e ciò riempirà il libro sino al canto vigesimo terzo. Nella seconda parte, si mostrerà l’ottava sfera, o firmamento, e la nona chiamata primo mobile.

11 cielo empireo equivale a Paradiso, e moralmente, e figuratamente è la città di Dio, o la Chiesa trionfante, con che si chiude la cantica ed il libro. [p. 15 modifica]

canto
I.

TaSTO MODIRNO La gloria di Colui, che tutto move, Per 1’ universo penetra e risplende In una parte più, e meno altrove. 5 Nel ciel che più della sua luce prende, Fui io, e vidi cose che ridire Nè sa, nè può qual di lassù discende; 6 Perchè appressando sè al suo desire, Nostro intelletto si profonda tanto, Che retro la memoria non può ire. 9 Veramente quant’ io del regno santo Nella mia mente potei far tesoro, Sarà ora materia del mio canto. 12 O buono Apollo, all’ ultimo lavoro Fammi del tuo valor sì fatto vaso, Come dimandi a dar I’ amato alloro. insino a qui 1’ un giogo di Parnaso Assai mi fu; ma or con ambedue M’ è uopo entrar nell’ aringo rimaso. 18 Entra nel petto mio,e spira tue, Sì come quando Marsia traesti Della vagina delle membra sue. 21 O divina virtù, se miti presti Tanto, che l’ombra del beato regno

Segnata nel mio capo io manifesti, [p. 16 modifica]6

paradiso

Venir vedraimi al tuo diletto legno, E coronarmi allor di quelle foglie, Che la materia e tu mi farai degno. 27 Si rade volte, padre, se ne coglie, Per trionfare o Cesare o poeta, (Colpa e vergogna dell’ umane voglie) 30 Che partorir letizia in su la lieta Delfica Deità dovria la fronda Penea, quando alcun di sè asseta. 33 Poca favilla gran fiamma seconda: Forse di retro a me con miglior voci Si pregherà, perché Cirra risponda. Surge ai mortali per diverse foci La lucerna del mondo; ma da quella, Che quattro cerchi giugne con tre croci, 39 Con miglior corso, e con migliore stella Esce congiunta, e la mondana cera Piiì a suo modo tempera e suggella. 42 Fatto avea di là niane e di qua sera Tal foce quasi, e tutto era là bianco Quello emisperio, e l’altra parte nera, Quando Beatrice in sul sinistro fianco Vidi rivolta, e riguardar nel sole: Aquila sì non gli s’affisse unquanco. 48 E sì come secondo raggio suole Uscir del primo, e risalire insuso, Pur come peregrin che tornar vuole; Così dell’atto suo, per gli occhi infuso Nell’immagine mia, il mio si fece, E fissi gli occhi al Sole oltre a nostro uso.

Molto è licito là, che qui non lece [p. 17 modifica]

canto
I. 7

Alle nostre virtù, mercè del loco Fatto per proprio dell’ umana spece. Io noi soffersi molto nè sì poco, Ch’io noi vedessi sfavillar d’intorno, Qual ferro che bollente esce del foco. 60 E di subito parve giorno a giorno Essere aggiunto, come Quei che puote Avesse il ciel d’ un altro sole adorno. Beatrice tutta nell’ eterne ruote Fissa con gli occhi stava, e io, in lei Le luci fisse di lassù rimote, 66 Nel suo aspetto tal dentro mi fei, Qual si fe’Glauco nel gustar dell’erba, Che il fe’consorto in mar degli altri Dei. 69 Trasumanar significar per verba Non si poria; però l’esempio basti A cui esperienza grazia serba. 7’2 S’ io era sol di me quel che creasti Novellamente, Amor che il del governi, Tu il sai, che col tuo lume mi levasti. Th Quando la ruota, che tu sempiterni Desiderato, a sè mi fece atteso Con l’armonia che temperi e discerni, 78 Parvemi tanto allor del cielo acceso Dalla fiamma del Sol, che pioggia o fiume Lago non fece mai tanto disteso. 81 La novità del suono e il grande lume Di br cagion m’ accesero un desio Mai non sentito di cotanto acume. 84 Ond’clla, che vedea tue, si com’io,

Ad acquclarmi l’animo commosso, [p. 18 modifica]8

paradiso

Pria ch’ io a dimandar, la bocca aprio; 87 E cominciò: tu stesso ti fai grosso Col falso immaginar, sì che non vedi Ciò che vedresti, se 1’ avessi scosso. 90 Tu non se’in terra, si come tu credi: Ma folgore, fuggendo il proprio sito, Non corse come tu che ad esso riedi. 93 S’io fui del primo dubbio disvestilo Per le sorrise parolette brevi, Dentro a un nuovo più fui irretito; 96 E dissi: già contento requievi Di grande ammirazion; ma ora ammiro Come io trascenda questi corpi lievi. 99 Ond’ ella, appresso d’un pio sospiro, Gli occhi drizzò ver me con quel sembiante Che madre fa sopra figliuol deliro, 102 E cominciò: le cose tutte quante Hanno ordine tra loro, e questo è forma Che l’universo a Dio fa simigliante. 10 Qui veggion 1’ alte creature l’orma Dello eterno valore, il quale è fine, Al quale è fatta la toccata norma. 108 Nell’ordine ch’ io dico, sono accline ‘Tutte nature per diverse sorti, Più al principio loro e men vicine: 111 Onde si muovono a diversi porti Per lo gran mar dell’ essere, e ciascuna Con istinto a lei dato che la porti. 114 Questi ne porta il fuoco inver la luna: Questi nei cor mortali è promotore:

Questi la terra in sè stringe e aduna. 117 [p. 19 modifica]

canto
1. 9

Nè pur le creature, che son fuore D’ intelligenza, questo arco saetta, Ma quelle eh’ hanno intelletto e amore. 120 La providenza, che cotanto assetta, Del suo lume fa il del sempre quieto, Nel qual si volge quel ch’ ha maggior fretta: 123 E ora lì, come a sito decreto, Cen porta la virtù di quella corda, Che ciò che scocca dirizza in segno lieto. 126 Vero è, che come forma non s’ accorda Molte flate alla intenzion dell’arte, Perché a risponder la materia è sorda; 129 Così da questo corso si diparte Talor la creatura, che ha podere Di piegar, così pinta, in altra parte, 132 (E sì come veder si può cadere Foco di nube) se I’ impeto primo A terra è torto da falso piacere. 13 Non dei più ammirar, se bene stimo, Lo tuo salir, se non come d’un rivo, Se d’alto monte scende giuso a imo. 138 Maraviglia sarebbe in te, se privo D’impedimento giù ti fossi assiso, Come a terra quieto foco vivo. Quinci rivolse inver lo cielo il viso. 12 COMMENTO Dl BENVENUTO Questo sublime canto può dividersi in quattro parti generali. Dante propone nella prima. Nella seconda, invoca. Nella terza, avvisa come si determinasse in rispetto di Beatrice, e fosse aiutato nel salire al cielo. Nella quarta, descrive come

si alzasse verso il primo cielo. [p. 20 modifica]10

paradiso

Il cielo e la terra son pieni della maestà e gloria dell’ Etemo che tutto regge con potenza, sapienza ed amore infiniLo. la gloria di colui dell’Onnipotente che tutto move senza esser mosso da alcuno. Le intelligenze muovono i cieli, le anime i corpi; maper sè medesimi anchesi muovono,come le navi, in cui i marinai quantunque alcuni ai remi, altri alle sarte, altri alla sentina, altri ad altri uffizi intenti, e non pertanto uno solo governa il timone al quale gli altri tutti son dipendenti. Varrone e sant’Agostino, dicono—Dio governa il mondo col movimento e colla ragione, come il nocchiero la nave —penetra e rispiende entra e si manifesta per 1 universo in ogni luogo in una parte piu e meno altrove più nel cielo empireo dove Iddio si manifesta visibilmente ai beati, meno negli altri luoghi. Se tre o più vetri pongansi un dietro 1’ altro contro i raggi delsole, ne verrà che il secondo riceverà minor luce del primo, cd il terzo meno degli altri due, e così sempre più in ragione della distanza. La luce dell’ eterno Sole del pari più splende nei nove ordini angelici, meno nelle nove sfere, ed anche meno nelle sfere degli elementi. E sebbene la prima cagione assista in ciascuna, pure diversifica secondo la rispettiva potenza: alcune la ricevono in un sol atto, altre in molti: alcune perpetuamente, altre temporaneamente: altre spiritLlalmente, altre materialmente. La diversità non è dalla prima cagione, ma da chi la riceve. Io che fui nell’ Inferno e Purgatorio fui nel Cielo mentalmente in compagnia d’ illustre donna, qual cielo rende piu de la sua luce della luce dell’ eterno Sole, più che il ciclo non rende del sole nostro: il mondo inferiore si regge dal mondo superiore e vidi cose che chi descende de la su non sa ne puo redire e vidi cose tali che non si possono raccontare, nè saprebbersi

da chi viene dal cielo alla terra. Così accadde a [p. 21 modifica]

canto
1. 11

san Paolo, che rapito vide molte cose, e flOl) seppe dirle tornato al mondo. L’intelletto va più in là della memoria, per- che nostro intellecio umano appressandosi ai suo disire avvicinandosi al fine di tutti i suoi desideri, al sommo bene che è Dio se profunda tanto tanto si fa profondo che la memoria non puo ire dreto che la memoria non può seguirlo. Niun intelletto per altro può comprendere Iddio immenso, inuominabile, infallibile, incomprensibile. L’ intelletto inoltre non è facoltàorganica, come Io è la mcmoria,e quindi è più vicino alla prima cagione, di quel che lo sia i’ organo materiale. Tanto quani io potei far tesoro quanto vidi di prezioso e fissai nella mia mente nella mia memoria veramente realmente sera hora ai presente materia del mio canto il mio argomento del regno saneto del regno de’ santi, del Paradiso. Per quanto basteranno le mie forze, e per quanto mi assisterà la memoria descriverò poeticamente il regno de’ beati. Come poi descrisse un doppio inferno, e un doppio Purgatorio, ora dipinge un doppio Paradiso. E Paradiso morale, quando 1’ anima ancora nel corpo si abbandona alla contemplazione, e cori uno slancio mentale arriva alla divinità, passando pei diversi ordini angelici, e per le sfere celesti. É Paradiso essenziale quello, in cui Dio si palesa per essere contemplato dalle intelligenze superne e dalle anime beate, e chiamasi .empireo cielo. o bono Apollo Apollo è il Dio della sapienza, è il Dio de’ poeti; è lo stesso sole, che Tullio chiama duce, prence, moderatore dagli altri lumi e mente dell’ universo. Orfeo, secondo Macrobio, lo nomina Dio del buon consiglio e principio d’ intelligenza. Plinio Io vuole reggitore della terra, e delle stelle; anima e mente. mondiale, ministro di natura, che conduce la luce, e fuga le tenebre, ecclissa gli astri, al-

terna le stagioni, tempra gli anni che si succedono, dissipa [p. 22 modifica]12

paradiso

la tristezza dal cielo, e serena gli animi umani —Apollo quasi senza polluzione, senza macchia ed ombra, esterminatore di ogni male, di ogni superfluo fammi si facto vaso del tuo valore versa in me tanta virtù poetica all ultimo lavoro quanta è necessaria come dimandi a dar 1 amato alloro a chi tu stimi degno di essere coronato dell’ alloro a te caro. Alloro o lauro suona lode, e quindi colla corona di lauro si onoravano i poeti. Dicesi che Apollo amasse Dafne figlia di Peneo, la quale fu convertita in lauro, colle foglie del quale Apollo ornò la sua cetra e faretra. I poeti gli dànno cetra o lira di sette corde, perchè modera le sette sfere. La faretra figura la forza dei raggi che vengono scagliati quai dardi, e penetrano in ogni luogo. Pirro per addivenire sapiente portava in dito un’agata, pietra dura, in cui erano scolpite le nove muse ed Apolls in mezzo di esse con in mano la cetra. Così Plinio. Parnaso è monte in Grecia famosissimo, celebrato da tutti i poeti e dagli storici. Aveva il monte due cime, in una delle quali era il tempio di Apollo, nell’ altra quello di Bacco. Giustino ci dice, che il tempio di Apollo era posto sopra di un sasso del monte Parnaso, difeso da precipizi e burroni, e resta dubbio, se la sicurezza del luogo fosse più ammirabile della maestà del tempio. Il sasso, su cui poggiava il tempio, era scavato nel mezzo come anfiteatro, ed il SUOnO degl’istromenti, e le voci umane ripercosse davano eco che destava stupore e spavento. Un altro foro trovaasi nella cima del monte molto profondo, e da cui usciva un vento che ispirava le vergini muse., del quale parlando Lucano, chiama il vento loiuace Dante esprime che il giogo di Parnaso dedicato a Bacco fin qui gli bastò, mà ora gli è necessario anche quello di Apollo. Per Bacco intende ogni scienza umana che può acqilistarsi

colla ragione, la fisica, 1’ etica, la filosofia morale ecc. [p. 23 modifica]

canto
1. 13

Ma per Apollo intende la scienza soprannaturale e divina, la teologia. Ecco perhè la scienza umana gli è bastata nelle due prime Cantiche, ma in questa gli abbisogna la scienza divina. lun giocho il giogo di Bacco — Nixa — di Parnasso od anche Permesso apportator di sapienza a sai me fu mi bastò in fino a qui nell’ inferno e nel Purgatorio, ma hor me uopo ma ora mi è necessario con ambedue due gioghi di Parnaso, ossia coli’ aiuto di Bacco e di Apollo inirar nell aringo rimaso en(rare nella trattazione della terza Cantica del Paradiso. Rispettando le ultime opinioni, che il poeta per Bacco intenda qui significare la eloquenza che finora gli bastò, e per Apollo la sapienza che nel terzo libro gli è necessaria, io credo che Dante per Bacco ed Apollo intenda una sola divinità sotto nomi diversi, come pensa anche Macrobio ne’ Saturnali. Secondo i diversi effetti prodotti dal sole i poeti gli attribuiron diversi nomi, ma principalmente due—Apollo—,e Libero padre o Bacco. Apollo in qUanto infonde sapienza nelle menti umane, Bacco in quanto modera gli effetti di natura. Chi andava per l’oracolo di Delfo non lasciava di visitare e di adorare anche la spelonca di Bacco: così sullo stesso monte, e contemporaneamente facevansi sagrifizi ad Apollo ed al Libero padre. Orfeo poeta sacro, nel trattato delle cose sacre a Bacco, attesta che il Libero padre ed il Sole sono una sola divinità. Così Virgilio nei proemio delle Georgiche. Marsia, secondo Ovidio, fu abitatore di selve, un satiro, che osò sfidare Apollo al suono della tibia, che ottenne da Pallade. Ma vinto nella sfida, Apollo gli cavò la pelle, e dal sangue sparso dal satiro orgoglioso formossi il freddo fiume di Frigia. A Marsia accadde come ad Aracne, della quale si parlò nel canto XII del Purgatorio. La pelle levatagli figura la Superficiale

apparenza e baldanza; e Dante implora di essere [p. 24 modifica]

paradiso

fatto vaso di sapienza, col quale, imitando Apollo, confondere gli emuli nel cantare in questa materia. Anche le muse convertirono in piche le audaci Pieridi. Il sangue dell’orgoglioso Marsia fu convertito nelle acque del fiume descritto da Quinto Curzio allorchè dice — Alessandro ridusse 1’ esercito alla città de’ celenii, le cui mura sono bagnate da Marsia fiume rinomato pei carmi greci — all’ incontro Livio die — che Menandro è fiume navigabile, che scaturisce dalla rocca de’celenii una volta capitale de’ frigii, e Marsia fiume non lungi dal Menandro che sorgendo da fonti vi casca dentro. — lo credo più a Livio che a Curzio. Lucano pure ci dice, che Marsia velocemente discendendo, entra nel sinuoso Menandro. o Apollo entra nel peclo mio o Apollo scaldami il petto e spira tue ad ispirarmi si come nel modo quando traesti Marsia de la vagina de le membra sue di che usasti, allorchè vincesti il presuntuoso Marsia, e in pena di sua presunzione, gli cavasti la pelle, lo scorticasti. Bellissima metafora di pelle, vagina delle membra! Per rendersi poi benevolo il nume invocato, Dante gli ricorda il lauro, pianta calida e secca quale conviene ai poeti. Essi col calore dell’ ingegno vanno in cerca di onori e di gloria: è sempre verde come la fama poetica: quando si dimezzi una bacca di lauro, e si pianti, germina come se fosse intera. Come il lauro non si tocca dal fulmine, così la fama non è tocca dai Mevii: di lauro si coronavano solo i trionfa- tori ed i poeti; ecco perchè niun’ arte fu tanto gloriosa come la poetica, ed i greci, ed i romani vollero che il poeta con premio uguale ai trionfatori fosse onorato. E se oggi tal arte scadde di culto ed onore, ciò deriva dalla ingorda cupidigia de’ moderni, che cercano il solo guadagno quantunque vile. I poeti di lauro non solo ma si coronavano anche di edera pianta a Bacco sacra, calida essa pure, e tenacemente adeDigitized

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canto
I. 15

rente alle piante robuste ed ai muri. L’ edera col pallore indica la pallidezza dello studio, ed essendo verde dall’altra parte, figura la verdezza di loro fama. Marziano Capella ci mette avanti, nelle nozze di Mercurio, Omero, Lino, Orfeo, Museo coronati di edera. Anche il mirto, pianta di Venere, formava talvolta la corona de’ poeti, e questa flgurava il calore delle loro menti, come l’amore de’ loro petti: può anche ritenersi che figurasse la loro fama, essendo Venere splendentissimo astro, o divina vertu si me te presti o divina virtù tanto in me piovi tanto eh io manifesti I ombra del tuo regno tanto che possa ombrare il tuo regno; ombrare perché non può giungere al vero signala nel miq capo scolpita nella mia memoria vedrami venir al pe del tuo dilecto legno mi vedrai a piedi del lauro a te caro ecoronarmi de le foglie e delle foglie di lui farmi corona. Dante infatti ardentemente bramava di farsi coronare poeta in patria, come lo palesa in una cantica che delle quali foglie, o della qual corona lamaIena e tu mi fara degno il mio sublime argomento ed il tuo favoremi faran meritare: ovvero,se turni accordi tanto favore, io verrò, come a tributo, a cingermi corona di lauro, che da tanti secoli, niuno ha ancor conseguita. Qui Dante impreca all’ ignavia de’ moderni principi e poeti, che non bramano cingersi il capo di tal corona o padre o Apollo, padre di ogni vita mortale si rade volte se ne coglie tanto rado si coglie il lauro per triunphare Cesare. Dante chiama Cesare imperatore, traendo tal nome da Cesare primo; ma i cristiani vogliono che l’impero cominci veramente da Augusto, che meglio governò, e più lungamente lo tenneb Augusto regnò tanto, quanto Cesare visse, cioè cinquantasei anni. Cesare fu un precursore dell’ impero, come san Gb. Battista

fu il precursore di Cristo. Ed oggi giorno, più che al [p. 26 modifica]16

paradiso

tempo de’romani, sarebbe materia di trionfo, giacché i nemici della fede tengono oppresso quasi i’ intero Oriente e tutta Terra Santa, di che Dante altamente si duole, come in appresso. I romani ebbero più di trecento trionfi, e per tacere degli altri, ricorderemo quello di Tito, amore di tutti, quando trionfò di Gerusalemme, del qual trionfo niun altro fu, o sarà mai per esser maggiore secondo Giuseppe nelle guerre giudaiche. Il trionfatore stava su di un carro tirato da quattro cavalli, ed entrava in città vestito della tunica di Giove, al dire di Ovidio. Gli schiavi precedevano il carro trionfale. Il Senato ed il popolo romano fra i plausi e le grida gli andavano incontro o poeta ma ora menasi trionfo senza guerra di sorta alcuna. E qui basti, che de’ trionfi di Cesare, di Scipione e di Augusto si disse nel Purgatorio, ed altri saran ricordati più avanti. Dante mette insieme Cesare e poeta perché la scienza rende spettabile ogni nobiltà di grado, e le lettere e le armi formarono la prima passione de’greci e de’ romani, Scipione Africano cupidissimo di fama, amò e predilesse i poeti de’ tempi suoi, ed in modo singolare Ennio, che lo teneva compagno, e testimonio sempre dappresso, e nel doppio trionfo della vinta Cartagine condusse seco al Campidoglio, e 1’ immagine del poeta fece scolpire nel proprio sepolcro, e del fratello. Ma Scipione era degno di un Omero, non di sì mediocre poeta, del quale si conta che Virgilio dicesse scelgo I oro dall immondezzaio di Ennio Augusto, di cui non si vide, o vedrassi maggiore, fu egli stesso poeta sommo, ed i poeti amò ed onorò: ed al suo tempo fiorirono Virgilio, Marco, Varo, Orazio Fiacco, Ovidio Nasone, Quintilio, Cornelio Gallo, Asinio Poilione, e molti altri. Aristotile trae i’ origine della poesia

dalla prima nobiltà, e dice che fiorì nella Grecia prima della [p. 27 modifica]

canto
I. 17

filosofia, e di ogni altra scienza. Fu prima Omero e Pronopido di lui maestro, Pindaro e Sofocle, che non Aristotile, Platone, Pitagora, Anassagora ed altri. Al dir di Tullio così fu de’ romani, e dopo il tempo di grazia anche i filosofi, e gli stessi teologi col Livarono la poesia. — Lattanzio, Rabano, Giovencio, Sedulio, Aratore, ed altri molti: colpa e difeclo de I umane voglie il mal yolere degli uomini, non 1’ influsso del cielo è la cagione di ogni male. Sant’Agostino dice, non potervi essere colpa se non volontaria: la scienza sola unitaa virtù poler rompere la schiavitù di natura. E Dante vorrebbe che al sorgere di un poeta si facesse festa e tripudio anche oggidì. Oh! quanto avrebbe egli meritato un trionfo, egli che solo, senza speranza (li alcun premio temporale fece di tutto per meritarlo: che la fronda Peneia così chiamato I’ alloro da Dafnc figliuola di Peneo, che fuggendo l’amore di Apollo fu cangiata in tal pianta. Peneo è fipme di Grecia, grosso di altri fiumi confluenti, ed il cui lido è pieno di lauri dovria partorir letitia in su la tela delphica Deita dovrebbe esser Cagione di pubblica allegrezza nel tempio di Apcllo: sul Parnaso. Apollo era adorato particolarmente in Delfo. Al dir di Giustino, nel tempio di Apollo scorgevansi doni preziosi di regnanti e di popoli, e questo fu forse il motivo dei molti assalti alla città, che per altro non restarono invendicati. Infatti Serse fu respinto con miseranda strage de’ suoi persiani: Brenno, spavento d’italia, di Grecia, della stessa Roma pagò ivi la pena del sacrilegio, perdendo il suo terribile esercitodi Galli. Erano cinquantaseimila contro soli quattro mila assistiti dal nume. Scrive Plinio. — in Beozia e sul monte Parnaso trovasi un castello famoso per gli oracoli di Apollo — Livio i oracolo di Deifo è I ombilico dei mondo. — quando altrui di se RAMBALDE — Voi. . [p. 28 modifica]18 PARAL1SO asseta quando il lauro desta in alcuno ardene desio di meritarlo in corona. Qui il Poeta tutto riferisce a sè stesso. Poca favilla gran foco seconda piccola scintilla è cagione di grande incendio. Dante suscitò favilla spenta, e da tale favilla alzò maraviglioso incendio: forse se preghera di retro a me perche Cirra risponda con miglior voci forse dopo di me, e sul mio esempio altri verrà che con più efficace canto invocherà Apollo. Cirra è un altero giogo del Parnaso e devoto ad Apollo, e qui è preso per lo stesso nurne. E Dante fu profeta, perché poco dopo fiorì Petrarca che lo superò in fatto di lingua. Certo è però che Petrarca è maggiore di Dante nella lingua, quanto Dante è maggiore del Petrarca nell’invenzione, prima dote del poeta. — Il presente poema è la prova più luminosa della maggioranza di Dante. La lucerna del mondo il sole sorge ai mortali sorge sul mondo mortale per diverse foci pci diversi punti dell’ orizzonte. ‘Il sole infatti non nasce e non muore sempre nel medesimo punto, perché nel solstizio invernale nasce e muore al fine del sagittario ed al principio di capricorno. Diverso è l’orto, e I’ occaso nel solstizio estivo, perché in fine di gemini, ed in principio di cancro. Il sole per la maggior parte sorge in ariete ma da quella foce principalmente che giugne quatro cerchi con tre croci da quella foce o punto dell’ orizzonte, nel quale si congiungono insieme quattro cerchi, cioè esso orizzonte, lo zodiaco, l’equatore ed il coluro equinoziale, i quali intersecandosi formano tre croci, il che avviene nel principio dell’ ariete, ed in quello di libra. Allegoricamente poi — il sole di giustizia, Iddio, luce del mondo, sorge agli uomini per diverse vie, ma specialmente per le quattro virtù cardinali, e per tre virtù divine. L’anima non è perfetta senza la rettiIìcazione superiore ed inferiore, cioè rispetto al fine, e risDigitized

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canto
1. 19

petto ai mezzi di arrivare al fine. Rispetto al fine deve rettificarsi dalle tre virtù teologali, la fede col credere e convenire sul vero; la speranza col tentare le cose anche di maggiore arduità, ed aspettando; la carità desiderando ed amando ardentemenie. Rispetto ai mezzi deve essere rettificata dalle quattro virtù cardinali che regolano gli atti alla moralità. La lucerna del mondo esce congiunta con migliorcorso con corso che rende il giorno uguale alla notte per tutti gli abitatori (Iella terra, ossia toccando il cerchio equinoziale e con miglior stella insieme alla costellazione di ariete ch’ è composta di diecioflo stelle. I segni poi o costellazioni, secondo lginio, nascono e muoiono diversamente dal sole. e tempera e suggella piu a suo modo La mondana cera e tempera la terra a modo suo, CO- me fa il sigillo rispetto alla cera. Il sole secondo il diverso nascer suo produce effetti diversi: dal principio di ariete a quello di cancro è caldoed umido,c quindi generanteed aumentante:da cancrofinoalibracaldo,sec,co, naturante:da libra fino a capricorno freddo, secco, diminuente; da capricorno ad a riete freddo, umido, putrefaciente. Moralmente poi il sole di giustizia Iddio tempra, ed impronta al modo suo la cera mondana, cioè l’uomo, in cui più infonde grazia al congiungersi colle sette virtù: chi possiede in modo perfetto una sola di dette virtù, le possiede necessariamente tutte. tal foce cioè il sole in ariete havea facto mane aveva condotta l’aurora dita nell’emisfero inferiore e sera di qua e sera nel nostro emisfero superiore e quello emisperio era quasi tutto bianco per I’ albeggiare e I altra parte nera per oscurità essendo il giorno lontano. Allegoricamente in quell’ emisfero era chiarore di verità fra gI’irnmorlali,.ma nel nostro emisfero era oscurità per la ignora nza e I’ errore. Quando vidi Beatrice rivolta in sul sinistro fianco dapDigitized

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paradiso

prìma era alla (lestra del carro e riguardar nel sole nell’ etemo sole di giustizia, in Dio. E qui Dante egregiamente assomiglia Beatrice all’aquila, gran volatile, come grande la sacra scienza: I’ aquila ha grandi ali, grande rostro, artigli adunchi, è regina degli altri uccelli; ed è regina con altrettante doti la sacra scienza sulle altre scienze tutte. L’ aquila vola più alto dì tutti i volatili, e tien fissi gli occhi nel sole, e la teologia ascende al cielo, e tien gli occhi fissi in Dio. L’aquila sola, al diredi Plinionon è colpita dal fulmine, come non lo è I’ alloro, e del pari la teologia non può ferirsi da niun’ altra scienza. L’ aquila è di buon augurio: una penna d’ aquila unita a penna di altri uccelli la consuma e strugge. L’ aquila di certa specie non vive che del cuore degli altri animali, come la teologia non vive che dei principii delle altre scienze aguglia si non li si a/fLxe unquanque l’aquila del nostro mondo non tenne fissi mai altrettanto gli occhi nel nostro sole, come Beatrice li teneva in Dio. E I’ aquila terrestre, a- vendo occhio sferico e liscio soffrirebbe di molte rifrazioni che sperderebbero I’ umor cristallino. Ecco perchè gli occhi nostri versano lagrime ali’ eccesso di luce. La sagace natura formò 1’ occhio dell’ aquila di nera pupilla a grosse ciglia pcrchè meglio di ogni altro animale resistesse a guardare nel sole, ma noi potrebbe però mai lungamente. Anche la salamandra qualche volta vive nel fuoco perchè di natura gelida, e qualche volta anzi estingue il fuoco stesso; ma ciò avviene per pochi istanti, altrimenti morirebbe consunta. Dante poi dice che I’ aquila terrestre mai non tenne altrettanto fissi gli occhi nel nostro sole, come Beatrice, imperocchè I’ occhio di lei permanente intellettuale quanto più lungamente e fissa- mente guarda I’ eterno sole, tanto più rinvigorisce invece di

consumarsi. [p. 31 modifica]

canto
1. 21

E tnctaforicamente il Poeta intende significare di essersi fatto pulcino di quest’ aquila nobilissima, perchè mirando ne’di lei occhi sentì rinvigorirsi ed esser capace di tener fissi gli occhi nel sole, quando dapprima nol poteva che minimamente. Come un raggio di sole riflettendo in uno specchio risale verso il sole, quasi all’ origine sua, così 1’ intelletto di Dante pareva tornar volesse donde venne, e guardava gli occhi di Beatrice, in tal. modo risalendo al cielo, verso dell, eterno sole che lo aveva illuminato e il mio il mio aLLo infuso dagli aeti suoi di Beatrice per gli occhi miei se fece nel immagine mia nella mia immaginazione sicomeragiodi sole sole uscii’ del primo da specchio od acqua, e suole resalir in suso verso lo stesso sole pur come peregrin che tornai’ vole al luogo donde venne, alla patria che lasciò. Dante aveva peregrinato, e voleva tornare a Beatrice e volse il viso al Sole gli occhi a Dio oltre fosti’ USO oltre il potere ritratto dalle scienze umane. molto e licito la nell’ altro mondo a le nostre virtu alla virtù della vista, dell’ udito che qui non lice che non è permesso, nè è in nostro potere mercedel loco pel privilegio del Paradiso faeto per proprio de la umana specie creato da Dio perché fosse stanza propria dell’ uomo. Io noi soffersi molto ne si poco io non potei sostenere Io splendore di quel sole nè molto nè poco chio noI vedessi favillar d intorno mettere scintille e raggi all’ intorno qual ferro che bogliente esce del fuoco come fa il ferro che rovente esce dal fuoco e di subito parve giorno esser aggiunto a giorno ed in un istante parve raddoppiarsi il giorno ed il sole come quei che puole al par che Dio che tutto può havesse adomo il Cielo dun altro Sole. Dante al fine di sua faticosa peregrinazione per valli spaventose, e per un monte arduo,

e difficile, era lur giunto a luogo di perfezione, purgato dal [p. 32 modifica]22

paradiso

fuoco, mondo dalle acque, e con ali più robuste di virtù e di scienze volava al cielo: aveva pertanto ragione allorché diceva di scorgere giorno, e sole raddoppiati. Alcuni capricciosamente vogliono ritenere che Dante ascendesse al cielo per la sfera del fuoco, locchè non può essere, avendo esso posto il Paradiso delle delizie sopra tale sfera, come si vide alla fine del Purgatorio. Beatrice stava tutta fiza con gli occhi ne I eterne rote Beatrice stava contemplando ne’ cieli rotanti ed eterni et io fizi le luce rimote de la su in lei ed io togliendo gli occhi dal sole li volsi in lei fisamente, aspettando vedere quani’ essa avrebbe fatto. Nel contemplarla poi divenne simile a Glauco, che al dire di Ovidio, da mortale si fece immortale — Glauco da lungo tempo aveva pescato in uno stretto del mare Euboico ora con rete, ora con amo. Un giorno posò i pesci sopra 1’ erba di un prato non mai tocca dal dente di animale, ed i pesci mangiando di tal erba tanto rinvigorirono, che saltellando a lunghi slanci, nuovamente s’ immersero nel mare. Maravigliato Glauco ditale prodigio volle anch’esso gustare di quell’erba, e subito si sentì tal vigore in tutte le membra, che lo trasse ad immerger. nel mare, e fu cangialo in un mostro, metà pesce dall’ inguine in su; ma per le preghiere degli altri dèi di mare, lavato con acque dolci, fu fatto Dio marino, e di forma meno mostruosa. Dante è quel Glauco che a lungo pescò nelle acque infernali e purganti, e finalmente giunse al prato verdeggiante, dove prima non arrivò alcun poeta, ed ivi deposti gli uomini da lui corretti, e giistanti I’ erba nuova, cioè la dottrina fin qui inviolala ed intatta, rientrarono in mare; ed egli stesso, abbandonata la terra, prima si fece semi-dio, e totalmente lavato e mondo dalle

acque dei fiumi del Paradiso fu fatto nume nel gran mare dei [p. 33 modifica]

canto
1. 23

beati, cangiata la prima forma di vita. E laddove aveva in piccola barchetta presi pesci meschini, ora con gran nave, entrando in alto mare farà pesca di grossissima preda. lo Dante mi fei tal dentro mi feci tale nell’ intelletto nel suo aspecto nell’ aspetto di Beatrice qual se fe Giauco pescatore nel gustar de lherba vergine, e maravigliosa che ife consorte degli altri dei in mar che lo fece addivenire un dio marino, e partecipe dell’ immortalità. Il Poeta non può trovare termini adequati per esprimere la sua trasformazione. Non v’ è animale che sia al caso di cainbiare natura, quanto 1’ uomo, operando il bene od il male, giacchè 1’ uomo solo è il perfetto fra gli animali, ed il suo composto è proporzionatamente disposto come alla terra così al cielo, avendo I’ intelletto, che lo innalza dalla terra alle regioni celesti. Ermete dice che I’ uomo è il nesso tra Dio ed il mondo. L’ uomo perseverante ad innalzare la mente trae con sè in ultimo il corpo ed il mQndo, imperoccbè 1’ anima è nata a reggere il corpo ed il mondo. Vedi Dante che colla sola contemplazione, sprezzata la fortuna mondiale, s’ innalza al Paradiso. All’ incontro l’uomo qualche volta si rende inferiore al corpo ed al mondo, ed allora spoglio di umanità, vesL la bestialilà, facendo che il corpo cangi l’anima. transhumanar passare, cambiare la umana natura non se poria significar per verba non si potrebbe esprimere con parole; pero I exempio basta a cui gratia serba eperientia 1’ esempio addotto basti per ora ad appagare colui, il quale dalla grazia divina è predestinato a farne dopo morte esperimento, come Dante ora sperimentava, e come avevano fatto sommi dottori e teologi prima di lui. O amor che I Ciel governi o Dio, clic imperi nel cielo

tu I sai lo sai tu che il quale mi levasti col tuo lttnw [p. 34 modifica]

paradiso

colla grazia tua mi rapisti al cielo avendomi prevenuto se io era soldi me quel che creasti se quando io provai questa trasmutazione era soltanto anima: il corpo non può dirsi rigo rosamente creato, ma generato novellamente iii questa nuova ascensione. Diceva come san Paolo — o nel corpo o fuori — Come una stilla di altro liquore, se venga infusa nel vino, sembra perdersi ed immedesimarsi col sapore e colore del vino in cui è immersa, così gli affetti dell’ uomo per non so quale indicibile modo liquefacendosi, si trasfondono nell’ amor di Dio. Egli dimentico di sè, ascendendo per le sfere celesti all’ eterno re, si affretta di giungervi ebro della soavità della grazia infusa. E rispetto al Paradiso morale, benchè l’anima sia tuttora unita al corpo, pure qualche volta prova la felicità della purgazione, ed è quasi una caparra della eterna felicità, quando la rota che tu sempiterni quando la rotazione de’ cieli che tu perpetui desiderato desiderato dai santi e beati mi fece atteso trasse a sè la mia attenzione con £ armonia che temperi e discerni con 1’ ordine temperato e provviderite. Si dice che la musica consista nei nove ordini degli angeli che non cessano mai di cantare nelle rispettive loro sfere. La musica ha potere anche sugli animali: i cavalli si accendono alla guerra col suono delle trombe ed altri militari strumenti. La musica è propria degli uccelli e piiì de’ più gentili. La dolcezza della musica incanta perfino i pesci: così si narra di Arione che tanto dolcemente cantava e suonava, che i delfini accostandosi a lui erano presi, e fra gli altri uno se lo mise sul tergo e lo portò alla spiaggia, ivi lasciando incolume e salvo il cantore. Così Ovidio, così sant’ Agostino, Tullio, Erodoto, ed altri. Non dobbiamo quindi maravigliarci di trovare la musica - anche fra i beati. Nel tempio di Salomone non mancavano cari- tori, cetre ed organi. La musica infatti è ordinariamente eDigitized

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canto
1. 2

spressione del gaudio, e trasporta le anime dov’ è maggiore la soavità, e quindi al cielo: essa alevia il peso delle cure, diminuisce i mali, lenisce i tormenti. I pitagorici studiavano tutti qualche cantilena mossi dal principio che 1’ unione dell, anima col corpo sia un’armonia. Democrito faceva la dimostrazione della pulsazione del cuore ad Ippocrate coll’armonia. La musica scacciò i demoni dal re Saulle, che al canto di David mostravasi meno agitato dallo spirito maligno. Pitagora sostenne essersi il mondo fabbricato colla musica, ed anche governato con essa. Boezio scrive—apparve la musica tanto a noi naturalmente congiunta che non possiamo stare senza di lei: è condimento dell’ arte, soavità dell’ animo, giocondità di laudi, giubilodidevozione,azionedi grazie, fuga dei demoni, esercizio degli angeli. — Dante entrando nel cielo con Beatrice la udì più soave e perfetta, che non l’aveva udita nel Purgatorio in compagnia di Virgilio. Parve tanto allor del Cielo acceso de la fiamma del Sole mi parve tanta parte del cielo essere irradiata da quel sole che piogia o fiume non fece lago alcun tanto disteso che pioggia, gonfiando fiume, non formò mai lago più esteso di quello. La aovita del sono Aristotile sostiene non essere musica in cielo, ed allora convien ritenere, che per musica Dante esprimer voglia l’armonico moto delle sfere ed altri corpi celesti. E se anche volesse esprimere il vero suono musicale avrebbe scusa in Pitagora, Platone, Tullio e Macrobio, quest’ultimo commentatore di Tullio nel sogno di Scipione, che insieme a Calcidio commentatore di Platone nel Timeo sostengono ed accertano la musica in ‘ielo. Alberto Magno deduce con molti argomenti 1’ oppostoe I grande lume maggiore di ogni altro veduto m accese,un desio di br cagion mi accese

smania di conoscerno la cagione mai non sentito di cotanto [p. 36 modifica]26

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acume smania, che mai flOQ aveva provata sì viva. und ella Beatrice che vedea me si com io che vedeva me al par di me stesso aprio la bocca per parlare pria eh io 1’ aprissi a di- mandai’ a ricercar tal cagione a quietarmi i animo comosso per quietarmi l’animo agitato dall’insolito portento e comintio a dirmi: tu stesso ti fai grosso col faL9o imaginar tu stesso ti fai ottuso d’intendimento falsamente ritenendo di essere in luogo diverso da quello in cui ti trovi si che non vedi ciò che vedresti se i avessi scosso sì che non vedi quanto vedresti se avessi scosso da te quel falso immaginare, tu non sei in terra si come tu credi come falsamente ritieni ma fol4jore ch’ è lume di fuoco apparente fra nubi divise e rotte: il fulmine poi è fuoco espulso con impeto fugendo il proprio sito togliendosi dal proprio natural luogo non corse con tanto impeto come Ìu corresti che a esso riedi ritorni al sito della folgore, cioè al cielo del fuoco ovvero al cielo luogo originario delle anime, come la terra lo è de’ corpi. Dante ora colla scienza e virtù ascendeva al cielo ,conìe una volta per l’ignoranza e pci vizi precipitava alla valle, secondo il primo canto dell’ Inferno. Dante schiarito da un dubbio sentiva sorgerne un altro, e cioè come egli vestito di carne potesse passare pci lievissimi corpi eelesti. Considerava egli la umana miseria nel corpo suo. Plinio scrive — qual cosa è più misera dell’ uomo, concetto nel lezzo di lussuria, nutrito di sucido alimento che il pudore vieta di nominare, debole a segno, che, prima di uscire dall’utero, basta il puzzo di estinta candela ad ucciderlo, e nato muore al pungolo di una zanzara, e per un pelo nel latte che gli traversi la gola: egli è ospizio di tutte le contingenze, ricettacolo d’ogni immondezza, soggetto di malattie, ricovero di bisogni, ricco solo di dolori, di stenti, di pene e (li periDigitized

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canto
1. 27

coli: scorre brevissima vita auspicata dal pianto: inquieto, avido di ricchezze e di gloria, in timore della morte, ci tenta di darla altrui con ludibrio e tormento. Quante volte i pidocchi rosero la carne de’ re, e succhiarono il sangue degi’ imperatori? Quanti credettero il maggior bene appena nati esser morti? Dall’ altra parte Dante considerava la sublimità dell’uomo pd suo intelletto. Se natura provvide gli animali di dura pelle, di unghie, di corna, provvide l’uomo di un riparo inarrivabile, dell’intelletto. Gli animali hanno i rimedi dell’uomo. L’elefante, il cammello, il bue, il cavallo invecchiando si sprezzano, e colla morte entran nel nulla. All’ uomo solo è dato di far venerabile la vecchiaia, felice e gloriosa la morte, che Io trasporta, ma non lo estingue. Se gli altri animali hanno tanti mezzi di conservazione e difesa, 11 Creatore pose nella testa umana due occhi capaci ad esprimere per sè stessi i segreti dell’anima, gli accordò la parola, lo donò di ragione: con questi si rese soggetto il creato: domò le fiere, trasse il bue alle proprie comodità sotto del giogo, ed il cavallo sotto del freno. Coll’intelletto aduoque comandò a tutte le cose, e vivendo, venne così a godere del frutto della grazia, chiaro per virtù fra gli uomini, e per secoli venturi, beato infine nel cielo. sio fui del primo dubio disvestito s’io fui chiarito del primo mio dubbio per le sorrise parolete brevi di Beatrice, che brevemente, e sorridendo gli aveva risposto piu fu io irrectito più fui come da rete aviluppato dentro ad un novo in un nuovo dubbio e dissi gia contento di grande ammiration requievi mi contentai della maraviglia dell’ immensa luce e suono ma io amiro ma io più mi maraviglio com io trascenda questi corpi levi come io vestito di carne passi sopra a questi lievissimi corpi celesti. Il cielo non è nè caldo, nè freddo, non secco,

non umido, non leggiero, non grave come gli elementi a lui [p. 38 modifica]28

paradiso

sottoposti che ei move, mescola, ed unisce insieme. Dante no-. mina lieve il cielo perché sta sopra tutte le cose lievi, ed è puro, immateriale, e velocissimamente si move. (md ella Beatrice mostrando pietà appresso d un pto sospiro dopo un sospiro di compassione, perché mosirava d’ ignorare essere nato alla felicità drizzo gli occhi ne’ quali consiste ogni di lei decoro e bellezza con quel sembiante che madre fa sopra figlio deliro col voho uguale a tenera madre che compassiona un figlio delirante. Deliranti diconsi i vecchi in cui è alterata l’armonia delle virtù animali, egualmente che dicesi scordata uniira se non sono le corde debitamente tese. e comintio a dire le cose tulle quante hanno ordine tra loro hanno un rapporto al proprio luogo e questo ordine ce forma che 1 universo fa somigliante a Dio che fa di tutte quante le cose un essere solo, ossia fa l’universo somigliante a Dio. I alte creature le angeliche veggion qui nel detto ordine lorma le vestigia del eterno valore dell’eterna potenza, / il qual fine quale è lo scopo al qual e facta la tochata norma per cui quell’ordine di sopra accennato, fu fatto. tutte nature sono accline tutte le nature sono inchinate o tendenti nel ordine eh io dico all’ ordine predetto. E qriest’ ordine è così universale che quanto è velenoso ad uno èsalubread un altro, come il jusquiamo cibo de’pastori, sebbene ad altri velenoso, e come il napello che uccide il feto e la donna pregnante, ma non èad altri nocivo. Similmente non trovasi male che non produca un qualche bene. Sant’ Agostino scrive — Dio non lascierebbe correre il male o per colpa o per natura, o per pena, se dal male non vedesse che nascer potesse un qualche bene per diverse sorti più o men vicine al principio loro più o men vicine a Dio primo principio movente, sì che diversamenl.e

splende il sole nell’ aria, diversamente tielia nube, [p. 39 modifica]

canto
1.

‘diversamente nell’ acqua. unde se movon ille nature a diverse parti per lo gran mare de tessere onde quegli enti o nature si:movoflo a parli diverse nel creato, il fuoco in su, l’acqua e ra terra in giù e ciascna natura od ente si move con istinto a lei dato che la porti con istinto che la trasporta al suo finc. Non vi è un ente mancante di,. forma essenziale costituente il suo essere, e questa forma ha qualche operazione essenziale, e questa operazione essenziale ha qualche fine, ch’ è il bene di quella natura. Questi questo istinto ne porta itjQco in ver la luna ad imitazione del moto del cielo: questi uest’ istinto ee promobr nei coi’ mortali ministrando il cuore il moto, a tutte le altre membra, e cessando il qual moto, cessa la vita, ovvero move il cuore degli uomini al desiderio del sommo bene: questi istinto stringe et aduna la terra in se. Gli elementi inferiori sono materia rispetto ai superiori, che sono forma- tori e quasi spirituali rispetto ai primi: ecco perchè il fuoco è sottilissimo e semplicissimo. L’aria è meno semplice, e penetra e riempie meno del fuoco. L’acqua è più materiale e poco riempie fluendo sempre 1’ umido; e la terra rnaterialissima ha parti che tendono al centro, e vi si comprimono; e la terra dicesi il centro di tutte le sfere e del mondo. L’ istinto, parimenti governa anche le anime ne per questo arco istinto, forza istintiva detto arco perchè a guisa delL’arco diriggc il dardo allo scopo saetta colpisce non pur le creature che son fuor de inklligentia i bruti che non hanno intelletto ma quelle che hanno intellecto et amore ma gli angeli ancora, e gli uomini. La provvidentia che cotanto assecta la divina provvidenza che mette in ordine tutte quante cose fa il Ciel sempre quieto del suo lume fa sempre contento e quieto il cielo cmDigitized

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pireo, sotto di cui il primo mobile gira più veloce degli altri cieli, che coprono la terra nel qual empireo se volge quei il primo mobile che ha maggior fretta maggior velocità: et hora la vertu di quella corda ed ora l’ordine di provvidenza che cio che scrocha drizza in segno kb che quanto move dirigge a buon fine e importa li a quel cielo empireo per una scala di nove gradi come a silo decreto come a luogo stabilito dalla sapienza di Dio. Perciò sant’ Agostino d’accordo con Virgilio, — ciascuno è tratto non da neccessità, ma dal diletto. — E quanto dobbiamo essere noi cristiani tratti da Gesù Cristo, che ci chiama al diletto della virtù, della giustizia, della beatitudine di vita sempiterna? E qui potrebbe obbiettarsi — come dunque accade che pochi arrivino al cielo se vi sono naturalmente inclinati e tratti? E si risponderebbe che ciò avviene accidentalmente, e fuori delL’ intenzione della natura, a guisa del fabbro che non può formare un brando da un ferro non disposto a divenirlo vero ce che la creatura ragionevole, 1’ uomo che a poder di piegare così pinta in altra parte che ha il libero arbitrio di volgersi or a questa or a quella parte se departe da questo corso tal hor si allontana qaIche volta dall’ ordinedi provvidenza c’osi come forma non si accorda al intention del arte molte fiate come avviene agli artisti che molte volte non possono (lar forma alla materia per- che la materia e sorda a rispondere perchè non risponde la materia, od è indisposta, p. e. al fabbro il ferro non rovente. Calcidio quindi —L’anima come partecipe della divinità appetisce naturalmente il bene, ma sbaglia talvolta nello sceglierlo, giudicandolo nelle voluttà, nelle ricchezze, nella gloria mondana. L’ uomo viene alla luce con dolore: passa da luogo caldo a luogo freddo e comincia a piacersi dell’ acqua colla quale la nutrice lo monda. Così fin dal primo moDigitized

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1. 31

mento ha un’idea di diletto, che gli si accresce succhiando il latte. Avanzando in età, e la indigenza togliendogli il diletto, frama le ricchezze che lo produce: poi corre dietro alla gloria, essendo ogni uomo per natura sensibile alla lode, ed a- gli onori, testimonianze di virtù. Nato ignorante abbisogna di precettori: a Socrate, fanciullo ancora, si dice fosse dato a custode un angelo. Si deve comprimere il fuoco, per farlo radere il suolo, così 1’ uomo, naturalmente disposto a salire al cielo, se non ha pesi che lo comprimono a terra contro la tendenza di natura salirà e si come vedersi puo cadere fuoco di nube se I impeto primo la vorra torta dal falso piacere ed a a i quel modo che dalle nubi si vede cadere il fulmine, che essendo fuoco naturalmente anderebbe all’alto, se l’ordine suo, o natura venga rotto o sviato da un’attrazione falsa ad altro scopo non dei piu ammirare lo tuo salire non devi più farti maraviglia di salire al cielo per quanto a me pare se non come d un rivo se d alto monte scende giuso ad imo come non dovresti maravigliare che un ruscello cadesse dal monte alla valle. maraviglia sana se privo d impedimento giu ti fossi assiso com a terra quieta in foco vivo sarebbe da maravigliare se ora, essendo tu privo dall’ impedimento della gravezza che ti davano le colpe, delle quali ti purgasti, avessi potuto assiderti giù, come sarebbe da maravigliare se il fuoco vivo, che di sua natura tende all’insiì, si posase in terra quinci rivolse in ver io cielo il viso poi Beatrice rivolse la faccia al cielo. Ella aveva ragione di non maravigliarsi che Dante corresse velocemente a trasportarsi in Dio, dacchè purgato dai peccati aveva superato il monte che tocca il cielo, e si era in doppia acqua lavato da ogni superbia e cupidigia, radici di ogni colpa, investito dalle sette virtù, che lo innalzavano alla patria, dove, vincitore (le’ più infesti nemici, speDigitized

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paradiso

rava menare il glorioso trionfo, li divino Poeta correva a cogliereiL premio promesso, perarrivare il qualeci aiuti colui, che degnò trarre Dante ancor vivente per tutti i regni del cielo. E così sia. N. B. Ne’ versi 45, 44, 45, Dante ha parlato degli antipodi, e di altri emisferi, antivedendo per molti anni quanto scopersero Colombo, Americo, Vespucci ed altri.

Ne’versi 49, 50, 51, Dante pianta la legge fondamentale della Catottrica. [p. 43 modifica]

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Il.

TESTO MODERNO O voi, che siete ìn piccioletta barca, . Desiderosi d’ascoltar, seguiti Dietro al mio legno che cantando varca, 3 Tornate a riveder li vostri liti.; Non vi mettete in pelago, che forse, Perdendo me, rimarreste smarriti. 6 L’acqua ch’io prendo, giammai non si corse: Minerva spira, e conducemi Apollo, E nove Muse mi dimostran I’ Orse. 9 Voi altri pochi, che drizzaste il collo Per tempo al pan degli Angeli, del quale Vivesi qui, ma non si vieti satollo, 12 Metter potete ben per l’alto sale Vostro navigio, servando mio solco Dinanzi all’acqua che ritorna eguale. Quei gloriosi, che passaro a Colco, Non s’ammiraron, come voi farete, Quando vider Jason fatto bifolco. 18 La concreata e perpetua sete Del deiforme regno cen portava Veloci quasi come il del vedete. 21 Beatrice in suso, e io in lei guardava: E forse in tanto, in quanto un quadrel posa, E vola, e dalla noce si dischiava,

RAMBALDI — VoI. 2. [p. 44 modifica]34

paradiso

Giunto mi vidi, ove mirabil cosa Mi torse il viso a sè; e però quella, Cui non potea mia cura essere ascosa, 27 Volta ver me sì lieta come bella: Drizza la mente in Dio grata, mi disse, Che n’ ha congiunti con la prima stella. 30 Pareva a me, che nube ne coprisse Luo.da, spessa, solida e pulita, Quasi adamante che lo Sol ferisse. Per entro sè I’ eterna margherita Ne ricevette, com’ acqua recepe Raggio di luce, permanendo unita. S’ io era corpo, e qui non si concepe, Come una dimensione altra patio, Ch’ esser convien se corpo in corpo repe, 39. Accender ne dovria più il disio Di veder quella essenzia, in che si vede Come nostra natura e Dio s’ unio. 42 Lì si vedrà ciò che tenem per fede, Non dimostrato, ma fia per sè noto, A guisa del ver primo che i’ uom crede. 4’ lo risposi: madonna, sì devoto, Quant’ esser posso più, ringrazio Lui, Lo qual dal mortal mondo m’ ha rimoto. 48 Ma ditemi, che sono i segni bui Dì questo corpo, che taggiuso in terra Fan di Cain favoleggiare altrui’ 51 Ella sorrise alquanto, e poi: s’ egli erra L’opinion, mi disse, dei mortali, Dove chiave dì senso non disserra, 54 Certo non lì dovnen punger li strati

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canto
11.

D’ammirazione ornai: poi dietro ai sensi Vedi che la ragione ha corte l’ali. Ma dimmi quel che tu da te ne pensi. E io: ciò che ne appar quassiì diverso, Credo che il fanno i corpi rari e densi. 60 Ed ella: certo assai vedrai sommerso Nel falso il creder tuo, se bene ascolti L’ argomentar eh’ io gli farò avverso. 63 La spera ottava vi dimostra molti Lumi, li quali nei quale e nel quanto Notar si posson di diversi volti. 66 Se raro e denso ciò facesser tanto, Una sola virtù sarebbe in tutti Più e men distributa, e altrettanto. 69 Virtù diverse esser convengon frutti Di principj formali, e quei, fuor ch’ uno, Seguiterieno a tua ragion distrutti. 7 Ancor, se raro fosse di quel bruno Cagion che tu dimandi, o oltre in parte Fora di ua materia sì digiuno 75 Esto pianeta; o sì come comparte Lo grasso e il magro un corpo, così questo Nel suo volume cangerebbe carte. 78 Se il primo fosse, fora manifesto Nell’ ecclissi del Sai, per trasparere Lo lume, come in altro raro ingesto 81 Questo non è; però è da vedere Dell’ altro: e, s’ egli avvien cb’ io 1’ altro cassi, Falsificato fla Io tuo parere. 84 5’ egli è che questo rarø nòn trapassi,

Esser conviene un termine, da onde [p. 46 modifica]36

paradiso

Lo suo contrario più passar non lassi: 87 E indi 1’ altrui raggio si rifonde Così, come color torna per vetro, Lo qual di retro a sè piombo nasconde. 90 Or dirai tu, che si dimostra tetro Quivi lo raggio più che in altre parti, Per esser lì rifratto più a retro. 93 Da questa instanzia può deliberarti Esperienza, se giammai la provi, Ch’ esser suoi fonte a’ rivi di vostre arti. 96 Tre specchi prenderai, e due rimovi Da te d’ un modo, e 1’ altro più rimosso Tr’ ambo li primig1i occhi tuoi ritrovi. 99 Rivolto ad essi fa, che dopo il dosso Ti stia un lume che i tre specchi accenda, E torni a te da tutti ripercosso: 102 Benché nel quanto tanto non si stenda La vista più lontana, lì vedrai Come convien ch’ egualmente risplenda. 105 Or come ai colpi degli caldi rai Della neve riman nudo il suggetto, E dal colore e dal freddo primai; 108 Così rimaso te nell’ intelletto Voglio informar di luce sì vivace, Che ti tremolerà nel sùo aspetto. 111 Dentro dal ciel della divina pace Si gira un corpo, nella cui virtute L’ esser di tutto suo contento giace. I 14 Lo ciel seguente, ch’ha tante vedute, Quell’ esser parte per diverse essenze

Da lui distinte, e da lui contenute. 117 [p. 47 modifica]

canto
11. 37

Gli altri giron per varie differenze Le distinzion, che dentro da sè hanno, Dispongono a br fini e br semenze, 120 Questi organi del mondo così vanno, Come tu vedi ornai, di grado in grado, Che di su prendono, e di sotto fanno. 133 Riguarda bene a me sì com’ io vado Per questo boco al ver che tu desin, Sì che poi sappi sol tener lo guado. 126 [40 moto e la virtù dei santi giri, Come dal fabbro 1’ arte del martello, Dai beati motor convien che spiri. 129 E il ciel, cui tanti lumi fanno bello, Dalla mente profonda che lui volve, Prende 1’ image, e fassene suggello. 132 E come 1’ alma dentro a vostra polve Per differenti membra, e conformate A diverse potenzie, si risolve; 136 Così I’ intelligenzia sua bontate Moltiplicata per le stelle spiega, Girando sè sovra sua unitate. 138 Virtù diversa fa diversa lega Col prezioso corpo ch’ ella avviva, Nel qual, sì come vita in voi, si lega. 141 Per la natura lieta onde deriva, La virtù mista per lo corpo luce, Come letizia per pupilla viva. 144 Da essa vien ciò che da luce a luce Par differente non da denso e i’aro: Essa è formal principio, che produce, Conforme a sua bontà, lo torbo e il chiaro. 148 [p. 48 modifica]38 PARADiSO 0MMENT0 DI BENVENUTO L’ autore mostra come pervenne al cielo della luna. Il canto secondo può dividersi in quattro parti generali. Nella prima esordiendo, porge alcune regole di dottrina. Nella seconda, racconta come entrò nella sfera della luna. Nella terza, tratta della causa delle macchie lunari. Nell’ ultima, mostra su tal causa la propria opinione. Dante parla ai mezzo sapienti, de’ quali è gran numero, dicendo loro — o voi poco capaci, che avete letto il Purgatorio e 1’ Inferno, meco tornate a leggerli, e non tentate di mettervi dentro al Paradiso o voi che sete in picioleta barcha cioè che avete poca forza d’ ingegno: Dante somigliò 1’ ingegno suo ad una barchetta nel principio del Purgatorio. E veramente molta scienza e molto ingegno son necessarii per intendere la cantica del Paradiso, come io me ne accorsi quando la leggeva in Bologna desiderosi d ascoltare di udire la terza cantico, come udiste le altre due seguiti retro al mio legno avendo seguitato 1’ ingegno mio che varcha che or passa in nuovo mare più profondo cantando poeticamente descrivendo, tornate a riveder li vo8tri liti tornate indietro a rileggere le altre due cantiche, che non hanno tanta profondità non vi mettete in pelago in tanto mare con piccolo legno che forse perdendo me non valendo a seguirmi rùnarisli ismariti vi smarrireste. Boezio nel libro — quomodo Trinitas unus Deus — avverte che coloro i quali non possono comprendere quel trattato, debbano ritenersi indegni di leggerlo. L acqua che io prendo gia mai non si corse il mio argomento non fu sin qui trattato da alcun poeta. Chi mai pensò difatti a creare un cielo artificiale come quello di Dante? Niuno

poeticamente descrisse il Purgatorio ed il Paradiso, e così gli fu [p. 49 modifica]

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Il. 39

impossibile I’ imitazione. Omero e Virgilio nudamente e brevemente descrissero i’ Inferno; ma Dante ci descrive un Inferno nuovo con singolare artificio architettato. Mostra maravigliosa immaginazione perfino ne’supplici dei dieci generi di frodi.Chi descrisse le arene de’ violenti, variando come lui i tormenti? A me sembra che il libro dell’ Inferno in quanto ad arte abbia merito maggiore degli altri libri. E 1’ acqua che ora azzarda di varcare è la più profonda di tutte secondo sant’ Agostino. lo lascio gracchiare gli stolti, che affermano essere la teologia un libercolo di poco conto, quando si divida dalla filosofia, poiché nelle altre scienze non si trova tanto, quanto in lei sola. Chi potrebbe in sua vita leggere gli scritti di sant’ Agostino soltanto, che compose mille volumi, oltre I’ opera sul Salterio? Origene ne pubblicò molte migliaia. E qui gli si p0- trebbe opporre, come egli abbia dunque l’audacia di entrare in tanto oceano, e risponderebbe Dante di avere l’aiuto di Pallade Minerva, di Apollo e delle muse. Minerva ha un’ origine ignota, e fu creduta senza madre, ma nata dal cervello di Giove per la divina sapienza che palesò: ecco perché si chiama Athena immortale. Essa, sempre rimasta vergine, fu la inventrice delle arti, ed insegnò il lanificio, ossia 1’ arte di lesser le lane: fu la prima a trarre 1’ olio dalle olive: insegnò l’arte dell’armi, i numeri ed il calcolo. Minerva spira m’infonde sapienza e condueemi Apollo e mi guida Apollo, Dio dei poeti, che implorai nel canto precedente. Ho di più l’ago magnetico che mi mostra la tramontana in questo immenso mare e iìove muse mi dimostran I orse delle muse abbastanza fu d’tto nel Purgatorio. Esse mi dimostrano le stelle settentrionali regolatrici della navigazione, cioè mi reggono in questo nuovo cammino. Vi sono due orse costellazioni — maggiore e

minore, — che segnano tramontana, come si dirà nel canto [p. 50 modifica]40

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XIV nove poi le muse non di numero, ma novelle, in quanto egli comincia a cantare di Dio eterno, mentre gli antichi poetarono degli Dei colle muse de’ gentili. Voi altri pochi che dricciasti il collo voi pochi che alzaste il capo al pan degli Angeli alla dottrina angelica — a Dio, che san Tommaso chiama pane degli angeli, come lo chiamò Dante nel Purgatorio del qual vivesi qui in terra ma non sen ven satollo ma non lascia sazio, non essendo mai quieto 1’ animo umano, e non potendosi in terra godere di ‘vera felicità. Secondo Aristotile 1’ opera umana di virtù è felicità; ma 1’ uomo virtuoso non è veramente felice, sibbene prossimo a felicità per tempo accennando così alla diuturnità indispensabile per la scienza. Ma ora oh vergogna! sono maestri di teologia giovanetti balordi, che non conoscono che ridicoli sofismi potete ben mettere vostro navigio vostro ingegno per I alto sale per I’ alto mare col quale giungere al porto di eterna felicità servando mio solco dinanei al aqua che ritorna uguale seguendo la traccia prima impressa nel1’ acqua che subito torna a divenir placida e piana. Può anche interpretarsi pel flusso e riflusso che lascia sempre I’ acqua uguale. lo sentii un teologi) che si scandalezzava di questo passo e tutto riferiva a Beatrice, del che risi sgangheratamente. Nel Paradiso s’ incontrano molti passi ardui e difficili, e quindi a ragione Dante chiama i più sapienti a seguirlo. I compagni invitati da Giasone si maravigliarono prima- mente della gran mole della nave; in secondo luogo che dovesse solcare un mare vergine e non mai solcato: finalmente allorché, seminati i denti di un serpente, videro sorgere uomini perfettamente armati. Dante intende significare così — voi vedrete gran nave, cioè grande opera nuova: vedrete da materia

comune nascere sublimi sentenze. questi gloriosi che passaro [p. 51 modifica]

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11. 41

a Coko i greci che con Giasone andarono a Colco pel conq uisto del vello d’oro o gli Argonauti non s amiraron come voi farete quando vider Giason fatto bifoko non tanto si maravigliarono, quando videro Giasone, domati i tori che spiravan fiamme dalle narici, arare la terra per seminarvi i denti del serpente ucciso da Cadmo, dai quali nacquero uomini armati. Giasone per primo con grossa nave entrò in alto mare, come Dante primo poeta con sublime ingegno entrò nella materia del Paradiso. Giasone conquistò un tesoro, Dante il sommo bene. Dopo Ercole fu Giasone il più glorioso, anzi condusse seco Ercole ed Orfeo ed altri grandi, e trionfò del Drago e de’ buoi vomitanti fuoco, e di quelle genti che avevano accanita guerra civile. Dante dopo Virgilio fu il più sublime poeta, che condusse lo stesso Virgilio nella propria barca insieme con Stazio ed altri, e trionfò dcl demonio, e delle voluttà che vomitano ardenza di libidine, e vinse i giganti cioè i vizi del mondo, cagioni di sventure e di stragi. Giasone passò per Troia terra di voluttà, ed espulso dalla patria si rese glorioso, perché tornato da Colco, corresse sua vita, restituendo allo suocero il regno, il perchè meritò gli onori divini. Similmente Dante a lungo errò fra vanità mondane, e gustò di volutià fiorentine, qualche volta ingannndo in amore, come egli stesso confessa; poscia sbandito dalla patria, corresse la vita dissipata, e si mise al Poema sacro, che Io feca divino. La sete concreata i’ attrazione innata e continua dei dei- forme regno del Paradiso cen portava veloce quasi come iciel vedete ci portava quasi colla stessa velocità, con cui vedete muoversi il cielo, esprimendo con ciò il trasporto di arrivare a vedere il beato regno. Beatrice guardava in suso al primo cielo ti io a lei perché solo col di lei aiuto potevansi vedere le cose celesti e forse in tanto in quanto un quadrel posa una frecDigitized

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paradiso

cia di balestra e vola e se dischiava de la noce la saetta prinia si dischiava dall’osso, nel quale si pone il quadrello, o freccia, qual osso dicesi noce, e poi vola, vidimi giunto ad un luogo ove mirabil cosa mi torse il viso a se ove una cosa maravigliosa attrasse il mio sguardo. La luna è maravigliosa nelle sue variazioni, ora piena, ora media, or corn uta, ed a seconda di tali variazioni muove e varia le cose sottoposte, per ragione di velocità, e vicinanza alla terra. In lei si riuniscono tutte le potenze motrici superiori. Essa muove il mare colla luce temperata, mentre la luce del sole all’opposto è esiccativa dell’ umido, congiungendosi col freddo temperato ed umido della luna. Essa per conseguenza ha maggiore influsso sui corpi inferiori degli altri corpi celesti, e si può dire con Aristotile che la luna fa in un mese quanto il sole in un anno. I medici nelle cure, i contadini nella coltivazione delle terre, i nocchieri nel navigareosservano le variazioni lunari. Essa poi per sè conserva alcun che di oscuro anche quando è illuminata dal sole e però quella Beatrice cui non potea mi opera essere ascosa perché sapeva al pari di me qual era il mio desiderio volta ver me prima era volta al cielo si leta come bella lieta per la felicità di Dante mi disse drizza la mente grata in Dio ringrazia il Signvre Iddio che ti fece degno di tanto bene che n ha congiunti con la prima stella che ci ha fatti entrare nella luna, prima stella rapporto alla terra. Pareami che nube ne coprisse mi parea esser coperto da nube, giacchè la luna ha in sè nubi comecchè illuminata dal sole spessa — solida perché non la trapassano i raggi solari epolita quasi adamante rispetto al colore e durezza. Il diamante è pietra durissima più scura del cristallo, ma lucidissima: tal pietra penetra il ferro e le altre gemme, e trovasi in piccola

mole, la cui maggiore grossezza è quella di un nocciolo. Unita [p. 53 modifica]

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Il.

alla calamita tànto 1’ attrae, che a stento si può staccare. £ e- terna margarila la luna, così chiamata per seguire l’allegoria del diamante ne ricevette per entro se come acqua recepe ragio de luce rimanendo unita I’ acqua non si divide o si altera al passaggio della luce, quindi entrammo nella luna senza di lei commozione, come non ne riceve 1’ acqua al passar della luce. Chiama la luna margherita per molte ragioni. Le margherite, secondo Alberto Magno sono ostriche, di dura materia, che si trovano dentro degli ossi loro, variando di colore, perché vengono alla spiaggia e bevono la rugiada. Se la rugiada mattutina sia pura, e gli ossi dell’ ostrica ben secchi, formasi una margherita rotonda, di colore somigliante al raggio di luna. Se poi la rugiada è vespertina, ed in tempo nubiloso, e gli ossi dell’ ostrica non ben purgati, la margherita riesce irregolare e torbida. Finora non si son trovate margherite più pesanti di mezz’ oncia: vengono guaste dalla grandine e dal fulmine: molli nell’acqua, dure sulla pietra: le ostriche nell’aceto divengon molli, e si sciolgono. Se io era corpo non so se era col corpo, o no, ma se era col corpo e qui non si concepe e nel nostro mondo non si comprende come una dimension patio altra come accadesse che un corpo materiale soffrisse di essere compenetrato da un altro. Se pianto un chiodo nel legno, un palo in terra, il dito in un pomo, è necessario che la materia, di cui si compongono il legno, la terra, il pomo ce- da altrettanto luogo, quanto ne viene ad occupare il nuovo corpo introdotto eh esser convien se corpo repe in corpo il che conviene che accada se corpo in corpo s’ insinua e si compenetra. Ma la proposizione essendo astratta, e quasi spirituale si risolve con argomenti diversi dalla materia. E non essendo della faccoltà della mente umana, Dante esorta piutDigitized

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paradiso

tosto a cercare di veder Cristo in cui furono congiunti due nature, restando ciascuna intatta ed intera. Il desio di veder quella essentia Gesù Cristo in che nostra natura a Dio si unio in cui furono unite la natura umana e divina cio che tenem per fede noi cristiani se vedra li li vedremo la ragione di que’ misteri che qui crediamo soltanto per fede, non dimostrato per argomenti umani ma fia per se noto ma per sè stesso chiarissimo a guisa del ver primo a guisa di verità intuitive, le quali non hanno bisogno di dimostrazione, come il tutto è maggior della parte, e simili che i om crede senz’ altra prova. Dante rispose madonna o mia padrona si devoto così devoto quanto piu posso essere quanto è in mio potere, non quanto voglio ringratio lui ringrazio Dio lo qual m a rimoto dal mortal mondo il quale mi ha rimosso dal mondo mortale per assumermi in cielo; ma ditemi ma vi prego di spiegarmi che son li segni bui di questo corpo che la gioso in terra fan di Cayn favoleggiare altrui? cosa sono quelle macchie che veggonsi, le quali danno occasione al volgo nel mondo nostro di favoleggiare che nella luna sia Caino con una forcata di spini ? ella sorrise alquanto Beatrice sorridendo volle esprimere che non solo il volgo, ma anche i gran filosofi van favoleggiando cI poi mi disse — li strali di mtration le maraviglie certo non ti derian punger non dovrebbero colpirti ornai più a lungo poi detro ai sensi poiché per mezzo de’ sensi se la opinion dei mortali erra se il giudizio degli uomini in terra sbaglia in quelle cose dove chiave di senso non disserra a conoscere le quali virtù il senso non può giungere, e vedi che la rason ha cork i ali vedi che la ragione poco può innal€arsi. In sostanza la ragione confidata nei soli sensi non può elevarsi alla cognizione delle cose che trascendono

i sensi. [p. 55 modifica]

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Il.

Ma dimme quel che tu da te ne pensi ma dimmi intanto come la pensi tu? E Dante rispose credo che i corpi densi e rari la rarezza o densità della luna fanno cio che ne appare diverso qua su siano cagione delle macchie lunari, ossia la rarezza produca l’ombra, la densità la lucidità. Molte furono le opinioni sulle macchie lunari. Chi volle che procedessero dall’ ombra della terra, chi dai vapori elevati dal mare, locchè non può ammettersi essendo detto macchie sempre uguali non solo per tempo, ma anche per figura. Dante qui accenna la opinione più vera, quantunque si sforzi di con traddirla. Ritengono i più accreditati che le macchie procedano dalla rarezza e densità della luna, perchè nella parte densa si adunano, e moltiplicano i raggi del sole, e per conseguenza (al parte è più lucida; ma nella parte rara i raggi solari pene. trano ed entrano dentro, e perciò non sono a noi riflettuti, come nell’ ahbastro che ci si mostra più bianco nella parte piùdensa, ma nella più rara sembra più scuro. Beatrice al. lora disse certo assai vedrai sommerso i ereder tuo nel faLw conoscerai apertamente che sei in grave errore se bene ascolti £ argomentar eh io li faro adverso se stai attento all’argomento mio in contrario, ossia alle obbiezioni che farò all’opinion tua. Ecco il primo argomento di Beatrice. Se il raro e denso fosse cagione delle macchie lunari, lo stesso vedrebbesi in tutte le stelle similmente illuminate dal sole. Se inoltre la cagione fosse la stessa, ne verrebbe nelle stelle Io stesso potere e gli stessi effetti, locchè è falso, avendo virtù, ed effetti assai diversi della luna. i octava spera il cielo delle stelle fisse vi dimostra molti lumi ci dimostra molte stelle fisse che ricevono il lume dal sole come la luna i quali se posson notar de diversi volti che si scorgono di diversi aspetti e nel

quale e nel quanto nella qualità essendo esse nebulose o 1L1[p. 56 modifica]46

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dde, nella quantità essendo maggiori o minori; dunque se raro et denso facesser do fosser cagione delle macchie tanto esclusivamente una sola vertu sarebbe in tutte un solo effetto sarebbe in tutte le stelle, giacché la stessa causa produce lo stesso effetto piu e men distributa secondo la maggiore o minor densità et altrettanto nelle stelle egualmente dense della luna: virtu diverse convengono essèrfrueti di principi formali equeiseguitareno distrueti da tua ragion [or eh uno. Gli Aristotelici insegnavano essere ne’corpi due principii uno materiale eguale in tutti i corpi, un altro formale in ciascuno d’ essi diverso, che chiamavasi forma sostanziale costituente le varie specie e qualità de’ corpi. Sicchè verrebbero secondo il tuo raziocinio distrutti tutti, fuori di uno, imperocchè una sola forma sostanziale sarebbe in tutti i corpi il più denso o il più raro, che non esigge forma diversa, e basterebbe a tutta la varietà che scorgiarno nei corpi. Alcuni ignoranti ritennero che il discorso risguardasse Dio perché in seguito si parla di Dio nella soluzione della proposizione. Ma io non posso convenire con Dante sull’argomento delle stelle, le quali ricevono bensì il lume dal sole, ma diversamente dalla luna, stante la più nobile natura di quelle. Alcune sono diafane, altre purissime, e COSÌ il sole penetra l’intero corpo delle stelle, e si mostrano quindi di quello splendore che circonda Giove. Altre sono men pure, e tal lume si tinge in diverso colore, come in Marte. Altre appaiono scure come Saturno: altre di color di latte — la Galassia — altre pallide, Venere; ma in tutte tanta diafanità e purezza che tutto il corpo s’ investe di luce, senza diversità di parte più, o men densa. La luna, di quinta essenza, ha natura terrestre, e non è della purezza delle stelle, I raggi del sole quindi penetrano poco addentro della superficie, od in modo diverso vi peneDigitized

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Irano, sicché vediamo le macchie anche nella pienezza sua. Beatrice argomenta in secondo luogo che la rarezza non è nei corpo della luna anchor se raro fosse caqion di quel bruno che tu dimandi o questo Pianeta [ora si digiuno di sua matera e questo cangerebbe carte nel suo volume così come io grasso e i magro comparte un corpo. Inoltre se la rarità della materia fosse cagione delle macchie lunari, questo pianeta in alcuna parte di sua estensione o da banda a banda sarebbe così digiuno o mancante di materia, sì come credi; o a quel modo che un corpo sovrappone il grasso al magro ammucchierebbe strati densi e strati rari a somiglianza de’ libri composti di carte, le une sovrapposte all’ altre: se il primo fosse se fosse vero il primo argomento del raro [ora manifesto nei eciypse del sole apparirebbe nell’ ecclissi sola re, quando cioè la luna si frappone fra noi ed il sole, perchè allora invece di oscurità i raggi del sole penetrando il raro della luna ci darebbero lo stesso splendore per trasparere lo lume come ingesto in altro raro lume ingesto, ossia intromesso. questo non e questo non accade, e perciò lo tuo parere sia falsificato se averi che cassi i altro la tua opinione sarà confutata pienamente se arrivo a vincere anche I’ altro tuo argomento, o seconda parte del tuo dilemma. Segli e che questo raro non trapassi non trapassi 1’ intera sostanza o corpo lunare da banda a banda convien essere untermene vi sarà un limite da onde dal quale nonlassipiu passar lo suo contrario un punto, oltre il quale il suo contrario, cioè il denso, non lasci passare il raggio luminoso e indi i altrui raggio ed in quel punto il raggio del sole se rifoncle si riversi in dietro cosi come color torna per vetro lo qual nasconde piombo di retro a se come fa lo spec chio, che ha dietro al cristallo piombo aderente. li raro non [p. 58 modifica]48 .PARArnso arriva a tutta la profondità della luna, anzi a far molto sino al centro, ed ecco perché i raggi solari s’ inoltrano nel corpo tanto, che non vengono a noi riflessi, e si veggon le macchie. Or dirai tu contro 1’ obbiezione che I raggio sedemostra tetro non si riflette, e la parte penetrata resta oscura ivi nel raro piu che in altre parti dense per esser rifracto li piu a retro riflettuto da più indietro, cioè non dalla superficie della luna, ma dal denso che è interno dopo il raro : ezperientia che sole esser fonte ai rivi di vostr arti la esperienza, che è quella onde solete voi altri mortali dedurre le vostre opinioni filosofiche p0 deliberar te può schiarirti da questa instantiasegia mai la provi se vuoi usarne pel tuo argomento — Beatrice sostiene che la distanza di luogo può far apparire minor quantità, ma non minore qualità, e così minor luce, ma non ombra. tu prenderai tre specchi e rimovi i due da te d un modo e laltro piu rimosso; prendi tre specchi, l’uno dietro l’altro, e l’ultimo più lontano. tr ambo li primi ritrovi gli occhi tuoi rivolti ad essi in mezzo ai due primi statti, e volgi ad essi gli occhi. Poscia fa che un lume ti sia dopo I dosso che accenda i tre specchi un lume percota ne’ tre specchi quel lume ripercosso riflesso ritorni a te in lutti da tutti tre li specchi; ben quantunque la vista piu lontana del terzo specchio non se scenda tanto nel quanto non sia molta la intensità del lume che viene dal terzo specchio, quanto agli altri due, pure li vedrai come convien egualmente risplenda pure vedrai come in tale esperimento Io splendore sia ne’ tre specchi uguale. A me non quadra il paragone, perché non vi è somiglianza di specchio alla luna, imperocchè Io specchio non riceve il lume se non per superficie diafana e levigata, oltre la quale è

rotto, e se il lume pongasi a tergo dello specchio i raggi non [p. 59 modifica]

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11. 49

sono nè riflettuti, nè penetrati. Nella, luna al contrario i raggi del sole penetrano fino al centro. Or voglio informar te ne i intelleclo rimosso ora ti voglio istruire anche meglio dacclìè ti sei rimosso dalla tua opinione de luce si vivace che ti tremolera nel suo aspecto con tanta luce di verità che ti splenderà scintillante come stella: cosi come isubiecto de la neve la materia della neve, 1’ acqua riman nudo resta priva el dal calore e! dai freddo pri- mai ai colpi degli caldi rai la neve riscaldata dal sole si scioglie in acqua e così si spoglia della prima forma; I’ acqua sciolta pel freddo si congela. Il sermone teologico si paragona ottimamente ai raggi del sole; ed ecco perchò chiamò Beatrice—sole—: l’acqua suscettibile di nuova forma può somigliarsi alla mente di Dante. L’ opinione più accreditata sulle macchie lunari è quella che provengano dal raro e dal denso; eppure Dante o per muovere altri a migliore investigazione, o per far mostra di suo ingegno, ritiene che, la luna per natura sua, o come date da Dio, abbia queste macchie, perchè vicina alla terra e colle facoltà d’ influsso sulle cose sottoposte debba alterare il chiaro, e I’ oscuro. Il primo cielo è per gli altri come il cuore nelle membra, e la virtù della prima causa è pei celesti come la virtù del cuore nel corpo umano. Come ciascun membro nel corpo umano ha le sue speciali virtù, così I’ hanno i cieli, e le stelle ne’ luoghi rispettivi. Come in fine nel corpo umano tutto il moto si riferisce al cuore, così ne’ celesti tutto il moto si riferisce al primo cielo, un corpo primo mobile, nona sfera ne la cui virlute I essere diluito suo contento giace dalla cui potenza dipende, ha fondamento la essenza di tutte le cose da esso contenute se gira si volge dentro del Ciel de la divina pace dentro l’empireo. Nel nono cielo virtualmente si comprendoRAMBALDI

— Voi. 3. 4 [p. 60 modifica]

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no le cause di tutti gli effetti, e da lui procede la essenza delle stelle. — Ora la sfera seguente, cioè la ottava, riceve virtu dalla nona sfera, quale virtù distribuisce alle stelle ed alle sfere inferiori. Il primo mobile nelle opere di natura è come sovrano. Il firmamento è come il vicario generale che conferisce le varie cariche ai magistrati: le sfere, i pianeti sono que’ magistrati, e Saturno presiede ai consigli, Marte alla guerra. lo Ciel seguente 1’ ottavo cielo che ha tante vedute tante stelle che ivi si veggono parte dispensa, divide quel esser per diverse essentie quella sua virtù per le stelle e sfere da lui distracte e da lui contenute da lui contenute sebbene divise. Ari stotile ammette soltanto otto cieli, sette sfere de’ pianeti ed il firmamento: dice che il primo cielo è principio di tutta la vita. Gli altri giron gironi perchè si muovono in cerchio, gli altri cerchi, gli altri cieli dispongono la distinctione che ha uno dentro de se per varie differentie dispongon le virtù che hanno in sè in varie maniere, perchè Saturno è freddo, Giove è secco ed umido a br fine e br semente al loro fine e disposizioni. questi organi del mondo i pianeti, come istru menti naturali cosi vanno come tu vedi ornai di grado in grado secondo I’ ordine astrologico seguito da Dante che prendono di su e fanno di sotto prendono potenza dal cielo superiore, e la virtù ricevuta influiscono ed operano nel cielo inferiore. Platone ed Aristotile pongono il sole immediatamente sopra la luna. riguarda bene ornai si come vado per questo loco al ver che tu desiri osserva come gradatamente io vengo alla conseguenza che tu brami. Tanto ogni intelligenza opera per mezzo dell’ organo celeste, quanto il fabbro nell’ arte coli’ i- strumento del martello, o lima: lo molo, la virtu de sancti giri de’ predetti cieli convien che spiri che si dirami, che e- mani da beati motori dagli angeli moventi gli astri come larDigitized

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11. 51

te .ipira del fabbro nel martello come emana dal martello 1’ arte del fabbro lo ciel cui tanti lumi fanno bello. Il cielo ornato da tante stelle prende limage la impressione o virtù efassenesugello e se ne investe de la mente profuncla da Dio supremo, ed universale motore che volve lui quel cielo e la intelligentia il motore di quell’ ottavo cielo girandosi sopra sua unitate sopra sè stesso, od in sè stesso spiega sua bontate la sua virtù moltiplicata per le stelle che sono i di lui organi cosi come I alma I’ anima umana se resolve a diverse potentie della vista, udito, odorato ecc. dentro a nostra polve nel nostro corpo composto di polve per membra differenti la moltiplicità degli organi animali è in seguito della moltiplicità delle facoltà mentali; e se l’anima deve esser motrice di tali facoltà è forza che, abbia organi diversi per forma e figura e confermate ed ordinate e composte Nella mano, organo cui natura ha data la facoltà di tanti movimenti, vediamo i diti diversamente conformati. Così vediamo nelle occulte operazioni, e nei membri che operano a procreazione. Tullio, ti’atando della natura degli Dei, ottimamente descrive il corpo umano, virtù diversa fa diversa lega col pretioso corpo eh ella avviva nel guai si come vita in voi si lega la virtù diversa, che proviene dal motore, produce diversi effetti in ciascuno de’ diversi corpi ne’ quali ella si lega, come ne’ vostri corpi umani si lega l’anima a produrre la vita. In questo luo. go Dante o parlò secondo Platone che volle gli astri animati, od ebbe di mira soltanto la fatta similitudine dell’anima: la vertu mista la virtù del motore congiunta al pianeta luce per io corpo del pianeta stesso per la natura lieta unde deriva per la natura lieta dell’ intelligenza motrice come letitia per pupilla viva come nella pupilla de’ nostri occhi si esprimono

il giubbilo e la letizia. [p. 62 modifica]

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Cio che par differente da luce a luce qualunque differenza nell’ universo vien da essa dalla natura naturante, o da Dio non da denso e raro non dalla densità o rarezza: essa natura naturante ee formai principio i principii formali sono molti: la prima virtù del primo movente, poi la virtù dei motori de’ rispettivi cieli, poi le virtù animali; infine le virtù corporee che produce el turbo el chiaro il torbido ossia le macchie, ed il chiaro conforme a sua bontate secondo la sua virtù. La prima virtù del motor primo è universale principio, e forma universale di tutte le altre. Dante in tal modo fa dipendere la cagione delle macchie lunari dall’ universale principio, e non offre di esse alcuna causa speciale. Alcuni non pertanto sostengono derivare tali macchie da forma specifica, come scorgiamo nel marmo ombre o macchie. N. B. Ne’versi 97 al 105 Dante si mostra istruito nell’ ottiche e conoscitore degli specchi, esprimendo la riflessione dell’ immagine nel

piombo, e la rifrazione nel vetro. [p. 63 modifica]

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111.

TISTO MODRRNO Quel Sol, che pria d’amor mi scaldò il petto, Di bella verità m’avea scoperto, Provando e riprovando, il dolce aspetto: E io, per confessar corretto e certo Me stesso, tanto quanto si convenne, Levai lo capo a profferir più erto. 6 Ma visione apparve, che ritenne A sè me tanto stretto per vedersi, Che di mia confession non mi sovvenne. 9 Quali per vetri trasparenti e tersi, O ver per acque nitide e tranquille, Non sì profonde che i fondi sien persi, 12 Tornan de’ nostri visi le postille Debili sì, che perla in bianca fronte Non vien men tosto alle nostre pupille, Tali vid’io più facce a parlar pronte: Per ch’ io dentro all’ error contrario corsi A quel, ch’accese amor tra l’uomo e il fonte. 18 Subito, sì com’ io di br mi accorsi, Quelle stimando specchiati sembianti, Per veder di cui fosser, gli occhi torsi, 21 E nulla vidi, e ritorsili avanti Dritti nel lume della dolce guida,

Che sorridendo ardea negli occhi santi. 24, [p. 64 modifica]

paradiso

Non ti maravigliar perch’io sorrida, Mi disse, appresso il tuo pueril colo, Che sopra il vero ancor lo piè non fida, 27 Ma te rivolve, come suole, a vòto: Vere sustanzie son ciò che tu vedi, Qui rilegate per manco di voto. 30 Però parla con esse, e odi, e credi Che la verace luce che le appaga Da sè non lascia br torcer li piedi. E io all’ombra, che parea più vaga Di ragionar, drizzaimi e cominciai Quasi com’ uom cui troppa voglia smaga: 36 O ben creato spirito, che a’ rai Di vita eterna la dolcezza senti, Che non gustata non s’ intende mai, 39 Grazioso mi fia, se mi contenti Del nome tuo e della vostra sorte; Onde ella pronta e con occhi ridenti: 42 La nostra carità non serra porte A giusta voglia, se non come quella, Che vuoi simile a sè tutta sua corte. lo fui nel mondo vergine sorella: E se la mente tua ben mi riguarda, Non miti celerà l’esser più bella, 48 Ma riconoscerai ch’ io son Piccarda, Che, posta qui con questi altri beati, Beata son nella spera più tarda. Li nostri affetti, che solo infiammati Son nel piacer dello Spirito Santo, Letizian del suo ordine formati: E questa sorte, che par giù cotanto, [p. 65 modifica]CANtO lii. Però n’è data, perchè fur negletti Li nostri voti, e vuoti in alcun canto. Ond’ io a lei: nei mirabili aspetti Vostri risplende non so che divino, Che vi Lrasmuta da’ primi concetti: 60 Però non fui a rimembrar festino; Ma or m’aiuta ciò che tu mi dici, Sì che il rafligurar m’è più latino. 63 Ma dimmi: voi, che siete qui felici, Desiderate voi più alto loco Per più vedere, o per più farvi amici 66 Con quell’altr’ombre pria sorrise un poco; Da indi mi rispose tanto lieta, Ch’ arder parea d’ amor nel primo foco: 69 Frate, la nostra volontà quieta Virtù di carità, che fa volerne Sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta. 7’2 Se desiassirno esser più superne, Foran discordi gli nostri desiri Dal voler di colui che qui ne corDe; Th Che vedrai non capere in questi giri, S’essere in0 cantate è qui necesse, E se la sua natura ben rimiri: 78 Anzi è formale ad caLo beato esse Tenersi dentro alla divina voglia, Perché una fansi nostre voglie stesse. 81 Sì che, come noi siam di soglia in soglia Per questo regno, a tutto il regno piace, Come allo re ch’a suo voler ne invoglia: 84 In la sua volontà è nostra pace: Ella è quel mare al qual tutto si muove [p. 66 modifica]PAI1ADISO Ciò eh’ ella crea, e che natura face. 87 Chiaro mi fu allor, come ogni dove In cielo è Paradiso, e sì la grazia Del Sommo Ben d’un modo non vi piove. 90 Ma sì com’egli avvien, se un cibo sazia, E d’ un altro rimane ancor la gola, Che quel si chiere, e di quel sì ringrazia; 93 Così fec’ io con atto e con parola, Per apprender da lei qual fu la tela Onde non trasse insino al cò la spola. 96 Perfetta vita ed alto merLo inciela Donna più su, mi disse, alla cui norma Nel vostro mondo giù si veste e vela; 99 Perchè in fino al morir si vegghi e dorma Con quello sposo eh’ ogni voto accetta, Che cantate a suo piacer conforma. l02 Dal mondo, per seguirla, giovinetta Fuggiimi, e nel suo abito mi chiusi, E promisi la via della sua setta. l0ì Uomini poi a mal più che a bene usi, Fuor mi rapiron della dolce chiostra: Dio lo si sa qual poi mia vita fusi. 108 E quest’altro splendor, che ti si mostra Dalla mia destra parte, e che s’accende Di tutto il lume della spera nostra, 111 Ciò ch’io dico di me di sè intende: Sorella fu, e così le fu tolta Di capo 1’ ombra delle sacre bende. 114 Ma poi che pur al mondo fu rivolta, Contra suo grado e contra buona usanza,

Non fu dal vel del cuor giammai disciolta. 117 [p. 67 modifica]

canto
III.

Questa è la luce della gran Costanza, Che del secondo vanto di Soave Generò il terzo, e l’ultima possanza. 12O Così parlommi; e poi cominciò: Ave, Maria, cantando; e cantando vanio, Come per acqua cupa cosa grave. 1’23 I.a vista mia, che tanto la segulo, Quanto possibil fu, poi che la perse, Volsesi al segno di maggior desio, 16 E a Beatrice tutta si converse: Ma quella foigorò nello mio sguardo Sì, che da prima il viso noi sofferse: E ciò mi fece a dimandar più tardo. 1.30 COMMENTO DI BENVENUTO Nel terzo canto si parla delle anime beatificate per verginità. Può dividersi il canto in quattro parti generali. Nella prima, si descrivono dette anime. Nella seconda, l’autore parla con una di queste anime la quale mancò ai voti volontariamente giurati. Nella terza, si fa ricerca dei diverso contento delle anime beatificate. Nella quarta, la prima anima, narrato il proprio caso, gli addita la regina Costanza. Quel Sol Beatrice che illuminò la mente di Dante nelle cose divine che pria mi scaldo il pecto d amore che prima mi aveva innamorato nei mondo m havea scoperto il dolce aspeclo mi avea dimostrata la cagione delle macchie della luna cli bella verita con bella verità di dimostrazione provando e riprovando dimostrando e contraddicendo elio levai lo capo prima fisso in Beatrice piu erecto pin iii alto tanto quanto se conviene in modo conveniente a proferir a dire per confessai’ mi stesso correclo di essere stato corretto dell’ error mio

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e certo e certo della cagione delle macchie lirnari. ma vision apparve che ritenne me tanto stretto a se ma mi comparvero ombre che mi tennero tanto attento pci suo farmisi vedere: erano le prime anime che vedeva in Paradiso, e la toslana apparizione gli tolse la parola tanto, quanto gli crebbe il desiderio di conoscerle per veder si che non mi sovenne di mia confessione della confessione che preparavasi a fare. Dante vide le ombre nel modo che vediamo la immagine nostra in uno specchio o nell’ acqua. vid io più facie prompte a parlar vidi io Dante molte larve che mostravano voler parlare tale quali sono le postille de nostri visi i segni, Io immagini de’ nostri volti per vetri trasparenti e tersi lucidi e puliti o ver per acque nitide e tranquille o per acque chiare e quiete non si profonde che fondi siano persi non tante alte che, non iscorgasi il fondo, giacchè allora non sarebbe restituita la immagine debili si tanto deboli che perla in bianca fronte clic poco si distingue dalla perla in fronte bianchissima non vien men forte a le nostre pupille maggiormente non colpisce gli occhi nostri. Le migliori perle vengono dalle Indie, ed anche dai mari d’inghilterra. Cesare,avido di perle, passò inBrettagna a cercarne, secondo che scrive Svetonio. Le conchiglie giovani ne producono delle migliori, e di quelle che hanno colore come se poca luce penetrasse in corpo bianchissimo; è per questo che sono quasi spiendienti. A Dante accadde all’opposto di Narciso, perchè costui si persuase che 1’ immagine che vedeva nel fonte fosse vera Sostanza, mentre Dante vedeva la sostanza, e credea che fosse apparenza. Tiresia famosissimo indovino tebano si fece conoscere fra i molti il solo capace a dare i veri responsi, non solo in vita ma anche dai sepolcro come abbiamo da Stazio nel IV e X della Tebaide. Omero nell’ Xl dell’ Odissea mostra [p. 69 modifica]CMT0 111. S9 Tiresia, che, in mano un aureo scettro, si presenta ad Ulisse, e gli predice pericoli, fatiche e morte. Ma il primo vaticinio fu quello di Narciso, nato in Grecia, maravigliosamente bello. La madre Liriope, superba di tal figlio, consultò Tiresia se lo stesso figlio sarebbe giunto all’ultima età. — Rispose l’indovino — che così non conoscerebbe sè stesso. Parve risposta ridicola, e non pertanto I’ evento ne dimostrò la saggezza, imperocchè Narciso aveva sedici anni quando a tutt’ uomo si diede alla caccja, ed un giorno stanco ed arso per sete giunse ad un fonte purissimo che scorreva quieto sotto ameno boschetto, ed inchinatosi per bere, vista la propria vezzosissima immagine, non credendola un’ ombra ma cosa reale, fu preso da tanto amore per quella, che si fissò a mirare gli occhi che gli sembrarono stelle, i biondi capelli raggi di sole, la bocca rose ed alabastro, insomma ogni membro maravigliosamente perfetto. Svestitosi in fretta si slanciò nudo nell’ acqua per abbracciare, e baciare quell’ oggetto, ma le braccia tornarono vuote sul petto, e replicando gli amplessi, stava nella speranza, che pure una volta non gli fuggisse, senza cibo, senza bevanda, senza sonno, dolendosi che solo poc’ acqua gli togliesse I’ oggetto che h rendeva delirante. Frattanto scioglievasi come cera al fuoco, ed a poco a poco, mancata- gli la vita, fu convertito in un fiore che mantenne il di lui nome, fiore bianco, ed alquanto rosso nel mezzo. Così Ovidio nel terzo delle Maggiori. Narciso figura il giovane vano, che si compiace di sua bellezza. 11 fiore in cui fu convertito figura il conto che dobbiam fare delle bellezze del corpo. Pur troppo si trovano Narcisi in ogni luogo, ed io ebbi la disgrazia di conoscere altro Narciso, ma più stolto che perdette tutto con acerba ed infame morte. perch io corsi dentro a i error contrario a quel che accese arnor tra I orno e i fonte per la qual coDigitized

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paradiso

sa lo corsi nell’ errore contrario a quello di Narciso, che irnrandosi al fonte, credeva che I’ immagine sua fosse persona, ed io credeva che le persone fossero immagini — In altro luogo Dante chiamò un fonte lo specchio di Narciso. Subito torsi gli occhi voltai subito lo sguardo per veder di cui fosser quelle immagini si com io m accorsi di br appena m’accorsi di loro presenza e stimando e ritenendo quelle immagini essere specchiati sembianti immagini di volti prodotte dallo specchio e vidi nulla e non vedendo alcuna cosa e ritorseli avanti come prima dritti nel lume della dolce gui. da fissi in Beatrice che dolcemente mi conduceva al cielo che ardea negli occhi sancli che ardea d’amore nella santa contemplazione sorridendo del mio errore e semplicità. mi dtsse apresso subito dopo Beatrice soggiunse non ti maravigliar perch io sorrida rida il tuo pueril coclo del tuo fanciullesco pensiero che non fida il pe che non ha fiducia sopra il vero sulla verità ma te rivolvi a voto come soli ma ti fa tornare indietro, ossia al mondo, come sei solito. cio che tu vedi scrn vere sustancie sono persone vere, non immagini vane qui relegate qui destinate nella luna per bmancho di voto per voto non pienamente adempito; pero parla con esse anime cI odi e credi perchè non possono mentire che la verace luce Iddio la somma verità che li appaga non lascia br torcer i piedi che li rende beati, non lascia che, esse mai dalla verità si dipartano. ‘Di Piccarda bellissima e pudicissima signora si parlò espressamente nel canto XX1V del Purgatorio. Essa aveva spon taneamente consacrata a Dio la propria verginità, e viveva adulta nel monastero di santa Chiara di Fiorenza, quando il di lei fratello Cursio de’ Donati, famoso in armi, con vari suoi sgherri la trasse violentemente dal chiostro, avcndola destiDigitized

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canto
III. 61

nata sposa a Rosolino de’ nobili conti della Rosa. Essa perseverando nel santo proposito, fervidamente pregava iddio che la colpisse, se non di morte, almeno di tal morbo, che le facesse conservare in.violata la sua verginità. E tosto fu presa 4 da tale malore in tutto il corpo, che, a poco a poco togliendole la vita la mise fra le braccia dello sposo divino. Piccarda può paragonarsi ad un’ altra bellissima fanciulla fiorentina nomala Spurinna, che essendo vagheggiata da molti per la squisita bellezza di lineamenti, colle unghie sì lacerò, e deformò la faccia. elio drlzzam a I ombra che parea piu vaga di rasonar mi volsi all’ ombra, che parea più vogliosa di discorrere, perchè conoscente e concittadina e cominciai quasi com hom che troppo volgia smaga e cominciai come colui che per troppo voler dire, si confonde. O ben creato spirto, che ai rai de vita eterna senti la doleezza o Piccarda, che ai raggi della divina grazia senti la eterna dolcezza che non gustata non se ntende mai, non potendo decidere della dolcezza del mele chi mai non ne gustò; di qui è che le voluttà de’sensi più ci attirano del diletto della virtù. San Paolo che aveva gusLo delle voluttà sensuali diceva quindi a ragione — bramo disfarmi per essere con Gestì Cristo: gratioso mi fia se mi contenti del nome tuo avrò per grazia, per favore, se mi dirai tuo nome e della vostra sorte e del vostro destino in questo luogo. und ella prompia ct cum ochi ridenti subito quella Piccarda con viso sorridente rispose la nostra carità non serra porte a giusta voglia non chiude le orecchie a giusta dimanda se non come quella carità divina che vole tutta sua corte simil a se che vuole tutta la corte celeste ugualmente ardente di carità, io fui nel mondo nel vostro mondo de’ viventi virgine: la verginità fu sempre

tenuta in pregio anche prima della religione cristiana, come [p. 72 modifica]61

paradiso

si vide nella regina delle Amazzoni, e nelle Vestali romane sorella cioè monaca; e dovresti conoscermi sebbene ora beata e se la mente tua ben riguarda se ben richiami alla memoria non miti celera I esser piu bella mi conoscerai, sebbene cresciuta in bellezza. Seneca impugna che la virtù sia maggiore in bel corpo, ma si debba dire più graziosa. La bellezza per se è molte volte dannosa, come lo provarono Elena, Paride, Cesare, e tanti altri. mi riconoscerai eh io son Picarda quella che conòscesti nel mondo de’ viventi, sorella di quel Forese che cercasti nel Purgatorio, che posta qui nel corpo della luna con questi altri beati con questi spiriti beati beata sono in la spera più tarda nella luna, che per essere più vicina alla terra, compie il suo giro con moto più lento in paragone degli altri pianeti, o tarda perchè più lontana dai primo mobile, o perchè produce i tardi e pigri, li nostri a/fecti che sono infiamati solo nel piazere de lo spirito sancto letizia han formati del suo ordine i nostri affetti sono informati dall’ ordinamento, dalla disposizione di Dio, che ponendone in questo luogo, in ragione de’ nostri meriti ne fa godere la beatitudine e questa sorte e questa destùazione che par gia cotanto che pare tanta pero n e data perche li nostri voti furono negtecti e voti in alcun canto ci viene fissata, perché i nostri voti furono solo in parte, ma non adempiti del tutto. Piccarda non fu posta nella luna per difetto di voto, ma perché tutte le vergini trovansi nella luna, e la stessa santa Chiara vi si trova, la quale non mancò certamente al voto, anzi rigorosamente lo mantenne. Come il sole de’ sapienti , la luna è produttrice delle femmine oneste secondo gli astrologi. Insomma il Poeta vuoi significare che Piccarda è posta nella più bassa pane della

luna, perché non mantenne interamente il suo voto di verginità. [p. 73 modifica]

canto
Iii. 6S

Ond io a lei io dissi a Piccarda non so che divino che ve trasmuta dai primi concepti qualche cosa di divino vi cambia dalla prima vostra concezione, e risponde nei mirabili aspecti vostri, e si mostra ne’maravigliosi vòstri sembianti, pero non fui festino a rime,nbrar perciò non fui presto a raffigurarti; ma cio che tu mi dici dite cioè che facesti voto e fosti bella e pudica or m aiuta a riconoscerLi, si che m e piu latino mi e più facile raffigurar riconoscerLi. Ma dimmi voi che siete qui felici voi che siete qui felici, voi che siete beate in questa ultima parte della luna desiderate voi piualtoloeo?al pari di santa Chiara chestain luogo più cminente per piu vedere per più da presso mirare la Divinità in cui consiste ogni felicità eperpiu farvi amici per farvi più famigliari a Dio?Piccarda sorrise pria un poco con quelle altre ombre vergini poste nello stesso luogo; da indi mi rispose tanto lieta poscia mi disse allegra e senz’ombra d’invidia, anzi eh arder parea d amor el primo foco che, parea ardesse di carità in quella luna, I corpi celesti si chiamano ignei anche secondo Virgilio; Orazio espressamente afferma tutti gli Dei esser di fuoco: così Tullio, e sanL’ Agostino spiega il primo fuoco per Dio, ed ecco perchè il Poeta figura Iddio in un cerchio cli fuoco: presso i gentili ogni pianeta era una divinità. frate disse Piccarda, fratello virtu di carità la carità che fa valerne sol quel eh avemo che fa godere di quel che abbiamo et il altro non ci asseta e non abbiamo desiderio di grado maggiore quieta la nostrv volunta ci rende paghi. Come in terra in un vaso piccolo non può con tenersi acqua al pari che in un grande, così in cielo secondo la capacità si ha altrettanto di beatitudine, se disiassono esser piu superne di avere più alto grado li nostri desiri foran discordi dal voler di colui che

qui ne cerne i nostri desideri sarebbero discordi dal volere [p. 74 modifica]64

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di Dio che qui ne ha posti, e ne aggiudica, che la qua) cosa, la qual discordanza vedrai non capere vedrai non esistere in questi corpi celesti se esser in canta e qui necesse — (se per perche), ed allora, perchè è necessario che qui gli spiriti sian tutta carità et se la sua natura ben rimiri anzi ee formale ad esto beato esse e se bene mediti sulla carità, troverai che è essenziale alla essenza o condizione della beatitudine concordare pienamente colla volontà divina tenerse dentro a La divina voglia co4formarsi alla divina volontà perche una [ansi nostre voglie stesse e da tale necessità costituente la beatitudine, consegue che tutte le voglie di noi beati, informate nelle volontà di Dio come in centro comune, divengono una sol voglia. Boezio dice che i beati in Paradiso sono stretti dalla sola carità in modo che, il minimo, e massimo goda della sua beatitudine nel rispettivo grado, come se godesse anche dell’altrui. Qual maraviglia se Iddio sia in tutti, ed essi tutti in Dio? Tutti hanno in premio di veder Dio, e quanto ora si suppone, allora con pienezza di scienza si comprende. Si che come noi sem di soglia in soglia si che la nostra collocazione di grado in grado per questo regno celeste piace a tutto I ‘egno a tutti quanti i beati come al Re come a Dio che a suo voler ne nvogtia ne accende secondo il voler suo in la sua volonta e nostra pace e per suo volere e per nostro contento: quanto l’amore è più diffuso, tanto è più perfetto, in quanto si riferisce al solo Dio ella la divina volontà ce quel mar grande al qual tutto se move cio eh ella cria al qua) tutto si volge quanto crea e che natura faQe e che natura produce. L’ acqua ha origine dal mare e torna al mare, senza che il mare ridondi, così tutte le cose tanto generate quanto

create a lui si volgono, senza che ciò porti alcuna variazione. [p. 75 modifica]

canto
Iii.

Chiaro mi fu allor dalle parole di Piccarda come ogni dove in celo ce Paradiso come ogni luogo del cielo è un Paradiso, giacchè Lutto è in Dio, e Dio in tutto e se la gratia del sommo bene dun modo non ve piove e quantunque la grazia di Dio non sia per tutti di uguale misura, ma si come avien se un cibo satia ma come gustato una sol volta un cibo non lascia sazietà e la gola d un altro riman anchora e sorge il desiderio di nuovamente gustarne che quel se chere che quello si dimanda et de quel primo serengratia si ringrazia; cosi [cc io non sazio del primo cibo, e resi grazie, e non cercai di altro cum acto e cum parola con gesto e parole per aprender da lei per sapere da quella Piccarda qual fu la tela la tela da lei ordita unde non trasse fino a co la spola perchè non trasse fino al capo la spola, ossia le chiesi di narrarmi in che modo s’ inducesse a rompere il suo voto. Santa Chiara, veramente chiara di nome e difatti, visse e fcontemporanea di s. Francesco a lui diletta e devota tanto, che volle seguitarlo ed imitarlo nella povertà, umiltà, carità, purità e semplicità! Vendette tutta lapingue sua eredità, non ritenendo nulla dell’immenso prezzo, che distribuì ai poverelli, e congiungendojmmens& amore collapiù rigorosa povertà, nulla ‘volle serbarsi fuori che Dio, e prescrisse alle consorelle il puro necessariq. ,\Gregorio IX voleva scioglierla da tanto austero voto, madessa rispose — voler essere assoita dai peccati, non tolta a,Gestì Cristo. —Rozzo e vii saio,a copriva, dormiva sulla nuda terra Lche era molle per lei quando eracoperta da poco strame: le stringeva le membra uno scabro cilicio di pelo di Cammello, Fedcrico Il, nemico in quel tempo della romana chiesa, conduceva Vsuoisaraceni da Nocera ad Assisi, e la illiisire vergine, invocando Maria, liberò il proprio monastero

— Voi. . [p. 76 modifica]66

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dalle sevizie de’ barbari, e valse a togliere i’ assedio dalla città. Per tredici anni corse la dura strada di penitenza, e finalmente alzossi alla beatitudine de’ santi ,$ove Maria accompagnata da moltitudine di vergini la incotrò, e l’accolse fra le braccia amorose. Alessandro lVindotto dalla rigida austerità della vita, e più dai miracoli da lei operati, la scrisse nel catalogo de’ santi. mi disse Piccarda perfecta vita vita contemplativa et alto merito e molte opere meritorie incela mettono in cielodonna piu su santa Chiara in grado più sublime a la cui norma e la regola della quale, (le donne che abbracciano il di lei istituto si vestono dcli’ abito, e si cingono del velo religioso) se veste e vela giu nel mondo nostro: santa Chiara era di nobilissima schiatta, e per questo sembra superare le altre sante per la vita austerissima che condusse, quantunque non ottenesse il martirio, e perchè fondatrice di un monastero, può riguardarsi gran madre di famiglia, che trasse (lietro all’ordine suo infinito numero di vergini perche se vegli e dorma con quel sposo perché si vegli e si dorma con Cristo fin al morir fin alla morte, con quel sposo che ogni voto accepta che carità conforma a suo piacere con Cristo, a cui è grato ogni voto, che dalla carità è fatto conforme al piacere di lui. Io Piccarda giovinetta fugimi dal mondo giovine ancora mi tolsi al mondo spontaneamente per seguirla per seguir santa Chiara: nel suo habito mi chiusi mi chiusi nell’ abito religioso e mi cinsi del velo e promisi la via de la sua setta e promisi di seguire il suo ordine od istituto. homini poi a mal piu eh a ben usi Corso Donati e Forese, i’ uno avvezzo al comando, l’altro dedito alla gola fuor mi rapiron de la dolce chiostra mi trassero violentemente fuori del convento, mio

dolce nido, ombra di Paradiso nel mondo e Dio si sa poi [p. 77 modifica]

canto
III. 67

qual mia /ssi vita sa Dio solo quale poi si fu la mia vita. di Guillelm o Ruggiero re di Sicilia fu prono. sticata nel nascimento da Gloacchino Calabro, che sarebbe stata la desolazione della Sicilia e di tutta Italia. Il padre spa ventato dal vaticinio d’uomo di tanta opinione, onde allontaA. nare i preveduti disastri, offerse la figlia a Dià, e la fece pro fessare voti di castità per troncarle ogni speranza di marito e di figli,ma morto ipadre e fratello, e non essendovi erede legittimo del trono, Tancredo Regolo, parente in linea trasversale, prese le redini del governo, e dopo lui il figlio Guillel. mo, locchè fece nascere fazioni crudeli, che riducevano quel nobile regno all’estrema miseria. Per troncare tanto disastro, In un consiglio generale si deliberò, che Costanza legittima erede fosse data in moglie a quel principe che colla sua po. Lenza e sapere valesse rimettere lo stato. A gran fatica,te quasi per comando del sommo Pontefice,sciolto il voto, passò Costanza/in moglie ad Enrico figlio dell’ imperatore Federico primo, maraviglia universale, essendo vecchia di 3S anni, partorì un figlio al marito. Perché, stante l’età avan zata di Costanza, non si dubitasse della legittimità del succes sore, approssimandosi il parto, si ordinò che le dame dellò stato le più ragguardevoli si avvicinassero alla regina, come fecero in un luogo detk Panormo, ed alla loro presenza par torì Federico Il ,che nominaron& mostro — perché fu poi nemico implacabile della Chiesa. Ecco perché lo stesso Fede neo nell’ atto di giurare soleva dire pe&,arto di mia madre così farò — e quesi altro splendor. figlia di gran re, moglie d’imperatore, e beata in cielo, Costanza che ti si mostra da la mia dextra parte per ragione di distinzione ed onore e che s accende di tutto I lume de la spera nostra che provò

tutto l’influsso della luna, che secondo gli astrologi serve a [p. 78 modifica]68

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conservare la verginità sorellafu professò voti, fu monaca: do eh io dico di me di se intende ciò che avvenne a me, avvenne anche a lei, in quanto anch’ essa fu tratta a forza dal monastero e così li fu lotta di capo i ombra de le sacre bende le si tolse i’ abito ed il velo che la cingevano, e la vestirono di porpora e di reale diadema. Ma poi che pur nei mondo fu rivolta ma benché tornata per forza al mondo contra suo grado e contra bona tuanza violentemente, non secondo il costume della Chiesa non fu dai vei dei cor gia mai dicioita sempre condusse vita non dissimile dal chiostro. A mio giudizio parmi più scusabile Piccarda di Costanza nella rottura del voto. Costanza era avanzata in età senza nozze; ma Piccarda fu invitata, e forzata a marito ancor giovanissima. Costanza aveva contratta I’ abitudine del chiostro essendovi stata molti anni, mentre Piccarda pochissimo vi si trattenne. Costanza non ebbe violenza fisica come l’altra, e come di sangue reale aveva più libertà di rispondere al modo di Susanna a quelli che voleano md urla al matrimonio, questa e la luce de la gran Costanza è l’anima della gran Costanza che dal secondo vanto di Soave genero il terzo ci ultima possanza della seconda gloria della casa Sveva, (Federico Barbarossa essendo stato la prima gloria), generò la terza ed ultima gloria, cioè Federico secondo. A ragione Dante chiama vanto o superbia di gloria quello della casa Sveva, che fu simile a vento australe, pcrchè turbò l’aere sereno, e portò sangue e strazi, ma tosto sparì. Il primo venuto da stirpe Sveva fu Federico Barbarossa, il secondo Enrico quinto, il terzo Federico secondo, che fu l’ultimo im peratore Svevo. La gente Sveva secondo Giulio Celso fu cliiarissima per armi, e per potenza in Germania, e si tengono

anche adesso i due Federici per due fulmini di guerra. [p. 79 modifica]

canto
lii. 69

Cosi parlomi quella Piccarda anche di Costanza ci poi comintio Ave Maria cantando e poi cominciò a cantare Ave Maria orazione propria delle vergini e cantando vanio come per acqua cupa cosa grave e disparve cantando, come sparisce un sasso gettato in acqua profonda. la vista mia che la seguia quanto possibil fu la mia contemplazione che la seguì quanto un uomo vivente può seguire un’ anima beata poi che la perse avendola perduta di vista vol8esi al segno di maggior desio si volse ad altra ricerca maggiore delle due che fece a Piccarda et a Beatrice tutta se converse volse tutta la contemplazione a Beatrice, ma quello folgoro nello mio isguardo sfavillò di nuovo un maggiore splendore nell’ intelletto mio si che dapprima il viso non sofferse per I’ altezza del lume e cio mi fece a dimandar piu tardo e ciò mi fece ritardare la trattazione

della nuova più ardua materia. [p. 80 modifica]

canto
1V.

ThSTO MODERNO Intra duo cibi distanti e moventi D’ un modo, prima si morria di fame Che liber’uom l’un si recasse ai denti,’ j 3 Sì si starebbe un àgno intra duo brame Di fieri lupi, egualmente temendo: Sì si starebbe un cane intra due dame,’ Per che, s’io mi tacea, me non riprectdo, Dalli miei dubbi d’un modo sospinto, Poi ch’era necessario, nè commendo. 9 l’mi lacca, ma il mio desir dipinto M’era nel viso, e il dimandar con elIo Più caldo assai, che per parlar distinto. 12 Fe’ si Beatrice, qual fe’ Daniello Nabuccodonosor levando d’ira, Che l’avea fatto ingiustamente fello. 15 E disse: io veggio ben come Li tira Uno ed altro disio, si che tua cura Sè stessa lega sì, che fuor non spira. 18 Tu argomenti: se il buon voler dura, La violenza altrui per qual ragione Di meritar mi scema la misura? 21 Ancor di dubitar ti dà cagione, Parer tornarsi l’anime alle stelle,

Secondo la sentenza di Platone. 24 [p. 81 modifica]

canto
IV. 71

Queste son le question che nel tuo velle Pontano egualemente; e però pria Tratterò quella che più ha di felle. 27 Dei sarafin colui che più s’india, Moisè, Samuello, e quel Giovanni, Qual prender vuogli, io dico, non Maria, Non hanno in altro Cielo i loro scanni, Che quegli spirti, che mo t’appariro, Nè hanno all’esser br più o meno anni; 33 Ma tutti fanno bello il primo giro, E differentemente han dolce vita Per sentir più e men l’eterno spiro. 36 Qui si mostraron, non perchè sortita Sia questa spera br, ma per far segno Della celestial che ha men salita. 39 Così parlar conviensi al vostro ingegno, Però che solo da sensato apprende Ciò che fa poscia il’ intelletto degno. Per questo la Scrittura condiscende A vostra facultate, e piedi e mano Attribuisce a Dio, e altro intende; 45 E santa Chiesa con aspetto umano Gabriele e Michel vi rappresenta, E L’altro che Tobia rifece sano. Quel che Timeo dell’ anima argomenta Non è simile a ciò che qui si vede, Però che, come dice, par che senta. Dice che l’alma alla sua stella riede, Credendo quella quindi esser decisa, Quando natura per forma la diede. E forse sua sentenza è d’ altra guisa [p. 82 modifica]72 PARWISO Clic la voce non suona, ed esser puote Con intenzion da non esser derisa. S’egli intende tornare a queste ruote L’onor dell’influenzia e il biasmo, forse in alcun vero suo arco percuote. 60 Questo principio male inteso torse Già tutto il mondo quasi, si che Giove, Mercurio e Marte a nominar trascorse. 63 L’ altra dubitazion che ti commuove Ha men velen, però che sua malizia, Non ti potria menar da me altrove. 66 Parere ingiusta la nostra giustizia Negli occhi dei mortali, è argomento Di fede, e non d’eretica nequizia. 69 Ma, perchè puote vostro accorgimento Ben penetrare a questa ventate, Come desiri ti farò contento. 72 Se violenza è quando quel, che paLe, Niente conferisce a quel, che sforza, Non fur quest’alme per essa scusate; 7 Che volontà, se non vuoi, non s’ ammorza, Ma fa come natura face in foco, Se mille volte violenza il torza; 78 Perché, s’ella si piega assai o poco, Segue la forza; e così questi fero, Potendo nifuggir nel santo loco. 81 Se foste stato il br volere intero, Come tenne Lorenzo in su la grada, E fece Muzio alla sua man severo, 83 Così i’ avria ripinte per la strada

Onde eran tratte, come furon sciolte; [p. 83 modifica]

canto
IV. 73

Ma così salda voglia è troppo rada. 87 E per queste parole, se ricotte L’hai come devi, è l’argomento casso, Che t’ avria fatto noia ancor più volte. 90 Ma or ti s’attraversa un altro passo Dinanzi agli occhi tal, che per te stesso Non ne usciresti, pria saresti lasso. 93 lo t’ ho per certo nella mente messo, Ch’alma beata non poria mentire, Però che sempre al primo vero è presso: 96 E poi potesti da Piccarda udire, Che l’affezion del vel Gostanza tenne, Sì ch’ ella par qui meco contraddire. 99 Molte fiate già, frate, addivenne Che, per fuggir periglio, contra grato Si fe’di quel che far non si convenne; 102 Come Alnieone, che, di ciò pregato Dal padre suo, la propria madre spense, Per non perder pietà si fe’ spietato. .1 O!i A questo punto voglio che tu pense, Che la forza al voler si mischia, e fanno Sì, che scusar non si posson l’offense. 108 Voglia assoluta non consente al danno: Ma consentevi in tanto, quanto teme, Se si ritrae, cadere in più affanno. 111 Però, quando Piccarda quello spreme, Della voglia assoluta intende, e io Dell’altra, sì che ver diciamo insieme. I 14 CoLai fu l’ondeggiar del santo rio, Che uscia dal fonte onde ogni ver deriva; Tal pose in pace uno e altro disio. 117 [p. 84 modifica]74 PRÀDISO O amanza del primo amanLc, o diva, Dissi io appresso, il cui parlar m’inonda E scaldasì, che più e più m’avviva; 120 Non è 1’ affezion mia sì profonda, Che basti a render voi grazia per grazia; Ma quei, che vede e può, a ciò risponda. 123 lo veggo ben che giammai non si sazia Nostro intelletto, se il ver non lo illustra, Di fuor dal qual nessun vero si spazia. 126 Posasi in esso, come fera in lustra, Tosto che giunto l’ha; e giunger puollo: Se non, ciascun disio sarebbe frustra. 129 Nasce per quello, a guisa di rampollo, A piè del vero, il dubbio; ed è natura, Che al sommo pinge noi di collo in collo. 132 Questo m’invita, questo m’assicura, Con riverenza, Donna, a dimandarvi D’ un’altra verità che m’è oscura. 13!S lo vo’ saper se i’ uom può soddisfarvi A voti manchi sì con altri beni, Che alla vostra stadera non sien parvi. 138 Beatrice mi guardò con gli occhi pieni Di faville d’amor, così divini, Che, vinta mia virtù, diedi le reni, E quasi mi perdei con gli occhi chini. 142 COMMENTO Dl BENVENUTO Dividesi il canto in quattro parti generali. Nella prima, l’autore propone due dubbi. Nella seconda, risponde ad uno.

Nella terza, all’altro. Nella quarta, propone altra questione incidentale. [p. 85 modifica]

canto
IV. 7S

Dante colpito dallo splendore di Beatrice si trattenne dal fare le ricerche sopraddette, non sapendo da quale incominciare libero homo posto a mensa pria se morria di fame prima mancherebbe per fame che recasse I un ai denti anziché mettersi un cibo alla bocca mira due cibi che avesse davanti uguali in bontà distanti ugualmente e moventi d un modo uguali ed eccitanti egualmente l’appetito: un agno si si starebbe un agnello starebbe in ugual mcdo mira de bramedi feri lupi vicino a due lupi egualmente fra loro distanti ugualmente temendo di fuggir dall’uno piuttosto chedall’altro;un cane si si starebbe mira due dame un cane starebbe in forse di sbranare l’una o l’altra capriola. il Poeta rispetto al libero arbitrio dice in questo luogo alcune cose che non sembrano vere. Aristotile ed Ovidio sembrano tener per possibile che si possano egualmente amare due bellissime donne, quando siano egualmente colte e spiritose, e trovatisi essi nel caso, affermano che non sapevano 1’ una all’altra anteporre. Cado primo re di Sicilia fu preso d’amore in Napoli per due figlie di un fiorentino, che messe insieme, non potevasi I’ una distinguere dall’altra, e gli sembrava vederne una in due e due in una. Nella smania dell’ amor suo pensò di rapino ambidue; ma nim proverato da Guido di Montefeltro rinvenne da tale smania, ed onoratamente maritò e dotò 1’ una e i’ altra, per eh io non mi riprendo ne comendo il perché io non mi accuso nè mi lodo s io sospinto da li miei dubbi se trattenuto dalla mia incertezza d un modo egualmente io mi tacea poich era necessario sospinto da contrari dubbi mi tacea, perchè ciò era di necessità: io mi taeea colla lingua ma il mio disir interno m era dipinto era palese e il dimandar con elio e le inchieste

conformi mostravansi nel viso nel volto assai piu caldo [p. 86 modifica]76

paradiso

assai più caldo e vivo che distinto per parlar di quello che avrei espresso colle parole. Daniele messo in prigione da Nabuccodonosor re degli assiri ebbe il dono d’ interpretare i sogni; ed in quel tempo il re ebbe un sogno tanto maraviglioso, che i sapienti ed astrologi del regno non seppero interpretare, e furono quindi uccisi. Al re apparve una statua gigantesca, colla testa d’oro, il petto e le braccia d’argento, il ventre e fianchi di rame, le gambe e piedi di ferro, ma un dito di un piede era di creta. Un sasso piccolo,.cadendo dal monte vicino, colpì la statua nel dito di creta, la fece crollare, e quel sasso si cambiò in un monte immenso che coprrtutta la terra. L’oro figurava il regno degli assiri, ricchissimo e lunghissimo; l’argento il regno de’medi e persiani, che quali braccia si volgono al cuore, giacchè questi due regni appartenevano ad un sol re; il rame il regno di Alessandro Magno che lasciò altissimo suono, imperocchè i greci furono eloquentissimi, ed ebbero i più famosi scrittori; il ferro il regno de’romani, i quali colle armi domarono tutti gli altri regni, finchè la ruggine della discordia civile gttastandolo, i piedi si divisero, non potendo il ferro e la terra mischiarsi, come non furono capaci i duci romani di accordarsi. Il sasso poi figura nostro Signor Gesù Cristo, che venendo dal cielo senz’opera umana alterò il romano impero, che dopo Augusto cominciò poco a poco a declinare finchè giunse alla totale distruzione. Così interpretò Daniele il sogno del re, e questi lo distinse con sommi onori. Beatrice fessi qua! fee Daniel levando d ira Nabuchdene.sor aveva spiegata 1’ ira sua contra i sapienti che non seppero interpretare il sogno che qual ira i avea facto injustamente feilo crudele, giacchò senza motivo tutti li uccise. Daniele rivelò al re il sogno, e lo interpretò; Beatrice, conoscendo i seDigitized

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canto
1V. 77

crei i di Dio, sciolse i due dubbi di Dante dai quali era turbato. E Beatrice disse — io veggo ben eome te lira io scorgo ben come ti agita lun e i altro disio I’ un e l’altro desiderio di sapere si che tua cura se stessa liga si che fuor non spira sì che il desiderio è tanto ben celato che di fuor non trapela, tu argomenti tu vuoi sapere se bon voler dura se perseverando nel buon proposito la violentia altrui per qual ragione ne scema la misura dei meritare? la violenza usata da altri come possa scemare il merito ed il premio, come accadde a Piccarda e Costanza. anchor di dubita.r ti da ragione vuoi pure sapere come parer tornarsi i anime alle stelle secondo la sententia di Platone ti sembri, da quello che hai veduto, che le anime secondo la sentenza di Platone, preesistendo abitatrici delle stelle innanzi di unirsi ai corpi mortali, disciolto dalla morte, tornino ad abitare nelle stelle. queste son lequesuoni che pontano ugualmente nel tuo velle queste SOnO le domande che si appuntano nella tua volontà et pero pria traetaro quelle che ha piu di fele e quindi risponderò a quelle, che han maggiore veleno di falsa dottrina, ossia più fiele teologico. Beatrice brevemente, e chiaramente risponde alla seconda dimanda più pericolosa, insegnando che tutti i beati hanno br sede nel cielo, e la diversità de’luoghi è argomento della diversa capacità di gloria, colui de Seraphin tra i serafini quegli che piusindiasi unisce a Dio Moise che parlava con Dio faccia a faccia Samuel gran profeta che unse David re e quel Giovanniqualprendervokod il Battista o l’Evangelista, del primo fu detto non esser nato di donna un maggiore, e dell’altro che dormi sul petto del Signore, io dico non Marta eccetuo Maria Vergine non hanno i loro scanni i loro luoghi, ovvero il br grado di gloria in altro celo in altro paradiso che questi spirli

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paradiso

che mo tapariron che questi spiriti che POCO fa ti compariron dinanzi, ne hanno al esser loro piu o men anni non son circoscritti da luogo, come non lo sono da tempo ma tutti fanno bello il pfimo giro ma tutti adornano I’ empireo cielo et han dolce vita ed hanno beatitudine differentemente per sentir piu e men l eterno spiro secondo la grazia più o meno ispirata dallo Spirito Santo. Qui si mostran Piccarda e Costanza non perche que sta spera sia sortita loro non perché questa sfera sia loro assegnata o destinata ma per segno de la celestial ch a ven salita ma per significare, che come questa sfera è la meno prossima a Dio, così quèste anime sentono menO l’eterno spiro, cioè hanno minore grado di gloria. cosi parlar conviensi al vostro ingegno che non può esser a gior no delle cose spirituali e celesti pero che solo da sensato a- prende cio che far possa d intelkcto degno imperocchè ogni vostro intelletto dipende dai sensi, e non potete arrivare alla cognizione delle idee astratte se non se dimostrandovele pei sensi, che sono i vostri naturali strumenti. per questo la scriptur a condiscende per questo la teologia si abbassa, si piega a nostra facultate alla nostra umanità e piedi e mani attribuisce a Dio mostrandovi Dio avente piedi e mani ci altro intende e non in tende realmente attribuire a Dio piedi e ma ni, ma così ragiona per accomodarsi al modo di concepire dell’umano intendimento. Sotto figura della mano dimostra la potenza, sotto figura de’ piedi l’affetto o l’amore: e sancta Chiesa vi rappresenta cum aspecto humano e la santa Chie - sa vi dipinge con volto umano Gabriel messaggiero di Dio a Maria e Michele e così l’arcangelo Michele e 1 altro 1’ arcangelo Raffaello che Tobia rifece sano che rese la vista al vecchio

Tobia. [p. 89 modifica]

canto
IV. 79

Tobia fu giusto, pio, timorato di Dio. Schiavo in Ninive, si affaticò un giorno a seppellire uno de.’suoi, stato ucciso, e mentre dormiva, gli caddero sugli occhi caldissimi sterchi delle rondini, per cui rimase cieco. Tobia soffrì rassegnato la nuova sventura, ed anzi rendette grazia al Signore. Credendosi vicino a morte comandò al figlio suo Tobiolo di andare a Rages nella Media per realizzare un credito da Gabel. L’arcangelo Raffaello in forma di giovinetto si accompagnò con Tobiolo, e lo introdusse, strada facendo, in casa di Raguel ebreo, che aveva una figlia — Sara — vedova di sette mariti, e che tutti erano stati la prima notte strozzati dal demonio. Raffaello si adoprò perchè Raguel desse la figlia in moglie a Tobiolo con ricchissima dote: indi, riscosso il credito da Gahel, ricondusse il figlio ammogliato a Tobia cui diede pur anche il credito riscosso. Lo stesso Tobiolo tolse la cecità al padre col fiele di un pesce preso nel cammino insieme coll’arcangelo Raffaello, e quel fiele servì pur anche a scacciare il demonio di dosso alla consorte. Il padre visse ancor lungamente una vita di santità, e finalmente morì felice in Ninive, preconizzando l’accrescimento, ed il ritorno degli ebrei alla terra del Signore. Quel che Thirnéo 1’ opera di Platone così detta dall’amico di lui Timeo di Locri, una volta famosa città nelle Calabrie, dove Timeo ebbe il primo nome di sapienza, nel tempo in cui Platone girava i’ Italia de i anima argomenta non e simile a cio che qui si vede pero che come dice par che senta Quanto dice Platone nel suo Timeo non è da considerarsi come immagine che adombri quello che realmente qui si vede; m pare che le sue parole non abbiano un significato diverso da quello che letteralmente esprimono. L’opinione di Platone, di

Socrate, e degli Accademici fu che le anime discendessero [p. 90 modifica]80

paradiso

dalle stelle, e dopo morte tornassero alle stesse stelle conformi. La stella conforme chiamasi quella, che fu motivo dei semi di vita e d’intelletto, ed ecco perché ritenevasi che le anime discendessero dalle stelle. Perché poi gli elementi tendono all’ origine loro, così le anime tendessero alle stelle, da cui erano venute. Nelle anime asserì trovarsi ogni tendenza a virtù, e perciò gli studi non apportare all’ intelletto che la remozione de.gL’ impedimenti, come si avvera nell’ ubriaco ed epiletico. dice che i alma a la sua stella riede per la morte del corpo credendo quella quindi esser decisa credendo che fosse dipartita da quel luogo quando natura per forma la diede allorchè natura la destinò, la ordinò ad informare il corpo. et forse sua intenzion ed altra guisa che la voce non suona e forse l’intenzione di Platone fu diversa dal senso letterale delle parole. L’espressione dubitativa che viene usata per rispetto ai primi sapienti i quali tennero la opinione di Platone, e fu seguita, oltre che da Pittagora, da Tullio, Virgilio, edallo stesso cristianissimo Boezio esser puote con intenhiora di non esser derisa può essere con retta intenzione, consonante alla fede, e che non meriti disprezzo: forse suo arco percuote in alcun vero forse la sua opinione in qualche modo coglie nel vero. Elli intende i onor de i influentia et il biasmo tornare a queste rote egli intende che dalle stelle venga i’ influsso al bene ed al male, ossia che la virtù, e vizi dell’anima debbono in gran parte attribuirsi all’ influsso delle stelle. Platone fu poeta, e poeta scrisse molte cose in metafora. Come io seguendo Dante parlo dubitando, cosr Platone può aver parlato al modo del tempo suo, e come comunemente anche oggi si dice — questi è figlio del sole, o della luna, e tale tornerì alla sua stella. questo principio male inteso torse già tutto il

mondo quasi qnesta opinione male intesa trasse dalla via [p. 91 modifica]

canto
iV. 8i

della verità e indusse nell’errore tutte le genti pagane, fuorichè il popolo ebreo, che osservava la legge del vero Dio si che trascorse a nominar Jove Mercurio e Marte sì che trascorse a credere che i diversi pianeti fossero l’eterno soggiornodi Giove, di Mercurio e di Marte. Leggesi nel Timeo. Le stelle muovono 1’ anima ch’ è seme degli Dei — e quindi Platone insegnava di osservare i primi moti de’ bambini, i quali sono indizi della scienza od arte, a cui sono inclinati dalla stella conforme. I caldei e gli egizi ritenevano, che i buoni fossero influenzati da Giove, gi’ iracondi da Marte, gli scienziati da Mercurio, i lussuriosi da Venere, i contemplativi da Saturno. L altra dubitation che do commove I’ altra ricerca che hai tanta smania di soddisfare a men veleno contiene meno dannosa dottrina si che sua malitia non le poria menar da me altrove la sua malignità non potrebbe allontanarti del tutto dalla vera scienza’delle cose di Dio: la nostra iuslitia la giustizia divina parer iniusta agli occhi di mortali all’ infermo umano intelletto ce argomento de fede cristiana et non d eretica nequitiae non di eresia di domma, giudicando di ciò che gli sembra ingiusto, senza alcun rapporto alla fede; ma io ti faro contento come desiri ma io ti schiarirò anche su questo dubbio come tu brami perche vostro accorgimento perchè il vostro intelletto pote ben penetrare a questa ventate può benissimo arrivare a questa verità. Secondo Aristotile chiamasi volontario quell’atto il cui principio è nello stesso operante; involontario quell’atto il cui principio è fuori dell’operante, locchè avviene in due modi, o per violenza, o per ignoranza: nella violenza il paziente nulla attribuisce alla volontà, come accadde a Piccarda. La ignoranza vincibile è quella in cui è principio volontario, ed è seguita da pentimento

R.1B.4LD; — Voi. 3. 6 [p. 92 modifica]82

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e tristezza: i’ ubbriaco merita quindi, secondo Aristotile, una doppia pena: la ignoranza invincibile all’opposto è quella in cui manca ogni principio volontario, ed è totalmente scusante. se violencia ee se per perchè è violenza quando quel che pale niente conferisce a quel che sforza quel che soffre non ha alcuna imputabilità. queste alme Piccarda e Costanza non fuor scusate per essa mancando al voto non furono scusate per violenza, giacchè ebbero nella rottura del voto un principio volontario che volonta, se non vuol non s amorza imperocchè la volontà può, se ostinatamente vuole, non piegarsi alla violenza usata; mafa come natura face in foco ma fa come naturalmente fa il fuoco che sempre tende all’ insu se mille volte violencia il torca se per violenza di vento, o (l’altro si pieghi e deprima, che nulla osta nte sempre risale, perche sola se piega asai o poco per forza, o per paura segue la forza coli’ acconsentire et cosi queste feron possendo rifuggir nel sancto loco mentre potevano fuggire dì nuovo, e nascondersi nel monastero. San Lorenzo nacque nelle Spagne al tempo di Decio imperatore. Esso dopo avere sofferti i più barbari tormenti, finalmente posto sulla graticola fu abbrustolato da tutte le parti, mentr’ egli frattanto cantava lodi e grazie all’ Altissimo. Scrive Livio, che Porsenna etrusco volendo ridurre Tarquinio superbo in Roma cinse la città di stretto assedio, sperando di vincerla colla fame. Muzio, nobile giovane romano, mal soffrendo i disastri della patria, con assenso del senato, nascondendo acuto pugnale, passò nel campo nemico, e s’introdusse nella tenda reale, dove insieme col re sedeva pure il cancelliere che distribuiva le paghe ai soldati ed era vestito più magnificamente dello stesso re. Muzio, per

non destare sospetto, chiedendo qua! fosse il re, si scagliò [p. 93 modifica]

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IV. 83

contro del cancelliere e l’uccise, e fuggendo in mezzo ai circostanti, apertasi la strada col pugnale grondante di sangue, pur non ostante fu preso. Condotto avanti Porsenna disse queste memorande parole — Son Muzio romano: nemi°o venni per trucidare un nemico: pronto alla morte; essendo de’ soli romani il fare e soffrir da forti: molti altri giovani tentano quant’ io fallii. — Il re sdegnato, e pieno d’ ira comandò che si recasse fuoco per tormentare l’audace, e perché nominasse i complici suoi; ma Muzio all’ incontro — il corpo è oggetto spregevole per chi aspira alla gloria: getiata la destra nel fuoco ardente, imperterrito la tenne in esso ferma quasi non sentisse il dolore. Maravigliato Porsenna comandò, che il giovane fosse tolto dal fuoco, giacché gli sembravo più crudele con sè, di quello che col nemico; e Muzio quasi per riconoscenza gli palesò, che trecento nobili giovani romani a vevano giurato di ucciderlo nella stessa maniera. Porsenna allora credette miglìor consiglio di far pace, e di togliere l’assedio da Roma. & fosse stato br voler intero se la volontà di Piccarda e Costanza fosse stata così ferma come tenne Lorenzo come san Lorenzo patì di esser bruciato vivo, anzichè togliersi menomamente dalla sua costanza cristiana su la grada sulla graticola e fece Mutio a la sua man severo Muzio Scevola, allorchè non gli riuscì di trucidare Porsenna, bruciò la sua destra negli ardenti carboni per punirla del colpo fallito così lavria ripinta per la strada così le avrebbe risospinte e ricondotte alla vita religiosa ond eran trae da cui erano strappate come furon sciolte quando cessava la violenza; ma cosi salda voglia e troppo rada ma questo eroismo s’incontra rare volte negli uomini, e più di rado anche nelle donne.

e per queste parole se ricoite i ai come dei e i argomento [p. 94 modifica]84

paradiso

casso se bene hai falLo riflesso alle mie parole, troverai ch’ è svanito il tuo dubbio che i haria facio noia anchor piu volte che ti avrebbe implicato in altri dubbi in simiglianti occasioni. Ma hor ti attraversa un altro passo dinanzi agli occhi tal che per te stesso non usciresti pria saresti lasso ma ora Li sorge in mente un altro dubbio tanto difficile, che per te stesso non saresti valevole a sciogliere. Piccarda nel canto precedente aveva detto che Costanza conservò sempre la sua buona volontà, ed all’ incontro Beatrice asserì poco sopra, che nè l’una nè l’altra la conservò intera. E Piccarda beata non poteva mentire, come Beatrice, ossia la teologia non può dire il falso. io t o certo ne la mente messo io t’ ho provato in guisa che ne devi essere certo eh alma beata non poria mentii’ che un’anima beata non potrebbe mentire pero che sempre ha el primo vero apresso perchè sempre è vicina a Dio. e poi potesti da Picarda udire che Costantia tenne I affection del velo che Costanza forzata a divenire sposa d’Ar- rigo, sebbene corporal mente perdesse la virginità, nondimeno serbò in cuore il voto con 1’ affetto della vita religiosa si ch ella par qui meco contradir cosicchè il suo esempio pare che contraddica alle ragioni da me addotte a provarti che volontà, se non vuoi, non si ammorza. La volontà semplice è assoluta; la volontà secundum quid è relativa: le opere, sebbene semplicemente assolute e volontarie, non pertanto sono anche secundum quid, e per esse meritiam lode,-o biasimo, come accade ai fanciulli, che per timore della sferza vanno àlla scuola, sebbene fossero più lodevoli se senza alun timore ciò facessero: quelli che operano per timore della pena non sono lodevoli per sè stessi, ma per la speranza del bene futuro: e frate molte fiate gia addivenne e molte volte veggiamo farsi frate che per fugir perlglio per fuggire da un pericolo, o scamDigitized

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canto
1V. 8

par da una pena contra grato se fe di quei che far non si convenne contro alla propria inclinazione si fece di quella religione che non gli conveniva. Almeone uccise la madre in vendetta del padre. San Pietro rinnegò Cristo, come Almeone che di cio pregato dal padre suo Almeone pregato dal padre Anflarao famoso augure spense la propria madre Erifile clic aveva tradito Anfiarao per non perde’r piela se fe spietato per avere pietà del tradimento del padre, usò di un’empietà verso della madre. A questo punto voglio che tu pensi che la forza si meschia al voler pensa adunque che la volontà fu mista e fanno si che scusar non si posson I offense e la forza mista alla volontà impedisce la totale scusa dell’ atto: voglia assoluta non consente al danno un’assoluta volontà no consente al male ma consentevi in tanto quanto teme se si ritrae cadere in piu affanno ma consente, quando paventa, che non consentendo, incontri maggior colpa. Chi violò una vergine, e per dsottrarla da morte la sposn, mentre fuor di questo caso non 1’ avrebbe mai sposata, offre l’esempio il più evidente. — Così è dimostrato che anche coatta è pur sempre volontà. Se poi I’ incusso timore sia tale da spaventare anche un uomo forte, scusa nel foro civile e canonico, ma non presso Dio, essendo meglio star fermi nell’onesto, di quel che temere la morte. pero quando Picarda quello esprime cioè che Costanza ritenne il velo intende de la voglia absoluta perchè semplicemente non acconsentì a quelli che la trassero dal convento, ma secundum quid ossia secondo 1’ incusso timore; elio de i altra intendo della volontà rispettiva, quando dissi che i voti furono in parte rotti per violenza perchè, quella cessata, non tornò al convento si che ver diciamo insieme onde I’ uno, e I’ altra diciamo la stessa verità, colai fu I ondeggiar del sanDigitized

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do rio tale fu il ragionamento della santa Beatrice che usci del fonte onde ogni ver deriva che usci dalla teologia o scienza delle cose divine: tal pose in pace uno e altro desio tosi mi furono messi in chiaro i miei due dubbi. Dante, terminato il discorso di Beatrice esclama o amanza del primo amante o amore di Dio o diva o scienza divinai enLe infusa il cui parlar m inunda e scalda si che piu e piu m aviva il cui linguaggio irriga la mia arida mente, e scalda il mio intelletto sempre maggiormente: non ee I affeclion mia tanto profonda non è sufficiente la mia riconoscenza ed affetto che basti a rendervi gratia per gratia che basti a ringraziarvi di tanta grazia ricevuta; ma quei che vede e pole a cio risponda ma Dio che vede il cuore di tutti, ed ha in sè ogni potere risponda per me. io veggio ben che gia mai non si sacia nostro intdllecto se il ver non illustra, convengo bene che se non lo illumina il sommo vero di for del quale nessun vero si spazia in quanto si dice il fine di tutti gli altri veri, nulla è buono fuor della causa finale. posasi in esso 1’ intelletto, quando conosce di avere conseguito il vero, si posa sopr’ esso come fera in lustra come la fiera, dopo lunghe corse ne’ boschi si riposa tosto che giunto la e giunger pollo tosto che può arrivano, e lo arriva si non ciascun disio sarebbe frustra altrimenti sarebbe inutile ogni nostro desiderio. Dante per ultimo dimostra che I’ intelletto naturalmente va in cerca della felicità come ad ultimo fine passando da verità conosciuta ad altra da conoscersi. il dubio nasce per quello a pe del vero il dubbio nasce dal dubbio sciolto a guisa di rampollo di un pollone di pianta tagliata ci ee natura che al sommo pinge noi e non possiamb levarci alla verità se non di grado in grado di collo in collo collo vai figurataDigitized

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canto
VI. 87

mente colle. La natura fornisce tutti dei mezzi per giungere al fine, altrimenti opererebbe indarno. L’ uomo ha per fine la felicità; dunque ha i mezzi per conseguirla operando con virtù, meditando colla sapienza. — Questo m invita questo m assicura questo naturale desiderio mi chiama, e mi assicura o donna o sovrana delle scienze a domandarvi d un altra verita a farvi un’ altra domanda per cavarne una verità che m ee obscura che non veggo ben chiara.io vuo sapere se i om po soddisfare ai voti manchi se può soddisfare alla rottura de’ voti come quelli di Piecarda e di Costanza si con altri beni con altre opere pie che alla vostra statera non fan parvi che alla bilancia della vostra giustizia siano bastanti? Beatrice mi guardo con gli occhi pieni di faviik d amor e cosi divini Beatrice mi volse lo sguardo pieno di tanto amore divino che vinta mia virtute che passando sopra al mio umano potere dei le reni voltai il tergo et quasi mi perdei con gli occhi chini e quasi fui oppresso dall’eccessivo splendore, quantunque tenessi gli occhi

abbassati. [p. 98 modifica]

canto
V.

TESTO MODERNO 5’ io ti fiammeggio nel caldo d’amore Di là dal modo che in terra si vede, Sì che degli occhi tuoi vinco il valòre, 3 Non ti maravigliar, chè ciò procede Da perfetto veder, che, come apprende, Così nel bene appresso muove il piede. 6 lo veggio ben sì come già risplende Nello intelletto tuo l’eterna luce, Che vista sola sempre amore accende: 9 E s’altra cosa vostro amor seduce, Non è se non di quella alcun vestigio Mal conosciuto, che quivi traluce. 12 Tu vuoi saper se con altro servigio Per manco voto si può render tanto, Che l’anima sicuri dì litigio: Sì cominciò Beatrice questo canto; E sì com’ uom che suo parlar non spezza, Continuò così il processo santo: 18 Lo maggior don, che Dio per sua larghezza Fesse creando, e alla sua bontate Piiì conformato, e quel ch’ ci più apprezza, 21 Fu della volontà la libertate, Di che le creature intelligenti,

E tutte e sole furo e son dotate. ‘24 [p. 99 modifica]

canto
V. 89

Or ti parrà, se tu quinci argomenti, L’ alto valor del voto, se è sì fatto, Che Dio consenta quanto tu consenti: 27 Chè, nel fermar tra Dio e I’ uomo il patto, Vittima fassi di questo tesoro, Tal, qual io dico, e fassi col suo atto. 30 Dunque che render puossi per ristoro? Se credi bene usar quel ch’hai offerto, Di mal tolletto vuoi far buon lavoro. 33 Tu sei ornai del maggior punto certo; Ma, perchè santa Chiesa in ciò dispensa, Che par contra lo ver ch’ io t’ ho scoverto; 36 Con vienti ancor sedere un poco a mensa, Però che il cibo rigido che hai preso Richiede ancora aiuto a tua dispensa. 39 Apri la mente a quel ch’ io ti paleso, E fermalvi entro; chè non fa scienza, Senza Io ritenere, avere inteso. 42 Due cose si convengono all’ essenza Di questo sacrificio: 1’ una è quella Di che si fa; l’altra è la convenenza. Quest’ ultima giammai non si cancella, Se non servata, e intorno di lei Sì preciso di sopra si favella: 48 Però necessità fu agli Ebrei Pur 1’ offerere, ancor che alcuna offerta Si permutasse, come saper dei. L’altra, che per materia t’è aperta, Può bene essere tal, che non si falla, Se con altra materia si converta.

Ma non trasmuti carco alla sua spalla [p. 100 modifica]90

paradiso

Per suo arbitrio alcun, senza la volta E della chiave bianca e della gialla: S7 E ogni permutanza credi stolta, Se la cosa dimessa in la sorpresa, Come il quattro nel sei, non è raccolta. 60 Però qualunque cosa tanto pesa Per suo valor, che tragga ogni bilancia, Soddisfar non si può con altra spesa. 63 Non prendano i mortali il voto a ciancia: Siate fedeli, e a ciò far non bieci, Come fu lefle alla sua prima mancia; 66 Cui più si convenia dicer: mal feci, Che serbando far peggio; e così stolto Ritrovar puoi lo gran duca de’ Greci, 69 Onde pianse Ifigenia il suo bel volto, E fe’pianger di sè e i folli e i savi, Ch’ udir parlar di così fatto colto. 7 Siate, Cristiani, a muovervi più gravi; Non siate come penna a ogni vento, E non crediate eh’ ogni acqua vi lavi. Th Avete il vecchio e il nuovo Testamento, E il Pastor della Chiesa che vi guida: Questo vi basti a vostro salvamento. 78 Se mala cupidigia altro vi grida, Uomini siate, e non pecore matte, Sì che il Giudeo tra voi di voi non rido. 81 Non fate come agnel che lascia il latte Della sua madre, e semplice e lascivo Seco medesmo a suo piacer combatte. Così Beatrice a me, com’io scrivo:

Poi si rivolse tutta disiante [p. 101 modifica]

canto
V. 91

A quella parte ove il mondo è più vivo. 87 Lo suo tacere e il trasmutar sembiante Poser silenzio al mio cupido ingegno, Che già nuove quistioni avea davante. 90 E sì come saetta, che nel segnò Percuote pria che sia la corda queta, Così corremmo nel secondo regno. Quivi la Donna mia vidi io sì lieta, Come nel lume di quel ciel si mise, Che più lucente se ne fe’ il pianeta. 96 E se la stella si cambiò e rise, Qual mi feci io, che pur di mia natura Trasmutabile son per tutte guise! 99 Come in peschiera, ch’è tranquilla e pura, Traggono i pesci a ciò che vien di fuori, Per modo che lo stimin br pastura; 102 Sì vid’io ben più di mille splendori Trarsi ver noi, e in ciascun s’udia: Ecco chi crescerà li nostri amori. E sì come ciascuno a noi venia, Vedeasi l’ombra piena di letizia Nel folgor chiaro, che di lei uscia. 108 Pensa, lettor, se quel che qui s’ inizia Non procedesse, come tu avresti Di più savere angosciosa carizia; 111 E per te vederai, come da questi M’era in disio d’ udir br condizioni, Sì come agli occhi mi fur manifesti. 114 O bene nato, a cui veder li troni Del trionfo eternal concede grazia, Prima che la milizia s’ abbandoni: 117 [p. 102 modifica]92 PADIS0 [)el lume, che per tutto il del si spazia, Noi semo accesi: e però, se desii Di noi chiarirti, a tuo piacer Li sazia. 120 Così da un di quelli spirti pii Detto mi fu; e da Beatrice: di’di’ Sicuramente, e credi come a Dii. Io veggio ben si come tu t’annidi Nel proprio lume, e che dagli occhi il traggi, Per ch’ei corrusca sì, come tu ridi; 126 Ma non so chi tu sei, nè perchè aggi, Anima degna, il grado della spera, Che si vela a’ mortai con gli altrui raggi. - 129 Questo diss’io diritto alla lumiera, Che pria m’avea parlato; ond’eila fessi Lucente più assai di quel ch’ell’era. Sì come il Sol, che si cela egli stessi Per troppa luce, quando il caldo ha rose Le temperanze de’ vapori spessi; 13$ Per più letizia sì mi si nascose Dentro al suo raggio la figura santa: E così chiusa chiusa mi rispose Nel modo che il seguente canto canta. 139 COMMENTO Dl BENVENUTO Si divide il canto in quattro parti generali. Nella prima, Beatrice premette dimostrazioni che servono a sciogliere il dubbio sulla dispensazione de’ voti. Nella seconda, toglie il dubbio. Nella terza, porge un salutare consiglio. Nella quarta, 1’ autore entra nel cielo di Mercurio, dove gli si fa incontro tina moltitudine di anime.

S io ti fiameggio t’ infiammo coi raggi di mia sapienza [p. 103 modifica]

canto
V. 93

nel caldo d amore divino dita dal modo che ti terra si vede oltre I’ umano costume si che degli occhi tuoi vinco il valore sicchè. vinco il tuo potere visivo, non ti maravigliar non devi inaravigliarti che cio procede da perfecto vederedall’ intelletto depurato e perfetto che come apprende che a misura che apprende o conosce il bene cosi nel bene apresso move il piede così dietro vi corre l’affetto. io vegq-io ben si come gui risponde ne lo intellecto tuo i eterna luce: questo passo può intendersi in due sensi che vistasolasempreamoreacrende io veggo già come la luce eterna risplende nell’ intelletto tuo, che veduta solamente una volta accende in perpetuo dell’amore di sè — ovvero che sola vista che la sola vista intellettuale accende ecc. locchè non può essere, giacchè 1’ umana vista non accende I’ eterna luce ecc. ovvero che vista sola, qual luce eterna soltanto vista ecc. come prima. lo per altro opino, che piuttosto debba dividersi quel vista in due parole, e dire che vi sta sta ivi nel tuo intelletto solo senza alcun altro affetto el semper accende amore nel tuo intelletto sempre accende l’amore della eterna verità. La mia interpretazione è sostenuta dalle seguenti parole ci s altra cosa vostro amor seduce e se altra cosa seduce 1’ amor vostro non ce se non akun vestigio di quella che quivi traluce mal cognosciuto non è che una traccia di quelle verità eterne, la quale diffusa nelle creature appare come a traverso di un vel’o, mentre in cielo si mostra qual è, giacchè per quanto fu detto non si può amare che il bene se non reale, che abbia almeno 1’ apparenza di bene. tu vuoi saper se con altro servigio tu brami sapere se con altra opera buona sepo render tanto per manco voto si può compensare la mancanza di un voto, come quello di Piccarda e Costanza si che 1 anima securi di litigio che assicuri l’anima del non adempimento in faccia alla severa giuDigitized

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paradiso

stizia di Dio. cominzio Beatrice questo canto così diede Beatrice principio a questo canto si com om che suo parlar non specza come chi non rompe il filo del suo discorso e continuo cosi il processo sancto e così continuò il santo ragionamento. La libertà è la base fondamentale del voto; quindi lo schiavo, perchè non ha libertà, e sì ritiene morto civilmente, non può in diritto validamente obbligarsi. Lo maggior dono che Dio facesse per sua larghezza il dono maggiore che Dio abbia fatto piu conformato a la sua bontate piu conforme alla sua immensa bontà el quel che piu aprecia perchè con esso 1’ uomo si rende somigliante a Dio fuo la liberiate dita vo- tonta fu il libero arbitrio. Dio diede all’ uomo il libero arbitrio, perchè al dire di sant’ Agostino, vivendo senza peccato, si rendesse simile a lui. L’uomo senza colpe ottenne di poter addivenire figlio di Dio, giacchè la mente pura è il tempio di Dio, ed il cuor mondo è l’altaredi Dio. Onde l’uomo potesse giungere a tanto, gli diede il libero arbitrio, di che del qual libero arbitrio le creature intelligenti ragionevoli e tutte esole foro e son dotate ed individualmenteenellespecie furono, e sono dotate. Il voto è un contratto, che 1’ uomo stipula con Dio. Per celebrano validamente sono essenziali — persona, cosa, consenso. Le persone uomo e Dio — le cose — peregrinazioni, povertà, digiuni, verginità, castità ecc. il con. senso di Dio e dell’uomo. Ma come si avrà o conoscerà il consenso di Dio? or ti parra tallo vator del voto ora conoscerai la gran forza di un voto se tu argomenti quinci se tu lo misuri da questo libero arbitrio se ee si faeto che Dio con- senta quando tu consenti se il voto è di cosa tale, che Dio acconsenta di riceverla, quando tu acconsenta di dargliela; che victima [assi di questo tesoro penchè si fa un’ offerta,

un sacrifizo a Dio di questa libertà di volere tal qual io dico [p. 105 modifica]

canto
V. 9S

oLtoponendo il libero volere a Dio, obbligandolo spontaneamente o lui e fassi col SUO aeto e si fa con atto dello stesso libero arbitrio nel fermai’ il pacto il voto Ira Dio e i orno. Dunque che render possi per compenso per ristoro? nulla, se eredi di bene usai’ se credi di far bene nel convertire in tuo vantaggio, o d’altrui,quel eh hai offerto quel che donasti a Dio nel voto voi far bon lavoro di mal tòilecto vorresti fare opera buona di cosa mal tolta? Ma esser largo di cosa altrui equivale a furto secondo Salomone, tu sei ornai certo del maggior ìuncto della maggiore quistione; ma perche santa Chiesa romana in cio dispensa ma perché la santa romana Chiesa accorda dispense in fatto di voto che pare incontra i ver eh io o scoperto che sembra contro le verità ch. ti scoprii, e cioè che non vi può esser compenso all’ inadempimento del voto convienti ancor seder un pocho a mensa bisogna che tu attenda anche un poco alla mia dottrina, cibo dell’anima tua pero che il cibo rigido eh ai preso giacché la materia del voto assai difficile richiede ancor aiuto a tua dispensa abbisogna di spiegazione perché tu possa ben bene digerirla. apri la mente a quel eh io ti paleso, e ferma lui entro alza la mente, e fissa in lei quanto sono per dirti eh avere inteso senza lo ritenere non fa scientia che se tu non ritieni quanto ti viene insegnato, non sarai mai in possesso di alcuna scienza. Due cose se convengono al essencia de questo sacrificio due cose sono essenziali al voto, prima detto vittima, ed or sacrifizio I una e quella di che si fa cioè la materia deI voto, come la verginità, povertà, o simili ecc. i altra e la convenenza l’altra è La convenzione, il patto stesso che si fa con Dio, ossia la forma; quest ultima giamai non si cancella questa convenzione, patto, o forma non si rimette se non sei’Digitized

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paradiso

vata se non aclempita, od osservata ci intorno di lei si preciso di sopra si favella e si disse di sopra che la forma era di essenza, e non poteva sciogliersi; pero necessikzto fu a li ebrei pur I offerir però fu comandato da Dio agli ebrei di offerire come nell’Esodo e nel Levitico ancor eh alcuna offerta se permutasse come per esempio Isacco in un ariete come sa- per dei essendo debito del vero cristiano conoscere 1’ una e l’altra legge. I altra che i ce aperta l’altra che tu conosci per matera del voto pote ben esser tale sotto (al condizione che non falla che non si commetta peccato se con altra materia se converta come in digiuni, in elemosine e simili ecc. Ma per cambiare lecitamente la materia è necessaria autorita di superiore è necessaria I’ autorità del superiore — che permetta cambiarla in cosa migliore dietro legittima causa-— per esempio, se chi promise sia vecchio, infermo ecc. se dalla mancanza del votante sia per nascere una pubblica sventura, ma alcun ma niuno, fatto il voto, non trasmuti carco a la sua spalla non muti, o cambi il voto sebbene gli sia gravoso per suo arbitrio senza la volta de la chiave bianca ci de la gialla ma privata persona non ardisca commutare il voto di suo proprio arbitrio, senza il permesso o la dispensazione del capo della Chiesa che ha la chiave d’oro, e quella d’argento, ossia il potere di sciogliere e di legare. Et credi tu ogni permutanza sciolta e credi bene ch’ è sciolto ogni cambiamento se la cosa dimessa in la sopresa come il quattro nel sei non ce ricotta se la cosa tralasciata non venga compensata dalla sostituita con materia di maggior merito, come il quattro compensato col sei: pero qualunche cosa tanto pesa per suo valor che Iragha ogni bilancia non se po sodisfar con altra spesa quando però la cosa da tralasciarsi sia ditale valore che non possa venire pienamente soDigitized

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canto
V. 97

pravanzato dal compenso da sostituirsi, la dispensazione non si accorda come il voto cli verginità dì cui niuna cosa è migliore. San Girolamo dice che le nozze empiono la terra, e la verginità riempie il Paradiso. Costanza si potrebbe scusare in qualche modo colla guerra civile del regno, e col ditterio Papa potest omnia. Abbiamo dalle Sacre Carte che il popolo d’ lsraello fu prima governato da quattro giudici, poi dai re. Uno di questi lair di Galaad ebbe trenta figli da mogli legittime, ed un solo figlio da una concubina, nomato lefte, scacciato dai fratelli perchè non era legittimo, o più veramente, perché lo temevano, essendosi esso fatto distinguere per valore, ed avendo assoldata la più feroce plebaglia. Morto il padre, i figli idolatri non potendo resistere ai nemici che li tormentavano con guerre continue, elessero lefte per capo e duce de’ loro eserciti. lefte prima di andare contro i nemici fece un voto a Dio, che tornando vittorioso, gli avrebbe sagrificato quanto avesse trovato sulla porta della propria casa. E tornò vincitore, debellate venti città soggetti alla stirpe di Arnon; ma gli venne incontro sulla porta di casa l’unica figlia sua. lefte, quantunque con alto dolore, mantenne il voto, nè la fanciulla ricusò di farsi vittima ed olocausto. Solo chiese per grazia di ritirarsi per due mesi in luoghi solitari a piangere la sua verginità, scorsi i quali, il padre la immolò, e lefte regnò ancora sei anni: non prendan i mortali i voli a ciancia non prendete a scherno, o mortali, un voto che abbiate fatto: siate fedeli et a cio far non bieci fatto un voto, osservatelo, e non siate loschi ed inconsiderati nel farlo come Iephte a la sua prima mancia alla sua prima figlia cui piu si convenia dicer mal feci cui, cioè a lefte stava meglio confessare il peccato comO messo nel fare il voto che servando far pegio che manleRAMBAI

DI Vo!. 3. 7 [p. 108 modifica]98

paradiso

nendolo, commetter peccato maggiore. Giuseppe storico dice che offrì un olocausto non grato a Dio, ma dovuto. Fu stolto nei fare il voto; fu crudele nel mantenerlo. Diii Cretese, che fece parte della guerra di Troia, racconta che Agamennone, presso Aulide, e dintorno al Lago di Diana aveva trafitta una capra sacra a quella Dea, e non molto dopo, o per ira celeste o per influsso dell’aria mal sana, si sviluppò tal peste fra l’esercito greco, alla quale non era rimedio alcuno. Ma un’indovina asserì, che l’unico rimedio a tanto male era il sacrifizio della figlia di Agamennone ad espiazione dei sacrilegio commesso contro Diana colI’ uccisione della capra in torno al lago a lei sacro. Si oppose Agamennone, ma durando la pestifera strage, gli altri duci tolsero al sacrilego il comando. Ulisse intanto, tessitore di frodi, andò a Mi- cene, con finte lettere di Agamennone, che affermavano Ifigenia essere sposa di Achille, e la madre volentieri condiscendeva alla finzione, perchè Achille era il primo nella fama, e così la sottraeva al pericolo. Ma nulla valse; non il pianto di Agemennone, non la menzogna di Ulisse, non 1’ autorità del vecchio Nestore, perché Ifigenia si risparmiasse. Mentre pertanto Ulisse, Menelao e Calcante ornavano di fiorì e di bende la vergine che doveva sagrificarsi, sorse una fiera tempesta, la più terribile che si fosse vista in quel luogo, e spaventati i sacrificatori stavano in forse di compiere il sagrifizio. Ed ecco si udì una voce dalla foresta che diceva — tal sorta di sagrifizi non piacere alla Dea; perciò doversi lasciar libera la vergine: Agamennone pagherebbe il fo per mezzo della moglie, Troia caduta: invece di una vergine venisse immolato quanto si trovasse nel bosco. Cessò allora in un subito la tempesta, ed apparve innanzi alla moltitudine stupefatta una

bianchissima cerva che venne immolata sull’altare stesso, sul [p. 109 modifica]

canto
V. 99

quale doveva esserlo Ifigenia. Achille e gli altri capi delI’ esercito la destinarono sposa ad un re scita, e consolarono I’ afflitto genitore, cui restituirono il comando bramato dall’ esercito, perchè in Agamennone vedevano un sapientissimo padre. E parrà che Dante passando al fatto d’ Ifigenia, vada fuori del seminato, imperocchè Agamennone non fece voto od immolò spontaneamente la figlia, anzi virilmente si oppose. Ma il Poeta aveva imparato da Tullio nel terzo degli Uffici, che Agamennone aveva votato a Diana quanto di più bello si fosse trovato in quel tempo nel regno suo, ed aveva immolata Ifigenia bellissima fra tutte. e ritrovar poi lo grand duca de greci cosi stolto e fu egualmente stolto Agamennone condottiero de’ popoli greci alla guerra di Troia, onde pianse Ifigenia il suo bel volto che sacrificò la propria figlia Ifigenia che aveva il più bel volto di ogni altra e fe pianger di se e i folli e i savi che udir parlar di cosi facto colto e 1iansero gli esaltati ed i savi quando udirono raccontare questo culto, od atto di venerazione agli Dei. Anche Virgilio narra che altro duce greco Iduineo nel ritorno da fiera tempesta, facesse voto d’ immolare la prima cosa che avrebbe incontrata, ed essendogli venuto incontro il figlio, nell’ atto che egli voleva sacrificarlo, i cretesi lo bandirono. Agamennone può riputarsi il più sventurato fra gli uomini! Egli re di tanti re aveva dovuto immolare la figlia, e sparso tanto sudore, correndo rischi inauditi per vendicare un adulterio, vittorioso dopo una lotta decenne, fu scannato da Egisto sacerdote, adultero della moglie, la quale permise che lo uccidesse nel proprio letto! Siate o cristiani a movervi più gravi siate più lenti e ponderati a pronunciare il voto non siate come penna ad ogni vento leggeri, mobili al soffio di ogni sventura el non crediqDigitized

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paradiso

te che ogni acqua vi lavi e non siate tanto facili a persuadervi clic a lavare tal mancanza basti ogni acqua di espiazione: havete il vecchio e il novo testamento avete 1’ una e l’altra Legge che vi comanda l’adempimento de’ voti et il pastordelki Chiesa il papa, il vescovo che vi guida che v’ istruiscono, questo vi basti a vostro salvamento questo bastar vi deve perché otteniate salute eterna, se mala cupidigia altro vi grida se nuova passione malvagia vi dice diversamente, come ad Agamennone il desiderio di vendicare un adulterio, a lefte la smania di vittoria siate homini e non pecore matte siate ragionevoli e non pecore che seguono 1’ istinto si che il Giudeo seguace dell’ antica legge tra voi di voi non rida tra voi cristiani non abbia argomento di ridere e disprezzarvi, sentendovi bestemmiar Cristo, non fate come agnel che lascia il lacte de la sua madre e così voi la dottrina della madre Chiesa ci semplice et lascivo seco medesimo a suo piacer combatte e gaio esultante, vivace va lascivendo flnchè cade in bocca del lupo, e voi del demonio. Il lupo trovò un agnello senza madre, e lo divorò pci motivo, diss’egli, che dovesse morire, non avendo il latte della madre. Così Beatrice a ne parlò come io scrivo in questo canto poi si rivote tutta disianie a quella parte ov e 1 mondo piu vivo poi tutta desiderio si volse a quella parte di cielo, la quale è centro di beatitudine, ove maggior virtù si contiene, come quella che più si accosta a Dio. lo suo tacere ci il irasmutar sembiante 11 di lei silenzio e cambiamento di volto poser silenzio al mio cupido ingegno che gia nove quistioni hiwea davanti imposero silenzio al mio ardente desiderio, che mi metteva già sulle labbra nuove ricerche; etsi come saetta che nel segno percuote e come il dardo coglie nel segno pria che sia la corda cheta prima che la corda dell’arco cessi di oscilDigitized

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canto
V. 101

tare cosi corremmo così di corsa entrammo nel secondo regno nel secondo cielo, nel cielo di Mercurio. Qui vid io la donna mia si Seta più lieta a misura che più saliva come nel lume di quel Ciel si mise che piu lucente se ne fe il pianeta quando entrò in quella sfera, che si rese per la maggiore letizia di Beatrice, essa pure maggiormente splendiente. che se la stella si cambio e rise e se Mercurio crebbe splendore qual mi fec io quale sarò addivenuto io che pur da mia natura trasmutabile son per tutte guise che per mia natura sono soggetto alle impressioni esterne dei sensi, il che non accade ai beati addivenuti sostanze purissime. Mercurio è di natura media, ed è propizio ai potenti: si dice Dio della eloquenza, che congiunta a sapienza è molto vantaggiosa, congiunta a malizia molto dannosa. come in peschiera ch e tranquilla e pura come in vasca d’ acqua pura e tranquilla tragonsi i pesci a cio che ven di fori corrono i pesci all’esca che si getta di fuori per modo ch dli extimi sua pastura credendolo loro pasto si vid io ben piu di mille splendori così vidi ben più di mille di quegli splendidi spiriti trarsi ver noi lieti accostarsi a noi et in ciascun sudia dire ecco chi crescera li nostri amori ecco Beatrice che accrescerà la carità che c’ infiamma. Quanto è maggiore il numero dei gaudenti la eterna gloria, tanto più cresce la carità; e Dante tornato al mondo crescerà br nome e fama: e si come ciascuno a noi venia ed a misura che ciascuno si avvicinava vedeasi 1 ombra piena di letitia nel folgor chiaro che di lei uscia 1’ ombra dava segno manifesto di sua allegrezza nel chiaro splendore che usciva da lei. Mercurio rende gli uomini attivi, sagaci ed eloquenti. L’ eloquenza è tal dote di cui niun’ altra, secondo Tullio, è migliore: fermare colla parola innumerevol gente,

allettare le menti ,determinare la volontà, dar salute, liberar [p. 112 modifica]102

paradiso

da’ pericoli, stanziare gli uomini nelle città, ecco gli effetti dell’ eloquenza. Pensa leclor se quel che qui s initia non procedesse quand’ anche quello che cominciai ad indicarti non proseguissi a descriverti, io credo come tu haresti angosciosa cariUa che tu proveresti la più angosciosa ardenza di più sapere eper te vedrai e conoscerai cia te stesso come io m era in disio di udire da questi come io desiderassi di udire da queste anime accorse al mio arrivo br conditioni del loro stato si come agli occhi mei mifurmanifestiappena le distinsi. o ben nato a cui gratia concede veder li troni del triumpho eternale nanzi che la rnilitia s abbandoni o uomo avventurosamente nato, a cui prima di compiere il mortale pellegrinaggio la divina grazia concede di vedere i troni della Chiesa trionfante, prima che la milizia si sciolga noi semo accesi del lume divino che per tutto l ciel si spatia che riempie tutti i cieli e pero se desiri di noi chiarirti aver notizie di noi a tuo piacer ti satia fa quanto brami: cosi da un di quelli spirti pii dcbo mi fu così mi disse uno di quegli spiriti e da Beatrice ed anche Beatrice aggiunse di di sicuramente e credi come a dii di’ pursufrancamente, e credi a quanto ti risponderanno come ad infallibili divinità. Ogni beato è Dio per partecipazione, e non può dire il falso. Io veggio ben si come tu I annidi nel proprio lume e che degli occhi I traggi perche corrusca si come t ridi io, Dante, veggo ben in qual modo, quasi in tuo nido, riposi nel lume divino, che è proprio della meritata tua gloria, e veggo che lo tramandi dagli occhi, dai quali risplende in quella misura cli cui tu gioisci ma non so chi tu sii o anima digna ma vorrei sapere, o anima degna di gloria, chi sei tu ne per che pqgi il grado della spera che se veDigitized

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canto
V. i 03

la ai mortali con gli altrui raggi e perché sei nella sfera di Mercurio che sempre correndo col sole si nasconde ne’ di lui raggi. La sapienza conducendo a virtù si figura nel sole, I’ ottimo de’ pianeti. La eloquenza è figurata in Mercurio, pianeta medio, perché la eloquenza può volgere a male ed a bene; al bene in bocca del giudice, al danno in bocca del ladro. Mercurio può dirsi compagno del sole, perché poco è lontano nel corso dal sole, e così figura la eloquenza quasi sempre compagna della sapienza. Giustiniano tiene nella destra il libro che figura la sapienza, e nella sinistra la spada che figura la eloquenza. Questo diss io diritto a la lumera all’anima beata che pria m havea parlato che mi aveva parlato per la prima ondella fessi lucente piu assai di quell era il perché si fece splendiente più assai che non era dapprima si come il sole che se cela clii stessi si cela agli occhi degli uomini colla propria luce per troppa luce c.)ll’eccesso del lume come I caldo a rose le temperanze de vapori stessi quando il caldo ha consunto i vapori che densi frapponevansi tra il sole e la terra; per piu letitia si mi si nascose la figura santa dentro del suo raggio così per gioia maggiore, essendo cresciuto lo splendore dell’anima beata, in esso si nascose ecosi chiusa chiuso mi ri.’pose e velatamente ed allegoricamente mi rispose nel

modo che I seguente canto canta come nel canto seguente. [p. 114 modifica]

canto
VI.

?ZSTO MODEaNO Poscia che Coslantin I’ aquila volse Contra il corso del del, che la seguio Dietro all’ antico, che Lavinia tolse, .3 Cento e cent’ anni e più i’ uccel di Dio Nello stremo d’ Europa si ritenne, Vicino a’ monti de’ quai prima uscio: 6 E sotto 1’ ombra delle sacre penne Governò il mondo lì di mano in mano, E, sì cangiando, in su la mia pervenne. 9 Cesare fui, e son Giustiniano, Che per voler del primo Amor ch’ io sento, D’ entro alle leggi trassi il troppo e il vano: E prima ch’ io all’ opra fossi attento, Una natura in Cristo esser, non piue, Credeva, e di tal fede era contento. Ma il benedetto Agabito, che fue Sommo Pastore, alla fede sincera Mi dirizzò con le parole sue. 18 Io gli credetti: e ciò, che suo dir era, Veggio ora chiaro, sì come tu vedi Ogni contraddizione e falsa e vera. 2t Tosto che con la Chiesa mossi i piedi, A Dio per grazia piacque di spirarmi

L’ alto lavoro, e tutto in lui mi diedi. 24 [p. 115 modifica]

E al mio Bellisar commendai l’armi,
     Cui la destra del del fu sì congiunta,
     Che segno fu ch’ io dovessi posarmi. ‘27
Or qui alla quistion prima s’ appunta
     La mia risposta; ma sua condizione
     Mi stringe a seguitare alcuna giunta;
Perché tu veggi con quanta ragione
     Si muove contra il sacrosanto segno
     E chi il s’ appropria, e chi a lui s’ oppone.
Vedi quanta virtù I’ ha fatto degno
     Di reverenza, e cominciò dall’ ora
     Che Pallante morì per dargli regno. 36
Tu sai ch’ esso fe’ in Alba sua dimora
     Per trecento anni ed oltre, infimo al fine
     Che i tre a tre pugnar per lui ancora. 39
Sai quel che fe’ dal mal delle Sabine
     Al dolor di Lucrezia in sette regi,
     Vincendo intorno le genti vicine. 42
Sai quel che fe’ portato dagli egregi
     Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,
     Incontro agli altri principi e collegi: 45
Onde Torquato, e Quinzio, che dal cirro
     Negletto fu nomato, e Dcci e Fabi,
     Ebber la fama che volontier mirro. 48
Esso atterrò 1’ orgoglio degli Arabi,
     Che di retro ad Annibale passaro
     L’ alpestre rocce, Po, di che tu labi.
Sott’esso giovanetti trionfaro
     Scipione e Pompeo, e a quel colle,
     Sotto il qua! tu nascesti, parve amaro.
Poi, presso al tempo che tutto il del volle

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paradiso

Ridur lo mondo a suo modo sereno ,- Cesare per voler di Roma il tolie: E quel che fe’ da Varo insino al Reno, Isara vide, ed Era, e vide Senna, Ed ogni valle onde Rodano è pieno. 60 Quel che fe’ poi ch’ egli Lisci di Ravenna, E saltò il Rubicon, fu di tal volo Che nol seguiteria lingua, nè penna. 63 In ver la Spagna rivolse lo stuolo, Poi ver Durazzo; e Farsaglia percosse Sì, che al Nil caldo si sentì del duolo. 66 Antandro e Simoenta, onde si mosse, Rivide; e là dov’ Ettore si cuba, E mal per Tolommeo poi si riscosse: 69 Da onde venne folgorando a Giuba; Poi si rivolse nel vostro occidente, Dove sentia la Pompeiana tuba. 72 Di quel che fe’ col baiulo seguente, Bruto con Cassio nello inferno latra, E Modena e Perugia fu dolente. 75 Piangene ancor la trista Cleopatra, Che, fuggendogli innanzi, dal colubro La morte prese subitana e atra. 78 Con costui corse insino al lito rubro; Con costui pose il mondo in tanta pace, Che fu serrato a Giano il suo delubro. 81 Ma ciò che il segno, che parlar mi face, Fatto avea prima, e poi era fatturo Per lo regno mortal che a lui soggiace, 8 Diventa in apparenza poco e scuro,

Se in mano al terzo Cesare si mira [p. 117 modifica]

canto
VI. 107

Con occhio chiaro e con affetto puro; 87 Che la viva giustizia che mi spira, Gli concedette, in mano a quel ch’ io dico, Gloria di far vendetta alla sua ira. 90 Or qui 1’ ammira in ciò ch’ io ti replico: Poscia con Tito a far vendetta corse Della vendetta del peccato antico. 93 E quando il dente Longobardo morse La santa Chiesa, sotto alle sue ali Carlo Magno vincendo la soccorse. 96 Ornai puoi giudicar di que’ cotali Ch’ io accusai di sopra, e dei br falli, Che son cagion di tutti i vostri mali. 99 L’ uno al pubblico segno i gigli gialli Oppone, e I’ altro appropria quello a parte, Sì ch’è forte a veder qual più si falli. 10 Faccian gli Ghibellin, faccian br arte Sotto altro segno; chè mal segue quello Sempre chi la giustizia e lui diparte: 105 E non 1’ abbatta esto Carlo novello Co’ Guelfi suoi, ma tema degli artigli Che a più alto leon trasser lo vello. 108 Molte fiate già piansero i figli Per la colpa del padre; e non si creda, Che Dio trasmuti 1’ armi per suoi gigli. 111 Questa picciola stella si correda Dei buoni spirti che son stati attivi, Perché onore e fama gli succeda: 114 E quando li desiri poggian quivi Sì disviando, pur convien che i raggi

Del vero amore in su poggil) men vivi, I 17 [p. 118 modifica]108

paradiso

Ma nel commensurar de’ nostri gaggi Col merLo, è parte di nostra letizia, Perché flOfl li vedem minor nè maggi. 120 Quinci addolcisce la viva giustizia In noi 1’ affetto sì, che non si puote Torcer giammai ad alcuna nequizia. 123 Diverse voci fanno dolci note: Così diversi scanni in nosira vita Renclon dolce armonia tra queste ruote. 126 E dentro alla presente margherita Luce la luce di Romeo, di cui Fu 1’ opra grande e bella mal gradita. 129 Ma i Provenzali che fer contra lui, Non hanno riso, e però mal cammina Qual si fa danno del ben far d’ altrui. 132 Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina, Ramondo Berlinghieri, e ciò gli fece Romeo persona umile e peregrina; l3 E poi il mosser le parole biece A dimandar ragione a questo giusto, Che gli assegnò sette e cinque per diece. 138 Indi partissi povero e vetusto: E se il mondo sapesse il cuor ch’ egli ebbe, Mendicando sua vita a frusto a frusto, Assai lo loda, e più lo loderebbe. 142 COMMENTO DI BENVENUTO In tre parti si divide il sesto canto. — Nella prima, Giustiniano brevemente tocca il suo impero e le proprie opere. Nella seconda, celebra le glorie dell’impero romano. Nella

terza, si mostra un’ anima moderna. [p. 119 modifica]

canto
vi. 109

Duecento e più anni l’impero romano era già stato in Grecia dopo la traslazione di Costantino quando venne nelle mani di Giustiniano i ucei di Dio l’aquila insegna de’duci romani; presso gli antichi, 1’ uccello di Giove era segno di vittoria. Gioseffo storico dice che si prese ad insegna de’ romani, perché ha impero, come essi, sugli altri se retenne stette nell extremo d Europa in Costantinopoli cento e cent anni e piu oltre duecent’ anni. In Roma oltre i trecento, più presso i greci; presso i galli un secolo, e presso gli alemanni anche più vicino ai monti della Frigia di qua! prima uscio Enea da Troia venne in Italia, quantunque l’uccello fosse stato in Creta presso di Giove, e può ritenersi anche vicino ai monti di Creta or detti 8eucii, poscia che Costantin laquila volse trasportò 1’ impero in Grecia contro il corso del cielo dall’ Oriente in Occidente rispetto ad Enea che venne in Italia, e da Occidente in Oriente rispetto a Costantino che la portò nella Grecia. Ovvero come I’ aquila portata da Enea ottenne il favore del ciclo e sempre prosperò, del pari portata da Costantino sempre declinò che la seguio dietro a i antico che Lavinia tolse il qual cielo accompagnò col suo corso la detta insegna romana, quando 1’ antico Enea che sposò Lavinia, la trasferì dall’ Oriente in Occidente, ossia da Troia in Italia. La monarchia romana veramente nacque da Cesare, ed ingrandì sotto Augusto: fu riparata sotto Traiano, giustificata sotto Costantino; ordinata sotto Giustiniano, sostenuta sotto Teodosio, ed aiutata sotto di Carlo, e sotto i ombra delle sacre penne governo il mondo li di mano in mano sotto molti principi e si cangiando e così passando da uno ad altro in su la mia pervenne arrivò nella mia mano. — Giustiniano, tiglio della sorella di Giustino successe-all’ impero l’anno !38 dopo la venuta di Cristo: regnò trentotto anni. Appena assunto alDigitized

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I’ impero si diede a tuti’ uomo a riparare ai guasti della pubblica cosa; affidata la cura della guerra a Belisario, esso, adunati i sapienti e più specchiati giureconsulti ordinò le leggi tanto numerose e sparse, che non sarebbe bastata la più lunga vita d’uomo soltanto per leggerle, e le cornpendìò riducendole a pochi volumi. Cesare fui e son Iustiniano fui imperatore nomato Giustiniano che dentro le kggi trassi il troppo e i vano che compendiai le leggi, risecandone il soverchio, e le inutili parole per voler del primo amor eh io sento per grazia dello Spirito Santo, i cui favorì sento in questa sfera. Teodato re dei goti allora reggente il romano impero, a- vendo saputo che Giustiniano era con lui sdegnato, pregò il papa Agapito, che si portasse da Giustiniano a mediatore di pace, e quel santo nelle varie conferenze potè scoprire che Giustiniano era persuaso che Nostro Signor Gesi Cristo fosse figlio d’ uomo, e procreato da uomo. La contesa fu lunga ed acerba tanto, che un giorno minacciato il pontefice, arditamente rispose credetti esser venuto ad imperatore cristiano, e trovo invece Diocleziano. Si frenò Giustiniano a tale risposta, e meglio pensando, finalmente dietro consiglio di molti altri distinti personaggi, rinnegando il primo errore, fece la vera professione di fede. Tosto dopo sant’Agapito rese l’anima a Dio, e fu eletto papa Vigilio, che era stato chierico di Eleutra moglie del principe e pria eh a I opra fossi attento prima di dar mano alla compilazione delle leggi ered ea una natura una sola natura umana non piu e non la divina essere in Cristo essere stata in Gesù Cristo e di tal fede era contento e vi- “eva in tale errore, che si nomò Eutichiano, e contro di cui tanto scrisse Boezio; ma i benedetto Agabito romano papa che fu sommo pastore a la fede sincera pontefice nella vera fede

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di Cristo mi drizzo con le parole sancte mi convertì alla vera credenza con sante parole: io li credetti e veggio hora chiaro che va sua fede era io mi persuasi, e (rovo ora in fatto vera la sua credenza 8i come tu vedi ogni contradditione e falsa e vera come tu per tua scienza conosci ora dopo tante confutazioni la parte vera e la falsa. Belisario, cui Giustiniano affidò la guerra, operò tre gloriose imprese maggiori delle altre. —Nell’Asia contro i persiani — nell’ Africa contra i vandali — in Europa contro de’ goti. I primi, violando i confini, devastavano molte provincie dell’impero romano, ma Belisario interamente li distrusse, ed entrò in Costantinopoli trionfando. Contro i vandali, dopo varie sempre felici pugne, attaccò una decisiva battaglia, in cui la strage de’ nemici fu immensa, prese e rese schiave molte migliaia d’uomini col loro re Gallimaro, che mandò fra catene all’imperatore in Costantinopoli. Cartagine novantasei anni dopo che era stata occupata dai vandali e dal re Genserico, cadde in dominio dell’ imperatore romano. Dopo del che Belisario volgevasi a liberare la Italia dalla oppressione de’goti, ma nel mentre stavasi in Sicilia morì Teodato, e gli successe Vitige, che si chiuse in Ravenna. Dalla Sicilia Behsano passò a Napoli, che prese a forza, usando nella città di molte barbarie; passò indi, ed entrò in Roma quasi senza contrasto, perché i goti scapparono da una porta, mentre esso entrava per l’altra. Ma Vitige con immenso esercito venne ad assediano, devastando tutti i dintorni di Roma; e dopo un anno d’ inutile assedio tornò a chiudersi in Ravenna. Allora Belisario assediato divenne assediante, e portatosi con grande esercito a Ravenna, trovò preparato il nemico ad una decisiva battaglia. Fiera, e sanguinosa durò alcun poco incerta, ma

in ultimo quei di Vitige si misero in fuga, ed allora la strage [p. 122 modifica]I I2

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loro fu immensa. Vitige incatenato fu condotto da Belisario in Costantinopoli, tosto che con la chiesa mossi i piedi appena mi corressi dal mio errore nella fede cristiana a Dio per grazia piacque di spirarmi I alto lavoro Iddio m’ ispirò la riforma delle leggi e tutto in lui mi diedi e mi occupai intemmente della riforma et comendai I arme al mio Bellisario ed affidai la guerra al mio Belisario cui la dextra del cielo fu si benigna che segno fu cli io dovessi posarmi cui la mano di Dio tanto soccorse, che mi fu avviso dovermi io riposare dai travagli della milizia, e badare alla riforma. — Belisario ebbe ventisette campali vittoriose battaglie. In Roma, ed a san Pietro, fece l’offerta per mano del papa Vigilio di una croce d’oro di cento libbre, con molte gemme innestate. In detta croce erano scolpite le proprie vittorie. Or qui la mia responsa punta a la quilion prima ora ti risponderò a ciò che primamente mi dimandasti ma sua condietione ma la condizione dell’ aquila mi stringe a seguitar alcuna giunta mi obbliga ad aggiungere altra cosa perche tu veggi con quanta ragion perché tu conosca se siavi ragione si mova contro il sacrosanto segno di agire contro il segno della dignità imperiale et chi il s appropria e di prenderla a segno di fazione e chi a lui s appone e coloro che vi fan contro — i primi i Ghibellini, gli altri i Guelfi. Dante mira con tutto questo a concludere che l’impero romano ebbe da Dio il regime del mondo, il perché Giuseppe Storico — senza Dio sarebbe impossibile che tale impero sussistesse. — Il mondo, secondo Platone, è un grand’animale, e l’animale di molte teste è un mostro che non può durare la vita; così pci bene del mondo fu necessario dargli un solo capo, un solo monarca, e tale fu il principe romano. — Plinio aggiunge, che tal

principe fece il mondo buono, ed insegnò di vivere agli uomini. [p. 123 modifica]

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Richiamiamo ora alla memoria, che Enea venendo in Italia, ottenne Lavinia in consorte ad onta che Turno re de Rutuli ardentemente 1’ amasse e la pretendesse per moglie. Enea ebbe fra gli altri aiuto da Palante, gigante di forme, figlio di Eva ndro re del monte Palatino, la cui madre Carmenta inventò le lettere latine. Palante fu ucciso da Turno, e Turno da Enea, che poi tenne il regno de’ latini. Morto Enea, il figlio Ascanio, lasciato il regno alla matrigna, fabhricò Alba, in cui regnarono dodici re albani fino a Romolo. vedi quanta virtu I ha facio degno di revereniÉa. Ora conoscerai se quell’aquila ebbe titoli alla venerazione e comincio la sua narrazione (lati ora che Paiante mori per darli i reqno dalla morte di Palante,che fu cagione ch’ Enea uccidesse Turno, ed occupasse il regno latino. Th sai che fece in Alba sua dimora per trecent anni ed oltre tu sai che quell’ insegna o vessillo dell’ aquila dimorò più di trecento anni in Alba, onde Virgilio nell’ Eneide qui ire- ceni anni regneremo interi dal tempo della venuta di Enea, o dalla morte di Palante, di Camilla, di Niso ed Eurialo. Tutto Ostilio terzo re de’ romani mosse guerra ad Alba, in cui per tanti secoli era stato il regno de’ latini. La guerra si terminò con poco sangue, imperocchè consentirono i combattenti che tre da una parte e tre dall’altra pugnassero, e I’ ultimo che sopravivesse, avesse la vittoria ed il regno. Vennero a contrasto per Roma tre Orazi — per Alba tre Curiazi, e nel primo scontro tutti tre i Curiazi restarono feriti, ma due romani caddero morti. Il terzo Orazio rimasto illeso con gran- d’arte uccise i tre nemici, perché correndo a guisa di chi fugge, fu inseguito tosto da quello de’Curiazi, eh’ era men ferito, del quale si sbrigò, e così prima che giungesse il secondo, era vittorioso del più robusto; vinse più facilmente il secondo, uc—

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CiSC senza contrasto il terzo. Tutto poi fece squartare a coda di cavallo Mezio, duce degli albani in molti incontri traditore: demolì Alba, e tutto che v’era di prezioso traspor16 a Roma. Così la madre di Roma si ridusse nel ventre della figlia: così di forze e d’uomini crebbe Roma infino al fine che i tre e i tre pugnar per lui ancora flnchè tre Orazi pugnarono coi Ire Curiazi per l’aquila romana. Romolo, fondala Roma, difettava di donne, senza delle quali non potevasi perpetuare la sorgente popolazione, e chiese ai vicini di stringere matrimoni, che gli furono negati. Egli allora finse uno spettacolo grandioso per oggetto diverso, ed al quale accorsero le popolazioni vicine, e nel più bello di esso i romani rapirono tutte le donne sabine, pel cui ratto sorse fiera guerra. Ma perchò il sangue, che si spargeva, era a vicenda di generi e suoceri, le rapite sabine precipitandosi fra gli armati, ora i mariti, ora i genitori supplicando e gridando che in esse piuttosto, cagione di tanti mali, volgesser le armi, arrivarono a metter pace fra quell’ ire, e gettate le armi, ed abbracciati insieme convennero di due fare un popolo solo, e che Tazio sabino fosse nel regno a Romolo compagno. Mentre Tarquinio superbo assediava una città vicina a Roma, i di lui figli insieme a Coltatino tenevano in un convito discorso delle mogli rispettive, e ciascuno loda,ido la propria, Collatino metteva la sua alle stelle. Ed in prova, montati a cavallo, celermente corsero a Roma, e trovarono le nuore del re tra sollazzi e giullerie, mentre Lucrezia di Collatino sorpresero fra le ancelle al lavoro. Ebbe vittoria della contesa Collatino. Ma Sesto, figlio minore di Tarquinio, partì da lei feritod’amore tanto ardente quanto era gran- (le la bellezza e l’onestà di Lucrezia, e non reggendo alla smania che lo agitava, dopo pochi giorni, con un solo servo [p. 125 modifica]CiNTO VI. tornò a Collazia, dove fu gentilmente accolto, e come si conveniva a figlio di re. Ma la notte, mentre tutti eran sepolti nel sonno, entrò di soppiatto nella camera di Lucrezia, che dormiva tranquillamente sul maritale letto, ed impugnato un ferro che le drizzò al cuore, la destò, e la richiese di colpevole corrispondenza; e non potendo appagare di primo momento le brutte sue voglie, minacciava sempre più della morte, e che le avrebbe messo accanto un servo sgozzato in prova cli’ entrambi fossero stati colti in adulterio. Cedette la misera, e Sesto ottenne quanto bramava. Ma appena Sesto usciva, ella mandò nunzi al padre e marito , e loro sponendo 1’ insulto sofferto, disse che il corpo si, ma non l’animo le si era macchiato: però non voleva scansare la pena, e rapidamente si mise, di mano propria, un pugnale nel cuore e spirò. Bruto traendo il pugnale dal petto dell’ estinta, e mostrandolo al popolo ancora grondante di sangue, lo eccitò non al pianto, ma invece alla più alta vendetta. Collatino vedovatodi tanta donna, al popolo perorando, ottenne il decreto che Tarquinio, e figli si avessero per decaduti dal regno ed espulsi da Roma. Tarquinio avvertito volò, lasciato l’esercito, a Roma, ma trovò chiuse le porte, e Bruto correndo per una strada diversa agli accampamenti, volse 1’ esercito stesso verso Roma liberata da tanta iniqua servitù, e sai che fe dal mal de le Sabtne dal ratto delle sabine. Sant’ Agostino condanna il ratto che sembra scusabile colla necessità, giacché le Sabine non furono rapite per lussuria, ma per desiderio di legittima unione matrimoniale al dolor di Lucretia? lo stesso sant’ Agostino all’ incontro loda Lucrezia per onestà, e la fa colpevole del suicidio, giacché punì io sè stessa il delitto di un altro del quale era totalmente innocente. Come romana volle, colDigitized

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l’uccidersi, dare al mondo quella testimonianza di sua innocenza, che non poteva dare diversamente. In sette regi ne’ primi sette re di Roma: Dante compendia i primordi di Roma. Essa ebbe re di lei fondatori. Niuno più ardito di Romolo, sotto del quale il popolo imparò l’arte di guerra. Numa, dato alle cose sacre, rese il popolo religioso, temprando il fervor delle armi. Tullo Ostilio insegnò la militare disciplina, e provvide alla sicurezza del regno. Anco cinse la città di mura, togliendola ai guasti continui delle incursioni de’vicini. Tarquinio Prisco crebbe la città con fabbriche e tempii. Servio inventò il censo, perchè 1’ impero conoscesse le proprie ricchezze, e per mettere a peso pubblico le milizie. Tarquinio Superbo colla sua tirannide operò che il popolo scuotesse il giogo, ed otienesse un sommo bene, la libertà. Così Roma sotto Romolo fu guerriera — sotto Numa, religiosa — sotto Tullo, armata — sotto Anco, sicura — sotto Prisco, ornata— sotto Servio. premiata — sotto Tarquinio Superbo, liberata — I re ebbero regno per 243 anni vincendo intorno te genti vicine che furono molte, e specialmente i veientani, la città de’quali un giorno fu la pili florida, sui confini della Toscana, e che p0- scia Camillo prese, dopo per altro dieci anni di assedio. Ora Giustiniano compendia il tempo di Roma sotto de’ consoli per lo spazio di quattrocento anni, dopo acquistata la libertà, I galli sennoni, al dir di Livio, popoli feroci guidati da Brenno, entrati in Italia occuparono le regioni fra l’Alpi ed il Po, e passato l’Apennino, tentavano prender Chiusi. Credendosi offesi dagli ambasciatori romani volsero il loro furore a Roma stessa, e dopo avere combattuto e disperso l’esercito romano e fatto impeto presso di Albia si scagliarono

sopra Roma ch’era senza difese, e vi misero tutto a ferro [p. 127 modifica]

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e fuoco. In tale estremo più splendette la virtù de’ romani, iinperoccbé i primari cittadini vestiti delle insegne di loro rappresentanze si fecero scannare ne’stalli senatorii anziché abbandonarli. Ma i giovani arditi, benché di numero minore, per sei interi mesi sostennero la difesa della rocca del Campidoglio, e conoscendo che i barbari cominciavano a patire per fame, promisero loro mille libre d’oro. purché si allontanassero, e liberassero la rocca dall’ assedio. I galli accettarono, ma nelle promesse, e nella misura dell’oro, pretendendone assai di più, contendevano. Nel mentre però che si quisuonava sul peso, Camillo quantunque assente, creato dittalore, coi romani dispersi ed a sè raccolti, e coll’aiuto di amici piombò all’ impensata sui galli, e tutti trucidandoli, smorzò la polvere, da essi per tanto tempo calpestata, col loro sangue. Pirro della schiatta di Achille, cugino di Alessandro Magno re di Epiro, che si divide dalla Calabria per uno stretto di mare, fu chiamato in aiuto dai tarentini contro i romani. Egli operò in Italia grandi guerre, spesso vincitore, mostrando pci primo l’uso degli elefanti nelle battaglie. Tutte devastò le lerre della Campania fino a Preneste. In ultimo fu vinto da Fabrizio e da Curio consoli, che di lui menarono superbo trionfo. E fu in quella guerra che l’animo e la grandezza romana si conobbero maggiormente, perché Pirro non solo non potè vincere Fabrizio coIl’ oro, ma neppure il più ‘stile della plebe con doni. Durò la guerra di Pirro quattro anni. Egli abbandonando 1’ Italia passò in Grecia guerreggia odo in Tessaglia e Macedonia. Mentre tentava di espugnare Argo fu colpito da un sasso scagliato da una donna, e morì esempio di quanto poco 1’ uomo possa fidarsi delle prosperità. e sai quel che fe quell’aquila portata da li egregi romani in contra [p. 128 modifica]118 PAR’1DISO Brenno di lirenno fa molte lodi Policrate, e sostiene che fu britannico incontra Pirro questi innalza alle stelle Giustino come abilissimo nel condurre gli eserciti, nell’ordinare le battaglie, nella scelta de’campi, nei cattivarsi l’amore e, la stima de’ soldati in contra gli altri principi e collegi contro agli altri principi e collegati. Nella guerra coi sanniti l’aquila romana fu aiutata dai due Papiri. La guerra coi sanniti fu lunga e crudele: durò cinquant’ anni ,ed i sanniti sette volte ruppero i patti, e Roma trionfò ventiquattro volte di essi. Ora Giustiniano accenna alcune famiglie che sotto il vessillo dell’aquila romana e ne’detti periodi acquistarono alto nome. La casa de’Manlii fu nobile e potente. Marco Manlio liberò il Campidoglio dai galli ch’ erano per prenderlo in tempo di notte, e fu poi precipitato dalla rupe del Campidoglio, perchè mostrò la smania di farsi re. Tito Ma nilo, crudamente oppresso dal padre in opere servili, liberò il padre stesso da una fiera accusa di un tribuno: lo stesso vinse uti immane gallo sennone, che lo provocò a singolare conflitto. Uccisolo gli tolse la collana, della quale si ornò, e per la quale fu soprannomato Torquato, come in seguito lo furono tutti di sua schiatta. Ma egli che fu tanto pietoso inverso del padre, ebbe dai padre il più fiero cambio. Nella guerra latina il tiglio aveva combattuto con una scure contro di altro latino che lo aveva provocato, e l’uccise; ma il padre colla stessa scure vincitrice percosse il figlio che aveva pugnato senza permesso del console. Nella stessa guerra il console Decio, votandosi alla salute dell’ esercito, si precipitò senz’ armi in mezzo de’ nemici, e fu trucidato; ma l’esercito vinse e tornò a Rotua triopfando. Quinzio Cincinnato ridotto a povertà per ingiusta condanna che pagò a stento coll’aiutodel figlio,lavorava un picDigitized

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colo campo al di là del Tevere, quando fu chiamato a Roma, ed eletto a dittatore, perchè liberasse il console Minucio, che era assediato nel proprio campo da più numerosi e fieri neinici. Andò; raccolse quanti armati potè, e recatosi al campo, di conserva col console assediato, tanto operò che i nemici si diedero a discrezione. Egli impose loro di portar sempre un segno di schiavitù: divise la ricca preda ai suoi soli soldati, e tosto spogliandosi della dittatura durata sedici giorni, tornò lieto e trionfante alle sue brighe rusticane. - — Due furono i Deci che si votarono a morte per la vittoria degli eserciti: Decio padre collega di Torquato nella guerra lalina, o Decio figlio nella guerra etrusca, quando era chiuso in una valle.— La famiglia de’Fabii, come famosa, fu anche numerosissima. Trecento e sei Fabii tutti patrizi, di assicurata virtù, addimandarono al senato il permesso di far la guerra a Veio a proprie spese; corsero sopra la detta città tutto devastando con immenso danno de’nemici. Ma imbaldanziti dai primi successi, non usando precauzione, furono proditoriamente circondati, e tutti fino all’ ultimo trucidati: onde Torquato e pare che contemplar voglia quel Torquato, che diede il soiranrìome al casato e Quintio Cincin nato così surnomato dalla capellatura che incolta gli cadeva sugli occhi che fu nomato dal cirro neglecto — cirro, massa di capelli aggruppati e i Decipadre e figlio. Tullio ne indica un terzo, che chiama Decio nipote che si votò nella guerra contro Pirro et i Fabii fu di tale chiarissima stirpe quel Fabio Massimo, che nella guerra di Annibale, ritardando, salvò Roma e fu quindi nomato — Cunctator — tutti questi hebber la fama che volentier miro che volentieri celebro, mando all’immortalità. La mirra è

gomma aromatica, colla quale una volta coprivansi le salme [p. 130 modifica]120

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dei re, perché si preservassero da putrefazione. — Qui allegoricamente la mirra si usa perchèi loro nomi si preservino dall’ oblio. Guerra punica esso vessillo aterro conculc&, oppresse I orgoio de li arabi i’ orgoglio africano o degli arabi che passaron I alpestre roccie che passaron le Alpi, quali dividono l’italia dalla Francia detro ad Annibale. Annibale superò le Alpi con molti stenti, perché tormentato dalle genti montane, vi perdette molto esercito, e specialmente gran numero di elefanti. Si dice che prima infuocasse, poscia bagnasse un monte di sasso con aceto, e lo perforasse per aprirsi più facile strada. Livio è il primo lodatore di Annibale, cui sembra maraviglioso, che si trattenesse sedici anni in Italia seguito da gente barbara, diversa di lingua e costume, di vita dissimile, e giammai tal gente non congiurasse contro di lui, come accadde a Cesare ed a Scipione. Siccome poi il regio flumePo nasce dalle Alpi predette, Dante per incidenza tocca la di lui origine così dicendo Po di che tu labi fiume Po, che discendi da quelle Alpi — Dante nient’ altro dice della guerra punica, che durò ventiquattro anni, e nel qual tempo si rese celebre Marco Regolo. Trionfi di due romani, 1’ uno che non ebbe pari in virtù, I’ altro in potenza. Scipione trionfò di Annibale e di Cartagine, e di lui si parlerà estesamente in appresso. Pompeo ,giunto agli anni dieciotto, ottenne dal padre un piccolo esercito, e con esso andò a combattere sotto di Silla, operando diverse guerre in Italia, in Sicilia, in Africa, in Ispagna, e liberando il mare dai pirati che lo infestavano. Esso menò tre maravigliosi trionfi, il primo dell’ Africa liberata dai pirati, vinto Domizio loro capo, e tenta redi Numidia protettore di Mario.

Allora per la prima, volta fu detto Magno. Il secondo trionfo [p. 131 modifica]

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che condusse fu contro de’ pirati di Sicilia che con mille e più navi infestavano tutti i mari, e nel porto d’ Ostia fecero prigione un intero esercito insieme coi suo console romano. Pompeo in compagnia di Catone, Varrone ed altri occupò Lutti gli sbocchi di mare e con icredibile celerità sconfisse quegli innumerevoli pirati, e senza altro sangue in quaranta giorni rese sicuri e tranquilli i mari da prima infestati. Si servì dei vinti pirati per costruire in Lombardia la città di Lodi. Menò il terzo trionfo di Mitridate, Tigrane e di molte altre nazioni di oriente e settentrione. Mitridate re di Pont.o aveva sostenuto per quarant’anni fiera guerra contro de’ romani, che in un giorno solo fece trucidare in più di settanta mila. Aveva egli prese nell’ Asia molte città; qualche rara volta vinto da Lucuilo e da Silla, ma finalmente disfatto da Pompeo, nell’estrema disperazione, prima tentò col veleno, poi colla spada si uccise. Pompeo riferì al senato di avere soggiogati ventidue regni nell’oriente. Niuno prima di lui aveva operate così gravi battaglie, divise tante provincie, estesi tanLoiconfini dell’impero. Fissò l’Asia perultima provincia, che nomò Media. soti esso vessillo dell’aquila triumpharo Scipione maggiore e Pompeo giovinetti Scipione aveva appena trent’ansii quando trionfò dell’Africa. Due volte imperatore senz’esser soldato, due volte cavaliere in luogo di console, e solo sostenne il terzo consolato. Tullio conviene che Pompeo avesse le quattro essenziali qualità di un imperatore — scienza dell’ arte militare — virtù — autorità — fortuna. Ma in ultimo fu sventurata- mente vinto, e miseramente fuggendo, infelicissimamente morì, egli che primo fra i romani, presa Gerusalemme, lasciò intatto il tesoro del tempio — Giustiniano per incidenza fa menzione di Fiesole, perché secondo Sallustio, Catilina scacciato da Roma per la scoperta congiura d’invadere la repubblica e truDigitized

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cidare il senato, erasi rifugiato in detta città, e tornando per le terre di Pistoia cadde co’suoi miseramente combattendo, e fu in quel tempo e per ciò distrutta la città di Fiesole e parve amaro a quel colle al.monte di Fiesole in vetta al quale era delta città sotto il qual tu nascesti tu, o Dante, nascesti, cioè in Fiorenza ch’è distante solo tre miglia, e sotto quel colle. lmperat)ri romani. poi Cesare ci tolle quel vessillo per voler di Roma per volontà del senato e del popolo romano, se non fu per gelosia di Pompeo e di Crasso, perchè gli concesse la Gallia Cisalpina,temendo che il popolo si desse tutto a lui presso al tempo di Augusto, ovvero poco prima di Ottaviano che tutto il ciel volle favorito da tutti gi’ influssi del cielo ridur lo mondo a suo modo sereno perchè potesse ridurre il mondo quieto e tranquillo a modo del cielo. E con ciò sembra indicare un solo monarca, come nel cielo è un solo reggitore. Cesare nelle Gallie ebbe prima contrasto cogli elvezi, i quali determinati ad una emigrazione, bruciato e distrutto quanto possedevano, si preparavano ad invadere gli altrui confini. Cesare passò il Rodano, e quantunque trovasse nemici furenti, e disperati, pure li sconfisse, ed astrinse a ripararsi nelle terre abbandonate. Dopo tale vittoria, accusato Ariovisto re de’ germani di oppressione sui sequani, lo chiamò a dar conto del suo operato, cui Ariovisto superbamente rispose: — E chi è questo Cesare ? — Allora corse coll’ esercito fra gli oppressi sequani ed-avuto un terribile scontro con quel superbo germano, lo debellò, e costrinse a passare il Reno in piccola barchetta avvilito escornato. Così glorioso per due grandi vittorie riportate in Una sola state, tornò nella Gallia Cisalpina, e passando per la GaiDigitized

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ha Transalpina, ebbe terribile scontro coi nervii, gente feroce e dura, i quali tanto spaventosamente combattevano, che un aiuto di cavalli di treviri venuto a Cesare si mise in fuga al solo vederli senza contrasto. Ma Cesare tolto lo scudo ad un soldato, corse nella prima fila, e tal atto del duce fece vergognare i timidi e fuggenti, e reintegrò la battaglia, e riuscì vincitore. In Roma eransi fatte pubbliche preghiere a- gli Dei pel corso di quindici giorni. Liberato dai nervii, e costrutto un ponte sul Reno passò in Germania, dove, trattenutosi dieciotto giorni, retrocesse nella Gallia, ed ivi allestita una flotta navale, nel terzo anno della guerra gallica, passò a combattere i britanni, che avevano ai galli prestato soccorso. Nel tragitto fu colto da tale tempesta, che si temette volesse il mare casligare 1’ audacia romana non contenta de’propri confini se non li estendeva all’ intero mondo. Anche in tale incontro le preci agli Dei furono di trenta giorni, locchè mai non fu in uso. Ma tornato nelle Gallie, scorsa 1’ llliria or Schiavonia, di nuovo tentò il passaggio contro i britanni, e nuovamente fu colto da tempesta anche maggiore dell’altra, ma non pertanto vinse Cassivellano, eletto quasi re presso Londra allora nomata — Trinobanto —, e gli fu ceduta la stessa città con altre cinque, che non volle ritenere, contento di aver fatta pace col vinto, e di aver posto tributo alla Brettagna. Nel ritorno alle Gallie ebbe tranquillo il mare, che sembrava congratularsi con lui della riportata vittoria. Nel quinto anno ebbe quasi tutte le Gallie ribelli, ma le sedò per mezzo di Labieno suo legato, mentr’ egli corse in Germania contro degli svevi, costrutto un nuovo ponte sul Reno; e tornando per l’I- (alla, nuovi torbidi sorsero nelle Gallie. Vercingetorige, di corpo gigante, possente per coraggio ed armi, di terribile

fama, aveva raccolto immenso esercilo da Parigi, dai Sennoni, [p. 134 modifica]i2

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pitoni, turoni, lemosini, riturgesi, ruteni, ed altri, e preparavasi di scacciare Cesare dalle Gallie; ma esso dall’ Italia comparve all’improvviso contro del gigante, e vincendolo in tutti gli scontri, finalmente lo vide gittarglisi alle ginocchia, e deposte le armi, darsi per vinto gridando — Cesare tù valorosamente e da eroe vincesti un forte — Sempre vincitore per nove anni continui, scorse il decimo ad ordinare le GaIlie, e messele in quiete, aspettava le determinazioni di Roma in dubbio d’essere costretto alla guerra civile per la gelosia di Pompeo e del senato. EI isara et Era vide quel che fe da Varo infimo a Reno. — hara è un fiume, che nasce dalle Alpi più alte ne’ confini d’ Italia, e scorrendo amene valli, si scarica grosso d’acque nei Rodano, in quel luogo dove Mario vinse i cimbri. Era altro flume, che sbocca nel Rodano. 11 Varo è fiume ricco d’ acque in confine d’ Italia fra il Genovese e la Provenza. Reno, fiume spettabile, detto alto Reno, divideva le Gallie dalla Germania e ritenevasi muro di difesa dell’impero romano dalle barbare incursioni prima che Cesare lo avesse, passato. Ha origine dalle Alpi, come l’ha il Rodano, che scorrendo per la Elvezia, per le terre de’ sequani, e di treviri con molte bocche si scarica nell’ Oceano. e vidi Senna o Sequana fiume anche questo chiarissimo, che formava un’isola dentro Parigi, e per cui nomai’onsi sequani i parigini el ogni valle onde Rodano e pieno Senna una volta chiamavasi Arar che lentamente cade presso Avignone nel rapacissimo Rodano. E così Sorga bellissimo entra nel Rodano presso Avignone e Ruenza il più rapace fiume deLle Gallie, che non lontano da Avignone esso pure si scarica nel Rodano. Il Rodano, passando primt pci lago Lemarino e per molte terre, con grand’ impeto, e non molto lontano da Marsiglia

sbocca nel mare. Così vedi che Cesare soggiogò tutte le [p. 135 modifica]

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Gallie confinate dalle Alpi d’italia, di Spagna, del Reno, del Mediterraneo e dell’Oceano. Fin qui le armi di Cesare furono veramente gloriose, ma quindi innanzi empiec crudeli. Il senato romano, ad insinuazione di Pompeo, e di Marco Bruto decretava che Cesare abbandonasso l’esercito, e come privato tornasse in Roma; che Domizio, uomo audacissimo, fosse mandato in sua vece. Così deliberò il senato,o perchèCesare fosse invidiato, niun gran. de essendo stato mai senza invidia, o perchè si temesse che volesse farsi re di Roma, vedendolo nelle Gallie operare come re. Ma egli, negati consolato e trionfo, corse a Ravenna, città di confine alla Gallia Cisalpina, nel pensiero di difendere la propria causa colle armi. lvi seppe che i tribuni della plebe sostenendo Le ragioni di Cesare erano stati scacciati dalla città; e di notte, occultamente entrò in Rimino, e chiamate intorno a sè le sparse legioni , la Marca di Ancona allora detta Piceno, senza contrasto, anzi essa mostrandone letizia, sottomise. Si diedero a lui con altrettanto contento Toscana ed Umbria. Presso Corsino lontano da Sulmona dodici miglia, incontrò il suo più fiero nemico Domizio, il quale, tradito da’suoi fu strettoda funi edato nelle mani di Cesare, che lo sciolse, egli donò la vita che sprezzava. In tal modo tutta ltnlia datasi a Cesare, Pompeo spaventato fuggì a Brindisi, e diii scappato alle persecuzioni di Cesare, si ricovrò a Durazzo nella Grecia. Cesare allora volse a Roma, e compose a modo SUO gli ordini della città: quel che fe il predetto vessiHo poi che usci di Ravenna poichè Cesare uscì dalla città di Ravenna. Plinio chiama Ravenna — castello de’ sabini — Dante fa menzione di Ravenna in tutti tre i libri per grato animo all’ospitalità ivi trovata: nell’inferno ricordando chi allora la reggeva, e chi lo beneficò: nel Purgatorio lodando la stirpe che gli diede ospizio, e [p. 136 modifica]I26 PIA[)ISO gli altri illustri raven nati: e qui nel Paradiso descrivendo come era in fiore quando Cesare vi dimorò preparandosi ad inva dere Roma e 1’ im pero. e salto Rubicon fu di tal volo che noi seguiteria lingua ne penna le imprese che quel vessillo feci, poichè Cesare uscì di Ravenna e saltò il Rubicone, furono tali, che non vi è lingua, nè penna che basti a celebrarle. Il Rubicone è piccolo fiume di Romagna vicino a Cesena, una volta termine o confine della provincia, qual fiume è famoso, perchè dicesi che Cesare nel passarlo determinato a combattere la patria, vedesse un’ ombra, che suonava terribilmenie la tromba. — Cesare non voleva perseguitare Pompeo per non lasciarsi a tergo una guerra a lui fatale; e piuUosto si slanciò nelle Spagne governate dai tre legati di Pompeo — Petreio ed Afranio nella Spagna citeriore, Varo nella ulteriore. Lì sofferse molti disagi per l’acqua che gli pioveva sopra a diluvio, ma reggendo a tutte le avversità, chiuse Petreio ed Afranio in un monte presso la città d’ Ilerda di Aragona, per cui assetati dimandarono di pattuire nella resa. Mentre s’intavolava il trattato, i soldati dell’ una partee dell’altra amichevolmente trattandosi nella sicurezza di pace fra loro, Petreio, ed Afranio perfidamente abusando di tal confidenza, scannavano molti soldati inermi di Cesare. Questi avrebbe potuto rivalersi coli’ uccidere altrettanti soldati dei due tradilori, ma mosso dalle suppliche di quelli che non vi avevano avuto parte, e vinto dallo spettacolo della fame che da quattro giorni sotto il più austero digiuno li tormentava, clementissimo com’era, perdonò tutto, ed accordò la pace implorata in ver la Spagna rivoke lo stuolo quel vessillo la soggiogò in soli quaranta giorni. Avverò così il detto di Cesare, che andando a tal guerra profetizzò che avrebbe trovato un esercito senza duce,

e sarebbe tornato il duce senza l’esercito. [p. 137 modifica]

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VI. I7

Tornò Cesare in italia, poi volò a Brindisi, e da Brindisi in mezzo a fiere tempeste, e con poche navi giunse all’Epiro, e pose gli accampamenti non molto lontano da Pompeo. Egli credeva nella celerità, Pompeo nella tardanza; e provocava quest’ultimo a combattere, e non potendo farlo uscire, lo cinse di assedio in Durazzo, prendendo consiglio dalla posizione. Intorno al campo di Pompeo si alzavano in fatti molte aspre colline, che tosto occupò, erigendo sopra ciascuna un castello, e scavando un fosso di comunicazione per sedici miglia fra quei ventiquattrocastelli. Molti furono gli scontri sempred’ incerta fortuna, ma Cesare persuadeva i suoi a pazientare 1’ orgoglio e gl’ insulti de’ centurioni di Pompeo. Finalmente, in una grande sortita, Pompeo fatta strage de’ nemici, avrebbe potuto terminare la guerra a suo pro, se, maravigliandosi dell’insperata vittoria non avesse temuto d’inganno, e richiamò i suoi, o per la notte sopravvenuta, o perchè nel giorno dopo riteneva di finire il contrasto senza spargimento di sangue. Cesare disse di Pompeo in quell’ incontro — che, se sapeva combattere, non sapeva vincere. — Ma questi, veduta la falsa sua posizione, consolando i suoi della sconfitta, passò in Tessaglia, e Pompeo sempre intento a vincere col ritardo lentamente lo seguì; ma non potendo reggere alle lagnanze de’ suoi imbaldanziti dal passato successo, lasciò le briglie alla fortuna, e confidando nel numero maggiore, attaccò la battaglia. Labieno fattosi nemico di Cesare in quella guerra, eccitava Pompeo a fare 1’ ultimo sforzo. Cesare dall’ altra parte, esortava, animava i suoi colla rara eloquenza sua, e con promessa di premi ed onori, e tanto li scaldò, che Crastino impaziente di ritardo, e senz’ordine di Cesare, spinse i suoi in battaglia, ed appena sortito cadde morto, trafitto da un dardo

nemico. Pompeo, superiore di cavalli tentava circondare, ‘ [p. 138 modifica]128

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prendere Cesare in mezzo, ma il numero maggiore, e la diversità de’combdtt.enti non potendosi reggere da un solo, gli fu cli danno maggiore. Cesare invece per supplire al numero minore faceva le veci del soldato, e del duce, ora uccidendo, ora animando, ora comandando e correndo per tutto, ed a tutto provvedendo. Mise i cavalli in prima fila, e tra i cavalli i pedoni stretti ed uniti insieme a modo, che sembravano un muro di ferro. Non potendo forano la prima schiera di Pompeo retrocedette: Pompeo avvilito da tal fuga abbandonò esso pure la battaglia; ma lui lontano, niuno de’ suoi stette fermo e Cesare che prima esortava a ferire il nemico nella faccia, allora gridava — che si perdonasse ai concittadini che s’ inseguivano Penirono quindici mila tra cavalli e pedoni di Pompeo, senza far conto delle morti degli ausiliari enuti da tutte parti d’ Oriente, che secondo Floro erano trecento mila, non contando gli altri spediti dai re alleati e dal senato. Erano i veri combattenti undici legioni dalla parte di Cesare, diedotto dalla parte di Pompeo. Pompeo intanto fuggiva sur un meschino cavallo al lido (lei mare, e presa la moglie in una barca volse all’ Egitto, sperando che Tolomeo cui era stato tutore per decreto del senato, e cui aveva conservato il regno, lo avrebbe accolto e difeso. Tolomeo adunò il consiglio de’ suoi grandi, che deliberarono doversi uccidere anzichè ospitarlo; e di fatto recisergli il capo e gettarono il corpo nel mare. Riserbarono la testa recisa per farne un presente a Cesare vincitore, il quale con pochi suoi fidi, forte nella fama che valeva non meno dell’ esercito suo, era già in poco tempo arrivato in Alessandria, dove corse il maggiore pericolo di sua vita. Achilla, prefetto dì Tolomeo, che aveva bevuto il sangue di Pompeo, avido di bere anche quello (li Cesare, per 1’ odio contro i roDigitized

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VI. 129

mani, invece di riceverlo, gli mosse contro con ventimila armati. Se Cesare non avesse avuto presso di sè Tolomeo forse non la isfuggiva; ma Tolomeo, scioltosi da Cesare, imprudentemente si mise alla testa dell’ armata che gli veniva incontro, e Cesare avvistosi dell’ improvviso assalto si slanciò in una piccola barchetta, che, non reggendo al peso, si somrnerse con lui; ma egli risorgendo nuotò per duecento e più passi ad una nave vicina, tirandosi seco la veste coi denti, ed alzando la sinistra mano perchè non si bagnassero le lettere interessanti che avea. Giunse finalmente a’ suoi, e colla propria singolare celerità e fortuna debellò la flotta di Tolomeo,ed assalito il campo nemico, dopo molta strage invase e irese gli accampamenti di Tolomeo. Costui tentò salvarsi sopra di una nave che oppressa da’troppi fuggitivi, e non potendo reggere al grave peso si sommerse, e così quel traditore affogò con molti de’suoi consiglieri nel mare. Alessandria gli aprì le porte, ed ivi incontrò Cleopatra, cui conservò il regno a prezzo di libidine. poi ver Durazzo l’aquila o Cesare volse l’esercito e percosse FarsagUa che bagnò di sangue di guerra civile si che il Nii caldo se senti del duolo si che sino al caldo Egitto si sentì parte del dolore della sconfitta data da Cesare a Pompeo. — Cesare passò in Asia all’ Ellesponto dove una volta Serse passò dall’ Asia in Grecia. revide 1’ aquila o vessillo vide di nuovo Antandro città della Frigia e Simoenta fiume presso Troia onde se mosse d’onde l’aquila venne con Enea el la dove Hector si cuba e là dove Ettore dorme nel sepolcro. Si dice che Cesare visitasse, ed onorasse il sepolcro di Ettore e poscia se scosse e poscia quel vessillo si rivoltò impetuoso per Ptolomeo mal per male e per morte di Tolomeo, o contro del traditore Tolomeo. Scipione e Catone che avevano seguito Pompeo adunaRAMBAL

I — VoI. 3. [p. 140 modifica]I O

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vano tutte io genti pompeiane nelI’Africa,egià l’esercito raccolto era formidabile, quando Cesare avuto di ciò notizia, e quantunque avesse avuto bisogno di trovarsi nei cuor dell’italia, nei mezzo del verno, sfidando le maggiori tempeste, dall’Asia comparve in Sicilia,e qual fulmine passò nell’Africa dove trovavansi dieci legioni romane, ed il re Giuba con infinita moltitudine di barbari. A grave stento giunto presso Tapso colle Otto legioni, si preparò alla battaglia, e tanto aveva infiammati i soldati suoi, che appena visto il nemico, senz’ ordine di lui si scagliarono con tal furore sopra dell’armata nemica, che neppur uno vivo sortì dal conflitto. Prese Cesare i tre accampamenti di Scipione, di Giuba e di Pctreio. Giuba e Petrcio, ben bene dal vino inebriati, si uccisero a vicenda. Scipione duce generale, mentre tentava in una nave fuggire, fu preso e si trafisse colla propria spada. Cesare dopo tale vittoria volò a Roma, ed ivi rassettate alcune cose, tornò rapido nelle Spagne, dove i figli di Pompeo in memoria del patire avevano ottenuta accoglienza e favore. Più con odio che con valore si pugnò nel primo scontro presso la città di Munda, e la legione de’veterani di Cesare in tantì incontri inconcussa e gloriosa cominciava ad indietreggiarc, quando Cesare smontato dal cavallo si mise a piedi alla testa, e colla mano e colla lingua richiamava i fuggenti rimproverandohi, avendo, per quanto egli disse poi, pensato anche a morire, temendo cambiata la sua fortuna. Ma cinquccoortidi Labieno venendo in soccorso furono prese per fuggitivi, ed anche gli altri scapparono; sicché Cesare cogliendo il destro si mise a perseguitarli, e tanta strage ne foce, che non iscappò dalla morte neppure Labieno. Gneo fuggendo a traverso di un bosco fu ucciso da Cesenio legato di Cesare, e troncalagli la

testa, fu presentata a Cesare stesso. Scorsa la Spagna fino a [p. 141 modifica]

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VI. 131

Cai], Cesare tornò ad Ispali ora (letta Sicilia, lagnandosi coi cittadini di avere aiutato Gneo, e dicendo loro con insultante superbia che il popolo romano aveva dieci legioni capaci di far la guerra al cielo: e tali legioni erano quello che aveva per sè; dunque tutte le altre contavano nulla. — Così ebbe fine la guerra civile di Cesare che durò quattro anni. da indi dopo la guerra di Alessandria scese folgorando a luba I’ aquila scese vittoriosa a Giuba o Mauritania onde se volse al nostro occidente alla parte occidentale d’ Europa ove sentia la pompejana luba dove Cesare udiva il suono guerriero dell’esercito pompeiano. Di Sesto, altro figlio di Pompeo che scappò, si parlerà altrove. Caio Cesare figlio di Lucio ebbe tali qualità, che mai non si videro in tanto numero in altro principe. Di origine nobilissima, della famiglia Giulia — bellissimo di persona — senza pari in guerra, da non avere confronto nè con Annibale, nè con Alessandro, nè con Scipione — operatore di cose maraviglioso tanto da ritenersi incredibili. Fu eloquentissimo, eTulho lo mette ottimo fra gli oratori: poeta, compose un carme intitolato — Viaggio—Storico — e descrisse le sue gesta con UflO stile inarrivabile. Scrisse I’Antìcatone,ccorresse le leggi (lei tempo suo. Compì il computo: regolò il corso dell’anno trovando il bisestile: dettò contemporaneamente a molti Co1 isLi. Liberalissimo, non ritenne cosa alcuna per sè da tante vittorie: non si riserbò che la facoltà didistribuire le spoglie. Fu il più clemente di tutti i principi. Tullio lo paragona ad un Dio, e sant’ Agostino dice — che i senatori uccisero Cesare che operò la guerra civile, ma aveva usata clemenza delle vittorie, sicchè operarono contro del fine loro, contro la libertà. — Tanto temperante, che Catone suo nemico capitale soleva dire — Cesare sobrio sovvertì la repubblica. — Magnanimo (pianto [p. 142 modifica]132 PARADiSO mai esser si può, avendolo dimostrato nella vittoria di Farsaglia, e d’Africa fece abbruciare le lettere nemiche senza volerne leggere alcuna — sofferentissimo di ogni stento cavalca va, nuotava, saltava — insomma, usando della frase di Policrate, — Cesare era tutto in ogni cosa. — Ebbe ingegno e memoria mirabile: nulla mai dimenticò fuori delle ingiurie. Ma se ebbe grandi virtù, ebbe anche, come Livio scrive di Annibale, vizi clic le pareggiarono, e fra questi gran cupidigia di regno, imperocchè per essa mosse guerra alla patria e sparse tanto sangue fraterno. Nel consolato usò sempre del1’ arbitrio: colle armi scacciò il collega Bibulo: prima della guerra civile aveva tentato in Roma sommosse per usurparne il dominio. Difese i congiurati di Gatilina. Si mise a rifugiare tutti i rei, perchè li riteneva i più abili a sostenere la guerra civile. Spogliò due volte l’erario pubblico; la prima con frode, la seconda con aperta violenza. Comprò a gran prezzo il sommo sacerdozio. Si creò dittatore perpetuo, anzi al dir di Lucano, Cesare volle esser tutto. Tullio scrive che aveva sempre in bocca quel detto di Euripide — se deve frangersi il diritto, sia per sola ragione di regno, che le altre cose possono pietosamente governarsi. — Lussurioso fuor di modo andò scorrendo in superba nave 1’ Egitto insieme con Cleopatra per isfogo di libidine; stuprò la moglie di Pompeo, il perché questi nomavalo Egisto: stuprò la moglie e figlia di Crasso. Non paventava nè il terremoto, nè gli Dei. Ebbe maggiori virtù, ma anche maggiori vizi di Pompeo. Ambidue aspiravano al regno, ambidue ingrati alla patria, ambidue degeneri dagli avi in questo rispetto. Strabone padre di Pompeo fu incenerito da un fulmine. Appena trafitto Cesare in senato, Caio Ottaviano di diciotto

anni, studente in Grecia, corse a Roma. Egli era il [p. 143 modifica]

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Vi. 133

lrimo erede nel testamento di Cesare, e trovò un fiero nemico in Marco Antonio; il senato per altro favoriva Ottaviano. Allestito un esercito nella Gallia Cisalpina, Marcantonio venne ad assediare in Modena Decio Bruto, ma Ottaviano ed i due ronsoli Tizio e Pausa, mandati dal Senato, liberarono Bruto con due battaglie. Uccisi i due consoli, Ottavio solo vincitore ottenne il comando dei tre eserciti, quantunque ancora privato. Marcantonio riparò in Parma, in cui trucidò tanti distinti personaggi, ed ivi trovò il fratello Lucio Antonio. Fu egli difatti sempre crudele, violento, precipitoso, prodigo e vorace. In seguito Ottavio e Marcantonio si amic1arono, ed insieme vinsero Marco Bruto e Caio Cassio in Tessaglia, come fu detto nel canto XXXIV dell’ Inferno. Ottaviano poi, lasciato Marcantonio in Oriente, venne in Italia per dividere le terre a’suoi veterani; ma quel Lucio Antonio uomo pessimo, imitatore temerario del fratello, ad incitamento di Fulvia moglie di esso Lucio, cominciò a movergli guerra con molti proscritti e spogliati. Ottaviano lo assediò dentro Perugia, e dopo averlo vinto per fame, gli perdonò, e distrusse Perugia. di quei che fe coi baiulo seguente col nutritore dell’ aquila che passò ad Ottaviano Augusto: e di fatti presso Modena aveva portata 1’ aquila sulle proprie spalle essendo stato ucciso il vessillifero. Bruto con Cassio nell Inferno latra nell’estremo freddo, nella Caina dell’inferno e Modena e Peruqia fe dolente e Modena fu dolente per la strage fatta da Augusto contro Marcantonio, e Perugia per la strage fatta contro Lucio Antonio fratello di Marco. Marcantonio lascivendo nell’amore di Cleopatra la prese per moglie, dopo aver ripudiata Ottavia sorella di Ottaviano, per la qual cosa Ottaviano mosse guerra a Marcantonio. Da Brindisi con magnifica flotta Ottaviano passò in Egitto, e CleoDigitized

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Iatra con armata navale più numerosa, econ molte armi d’oriente guidate da Marcantonio io incontrò nel mare presso del Monte Leucate. Ma Cleopatra fu la prima a fuggire, dopo lieve contrasto, sopra una navicella aurea, che aveva la vela di porpora, e Marcantonio la seguì. Perseguitati da Ottaviano si chiusero in Alessandria, e disperando della pace, Marcanlonio in ultimo si trafisse colla propria spada. La vedova CleoPatra usò di tutte le arti per piegare il giovane erede di Ce.. sare, e dopo vani tentativi, ternentlo di essere riserbata al trionfo, entrò nella tomba del suo Marcantonio, e mettendosi una vipera in seno, in amplesso maritate, quasi dormendo spirò. piangeva ancora la trista Cleopatra per la perduta battaglia, per la morte di Marcantonio, e pci timore di far parte al trionfo di Ottaviano che fugendoli innanzi fuggendo innanzi al segno prese la morte subitana et atra dal colubro si uccise con un aspide velenoso, che.si mise in seno. Morte più gloriosa agli occhi dcl mondo di questa lussuriosa regina, che quella di Zenobia virtuosa, che ornò il trionfo di Aureliano. Plinio scrive, che non fu un aspide che fece morire Cleopatra, ma UI) forte veleno che aveva presentato a Marcantonio, il quale non ebbe coraggio di berlo. Con costui corse infimo a tuo rubro con Augusto corse fino al mar rosso, pd quale vengono a noi le merci, gli aromi, il pepe, l’avorio: cum costui pose il mondo in tanta pace con Augusto l’aquila pose in tanta pace il mondo, che perfino i parti restituirono le tolte ricchezze di Crasso e quelle trasportate da Marcantonio, e gl’ indiani mandarono ambasciatori e doni che fu serrato a lano il suo delubro e si serrò il tempio di Giano, quale restava sempre aperto in tempo di guei’ra. E non erasi chiuso che mine volte, cioè sotto Numna, cd al fine della prima guerra punica. Il senato lo nominò AuguDigitized

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Vi. I3i

sto — perpetuo dittatore, — padre della patria e dcl senato. Al nome di Ottaviano aggiunse quello di Augusto, pcrchè vivente ancora, quasi Dio si venerasse nel mondo. EI però noti volle mai esser chiamato signore. Floro scrive, che fu gran fortuna che in tanto sconvolgimentodi cose il regime andasse. nelle mani di Augusto che attivo e sapiente riordinò il corpo disperso e guasto dell’impero. Ma il cielo aveva predisposto tanta tranquillità, perchè sotto di Augusto doveva Iddio prendere umana carne a vantaggio e salute del genere umano. Se Augusto fu il più felice de’ regnanti, soffrì per altro domestiche sventure nella figlia che si rese la più disonesta dell’impero, e nel crudele Tiberio che gli successe. Ma do che i segno che parlar mi face facto havea pria ma ciò che aveva fatto il segno romano prima di Tiberio e poi era futuro da Vespasiano — Traiano — Antonino Pio — Alessandro ecc. sino a Costantino, da Costantino sino a Giustiniano da Giustiniano fino a Carlo per lo regno rnortak’chea lui soggiacepel mondo che di diritto gli è suddito diventa in apparentia poco e scuro se in man al terzo Cesare se mira divenla rispettivamente poco, se si osserva nelle mani di Tiberio. Fu Tiberio valorosissimo in armi nella sua gioventù, ma cresciuto in età fu il più lussurioso tiranno, ed il cane più rabbioso che si fosse visto sul trono. Orosio dice che non ottenne dal senaLo che Cristo si venerasse, ma egli si convertì nella fiera la più crudele: con occhio chiaro cI afl’ecto puro se si considéra questa insegna dell’aquila in mano di Tiberio senza prevenzione e con vera fede che la viva justicia divina che m ispira tal ‘erità li concedelle in mano a quel eh io dico mise nelle mani di Tiberio gloria di far vendetta a la sua ira la divi iia giustizia, la (lilale aveva mandato il Figlio di Dio in terra ad incanini-si per sod(lisfare all’ ii-a dcl peccato di Adamo, coilceDigitized by Google [p. 146 modifica]dette a Tiberio la gloria della soddisfazione sotto il suo regno:

or qui t ammira in cio che io ti reptico e nota bene che io replico la stessa parola.

Poscia corse l’ aquila cum Tito con TiLo, che fu l’undecimo imperatore, figlio di Vespasiano, ed imperò col padre, e dopo del padre, e vuolsi, facesse vendetta della morte di Cristo quando spiantò Gerusalemme con tanta strage degli ebrei. Ma deve intendersi, che per giusto giudizio di Dio, fece vendetta del peccato degli ebrei non per sua intenzione, essendo stato pagano a far vendetta della vendetta del peccato antiquo mirabili versi, concetto e frase!

Secondo Eginardo, Carlo figlio del re Pipino il Nano, pregato dal papa. Adriano, con brillante esercito, ed accompagnato da vari principi del suo regno, scese in Italia dal monte Cenisio, e vinse pel primo, con immensa strage, Desiderio re de’ longobardi che tormentava la Chiesa.

Lo assediò nella città di Pavia, e nel decimo mese dell’assedio, prese lo stesso Desiderio colla moglie e figli, e condottili in Francia, nominò Pipino re d’ Italia. Così ebbe fine il regno de’ longobardi in Italia, che aveva durato più di duecento anni dall’ arrivo di Alboino a Verona. Dopo tale vittoria Carlo giunse a Roma e fu chiamato Cesare, e dal popolo aggiunto- gli il nome di Augusto fu coronato dal papa Leone III. Allora il romano impero fu diviso con quello di Costantinopoli, nè mai più si riunì; e dopo Carlo niun altro imperatore fu in Occidente di tanta virtù e fortuna. Dante qui fa terminare la narrazione a Giustiniano, poco curando i diversi imperatori gli Ottoni, e qualche altro germano, che spesso furono a favore, ma qualche volta ancora contrari ed infesti alla Chiesa. e quando il dente langobardo morse la santa chiesa Desiderio che lacerò la romana Chiesa sotto le sue ali sotto l’ali dell’aDigitized by Google [p. 147 modifica]aquila Carlo magno vincendo la soccorse Carlo Magno non solo vinse Desiderio, ma liberò anche Terra Santa dalle mani de’ saraceni.

Giustiniano dopo così lunga digressione, tornando al proposito, sgrida gi’ italiani che operano contro tale vessillo omai puoi giudicar di quei cotali di coloro che combattono contro l’impero, ossia de’ Guelfi, che si opponevano perché venisse ristabilito in ltalia ch'io accusai di sopra et di lor falli che io superiormente chiamai colpevoli, giacché fra mille non trovasi uno solo che sia a giorno come sorgessero le fazioni ed a qual fine essi guardino, e quale compenso si ripromettano che son ragion di tutti vostri mali nel cagionare tante sventure — città distrutte, migliaia d’uomini uccisi! — — L uno oppone i gigli gialli al publico segno i Guelfi oppongono all’aquila

romana i gigli gialli, ossiano le armi della casa di Francia e l altro apropria quello a parte i Ghibellini fanno dell’aquila un segno di parte si che e forte a veder chi piu si falli così ch’è difficile giudicare quale delle due fazioni abbia il maggior torto. faccian li ghibellini faccian lor arte facciano i Ghibellini o pace, o guerra sotto altro segno con altra insegna che mal segue quello che male si appropria quell’insegna sempre chi la justitia e lui diparte quando divide la giustizia dall’insegna et non l abbatta questo Carlo novello è non abbatta 1’insegna questo Carlo II re di Sicilia. Lo chiama novello, perché primo scese in Italia ed occupò la Sicilia, e molto perseguitò i Ghibellini, introducendo i Guelfi in Fiorenza. Anche Carlo lo zoppo, e il re Roberto molto favorirono i Guelfi con i guelphi soi — ma tema de gli artigli degli artigli dell’aquila ché a più alto leon trasser lo vello che strapparono il pelo, la lana a leone o re di più grande potenza; come a Giugurta precipitato da Mario, ed al Macedone che ornò il [p. 148 modifica]

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trionfo di Paolo Emilio, molte flate gia pianser ti figli per la colpa del padre molte volte i figli pagarono il ho delle colpe de’ padri: ed avvenne a questo Carlo vittorioso clic in ultimo perdette il regno di Sicilia, ed un suo figlio fu fatto prigioniero, et non si creda che Dio tramuti l arme pe suoi gilii e non si creda che Dio cambi le armi sue proprie, cioè l’aquila coi gigli od arme di Carlo, ovvero che Dio dar voglia 1’ impero del mondo, ch’ è di Roma, alla Francia. Dante aveva chiesto a Giustiniano perchè fosse stato messo nel pianeta dì Mercurio, e risponde che insieme con altri illustri fu messo in tale pianeta per l’influsso di lui mentre fu al mondo. Mercurio infatti significa celebrità, eloquenza, memoria, acume d’ ingegno, velocilà, principato, fama, profondità di consiglio, mercatura, guadagno, astuzia ecc., attributi che trovansi presso che tutti in Giustiniano, ed iii Romco del quale si parlerà, questa piccola stella Mercurio, stella piccola e nascosta, il perchè alcuni la vollero più piccola della terra se caricha di boni spiriti si adorna degli spiriti beati che son stati activi che furono al mondo operosi per- che onore el fama li succeda perchè onore e fama loro sopravvivano: et quando li disiri le umane passioni, i nostri desideri pongian quivi si disviando si affissano nel detto divisamento di cercare onore, e farne dopo di sè, allontanandosi da Dio pur convien che i raggi del vero amore poggin men vivi in su avviene di necessità che le flaminic del vero amore s’ innalzino più deboli a Dio. Carlo Magno, abbandonata I’ amministrazione del regno, per questo motivo dandosi alla vita contemplativa si ritirò presso il monte Soratte vicino a Roma, ivi dimorando per molto tempo; ma parte di nostra leticia ma la nostra letizia è format;i

in parte nel commcnurare ud misurare li nostri caggi col [p. 149 modifica]

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mento i nostri premi col merito perche non li vedem ininor ae maggi percliè troviamo che non sono iiè maggiori nè minori del merito nostro, e così non itividiamo i premi maggiori non potendoci paragonare con essi ; quinci la viva justicia adokisce in noi I affeclo si che non se po torcer giamai ad alcunanequitia quindi la divina giustizia rende più dolce ogni nostro affetto in modo che non può volgere giammai ad invidia .diverse voci fan diverse note diverse voci fanno armonia quantunque siano diverse cosi diversi scanni rendon dokc armonia in nostra vita tra queste rote del pari i diversi gradi nella nostra vita beata fanno dolce accordo in queste sfere. /‘ Raimondo Berlingh ieri nobile e conte di Narbona fu no- “ nio civile, affabile, inventore di ritmi vol!ari; magnifico e liberale prestandosi ad ogni inchiesta, si ridusse a stato gravoso pci molti debiti che aveva contratti. A quel tempo un pellegrino venendo dall’ estremo occidente, sciolto il voto alla chiesa di san Giacomo a Campostella, giunse a Tolosa, dove ,appena conosciutosi per uomo colto e ragguardevole, fu invitato a corte, e stretta famigliarità col conte Raimondo / lo persuase che in breve gli farebbe pagare tutti i debiti. Il conte gli affidò la intera amministrazione, ed il pellegrino saldò i debiti tutti noti solo, ma cli più crebbe e moltiplicò il ,A ,\ reddito di Raimondo. Interrogato1 del suo nome e del suo stato rispondeva solo chiamarsi Romeo, cioè desideroso di veder Roma.,Aveva Raimondo quattro figlie, e per la rimessa del suo stato, maritò,Ia prima a Lodovicore di Francia, clic poi fu canonizzato per santo, la seconda ad Edoardo re d’ liighilterra; la terza a Riccario fratello di Edoardq; la quarta fu presa io moglie dal duca Carlo fratello di Lodovico re di Francia, quale passò re in Sicilia.. Tali matrimoni, ne’quali ebbe

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gran parte Borneo, gli suscitarono incontro la invidia de’cortigiaiii. Dicevano al conte che un mendico, girovaosi rencleva più onorato e chiaro di lui, mostrandosi iicapace di regolare lo stato non tanto per sè medesimo, quanto per mezzo de’suoi grandi.lVinLo da tanti dubbi e punture di amor proprio ,Raimondo,finalmente chiese a Rorneo esatto conto di sua gestione. Borneo così gli rispose —Venni povero, e povero abbandono la vostra corte —; eriprcsa una sua piccola ,nula, indossato il primo vestito dì pellegrino tenuto sempre in serbo, si allontanò. Il conte confusq7yoleva ad ogni costo ritenerlo, ma Romeo volle ad ogni modo partire E presto l’ingrato conte pagò la pena, perché il re di Francia gli tolse, vivente ancora, gran parte di regno, e dopo morte io stesso re in nome iella moglie occupò la intera Provenza al di là del Rodano. Carlo,in nome pure della moglisi prese la Provenza al di qua del Rodano, che i discendenti suoi ritengono anche oggi giorno, e la luce di Romeo dentro a la presente Margarita e l’anima di Romeo risplende in questo pianetai Mercurio 1di cui fu I opra grande bella perché oltre l’aumento di beni e di riputazione, gli maritò le quattro figlie a quattro re mal gradita dall’ ingrato conte,, ma i provinciali che fecer contra lui ma i cortigiani che per invidia operarono contro di lui non hanno rixo, imperocchò gli ufficiali del redi Francia e di Carlo d’Angiò non furono così benigni e graziosi con essi com’ era stato il conte guidato da Romeo ci però mai camina e quindi per falsa strada cammini qua1’i fa danno del ben fare d altrui qualunque converte a mal uso il ben fa re degli altri. Raimundo Beringerii ebbe quattro figlie e ciascuna regina,corne fu detto ci cio li fece Romeopersona hu. inile e peregrina un misero ed ignoto pcllegrin,e poi il mosser

le parole biecee poi le parole ostili, le accuse cònlro Rorneo [p. 151 modifica]

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VI. 141

al conte, mossero Raimondo a chkdergÌi conto dell’amministrazione a dimandar ragione a questo giusto che li assegno sette e cinque per diece,onto che quel giusto rese accresciuto tanto, che amministrafo ‘l dieci rese il dodici: indi partissi povero e vetusto vecchio e povero qual era venuto, rispondendo come Scipione Africano di non avere acquistato nulla per sè fuori dell’invidia, e se il mondo sapesse il cor ch egli ebbe/mendicando sua vita a frusto a frusto a pezzi, a bocconi di panassai lo loda molto lo loda e piu lo loderebbon conoscendo le altre sue virtiìJ Non fu possibile a Raimondo dopo la partenza avere alcuna notizia di Romeo nè della sua vita ulteriore, nè della sua morte. Molti ritennero clic fosse un santo sapiente. Dante ebbe forse alcun sentore, ma volle lasciare gli altri tutti in curiosità, perchè si occupassero

maggiormente delle notizie di quest’ uomo singolare. [p. 152 modifica]

canto
VII.

T.TO MODF.RNO Osanna Sanctus Deus Sabaoth, Superillttstrans ekzritate tua Fetices ignes horum matahoth: Così, volgendosi alla noLa sua, Fu viso a me cantare essa sostanza, Sopra la qual doppio lume s’addua: Ed essa e l’altre mossero a sua danza, E, quasi velocissime faville, Mi si velar di subita distanza. 9 Io dubitava, e dicea: dille, dille, Fra me, dille, diceva, alla mia Donna, Che mi disseti con le dolci stille: Ma quella reverenza che s’ indonna Di tutto me pur per B e per ICE, Mi richinava come I’ uoin che assonna. Poco sofferse me cotal Beatrice, E cominciò raggiandomi d’ un riso Tal che nel fuoco farla 1’ uom felice: Secondo mio infallibile avviso, Come giusta vendetta giustamente Punita fosse, t’hai in pensier miso; ‘21 Ma io ti solverò tosto la mente: E tu ascolta, Che le mie parole

Di gran sentenza ti faran presente. [p. 153 modifica]

canto
VII. 143

Per non soffrire alla virtù, che vuole Freno a SUO prode, quell’ uom che non nacque, Dannando sè, dannò tutta sua prole; 27 Ondel’ umana spezie inferma giacque Giù per secoli molti in grande errore, Fin che al Verbo di Dio di scender pi3cque 50 U’ la natura, che dal suo Fattore S’era allungata, unio a sè in persona Con I’ atto sol del suo eterno Amore. 55 Or drizza il viso a quel che si ragiona: Questa natura al suo Fattore unita, Qual fu creata, fu sincera e buona: 56 Ma per sè stessa pur fu ella sbandita Di Paradiso, però che si torse Da via di verità e da sua vita. 39 La pena dunque che la Croce porse, Se alla natura assunta si misura, Nulla giammai sì giustamente morse. E così nulla fu di tanta ingiura, Guardando alla Persona che sofferse, In che era contratta tal natura. Però d’un atto uscir cose diverse; Che a Dio e ai Giudei piacque una morte: Per lei tremò la terra e il ciel s’aperse. Non ti dee oramai parer più forte, Quando si dice che giusta vendetta Poscia vengiata fu da giusta corte. Ma io veggo or la tua mente ristretta Di pensiero in pensier dentro ad un nodo, Del qual con gran disio solver si aspetta. Tu (11cl: ben discerno ciò ch’io odo; [p. 154 modifica]

Ma perché Dio volesse m’ è occulto
A nostra redenzion pur questo modo.
Questo decreto, frate, sta sepulto
Agli occhi di ciascuno, il cui ingegno
Nella fiamma d’amor non è adulto. 60
Veramente, però che a questo segno
Molto si mira e poco si discerne,
Dirò perchè tal modo fu più degno.
La divina bontà, che da sè sperne
Ogni livore, ardendo in sè sfavilla
Sì, che dispiega le bellezze eterne. 66
Ciò che da lei senza mezzo distilla
Non ha poi fine, perchè non s move
La sua imprenta, quando ella sigilla. 69
Ciò che da essa senza mezzo piove
Libero è tutto, perchè non soggiace
Alla virtude delle cose nove. 72
Più le è conforme, e però più le piace;
Chè 1’ ardor santo, che ogni cosa raggia,
Nella più simigliante è più vivace. 7
Di tutte queste cose si vantaggia
L’ umana creatura, e, s’ una manca,
Di sua nobilità convien che caggia. 78
Solo il peccato è quel che la disfranca,
E falla dissimile al sommo bene,
Perché del lume suo poco s’ imbianca.
Ed in sua dignità mai non riviene,
Se non riempie dove colpa vola,
Contra mal dilettar con giuste pene. ‘84
Vostra natura, quando peccò tota
Nel seme suo, da queste dignitadi,

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canto
VII. l4

Come di paradiso, fu remota: 87 Nè ricovrar poteasi, se tu badi Ben soUilmente, per alcuna via, Senza passar per un di questi gradi; 90 O che Dio solo per sua cortesia, Dimesso avesse; o che l’u.om per sè isso Avesse soddisfatto a sua follia. 93 Ficca mo I’ occhio per entro I’ abisso Dell’ eterno consiglio, quanto puoi Al mio parlar distrettamente fisso. Non potea 1’ uomo ne’ termini suoi Mai soddisfar, per non poter ir giuso Con umiltate, obbediendo poi, 99 Quando disubbidendo intese ir suso; E questa è la ragion per che I’ uom fue Da poter soddisfar per sè dischiuso. 102 Dunque a Dio convenia con le vie sue Riparar 1’ uomo a sua intera vita Dico con I’ una, o ver con ambedue. Ma perchè I’ opra tanto è piiì gradita Dell’ operante, quanto piiì appresenta Della bontà del core ond’ è uscita, l0 La divina bontà, che il mondo imprenta, Di proceder per tutte le sue vie A rilevarvi suso fu contenta. I I i Nè tra I’ ultima notte e il primo die Sì alto e sì magnifico processo Operl’unaoperl’altrafueofle: 1l Chè più largo fu Dio a dar sè stesso, Per far 1’ uom sufficiente a rilevarsi, Che s’ egli avesse sol da sè dimesso. 117 — 11)!. . Io [p. 156 modifica]146 C*NTO VII. E tutti gli altri modi erano scarsi Alla giustizia, se il Figliuol di Dio Non fosse umiliato ad incarnarsi. 120 Or, per empierti bene ogni disio, Ritorno a dichiarare in alcun loco, Perché tu veggi lì così com’ io. 123 Tu dici; io veggio 1’ aere, io veggio il foco, E’ acqua, e la terra, e tutte br misture Venire a corruzione e durar poco: 126 E queste cose pur far creature; Perché, se ciò che ho detto è slato vero, Esser dovrian da corruzion sicure. 129 Gli Angeli, frate, e il paese sincero Nel qual tu sei, dir si posson creati, Sì come sono, in loro essere intero; 132 Ma gli elementi che tu hai nomati, E quelle cose che di br si fanno, Da creata virtù sono informati. l3ti Creata fu la materia eh’ egli hanno, Creata fu la virtù informante In queste stelle, che intorno a br vanno. 138 E’ anima d’ogni bruto, e delle piante Di complession potenziata Lira Lo raggio e il moto delle luci sante. 141 Ma nostra vita senza mezzo spira La somma beninanza, e la innamora Di sè, sì che poi sempre la disira. 144 E quinci puoi argomentare ancora Vostra restirrezion, se tu ripensi Come 1’ umana carne fessi allora,

Che li primi parenti intrambo fensi. 148 [p. 157 modifica]

paradiso
147

COMMENTO DI BENVENUTO La vendetta fatta da Tuo della morte di Cristo poteva esser giusta, quando avvenne sotto di Tiberio? Si divide il canto in tre parti. Nella prima, risposta al quesito. Nella seconda, altra risposta che nasce dalla prima ricerca. Nella terza, risposta che nasce dalla seconda soluzione. Giustiniano, finito il lungo discorso, si mise a cantare le lodi all’ Altissimo e cantando disparve. essa substantia 1’ anima di Giustiniano sopra la qual doppio lume si addua si raddoppia, splendendo essa di doppia gloria e per la compilazione delle leggi, e per I’ impero riordinato fu viso cantare a me incominciò a cantarmi, finito il discorso volgendosi a la noia sua danzando a seconda di quel canto così Osanna o sanctus Deus Sabaoih superillustrans claritate tua felices ignea horum Malacoth Dio degli eserciti, che spazi il lume della chiarezza tua sopra i beati spiriti di questo regno. Sabaoth è nome ebraico, che suona Dio degli eserciti. — Malacoth è pure ebraico clic suona regno — il perchè il libro dei Re dicesi ebraicamente Malachia: ci essa anima gloriosa di Giustiniano e i altre di Romeo, ed altri spiriti — si mossero danzando com’esse mossero a sua danza e perchè poi le aveva chiamate fuoco, così aggiunge mi si velaro e quasi velocissime faville di subita distanza mi sparirono dinanzi agli occhi allontanandosi come faville di fuoco. Io dubitava dentro di me ci dicea dille dille ricerca, ricerca —e dentro me ripeteva ci dicea ditte fra me a la mia donna parla sicuramente a Beatrice che mi disseta cum le dolci slitte che seda il mio desiderio, la mia brama colle sue parole dolcissime; ma quella revereniia che s’indonna di tutto me pur pr Beper ICE ma quella venerazione clic s’ impadronisce di me [p. 158 modifica]PABAIMSO al solo nome di Bice, nome, che così sincopato imparai a pronunciare da fanciullo allorché dapprima l’amai, e come si usa così sincoparlo in Fiorenza, dicendosi Cola per Nicola anche in Bologna_mi richiamava mi faceva risovvenire di color ch’ asonna di chi è preso dal sonno. Beatrice non più Bice sofferse poco me cotale non permise che io stessi più in tale desio e comintio ragiando me d un riso tal che nel fuoco [aria I om felice e cominciò a parlarmi con tale sorriso, che farebbe dimenticare, anzi farebbe sentire il Paradiso nello stesso fuoco. come giusta vendetta faeta punita fosse giustamente I a messo in pensiero ti è nato in pensiero il desiderio di sapere in che modo la giusta vendetta (li Dio pel peccato di Adamo venisse soddisfatta dalla morte di Cristo secondo mio infallibile avviso secondo quanto io scorgo in te senza tema di errare: ma io ti solvero tosto la mente ma io ti scioglierò il dubbio, appagherò il tuo desiderio e tu ascolta a tu sta attento che le mie parole ti faran presente ti faranno il domo di gran sententia di gran principio di dogma, di materia divina. li primo padre colla sua disobbedienza dannò sè stesso, e tutto il genere umano. Quell om che non nacque nè da uomo, nè da donna, ma creato da Dio, e quindi più perfetto — Adamo —: dall’ uomo senza donna nacque Eva; da uomo e da donna nacquero poi tutti gli altri figli , dopo il peccato; il quarto, nato da donna senza seme umano per virtù cd opera dello Spirito Santo fu Cristo che redense il genere umano danno tutta sua prole dannando se dannò tutta la ventura posterità, e sè medesimo colla disobbedienza. Dio aveva dato all’uomo la libertà dell’arbitrio, perchè avesse più merito e più gloria; ma egli per non soffrire alla vertu che vole freno a suo prode Adamo, per non soffrire il freno posto da Dio per suo beDigitized

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canto
V1I. 149

ne alla propria volontà, di non toccare cioè il frutto vietato, dannò tutta la sua discendenza, tutta I’ umanità. Dio non volle prendere umana carne se non dopo molti secoli, dopo de’ patriarchi e profeti,ai quali, e pci quali fu promessa I’ incarnazione del Verbo e la pienezza del tempo. Dopo il primo fallo, I’ uomo ancor superbiva di scienza, e così dopo la legge di natura, e dopo la legge scritta era tempo di venire onde l’umana spetie inferma giacque in grande errore onde 1’ umanità soggiacque a tutti i mali gia per molti secoli nel mondo mortale per secoli molti finche al verbo di Dio aI figlio di Dio piacque discendere piacque umanarsi. E la natura: il principio causativ soltanto può essere principio recreativo. Il verbo del Padre, eterno ch’ è Gesiì Cristo, mediatore tra Dio e I’ uomo. Al Padre non convenne esser mandato, non allo Spirito Santo per non essere due figli nella Trinità uno in umanità , 1’ altro in divinità. Il figlio prese carne umana, perché esso figlio in divinità fosse fi. glio in umanità. Il Padre creò il mondo, e gli conveniva redimerlo, e perché 1’ uomo aveva corrotta I’ una e l’altra natura, anima e corpo, Cristo assunse l’una e l’altra per espiare la di lui colpa. Eppure Dio verbo, secondo sant’ Agostino, non assunse la persona, ma bensì la natura d’ uomo: e tre sostatize — carne — anima — e verbo —, ma non due persone: unì la carne e l’anima et uni a se in persona la natura che sera ailongata dal suo Faclore unì a sè stesso la natura umana, che si era allontanata, o dilungata dal Creatore con I acto sol del suo eterno amore col solo atto dello Spirito Santo, a cui s’ attribuisce 1’ amore. Qunntunque la umana natura nella persona di Cristo fosse pura comecchò vestito della carne d’ Adamo prima

del peccato per mezzo d’ una Vergine, nondimeno ebbe [p. 160 modifica]SO

paradiso

rispetto al corpo tutte le passioni corporee, fame, sete, fatica, dolore — e le spirituali tristezze, timore ecc. ma non tutte le corporali come malattie ecc. nè Lutto le spirituali, ignoranza, ribellione di spirito alla carne ecc. or drizza il viso a quel chor se ragiona ora aguzza l’ingegno al mio ragionamento. questa natura umana unita al suo faetore al Creatore nella persona del Figlio fu sincera senza macchia e bona—- tale quale fu creata buona come quella di Adamo; ma ella natura fu isbandita di Paradiso pur per se stessa fu scacciata dal Paradiso terrestre per propria colpa perche si torse da via di verila ci da sua vita perché si allontanò da Dio, ch’ è via di verità, e di vita beata, e cadde in infelicità, e divenne soggetta alla morte. Nulla dunque niuna pena gia mai morse giammai colpì giustamente il delinquente se la pena che la croce porse se se misura alla natura assumpta;la pena perciò subita da Cristo, quando si misuri alla natura umana assunta da Dio fu giusta, cioè adequata a soddisfare l’offesa fatta a Dio ci cosi nulla niuna colpa fu di tanta iniuria fu tanto grave guardando a la persona che sofferse a Cristo in che nel quale era coniracta tal natura era ristretta, circoscritta tale natura. Cristo ebbe passione di corpo e di anima; passione dì dolori, passione di compassione: passione ignominiosa per la croce fra ladri; passione perentoria stante la separazione dell’anima dal corpo, salva I’ unione dell’ una e dell’ altro colla divinità; imperocchè il Figlio non perdette mai quella natura che una volta sola ebbe assunta. Ma sebbene tal passione sia stata in sè buona in quanto valse a redimere il genere umano, pure gli ebrei non la guardarono pel vero fine perodunaciouscir cose diverse eh a Dio ci a Giudei piacque una morte: per lei tremo la terra e 1 ciel s aperse. Però da quella crocifissione veiiDigitized

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canto
VII. 151

nero effetti diversi. La morte di Cristo piacque a Dio per soddisfazione dell’offesa ricevuta da Adamo; piacque ai giudei perché soddisfecero alla loro rabbia, onde la terra diede segni di dolore; il cielo si riaperse alla redenta umanità. non ti dee ora mai parer piu forte non ti deve ormai sembrare duro e difficile ad intendersi quando si dice che giusta vendetta poscia vengiata fu da giusta corte quando si disse nel canto precedente che una giusta vendetta fu vendicata da giusta corte cioè romana. Ma io vegio la tua mente ristrecki dipensier inpensier dentro a un nodo del qual con gran disio solvere s aspecta ma io scorgo, che il tuo intelletto sempre più va intricandosi in una difficoltà, che hai smania che ti venga schiarita. Diceva Dante in cor suo veggo bene che Dio creatore doveva essere il redentore del mondo; ma senza assumere carne umana e patire, non poteva col perdono riparare? tu dici: ben dzscemo ciò eh io odo tu vai dicendo, e lo conosco ben io ma m ee ocullo ma non arrivo a comprendere perche Dio volesse pur questo modo a nostra redemption perchè volesse patire piuttosto che perdonare? A ciò risponde sant’Agostiiio, che fu bensì possibile aDio un altro modo, ma niun altro era più conven lente a redimere il genere umano. E ciò scelse non per debito, ma per sola sua bontà. Diede così una grande lezione di umiltà per confondere la umana superbia. Cristo umile nella carne non lasciava di essere divinamente sapiente, ed insegnava egli stesso che la dottrina aveva umiltà di parole, ma profondità di sentenze. Mandato da Dio ad insegnare la verità, ogni sua dottrina doveva portare gli alti principii di ogni vero. o frak questo dicreto dell’ incarnazione sta sepolto agli occhi de ciascuno il cui ingegnio non e adulto nella fiamma d amor ù nascosto agli occhi di ciascuno che non sia molto adDigitized by Google [p. 162 modifica]PAIIAD(S0 dentro e cresciuto nella carità divina. Così Beatrice occultamente rimprovera Dante, che amò Beatrice in gioventù e l’abbandonò per correr dietro a scienze mondane: veramente diro perche tal modo fu piu degno più conveniente degli altri pero eh a questo segno molto se mira giacché ogni uomo si mara‘iglia che il Creatore siasi fatto creatura e poco se discerne e poco si arriva a comprendere. Dio, dando il libero arbitrio, fece l’uomo somigliantissimo a sè. L’uomo poi si fece dissimigliantissimo a Dio col peccato. Beatrice quindi primamente tocca la creazione dell’universo, e la partecipazione della ragione, e libero arbitrio all’uomo, di cui niun dono poteva esser più grande, se era participazione della divinità, la divina bonta che da se sperne la bontà di Dio che da sè discaccia ogni livore ogni invidia: Platone dice che l’invidia fugge l’ottimo ardendo in se favilla si che dispiega le bellezze eterne ardendo in sè stessa emana le faville che spiegano alle intelligenze le eterne bellezze. cio che da lei senza mezzo distilla ciò che da lei immediatamente proviene non a poi fine è eterno per- che la sua impronta non se move quand ella sigilla perché la sua impronta quando viene da lei non si cancella: cio che piove da essa sanza mezzo ciò che vieneda essa immediatamente e tutto libero da ogni alterazione, corruzione, coazione perche non .sogiace a la virtute de le cose nove perché non è sottoposta al potere delle cose create, o cause seconde, pianeti, stelle. Piu gli e conforme e pero piu li piace ciò che Im mediatamente viene dalla divina bontà più a lei si rassomiglia e quindi più le piace che I ardor saneto l’amor divino chogni cosa ragia riempie del suo lume e piu vivace ne la

piu sim4jliante più risplende in quello che più gli somiglia. [p. 163 modifica]

canto
VII. 1?$5

peresempio nell’angelo e nell’ uomo. lumana creatura s avvantagia di tutte queste cose della libertà dell’arbitrio, dell’immortalità. L’uomo pel libero arbitrio è in condizione di maggior merito, perchè l’angelo non può peccare: e s una manca convien che cagia di sua nobilita e se perde una delle due sopraddette cose, cader deve necessariamente dalla sua perfezione. come l’una e l’altra perdette il primo padre: solo il peccato e quel che Sa disfranca il peccato solo le fa perdere, ossia fa perdere la libertà ed immortalità et falla dissimile al summo bene rendendola dissimile a Dio perche de lume suo pocho s imbiancha perché dalla grazia di Dio non è più assistita. P.ico, in quanto il peccatore è pur sempre per molti rispetti migliorestante per l’anima, che noI siano le bestie: in sua dignita mai non rivene e la creatura umana mai non ritornaallasuadignì tà, o primo grado di nobiltàsc non riempie dove colpa vota se in contrapposizione al pravodilettamento del peccato non riempie con proporzionata pena il vuoto clic lasciò la colpa nella serie delle opere meritorie con giuste pene contra I dilectar nostra natura quando peccho nel seme suo in Adamo tutta fu remota da queste dignitadi perché si rese mortale, e serva del peccato come di Paradiso fu scacciata quando fu scacciata dal parradiso terrestre. Adamo a ragione si paragona alla salamandra, che al dir (li Plinio, se sale sopra di un albero guasta i frtitti a modo di far morire qualunque ne gusti. ne retrovar poteasi Beatrice dimostra in questo luogo che I’ uomo non era per sè bastante alla riparazione dcl suo peccato. 5 tu badi sottilmentc se tu ben bene consideri per alcuna via sanza passar per un (li questi gradi cioè che Dio, o l’uomo riparasse il fallo dell’ uomo con uno dc’mezzi seguenti o cisc Dio per sua cortesia per

pura bontà e clemenza dimesso havesse avesse perdonata [p. 164 modifica]

paradiso

la colpa o che i om per se isso o che I’ uomo per se stesso havesse soddisfatto a sua follia avesse fatto penitenza del suo peccato. Ficca mo i occhio per entro I abisso de I eterno consiglio fissa adesso la tua contemplazione nella profondità dell, eterno consiglio quanto puoi discretamente fisso quanto più puoi acutamente ai mio pariar al mio discorso. non potea I om ne li termini suoi mai sodisfar per non poter ir giuso con humiltade obediendo poi quanto disobidiendo intese suso non poea I’ uomo nella sua umanità mai far tanto di dovere essere ai di sotto, quand’ anche dopo avesse obbedito al precetto che violò colla smania d’andare in su, ovvero qualunque penitenza avesse fatta l’uomo, non sarebbe stata proporzionata alla gravità dell’offesa fatta a Di’). Così un angelo non avrebbe potuto riparare, pcrchè anche l’angelo pci primo tentò di farsi simile a Dio, e questa e la ragion perchè i om fu dischiuso da poter soddisfar per se e questa è la ragione per cui 1’ uomo fu escluso di poter ricuperare lo stato ii’ innocenza per sè stesso, se non pagato il fo della colpa. Perchè poi il solo Dio poteva farlo per tutti, e non lo doveva che L’uomo, perciò fu convenientissimo riparare al genere umano con Dio creatore dell’ uomo, che assunse la natura dell’uomo. E siccome il principio effettivo delle cose non potè essere che Dio, essendo io stesso riparare alle cose create che metterle in essere, così convenne che il Verbo increato avendola creata la riparasse col Verbo incarnato; donque a Dio convenia riparar i orno a sua vita intera vita pura, primitiva con le sue vie che sono due, giustizia e misericordia; dico con luna colla giustizia ovver con ambedue colla giustizia e misericordia, ma la divina bonta che ilmundo imprenia informa con

principio formale fu contenta di proced.er per tutte te sue vie [p. 165 modifica]

canto
Vii.

cioè colla giustizia insieme a misericordia a rilevarsi suso a rialzarsi dallo stato di peccato a quello di grazia perche i opera e tanto piu gradita de i operante quanto piu apresenta de la bonta dei core und ella e uscita perchè 1’ opra dell’ a- gente è tanto più gradita quanto più mostra la bontà del cuore dell’agente stesso. Zalengo legislatore tenne questa norma nell’amministrazione dello stato mondano usando la giustizia e misericordia in modo che 1’ una non fosse di pregiudizio all’altra. Sancì una legge che all’ adultero fossero cavati tutti due gli occhi. Il proprio figlio fu colto in adulterio, ed il padre stette fermo nel volere eseguire la legge; ma vinto dalle preghiere di tanti fece cavare un occhio al figlio, ed uno se ne cavò egli stesso. L’eterno giudice fu severamente giusto contro il peccato de’ primi genitori, e finalmente cedette alle preghiere de’santi Padri e di tante altre anime giuste, ed usò di misericordia, facendo soffrire al Figlio suo la passione della croce. ne si alto e si magnifico processo nè tanto magnifico ed eroico procedimento o per i una o per i altra per la giustizia o per la misericordia fue e fla fu e sarà tra i ultima nocle e i primo die dalla fine al principio del mondo che perché più largo fu Dio a dar se stesso unendo la divinità all’ umanità per far i om sufficiente a rilevani per render 1’ uomo capace a rialzarsi dallo stato di peccato che se i havesse sol da se dimesso di piello che se lo avesse soltanto perdonato: e tutti gli altri modi erano scarsi modi di riparare alla iusticia divina se Ifigliol di Dio non fosse humiliato a inearnarsi se il figlio di Dio non si fosse umiliato a vestire umana carne. Nella incarnazione apparve la potenza del Padre, la sapienza del Figlio, l’amore dello Spirito Santo. Del peccato si deve subire la pena secondo giustizia: perdonano senza pena era contro la giustizia divina,

non perdonano contro la divina misericordia. [p. 166 modifica]

paradiso

Dio crea alcune cose mediante la natura, e tale creazione non si distingue dall’ operazion di natura, perché in ciò Dioe natura operano insieme. Altre poi ne crea Dio immediatamente, e soprannaturalmente come le anime ragionevoli, or retorno a dechiararti in akun loco una ricerca fattami superiormente perche tu vegi li cosi com io per chiarirti del tutto. Puoi tu dire ed obbiettarmi io vegio ilfoco I acre la terra I acqua quattro elementi e tutta br inisture tutte le cose composte dalla mistura di questi clementi venir a corruption e durar pocho presto ve• nire a corruzione, e poco durare e queste cose pur furon crea. ture e queste cose furono anch’esse create da Dio; perche se cio che e vero e stato vero dunque se ciò che dicesti è vero esser dovriano secure di corruption anche queste cose dovrebbero essere incorruttibili ed eterne. o frate fratello gli angeli e I paese sincero nel quale tu sie se posson dir creati si come sono in loro essere intero gli angeli e le celesti regioni in cui ora ti trovi, si possono dire creati, come lo sono, in modo incorruttibile perchè perfetti. ma li etementi che m ai nomati e sui quali versa il tuo dubbio e quelle cose che di br si fanno la mistura di essi elementi sono informati da virtu creata da influsso dcl cielo, pel cui moto la virtù informativa entra nella materia preesistente imprimendovi varie forme, che dànno un essere singolare alla cosa per cui si distingue da un’ altra creata fu la materia che egli hanno fu creata la materia preesistente; creata fu la virtu informante fu creato 1’ influsso in queste stelle che intorno a br vanno movendosi le sfere celesti intorno alle elementari. Siccome ne’ corpi qualche cosa è mediante il cielo, come gli elementi, e gli elementati, e qualche cosa immediatamente da Dio come gli stessi cieli, così alcune soggiacciotio all’influsso di cielo, e quindi sono

(‘Orruttibili e inrtali . altre poi non vi soggiacciono e soiio [p. 167 modifica]

canto
I1 fli7

incorruttibili ed eterne: lo ragio e i moto de le luci sancle l’influsso, e poter delle stelle lira i anima d ogni bruto e delle piante de complexion polentiata l’anima sensitiva de’ bruti, e la vegetativa delle piante viene dalle stelle, ma la summa benignantia ma la bontà di Dio spira vostra vita sanza mezzo infonde nella nostra vita o corpo, senza mezzo di altra cosa creata, l’anima ragionevole e la innamora di se perché l’amore di Dio è l’amore naturale dell’anima si che poi sempre la dezira sicchè poi sempre desidera tornare al primo principio. Perchè poi Iddio sommamente buono e perfettamente beato fu ab eterno, e volle far l’uomo partecipe della stia beatitudine da non godersi che per mezzo dell’intelletto, giacché quanto più s’intende tanto maggiormente si gode, quindi infuso l’anima ragionevole perché jntendesse, ed intendendo amasse, ed amando possedesse, e possedendo godesse. Le anime sono associate al corpo, perché si somiglino a Dio, e meritino il vero e sommo bene. Il naturale appetito poi non permette che l’anima nostra sia pienamente beata, se non le si restituisca il corpo col quale operò, dovendo ogni opera godere di un premio, o soffrire una pena e quinci e dalle dette cose poi argomenta ancora nostra resurrection: per risurrezione s’ intende la ricongiunzione dell’anima col corpo nel giorno del giudizio finale se tu ripensi richiami alla memoria, e consideri a quanto diSSi della creazione del primo padre còme i umana carne fes. se allora fosse creata perfetta da Dio senza il mezzo del cielo, ovvero che prima del peccato era immortale, e quindi incorrultibile che li primi parenti intrambi fensi della qual carne furono formati Adamo ed Eva; i corpi dunque de’ beati torneranno

ad essere incorruttibili, e saranno glorificati in Paradiso. [p. 168 modifica]

canto
VIII.
         TESTO MODERNO

Solea creder lo mondo in suo periclo, Che la bella Ciprigna il folle amore Raggiasse, volta nel terzo epiciclo. 3 Per che non pure a lei faceano onore Di sagrifici e di votivo grido Le genti antiche nell’antico errore; 6 Ma Dione onoravano e Cupido; Questa per madre sua, questo per figlio, E dicean ch’ei sedette in grembo a Dido: 9 E da costei, ond’io principio piglio, Pigliavano il vocabol della stella, Che il Sol vagheggia or da coppa, or da ciglio. 12 lo non m’accorsi del salire in ella: Ma d’ essenvi entro mi fece assai fede La Donna mia ch’io vidi far più bella. 15 E come in fiamma favilla si vede, E come in voce voce si discerne, Quando una è ferma, e l’altra va e riede; 18 Vidi io in essa luce altre lucerne Muoversi in giro più e men correnti, Al modo, credo, di lor viste eterne. 21 Di fredda nube non disceser venti, O visibili o no, tanto festini,

Che non paressero impediti e lenti 24 [p. 169 modifica]

canto
Vili. l9

A chi avesse quei lumi divini Veduto a noi venir, lasciando il giro Pria cominciato in gli alti Serafini: 27 E dentro a quei che più innanzi appariro, Sonava Osanna si, che unque poi Di riudir non fui senza desiro. Indi si fece l’un più presso a noi, E solo incominciò: tutti sem presti AI tuo piacer, perchè di noi ti gioi. Noi ci volgiam coi principi celesti D’un giro, d’un girare e d’una sete, A’ quali tu nel mondo già dicesti: Voi, che intendendo il terzo Ciel movete; E sem sì pien d’amor, che, per piacerti, Non fia men dolce un poco di quiete. 39 Poscia. che gli occhi miei si furo offerti Alla mia Donna reverenti, ed essa Fatti li avea di sè contenti e certi, 42 Rivolsersi alla luce, che promessa Tanto s’avea; e: deh chi siete, fue La voce mia di grande affetto impressa. E quanta e quale vid’io lei far piue Per allegrezza nuova che s’accrebbe, Quand’io parlai, all’allegrezze sue! 48 Così fatta, mi disse, il mondo m’ebbe Giù poco tempo; e, se più fosse stato, Molto sarà di mal che non sarebbe. La mia letizia miti tien celato, Che mi raggia dintorno e mi nasconde, Quasi animai di sua seta fasciato. 54

Assai m’amasti, ed avesti bene onde: [p. 170 modifica]160

paradiso

Clic, s’io fossi giù stato, io ti mostrava Di mio amor più oltre che le fronde. Quella sinistra riva che si lava Di Rodano, poich’è misto con Sorga, Per suo sigòore a tempo m’aspettava; 60 E quel corno d’Ausonia, che s’imborga Di Bari, di Gaeta e di Crotona, Da ove Tronto e Verde in mare sgorga. 63 Fulgeami già in fronte la corona Di quella Terra che il Danubio riga Poi che le ripe tedesche abbandona: 66 E la bella Trinacria, che calìga, Tra Pachino e Peloro, sopra il golfo Che riceve da Euro maggiori briga, 69 Non per Tifèo, ma per nascente solfo Attesi avrebbe li suoi regi ancora Nati per me di tarlo, e di Ridolfo, 72 Se mala signoria, che sempre accora Li popoli soggetti, non avesse Mosso Palermo a gridar: inora, mora. Th E se mio frate questo antivedesse, L’avara povertà di Catalogna Già fuggiria, perché non gli offendesse; 78 Chè veramente provveder bisogna Per lui o per altrui, si che a sua barca Carica più di carco non si pogna. 81 La sua natura, che di larga parca Discese, avria mestier di tal milizia Che non curasse di mettere in arca. 84 Però ch’io credo che l’alta letizia

Che il tuo parlar m’infonde, signor mio, [p. 171 modifica]

canto
VIII. 161

Ove ogni ben si termina e s’inizia, 87 Per lesi veggia, come la veggo io: Grata m’è più, e anche questo ho caro, Perchè il discerni rimirando in Dio. 90 Fatto m’hai lieto; e così mi fa chiaro, Poi che parlando a dubitar m’hai mosso, Come uscir può di dolce seme amaro. 93 Questo io a lui; ed eglia me: s’io posso Mostrarti un vero, a quel che tu dimandi Terrai il viso, come tieni il dosso. 96 Lo Ben, che tutto il regno che tu scandi Volge e contenta, fa esser virtute Stia provvedenza in questi corpi grandi; 99 E non pur le nature provvedute Son nella mente che è da sè perfetta, Ma esse insieme con la br salute. 1O2 Perchè quantunque questo arco saetta Disposto cade a provveduto fine, Si come cocca in suo segno diretta. Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine Producerebbe sili suoi effetti, Che non sarebbero arti, ma ruine: 108 E ciò esser non può, se gi’ intelletti, Che movon queste stelle non son manchi, E manco il primo, che non gli ha perfetti. 111 Vuoi tu che questo ver più ti s’imbianchi? E io: non già, perché impossibil veggio Che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi. 114 Ond’egli ancora: or di’, sarebbe il peggio Per l’uomo in terra, se non fosse cive? Sì, rispos’io, e qui ragion non cheggio: 117

R MIAI TN — VO?. . I I [p. 172 modifica]162

paradiso

E può egli esser, se gitì non si vive Diversamente per diversi ufici? No, se il maestro vostro ben vi scrive. 120 Ci venne deducendo insino a quici; Poscia conchiuse: dunque esser diverse Convien dei vostri effetti le radici. 123 Perché un nasce Solone, e altro Serse, Altro Melchisedech, e altro quello, Che, volando per l’aere, il figlio perse. 126 La circular natura, ch’è suggello Alla cera mortal, fa ben sua arte; Ma non distingue l’un dall’altro ostcilo. 129 Quinci addivien ch’Esaù si diparte Per seme da Jacob, e vien Quirino Da sì vii padre che si rende a Marte. 132 Natura generata il suo cammino Simii farebbe sempre a’generanti, Se non vincesse il provveder divino. 13 Or quel che t’era dietro t’è davanti; Ma perché sappi clic dite mi giova, Un corollario voglio che t’ammanti. Sempre natura, se fortuna trova Discorde a sè, come ogni altra semente Fuor di sua region, fa maia prova. 141 E se il mondo laggiù ponesse mente Al fondamento che natura pone, Seguendo lui, avria buona la gente. Ma voi torcete a la religione Tal che fu nato a cingersi la spada, E fate re di tal ch’ è da sermone:

Onde la traccia vostra è fuor di strada. [p. 173 modifica]

canto
Viii. 163

COMMENTO Dl BENVENUTO Anime beate nel cielo di Venere. Si divide il canto in tre parti. Nella prima, Dante ascende aLla stella cli Venere, e descrive Le anime inclinate alla passione d’ amore. NelLa seconda, incontra un’ anima illustre moderna. Nella terza, muove un dubbio che tratta in curiosa maniera. Venere fu veramente donna dr Cipro estremamente bella, e lussuriosa, ed i poeti dicono che sposasse Vulcano dio del fuoco e dio della carnale concupiscenza. Nata da Giove e da Dione figlia dell’Oceano per la maravigliosa bellezza, e libidine chiamata Venere, madre di Amore, venerata qual Dea, presso Pafo ebbe primamente un’ ara e tempio. Il culto maggiore a Venere fu prestato dai libidinosi cipriotti che lo diffusero fra i greci, fra i romani, e perfino fra i barbari. Il popolo, ed i grandi prestarono tal culto anche ne’lupanari. La sola Messalina imperatrice basta a mostrarne la storica verità, e Giovenale aggiunge che dessa lo abbandonò stanca ma non sazia. Quei di Cipro conducevano le loro vergini al lido del mare, perché col prezzo delle primizie verginali offerte a Venere si componesser la dote. Ed il concorso era molto, perchè il prezzo era tenue. Giustino, attesta nelle Calabrie frai locresi lo stesso costume. lo mundo solea ereder in suo pendo il mondo era solito di ritenere a sè dannoso che la bella Ciprigna raggiasse che Venere inspirasse cdgl’ influssi suoi ci folle amore I’ amore sensuale. L’amore è di vìrie sorta; amore di amicizia che è amor di virtù; amor di senso, e lascivia, cagione de’ mali più gravi, e di questo parla Dante volta nei terzo epiciclo girante, volgentesi nel terzo cielo. Epiciclo è quel piccolo cerchio, nel quale particolarmente ciascun

pianeta si aggira di proprio [noto da occidente in oriente, [p. 174 modifica]164

paradiso

mentre vien portato (tal primo mobile all’opposto. Ogni pianeta ha il suo epiciclo, meno il sole, il quale se fosse retrogrado impedirebbe il corso del giorno, del mese, dell’anno, e le generazioni perche le genti antiche il perchè gli antichi, e specialmente quei di Cipro nell antico errore del paganesimofacea honore di sagrificii e di votivo grido onoravano di sagrifizì, e di preghiere non pur a lei non Venere soltanto ma honoravano Dione e Cupido ma facevano sagrifizi e preghiere anche a Dione, cd al fanciullo Amore, perché la prima produsse tal figlia, e perché la figlio produsse il fanciullo che spinge il genere umano a procreazione e diletto quella per madre sua questo per figlio. Il poeta Ausonio scrive che A- more preso dalle donne fu confitto in croce, per insegnare così che il cieco amore è degno della croce. Virgilio pure ci narra che Venere madre di Enea mandò il figlio in figura di Ascanio ad accendere fiamme d’ amore nel petto di Didone e dicean eh el sedette in grembo a Dido allude a quanto scrive Virgilio sull’ innamoramento di Enea e Didone. Eda costei da Venere ond io principio piglio dalla quale principia il mio canto il vocabol di la stella prendenndo il nome dal pianeta, dicendolo di Venere. Muta poi nome, e chiamasi Lucifero se precorre al sole; chiamasi Espero se va dietro al sole che i sol vagheggia or da coppa or da ciglio or da oriente, or da occidente. io non mi accorsi di salir in ella fu così rapido il passaggio nel pianeta di Venere, che non m’accorsi. ma la donna mia Beatrice eh io vidi far piti bella che quanto più ascendeva rendevasi più spiendiente mi fece assai fede d esservi entro mi rese certo che eravamo dentro del pianeta. Venere, secondo gli astrologi, è pianeta di fortuna, significando gioventù, sollazzo, ornamento, riso, di1d

b, soavità, amore, amicizia. Il pianeta è caldo ed umido, [p. 175 modifica]

canto
VIII. I6

bianco e splendido: a lui si attribuisce 1’ influsso ad ogni voluttà. Dante pone in questo pianeta quegi’ illustri, clic furono bensì soggetti a lei ma non pertanto vissero bene, e bene morirono, e vidi io in essa luce nel pianeta di Venere altre lucerne altre anime di lei seguaci, che d’ordinario sono le più belle moversi in giro piu e men correnti muoversi intorno più e men veloci credo al modo di br viste interne a seconda delle loro interne visioni, (la ciò misurandosi il loro grado di gloria come favilla si vede in fiamma la favilla è lieve, lucida, ardente, veloce al pari delle anime di quel pianeta ecome voce si discerne in voce nel coro quand una e ferma et altra va eriede quando una si ferma, l’altra scorre per (liverse modulazioni. venti o visibili o no i vapori caldi sono luminosi, ma i freddi oscuri non disceser di fredda nube tanto festini non discesero da fredda nube così veloci che non paresser impediti e lenti che non sembrassero trattenuti e tardi a chi avesse veduti quei lumi divini a chi avesse vedute quelle anime beate, quelle lucerne correrci incontro lasciando il giro pria cominciato in gli altri Seraphini lasciando il giro che fa Venere per impulso del primo mobile,cui presiedono i sevafini; et Osanna voce ebraica, che significa immenso affetto, che non può bene esprimersi nè in greco, nè in italiano, eche noi prendiamo per Salvatore — sonava dentro a quei si cantava in mezzo a quegli spiriti che piu nanci appariron che vennero innanzi si tanto dolcemente che un qua poi non fui sanza disiro di riudire che sem pre poi desidera i di tid i re di nuovo. A Carlo Il, bellissimo di corpo, e molto lussurioso, vivente il padre e dopo la di lui morte, ebbe molti figli da Maria figlia di Stefano re di Ungheria, il primo de’ quali fu Carlo Martello

clic premnorì al padre. Il secondo fu Lodovico semplice, che [p. 176 modifica]166

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professò voti di frate minore. Il terzo fu Roberto che successe nel regno al padrll predetto Martello giovane ancora si mostrò figlio di Venere, perché amoroso, grazioso, vago7ieno di attrattiva, sanità, bellezza, ricchezza, ozio e gioventù. Dante ebbe con lui,famigliarità, colla 1’ occasione dell’ arrivo di Carlo a Fiore’nza in compagnia di altri duecento giovani legantemente vestiti sopra cavalli magnificamente bardati Le sirene fiorentine Io divoravan con gli occhi, ed ebbe in città le più onorevoli, accoglienze. Era venuto ad incontrare il padre il quale tornava,alla pace fatta con Giacomo re di Aragona, e presso deI quale aveva tre figli in ostaggio, Roberto, Raimondo e Giovanni. Dante..eva allora ventique anni, e pieno di amori, s’immergeva ne’suoni, e canti, eLmeritò gli sguardi distinti’d,,Carlo Martello, che nello stesso anno morì insieme colla moglie CIemenza indi I un se fece piu presso di noi indi uno si avanzò più degli altri incontro a noi e solo incomincio — a dire — tutti sem presti al tuo piacereperchedinoi ti giovi noi tutti siamo disposti a fare quanto ti piace, perché gioisca di noi: noi civolgiam cum i principi celesti noi ci moviamo insieme cogli angeli ai quali tu del mundo ai quali angeli tu mondano già dicestL— voi che asceden7 do il terzo ciel movete principio d’ una bella canzone dì Dante, dove parla alle stesse intelligenze, ccl ammette un solo ordine di angeli d un moto d un girar et d una sete dentro la medesima orbita, con un medesimo circolare movimento, e col medesimo desiderio e tendenza e sem si plen d amore che per piacerti non fla men dolce un poco di quiete e siamo tanto pieni di carità, che non ci sarà meno dolce un poco di quiete dal moto, e dal canto per compiacerti. Poscia che gli occhi miei si furo offerti riverenti a la mia donna dopo avere espressa la venerazione per mezzo [p. 177 modifica]c.rto VIII. 167 degli occhi a Beatrice el essa gli avea faeti contenti e certa di se mostrando nei di lei occhi sfavillanti d’amore connivenza e consenso a la luce all’anima beata di Carlo Martello rivolsersi si volsero che tanto s avea promessa che tanto volentieri offerta si era e la voce mia impressa di grande affe cii., e la mia voce, colpita dalla affettuosa offerta , fue fu tale deh che siete vi prego degnarvi dirmi chi siete. L’anima di Carlo fattasi più bella alle parole di Dante risponde che sebbene i destini gli avessero fatto sperare felice sorte in terra, tosto si ricredettero e così faeta quell’ anima di Carlo PIù bella quanta ci quale vid io lei far più come, e quale la vidi io farsi per alegrezza nova per maggiore letizia che essa erebbe che si aumentò quando parlai alle alegrezze sue alla sua beatitudine mi disse così mi disse: il mundo m ebbe gia poco tempo poco vissi o se piu fossi stato se più avessi vissuto molto sara di mal che non sarebbe ora accadono mali, che non sarebbero accaduti. la mia letitia la mia beatitudine mite ten celato mi trasforma sì che non puoi riconoscermi che mi ragia d intorno e me nasconde quasi animaI di sua seta fasciato perché la mia beatitudin coi raggi intorno mi nasconde come il baco da seta involto nel bozzolo suo: assai m amasti et ha- vesti ben onde molto mi amasti ed avesti motivo cli amarmi che se io fossi gia stato che se io fossi vissuto più a lungo io ti mostrava di mio amore piu oltre che le fronde Li avrei mostrato i frutti dell’ amore che mi portavi. \ Quella sinistra riva la Provenza che se lava di Rodano fiume rapacissimo poi che e misto con Sorga dopo essersi unito coli’ altro fiume Sorga presso Avignone, luogo notissimo per le rime del Petrarca, che ivi dimorò molto tempo e cantò — Sorga re de’fonti —per suo signor a tempo maspectava mi aspettava successore nel retaggio di mio padre. L’ italia, bellissima regioDigitized

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paradiso

ne è lunga e str’tta qual nave: è penisola, ed a mezzogiorno ha il mar Tirreno, a settentrione l’Adriatico, ad oriente il Faro di Messina, e ad occideqte alti monti che la dividono dalla Gallia, e dalla Germania: per dirla in breve, ha la figura di uno stivale colla coscia e piede. Nella coscia è compresa la grande e forte provincia dì Lombardia; la Toscana e Roma formano il ginocchio, e così a poco a poco si estendono, o si restringono le altre di lei parti. Il regno di Carlo abbracciava quasi la metà (l’italia verso oriente avendo la Campania dove è Napoli capitale, Puglia, Sannio, Calabria, e molte altre provincie e quel corno d Ausonia e quella parte d’ Italia: Ausonia fu parte del Lazio dove è Roma, e dove furono tanti popoli latini; ma ora si prende per la intera italia, come per la Italia si prende il Lazio da molti poeti clic $ imborga che è popolata di Bari città stili’ Adriatico nota per san Nicolò di Gaeta città sul mare toscano così detta dalla nutrice di Enea et di rptona città nell’ estremo d’italia, quasi alla punta del corno la dove donde Tronto fiume presso Escolo fra Puglia e Marca e Verde altro fiume in cui furonogettate iercliquiedi Manfredi in mare sgorga si scaricano nel mare. Carlo Martello fu coronato re d’ Ungheria, vivente il padre, essendo morto il re Stefano senza figli. Descrive il regno di Ungheria da un solo famosissimo fiume, che nasce dalle Alpi germane, scorre dall’ Austria in Alemagna, in Ungheria, nella Mesia, e per altre terre barbare e lontane: riceve sessanta gran fiumi, e per sei o sette foci si scarica nel Ponto, o Mar Maggiore, quattro delle quali diconsi navigabili, le altre no. la corona fulgeami in fronte il diadema cingeami la fronte, quantunque certo Andreasio ungarese avesse occupato il regno di quella terra che I Danubio riga di quei regno bagnato dal

Danubio, (letto altrimenti istro, poi che le ripe todesche [p. 179 modifica]

canto
VIII. 169

abbandona dopochè abbandona I’ Alemagna superiore. L’Etna nel mezzo di Sicilia è monte famoso in tutti i tempi, il quale sempre arde, e dalla vetta vòmita globi di fuoco, e materie bituminose o minerali, ora più ora meno grandi, per lo solfo che ha nel seno, al dir ii Ovidio nel X delle Maggiori. Egli dice ancora che Etna cesserà di ardere consumata la materia dello zolfo. Seneca scrive a Lucillo che brama la spiegazione di due fenomeni, cioé che 1’ Etna vada mancando perchè di rado si vedono dai naviganti le fiamme, e che alle radici del monte si trovino ameni fiori, fonti e verdure, I poeti fusero che Vulcano ivi fabbricasse i fulmini a Giove, e che Tifeo sotto del monte, gigante immane, vomiti tanto incendio. lo ritengo che Dante abbia voluto significare che la tirannia rappresentata dall’Etna esala sempre i mali, come l’Etna le fiamme, e come si avverò in Dionisio tiranno di quell’isola. e la bella Trinacria la Sicilia, la più bella e più fertile delle isole, così chiamata dai tre promontorii Lilibeo, Pa- chino e Peloro, il perché vedesi triangolata che caliga clic si copre di caligine, di fumo sopra i golfo che riceve da Euro maior briqa sopra il golfo di Catania che è sempre tempestoso, perché esposto al vento Euro che vi predomina non per Tipheo ovvero per Encelado ma per nascente zolpho non perchè sotto 1’ Etna sia sepolto il gigante Tifeo, ma per zolfo acceso dai venti accessi harebbe avrebbe avuti li suoi regii ancora i suoi re nati per me di Carlo di Carlo I, di Carlo Il e fossi sopravvissuto a Carlo III al padre e di Ridolpho d’Ausburg imperatore, la figliuola del quale, Clemenza, come si disse, aveva egli sposata. Giovanni da Procida, isola nel mar di Napoli, notaio di Manfredi, il più sagace di tutti gli uomini, non potendo più ollre tollerare le angherie e libidini francesi, esercilate fin [p. 180 modifica]W L/4ÉWF,, (4. Lr44. L,

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sopra sua moglie, dissirnulò la ingiuria, e fìngendosi prima pubblicamente pazzo, chiamò a segreto congresso molti siciliani, e tiglio di Mercurio, ossia eloquente, col più caldo discorso trasse nel suo partito gli animi de’ convocati nella determinazione di liberarsi dalla tirannìa francese. E priniamente andò a Roma, ed introdottosi presso papa Nicolò III degli Orsini, che sapeva esser contrario a Carlo, tanto disse, che oLtenne promessa di essere favorevole all’ impresa non solo colle armi, ma di più colle immense di lui ricchezze. Avuto in genere l’assenso del papa, convocò di nuovo i compagni, che rese animosi col racconto della promessa del pontefice, e fece giurare ciascuno sopra di un anello, che non avrebbero mancato nè di vita nè di beni. Tornò da Nicolò III esponendo essere necessarie tre cose all’arduo tentativo, ottenute le quali si assicurava della riuscita. — Consenso del papa in i- scritto — denaro — soldati. — Rispetto al primo, ebbe lettere papali da Pietro d’Aragona genero di Manfredi, re avidissimo di cose nuove, e per fortezza e coraggio a niuno secondo, Indi visitò I’ imperatore di Costantinopoli nemico di Carlo, perchè aveva saputo che costui, preparata una flotta navale, ed un forte esercito stava per invadergli il regno, ed ottenne promesse di soccorso. Col re aragonese poi concertò, per allontanare ogni sospetto da Carlo, che fingesse di voler cornbattere Cartagine, e facesse leva a quest’oggetto di soldati. li papa si sarebbe servito di tale pretesto per mandare soldati a difendere la fede di Cristo. E nel mentre il re andava verso l’Africa, Giovanni tornato in Sicilia, tutto ordinò per effettuare l’impresa. Nel giorno ed ora fissata infatti tutti i francesi senza distinzione e misericordia furono trucidati, non risparmiando neppure il feto nell’ utero materno, onde

l’odiata stirpe si estinguesse del tutto. [p. 181 modifica]

canto
Viii. 171

Nel punto della strage il re Pietro dal mare africano giungeva in Messina e toglieva il regno a Carlo nell’anno XVI dacchè lo aveva con tante guerre difficilmente acquistato, per opera di Giovanni privato, e che aveva ricevuta imperdonabile offesa neI violato onor della moglie, se mala signoria se la tirannia francese che sempre accora li popoli subiecti che dispone alla vendetta i popoli oppressi non havesse mosso Palermo a gridarmora mora accenna con ciò ai predetti Vespri siciliani. Nè Carlo poscia nè mai più i di lui discendenti ebbero dominio in Sicilia, anzi lo stesso Carlo poco dopo mrì di dolore, lasciato un figlio prigioniero, ed il regno in confusione ed anarchia: e se mio frate mio fratello Roberto questo antivedesse da tale esempio prendesse tiorma I avara poverla di Catalogna gia fuggiria Roberto mentre fu in ostaggio in Catalogna conobbe molti signori di que’ luoghi, e li condusse seco ed innalzò a cariche eminenti Essi, come stranieri ed affamati, divoravano insieme col loro protettore le viscere dei miseri popoli. Interrogato l’Africano minore dal senato quale fra il povero e 1’ avaro dovesse mandarsi a governar una provincia, rispose, l’uno e l’altro, perchè uno non ha nulla, ed !! all’altro niente basta perche non gli offendesse perchè la rapacità di quegl’impiegati non opprimesse gli stessi catalani che vèramenteprovveder bisogna per lui, o per altri imperocchè alla Catalogna abbisogna un re, od altro governante capace e giusto si che a sua barca carcata piu di carco non sipogna affinchè al male, che è or sommo, non si aggiunga altro male. Il nocchiero capace, sovrastando burrasca, alleggerisce la nave per condurla a salvezza, la sua natura che di larga discese parca la natura di Roberto, che da liberale divenne avara avria mestier di tal milizia che non curasse di

metter in arca avrebbe mestieri di ministri che non fossero [p. 182 modifica]172

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rapaci ed avari. Varie ed opposte sono le opinioni sopra hoberto; e due poeti fiorentini battono opposta strada. Petrarca mette Roberto alle stelle, capace di tutte le arti e scienze, e dotato di ogni virtù. Forse così voleva gratitudine, perchè molto da Roberto onorato, e da lui ebbe laurea nel Campidoglio: Dante all’incontro lo taccia di avarizia, che egli tanto odiò. Ed io pure potrei con alcuni fatti confermare l’opinione di Dante. Roberto aveva detto un giorno al suo cancelliere; — Lo spirito spira dove vuole — ed il cancelliere scherzando gli rispose — e Roberto pela dove vuole. — Dante allora — il piacere, che mi recasti, o Carlo, coi tuo racconto, si fa maggiore dal riflesso che tu in me, ed io in te conosco la verità che tu scorgi in Dio stesso; e quindi mi fa ardito di farti un’ altra dimanda pero eh io credo che latta leticia che I tuo pariar m infonde per te si vegia ove ogni ben si termina e s initia perciocchè io credo che in questo luogo. ove ogni lume ha la origine e fine, l’alta letizia che il tuo parlar m’infonde da te si conosca, come la conosco io che la provo come la vegio io o la P(WO io stesso; grata m e pin el anche questo o caro mi è più grata, e quest’ aumento mi è caro ancora perche I discerni rimirando in Dio come in uno specchio in cui riluce ogni vero. Quindi faeto m ai lieto dicendomi apertamente il vero che parlando di tuo fratello a dubitar mai mosso ed ecco il dubbio come esser puo di dolce seme amaro? come un amaro frutto può nascere da dolce seme, ossia come Roberto avaro può esser nato da Carlo li liberale. Questo io a lui et clii a me e Carlo Martello mi rispose io posso mostrarti un vero a quel che tu dimandi con tanto ardore terrai il viso come tieni il dosso io ti

farò conoscere la vera soluzione (lei tuo dubbio, se pervcirai [p. 183 modifica]

canto
VIII. 173

a concepire quello che non intendi. Molti sapienti si maravigliarono, come da un padre magnanimo nasca un figlio vile, come accadde a Scipione ed a Cicerone, il primo de’ quali ebbe un tristo figlio, l’altro un figlio tristo e briaco. E Dante stesso che tanto odiava l’avarizia ebbe un figlio avaro. Accade però anche al contrario, perchè da pessimo padre nasce un ottimo figlio: lo ben che tutto il regno che tu scandi volge e contenta fa esser virtute sue provvedentie in questi corpi grandi Iddio che lutto il cielo che tu sali rende contento col desiderio di avvicinarsi all’Empireo, fa che l’attività di esso cielo tenga le veci della sua provvidenza in queste sfere, che mandano i loro influssi sulle cose terrene. AI ben essere del mondo è necessaria la diversità, prodotta dalla causa prima o provvidenza divina, poi dalla causa seconda od influsso, ed in ultimo dall’ industria umana. Dio diede virtà ai cieli di ridurre ad atto quanto è nessario nel mondo. etnon per le nature provedute sono in la mente ch e da se perfecta e non solo le nature provvedute sono dalla mente divina ma esse insieme con la br salute son provise ma essi enti, esse nature hanno provvisto alla loro conservazione.perche quatunphequest arco saetta perchè tutto ciò che questa attività, questa virIiì move, anima, influisce cade disposto a provedulo fine dirigge al vero fine come saetta diretta allo scopo si come cosa in suo segno directa. Quando questo non fosse se ciò non fosse — il ciel che tu camini producerebbe si li suoi effecti le sfere che tu sali eserciterebbero in tal modo il loro influsso che non sarebber arti ma ruina che non sarebbero provvidenza, ma confusione e mina, e cio esser non puo se glintelecti e ciò non è possibile, perchè le intelligenze angeliche non son manchi non son difellose che movon queste stelle

queste sfere e manco il primo e meno poi il primo intelletto, [p. 184 modifica]174

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la prima intelligenza, cioè Dio che non gli a perfecti che non fece del tutto perfette dette intelligenze angeliche, ma sono però le meno imperfette di tute le creature. Voi tu che questo vero piu le s imbianchi? Brami che questa verità più ti si dichiari’? et io ed io risposi, non importa che impossibil veggio che la natura in quel ch e opo stanchi è impossibile che manchi natura al necessario, come che diretta da Dio, e dalle intelligenze superne. In seguito del che Io stesso Martello mostra che natura ebbe cura singolare pel uomo perché lo donò flOfl solo della ragione, ma anche io fornì di tendenza sociale; ed i rapporti sociali sono, non utili soltanto, ma necessari. Diede ei all’ uomo la favella per trattare cogli altri dei propri bisogni, e meglio conservare la vita, provvedendo coil’ ingegno e coli’ arte a quanto non provvide natura. 1’ uomo non può godere de’ frutti come vengono dalla terra, ed inventò il pane. Non pago della difesa della propria pelle inventò le vesti con molto artificio costrutte. Le caverne erano poco sicure e mal sane, ed eresse comode case. La partoriente abbisognò di levatrice ond elli ancora il perché lo stesso Carlo Martello soggiunse or di sarebbe iL peggio per I orno in terra se non fosse cive? dimmi, sarebbe più male pei’ uomo se non fosse cittadino congiunto agli altri uomini con legge sociale? si rispos io Dante e qui rason non chieggio: per non perder tempo ne’inolti argomenti che far si ponno e pot egli esser se gia non se vive diversamente per diversi o/flci? e può esser nel mondo vera ciLtadinanza se ciascuno della civile compagnia non vive diversamente per diversi uffizi, opere ed arti a conseguire la felicità? no se il maestro vostro ben vi scrive. No, se Aristotile disse e scrisse il vero, si venne deducendo insino a quivi tali ragioni deDigitized

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canto
Viii. 175

dusse sino a questo punto poscia concluse dunque la radice indi concluse, la causa adunque di vostri effecti convien esser diversa dagli effetii vostri per necessità deve esser diversa perch un nasce Solon Solone filosofo ateniese, uno de’ sette Sapienti, il quale dettò tali leggi, che resero la città chiarissima ci altro Xerse Serse fu l’opposto di Solone, perché distrusse ara, templi, religione e leggi. Potentissimo in armi condusse contro della Grecia un esercito immenso, ma vinto da Leonida, svergognato ed oppresso si ridusse nella Persia: altro McIchisedech primo re sacerdote, che pel primo offerse a Dio il paneed il vinocoi quali si figura Cristo: laltro quello che volando perse ilfiglio Dedalo, che fece le ali al figlio lcaro perché volasse, qual figlio cadde nel mare, ed ivi affogò. La circolar natura, ch e suggello alla cera mortale fa ben sua arie ma non distingue i un dall altro ostello. La virtù attiva de’ cieli circolanti, la quale come fa il suggello nella cera, imprime nei corpi mortali le indoli diverse, fa l’arte sua, ma non differenzia una cosa dall’ altra, e non trasfonde sempre indole regia ai figiluoli dei re, ed ingegno a quelli de’ sapienti; quindi adivien che Esau si diparie per seme de Jacob e vieti Quirino da si vii padre che si rende a Marte quindi avviene ch Esau nasce d’indole tanto diversa da quella di Giacobbe, e Romolo nasce da un uomo sì vile, che cede a Martelagloriachoglivenia dall’essere chiamato padre di Romolo: ogni naturale agente si sforza di produrre l’effetto a sè somIgliante, sicché il padre dovrebbe trovare nel figliosomiglianza non solo fisica ma anche moraÌe,e così il sapiente venisse daI sapiente, il forte dal forte. Ma le tante volte natura trova impedimenti, perché da un uomo dovendo nascere un uomo, accade che sorta una femmina, uomo occasionato secondo AristoLile,

cioè soggiaciuto all’occasione per difetto di calore, o [p. 186 modifica]176

paradiso

per disubbidienza della materia. La sola variazione del Zenit può esserne la cagione. Romolo e Remo gemelli, forti e valorosi, e specialmente Romolo re e vincitore dei re nacquero da vii padre, che in sua vece, come si disse, volle far padre loro il Dio Marte —-, perchè veramente colle armi fondò Roma, quando mai non fosse stato necessario che nascesse da Marte per ravvivare il coraggio de’ combattenti. Come fu una favola che nascesse da un Dio, così fu una favola clic dopo morte addivenisse Dio. Sebbene poi 1’ anima del generante infonda la virtù, non dà per altro I’ intelletto e la r’agionc ed il libero arbitrio, per cui il figlio può addivenire dissimile dal padre nella virtù e ne’ vizi; anzi spesso degenera il corpo per 1’ influsso delle sfere. natura generata a differenza della celeste farebbe sempre il suo camino il suo corso simile ai generanti ai padri se non viiicesse il proveder divino il mezzo dell’influsso celeste. La naturale inclinazione non hasta se non seconda fortuna. Molti che nacquero meccanici, vanno filosofando, ed altri nati filosofi la sorte spinge ne’campi, nelle officine, nelle navi, or quel che I era dietro che ti era nascosto t e davanti or Li è chiaro. Ma voglio che t ammanti che aggiungo un corollario una corolla piccola corona, premio de’disputanti, perche sappi che dite mi giova perchè conosca che voglio giovarLi. Ecco il corollario natura naturata sempre fa mala proba nell’ esercitare il suo potere se trova fortuna discorde a se il figlio del fabbro che abbia influsso di re, non potrà conseguire d’esser fabbro com ogni altra semente fa cattiva prova fuor di sua razon fuori del clima conveniente. lì pepe non nasce in clima freddo, ed il leone non vive nel settimo clima. E se il mundo ponesse mente la giu al fondamento che

natura pone all’ indole spirata dalla virtù de’ cieli seguendo [p. 187 modifica]

canto
vm. 177

lui haria buona la gente seguendo tal indole avrebbe la gente buona, e sarebbe assai minore il numero de’ridicoli, e (te’ balordi, ma voi torcete dalla naturale inclinazione alla religione verso alla religione, ossia fate sacerdote, e religioso tal che fia nato a cingersi la spada chi aveva indole alle armi et fate re di tal ch e da sermone e fate un re ditale che aveva indole di frate e predicatore. É questo un morso al re Roberto il quale meglio che re sarebbe stato un frate da predica. Di- scordano, come fu detto, le opinioni sopra del re Roberto, ma ad ogni modo si mostrò moralissimo, amante di libri, protettore de’ letterati, più carezzando i più degni. Carlo bramava che Roberto si fosse fatto frate, perchè il regno fosse passato all’erede; wide la t’accia ee fuor di strada il vostro cammino, i vostri passi vanno a rovescio.


H--R4MEMD I Vo?. 3. 12 [p. 188 modifica]

canto
IX.

TESTO MOflkRO Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza, M’ebbe chiarito, mi narrò gli inganni Che ricever dovea la sua semenza; 3 Ma disse: taci, e lascia volger gli anni; Sì ch’io non posso dir, se non che pianto Giusto verrà diretro ai vostri danni. 6 E già la vita di quel lume santo Rivolta s’era al Sol che la riempie, Come quel ben che a ogni cosa è tanto. O Ahi anime ingannate, e fatture empie, Che da sì fatto ben torcete i cori, Drizzando in vanilà le vostre tempie! 12 Ed ecco un altro di queglisplendori Ver me si fece, e il suo voler piacermi Significava nel chiarir di fuori. 15 Gli occhi di Beatrice, ch’eran fermi Sovra me, come pria, di caro assenso Al mio desio certificato fermi. IS Deh metti al mio voler tosto compenso, Beato spirto, dissi, e fammi prova Ch’ io possa in te rifletter quel ch’ io penso. ‘21 Onde la luce, che m’era ancor nova, Del suo profondo, onde ella pria cantava, Scguette, come a cui di ben far giova: 24 [p. 189 modifica]GATO ix. 179 In quella parte della Terra prava Italica, che siede intra Rialto, E le fontane di Brenta e di Piava, 27 Si leva uiì colle, e non surge molto alto, Là onde scese già una facella, Che fece alla contrada grande assalto. 30 D’una radice nacqui e io ed ella: Cunizza fui chiamata, e qui rifulgo, Perchè mi vinse il lume d’esta stella. Ma lietamente a me medesma indulgo La cagion di mia sorte, e non mi noia; Che forse parria forte al vostro vulgo. 56 Di questa luculenta e cara gioia Del nostro cielo, che più m’è propinqua, Grande fama rimase, e, pria che muoia, 59 Questo centesimo anno ancor s’incinqua: Vedi se far si dee 1’ uomo eccellente, Sì che altra vita la prima relinqua: E ciò non pensa la turba presente, Che Tagliamento e Adige richiude, Nè per esser battuta ancor si pente. Ma tosto fia, che Padova al palude Cangerà l’acqua che Vicenza bagna, Per esser al dover le genti crude. 48 E dove Sue a Cagnan s’accompagna, Tal signoreggia e va con la testa alta, Che già per lui carpir si fa la ragna. Piangerà Feltro ancora la diffalta Dell’empio suo paslor, che sarà sconcia Sì, che per simil non s’entrò in Malta.

Troppo sarebbe larga la bigoncia [p. 190 modifica]180

paradiso

Che ricevesse il sangue ferrarese, E stanco chi il pesasse a oncia a oncia, 57 Che donerà questo prete cortese, Per mostrarsi di parte; e coLai doni Conformi fieno al viver del paese. 60 Su sono specchi, voi dicete Troni, Onde rifulge a noi Dio giudicante, Sì che questi parlai’ ne paion buoni. 63 Qui si tacette, e fecemi sembiante, Che fosse ad altro volta, per la ruota, In che si mise come era davante. 66 L’ altra letizia, che in’ era già nota, Preclara cosa mi si fece in vista, Qual fin balascio in che lo Sol percuola, 69 Per letiziar lassù fulgor s’acquista, Sì come riso qui; ma giù s’ abbuia L’ombra di fuor, come la mente è trista. 72 Dio vede tutto, e tuo veder s’ inluia, Dissi io, beato spirto, sì che nulla Voglia di sè a te puote esser fula. 7.5 Dunque la voce tua, che il ciel trastulla Sempre col canto di quei fochi pii, Che di sei ale fan nosi cuculla, 78 Perchè non soddisface a’ miei desii? Già non attenderei io tua dimanda, 5’ io rn’ intuassi come tu t’ immii. 81 La maggior valle, in che l’acqua si spanda, Incominciaro allor le sue parole, Fuor di quel mar che la terra inghirlanda, 84 Tra discordanti liti contra il Sole

Tanto sen va, che fa meridiano [p. 191 modifica]

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lx. 181

Là dove l’orizzonte pria far suole. 87. Di quella valle fui io littorano Tra Ebro e Macra, che per cammin corto, Lo Genovese partedal Toscano. 90 A un occaso quasi e a un orto Buggea siede, e la terra onde io fui, Che fe’ del sangue suo già caldo il porto. 93 Folco mi disse quella gente, a cui Fu noto il nome mio; e questo cielo Di me s’ imprenta come io fei di lui; 96 Che più non arse la figlia di Belo, Noiando e a Sicheo e a Creusa, Di me, infin che si conveone al Pelo; 99 Nè quella Rodopea che delusa Fu da Demofoonte, nè Alcidc, Quando lole nel core ebbe richiusa. 1o Non però qui si pente, ma si ride, Non della colpa, che a mente non torna Ma del valor che ordinò e provvide. lOS Qui si rimira nell’ arte che adorna Colanto affetto, e discernesi il bene, Per che al mondo di su quel di giù torna. 108 Ma perchè le tue voglie tutte piene Ten porti, che son nate in questa spera, Procedere ancor oltre mi conviene. 111 Tu vuoi saper chi è in questa lumiera, Che qui appresso me così scintilla, Come raggio di sole in acqua mera. 114 Or sappi che là entro si tranquilla Raab, e a nostro ordine congiunta

Di lei nel sommo grado si sigilla. 117 [p. 192 modifica]182

paradiso

Da questo cielo, in cui l’ombra s’appunta Che il vostro mondo face, pria ch’altra alina Del trionfo di Cristo fu assunta. 121) Ben si convenne lei lasciar per palma in alcun Cielo dell’alta vittoria, Che s’acquistò con l’una e l’altra palma; 123 Perch’ ella favorò la prima gloria Di losuè in su la terra santa, Che poco tocca ai Papa la memoria. 126 La tua città, che di colui è piania, he pria volse le spalle al suo Fattore, E di cui è la invidia tanto pianta, 129 Produce e spande il maledetto fiore, Che ha disviate le pecore e gli agni, Però che fatto ha lupo del pastore. 132 Per questo 1’ Evangelio e i Dottor magni Son derelitti, e solo ai Decretali Si studia si, che pare ai br vivagni. 13 A questo intende il Papa e i Cardinali: Non vanno i br pensieri a Nazzarette Là dove Gabriello aperse l’ali. • 138 Ma Vaticano, e l’altre parti elette Di Roma, che son state cimitero Alla milizia che Pjetro seguette, Tosto libere flen dell’adultèro. 142 COMMENTO DI BENVENUTO Si divide il canto in tre parti. Nella prima, I’ autore incontra Cunizza sorella di Ezzelino. Nella seconda, descrive altro spirito moderno che manifesta sè e la patria sua. Nella

terza Folchctto di Marsiglia. [p. 193 modifica]

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IX. 183

Dante volge il discorso a Clemenza figliuola di Carlo Martello e moglie di Lodovico X re di Francia ancora vivente quando Dante scriveva questi versi o bella Clementia onesta, e pudica oltre che bella da poi che Carlo tuo padre m ebbe chiarito mi ebbe sciolti i dubbi mi narro gi inganni che Roberto doveva fare ai flgliuoli del fratello Carlo che ricever dovea di sua semenza. Ma soggiunge per consolarla ma disse taci e lascia volger gli anni ma Carlo disse, sta quieto, e lascia scorrere il tempo si ch’ io non possa dire se non che giusto pianto verra di dretro a nostri danni e vedrai se giustamente si verseranno lagrime sulle sventure del regno — Roberto morì senza prole, e gli successe una nipote. e gia la vita di quel lume sancto 1’ anima beata di Carlo rivolta sera al sole che la riempie si era rivolta a Dio che la riempie di beatitudine come quel ben dia oqni cosa e tanto come al bene a ogni cosa bastante. ah guai a voi anime ingannate da false apparenze e facture impie e che diverrete empie che torcete i cori da si facto bene torcendo la mente da così fatto bene driciando in vanita le vostre tempie! correndo dietro a sole vanità! Qui il Poeta nel pianeta di Venere mostra una donna influenzata. Cunizia sorella del feroce Ezzelino (la Romano, della quale si parlò nel canto VI del Purgatorio ebbe amori con Sordello Mantovano, e fu con lui pia, benigna e misericordiosa, 1, compassionando alle sventure cagionate dal fratello. Se quei di Cipro alzarono altari, e Roma templi, i primi a Venere, gli altri a Floraduedee libidinose,quantopiù Dante può metter salva Cunizia che fu al fin de’ conti una cristiana e si pentì. et ecco un altro di quelli splendori di quegli spiriti beati veE me si fece mi si accostò e significava il suo voler piacermi nel chiarir di fuori e mostrava la sua voloiità di cornl)iuccl’Digitized by Google [p. 194 modifica]18 PARADiSO mi nel chiarore che tramandava, gli occhi di Beatrice eh eran fermi sopra me come pria gli occhi di Beatrice in me feriiii come quando chiesi a lei il permesso di parlare con Carlo Marlelio di caro assenso al mio disio fermi certificato di grato consenso con un moto mi certificarono. O beato spirto, metti tosto compenso al mio voler io Dante dissi, ti prego caldamente o spiriW beato di rispondere alle nìie domande e fa prova che possa in te reflectere quel eh io penso e fammi certo coll’esperienza, che io possa per mezzo di Dio, in te vedere come in uno specchio quanto io penso, ossia provami che il mio desiderio in Dio dipinto si riflette in te. unde la luce che m era ancora nova onde 1’ anima che io non conosceva ancora per nome dal suo profondo ond’ella pria cantava dal centro della sfera di Venere, in cui prima cogli altri spiriti cantava seguette senza ritardo come a cui de ben far giova come a colui che si diletta nel fare del bene. Così vuoi significare che 1’ anima cantava prifondamente fissa nella divina contemplazione prima di parlare con I. , Dante. Morto Federico il, Ezzelino da Romano di lui alleato si AA t(’ ‘ mostrò apertamente un feroce tiranno per tutta la Marca Tnvigiana. Col favore de’ montagnardi ebbe prima il dominio di Verona, poi di Padova, di Vicenza, di Treviso, di Feltro, di Tnidenio, ed in ultimo di Brescia. Così padrone quasi della metà di Lombardia, mentre con forte esercito stringeva Mantova di assedio, seppe la perdita di Padova per ribellione di un legato del papa, e tornò rabbioso, e furente in Verona, e fece morire col ferro, colla fame e col fuoco dodici mila pri’ gionieri padovani, troncando piedi e mani a qualunque tentava di fuggire: non la perdonò nè a parenti, nè ad amici. Finalmente Azzone 11 marchese d’ Este, insieme coi mantovani, e cremonesi ordinò una congiura contro di lui. — Ma Ezzelino, [p. 195 modifica]CAtTO IX. 18 cui da vari milanesi era stata promessa la cii là, passò Abdua, e scopertosi il tradimento, fu costretto di retrocedere, e nel voler ripassare lo stesso fiume si vide l’opposta riva occupata da’ nemici, e sentì i milanesi alle spalle. Mentre poi con Martino della Torre cercava un guado per fuggire, fu colpito da un dardo nemico in un piede,e così ferito giunseall’altrasponda quasi semivivo, ed assalito da turba innumerevole fu fatto prigioniero dal marchese d’ Este, e condotto a Salcino. Sdegnando qualunque medicamento, tra la rabbia ed il furore 1/ miseramente morì nell’età di sessant’anni senza prole. - — Aveva regnato in Verona trentaquattro anni, avendovi scacciato san Bonifacio. Alberico, di lui fratello, simile in neqili- I) zia, quantunque dissimile nel corao, udita la sconfitta e morte del fratello, fuggì da Treviso in cui era tiranno crudele, chiudendosi nella roccadi santo Zeno, nella quale, assediato dai veneziani, per tradimento fu loro consegnato, ucciso ed arso, ma prima, dinanzi a lui moglie e figli lacerati, pesti e Irucidati. Così nel corso di men che un anno la nobilissima e potentissima casa di quei da Romano si spense: fu grande nell’avo, maggiore nel padre, massima in questi due perversi fratelli. Se leva un colle in quella parte de la terra prava si alza un monticello in quella terra malvagia, o Marca Trivigiana che sede posto mira Rialto canale della Brenta che prende il nome dall’isola di Rialto, e passa per mezzo a Venezia. Al tempo di Giustiniano imperatore Totila re de’Goti invase la balia e prese Roma, e molti della provincia veneziana, fuggendo dal gotico furore, seco portando quanto potevano, si ricoverarono nelle paludi del mare Adriatico, e presso l’isola di Rialto costrussero la città che nomarono Venezia, perché molti di tal parte e di tal nome ivi si raccolsero, e si ordinaDigitized

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paradiso

reno con provvide leggi a libera repubblica; ed o fosse la libertà, o la sicurezza, tanto prospera mente crebbe che attrasse l’ammirazione del mondo intero cile fontane di Brenta e di Piava tra i confini della Marca Trivigiana, ove scorre la Pia- va, e del Padovano ove scorre la Brenta. Brenta è il fiume che traversa la stessa città di Padova; la Piave è fiume che scorre pel territorio di Treviso, e nasce sopra la città di Belluno ci non sorge molto alto. In mezzo ad alti monti sorge sopra di un colle il castello di Romano la onde scese giu una facella dal quale scese una fiaccola che fece a la conirata un grande assalto che fu l’esterminio di quella regione. Alberico fratello di Ezzelino III fu più ardente di libidine, ed egualmente crudele. Cunizia sorella fu più sensuale. Nacqui d una radice ci io ci e7’ìa dal medesimo padre Ezzelino Il, e dalla madre Adelaita/nacqui io Cunizza sorella ad Ezzelino III. Cunitia fui chiamata e qui rifulgo perche mi vinse il lume d esta stella qui splendo, e non SOflO salita più in alto, perchè mi vinse l’influsso di questa stella di Venere, facendomi serva ai piaceri d’amore: ma lietamenteame medes;na indulgo la cason di mia sorte ma volentieri ho sofferto I’ influsso di Venere ci non mi noia e non me ne vergogno che parria forse forte al vostro vulgo che parrebbe difficile a intendersi dal volgo de’ mortali, grande fama rimase in mondo di questa luculenta e cara gioia del nostro celo che più mi propinqua gran fama restò nel mondo di quest’ anima a me vicina eh’ è una splendida e preziosa gioia di questo cielo. Era l’anima di Folco di Marsiglia, questo centesim anno ancor s mcmqua passeranno ancora altri cinquecent’anni, o cinque secoli, ed allora correva l’anno 1300 pria che moja prima che si perda la fama di quest’anima. E qui non pòtrà riferirsiaFolco, che non era conosciuto, ma bensì a Dante, che darà fama a ceDigitized

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IX. 187

stui facendone menzione in quest’ opera, si che altra vita la prima relinqua così che la prima vita corta, non lasci un altra peritura. Quintiliano scrive —— perchè ci è tolto di vivere lungamente lasciamo almeno qualche testimonianza che abbiamo vivuto. — L’ uomo ha tre naturali desideri — conservazione dell’ individuo — della specie — della fama. .—,( La turba presente/che Tagliamento e Adige richiude la presente generazione che abita tra il Tagliamento e l’Adige. li Tagliamento fiume del Veneziano vicino a Concordia, non lontano da Aquileia, divide il foro Giulio dalla Marca Trivigiana con un suo corso veloce e rapace. Adige è il fìume che tortuosamente scorre per la città di Verona cio non pensa ne per esser battuta ancor si pente a ciò non pone mente, nè per essere afflitta da calamità si corregge. Ezzelino aveva fatto della Marca un deserto. I padovani nel 1314 con due mila cavalli e venti mila pedoni corsero sopra Vicenza altra volta in loro dominio. Cane intrepido e valoroso Capitano, avuto- ne avvis% corse dentro a Vicenza, e da torre altissima visto il disordine de’padovani, con meno di cento cavalli, ecol seguito del popolo, precipitò sul nemico guidato da inesperto capitano, il quale dandosi alla fuga, trasse a fuggire tutto l’esercito. Cane, qual lupo in mezzo alle pecore li sconfisse con poco sangue, perchè molti fece prigionieri, fra i quali il principe Giaomo di Carrara ed il poeta Musatto. I vinti dimandarono la pace,eI’ottennero, ma scorsi appena due anni, i padovani per frode di nuovo tentarono di prender Vicenza. Allora Cane, cn Uguccione della Fagiuola di notte entrò in Vicenza, e la mattina improvvisamente invase i nemici, che al primo assalto grigando — ecco Cane, ecco Cane — si misero ciecamente a fuggire. Vile fuga che portò molta strage senza contrasto, e molti prigioni , fra i quali il conte di san Bonifacio condottiero delDigitized by Google [p. 198 modifica]188 PkRADISO l’armi, peri altro da Cane magnificamente onorato. tane poi seguendo la viltoria prese per forza Monselice castello lontano da Padova dieci miglia: assalì pure, e prese per forza il castello d’Este con molto spargimento di sangue, passando gli abitanti a Iii cli spada. Poi a mediazione de’ veneziani, Cane fece nuova pace coi padovani, ma con pesantissime condizioni, e finalmente nel 1528 ottenne il dominio di Padova, e nell’anno dopo anche quel di Treviso, e tanta felicità invidiandogli il destino, in quell’anno morì. Ma tosto fia che Padova al palude cangera i acqua che Vicenza bagna per essere al dover le genti crude ma presto andrà clic i padovani, per essercrudi al dovere,farannosanguigne le acque della palude, che forma il Bacchiglione presso Vicenza. Ser Riccardo da Camino figlio del buon Gerardo successo al padre nel dominio di Treviso, mentre giocava agli scacchi fu trafitto da un ribaldo, presente il fratello e parenti, che si scagliarono sull’assassino, e lo crivellarono di ferite. Si dice che costui nell’ atto d’esser ucciso gridasse — ciò non era nei patti. — Riccardo agonizzante colla mano, e colla voce accennava che non 1’ uccidessero per sapere (lei motivo dell’assassinio, e de’complici, ma il fratello e parenti più radi.’ doppiando i colpi, assicurarono colla vendetta fraterna la loro impunià. e tal signoreggia e va con la testa alta che gia per lui carpir si fa la ragnaf ove Sile e i Gagnan s accompagna ed a Treviso, dove si congiungono insieme i due fiumi Silo e Cagnano e Riccardo da Camino signoreggia, e va superbo, mentre già si com pone la rete per pigliano, ossia si congiura per ucciderlo,’ Morto Azzone III d’ Este che aveva per moglie Beatrice sorella del re Roberto, questi in nome della Chiesa prese il dominio di Ferrara. Ser Pino della Tosa fiorentino lasciato vica

‘441..& [p. 199 modifica]4tsPti..4%o €d


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1X. 189

riosi occupava dì cingere di mura la città, quando i Signori della Fontana ferraresi dopo inutiletentativo sedizioso fuggirono a Feltro credendosi in sicuro, sotto la protezione del vescovo. Ma per opera della stesso Pino della Tosa, nn opponendosi abbastanza il vescoyQ4 furono presi e tradotti a Ferrara, e furono decapitati, Lancellotto, Chiaruccio ed Antoniolo di Fontana insieme con altri complici nella pubblica piazza. Feltro città in confine della Marca Trivigianà pianger a la difalta la morte procurata de i impio suo pastore dal vescovo che la tradi— Ma Riccardo gli fece pagare il fo del tradimento, perchè percosso con sacchi di sabbia vomilò gi’ intestini, e la vita, ed il popolo passò sotto la tirannia dello stesso Riccardo che sara sconeia tal che A per simil non $ entro in Malta che sarà vituperevole tan- ,, lo, che per più vituperevole delitto non entrò mai alcuno ,‘ , nell’ergastolo di Malta. É Malta un’orrenda torre nel lago di Santa Cristina, carcere destinato ai sacerdoti delinquenti troppo sarebbe larga la bigoncia vaso di legno, del qua- le fan uso i contadini al tempo della vendemrria, largo di bocca, contenente mezza soma; sarebbe necessario un ampio vaso che ricevesse il sangue ferrarese per ricevere e contenere il sangue de’ ferraresi uccisi e stanco chi il pesasse a oncia a oncia il sangue nell’ uomo è maggiore in quantità degli animali. Galeno scrive che venticinque libbre di sangue sgorgarono ad un uomo solo dal naso, e morìe verrebbe meno per islanchezza chi volesse pesare detto sangue a oncia a oncia che donava questo prete cortese/per TflO. trarsi di parte che faceva versare questo prete ckese per mostrarsi favorevole al partito Guelfo e cotal fieno doni conformi al viver del paese e tali doni ben convengono al modo

di vita di que’ luoghi. [p. 200 modifica]190

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Su sono specchi voi dicitejroni su nel cielo sono angeli che voi uomini chiamate troni. Il terzo ordine degli angeli infatti chiamasi così dal trono in cui si giudica, e perchè col trono si figura la podestà giudiciaria onde rifulge a noi Dio giudicante dai quali si mostrano a noi i giudici di Dio si che questi parlar ne paion boni sicchè noi veggiamo queste predizioni certe e veridiche. Le cose che Dante preconizza erano già avvenute. qui si tacette e fecemi sembiante che fosse ad altro volta per la rota in éhe se mise com era davante. Qui tacque quell’ anima, e mostrò di essere rinnovata alla coiìtemplazione di Dio nel corso circolare di quelle anime che cantavano, e nel quale si mescolò come prima stavasi avanti che parlasse con Dante. //. L altra leticia che m era gia in nota I’ altra anima beata che mi era stata mostrata per cara cosa per isplendida e preziosa gioia si mi fece in vista qual fin balascio in che sol percota così mi si presentò agli occhi come pietra preziosa in cui batta il sole. il balascio è pietra preziosa. La letizia celeste si palesa collo splendore; la umana ccl riso, la su fuigor si acquista si come riso qui solo il riso nel mondo è seguito dal pianto; ma i ombra di fuori s abbuia giu come la mente e trista ma giù nell’ Inferno le ombre dei dan nati si fanno pitì oscure a misura che sono triste e dolenti. dix io o beato spirto Dio vede tutto o spirito beato, io dissi, Dio vede anche nell’ interno e tutto veder sinluia ed il vedere s’informa da lui, ossia il suo vedere vede tu.tt.o in Dio che vede ogni cosa si che nulla voglia di se a te puote esser fuia sicchè niun di lui volere ti può esser nascosto; dunque la voce tua che I ciel trastulla sempre col canto di quei fochi pii dunque la tua voce che diletta col canto di que’serafìni ardenti di a- more che di sei ale fascian la cuculla che si fanno ampia veDigitized

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IX. 191

te e manto di sei ali perche non soddisface a miei desii perchè non mi dice il tuo nome prima che Lei chiegga? Gia non attenderei io tua domanda io non aspetterei la tua domanda s io m intuassi come tu I immii se io entrassi in te, come tu entri in me. Da tu e da me ‘forma due verbi, come ne aveva formato da lui coli’ inluia; rn intuassi facessi me te; t’immii facessi te me. Secondo gli storici tutta I’ acqua dei Mediterraneo ricca cli quelle che scorrono per le nostre terre entra nell’ Africa per lo stretto cli Sicilia. le parole sue incominciaro ailor allora quello spirito incominciò così la tnaggior valle in che I aqua se spande il mare Mediterraneo, o mare del leone fuor di quel mare che in ghirlanda la terra fuori dcii’ Oceano che circonda la terra tanto si va tanto si e- stende tra discordanti liti fra lidi opposti, per fede, o per caldo e per freddo et contro al sole contro oriente che fu meridiano la dove pria sole far I origionte quel cerchio che da principio si è orizzonte divenLa poi suo meridiano; ovvero prima vede orizzonte in Gerusalemme cli’ è nel mezzo della terra, poi meridiano. Io fui lietorano di quella valle io fui abitatore della spiag- gia dei Mediterraneo tra Ebro e Macra Ebro è fiume presso la città di Marsiglia: Macra piccoio e rabbioso fiume che scorre presso la città Luna per la valle Lunisana nei confini della Toscana che dividesi dal Genovesato che parte il Genovese dal Toscano passa in comune clitterio che i confini di Toscana sono—il Mare, il Macra, il Tevere e l’Alpi.,4et la terra ond io fui e Marsiglia di cui fui cittadino si vede quasi ad uno occaso et a uno orto quasi allo stesso oriente ed occidente tanto è Marsiglia distante dal Levante e Ponente, quanto Bugia città d’ Algeri nel lido opposto, ossia ambedue hanno

io stesso Meridiano che qual mia terra fece gia caldo il [p. 202 modifica]192

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porto del suo sangue scrive Svetonio, che Cesare, scacciato Pompeo ed il senato dall’ Italia, mentre marciava contro i le gati di Pompeo nella Spagna, e passando da Marsiglia, i marsigliesi gli chiusero le porte in faccia. Cesare la cinse di assedio, e lasciò Bruto ad espugnarla. Questi vinto in terra la molestava in mare. Imbaldanziti i marsigliesi dalla vittoria del primo scontro di terra, rio nov’arono 1’ attacco, e furono da Bruto interamente sconfitti. Folco mi disse quella gente a cui fue noto il nome mio Folco figlio di un mercante per nome Alfonso, redà dal padre un ricchissimo patrimonio. Fu in accosto delle più nobili famiglie, ed improvvisava carmi con molto garbo ed effetto. Onorato da Riccardo re d’ Inghilterra e da Rainaldo conte di Tolosa, era del collegio de’ Bardi, e non è a maravigliarsi perchè le donne marsigliesi sono bellissime. Folco pure era bello, gentile, eloquente, ricco e liberale: veramente figlio di Venere. Amò AdeLasia moglie di Barali, e per coprire il suo adulterio, fingeva d’ essere innamorato di due altre di lei sorelle: ma destatosi nel marito un geloso sospetto fu licenziato. Morta Adelasia Folco provò il dolore uguale a quel di Dante per la morte di Beatrice: poi. morta a lui pure la moglie che lo aveva reso padre di due figli, si tolse al mondo, e si chiuse nel monastero de’ cisterciensi, in cui divenne abbate, e poscia fatto vescovo di Marlia fu il più duro persecutore degli eretici. e questo cielo •q impronta di me com io [ci di lui ed il cielo di Venere s’ imprime della mia luce come io fui impresso dalla sua influenza amorosa. Paragona l’amor suo con quello di Didone per Enea che la figlia di Belo non arse piu di me in fin che si convcnne al pelo. Didone innamorata di Enea, recando noia al1’ ombra di Sicheo suo marito, e all’ ombra di Creusa già moDigitized

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ix. 193

glie di Enea noiando et a Sicheo ci a Greusa non arse più di quello ch’io ardessi fìnchèsi convenne al mio giovane pelo. Come altra volta fu detto I’ invenzione di Virgilio degli a- mori di Didone con Enea è contro la storica verità. — Il secondo paragone di Folco è dell’ amore di Fillide regina di Tracia. Essa accolse onorevolmente Demofoonte figlio del duca di Atene di ritorno dalla guerra, là balzato dalla tempesta, rotte le navi, e fu presa d’ amore per lui. Rassettate le navi, ei volle ad ogni costò partire, promettendo un sollecito ritorno. Ma sempre mancando alla promessa, Fillide impaziente si appese ad un laccio. ne quella Rodopeia che delusa fue da Dernofoonte Fillide regina di Trae la abitatrice di luogo presso il monte Rodope fu abbandonata da Demofoonte, e si uccise. Fillide da fllos che in greco suona amore, ed i traci sono figli di Venere non arse piu di amore com io Folco. Il terzo paragone in amore è quello di Ercole per Jole. Ercole vinto il re di Frigia tanto arse per la di lui figlia Jole, che obliò Delanira. Jole Io vestiva con panni muliebri, e lo impiegava in opere donnesche le più vili neAlcide nè Ercole arse di amore più di quel eh’ io facessi. Alcide suona virtuoso e belloquando ebbe Jole rinchiusa nel cuore quando arse d’amore per Jole figlia di Eurito. Nè dall’ opera venerea sorge sempre il peccato, ma allora solo che disordinatamenteed il- legittimamente si compie; perchè anzi, tal opera è necessaria per rinnovare e mantenere il mondo con successiva propagazione. non pero chi si pente ma si ride in questo luogo però non è pentimento, ma si ride, si ha letizia non della colpa che a mente non torna colpa cancellata dalla purgazione e dall’ acqua di Lete ma del valor che ordino e provvide ma della virtù divina, che provvidamente ordinò tanto bene. qui si rimira ne I arte che adorna cotanto effecto e di.werRAMBAI.DI — Voi. . [p. 204 modifica]19h PAII’IDISO nesi il bene perche I mondo di su quel di giu torna qui si contempla il divino magistero, che dispone questa grand’ opera di creazione, e si conosce il buon fine, perchè il mondo celeste si aggira intorno alla terra. Ma mi convien procedere ancora oltre ma debbo dirti altre cose perche ten porti tutte le tue voglie piene perché abbi appagati tutti i tuoi desideri che son nate in questa spera che ti nacquero in questa sfera. tu vuoi saper chi e in questa lumera che qui appresso me così scintilla come ragio di sole in aqua mera tu brami di sapere il nome dell’ anima che splende qui vicino a me, come splende il sole in acqua pura or sappi che Raab si tranquilla la entro: ee a nostro ordine conjuncta e di lei nel summo grado sigilla Raab di Gerico, congiunta al nostro coro in questo cielo, esso cielo s’impronta della luce di lei nel luogo il più eminente. E questa Raab fue assumpta da questo cielo fu accolta in questa sfera di Venere in cui I ombra che il nostro mondo face al qual cielo termina I’ ombra che fa la terra, pria che altr alma del triumpho di Cristo prima di ogni altra anima salvata dalla passione di Cristo, ben si convenne lei la sciar palma in alcun celo fu conveniente cosa che Cristo nel salir trionfante all’empirco lasciasse Raab in alcuno de’primi cieli per segno di vittoria riportata sulla passione del alta victoria che essa acquisto colI una e I altra palma alcuni interpretano — quando Raab con 1’ una e 1’ altra mano calò dalla fenestra gli esploratori di Giosuè per cui esso Giosuè ebbe vittoria — altri — che si ottenne vittoria per le orazioni di Giosué colle mani del popolo. Ma avendo il Poeta detto del triunpho di cristo deve spiegarsi dell’ altra vittoria riportata da Cristo colla crocifissione perch ella ftworo la prima gloria favorì la vittoria di Giosuè calando dalla fenestra gli esploraDigitized

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IX. 19S

tnri in su la terra santa in Gerusalemme, dove Cristo per redimere il genere umano sparse il suo preziosissimo sangue, e morì sulla croce che poco tocca la memoria al papa la qual Terra Santa poco sta nella mente del papa. Bonifacio sedeva allora nella cattedra di san Pietro, e non faceva la guerra ai saraceni che tengono i luoghi santi. La tua città che di colui e pianta che pria volse le spalle al suo Factore e di cui e £ invidia tanto pianta Firenze edificata da colui che si ribellò a Dio, l’invidia del quale fu cagione del peccato di Adamo, che ancora tanto si piange nel mondo produce e spande il maledeclo fiore il forino d’ oro in cui è impresso un giglio ch ha descemate le pecore e li ajni pero che ha faclo lupo dei pastore che avendo generata I’ avarizia nel petto degli uomini, fa traviare i laici, e gli ecclesiastici, e fa diventar lupo il pastore; per questo lEvangeho e i doclor magni son derelicii per questo motivo si sprezzano gli Evangeli, e gli scritti de’ santi dottori e solo se studia a Decretalisi che pare ai br vivagni e soltanto si stu diano le Decretali come lo mostrano le macchie delle dita impresse ne’ margini dc’libri: a questo intende il papa e i cardinali cioè all’ avarizia e non vanno i br pensieri a Nazareth la dove Gabrielbo aperse i ali e non si danno pensiero di riacquistar terra santa, là dove Gabriello volò ad annunziare a Maria il mistero dell’ Incarnazione, ma Vaticano cimiterio in cui fu sepolto san Pietro e molli altri pontefici e I altre parti electe di Roma dove trova usi i corpi de’ martiri che son state cimiterio a la militia che Piero seguelte in cui furono sepolti i martiri nella difesa della fede di Cristo tosto libere flen dal adulterio dal mal accoppiamento della dignità colle ricchezze, trascurandosi per questo la Chiesa. Preconizza

ancora la morte di Bonifacio che avvenne Ire anni dopo. [p. 206 modifica]

canto
X.

TISTO MOflhRO Guardando nel suo Figlio con 1’ Amore, Che l’un e l’altro eternalmente spira, Lo primo ed ineffabile Valore, 3 Quanto per mente o per occhio si gira Con tanto ordine fe’, ch’ esser non puote Senza gustar di lui chi ciò rim ira. 6 Leva dunque, Lettore, all’alte ruote Meco la vista dritto a quella parte, Dove l’un moto all’altro si percuote: 9 E lì comincia a vagheggiar nell’arte Di quel Maestro, che dentro a sè l’ama Tanto, che mai da lei l’occhio non parte. P2 Vedi come da indi si dirama L’obbliquo cerchio che i Pianeti porta, Per soddisfare al inondo che gli chiama: Iì E se la strada br non fosse torta, Molta virtù nel ciel sarebbe invano, E quasi ogni potenzia quaggiù morta. 18 E se da dritto più o men lontano Fosse il partire, assai sarebbe manco E giù e su dell’ordine mondano. 21 Or ti riman, Lettor, sovra il tuo banco, Dietro pensando a ciò che si preliba,

S’esser vuoi lieto assai prima che stanco. 24 [p. 207 modifica]

canto
X. ì)7

Messo t’ho innanzi: ornai per te ti ciba; Chè a sè ritorce tutta la mia cura Quella materia, ond’ io son fatto scriba. 27 Lo ministro maggior della Natura, Che del valor del Cielo il mondo imprenta, E col suo lume il tempo ne misura, Con quella parte, che su si rammenta Congiunto sì girava per le spire, In che più tosto ognora s’appresenta; .33 E io era con lui: ma del salire Non mi accorsi io se non come uom s’ accorge, Anzi il primo pensier, del suo venire: È Beatrice quella che sì scorge Di bene in meglio sì subitamente Che l’atto suo per tempo non si sporge. 39 Quanto esser convenia da sè lucente Quel ch’era dentro al Sol dov’io entràmi, Non per color. ma per lume parvente, Perch’io lo ingegno e l’arte e l’uso chiami, Sì noi direi che mai s’immaginasse, Ma creder puossi, e di veder si brami: 45 E se le fantasie nostre son basse A tanta altezza, non è maraviglia, Che sovra il Sol non fu occhio che andasse. 48 Tale era quivi la quarta famiglia Dell’alto Padre che sempre la sazia, Mostrando come spira e come figlia. E Beatrice cominciò: ringrazia, Ringrazia il Sol degli Angeli, che a questo Sensibil t’ha levato per sua grazia. Cor di mortat non fu mai sì digesto [p. 208 modifica]PARADiSO A divozione, e a rendersi a Dio Con tutto il suo gradir cotanto presto, Come a quelle parole mi feci io: E sì tutto il mio amore in lui sì mise Che Beatrice ecclissò nell’ obblio. 60 Non le dispiacque; ma sì se ne rise, Che lo spiendor degli occhi suoi ridenti Mia mente unila in più cose divise. 65 lo vidi più fulgor vivi e vincenti Far di noi centro e di sè far corona, Più dolci in voce che in vista lucenti. 66 Così cinger la 6glia di Latona Vedèm tal volta, quando I’ aere è pregno Sì, che ritenga il fu che fa la zona. 69 Nella corte del Cielo: onde io rivegno, Si trovan molte gioie care e belle Tanto, che non si posson trar del regno; 7 E il canto di quei lumi era di quelle: Chi non s’ impenna sì che lassù voli, Dal muto aspetti quindi le novelle. 75 Poi sì cantando quegli ardenti Soli Si fur girati intorno a noi tre volte, Come stelle vicine ai fermi poli, 78 Donne mi parver non da ballo sciolte, Ma che s’arrestin tacite ascoltando, Fin che le nuove note hanno ricolte: 81 E dentro all’un sentii cominciar: quando Lo raggio della grazia, onde s’ accende Verace amore, e che poi cresce amando, 84 Moltiplicato in te tanto risplende,

Che ti conduce su per quella scala, [p. 209 modifica]

canto
E. 199

U’senza risalir nessun discende, 87 Qual ti rle.gasse il viii della sua fiala Per la tua sete, in libertà non fora, Se non come acqua che al mar non si cala. 90 Tu vuoi saper di qual piante s’ infiora Questa ghirlanda, che intorno vagheggia La bella donna che al Ciel l’avvalora. 93 lo fui degli agni della santa greggia, Che Domenico mena per cammino, U’ben s’impingua, se non si vaneggia. 96 Questi, che m’è a desira più vicino, Frate e maestro fummi; ed esso Alberto. É di Cologna, e io Thomas d’Aquuno. 99 Se tu di tutti gli altri esser vuoi certo, Di retro al mio parlar ten vien col viso, Girando su per lo beato serio. t0 Quell’altro fiammeggiare esce del riso Di Grazian, che l’uno e l’altro Foro Aiutò si, che piace in Paradiso. l0 L’altro, che appresso adorna il nostro coro, Quel Pietro fu, che con la poverella Offerse a santa Chiesa il suo tesoro. 108 La quinta luce, ch’è tra noi più bella, Spira ditale amor, che tutto il mondo Laggiù ne gola di saper novella. 111 Entro v’ è 1’ alta mente u’ sì profondo Saver fu messo, che se il vero è vero, A veder tanto non surse il secondo. 114 Appresso vedi il lume di quel cero, Che giù in carne più addentro vidi

13’angelica natura e il ministero. 117 [p. 210 modifica]200

paradiso

Nell’altra piccioletta luce ride Quell’ avvocato dei tempi CristianL Del cui latino Agostin si provvide. 120 Or, se tu l’occhio della mente trani Di luce in luce dietro alle mie lode, Già dell’ottava con sete rimani: 123 Per vedere ogni ben dentro vi gode L’anima santa, che il mondo fallace Fa manifesto a chi di lei ben ode: 126 140 corpo, onde ella fu cacciata, giace Gitì in Cieldauro, ed essa da martiro, E da esilio venne a questa pace. 129 Vedi oltre flammeggiar l’ardente spiro D’lsidoro, di Beda, e di Riccardo, Che a considerar fu più che viro. 132 Questi, onde a me ritorna il tuo riguardo, É il lume d’uno spirto che in pensieri Gravi a morire gli parve esser Lardo. 13 Essa è la luce eterna di Sigieri, Che, leggendo nel vico degli strami, Sillogizzò invidiosi veri. 138 Indi, come orologio che ne chiami Nell’ora che la sposa di Dio surge A mattinar lo sposo perchè l’ami, 141 Che l’una parte e l’altra t.ira ed urge, Tin tin sonando con sì dolce nota, Che il ben disposto spirto d’amor turge, 144 Così vid’io la gloriosa rota Moversi, e render voce a voce in tempra, E in dolcezza ch’ esser non può nota,

Se non colà dove il gioir s’insempra. 148 [p. 211 modifica]

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x. 201

COMMENTO DI BENVENUTO Anime beatificate per influsso del sole. In quattro parti dividesi il canto. Nella prima, Dante descrive il cielo del sole, e l’ora, e modo di sua ascensione. Nella seconda, ci mostra le anime dei dotti in divinità. Nella terza, azioni di grazie e mozione di quelle anime. Nella quarta,sanTommasod’Aquino palesa vari suoi compagni. Lo primo et ineffabile valore guardando nel suo figlio cum I amore che I uno e I altro spira eternalmente fe cum tani ordine quanto se gira per mente e per luoco I’ ineffabile valore,cioè la prima persona dellaTrinità, prendendo a norma del divino operare la sapienza attribuita alla seconda persona e l’amore che si attribuisse allo Spirito Santo, il quale per eterna spirazione procede e dall’uno, e dall’altro, fece con tant’ordine tutto ciò che di creato s’intende e si vedechesser non puote senza gustar di lui chi ciò rimira perché non vi può essere uomo che nel contemplarlo non provi ammirazione, e non vi scorga la mano di Dio,è come si disse nel primo canto confessar non debba che questo è forma che I universo a Dio fa somigliante. I filosofi contemplandò tal ordine arrivarono alla cognizione di Dio. 11 moto del firmamento è da oriente in occidente. I pianeti scorrono in senso opposto sotto lo zodiaco: lo stesso zodiaco taglia il cerchio equinoziale, e viene intersecato da lui in due parti uguali: una metà declina “erso settentrione, l’altra verzo il meriggio. Lo zodiaco si divide in dodici uguali parti, e qualunque parte è un segno o costellazione. Ciò tutto indica la infinita sapienza del Creatore; quindi il Poeta escla ma leva dunque lectore all alte ruote meco la vista dritto a quella parte, dove 1 un moto e i altro se percuote: alza dunque, o lettore, meco gli occhi

della mente al cielo del sole, e particolarmente dove il girar [p. 212 modifica]202

paradiso

delle stelle fisse s’incontra col girare di detto sole,e degli altri pianeti, ossia drizza il tuo intelletto alla contemplazione del moto de’ pianeti contrario a quello del firmamento, tanto necessario alle produzioni, o conservazione dell’universo, et comincia e vagheggiarti ne l'arte ed incomincia a letiziarli nel lavoro di quello maestro che mai non parte l'occhio da lei il quale lavoro o magistero iddio ama tanto nella sua idea che sempre io mira con compiacenza, e mai non leva lo sguardo da esso. Vedi come da indi si dirama l'obliquo cerchio che i pianeti porta per soddisfare al mundo che li chiama vedi come dall’equatore si diparte lo zodiaco,he il desidera, onde partecipare dell’ influsso loro. Sei segnidello zodiaco volgono verso il polo artico o settentrionale — Ariete — Tauro — Gemini — Cancro — Leone — Vergine; gli altri sei volgono al polo antartico o meridionale — Libra — Scorpione — Sagittario — Capricorno — Acquario — Pesci. Dice poi — per soddisfare al mondo che li chiama, ossia per conservare il mondo, che abbisogna di necessità dell’obliquo moto de’ pianeti per la produzione e conservazione. Se in fatti il sole, ed i pianeti si movessero equidistantemente nel mezzo, noi avremmo sempre una stagione, e la terra non potrebbe preparare nell’inverno quanto sviluppa in primavera, i frutti non maturerebbero, e così tutte le altre produzioni. Se poi il sole ed i pianeti fossero vicinissimi come nella state, l’arsura toglierebbe ogni produzione, come mancherebbe, se fossero come nel verno lontani: che sua strada br non fosse torta se il giro de’ pianeti non fosse obliquo molta vertu sarebbe invano nei cielo non si avvicinerebbe or all’una or all’altra parte della terra, e così invece d’ influire al tempo stabilito sopra ciascuna

di esse parti, influirebbe in una sola, e quindi molta virtù [p. 213 modifica]

canto
x. 203

del cielo sarebbe superflua e quasi ogni potentia qua giu morta mancando la produzione, giacché la materia sarebbe nella potenza, ma non si ridurrebbead atto, imperocchè l’allontanarsi, od avvicinarsi de’ pianeti forma la distinzione delle stagioni che regolano la produzione e assai del ordine mondano sarebbe manco su e giu se il partir fosse piu o men lontano dal dritto e se lo scostarsi dello zodiaco nel suo giro del camniio dritto ossia dell’equatore fosse più o meno di quel ch’ è, verrebbe a mancar d’assai l’ordine mondano e su nei cieli e giù nella terra. Or ti riman kctor sopra i tuo banco o lettore, fermati nel tuo studio pensando detro a cio che si preliba meditando intorno alla materia prescelta s esser vuoi lieto assai pria che stanco se vuoi avere più letizia nel meditarla, di quello che stanchezza. messo i ho manzi ornai per te ti ciba io t’ ho allestita la mensa, e spetta a te il cibarti che quella materia ondio son facto scriba a se torze tutta la mia cura che 1’ a rgomento su cui scrivo, attira tutta la mia attenzione. lo ministro maggior de là natura il sole, sovrano sedente nel mezzo del suo regno ha per consigliere il ‘vecchio Saturno, e Narte condottiero di guerra. Giove gli amministra giustizia; Venere provvede al diletto; Mercurio porta i messaggi; la Luna fa le veci del banditore ché bnprenta il mondo sparge I’ influsso sul mondo dei valor del ciel della virtù del cielo e ne misura coi suo lume e distingue le stagioni con quella parte che su si ramenta on quella parte di cielo, della quale si è detto di sopra, cioè coll’ariete. Vogliono alcuni che invece dell’ ariete il Poeta abbia voluto riferire al cancro, locchè non può essere, mentre il sole in tutto questo libro fu sempre in ariete, e primamente salì al cielo in ariete, e non avrebbe potuto

trovarsi in cancro senza la permanenza di un mese in [p. 214 modifica]204

paradiso

Paradiso si gietava per le spire in che piu tosto ognora $ ap. presenta congiunto coli’ Ariete scorreva per quei gradi o linee spirali dall’equalore al tropico dei cancro, nelle quali esso nasce all’ Italia nostra sempre più presto. Chiamasi spira, perché il giro, o rivoluzione del sole in ciascun giorno non è mai nello stesso punto; fa come il filo nel naspo o nel fuso. in che nelle quali spire ognora s appresenta piu tosto nasce più presto come sopra si disse. et io era con lui ed io era col sole ma non m accorsi del salire se non com om s accorge anzi il primo pensier del suo venir non mi accorsi per nulla imperocchè essendo l’accorgimento un pensiero, è impossibile che avanti al primo pensiero vi siaaccorgimento della di lui venuta. Se il sole pel suo splendore viene giustamente chiamato occhio del mondo, ministro maggiore di natura, reggitore di ogni produzione, come potrà nominarsi Beatrice più luminosa, più splendida del sole? E se il sole era così spiendiente quanto quel ch era Beatrice convenia esser lucente da se quanto le era necessità essere spiendiente nel lume ch’è superiore al sole dentro del sole dov io intrai doveva essere infinitamente splendida rispetto al sole, nel quale entrai non per color ma per lume paricente non per colore, ma per isplend ore quella che se scorge di bene in meglio che quanto più sale tanto è più lucente si subitamente che laclo suo non si porge per tempo così presto quanto è un istante, per- eh io I ingegno e I arte e I uso chiami si nol direi che mai s imaginasse ma credei’ possi e di veder se brami ma per quanto usassi d’arte e d’ingegno non potrei rappresentano, e se non si può immaginare, si può credere e desiderare di vederlo un giorno in Paradiso:

E se le nostre fantasie son basse a tanta altezza non [p. 215 modifica]

canto
x. 2O

ee maraviglia e sopra I sole non fu occhio che andasse e se la mente nostra non può arrivare a tanta sublimità non è a maravigliarsi imperocchè nel sole non fu mai occhio, che potesse fissarsi. Vedi quanto è ingegnosa la invenzione del Poeta! Come il sole è il maggior lume di natura, che illumina tutti gli altri corpi, così nel sole trovansi i più chiari ed illustri ingegni, che ifluminarono gli altri uomini, tale era qui la quarta famiglia quarta famiglia de’ beati, così chiamata perché nel quarto pianeta, del alto padre che sempre la saccia del Padre Eterno che sempre la riempie di diletto, mostrando come spira e come figlia mostrando il magistero con che si muovono, e servono i pianeti alla produzione, e come il sole abbia speciale influsso sui sapienti. Beatrice cominciò a dire ringrazia il sol de li angeli ringrazia Dio che iLlumina gli angeli in cielo che t a levato sensibil per sua gratia che ti ha innalzato a questo sole materiale sottoposto ai sensi: bastano i sensi a conoscere il sole materiale: basta i’ intelletto a conoscere, per quanto si può, il sole degli angeli. cor di mortali cuore umano non fu mai si digesto disposto a devotione e cotanto presto a rendersi a Dio con tutto il suo gradir a venerare ed a ringraziare Iddio con tutte le forze dell’anima come fec io a quelle parole di Beatrice et si tutto I mio amore in lui si mise e tanto mi sentii preso dall’amore di Dio che Beatrice eclipso nel oblio che cancellai Beatrice dalla mia memoria — ossia il sapiente togliendosi allo studio delle Sacre Carte qualche volta, come san Tommaso, si abbandona all’ orazione. non li dispiacque ma si ne rise non si adontò ella, ma tanto fu lieta che lo spiendor degli occhi suoi ridenti che lo splendore da’ di lei occhi divise in piu cose la mia mente unita m’ invitò alla contemplazione di diversi oggetti

mentre (la prima era tutto in Dio, ciii rendeva grazia. [p. 216 modifica]206

paradiso

Io vidi piu fuigori vivi e vincenti io vidi le anime di molli dottori così lucenti che vinceano la luce del sole e far di noi centro e di se far corona venire in giro intorno a noi piu dolci in voce che n vista lucenti di tanta dolcezza nella voce quanto vinceano nella lucentezza il sole: ovvero che vinceano gli altri spiriti delle altre sfere di Mercurio, di Venere. Allegoricamen e poi, che la dolcezza della dottrina loro è maggiore della loro fama. cosi cinger la figlia di Latona vedem talvolta quando I acre e pregno si che ritenga il fu che fa la zona così talvolta veggiamo una fascia cinger la luna figlia di LaLona quando l’aere è pieno di vapori in modo che ritenga in sè i colori della fascia, molte gioie molte anime di diversa gloria secondo il merito si trovan care e belle nella corte del cielo ond io rivegno si trovano nelle sfere donde io vengo tanto che non si posson trar dal regno ma che fuori del Paradiso non si possono far comprendere altrui nè con parole, nè cogli scritti: e il canto di quei lumi era di quelle la voce di quei dottori era di quelle gioie care e belle del Paradiso: chi non s impenna si che la su voli dal muto expectì quindi le novelle clii non si fornisce di ali per volar lassù non aspetti qui in terra novelle delle cose del cielo, altrimenti sarebbe un aspettare risposte da un muto; ovvero indarno a- spetterai dì sentire un tal canto nel mondo, se mentalmente non voli al cielo. Gl’ignoranti sono nella impossibilità di tigurarsi la dolcezza della scienza. mi parver donne non sciolte da ballo anzi che sempre si tenghin per mano ma che si arrestin tacite ascoltando fin eh hanno ricolte le nuove note ma ferme ed ascoltanti in silenzio una di loro che canti. poiche quelli ardenti soli se fuor girati intorno a noi tre volle si cantando posciachè così cantando quelli spiriti sfavillanti come

altrettanti soli ebbero fatti tre giri intorno a noi, simbolo [p. 217 modifica]

canto
x. 207

di trinità come stelle vicine a fermi poli come le stelle lucenti che descrivono un breve circolo intorno ai poli che non si movono; e quelle stelle servon di norma ai naviganti per giungere al porto, come i santi dottori diriggono nel mare della vita i mortali alla eterna felicità: le stelle sono splendienti come le dottrine. San Tommaso che conobbe, ed ebbe famigliari tutti gli altri dottori previene il Poeta nelle sue ricerche. ci dentro al un sevlii cominciar e sentii una voce in uno spirito cioè in an Tommaso che disse qual ti negasse il vin de la sua fiale per la tua sete qualunque anima beaa negasse al tuo desiderio le cognizioni che brami e che può darti non fora in liberia se non coni aqua che al mar non si cala sarebbe in quello stato di violenza in cui è l’acqua che è impedita di correre al tnare quando lo rivode la gratia quando il raggio della grazia divina in che s’ accende verace amore e che poi cresce amando per cui si accende il vero amore che sempre più cresce amando moltiplicato in te tanto risplende si mostra in te tanto cresciuto che ti conduce su per quella scala u senza risalir nessun discende che ti conduce per la scala del Paradiso, dalla quale nessuno discende senza poscia risalirla. Ecco perchè Dante le tante volte si ripromette di salire al cielo. tu vuoi saper di qual pianta s infiora questa grilanda che intorno vagheggia la bella donna che al ciel t avvalora tu vuoi sapere da quali anime si producono gli splendori che adornano questa corona, che Beatrice, intorno aggirandosi, mira con diletto quella che li dà valore di salire al cielo? S.Tommaso fu della Puglia edella cillà d’Aquino, della nobile stirpe de’ Conti d’ Aquino antichissima, insigne scrittore in teologia. Io fui degli agni de la sancta greggia io fui un agnello

della greggia dell’ordine de’ Pretlieaori che Domenico [p. 218 modifica]208

paradiso

mena per lo camino che San Domenico conduce a pascoli tali dove ben s’ impingua se non si vaneggia per una strada, ossia colla regola, per cui 1’ agnello ingrassa, ovvero I’ uomo acquista assai merito sol che dall’ ambizione e dalla vanità non si lasci predominare. Pure vi sono predicatori gloriosi e dell’abito, e di vana lode, più che di servire alla regola! Alberto Magno di Cologna fu molto innanzi in vari rami filosofici — astrologo, medico, naturalista, chiamato un secondo Aristotile. questi che m ce a dextra piu vicino forni fratre dello stesso ordine e maes(ro e maestro ci esso Alberto di Cologna elio Tomaso dAquino anche Giovenale fu d’ Aquino. Alberto fu un luminare dell’ordine nelle scienze naturali, san Tommaso nelle divine. dredo al mio parla? venern col viso a seconda che io ti dirò, vienirni dietro portando gli occhi in giro su per questa corona da uno in altro splendore girando su per l’alto serio. Graziano fu pure dello stesso ordine: egli stese la nota opera intitolata — Decreto —‘ e si trasferì a Roma per pubblicarla quel altro fiammeggiar quell’ altra carità ardente esce del riso di Gratiano viene dal riso di Graziano che aiuto luno e i altro foro che aiutò il foro civile cd il foro ecclesiastico, conciliando le leggi dell’ uno con quelle dell’altro. si che pare in Paradiso sì che ottenne di mostrarsi nel sole. Egli compilò i canoni in Bologna, iii una piccola cella, nel monastero di san Felice. Pietro Lombardo, detto il maestro, vescovo di Parigi scrisse l’opera delle sentenze in sacra teologia, quale si legge nelle scuole, e sulla quale scrissero tanti altri dottori I altro che appresso adorna il nostro choro 1’ altro ch’ è vicino a Grazia no, e ch’ è pietra preziosa di nostra corona quel Pietro ftt

che con la poverella offerse a santa chiesa il suo lhesoro. [p. 219 modifica]

canto
X. 209

Nel proemio dell’opera Pietro disse per modestia che faceva coll’opera un piccolo dono alla Chiesa, e fu il dono della vedova poverella, di cui si fa menzione nell’ Evangelo di s. Luca. La quinta luce che e piu bella tra noi per ragione di sapienza spira di tale amor di tanta grazia divina che tutto il mondo la giu ne gola di saper novella che tutto il mondo ardentemente desidera di aver certezza di lei, giacchò vi sono molte controversie fra i dottori un si profondo saper fuo messa nell alta mente nell’ alta mente della quale luce fu infusa tanta sapienza — in Salomone che a veder tanto non sorse il secundo se i vero e vero che in tanta sapienza non fu mai altr’ uomo nel mondo s’ è vera la verità, cioè la Sacra Scrittura ch’ è la stessa verità. Dionigi Areopagita, greco, prima filosofo, poi primo fra i dottori dopo la sua conversione alla fede di Cristo scrisse molti libri, fra i quali — sulla gerarchia celeste — angelica — e nomi divini apresso vidi dopo Salomone il lume di quel cero di quell’ apportator di luce cioè san Dionigi che giuso in carne che ancor vivente vide piu a dentro conobbe più profondamente I angelica natura e i ministerio la natura ed ufficio degli angeli, per cui Dante lo preferisco a s. Gregorio. Ambrosio od Orosio, giacchè può interpretarsi I’ uno e l’altro: Ambrosio fu grande avvocato de’ tempi cristiani, perchè sorti rono molti eretici al tempo suo; contro di essi combattè a soslegno della fede ,.anzi fu ardito perfino contro dell’ imperatore Teodosio. SanL’ Agostino si convertì per una predica di sant’Ambrosio.—Se vogliasi poi interpretare Orosio, diremo, ch’ esso pure fu un difensore della fede di Cristo contro del paganesimo, come abbiamo dall’opera che lasciò ormesta mundi stesa ad istanza di sant’ Agostino. Al tempo suo Roma fu presa dai gnu, ed i romani in tale sventura lwtemH.

MB:LDI Vo!. 3. 14 [p. 220 modifica]210

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miavano Cristo, dicendo che al tempo dei gentili il popolo romano ebbe vittorie e trionfi, ed ogni bene, ma dopo Gesé Cristo ogni giorno era preda dei barbari. Fu questo il motivo per cui sant’Agostino scrisse il libro della Città di Dio nel quale evidentemente prova e persuade, bolla stessa autorità de’ gentili, i tempi cristiani essere stati di gran lunga migliori de’pagani. Fu allora che scrisse anche adOrosio prete spagnuolo e grande istorico, perché si occupasse di trattare lo stesso argomento, e tutti due mirano allo stesso scopo: quello advocalo de’ tempi cristiani Ambrosio del cui latin Augustin si provide della cui dottrina sant’Agostino si servì per compilare il libro della Città di Dio, e si convertì a salute dell’ aaima propria e di quella d’altri molti ride nei altra picioleUa luce piccioletta, perché fu piccolo di corpo, al pari de’romanì, ma grande di anImo. lnterpretandosi poi Orosio, bisogna spiegare del cui latiri Augustin si provide santo Agostino lo ricercò di sussidio, ed insieme con lui combattè i nemici di Cristo ride in quella piciolelta luce perchè non si sa di certo che Orosio sia stato ascritto nel catalogo de’ santi. (), se tu trani I ochio de la mente di luce in luce or se tu mi seguiti mentalmente di spirilo in ispirito dreto a le mie lode alle mie lodi che feci ad uno ad uno de’ sette spì riti gia de I ociava con sete rimani già rimani con desiderio di sapere dell’ anima beata, che si nasconde nell’ ottavo splendore. 140 spirito ottavo beato seppe tutto lo scibile. San Tommaso lo descrive per la santità della vita, per le opere, per la carcere, per la morte e sepoltura I anima sancta di Boezio vi gode dentro è beata per vedere ogni ben per la vista che ha, e per godere ogni bene in Dio che il mondo fallace fa manifesto a chi di ki ben ode che il mondo fa manìfesto a chi ben

ode delb vera dottrina. Boezio scrisse il famoso libro De [p. 221 modifica]

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X. 211

consolatione philosophiie nell’ esiguo e nella carcere che sofferse. Prova in esso specialmente come sia falsa la umana felicità, e quale sia la sola vera a chi di lei ben ode cioè a chi bene consideri i detti di quell’anima. Boezio fu condannato da Teodosio re de’goti. Ma allora trovavasi in Pavia, e fu strangolato. Alcuni pretendono, che fosse ucciso in Milano, ma prevale piuttosto l’opinione che accadesse in Pavia, perchè di certo un pavese fu l’esecutore: lo corpo ond ella fu cacciata la salma dell’ ucciso giace giuso in Cieldauro giace sepolta nella chiesa del monastero detto Cieldauro, nel quale è pure sepolto sant’ Agostino in Pavia nomata anche Ticinia dal fiume ci essa venne a questa pace e l’anima di Boezio venne a questa beatitudine da martirio ci da ezilio dal martirio ed esilio sofferti per difendere la libertà e la giustizia. Isidoro vescovo di Siviglia scrisse un libro de summo bono: Beda sacerdole inglese, onorato del titolo di venerabile, scolpito da un angelo nella sepoltura, cui si aggiunge, che gli occhi del morto si erano resi atrofici per vecchiaia. — Riccardo da san Vittore scozzese, fratello di Ugone, di cui si parlerà in oppresso: vedi un lume fiammeggiar oltre dopo i predetti, ed in esso sono I ardente spirto de Isidoro di Beda e di Riccardo e di quest’ ultimo aggiunge che fu piu che vivo a considerare perchè scrisse un libro sulla Trinità molto profondo, ed UI) altro sull’intelletto umano tanto acuto, che parve superiore alle menti umane. Questi onde il tuo riguardo a me torna costui, dopo il quale il tuo sguardo tornerebbe a posarsi in me ce il lume d uno spirto che pensier li parve tardo gravi a venlr tardo a morir è l’anima di un tale che assorto in alti pensieri gli parve tarda la morte essa ce la luce eterna di Sigeri, che leggendo nel vico de 11 strami silogizo invidiosi veri è l’aDigitized by Google [p. 222 modifica]2t2 PARADI$O nima di Sigieri maesro di logica nella via detta degli Strami di Parigi, dove allora erano le scuole, e nelle quali insegnò verità, che gli partorirono odio. È invidioso colui di cui mvidiasi la felicità: invido chi invidia il bene altrui. Indi dopo il discorso di san Tommaso vid io la gloriosa rota la corona di que’ gloriosi dottori moversi circolarmente e render voce a voce ed alternar le voci in tempra ci in dolcezza eh esser non puo nota se non cola con tali note, e con tanta dolcezza che non possono trovarsi che in cielo dove s insempra di gioire dove si ha eterna gioia. E ciò coincide con quanto disse superiormente, che cioè il canto di quelle anime non poteva trarsi fuori del cielo, e chiunque voleva udirne la dolcezza doveva farsi le ali per volarvi. così come horolovio che ne chiame nell ora che la sposa di Dio surge a mal(mar lo sposo perche I ami come l’orologio invita la Chiesa sposa di Cristo a cantarne le laudi nel mattino per meritarsi l’amore di lui che I una parte e l altra lira ci urge Un Im sonando con si dolce nota che il ben disposto spirto d amo re turge il qual orologio COLI una parte della ruota Lira quella che ad essa ruota vien dietro e spinge l’altra che le va innanzi, flnchè il battaglio ùrti nella campana a dare il suono, onde colui ch’ è disposto a pregar Dio si svegli, e s’empia d’amore. I dottori dovettero sorgere di notte per lo studio, come i religiosi a cantare, essendo la notte atta alle visioni, e più

adatta alla contemplazione. [p. 223 modifica]

canto
Xl.

TKTO WODItNO O insensata cura dei mortali, Quanto son difettivi sillogismi Quei che ti fanno in basso batter i’ ali! Chi dietro a jura, e chi ad aforismi Sen giva, e chi seguendo sacerdozio, E chi regnar per forza o per sofismi, 6 E chi rubare, e chi clvii negozio; Chi nel diletto della carne involto S’affaticava, e chi si dava all’ ozio: 9 Quand’io da tutte queste cose sciolto Con Beatrice m’ era suso in Cielo Cotanto gloriosamente accolto. I2 Poi che ciascuno fu tornato ne lo Punto del cerchio in che avanti s’era, Fermossi come a candelier candelo: Ui E io sentii dentro a quella lumiera, Che pria m’avea parlato, sorridendo Incominciar facendosi più mera: Così come io del suo raggio risplendo, Sì, riguardando nella luce eterna, Li tuoi pensieri onde cagioni appreiìdo. 2l Tu dubbii , e hai voler che si ricerna In sì aperta e sì distesa lingua Lo dicer mio, che al tuo sentir si sterna, 24 [p. 224 modifica]2l4 PARADISo Ove dinanzi dissi, u’ben s’impingua, E là u’dissi: non surse il secondo; E qui è uopo che ben si distingua. La provvidenza, che governa il mondo Con quel consiglio nel quale ogni aspetto Creato è vinto pria che vada al fondo, 30 Perocchè andasse ver lo suo diletto La sposa di Colui, che ad alte grida Disposò lei col sangue benedetto, 33 In sè sicura e anche a lui più fida, Due Principi ordinò in suo favore, Che quinci e quindi le fosser per guida. 36 L’ un fu tutto serafico in ardore, L’ altro per sapienza in terra fue Di cherubica luce uno splendore. 39 Dell’ un dirò, però che d’ ambedue Si dice l’un pregiando, qual ch’uom prende, Perchè ad un fine fur 1’ opere sue. Intra Tupino, e I’ acqua che discende Del colle eletto dal beato Ubaldo, Fertile costa d’ alto monte pende, Onde Perugia sente freddo e caldo Da porta Sole, e diretro le piange Per grave giogo Nocera con Gualdo. Di quella costa là dove ella frange Più sua rattezza, nacque al mondo un Sole, Come fa questo tal volta di Gange. SI Però chi d’esso loco fa parole Non dica Ascesi, chè direbbe corto, Ma Oriente, se proprio dir vuole.

Non era ancor molto lontan dall’ orto, [p. 225 modifica]

canto
XI. 21

Che cominciò a far sentir la terra Della sua gran virtude alcun conforto; Chè per tal donna giovinetto in guerra Del padre corse, a cui, come alla morte, La porta del piacer nessun disserra: 60 E dinanzi alla sua spirital corte, Ei coram pafre le si fece unito, Poscia di dì in dì 1’ amò più forte. 63 Questa, privata del primo marito, Mille e cento anni e più dispetta e scura Fino a costui si stette senza invito: 66 Nè valse udir che la trovò sicura Con Amiclate al suon della sua voce Colui che a lutto il mondo fe’ paura: 69 Nè valse esser costante, nè feroce, Sì che, dove Maria rimase giuso, Ella con Cristo salse in su la Croce. 72 Ma perch’ io non proceda troppo chiuso, Francesco e Povertà per questi amanti Prendi oramai nel mio parlar diffuso. 7ì La br concordia e i br lieti sembianti Amore e meraviglia e dolce sguardo Facean esser cagion dei pensier santi, 78 Tanto che il venerabile Bernardo Si scalzò prima, e dietro a tanta pace Corse, e correndo gli parve esser tardo. 81 O ignota ricchezza, o ben verace! Scalzasi Egidio e scalzasi Silvestro Dietro allo sposo; sì la sposa piace. 8 Indi seii va quel padre, e quel maestro

Con la sua donna, e con quella famiglia, [p. 226 modifica]216

paradiso

Che già legava 1’ umile capestro: 87 Nè gli gravò villà di cor le ciglia, Per esser tiglio di Pier Bernardone, Nè per parer dispetto a maraviglia; 90 Ma regalmente sua dura intenzione Ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe Primo sigillo a sua religione. 93 Poi che la gente poverella crebbe Dietro a costui, la cui mirabil vita Meglio in gloria del ciel si canterebbe, 96 Di seconda corona redimita Fu per Onorio dall’ eterno Spiro La santa voglia d’ esto archimandrita. 99 E poi che per la sete del martiro Nella presenza del Soldan superba Predicò Cristo e gli altri, che il seguiro; lO2 E per trovare a conversione acerba Troppola gente, e per non stare indarno, Reddissi al frutto dell’ italica erba. tO! Nel crudo sasso intra Tevere ed Arno Da Cristo prese 1’ ultimo sigillo, Che le sue membra due anni portarno. 108 Quando a Colui che a tanto ben sortillo, Piacque di trarlo suso alla mercede Ch’ ei meritò nel suo farsi pusillo; I Il Ai frati suoi, sì come a giuste erede, Raccomandò la sua donna più cara, E comandò che l’amassero a fede: 114 E del suo grembo i’ anima preclara Mover si volle tornando al suo regno,

E al suo corpo non volle altra bara. 1(7 [p. 227 modifica]

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XI. 217

Pensa oramai qual fu colui, che degno Collega fu a mantener la barca Di Pietro in alto mar per dritto segno: 12O E questi fu il nostro Patriarca; Perchè qua! segue lui come ei comanda, Discerner puoi che buona merce carca. I23 Ma il suo peculio di nuova vivanda É fatto ghiotto sì, ch’esser nonpuote, Che per diversi salti non si spanda: 126 E quanto le sue pecore rimote, E vagabonde più da esso vanno, Più tornano all’ ovil di latte vote. 129 Ben son di quelle, che temono il danno, E stringonsi al pastor; ma son sì poche, Che le cappe fornisce poco panno. 152 Or, se le mie parole non SOl) fioche, Se la tua aud lenza è stata attenta, Se ciò che ho detto alla mente rivoche, 15!S In parte fla la tua voglia contenta; Perchè vedrai la pianta onde si scheggia, E vedrà il correggier che s’argomenta 1]’ ben s’ impingua, se non si vaneggia. 139 COMMENTO DI BENVENUTO Si divide il canto in quattro parti. Nella prima, il Poeta sgrida che gli uomini si occupino soltanto di cose, le quali allontanano dalla vera felicità. Nella seconda, si sciolgono alcuni dubbi di Dante. Nella terza, san Tommaso racconta a Dante la vita di san Francesco. Nella quarta, vita de’ Domenicani moderni. O insensata cura di mortali o insana ed irragionevole [p. 228 modifica]2l8 PARADiSO passione de’ mortali quanto son defeciivi i sillogismi quanto sono sbagliati i tuoi sillogismi. Il sillogismo secondo i logici, è un discorso formato da tre proposizioni — maggiore, minore e conclusione: — ora gli uomini sbagliano in una di queste tre, e spesso nella conclusione, ed argomentano così: il sommo bene è quello che può dar tutto all’ uomo, il denaro può dar tutto all’ uomo, dunque il denaro è il sommo bene. La maggiore è innegabile; la minore è provata dall’ esperienza bensì, ma pure falsa, imperocchè il denaro non provvede a tutti i bisogni, giacchè spesso il denaroso ha bisogno dell’aiuto altrui: quei che ti fanno in basso battei’ tali cioè i sillogismi che ti fanno porre l’affetto in cose basse e terrene: chi dreto a iura sen gira chi corre dietro allo studio legale, e Seneca dice di tali — questi superbi con rabbiose ingiurie vendono sè per altri ci chi ad aphorismi e chi corre dietro agli aforismi d’ Ippocrate, alla medicina. É i’ aforismo una massima medica: Ippocrate fece un libro di aforismi, che Galeno commentò. Il primo degli aforismi è il seguente — Vita breve— arte lunga —giudizio difficile—tempo labile — sperimento fallace — ci chi 8 affatica seguendo sacerdotio infatti alcuni fra gli ecclesiastici collo studio del diritto canonico vanno in cerca di cose terrene, ed alcuni vivono di fatto per mangiare al dire di san Girolamo ci chi regnai’ per forza i tiranni che abusano del potere, e non credono che Dio sia loro superiore oper sophisrni per argomentazioni subdole e di sola apparenza, introdotti anche nella scienza teologica, sicchè può sclamarsi con san Bernardo—voi sacerdoti, facesteDio favola del mondo — e chi rubare i mercenari soldati, gli stipendiati, che vanno quasi belve feroci vagando pel mondo, e si pascono di sangue e di stragi; il perchè Lucano non fede non pietà trovai’

tifia — ne’ petti che a servir guerre ad altrui — han fisso il [p. 229 modifica]

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XI. 219

prezzoet chi civil negotio i mercatanti, le cure de’ quali sono piene di ansietà, e spesso di frodi, sicchè appare la verità di quel ditterio che niuno vive secondo il bene dell’arte sua l’artefice e mercatante quando siano onesti non guadagnano che miserie; i disonesti e falsi ricchezze, ma perdono l’anima; l’usuraio quindi all’Inferno, e chi non è usuraio, cade nella miseria: chi nel dilecto de la carne involto chi si abbandona e si seppellisce nelle voluttà: porci nel fango, quando potrebbero esser mondi nell’acqua la più pura e chi si dava al octio disse Dante nell’Inferno, degli oziosi non rasonar di lor ma guarda e passa perché furono morti vivendo questi siaurati che non fur mai vivi — quand io da tutte queste cose sciolto liberato da queste umane cure con Beatrice m era suso in cielo cotanto gloriosamente accolto mi trovava accolto con tanta gloria insieme con Beatrice nel cielo. E diffatto, se vi è felicità in questo mondo, trovasi soltanto nella meditazione: così Aristotile. Il perché, un mio amico, Pietro da Ravenna, sosteneva potersi rinvenire solo ne’ claustri o nelle scuole. Poiche ciascuno fu tornato ne lo cerchio in che avanti s era fermarsi come a candelier candelo poichè ciascuno di quegli spiriti tornò a quel luogo del cerchio donde si era tolto, si fermò là come candela nel candeliero. et io senti dentro a quella lumera che pria m avea parlato sorridendo incominciar facendosi piu mera quand’ecco sentii in quella luce dove prima mi aveva parlato san Tommaso, facendosi più pura e quindi più lucente, sorridendo, dirmi così com io del suo raggio rispiendo si riguardando ne la luce eterna li tuoi pensier onde tu casoni apprendo a quel modo che io mi accendo nel raggio della luce divina, così riguardando in essa, a- prendo la ragione de’ tuoi pensieri, ossia da qual cagione i tuoi pensieri procedono: tu dubi tu dubiti et hai voler che l si [p. 230 modifica]l’ARADISO ricerna in si aperta e in si distesa lingua lo dicer mio che al tuo sentire si scerna e vuoi che si torni a dichiarare in lingua sì aperta e larga che si adatti al tuo sentire ed attuo intendimento il mio discorso dove dinanci dissi aveva detto prima u ben s impingua similmente aveva detto e la u dissi — non naque il secondo — e qui è uopo ben si distingua e qui è necessaria una buona e chiara distinzione per torti di mente ogni dubbiezza San Tommaso col mezzo di una digressione sulla vita di san Francesco procede alla soluzione del primo dubbio di Dantela providentia che governa il mondo con quel consiglio lie’l quale ogni aspecto creato ee vinto pria che vadi al fondo la provvìd’enza divina che governa il mondo con quella sapienza che vince ogni umano intelletto, nella quale sapienza ogni creata vista s’ abbaglia e si confonde prima che giunga a penetrare te profonde ragioni ordino dui principi san Francesco e san Domenico in suo favore in favore della propria Chiesa che quinci e quindi li fussen per guida che guidassero in ogni dove la biga detta Chiesa; però che la sposa di colui la stessa Chiesa sposa di Cristo che dispuoso lei col sangue benedetto ad alte grida che a lei si unì col sangue sparso a salute del genere umano in mezzo alle grida de’giu) / dei — hely hety — prendilo, crucifiggilo andasse ver lo suo dilecto in si sicura et anche piu fida a Lui acciocchè la Chiesa si accostasse ad esso suo sposo diletto con sicurezza, ed anche a lei pitì fida/ Per verità la Chiesa di Cristo aveva d’ uopo della guida dei detti due principi I un fu tutto seraphin con ardore san Francesco partecipò della carità de’ serafini i altro per sapientia in terra fue di cherubica luce mio stskndore l’altro si mostrò nel mondo sfavillante della luce de’cherubini, ossia eccellente in sapienza,

I. •, [p. 231 modifica]

canto
XI. 221

La città d’Assisi è situata nella valle di Spoleto, fra due fiumi, Chiusi, che viene dalla città di Gubbio, e oiir che viene da Nocera. fertile costa d allo monte pende sopra d’As- sisi perch’ è posta nella china di un monte mIra Turpino fiume ecc. e I aqua che discende dal colle electo del beato Ubaldo sant’Ubaldo stette molto tempo eremita in detto monte, e poscia eletto vescovo di Gubbio, di cui divenne patrono onde dalla quale fertile costa Perugia sente freddo e caldo da porta sole tal nome è dato alla porta di Perugia verso oriente/ Perugia è nobile ed antica città, una volta capo luogo della Toscana secondo Livio. e Nocera con Gualdo due terre, e specialmente la prima lo piange di retro per grave giogo perchè riceve gelo, ed incomodi da detto monte. Altri ritengono che quei di Nocera piangano il grave giogo di Perugia che ne aveva il dominio. Ciò fu vero un tempo, ma ora la prima interpretazione è più vera, de I un di loro di san Francesco per che si dice d ambedue presiando I un imperocchè non sì può a meno di noti laudare ambidue, lodandone un solo qual eh uom prende qualunque dei due si prenda perch a un fine fur £ opere sue perchè le opere dell’ uno, e dell’altro guardarono al medesimo fine. Qua nto ingegno scorgesi in Dante nell’introdurre san Tommaso a tessere l’elogio di san Francesco riprovando la vita e costumi de’ Domenicani, che non seguitano il loro fondatore. Di questa costa la dove ella frange piu sua rattezza dalla costa di Assisi, nel luogo dcv’ ella più che altrove piega e rende più dolce la sua ripidezzanacque al mondo un Sole san Francesco gran lume di cristiana perfezione’ come faquesto talvolta di Gange come il solernondiale quando sorge più caldo agli abitanti del Gange 11cl!’ Indie orientali: pero chi d esso loco fa parole chi parla di tal città non dica ascesi che diDigitized

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paradiso

rebbe corttdirebbe corto per direbbe poco rispetto al pregio di essa o (orto malamente, ma Oriente se proprio dir vuole ma dovrebbe chiamarla più propriamente oriente. Se un sole chiamasi san Francesco, Assisi ch’ è luogo dove nacque, sta bene che si chiami oriente/ non era ancor molto lontan dal orto non era ancor passato ìolto tempo dal di lui nascimento che comincio a far sentire la terra alcun conforto de la sua virlu. Il sole, anche al suo nascere, comincia a riscaldare la terra, ed a ricreare gli animali, come san Francesco sebbene fanciullo cominci&a sfavillare di belle virtù che per tal donna corse giovinetto in guerra del padre\perchè per la povertà incontrò l’ira del padrepospose l’amore del padre all’amore della povertà da tutti odiata a cui come a la morte, la porta del piacer nessun disserra alla qual povertà nessuno apre la porta del piacere, come non l’apre alla morte, ossia la povertà che nessuno accoglie con piacere, anzi per fuggirla taluno arriva fino a darsi la morte el le si fece unito e la prese per moglie in presenza del Padre e dinanzi a la sua spiritai corte e dinanzi al foro ecclesiastico, ed al cospetto del padre rinunziò ad ogni avere terreno unendosi alla povertà; poscia di dì in dii amo piu forte poi le crebbe amore di ‘) giorno in giorno tanto che mai non l’abbandonò, e di lei non si dimenticò neppure dopo morte. Questa moglie stette vedova privata del primo marito di Gesù Cristo che per primo mostrò di amare la povertà: mille e cento anni e più più di undici secoli si stette dispecla e scura spregiata ed oscura senza invito senza che alcuno la cercasse fino a costui fino a san Francesco. E non pertanto erano stati molti santi Padri ed eremiti che i’ amarono, come san Benedetto, san Macario, san Bernardo, san Damiano,

Led altrJ]ima non mai tanto spontaneamente ,ed ardentemente [p. 233 modifica]

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xi. 223

come lui.iLa povertà rende l’uomo intrepido contro i colpi della fort4ha. Cesare nella Grecia mal tollerando il ritardo nella guerra, per riunire, l’altra parte del suo esercito si affidò in leggera barchetta di misero pescatore alla fortuna di mare. ne valse che colui che a tutto I mondo fe paura la trovo sicura con Amiclate al son di la sua voce non valse aver udito raccontVe, che Giulio Cesare che fe’ paura a tutto il mori- do trovasse la povertà sicura con Amiclate pescatore, allora che battendo alla porta della capanna di lui lo chiamò ad alta voce; ne valse esser costante ne feroce si che dove Maria rimasegiuso ella con Cristo pianse in su la croce nè valse alla povertà, per rendersi accetta agli uomini, l’essere stata costante e coraggiosa fino a salire sulla croce con Gesù Cristo, che vi morì ignudo, quando Maria rimase a piè di essa. Lucano parlando di Amiclate esclama — o potere di sicurtà ne’ poveri! E Giovenale —- il viandante canterà spensierato dinanzi all’assassino: ma perch io non proceda troppo chiuso ma per non parlare troppo oscuro prendi ornai nel mio parlar di- fuso Francesco e Poverta questi amanti apprendi dal mio più aperto discorso che Francesco e Povertà furono due amanti. Francesco da franco libero da ogni cupidigia; Povertà da parvo poco, che figura sobrietà, temperanza, libertà. La br concordia e br lieti sembianti amore e maraviglia e dolce sguardo facian esser cagion de pensier sancti la loro concordia di vita, il loro contento che traspariva nel volto, la carità maravigliosa, la dolce contemplazione loro dava materia a pensare soltanto cose sante tanto che I venerabile Bernardo Bernardo di Qnintavalle, il primo seguace di san Francesc% si scalzo prima prima vestì l’abito di san Francesco,<a piedi nudi e corse dreto a tanta pace qianta ne dà la povertà e li parve esser tardo correndo e gli parve di non essere mai veDigitized

by Google [p. 234 modifica]224

paradiso

loce abbastanza per seguirla o ignota richezza o ben ferace! o ignorata ricchezza, o bene il più vero,Qcalciasi Egidio scalciasi Silvestro Egidio e Silvestro furono due altri de’ primi seguaci di san Francesco. Silvestro spense la civil guerra di Assisi, e vide uscire una croce dalla bocca di san Francesco. dreto a lo sposo si la sposa piace dietro a san Francesco sposo della povertà tanto anche da essi amata. indi si va quel padre e quel maestro con la sua donna e con quella famiglia che gia legava I humile capestro indi san Francesco gran padre di famiglia, e maestro de’ seguaci ai quali insegnò la povertà, l’umiltà, la continenza,l’obbedienza,e la pazienzava colla moglie sua che lo seguita dovunque e con quei seguaci, ai quali cingeva il fianco I’ umile cordonne li gravo villa di cor le ciglia per esser figlio di Pier Bernardone ne per parer dispecto a maraviglia nè per essere figlio di Pietro Bernardone, uomo ignobile, fu esso vile di cuore, che gli fa- cesse tener la fronte bassa, e lo rendesse timido e dispregevole a segno di recar maraviglia ma regalmente sua dura intentione ad Innocentio aperse ma con nobile franchezza a- perse il suo proposito ad Innocenzo lii di sottoporsi cioè alla tanto dura sua regola e da lui ebbe primo sigillo a sua religione e da lui ottenne il breve di concessione. Poiche la gente poverella crebbe dreto a costui ebbe san Francesco dodici discepoli seguaci ad imitazionedi Gestì Cri- sto, tutti santi fuord’uno,chevollc (orsi all’ordinetper prender moglie, e finì coll’appiccarsi per la gola la cui mirabil vita in gloria del del si canterebbe la cui vita maravigliosa sarebbe più degna d’essere cantata nella gloria celeste dagli angeli e dai santi e la sancla voglia d esto Archimandrita la santa determinazione dì questo pastore san Francesco — Archimandrita

(la Archos principe, e Mandros greggia, sicchè [p. 235 modifica]

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Xl. 22

capo di greggia — fu redimita fu adorna di secunda corona di seconda confermazione, e così ottenne un SeCon(lo privilegio per Ilonorio dal papa Onoriospirato dallo Spirito Santoj clic accordò ai frati di san Franceso o frati minori il privilegio di ministrare i sagramenii, e di potere aspirare a dignità ecclesiastiche. lstituito l’ordine, cd ottenuta la conferma colla regola, san Francesco passò i mari a predicare Io fede di Cristo fra i saraceni. Ma non contento deI profitto, tornò in Italia, e si 1 oascosc nel monte della Verna che divide la Romagna dalla Toscana, monte posto tra Cesena ccl Arezzo, e da cui nascono i due fiumi Tevere ed Arno. In tal monte si dice che san Francesco ricevesse le stimate e prese da Gristo I ultimo sigillo te stimate, che furono 1’ ultima conferma di sua religione, la prima da lnnocenzo, la seconda da Onorio, la terza da Gesù Cristo che le sue membra due anni portarono che furono in lui visibili ed aperte per due anni nell’eremo della Verna nel crudo saxo sopra duro sasso del monte che trovasi mira Tevere ci Arno: il Tevere da tal monte traendo la origine scorre fino a Roma, ed è fiume celebrato dagli storici, filosofi, poeti e dottori. L’Arno poi è altro fiume, che ha la stessa origine, e divide la Toscana e la scorre, come nel canto XIV del Purgatorio. Dal monte suddetto nascono due fiumi celebratissimi i quali bagnano estese provincie, e da san Francesco vennero altri fiumi e ruscelli, che irrigarono provincie, regni e mondo intero/poiche predico Cristo e gli altri che I seguiron dopo che ebbe predicata la fede di Cristo seguita dagli apostoli, martiri, ed altrI santi nella presenza dcl Soldan superba non avendo timore della presenza del superbo Soldano di Egittoui i sudditi venerano ed inchinano e redissi e tornò al /ructo de la erba Italica in Italia ferace di oR

MALD1 —- Voi. 5. 15 [p. 236 modifica]226

paradiso

gni prodotto per trovai’ la gente troppo acerba a conversione per avere trovata la gente saracena troppo dura a convertirsi per non stare indarno e per tentare il profitto di altre conversioni. Quando a colui a Dio che a tanto ben sortillo che lo predestinò al sommo bene pia que di trarlo suo piacque di chiamarlo al cielo a la mercede al premio che merito nel suo farsi pusillo nel farsi tanto poco ed umile e I anima preclara e la di lui anima illustre si volle mover dal suo grembo dal corpo in cui era ristretta tornando al suo regno celeste e al suo corpo non volh altra bara e non volle la bara, ma solo esser coperto dal cielo: Negli estremi di vita interrogato da suoi fratelli dove voleva essere sepolto, rispose al Carnaio Cimitero de’ condannati fuori di Assisi, ed ivi difatto fu sepolto. Unsontuosissimo tempio in quel luogo fu poscia eretto, qual tempio tutti corrono a visitare non tanto per la magnificenza del luogo, quanto per la venerazione del sepolto. raccomando la donna sua piu cara la povertà, tanto a lui diletta moglie a fratri suoi ai suoi fratelli si come ajusti heredi come a lcgitliini eredi; ma perché un’ eredità può ripudiarsi se si ritiene dannosa, così alcuni la credettero tale eco- mando che i amassero a fede ed ordinò che le fossero fedeli J ‘ ed amorosan Tommaso ora scioglie i dubbi dì Dante, poiché terminando la vita dì san Francesco così aggiunge pensa oramai qual fu colui che fu degno collega san Domenico compagno di san Francesco nell’ ufficio di regolare e mantener la barca di Pietro in alto mar per dritto segno e preserarc la Chiesa dalle tempeste di questo mondo procelloso, diriggendola all’eterna felicità. E questi fu il nostro patriarca san Domenico, del ctii

ordine era san Tommaso che parla, patriarca o principe di [p. 237 modifica]

canto
XI. 227

altri padri perche discerner puoi dal che conoscer puoi che quel segue lui coni I comanda che qualunque segue san Fra ncesco secondo la regola carca bone merce carica merci buone, e cosi ben s impingua e così bene ingrassa. ma il suo pecuho il gregge di san Domenico di nuova vivanda e fauoghiotto è divenuto sì ghiotto di beni terreni eh esser non puo che per diversi salti non si spanda che non può non accadere che per diversi boschi o deserti vada deviato dal santo costume. Il testo però può intendersi alla lettera, e cioè che ai tempi di Dante il gregge di san Domenico non avesse come in principio tutia la cura d’impinguarsi nell’anima, ma ben anche nel corpo per la smania di nuovi cibi. Allegoricamente poi che cercano nuovo cibo nelle dignità, onori, prebende ccc. Il salto è luogo erboso e montuoso. e quanto lesue pecore rimote e vagabonde piu da esso vanno quanto più si allontanano, e van vagando lontane dal pastore ossia da san Domenico piu tornan vote di latte piè tornano senza dottrina, colla quale cibare, a guisa del laUe, gl’ignoranti a I ovile al monastero. ben son di quellhe temono I danno estringonsi al pastor vi sono pecore, ovvero frati che temono le insidie e stanno stretti alla regola per non perire ma son si poche che le cappe fornisse pocho panno ma sono scarse di numero che con poche braccia di panno si vestono. Or se le mie parole non son fioche deboli, oscure se la tua audatia e stata attenta se mi ascoltasti con attenzione e se cio che e dieto a la mente rivochi se richiami alla mente quanto dissi di san Francesco e de’ frati di san Domenico per- che vedrai la pianta ove si schegia vedrai di quale materia si fanno parole e vedrai il corregier eh argomenta e conoscerai qual argomento racchiudono le parole u ben simpingua se non .qi vaneggia ecc. [p. 238 modifica]CANtO Xl!. TISTO MODKRNO Sì tosto come I’ ultima parola La benedetta fiamma per dir tolse, A rotar cominciò la santa mola: 3 E nel suo giro tutta non si volse, Prima che un’ altra d’ un cerchio la chiuse, E moto a moto, e canto a canto colse: 6 Canto che tanto vince nostre Muse, Nostre Sirene, in quelle dolci tube, Quanto primo spiendor quel che rifuse. 9 Come si volgon per tenera nube Due archi paralleli e concolori, Quando Giunone a sua ancella iube, 12 Nascendo di quel d’ entro quel dì fuori, A guisa del parlar di quella vaga, Che Amor consunse come il Sol vapori; 15 E fanno qui la gente esser presaga, Per lo patto che Dio con Noè pose, Del mondo che giammai piiì non s’allaga; 18 Così di quelle sempiterne rose Volgeansi circa noi le due ghirlande, E sì l’estrema all’ intima rispose. 21 Poichè il tripudio e l’altra festa grande Sì del cantare e sì del fiammeggiarsi

Luce con luce gaudiose e blande, [p. 239 modifica]

canto
Xli.

insieme a punto e a voler quetàrsi, Pur come gli occhi che al piacer che move Conviene insieme chiudersi e levarsi, 27 Del cor de 1’ una delle luci nuove Si mosse voce, che 1’ ago alla stella Parer mi fece in volgermi al suo dove; 30 E cominciò: l’amor che mi fa bella Mi tragge a ragionar dell’altro duca, Per cui del mio sì ben ci si favella. 33 Degno è che dov’è l’un l’altro s’induca Sì che, com’ clii ad una militaro, Così la gloria loro insieme luca. 36 L’esercito di Cristo, che sì caro Costò a riarmar, dietro alla insegna Si movea tardo, sospecioso, e raro; 39 Quando lo Imperator che sempre regna Provvide alla milizia ch’era in forse, Per sola grazia, non per esser degna; 42 E, corn’ è detto, a sua sposa soccorse Con duo campioni, aI cui fare, al cui dire Lo popol dìsviato si raccorse. iii quella parte, ove surge ad aprire Zeffiro dolce le novelle fronde, Di che si vede Europa rivestire, 48 Non molto lungi al percuoter dell’onde, Dietro alle quali, per la lunga foga Lo Sol talvolta ad ogni uom si nasconde, il Siede la fortunata Callaroga Sotto la protezion del grande scudo, In che soggiace il Leone e soggioga.

Dentro vi nacque 1’ amoroso drudo [p. 240 modifica]230

paradiso

Della fcde cristiana, il santo atleta, Benigno a’ suoi e ai nimicì crudo: E come fu creata, fu repleta Sì la sua mente di viva virtute, Che nella madre lei fece profeta. 60 Poi che le sponsalizie fur compiute Al sacro fonte intra lui e la Fede, U’ si dotar di mutua salute, 63 La donna, che per lui l’assenso diede, Vide nel sonno il mirabile frutto, Che uscir dovea di lui e delle rede: E perché fosse quale era in costrutto, Quinci si mosse Spirito a nomarlo - Del possessivo, di cui era Lutto. 69 Domenico fu detto; e io ne parlo Sì come dell’ agricola che Cristo Elesse all’orto suo per aiutarlo. 72 Ben parve messo e famigliar di Cristo, Chè il primò amor che in lui fu manifesto Fu al primo consiglio che diè Cristo. Th Spesse fiate fu tacito e desto Trovato in terra dalla sua nutrice, Come dicesse: io son venuto a questo. 78 O padre suo veramente Felice! O madre sua veramente Giovanna, Se interpretata vai come si dice! 81 Non per lo mondo, per cui mo s’affanno Diretro a Ostiense e a Taddeo, Ma per amor della verace manna, 84 In picciol tempo gran dottor si feo,

Tal che si mise a circuir la vigna, [p. 241 modifica]

canto
XII. 231

Che tosto imbianca se il vigaio è reo: 87 E alla Sedia, che fu già benigna Più ai poveri giusti, non per lei Ma per colui che siede e che traligna, 90 Non dispensare o due o tre per sei, Non la fortuna di prima vacante, Non decimas, quw sunt pauperum Dei, 93 Addimandò, ma contra il mondo errante Licenzia di combatter per lo seme, Del qual ti fascian ventiquattro piante. 96 Poi con dottrina e con volere insieme, Con I’ uficio apostolico si mosse, Quasi torrente che alta vena preme: 99 E negli sterpi eretici percosse L’impeto suo più vivamente quivi, Dove le resistenze eran più grosse. 102 Di lui si fecer poi diversi rivi, Onde 1’ orto cattolico si riga, Sì che i suoi arbuscelli stan piiì vivi. 10 Se tal fu i’ una ruota della biga, In che la santa Chiesa si difese, E vinse in campo la sua civil briga, 108 Ben ti dovrebbe assai esser palese L’ eccellenza dell’ altra, di cui Tomma Dinanzi al mio venir fu sì cortese. 111 Ma l’orbita4 che fe’ la parte somma Di sua circonferenza, è derelitta, Sì ch’è la muffa dove era la gromma. I 14 La sua famiglia, che si mosse dritta Coi piedi alle sue orme, è tanto volta, Che quel dinanzi a quel diretro gitta: 117 [p. 242 modifica]232 PARADiSO E tosto s’avvedrà della ricolla Della mala coltura, quando il loglio Si lagnerà che l’arca gli sia tolta. 120 Ben dico, clii cercasse a foglio a foglio Nostro volume ancor troveria carta, U’leggerebbe: io mi son quel ch’io soglio. 123 Ma non fia da Casal, nè d’Acquasparta, Là onde vengon tali alla Scrittura, Ch’ uno la fogge, e l’altro la coarta. 126 Io son la vita di Bonaventura Da Bagnoregio, che nei grandi ufici Sempre posposi la sinistra cura. 129 Illuminato e Agostin son quinci, Che fiir dei primi scalzi poverelli, Che nel capestro a Dio si foro amici. 132 Ugo da Sanvittore è qui con etti, E Pietro Mangiadore, e Pietro Ispano, Lo qual giù luce in dodici libelli: 13 Natan Profeta, e il Metropolitano Crisostomo, e Anselmo, e quel Donato Che aJla prima arte degnò poner mano: 138 Rabano è qui, e lucemi da lato Il Calabrese abate Giovacchino Di spirito profetico dotato. 141 A inveggiar cotanto paladino Mi mosse la infiammata cortesia Di fra Tommaso, e il discreto latino;

E mosse meco questa compagnia. 14 [p. 243 modifica]

canto
XII. 2.33

COMMENTO DI BENVENUTO Si divide il canto in quattro parti. Nella prima, si mostra una corona di anime fra loro simili. Nella seconda, san Bonaventura racconta la vita di s. Domenico. Nella terza, si sgridano i moderni frati minori. Nella quarta, un’anima si palesa, e dà notizia di molte altre. Aveva appena san Tommaso finito il suo discorso, che gli spiriti beati ricciminciarono il tralasciato ballo circolare, ed altri spiriti sopravvenendo fecero altro cerchio intorno al primo, uniformandosi al moto ed al canto. la santa mola il drappello di que’ risplendienti spiriti danzanti in giro e moventisi qual mola o macina comincio a rotar a tripudiare silo- sto come la benedicla fiamma san Tommaso tolse i ultima parola finì il suo discorso e non si volse prima tutta nel suo giro e non ebbe compito un Intero giro che un altra di cerchio la chiuse cI moto a moto e canto a canto colse che un’altra corona di beati la circondò, ed accordò il moto ed il canto al moto ed al canto del cerchio inchiuso. canto che tanto vince nostre muse nostre sirene in quelle dolci tube canto che articolato in que’ dolci organi supera tanto quello de’ nostri poeti e delle nostre cantatrici quanto primo spiendor quel che infuse quanto il raggio diretto supera il raggio riflesso. Dante vuol significare che quei santi dottori cantarono più dolcemente, e con maggior diletto ne’ sacri libri. di quello che i poeti coi loro carmi, quantunque si dicà che movessero gli alberi, i sassi e le fiere. Vincevano pur anche le sirene che figurano le illecite voluttà. Il canto di que’ dottori era ispirato da Dio, ossia per la scienza teologica: ma il canto delle altre scienze è riflesso della natura e dell’arte.

Le due ghirlande conteste di quegli spiriti beati di [p. 244 modifica]23

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quelle sempiterne rose di que’ dottori più belli degli altri come la rosa è più bella degli altri fiori volgensi circa noi si volgeano intorno a me e Beatrice et si I extrema all ultima rispose e I’ ultima ghirlanda o cerchio veniva essa pure, ma proporzionando il moto proprio a quello del1’ altra. così come due archi parallelli equidistanti fra loro si volgon per tenera nube si mostrano in nube sottile e con colori con colori diversi quando Junonc a sua ancilla iube quando Giunone comanda ad Iride ancella sua, ossia quando apparisce in cielo l’arco baleno. Iride è messaggiera di Giunone, e vuolsi che abbia quattro colori principali. Giunone figura 1’ aria: nascendo di quel dentro quel di fuori producendosi per riflessione di raggi 1’ arco di fuori maggiore dell’altro arco minore o conentrico a guisa del parlar di quella vaga che amore consunpse come sol vapori come per riflessione di voce formasi il parlare dell’eco, vaga Ninfa che per amore di Narciso si consunse, al pari de’ vapori al raggio del sole: allegoricamente, da (in vanitoso non resta che poco fiato; e fanno qui la gente esser presaga e quegli archi parallelli fanno presagire ai mondani del mundo che gia mai piu non allaga che non sarti più il mondo castigato col diluvio. Voce si mosse del cor de I una de le voci nove dal mezzo di una di quelle luci novellamente appar3e, L1SCÌ una voceche mi fece parer I ago a la stella in volgermi a suo dove che nel volgermi al luogo donde venne, fece che io paressi l’ago della calamita che si volge subito alla stella polare poiche I tripudio la lieta danza e i altra festa grande wide si del cantar del fiammeggiar e l’altra letizia come del canto di ringraziamento così del rispondere a gara l’una luce in vista dell’altra in segno di carità luce con luce gaudiosee bianche quelle luci quelle anime beate piene di gioia e di piacevolezza insieDigitized

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XII. 23S

me a punto ci a voler quetarsi tutti ad un istesso punto, ed a voler loro quieta ronsi, pur come gli occhi convien chiudersi e levarsi insieme al piacer che move a guisa degli occhi che inovonsi, si aprono e si chiudono insieme volontariamente, e comincio e quella voce di san Bonaventura di Bagnoregio dell’ ordine de’ frati minori, e gran maestro in teologia, così cominciò. L amor che mi fa bella mi tragge a ragionar de I altro duca la carità clic mi fa beata, mi inove a parlare dell’ altro capo o guida di religiosa famiglia, cioè di san Domenico per cui del mio si ben si favella in riguardo del quale san Tommaso tanto bene parlò del mio patriarca san Francesco: degno e che dove e i un i altro s induca è giusto che dove si fa menzione dell’uno, facciasi lode anco dell’altro si che com dli ad una militaro cosi la gloria loro insieme luca perché a- vendo essi militato per uno stesso fine, splenda insieme anche la loro gloriosa vittoria. Ingegnosamente il Poeta introduce un frate minore a tessere la vita di san Domenico e di lui famiglia, perché in tal modo il discorso cresce di fede. La Chiesa militante aveva bisogno di due capitani o duci, o principi chiamarsi vogliano, per estirpazione de’viziLoramai giganti2 e per vincere lajpinaccioseresia; e pd primo oggetto ebbe san Francesco, pd secondo san Domenico. 1 esercito di Cristo che si caro costo a riarmar la Chiesa militante, che a prezzo del sangue di Gesù Cristo riebbe le armi toltele dal demonio dietro a le insegne si movea tardo sospectoso e raro perche seguivano il vessillo della croce pochi, di sospetta fede, e con molta freddezza/iietro a linsegna dietro ai doni dello Spirito Santo, che sono le insegne che guidano l’esercito quando i frnperador che sempre regna quando Dio eterno

provvide alla militia eh era in forsi provvide alla dubbiosa [p. 246 modifica]

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milizia per sola gratia non per esser degna per la sola sua immensa bontà, e 8OCCOfSC a sua sposa con due campioni e come si disse, provvide la Chiesa di due campioni — san Francesco e san Domenico al cui fare al cui dire i quali coll’opere e col predicare lo popolo desvlato se raccorsi il popolo crìstiano, che aveva abbandonata la via della virtù, tornò alla fede. La fortunata Calorgaveramente fortunata, perchè patria di tanto sostegno di fede cstiana — calos — buono— rogo — lati no — prego. — S. DomeOico fu oriondo di Spagna, del regno di Castiglia, della città detta Austina in quella villa nomata Calorga sede è posta in quella parte ove Zeffiro dolce sorge ad aprir le novelle fronde di che Europa si vede rivestire dalla parte occidentale all’ Italia donde 1 zeffiro, venticello di primavera, viene a far germogliare le piante non molto lungi al percuoter dell onde dreto a le quali lo Sol talvolta si nasconde ad ogn om non molto lontano, da dove le onde fanno ne’ lidi molta percossa, e dietro le quali per la lunga foglia pci grande spazio che scorre il sole prima di giungere al nostro emisfero, talvolta il sole si nasconde ad ogni uomo. La descritta regione è sotto il dominio del re di Castiglia sotto la proteclion del gran scudo in che sogiace il Leone e sogioga sotto la protezione del re di Castiglia, nelle cui armi son due castelli e due leoni, in quattro caselle distribuiti a modo clic da una parte un leone soggiace ad un castello, e nell’ altra un leone sovrasta ad un altro castello dentro vi nacque 1 amoroso Drudo san Domenico, drudo, perchè amante della sposa di Cristo il sanclo atleta de la fede cristiana il potente sostegno e propugnacolo della fede di Crist%benigno a suoi e a nemici crudo benigno coi cristiani, terribile, qual fiera, contro gli eretici: e la sua mente fu si repleta di divina virtute CODigitized

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canto
XII. 237

me fu creata ed appena Dio infuse l’anima nel di lui corpo, fu sì pieno di grazia divina che nella madre lei fece propheta la qual virtù o grazia, mentr’ egli era nell’utero della madre, la madre medesima fece profetessa. La madre di san Dome nico sognò di partorire un cane tj?ianco e nerjcon una fiaccola accesa in bocca.{Al sogno corrisposero gli eventi, perchJ fu cane animoso contro degli eretici, e portò la face che illuminò il mondo cristiano, quando ier face non vogliasi interpretare l’ardente carità, giacchò tutto vendette e divise ai poverelli, e voleva vendere sè stesso a chi lo pregava, quando non aveva di che soccorrere. La donna che per lui i assenso dede vide nel sonno I mirabil fructo che uscir dovea di lui e de le herede la comare che per san Domenico fece la promessa alla fede, vide in sogno che al fanciullino splendeva una stella in fronte,fd una nella nucaÌ cosicchè illuminavano l’oriente e l’occidente; vide il maraviglioso frutto della dottrina e predicazione, che doveva venire da lui e dagli eredi, ossia dai futuri domenicani, fra i quali sorsero molte stelle spiendienti, cresciute in lume dello stesso san Domenico’poiche le sponselitie fuor compiute al sacro fonte mira lui la fede e si dotar di inutua salute dopo che le nozze furono compiute, ossia operata 1’ unione della Fede coll’uomo in virtù del battesimo, in cui san Domenico promise alla Fede di difenderla, e la Fede promise a lui la vita eterna. — Nel battesimo si contrae un obbligo fra il levante che addiviene padre, ed il levato che addiviene figlio: il padre ha obbligo d’ insegnare e di mantenere il fi. glio nella fede. E si contrae tal legame che il levante non può sposare la levata, nè farla sposare a suo figlio. eperche fosse quale era in costrueto quici si mosse spirito a nomarlo del possessivo di cui era tutto perché il suo nome e la sua indole [p. 248 modifica]38 PARADiSO fossero una cosa stessa, dal cielo si mosse un angelo e nominollo Domenico, nome possessivo di Dominus cioè del Signor Iddio, affinchè il santo nella costruzione del nome fosse quegli che era in sè stesso, como era tutto del Signore Dominico fu detto ci io ne parlo si come dei agricola che Cristo elesse al orto suo per aiutarlo fu chiamato Domenico, cd io (Bonaventura) parlo di lui, come Cristo parlò dell’agricoltore che aveva chiamato ad aiutarlo nella coltivazione dell’orto ben parve messo e famigliar di Cristo che al primo amor che n lui fu manifesto fu ai p,iiflO consio che de Cristo ed apparve veramente mandato da Dio ed a lui caro, perciocchè il primo desiderio che in lui si manifestò fu di appigliarsi al principal consiglio che Cristo ci diede,cioè di lasciare le ricchezze, al quale consiglio oggidi gli uomini son falLi sordj! Quattro sono i consigli di Dio — umiltà e mansuetudine — casLilà — povertà — e carità verso i nemici e nostri persecutori. .wesse fiate fu tacito ci desto trovato in terra da la sua nutrice come dicesse i son venuto a questo spesse volte fu trovato dalla nutrice sul nudo suolo, desto e senza pianto e vagit(uasi volesse esprimere — io son venuto per dare esempio di povertà edi umiltà)— terra sei ed in terra tornerai. O Padre suo veramente Felice felice non tanto di nome, q uanto per tal figlid’o madre sua veramente Giovanna se interpretata vai come si dice. Il padre di san Domenico aveva il nome di Felice, e la madre Giovanna chep ebraicsignifica graziosa apportatrice di grazì’a. gran dottor si feo in picciol tempo addivenne in poco tempo dottore in teologia, quasi per infusa scienza, giacché bisogna avere lungo studio per addivenirlo tal che si mise a circuir la vigna si mise intorno alla Chiesa che tosto imbianca se i vignaio e reo che seccandosi,

di verde si fa bianca, quando il vignaiuolo è malvagio: non [p. 249 modifica]

canto
XII. 239

per lo mondo non per acquistare i beni mondani per cui mo saffanna pei quali tanto si suda e si corre con affanno di retro ad Ostiense cia Taddeo. Ostiense cardinale commentatore delle Decretali. Taddeo medico fiorentino, chiaro in scienze fisiche, e ch cquistò grandi ricchezze. Veggiamo tutto giorno gli abbati saltare il primo rudimento grammaticale, ed a tutto corpo mettersi allo studio delle Decre(ali in vista di benefici e dignità. Taddeopoi fu compano di Dante, che lesse in Bologna e morì nel 129ma per amor de la verace manna ma per amore della etei’iìa beatitudine, cli’ è la manna del Paradiso. a la sedia che fu .qia benigna più a poveri giusti non per lei ma per colui che siede e che traligna ed alla sede pòntiflcia che fu benigna ai poveri giusti, più di quello che ora è, non per colpa di lei, ma di colui, che su vi siede e traligna non dispensare o due o tre per sei non la fortuna di primo vacante non decimas quw suni pauperum Dei addimandìon dimandò san Domenico di poter clargire in usopio solamente dueotrepercompensare la usurpazione di sei; non dimandò di essere collocato nella prima sedia, nel primo beneficio vacante; non dimandò le decime che sono dei poverelli del Signore ma contro 1 mondo erranfr,4iutto sto addimandò contro del mondo errante licentia di combat1cr per lo seme del qual ti fascian ventiquattro piante il permesso di combattere per la fede,di cui sono frutto le venti- X ,1 quattro piante, i ventiquattro beati spiriti delle corone. Poi con dotrina e con volere insiem/oi ricco di scienza, ed a tutto anim coni officio apostolico si mosse con 1’ autorità delegatagli dal Sommo Pontefice corse quasi torrente eh alta vena preme come torrente sgorga impetuoso, se viene sospinto (la copiosa sorgente. e negli sterpi eretici percosse

I impeto suo ed estirpò le piante (teli’ eresia plu vivamente [p. 250 modifica]240

paradiso

quivi dove le resistenze eran piu grosse [più arditamente in -4J quel luogo, ossia nel distretto di Tolosa, ove facevansi forti J-Pr 4g)1. . . . . . . . . gli albigesi in eresie ed in poterJdz lui si fecer poi diversi riv5iccome prima san Domenico si assomigliò ad un torrente, così conviene la somiglianza di rivi ai diversi religiosi che lo seguironoonde1orto cattolico si riga si che suoi arboscelli stan piu vivi dai quali rivi la Chiesa, prima chiamata orto, viene irrigata, e le piante si mantengono sempre verdi e vive nella fede. se tal fu i una rota de la bigy se tale fu UnO de’campioni della Chiesa, rappresentata inNin carro a due ruote in che la santa Chiesa si difese che la difese e vinse in campo la sua civil briga e superò la contesa degli eretici, che chiama briga civile, in quanto sono cristiani e fratelli in Cristo leccellenza de i altra ruota, ossia di san Francesco di cui Torna dinanzi al mio venir fu si cortese di cui san Tommaso prima che io t’ apparissi, fu cortese nel fartela conoscere,Lovvero fu sì buon lodatorJben ti dovrebbe assai esser palese ben ti dovrebbe esser nota,4na I orbita, che fe la parte solida di sua circonferenza e derelitta ma la carreggiata che fu segnata dalla circonferenza della parte somma di essa ruota è abbandonata, ossia, oggi alcuni de’ frati francescani non seguono più le vestigia del loro fondatore si ch e la mufft dov era la gromma il male è dove prima era il bene. Lagrommaè(ristallizzazionsolida, saporita, odorosa, e che serve a mantenere buono il vino Lnelle bottjj la muffa è lLibrica, insipida, fetida, ed appesta il vino per buono che sia: così ne’ religiosi quando si corompe la virtù che guida a salute, e si prenda vita di vizio, la sua famiglia che si mosse dritta copiedi a le sue orme la prima famiglia clic tenne dietro alle vestigia del suo fondatore e tanto volta è tanto fuor di via che quel dinanzi quel di retro giltahc roDigitized

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canto
XII. 21

ne il davanti del piede dove san Francesco aveva il calcagno, ossia va a rovescio da luijj E tosto s avedra de la ricolta de la mala coltura e conoscerai del raccolto quanto sia cattiva la coltivazione quando il loglio si lagnera che i arca gli sia tolta quando la zizzania si lagnerà che le sia tolta l’arca o il graÀaio per esser data al fuoco, ossia quando il traviato frate si lagnerà di aver perduto il Paradiso, e meritato l’Inferno. Il loglio toglie la vitalità al frumento. Per arca vien figurata la Chiesa o la regola, le quali conservano i fruLt,en dico chi cercasse a foglio a fo- Lc. glio nostro volume ancor troveria carta u legerebbe io mi soii quel eh io soglir(chi esaminasse ciascun frate dell’ordine Francescano, come si fa di un libro di foglio in foglio, ne troverebbe ancora di tal costume che farebbe dire — questi è dei veri frati antichi, non cambiato, ma umile, povero e scalzo— ma non fia da Casal ne d Acquasparta la onde vengon tali a la sri1tura che uno la fugge et I altro la coarta ma colai religioso non sarebbe da Casale nè d’ cquasparta, dai quali luoghi vengono tali alla regola scritta di san Francesco, che uno ne fugge il rigore, e l’altro lo accresce a dismisura; quindi il Libro da Casale sull’Apocalisse è proibito: l’altro poi molto allargava il senso scritturale, e non si volle per norma. Casale è grossa terra di Piemonte detta Casale di sant’Evasio. Acquasparta è terra di Todi donde venne Matteo, prima generale dell’ordine, poi cardinale. Mandato da Bonifacio a Fiorenza per sedare le fazioni nel 1301 non ottenne buon eifetto, anzi lasciò a parer mio mali accresciuti piiì assai di prima/ o son la vita di Bonaventura di Bagnoregio io son i’ anima di Bonaventura di Bagnoregi%che ne grandi offici fu generale dell’ordine, cardinale distinto per sapere, e sempre attese allo studio, e scrisse in teologia tanto bene da R.4MRALDI — VoI. 3. 16 [p. 252 modifica]242 i’uimso / essere annoverato tra i primi dottori sempre posposi la sinistra cura alla cura spirituale posposi quella delle cose Lemporali; ecco perchè alla sinistra si va sempre per 1’ Inferno, ed alla destra si va pel Purgatorio. Alcuni interpretano per cura destra e sinistra la vita attiva e contemplaliva. Illuminato ci Agostin son quici due de’ primi seguaci di san Francesco sono in questo luogo che fur de primi scalzi poverelli che nel capestro a Dio, si fero amici che prima furono poveri e scalzi, e cinti del cordone francescano divennero accetti a Dio. Quanti frati coll’opere e coll’esempio, • quantunque ignoranti, edificarono gli altri! I frati distinti in / sapiènza, ed i dottori mosransi sotto forma di stella lucentis• sima. Ugo di Sanviltore e qui con ciii illustre teologo, nell 108 canonico regolare, poscia canonico in san Vittore di Parigi scrisse molti libri, e nel punto di morte, mostratogli il corpo di Cristo, esclamò — anima mia, va col tuo Redentore — e subito sortì l’anima e la eucaristica Ostia fuggì dalle mani del sacerdote, e visibilmente volò con quell’anima al cielo: e Pietro niangiatore lombardo, erudito, clic scrisse un libro di storia ccclesiastic ì/\Si compose l’epitaffio sulla propria tomba —‘Pietro coperto da una pietra — e Pietro Ispano filosofo, predicatore, e che scrisse un trattato di logica in dodici libri,(ecco perchè dice il qual gia luce in dodici Libelli — Natan profeta il profeta che rimproverò David del fallo con Bersabea. Come principe de’ sacerdoti fu gran predicatore o riprensore. Visse ‘7 con David cautamente avendo sempre sugli occhi l’esempio ‘ del ricco e del povero; e 1 metropolitano Crisostomo San Giovanni detto bocca d’oro? Crisostomo — Crisos-oro e stomos-bocca, eloquentissimo, arcivescovo di CostantinopoliPrima studiò filosofia, poi teologia al tempo di Arcadio ed Onono: fu promosso dal papa Damaso: soffrì l’esilio per perDigitized

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canto
XII. 243

secuzione degli eretici, ma non (acque la verità negli scritti e discors,(t Anselmo monaco di Normandia, poi arcivescovo di Conturbia,doUore in teologia, e scrittore di antiche sentenze: e quel Donato che a la prima arte degno poner mano fu Donato antico scrittore di grammaticaQetta prim’arte, perché prima ad insegna rsi ai fanciulli. La sua grammatica fu commentata da Remigio maestro di san Girolamo: Rabano e qui dottore e poeta scrisse un libro poetico di non molta utilità: inglese, fratello e germano del venerabile Beda e lucemi da lato il Calavrese abate Giovachino di spirito profetico dotato scrisse sui profeti, e spiegando le pcofezie si acquistò fama esso pure / I di profeta nel libro de’Pontefici: fu dell’ordine cisterciense. • A inveggiar cotanto paladino ad invidiar san Domenico mi mosse la infiammata cortesia e 1 discreto latino mi spinse l’ardente carità, ed il distinto parlare di san Tommaso sulla vita di san Francesco e mosse meco questa compagnia gli altri undici spiriti suoi compagni della seconda ghirlanda, che circuiva la prima. -.oDigitized

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canto
Xlii.

TKRTO MOI)gRNO immagini chi bene intender cupe Quel ch’io or vidi, e ritegna l’image, Mentre ch’io dico, come ferma rupe, 3 Quindici stelle che in diverse plage Lo Cielo avvivan di tanto sereno, Che soverchia delI’aere ogni compage; 6 immagini quel Carro a cui il seno Basta del nostro Cielo e notte e giorno, Sì che al volger del temo non vien meno: 9 immagini la bocca di quel corno, Che si comincia in punta dello stelo, A cui la prima ruota va d’ intorno, Aver fatto di sè duo segni in Cielo, Qual fece la figliuola di Minoi, Allora che sentì di morte il gelo; E I’ un nell’altro aver li raggi suoi, E ambedue girarsi per maniera, Che l’unoandassealprima,e l’altro ai poi; 18 E avrà quasi 1’ ombra della vera Costellazione, e della doppia danza, Che circulava il punto dov’ ioera; Poi ch’è tanto di là da nostra usanza, Quanto di là dal muover della Chiana Si muove il Ciel che tutti gli altri avanza. [p. 255 modifica]CAtITO XIII. Lì si cantò non Bacco, non Peana, Ma tre Persone in divina natura, E in una persona essa e I’ umanab 27 Compiè il cantare e il volger sua misura, E attesersi a noi quei santi lumi, Felicitando sè di cura in cura. 30 Ruppe il silenzione’ concordi numi Poscia la luce, in che mirabil vita Del poverel di Dio narrata fùmi; 33 E disse: quando l’una paglia è trita, Quando la sua semenza è già riposta, A batter l’altra dolce amor m’ invita. Tu credi che neI petto, onde la costa Si trasse per formar la bella guancia, Il cui palato a tutto il mondo costa, 39 Ed in quel che, forato dalla lancia, E poscia e prima tanto soddisfece, Che d’ogni colpa vince la bilancia, 42 Quantunque alla natura umana lece Aver di lume, tutto fosse infuso Da quel Valor che l’uno e 1’ altro fece: E però ammiri ciò ch’io dissi suso, Quando narrai che non ebbe secondo Lo ben che nella quinta luce è chiuso. Ora apri gli occhi a quel ch’io ti rispondo, E vedrai il tuo credere e il mio dire Nel vero farsi come centro in tondo. Ciò che non muore e ciò che può morire Non è se non splendor di quella idea Che partorisce, amando, il nostro Sire;

Chè quella viva luce, che sì mea [p. 256 modifica]26

paradiso

Dal suo lucente, che non si disuna Da lui, nè dall’ Amor che in br s’ intrea, Per sua bontà il suo raggiare aduna, Quasi specchiato in nove sussistenze, Eternalmente rimanendosi una. 60 Quindi discende all’ ultime potenze Giù d’atto in atto tanto divenendo, Che più non fa che brevi contingenze; 63 E queste contingenze essere intendo Le cose generate, che Produce Con seme e senza seme il Ciel movendo. 66 La cera di costoro, e chi la duce Non sta d’ un modo, e però sotto il segno Ideale poi più e men traluce: 69 Onde egli avvien ch’un medesimo legno, Secondo specie, meglio e peggio frutta, E voi nascete con diverso ingegno. 72 Se fosse appunto la cera dedotta, E fosse il Cielo in sua virtù suprema, La luce del suggel parrebbe tutta. 7i Ma la Natura la dà sempre scema, Similemente operando all’artista, Che ha I’ abito dell’arte e man che trema. 78 Però se il caldo Arnor la chiara vista Della prima virtù dispone e segna, Tutta la perfezion quivi s’acquista. 81 Così fu fatta già la terra degna Di tutta l’animal perfezione; Così fu fatta la Vergine pregna. Sì eh’ io commendo tua opinione;

Chè I’ umana natura mai non fue, [p. 257 modifica]

canto
XIII. ‘2/ai

Nè fia, qual fu in quelle due persone. 87 Or s’ io non procedessi avanti piue, Dunque come costui fu senza pare? Comincerebber le parole tue. 90 Ma, perchè paia ben quel che non pare, Pensa chi era, e la cagion che il mosse, Quando fu detto chiedi, a dimandare. 93 Non ho parlato sì, che tu non posse Ben veder ch’ei fu re che chiese senno, A ciò che re sufficiente fosse; Non per saper lo numero in che enno Li motor di quassù, o se necesse Con contingente mai necesse fenno; 99 Non, si est dare primurn motum esse, O se nel mezzo cerchio far si puote Triangol sì che un retto non avesse. 102 Onde, se ciò eh’ io dissi e questo note, Regal prudenza è quel vedere impari, In che lo stral di mia intenzion percote: l0i E se al surse dirizzi gli occhi chiari, Vedrai aver solamente rispetto Ai regi, che son molti, e i buon son rari. 108 Con questa distinzion prendi il mio detto: E così puote star con quel che credi • Del primo padre e del nostro Diletto. 111 E questo ti sia sempre piombo ai piedi, Per farti mover lento, com’uom lasso, E alsì e al no, che tu non vedi; 114 Chè quegli è tra gli stolti bene abbasso, Che senza distinzione afferma o niega,

Così nell’ un come nell’ altro passo: 117 [p. 258 modifica]28

paradiso

Perch’egli incontra che più volte piega L’opinion corrente in falsa parte, E poi l’affetto lo intelletto lega. 120 Vie più che indarno da riva si parte, Perchè non torna tal quale ci si move, Chi pesca per lo vero e non ha l’arte: 123 E di ciò sono al mondo aperte prove Parmenide, Melisso, Brisso e molti, I quali andaro e flOfl sapean dove. 126 Si fe’Sabellio, e Arno, e quegli stolti Che furon come spade alle Scritture In render torti li diritti volti. 129 Non sien le genti ancor troppo sicure A giudicar, sì come quei che stima Le biade in campo pria che sien mature: Ch’ io ho veduto tutto il verno prima Il prun mostrarsi rigido e feroce, Poscia portar la rosa in su la cima; 155 E legno vidi già dritto e veloce Correr lo mar per tutto suo cammino, Perire al fine all’ entrar della foce. 158 Non creda monna Berta e ser Martino, Per vedere un furare, altro offerere, Vederli dentro al consiglio divino; Chè quel può surgere, e quel può cadere. 12 COMMENTO DI BENVENUTO In tre parti dividesi il canto. Nella prima, manifestansi due corone. Nella seconda, si scioglie un dubbio. Nella terza, si consiglia e si ammonisce. Gli astronomi distinguono in sette classi le stelle dell’ vtDigitized

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canto
XIII. 249

lava sfera. Le stelle di prima grandezza SOI)O quindici. Or se vuoi conoscere la forma e 1’ ordine delle due corone suddescritte mettiti, in mente — quindici stelle maggiori, poi altre sette che fanno il plaustro o carro, poi altre due che trovansi al principio dell’Orsa minore, e così avrai ventiquattro chiarissime stelle, delle quali formerai due circoli di dodici stelle, ed un cerchio o circolo contenga l’altro, e si mova poi in senso opposto. chi cupe intender bene quel eh i or vidi chi brama di ben capire quanto allora io vidi ritegna I image Come ferma rupe tenga fermi 1’ intelletto e 1’ immaginazione come rupe mentre eh io dico mentre che io offro un esempio per più facile intelligenza, quindici stelle che n diverse piage quindici stelle di maggiore grandezza che lucenti in diverse regioni del cielo avvivan lo cielo di tanto sereno di tanto lume che soperchia ogni compage de lariachevinconolaspessezza dell’aria, o Galassia imagini quel carro a cui il seno basta del nostro cielo e nocte e die si che al volger del temo non vien meno e liguri il carro di Boote, o le sette stelle dell’Orsa maggiore, cui basta giorno e notte per correre il proprio giro, e lo spazio del nostro cielo, tanto che al voltar del timone non vien meno ai nostri occhi. Dicesi carro, perché quattro stelle formano le ruote, due figurano i buoi, ed una il bifolco, e sempre sono a noi visibili, aggirandosi esse intorno al nostro polo. imagini la bocca di quel corno che si comincia in punta di lo stelo a cui la prima rota va d’intorno immagini le due stelle dell’ Orsa minore le più vicine al polo, che posta una di qua ed una di là del polo formano quasi la bocca di quel corno, che ha il suo centro alla punta dell’asse mondiale, in cui si gira la prima ruota o il primo mobile. L’asse del cielo è quello che passa da un poio all’altro, come l’asse di un nostro carro è quello che passa dalDigitized

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paradiso

l’una all’altra ruota; il polo forma l’asse intorno a cui si aggira I’ Orsa aver fatto di se due segni in cielo immagini dico, che queste ventiquattro stelle formino due costellazioni di dodici stelle disposte a cerchio qual fece la figlia di Minoi allora che senti di morte il gielo Arianna figliuola di Minosse, abbandonata da Teseo, e violata da Bacca, morendo ottenne che fosse convertita in costellazione la ghirlanda di fiori che ornavate il capo. Mentre Teseo tornava da Creta, vinto il Minotauro, e conduceva seco le figlie di Minosse Fedra ed Arianna, abbandonò quest’ ultima nell’ isola di Chio mentre essa dormiva, e che Bacco poi stuprò. Morta Arianna, e trasportata in cielo, fu cangiata in costellazione che dicesi corona. e I uno aver a I altro i raggi suoi gli spiriti componenti le corone avere il viso un contro l’altro ci ambidue girarsi per maniera che Itino andasse al primo ci I altro al poi che l’uno s’andasse accordando con l’altro, e questo a quello corrispondesse egualmente: et avra quasi I ombra de la vera costellatione e de la doppia danza che circolava il punto dove io era ed avrà un abbozzo, una qualche idea della vera costellazione della corona e del doppio circolo danzanti e tripudiante intorno a me ed a Beatrice. Bellissima similitudine! Fra l’infinito numero di stelle alcune appaiono maggiori, altre minori alcune più lucide, altre meno, e del pari avviene dei dottori della Chiesa maggiori e minori, più e meno chiari: e come le stelle sono sparse in ogni parte del cielo, così i dottori trovansi nelle diverse parti del mondo, e nelle più lontane, ed anche più barbare regioni, I dottori infine a guisa delle stelle, s’illuminano l’uti coll’altro per mezzo delle opere scritte sui vari articoli di fede.

Gompie il cantar e I ‘olger supra misura il canto (lurò [p. 261 modifica]

canto
Xlii.

quanto la danza che si sospese e quei santi lumi alesersi a noi e quei santi spiriti rivolsero la loro atteftzione a me ed a Beatrice felicitando se di cura in cura traendo felicità dal passare dall’una all’altra cura, cioè, tralasciando canto e danza, alla cura di soddisfare al desiderio altrui poi che li si canto non Bacho non Peana giacchè in quel luogo non si cantava come solevasi dagli antichi Bacco, Peana, Apollo, divinità fautrici de’ poeti, e da questi principalmente celebrate ma tre persone in divina natura ma la santissima Trinità, tre persone ed un solo Dio et in una persona essa et I umana e nel figlio la natura umana e divina tanto de la da nostra usanza tanto diversamente dai nostri costumi quanto di la dal mover dita Chiana si move il del che tutti gli altri avanza quanto più smisuratamente veloce del lentissimo moto della Chiana è il moto velocissimo del più alto cielo. La Chiana è fiume, quasi valle paludosa in Toscana, di cui si parlò nell’ Inferno. La luce in che mirabil vita del poverel di Dio narrata fummi l’anima splendiente di san Tommaso, da cui mi fu narrata la vita del poverel di Dio san Francesco ruppe I sitenho ne concordi numi cominciò a parlare fra quegli Dei concordi, Dei per partecipazione di divinità, ossia fra quei beati e disse e così disse: quando I una paglia e tratta e quando la sua semenza e gia riposta a batter I altra dolce amor m invita dappoichè delle cose che io aveva a risponderti l’una è già chiarita compiutamente, l’amore che io ti porto, m’invita a dichiararli 1’ altra che è a veder tanto non surse il secundo: pensò Dante che san Tommaso così dicendo volesse riferirlo al primo padre Adamo od a Gesù Cristo, che non ebber pari; eppure san Tommaso non intendeva nè dell’uno,

nè dell’altro, ma inVeCe del re Salomone. [p. 262 modifica]

paradiso

Tu credi che quantunque di lume lece a la natura humana havere tu credi che quanto la umana natura può essere capace di sapienza fosse tutto infuso nel pecio fosse infuso nel petto di Adamo onde si t’asse la costa per [or- mar la bella guancia da cui fu tratta una costa per formare la più bella delle donne Eva el cui palato costa a tutto I mondo il cui gustato pomo dannò tutto il genere umano et in quello che forato da lancia e poscia e prima tanto satisfece che d ogni colpa vinse la bilancia ed in Gesù Cristo ferito nel costato dalla lancia mentre era pendente dalla croce, ed in vita ed in morte, colla sua passione tanto soddisfece alla divina giustizia, che fece piegare la bilancia alla redenzione del genere umano da quel valor che I uno e I altro fece dall’ Eterno Padre che fece 1’ uno e l’altro petto di Adamo e di Cristo e pero miri a cio che dizi suso nella quinta luce e quindi ti maravigli di quanto dissi superiormente rispetto all’anima buona, che si cela nello splendore che è quinto dopo di me quando narrai che non ebbe secundo allorchè dissi — non nacque il secondo — or apri gli occhi a quel che ti rispondo ora presta attenzione a quanto sarò per dirti; or vedrai il tuo credere e I mio dire nel vero farsi come centro in tondo e vedrai il tuo dubbio, ed il mio discorso cadere entrambi nel mezzo del vero, come il centro cade nel mezzo del cerchio. Cio che non muore ogni cosa creata tanto corporea che spirituale non e se non spiendore di quel idea che parturisse amando il nostro sire non è che il sigillo di quella forma esemplare che Iddio, amando, riduce ad atto. Dante qui prende la idea per esemplare, giacché I’ idea è quella forma escmplare che ogni artefice concepisce in mente prima di formare

od eseguire qualunque opera. Così Dio prima di creare [p. 263 modifica]

canto
XIII. 2I3

il mondo lo aveva in idea fino ah eterno. Platone in proposito aveva un’ opinione riprovata da Aristotile, favorita da sant’Agostino. che quella viva luce che si unea dal suo lucente imperocchè il divin Verbo che procede dall’ Eterno Padre che non si disuna da lui che non cessa di essere una cosa con lui ne da lamor che a br sintrea nè dal Santo Spirito che si fa tre o s’interza con loro il suo ragiare aduna, questo divin Verbo per puro effetto di stia bontà per sua bontate non necessitato concentra i suoi raggi quasi specchiato in nove substantie quasi rappresentati in uno specchio nei nove cieli, ossia nelle nove intelligenze motrici eternalmente rimanendosi una rimanendo la luce sempre una ed indivisa. Quindi discende a 1 ultime potenze gia d aclo in acto tanto divenendo che piu non fa che brevi contingenze da queste intelligenze il raggiare della vera luce discende agli elementi di giro in giro, divenendo di tanta poca attività, che non produce più che brevi contingenze, cioè esseri corruttibili e di breve durata: e intendo essere queste conlingenlie le cose generate che produce I cielo movendo con seme e senza seme e le contingenze intendo che siano le cose inferiori generate con seme o senza, per influsso di cielo, la cera di costoro o chi la duce non sta d un modo la materia onde si compongono le cose generate, e la mano che br dà la forma non sono sempre dun modo, ossia non producono sempre i medesimi effetti, perché le dette cose sono alcune più prossime, altre più lontane e pero sotto I segno ideale poi piu e men traluce e perciò le cose generate, segnate dal raggiare della divina idea, più o meno tra lucono od appariscono perfette; ond ci aven che un medesmo ligno secondo specie meglio e pegio fructa quindi vediamo che un albero, quantunque

della stessa specie, ora meglio, ora peggio produce frutti [p. 264 modifica]2S4

paradiso

in forma, qualità e sapore: e voi naseete con diverso ingegno e gli uomini pure nascono con ingegno or maggiore, or minore. Se fosse a punto la cera didueta se la materia fosse formata di tutto punto perfetta e fosse I cielo in sua viru suprema e se il cielo operante fosse nella sua alta virtù, ossia non discendesse di atto in atto fino alle cose contingenti la luce del sugel parrebbe tutta la luce della divina idea si mostrerebbe in tutta la sua chiarezza, e le creature tutte sarebbero perfette. Se Giove p. e. fosse in pesci, o fosse in congiunzione con altri buoni pianeti, la cosa generata sotto tale influenza avrebbe la virtù di Giove. Quando 1’ artefice è secondato nell’ idea dalla materia, e dall’ istrumento riesce opera perfelta, come diviene imperfetta quando non seconda o materia, o istromento. ma la natura la da sempre scema simil mente operando a I artista che ha man che trema e I habiio de I arie ma il cielo presta un influsso sempre scemo non per di lui intenzione, ma per vizio di materia, imitando l’artefice perito nell’ arte sua, ma che non può esercitarla per difetto di membra, o per mano che trema. Pero se I caldo a mor la chiara vista de la prima virtu dispone e segna tutta la perfection qui si acquista ma se poi, non la natura, ma Dio stesso mosso da speciale amore prende a disporre la cera di sua propria mano, ed a sigillarvi la chiara luce della prima ideale virtù, in tal cera si farà conoscere ogni perfezione. la terra cosi fu facta degna di tutta perfection animale in Adamo e la Vn’qine Maria cosa fu facta pregna per lo Spirito Santo di Cristo; sicch io commendo tua opinion io lodo quindi la tua interpretazione che I umara natura mai non fase ne fia qua! fue in quelle due persone chè la natura umana mai nomi fu, e noti sarà mai così perfetta come lo era stata in Adamo

ed in Cristo. [p. 265 modifica]

canto
Xlii.

Or le parole tue cominciereber se io non procedessi a- vanti piue come dunque costui fu senza pare ma se io non andassi più avanti, tu soggiungeresti, e come dunque costui fu senza pari, se non è Adamo o Cristo ma pensa chi era chi era stato costui e la cagion che i mosse a dimandar quando fu detto chiedi pensa che la cagione che mosse costui a dimandare fu il desiderio di aver senno per governare secondo giustizia. Dio non lasciò mai ad altr’ uomo la scelta, come a costui perche paia ben cio che non pare perché ti riesca cliiaro quanto ti sembra oscuro. non ce parlato si che tu non possi ben veder eh I fuo re che chiese senno a cio che re sufficiente fusse io non parlai tanto oscuramente che tu non potessi capire che fu un re che aveva chiesta a Dio la sapienza per governar con giustizia il regno suo — Salomone non chiese a Dio di sapere tutto ciò che abbracciavano le scienze e le arti non per saper il numero in che ce li motori di qua su non dimandò di sapere quanti sono i motori di queste sfere celesti. Aristotile pretende che le intelligenze fossero tante quanti i mondi: o se necesse contingente mai necesse fenno se da due premesse, una delle quali sia necessariamente vera, e l’altra solo contingente; possa dedursi una conseguenza necessariamente vera; ossia Salomone non chiese di conoscere la dialettica non si est dare primum motum esse non, se conviene ammettere un moto primo che non sia l’effetto di altro moto. Aristotile pose il moto eterno, ma i teologi lo negano, e deve starsi per fede a quanto essi dicono o se dal mezzo cerchio far si puote triangol si che un retto non havesse tutti i triangoli inscritti in un semicerchio aventi per base il diametro hanno di necessità retto I’ angolo opposto ad esso diametro. Euclide insegna clic il triangolo è figura di tre angoli, eche I’ angolo retto si ottiene quando una linea retta cade soDigitized

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paradiso

pra di altra retta la prima, perpendicolare sull’ altra orizzontale, come la figura della croce. Unde vedrai haver rispecto ai regi quel non sorse il secondo che son molti e i boni son rari se tu noti cio eh io dissi e questo regaiprudentia e quel vedere impari in che lo siral di mia intention percuote onde se tu noti ciò che io dissi in prima, e questo che dico ora,conoscerai che quel vedere impari, ossia non aventé pari è la regale prudenza: e se ai sorse drizzi gli occhi chiari e se richiami quel mio detto a veder tanto non surse il secondo—vedrai aver solamente rispetto ai regi che son molti ci i buon rari conoscerai che quel mio detto non ebbe di mira che i re, i quali son molti di numero, ma pochi son buoni. con qnesta distinction prendi il mio dieto tu interpreta il mio detto con questa distinzione e cosi pote stare con quel che credi dcl mio padre e del nostro dilecto distinzione che lascia luogo anch&alla tua interpretazione che avesse di mira Adamo e Gesù Cristo. — e questo tisia sempre piombo ai piedi per farti mover lento com om lapso ci al si e al no che tu non vedi e questo ti serva di ammonizione di non essere precipitoso giammai, ma invec’e lento, e ponderato, come gli uomini consumati nel sapere nel rispondere su cose sconosciute, senza premettere le necessarie distinziòni; che quello e tra li stolti bene abbasso che è 1’ ulti‘no degli stolti chi senza distinction afferma o nega colui che senza distinguere ammette ed impugna cossi nel un come nel altro passo tanto l’affcrmativa, quanto la negativa perche I incontra che piu volte piega I opinion corrente falsa parte la verità è spesso nascosta, sicchè poche cose possono sapersi con certezza, e quando 1’ uomo senza premeditazione è lesto nelle risposte, spesso va errato; diceva bene Damasceno ne’

suoi aforismi — se interrogato velocemente rispondi, la tua [p. 267 modifica]

canto
Xlii. 2!7

risposta farà sempre dubitare e poi I affecto lega I intelleclo giacché I’ uomo si fa i’ abitudine della spensieratezza, e deI l’errore, ed un piccolo errore in principio facile a togliersi, divenuto abito, non si può svellec in modo alcuno. Vie piu che ndarno da riva si parte perche non torna tal qual ci si move che pesca per lo vero e non a I arte vie più che indarno torna dalla ricerca del vero colui che è privo d’ arte, giacchè dopo essere stato per torte vie, torna non solo privo di sapere, ma pieno di errori. Gli storici dicevano che la verità era nascosta in un pozzo profondo. La sentenza di Dante è aurea, e tutto giorno vediamo che uomini capaci in qualche scienza od arte presumono. metter becco in altre scienze od arti che non conobbero mai. Dionisio volle com mentare Valerio Massimo, e sbaglia in molti luoghi, senza sa pere quel che si scriva. San Girolamo è concordo nel lagno, ed Aristotile porta il noto esempio del pittore: e di cio sono al mondo aperte prove abbiamo le prove più evidenti in Parmene filosofo di Elea e Melisso altro filosofo che cercando d’ investigare i principii delle cose, molto errarono, come lo mostra Aristotile nel primo de’ Fisici. lirisso altro ffl6so- fo e molti li quali andaron e non sapean dove perché non intendevano sè stessi. Aristotile riprova Anassagora, Anassirnandro, Anasimeno, i quali dalla ricerca del vero, tornarono più ciechi di prima. si fee Sabellio Sabellio fu un grande eretico ci Ano Ano parimente fu un grande eresiarca e que stolti che furon come spade a le scritture in render torti li diriti volti e quelli che presunsero tanto, che malamente interpretando la Sacra Scrittura, le fecero dire stortamente quanto mai non disse nè dire poteva; spade poi, pcr ché avendo la spada due tagli figura la doppia interpretazione. non sien le genti ancor troppo sicure cioè Lmerarie a giuRAMRAIDI

— Voi. 3. 17 [p. 268 modifica]

paradiso

dicar a stimare le opere altrui si come quei che stima le biade in campo pria che sien mature come quelli che si ripromettono gran quantità di grano mentre ancora è in erba, e sono delusi da nebbia intmpestiva o da tempesta. Chio ho veduto (utto il verno pria il Prun mostrarsi rigido e feroce poscia portar la rosa in su la cima ho visto nello scorso inverno il pruno spinoso ed arido, e nella primavera farsi bello di fiori e legno vidi gia dritto e veloce correr lo mar per tutto suo camino perire alfine al entrar de la foce vidi al contrario una nave robusta correr veloce sul mare al luogo destinato, e mentre tornava al porto perire nell’ imboccatura. Un vecchietto mostrava di vivere sempre in orazioni e digiuni , e condotto alla forca, confessò che era sempre vissuto di galline ed altre cose rubate. non creda donna Berta e Ser Martino non creda ogni persona del volgo e grossolana per vedere un furare altro offerir per vedere uno rubare ed un altro fare pie offerte vederli dentro al consiglio divino nel consiglio di Dio che quel puo surgere quel che ha rubato può

salvarsi e quel puo cadere e quel che faceva le offerte dannarsi. [p. 269 modifica]

canto
XIV

T1TO MODERNo Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro, Movesi l’acqua in un ritondo vaso, Secondo ch’ è percossa fuori o dentro: Nella mia mente fe’subito caso Questo ck’io dico, sì come si tacque La gloriosa vita di Tommaso, 6 Per la similitudine che nacque Del suo parlare e di quel di Beatrice, A cui sì cominciar dopo lui piacque: O A costui fa mestieri, e noi vi dice Nè con la voce nè pensando ancora, Di un altro vero andare alla radice. 12 Ditegli se la luce, onde s’ infiora Vostra sustanzia, rimarrà con voi Eternalmente, sì como ella è ora; E se rimane, dite come, poi Che sarete visibili rifatti, Esser potrà che al veder non vi nòi. 18 Come da più letizia pinti e tratti Alcuna fiaLa quei che vanno a rota, Levan la voce, e rallegrano gli atti; 21 Così all’ orazion ptonta e devota Li santi cerchi mostran nuova gioia

Nel torneare o nella mira nata. [p. 270 modifica]260

paradiso

Qual si lamenta perché qui si muoia Per viver colassù, non vide quive Lo refrigerio dell’eterna ploia. 27 Quell’uno e due e tre che sempre vive, E regna sempre in tre e due e uno, Non circonscritto, e tutto circonscrive, 30 Tre volte era cantato da ciascuno Di quelli spirti con tal melodia, Che a ogni merto sana giusto muno. 33 E io udii nella luce più dia Del minor cerchio una voce modesta, Forse qual fu dell’Angelo a Maria, 36 Risponder: quanto fia lunga la festa Di Paradiso, tanto il nostro amore Si raggerà d’intorno cotal vesta. 39 La sua chiarezza seguita l’ardore, L’ ardor la visione, e quella è tanta, Quant’ ha di grazia sovra suo valore. 42 Come la carne gloriosa e santa Fia rivestita, la nostra persona Più grata fia per esser tutta quanta. 45 Perché s’accrescerà ciò che ne dona Di gratuito lume il Sommo Bene; Lume che a lui veder ne condiziona; 48 Onde la vision crescer conviene, Crescer l’ardor che di quella s’accende, Crescer lo raggio che da esso viene. Ma sì come carbon che fiamma rende, E per vivo candor quella soverchia Sì, che la sua parvenza si difende;

Così questo fulgor, che già ne cerchia, [p. 271 modifica]

canto
XIV. 261

Pia vinto in apparenza dalla carne, Che tutto dì la terra ricoperchia: Nè potrà tanta luce affaticarne) Chè gli organi del corpo saran forti A tutto ciò che potrà dilettarne. 60 Tanto mi parver subiti ed accorti E l’uno e l’altro coro a dicer Amme, Che ben mostrar desio de’ corpi morti; Forse non pur per br, ma per le mamme, Per li padri, e per gli altri che fur cari, Anzi che fosser sempiterne fiamme. 66 Ed ecco intorno di chiarezza pari Nascere un lustro sopra quel che v’era, A guisa d’orizzonte che rischiari. 69 E si come al salir di prima sera Comincian per lo Ciel nuove parvenze, Sì che la vista pare e non par vera; 72 Parvemi lì novelle sussistenze Cominciare a vedere, e fare un giro Di fuor dall’altre due circonferenze. 7 O vero sfavillar del santo Spiro,’ Come si fece subito e candente Agli occhi miei che vinti nol soffriroZ 78 Ma Beatrice sì bella e ridente Mi si mostrò, che tra l’altre vedute Si vuoi lasciar che non seguir la mente. 81 Quindi ripreser gli occhi miei virtute A rilevarsi e vidimi traslato Sol cn mia Donna a più alta salute. 84 Ben mi accorsi io ch’ io era più levato,

Per l’affocato riso della stella, [p. 272 modifica]26

paradiso

Che mi parea più roggio che I’ usato. 87 Con tutto il care, e con quella favella, Ch’è una in Lutti, a Dio feci olocausto, Qual conveniasi alla grazia novella: (Jfl E non era anca del mio petto esausto L’ardor del sacrificio, ch’io conobbi Esso lilare stato accetto e fausto; 93 Chè con tanto lucore, e tanto robbi M’apparvero splendei’ dentro a’ due raggi, Ch’ io dissi: o Eliòs che si li addobbi! 913 Come distinta tra minori e maggi Lumi biancheggia fra i Poli del inondo Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi; 99 Sì costellati facean nel profondo Marte quei raggi il venorabil segno, Che fan giuntare di quadranti in tondo. lO’2 Qui vince la memoria mia lo ingegno; Chè quella Croce lampeggiava Cristo; Sì eh’ io non so trovare esempio degno. 1O Ma chi prende sua crock e segue Cristo, Ancor mi scuserà di quel ch’io lasso, Vedendo in quello albor balenar Cristo. 108 Di corno in corno, e tra la cima e il basso Si movean lumi, scintillando forte Nel congiungersi insieme e nel trapasso. I li Così si veggion qui diritte e torte, Veloci e tarde, rinnovando vista, Le minuzie de’ corpi lunghe e corte 114 Moversi per lo raggio onde si lista Tal volta l’ombra, che, per sua difesa,

La gente con ingegno e arto acquista. 117 [p. 273 modifica]

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XIV.

E come giga e arpe, in tempra tesa Di molte corde fan dolce tintinno A tal da cui la nota non è intesa; !‘20 Così dai lumi che lì m’apparinno S’ accogliea per la Croce una melode, Che mi rapiva senza intender 1’ inno. l’23 Ben m’accorsi io ch’ella era d’alte lode, Però che a me venia: risurgi e vinci, Com’a colui che flOfl intende e ode. 116 lo m’ innamorava tanto quinci, Che in fino a lì non fu alcuna cosa, Che mi legasse con sì dolci vinci. 1’20 Forse la mia parola par troppo osa, Posponendo il piacer degli occhi belli, Nei quai mirando mio disio ha posa. Ma chi s’avvede che i vivi suggelli D’ogni bellezza più fanno più suso, E ch’io non m’era lì rivolto a quelli, Escusar puommi di quel ch’io m’accuso Per iscusarmi, e vedermi dir vero; Chè il piacer santo non è qui dischiuso, Perché si fa, montando, più sincero. COMMENTO DI BENVENUTO Il canto si divide in quattro parti. Nella prima, Beatrice espone una ricerca. Nella seconda, si mette avanti Salomone. Nella terza, il Poeta è traslato con Beatrice al quinto cielo di Martc. Nella quarta, Dante descrive le anime che in detto cielo si trovano. Se un vaso pieno d’ acqua si percuota al di fuori, l’acqua

contenuta si commove dalla circonferenza al centro, e quando [p. 274 modifica]26

paradiso

la percossa sia nel centro, si commove dal centro alla circonferenza. Così le parole cominciarono prima di fuori, cioè da san Tommaso che era nella circonferenza dell’ interna corona, e vennero al centro, e cioè a Dante e Beatrice che trovavansi nel mezzo della stessa corona; poscia il discorso si mosse dal centro, o da Beatrice, e tornò alla circonferenza ossia a san Tommaso I aqua movesi dal centro al cerchio e si dal cer chio al centro in un ritondo vaso secondo e/te e percossa fuori e dentro e Dante applica la similitudine: questo eh io dico fee subito caso ne la mia mente l’esempio tosto mi venne in memoria si come si taque la gloriosa vita di Tomaso per la similitudine che nacque dal suo parkire e di quel di Beatrice appena si tacque san Tommaso che faceva parte del circolo già detto, e cominciò a parlar Beatrice che era nel centro di esso a cui alla quale piacque di cominciar si dopo di lui piacque dopo san Tommaso di dir così. — Beatrice in nome di Dante ricerca san Tommaso, se dopo la risurrezione nel giudizio finale, la luce che ora circonda i beati rimarrà collo spirito o col corpo? a costui fa mestier Dante vorrebbe andar a la radice di un altro vero avere la spiegazione di un altro dubbio, o ricerca e noI vi dice e non vuoi palesarlo ne con la voce ne ancora pensando nè apertamente nè occultamente. Dante azzarda questa ricerca perché non trovò in nessun altro spirito tanto sapere teologico come in san Tommaso. Ha un altro motivo di azzardarlo, perché trovò Salomone nella sfera del sole fra i sapienti della Scrittura Sacra diteli se la luce onde s infiora vostra substaniia rimcirra con voi eternalmente si com ella luce ora ditegli se quello splendore di luce che ora vi circonda anche dopo la risurrezione seguiterà ad irraggiare ed a circondarvi per l’eternità e se rimane e quanto vi resterà? dite come poi che sarete visiDigitized

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XIV. 26

bili rzfatti esser potra che al veder non vi noi quando poi sarete rifatti visibili dopo la risurrezione del corpo, dite come potrà essere che questo vostro splendore non rechi danno alla vista? Come mai un organo tanto debole Potrà sostenere la forza e l’eccesso di tanta luce? Lisanclicierchi i cerchi di quei beati spiriti, di que’santi dottori mostrar nova gioia nuova allegrezza nel torneare nel danzare in tondo e ne la mira nota e nella maravigliosa melodia a I oralion pronta ci divota all’ inchiesta di Beatrice pronta ma rispettosa: cosi come quei che vanno a rota come coloro che ballano in tondo, ossia che vanno a ruotta pinti e tracti spinti ed attratti da piu letitia da sommo gaudio levan la voce alzano canti più vivacemente danzando e rallegran negli acti qualche volta a la fiala. Quel si lamenta perche qui se mora per viver cola su non vide quivi lo rifrigerio de la sancla ploia chi si lamenta di morire quaggiù per poscia vivere in cielo, certosi lamenta perché non vide quivi, iii cielo, il gaudio che la pioggia e- terna del beatifico lume produce ne’ beati — ossia — Se vedesse la ineffabile letizia di costoro, che io vidi, non piangerebbe quelli che per morte passano da questa nostra misera via alla vita gaudiosa e celeste. Anche i barbari fan lutto al nascere dell’uomo, e fan lieti funerali alla morte, secondo Valerio, quel uno Dio ci due Padre e Figliuolo ci fre Padre, Fi. gliuolo e Spirito Santo che qual Dio vive sempree regna sempre in tre e due et uno vive e regna eterno in tre persone ed in un solo Dio non circumscripto da luogo e circonscrive tutto e che tutto contiene era cantato tre volte da ciascuno di quelli spirti era cantato in venerazione della Trinità con tal melodia con tale armonica dolcezza che d ogni merito sana giusto

muno che sarebbe condegno premio di ogni merito, elio udi [p. 276 modifica]266

paradiso

una voce modesta temperata e soave — voce di Salomone forsi qualfu da £ angelo a Maria quale forse fu la voce dell’ angelo nunzio dell’ incarnazione a Maria; forse, perché sarebbe troppo il confronto di quella voce, colla voce de’ beati ne la luce ,‘ piu dia nella luce più risplendente o spirito .!zndiato del minor cerchio dell’ interna corona responder rispondere volontariamente — il nostro amor si raggera tanto dentro a cokzl vesta la nostra carità spargerà d’ intorno questo lume che ne circonda quanto 14ia longa la festa di Paradiso cioè in eterno: la sua chiarecia seguira I ardore la chiarezza di questa fulgida veste sarà in ragione della nostra carità verso Dio I ardorc la visione e quella ce tanta quanto ha di gratia sopra suo valore e questo è a misura della visione onde siamo da Dio faUl beati; e la visione è tanto più chiara e viva, quanto è maggiore la grazia che ci avvalora la vista. Salomone risponde alla seconda parte della domanda. la nostra persona fia piu grata per sscy tutta quanta come la carne gloriosa fie rivestita dopo la risurrezione e dopo aver riassunta la carne, il corpo ci sarà cagione di maggior piacere per essere noi nella nostra integrità di anima e di corpo già santificati, e quindi gloriosi. pere.he cio che il sommo bene ne dona di gratuito lume ne crescera perché crescerà lo splendore che Iddio per sua bontà gratuitamente ci concede lume che a lui veder ne condietiona splendore che ci mette in capacità di vedere Iddio: onde la vision crescere convene il perchè è necessario che cresca in noi il potere visivo crescere i ardore che di quella 8 accende crescere pur I’ ardore che si aumenta da quella visione crescor lo raggio che da esso viene crescere il raggio di luce che viene dalla eterna luce. questo fufrjor che gia ne cerchia la luce o splendor che ci fascia fla

vinto in apparentia da la carne apparirà più splcnd lenie [p. 277 modifica]

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XIV. 267

netta stessa carne che qual carne la terra ricoperchia tutto I di ponendosi le salme sotterra cosi come carbon che rende fiamma come il carbone ardendo soperchia quella fiamma per vivo candore per viva bianchezza si che la sua parvenza si difende si che non resta vinto dallo splendore della fiamma stessa: ne pora tanta luce afj’atiearne nè tanta luce potrà offendere la nostra vista che perchè gli organi del corpo ossiano i sensi saran forti a tutto cio che potra diletarne saran no capaci ad ogni vivezza di diletto. E I uno e I altro choro mi parver tanto subiti e tze- corti a dicer arne mi parvero tanto solleciti, e persuasi i due cerchi di quelli spirIti a dire amen, così sia che ben mostrar disio di corpi morti che mostrarono vivo desiderio di quell’ integrità e ricongiunzione della carne all’ anima forse non piu per loro forse non per essi ma per le anime per li padri e per gli altri che fuor cari ma pei genitori, parenti ed amici che essi amarono prima d’ essere beati anzi che fuor sempiterne fiamme. Considerando poi Dante che i dottori in teologia furono quasi stelle del cielo, ed il far menzione di ciascuno di loro sarebbe lungo per non dire impossibile, immagina un’altra corona o terzo cerchio che racchiude gli altri due prima descritti et ecco un lustro di chiarezze pari aascer Intorno sopra quel chev era ed ecco una terza corona egualmente splendiente apparire intorno alle altre due per guisa dorizzonte che rischiari come quando sull’orizzonte appare il giorno. eparvem li novelle subsistentie cominciare a veder nuove anime di beati di quella terza corona si come nuove parvenze comincian per lo cielo a salir di prima sera come nuove apparizioni, nuove stelle cominciano a spuntare nel cielo al venir della sera si che la vista pare e non par vera si che la vista di esse ò tanto scarsa clic pare e rni pare [p. 278 modifica]268 PAIIADISO che sia vera e fare un giro di fuor de I altre due circonferen. tie e circondare le altre due corone. Le ultime stelle della terza corona secondo che vuoi esprimere il Poeta, gli comparvero meno chiare e spiendienti delle prime, perché i dottori in essa compresi erano di minor conto. O vero sfavillar del Sancto Spiro! o vero splendore dello Spirito Santo! come si fece subito occiZent come apparve in un istante fulgido ed infuocato agli occhi miei che vinti noi sofferir a’miei occhi tanto, che 1)01 poterono sostenere; cioè non basterebbero forze umane a descrivere lo splendore unito di que’ dottori della terza corona. ma Beatrice si bella e ridente mi si mostro ma Beatrice essa pure mi apparve più bella e lieta che si vuoi lasciar tra quelle vedute che non seguir la mente sicchè non è intelletto capace a descrivere il fulgore della corona terza. Dante pare che qui ripeta il concetto del primo canto. perchè appressand se al suo disire nostro intelletto si profunda tanto che detro la memoria non puo ire — ripreser gli occhi miei virtute a rilevarsi la esaltazione di Beatrice bastò a Dante per riofrancar gli occhi suoi e vidimi traslato sol con mia donna a piu alla salutee mi trovai trasferito con lei a più alto grado di gloria o di beatitudine nel quinto cielo di Marte, più alto del sole, come più vicino alla prima causa, e per conseguenza maggiormente dotato di virtù; è bensì vero che nei sole trovansi i santi dottori che colle loro opere sostennero la Fede e la Chiesa, ma nel cielo di Marte trovansi i campioni che sparsero il loro sangue per sostenerle. Ben m accors io che io era pin levato mi accorsi di trovarmi in più alto grado per I affocato riso di la stella per 1’ infuocato splendore di Marte che mi parea piu

roggio che I usato che mi pareva più rosso del solito. Io feci [p. 279 modifica]

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XIV. ¶269

olocausto olocausto o sagrificio una volta operavasi quan (lo sull’ ara. bruciavasi I’ animale od altra cosa offerta —- da holen, ossia dal — tutto — con tutto il core e con quella favella che e una in tutti resi grazie a Dio con tutto .1 cuore e coli’ orazione mentale che è la stessa in tutti i preganti quantunque d’ idioma diversi qual conveniasi a la gratia novella alla salita nel cielo di Marte. e non era anche exhawsto del mio pecto I ar dore del sacrificio e nòn aveva ancora terminato il mio fervido ringraziamento eh io conobbi esso litare accepto e fausto che io conobbi che il mio sagrifizio era stato accetto a Dio, e che mi sarebbe propizio. Bramava Dante sapere quali beati spiriti si trovassero in quel cielo di Marte, e scorse impressa in esso cielo la croce e Gesù Cristo che spiendori m apparver dentro a due raggi perché mi apparvero due folgoranti raggi con tanto lucor con tanto splendore e tanto robbi e tanto rossi, che formavano il segno della croce eh io dissi che io esciamai dentro me stesso o Helios che si li adobbi o eccelso Iddio, o luminoso Iddio, che così li adorni, li abbelli. Helyon in ebraico suona eccelso; in greco Sole. Ingegnosa invenzione del Poeta! Marte dio della guerra ha in sè i campioni della fede del vecchio e nuovo Testamento. Questi campioni insieme uniti formano il segno della croce, per indicare che morirono per Gesù Cristo salvatore del genere umano. Quei rai folgoranti si constellati aggregati, uniti di quelle stelle de’ beati campioni facian nel profondo Marte il venerabil segno che fan giunture di quadranti in tondo faceano dentro il corpo di esso Marte quel venerabil segnò della croce, che in un tondo o circolo fanno due diametri che s’ intersecano

ad angolo retto e congiungono per conseguenza i [p. 280 modifica]270

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quadranti del circolo. La seguente figura serve a maggiore dimostrazione ED come Ga4assia como la via lattea, di cui Ovidio così dice: evvi nel Ciel la bianca ma che appare in ciel sereno e Lattea s’appella — dal suo stesso candor distinta e nota—distinta da minori e magi lumi biancheggia ira i poli del mondo composta da maggiori e minori stelle splende di bianca luce fra i due p011 S che fa dubbiare ben saggi tanto che fa dubitare uomini anche molto saggi sulla vera cagione del suo risplendere. Vince la materia mia lo ingegno qui la materia, delle cose vedute è più forte in me dello ingogno per rappresentarle che perché quella Croce lampeggiava Cristo quella croce aveva in sè efligialo Cristo in tutto il suo splendore si ch io non so trovare l’esempio degno sì che io non, posso trovare una similitudine al caso: così il Poeta lascia immaginarlo a clii ha la passione di Cristo scolpita nel cuore. ma chi prende sua Croce ma chi porta la sua croce al modo dì s. Francesco et segue Cristo ossia le vestigia di Cristo, ed obbedisce ai pròcetti cli lui ancor mi seusera di quel ch io tasso vedendo in quel arbor balenare Cristo mi scuserà se io non tento descrivere come vidi in quel chiarore efilgiato Cristo in tutto lo splendore di sua luce. lumi si movean di corno in corno spiriti luminosi si moveano da un’estremità all’ altra delle braccia, e da capo a piedi della croce e tra la cima ciii basso dall’alto al basso e viceversa. Pretendono alcuni che sì inovessere invece circolarmente intorno alla croce, ma allora non potrebbe spiegarsi quanto segue scintilkindo ferie nel conDigitized

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xiv. 271

giungersi insieme e nel trapasso raggiando, fiammeggiando maggiormente nell’ unirsi, scontrarsi o trapassarsi: quelli che moveansi dal su all’ ingiù incontravano quelli che venivano all’opposto: quelli che partivan dalla destra incontravano quelli della sinistra: cosi le minutie de corpi lunghe ci corte veloci et tarde rinovando vista si vegion qui diritte e torte casi quelle minutissime particelle che si veggono in varie forme moversi e nuotare per entro quelle striscio di luce che entrano dalle porte e fenestre di nostra casa danno un’ idea delle luci che si moveano per la croce; come talvolta si lista talvolta si taglia, si lista l’ombra pci ripari opposti con arte contro del sole I ombra che la gente aquista per sua difesa I’ ombra che 1’ uomo si procura per coprirsi del raggio solare con arte et ingegno in quanto che non imita I’ uccello che si forma il nido per natura sempre nel modo stesso, o la fiera che sempre compone il covile ad una forma. EI una melode una melodia che mi rapiva che mi ponea in estasi sanza Intender lo hinno senza distinguer le parole s aecogiiea per la croce usciva da quella croce da lumi che m apparvero li da quegli spiriti lucenti, che comparivano in essa come qiga e arpa ìn tempra tesa di molle corde come uno strumento musicale con piiì corde insieme armonizzate fa dotee tintinno rende un dolce atpcggio a tal da cui la nota non e intesa a chi non può distinguere le parole del canto. ben m aceore io eh ci era d alta lode ben mi avvidi che quella melodia doveva essere di alto argomento pero che a mi venia giungendomi distinto all’ orecchio resurge et vince risorgi o Dante, e vinci il mondo e te stesso. Vogliono altri che quegli spiriti cantassero — Exurgat Deus et dissipentur inimici ejus. — Ma la lettera non ammette questa interpretazione come

a colui che non intende ci ode come avviene a chi sente [p. 282 modifica]272

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un suono e non ode, o ben distingue la voce del canto. Io m innamorava tanto quinci per questa melodia, e per le distinte voci che in fino a li non fue cosa akuna che mi ligasse con si dolci vinci che fino a quel momento non aveva trovata cosa alcuna che mi tenesse tanto legato. forse la mia paroki par troppo osa forse il mio detto ti pare troppo azzardato posponendo ilpiacer degli occhi belli mettendo da meno di quella melodia il piacere di mirar gli occhi di Beatrice nei quali mirando mio desio a posa nei quali trova pace ogni mio desiderio. Ma non l’aveva posposta, imperocchè descrivendo la dolcezza del canto di quelli spiriti per la maggiore che avesse udita, descrisse anche la maggiore esaltazione e bellezza di Beatrice, ed il confronto porta di necessità l’idea del confrontato; ma chi si avede ma chiunque osservi che que sugelli che i beati d ogni bellezza piu fanno degni piususo quanto più si avvicinano all’ empi reo, tanto più sono perfetti eh io non m era rivolto ad elli e che Dante non erasi ancor rivolto a Beatrice, e non gli si era ancora dischiuso il divino piacere degli occhi suoi, e quindi non l’aveva compresa nel paragone excusar pomi di quel eh io m accuso: forse la mia parola par troppo osa per excusarmi cI tsdirmi dir vero mi può far ragione di scusa la mia stessa accusa, e conoscere che io dico il vero; che i piacer santo non e qui dischiuso perché non mi si è in questo cielo per anche aperto il piacer santo degli occhi di Beatrice perche si fa montando piu sincero che,

quanto più alto sale, diventa più perfetto. [p. 283 modifica]

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XV.

TK$TO MO1)IkNO Benigna volontà, in che si liqua Sempre l’arnor che drittamente spira, Come cupidità fa nella iniqua, 3 Silenzio pose a quella dolce lira, E fece quietar Le sante corde, Che la destra del Cielo allenta e tira. Come saranno a’giusti prieghi sorde Quelle sustanze che, per darmi voglia Ch’ io le pregassi, a tacer fur concorde? 9 Ben è che senza termine si doglia Chi, per amor di cosa che non duri Eternalmente, quell’ amor si spoglia. 12 Quale per li seren tranquilli e puri Discorre a ora a or subito foco, Movendo gli occhi che stavan sicuri, E pare stella che tramuti loco, Se non che dalla parte onde s’accende Nulla si perde, ed esso dura poco; 18 Tale dal corno, che in destro si stende, Al piè di quella Croce corse un astro Della costeilazion che lì risplende: 21 Nè si partì la gemma dal suo nastro; Ma per la lista radiai trascorse, Che parve fuoco (lietro ad alabastro. 21fr

BAMBALDI — Voi. . 18 [p. 284 modifica]274

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Sì pia l’ombra d’Anchise si porse, (Se fede merta nostra maggior Musa) Quando in Elisio del figliuol s’accorse. 27 O sanguis meus, o super infusa Gratia Dei! sicut tibi, cui Bis unquam Ccelijanua reclusa? 30 Così quel lume; onde io m’attesi a lui: Poscia rivolsi alla mia Donna il viso, E quinci e quindi stupefatto fui; 35 Chè dentro agli occhi suoi ardeva un riso Tal, ch’ io pensai co’ miei toccar lo fondo Della mia grazia e del mio paradiso. 56 Indi, a udire e a veder giocondo, Giunse lo spirto al suo principio cose, Ch’io non intesi, sì parlò profondo: 59 Nè per elezion mi si nascose, Ma per necessità; chè il suo concetto Al segno del mòrtal si soprappose. 42 E quando l’arco dell’ ardente affetto Fu sì sfogato, che il parlar discese In ver lo segno del nostro intelletto; La prima cosa che per me s’ intese, Benedetto sei Tu, fu, trino e uno, Che nel mio seme sei tanto cortese. 48 E seguitò: grato e lontan digiuno Tratto, leggendo nel magno volume, U’non si muta mai bianco nè bruno, 51 Soluto hai, figlio, dentro a questo lume, In cli’ io ti parlo, mercè di colei: Che all’alto volo ti vestì le piume.

Tu credi, che a me tuo pensier mei [p. 285 modifica]

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XV. 2Th

Da quel ch’è primo, così come raia Dall’un, se si conosce, il cinque e il sei: E però chi io mi sia, e perch’io paia Più gaudioso a te, non mi dimandi, Che alcun altro in questa turba gaia. 60 Tu credi il vero; che i minori e i grandi Di questa vita miran nello speglio, In che, prima che pensi, il pensier pandi. 63 Ma perché il sacro amore, in che io veglio Con perpetua vista, e che mi asseta Di dolce desiar, s’adempia meglio, 66 La voce tua sicura, balda e lieta Suoni la volontà, suoni il desio, A che la mia risposta è già decreta. 69 lo mi volsi a Beatrice; e quella udio Pria ch’io parlassi, ed arrisemi un cenno, Che fece crescer l’ale al voler mio; 7 Poi cominciai così: l’affetto e il senno, Come la prima egualità v’ apparse, D’un peso per ciascun di voi si fenno, Però che al Sol, che v’ allumò e arse Col caldo e con la luce, en sì iguali, Che tutte simiglianze sono scarse. 78 Ma voglia e argomento nei mortali, Per la cagion che a voi è manifesta, Diversamente son pennuti in ali. 81 Onde io che son mortal, mi sento in questa Disagguaglianza, e però non ringrazio, Se non col core alla paterna festa. 84 Ben supplico io a te, vivo topazio, Che questa gioia preziosa inginmi, [p. 286 modifica]276 PARADtSO Perchè mi facci del tuo nome sazio. 87 O fronda mia, in che io compiacemmi Pure aspettando, io fui la tua radice: Cotal principio, rispondendo, femmi. 90 Poscia mi disse: quel, da cui si dice Tua cognazione, e che cento anni e piue Girato ha il monte in la prima cornice, 93 Mio figlio fu, e tuo bisavo fue: Ben si convien che la lunga fatica Tu gli raccorci con l’opere tue. 96 Fiorenza, dentro dalla cerchia antica, Onde ella toglie ancora e terza, e nona, Si stava in pace sobria e pudica. 99 Non avea catenella, non corona, Non donne contigiate, non cintura Che fosse a veder più che la persona. 102 Non faceva nascendo ancor paura La figlia al padre, chè il tempo e la dote Non fuggian quinci e quindi la misura. 10ì Non avea case di famiglia vote: Non v’era giunto ancor Sardanapalo A mostrar ciò che in camera si puote. 108 Non era vinto ancora Montemalo Dal vostro UccelÌatoio, che, come è vinto Nel montar su, così sarà nel calo. i il Bellincion Berti vidi io andar cinto Di cuoio e d’osso, e venir dallo specchio La donna sua senza il viso dipinto: 1t) E vidi quel de’ Nerli e quel del Vecchio Esser contenti alla pelle scoperta,

E le sue donne al fuso e al pennecchio. I 17 [p. 287 modifica]

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XV.

O fortunate! e ciascuna era certa Della sua sepultura, e ancor nulla Era per Francia nel letto deserta. 120 L’ una veghiava a studio della culla, E consolando usava l’idioma, Che pria li padri e le madri trastulla: 123 L’ altra, traendo alla rocca la chioma, Favoleggiava con la sua famiglia De’ Troiani, e di Fiesole, e di Roma. 126 Sana tenuto allor tal maraviglia Una Cianghella, un Lapo Salterello, Quale or sana Cincinnato e Corniglia. l-2) A così riposato, a così bello Viver di cittadini, e così fida Cittadinanza, a così dolce ostello 132 Maria mi diè, chiamata in alte grida; E nell’antico vostro Battisteo Insieme fui cristiano e Cacciaguida. 135 Moronto fu mio frate ed Eliseo: Mia donna venne a me di Vai di l’ado, E quindi il soprannome tuo si feo. 138 Poi seguitai lo imperador Currado, Ed ei mi cinse della sua milizia; Tanto per bene oprar gli venni in grado. 1/il Dietro gli andai incontro alla nequizia Di quella legge, il cui popolo usurpa, Per colpa del Pastor, vostra giustizia. 144 Quivi fui io da quella gente turpa Disviluppato dal mondo fallace, il cui amor molte anime deturpa,

E venni dal martirio a questa pace. 148 [p. 288 modifica]278

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COMMENTO DI BENVENUTO Si divide il canto in tre parti. Nella prima, Cacciaguida trisavolo del Poeta, tratta della propria genealogia. Nella seconda, lo spirito si rallegra dell’ arrivo di Dante. Nella terza, lo spirito si fa conoscere e dopo aver esposto lo stato antico e costumi, piange sul cambiamento di Fiorenza. La buona volontà procedente dalla carità di quelli spiriti pose fine a quella dolce melodia per soddisfare aL desiderio di Dante benigna volonta in che si liqua in cui chiaramente si fa palese sempre I amor che drittamente spira sempre la carità che ispira a virtù come cupidita fa nella iniqua come la cupidigia ed avidità spira amore in cose inique pose silentio a quella dolce lira a quella dolcissima melodia accordata col canto et fece quetar le sante corde di detta lira che qtali la destra del ciella mano di Dio alciaetira alza ed accorda. quelle substantie spiriti beati come saranno sorde come potranno chiudere gli orecchi ai giusti preghi alle giuste dimande che fuor concorde a tacere che furono tutti d’accordo a tacere per darmi voglia che io le pregassi per farmi nascere il desiderio che io li pregassi di qualche schiarimento, chi chiunque si spoglia quel amore per amor di cose che non duri eternalmente dimentica la carità per le fugaci cose del mondo ben ce che senza termine si doglia è giusto che sia eternamente punito. (in astro una stella, L’ anima di Cacciaguida predecessore di Dante de la costellation che li risplende nella sfe ra di Marte, e che concorreva colle altre luci a formare il segno della croce corse a pie di quella croce dove io era dal corno che al destro si stende al destro lato tale qual

subito foco come un igneo vapore discorre ad hora ad hora [p. 289 modifica]

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XV. 279

per li sereni tranquilli e puri scorre per I’ aere sereno e puro movendo gli occhi che stavan securì facendo movere per subita scossa gli occhi che in niuna cosa erano fissi, ma sta- . vano a br agio sicuri: et pare stella clietrasmuti loco e sembra una stella che passi da un luogo all’altro se non che nulla si perde de la parte ove 1 s accende et esso dura poco se non che ci fa accorti non essere quel fuoco una stella, il vedere che dalla parte donde acceso si mostra, nessuna stella viene a mancare in cielo, e che, compito quel suo corso, si spegne. Questo fuoco tostano si chiama Asub, o stella cadente. ne La ? gemma si parti dal suo nastro ma per la lista radiai trascorse nè quello spirito risplendente si diparti, nel suo correre, dalla sua lucida striscia posta in forma di croce, aia tenendosi dentro ad essa che parve foco detro ad alabastro che parve una luce messa di dietro all’ alabastro. Scrive Virgilio nel sesto dell’Eneide, che tuttora vivente, Enea scese all’inferno colla guida della Sibilla. (iunto all’ Eliso, luogo ameno e verdeggiante in cui son posti gl’illustri, trovò il padre Anchise che con trasporto lo accolse I ombra dAnchise si porse si pia quando s accorse del figlio Anchise si mostrò così pietos3 ad Enea scontrandobo agli Elisi se fede merta nostra maggior musa se il canto di Virgilio sommo e primo fra i poeti merita fede. Tal si mostrò Cacciaguida antico predecessore e parente di Dante nel cielo di Marte. Enea trovò il padre suo in ameno e luminoso luogo in cui erano gli uomini illustri e sapienti; e Dante trovò questo suo antico congiunto in un cielo luminosissimo fra le anime de’ gloriosi capitani della fede di Cristo. Anchise accolse con trasporto d’ a- more Enea da tanto tempo aspettato, e Cacciaguida strinse al seno Dante tanto tempo desiderato. Predisse Anchise al 11- glio molte guerre, e lo prem unì con salutari consigli da conDigitized

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trari eventi; e Cacciaguida preconizza molte cose salutevoli a Dante, e lo avverte di esser cauto e forte contro le insidie nemiche. O sanguis meus o mio diletto sangue o super infusa graha Dei o divina grazia in te soprabbondevole sicul tibi cui bis unquam coelijanua reclusa a chi mai, come sarà a te, dischiusa due volte la porta del cielo? Una volta, perchè vieni ancor vivo; una seconda, perché tornerai dopo more. Dante aveva detto — dove non si scende senza ritornare — cosi quel lume parlò ond io m attesi a lui ond’ io attentamente lo fissai: poscia rivolsi il viso a la mia donna poi mi rivolsi a Beatrice in attò di chiederle, chi è mai questi che mi mostra cotato affetto e mi predice la eterna felicità? e stupefatto fui quinci e quindi ed ebbi stupore tanto da quel lume o spirito, quando da Beatrice che un riso ardea dentro agli occhi suoi che mi guardò con tanta letizia ed esaltazione tal eh io pensai con i miei toccar lo fondo di mia gratia e del mio Paradiso che io credetti Co’ miei occhi di vedermi concessa la grazia del Paradiso, ossia mi parve già d’ esser beato — Pare che in questo concetto il Poeta abbia di mira di nobilitare la propria schiatta, come lo fa più apertamente conoscere nel canto seguente. Indi lo spirto giucondo a udire poscia quello spirito tanto giocondo nell’ aspetto e nel dire: altri leggono lo pirto giunse jocundo a udire che diceva parole tanto care eta veder i begli occhi di Beatrice al suo principio al principio delle parole, —O sanguis etc. — Ma la prima lezione è migliore: cose eh io non intesi si parlo profundo aggiunse altre cose alle prime parole tanto profonde, che io non arriva i a comprendere; ne per eleclion mi si nascose ma per necessita non perché così gli fosse a grado, ma per necessità

che I suo conceplo al segno di mortali si soprapose che il [p. 291 modifica]

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XV. 281

suo concetto si soprappose al segno del concetto mortale, os sia si fece maggiore delL’ intender nostro. La prima cosa che per me sentissi dunque non aveva inteso prima fu o Trino o Uno o Dio, che sei trino nelle persone, ed uno nella essenza benedetto sie tu che se tanto cortese nel mio seme sii tu benedetto, che tanta grazia infondesti a costui di mia schiatta quando larco del ardente effecto fuo si sfogato che il parlar discese in ver lo segno del nostro intelledo e dopo tanta carità sfogata in modo profondo, mi volse parole da me intese e seguio lo stesso spirito—o figlio tu hai soluto grato e lontan digiuno traclo leggendo nel magno volume dove non si muta mai bianco ne bruno dentro a questo klume in ch io ti parlo merce di colei che a I alto volo ti vesti le piume o figlio, mercè di Beatrice, chea salire quassù ti diede valore, tu hai compiuto un mio ardente desiderio, ma che in me, che ti parlo dentro a questo splendore, è durato lungo tempo, e che nacque per aver io lettoil tuo venire nel volume divino, in cui le pagine bianche son sempre tali, e le scritte sempre scritte. Dante rimprovera in tal modo coloro che ritengono doversi scrivere libri in cui si trovi tanto di bianco quanto di nero. Alcuni anche ritengonoche pLrnj- gno volume debba intendersi il pianeta di Marte, ma il Poeta dice — in ch’ io ti parlo dentro a questo lurnq — e deve ritenersi dentro allume che circonda lo spirito parlane. Cacciaguida esprime a Dante come un suo particolare affetto lo spinge ad esprimergli allegrezza singolare e differente dagli altri spiriti beati nello stesso pianeta. Dante ritiene che gli spiriti de’ beati veggano i desiderii degli uomini senza bisogno di esprimerli colla parola o col gesto, giacché li scorgono in Dio prima cagione di loro scienza, come l’unità è cagione degli altri numeri: tu credi che tuoi pensier mei a me . ;‘.‘/ [p. 292 modifica]282 PARADtSO tu credi che i tuoi pensieri entrino in inc da meo meas ecc. di quei eh e primo dalla mente a me manifesta di Diosicome il cinque et il sei raggia dal un così come il cinque od il sei risulLa dall’uno o dall’unità una volta conosciuta: si si cognosce il cinque e il sei, ed ogni altro numero; e pero non di- mandi eh io mi sia e pereh io paia piu gaudioso a te che alcun altro di questa turba gaia e quindi non mi ricerchi del nome, e perchè ti abbia faua maggior festa degli altri spiriti gloriosi di questa sfera. tu credi il vero tu hai giusta credenza che i menori et i grandi di questa vita miran ne io spechio, in che prima che tu pandi i pensier primi perocchè gli spiriti tanto di maggiore, quanto di minor grado di gloria in questa beata vita mirano nello specchio, cioè in Dio, in cui apri, o fai palese il tuo pensiero prima pur che tu pensi. E di ciò hai in me esperienza, che lessi in Dio il tuo pensiero e venni ad incontrarti. Ma sebbene io potessi appagarlo senza tua inchiesta, non pertanto bramo che tu lo esponga colla tua propria bocca ma la voce tua sicura balda e lieta la voce tua franca e lieta soni la volonta soni il disio esprima il tuo desiderio, e quel che vuoi a cui la mia risponsione e gia di- creta cui ho già preparata la risposta perche il sacro amore in che io veglio con perpetua vista e che mi asseta di dolce desiar perchò. l’arnor di parente sempre in me vivo e crescente per te che ti sci dato al sacro poema s adempia meglio come previdi in Dio, futuro, ora vegga in atto ed ascolti tua voce tanto bramata. Io mi volsi a Beatrice mi voltai a Beatrice e quella audio pria chio parlassi ed ella prevenne la mia domanda et aro- semi un cenno e mi diede consenso con un lieto moto degli occhi che fece crescer I ali al voler mio che più mi spinse a

Parlare. poi cominciai cosi indi dissi così —iaffeltoelsenno [p. 293 modifica]

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XV. 283

d un peso per ciascun di voi si fee come la prima equalita rn apparse la gratitudine e I’ attitudine a bene esprimerla si fecero in ciascun di voi di uno stesso peso e valore, subito che la prima equalità, cioè Iddio, vi si rese visibile per mezzo della sua benefica luce. Può anche ritenersi per prima equalità quanto segue. Dante aveva detto in principio del canto, che la divina volontà aveva imposto silenzio a quelli spiriti concordi per essere interrogati da lui, e trovandoli tutti egualmente ubbidienti, non volgeva il discorso ad uno piuttosto che ad altro;pero che Isol Iddio che v alumo ci arse col caldo e con la luce ce si iguale vi diede I’ affetto ed il senno egualmente a ciascuno in maniera che tutte somiglianze sono scarseche non si può trovare similitudine per esprimere tanta uguaglianza di beatitudine, ma voglia e argomento nei mortali ma desiderio e senno negli uomini diversamente son penauti in ali hanno ali diverse peL volo, e dice il vero, che i desiderii umani sono moltissimi e svariali, e qualche volta guardano all’ impossibile per la cagion% che a noi ce manifesta voi, o beati, sapete la cagione, giacchè desiderio e potere non van di pari passo nell’ uomo, mentre in voi non è differenza tra volere e potere; ond io che son morial mi sento in questa disuguaglianza io mortale mi trovo quindi in tale discordanza di volere e potere e pero non regratio se non col core a la paterna festa e perciò più coll’animo che colla lingua io ti ringrazio della paterna accoglienza che mi facesti. ben supplico io a te o vivo lopacio ben ti supplico o prezioso spirito che inge?nrni questa gioia pretiosa che ingemmi questa croce preziosa, o adorni questo pianeta perche mi facci del tuo nome sacio pcrchè mi dica finalmente il tuo nome. Cacciaguida palesa sè stesso, ed il cambiameuto di stato

di Fiorenza. o fronda mia o mio nipote, o discendente mio, [p. 294 modifica]284

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o pianta del nilo ceppo in che io compiacemmi usa delle parole del vangelo, quando Dio padre disse — questi è il diletto mio figlio in cui mi compiacqui — pur aspettando il tuo arrivo in cielo: io fui la tua radice io fui lo stipite della tua discendenza; cotal principio rispondendo femmi così cominciò la sua risposta. /\Cacciaguida ebbe un figlio che si nomò Alighieri dalla moglie sua poscia mi disse poi soggiunse quel da cui si dice tua cognation colui dal quale la tua prosa pia ha preso il cognome degli Alighieri —[cognazione dicesi la discendenza per fernmin7— che cent anni e piue girato ha il monte in In prima cornice e che per più di cento anni è stato fra i superbi nel primo cerchio del Purgatorio mio figlio fu nomato Alighieri e tuo bisavo fue collo stesso nome poi fu chiamato il padretdel padrdi Dante: ben si convien che la lunga fatica tu gli raccorci abbreviagli, che ti conviene, la lunga fatica durata più d[ cent’anni, portando gravi sassi sul capo con lo- pere tue colle orazioni, elemosine, digiuni e quant’ altro serve a sollievo delle anime purganti. Vedemmo già che L’anima beata, non poteva abbreviare la pena del figlio, ma era necessario l’aiuto di altr’anima ancora nella prima vita. Nel I I4 epoca deL nascimento di Cacciaguida, la città di Fiorenza era assai più piccola d’ora per quasi due terzi, come si han testimoni ne’ ruderi antichi4l cittadini più innocenti eran contenti di poco: non giravan pel mondo per riportare strane costumanze, diverse maniere di cibo, diverso tenore di vita Fiorenza si stava in pace sobria e pudica ed ora ha guerra civile, ed è intemperane e Iascivadentro de la cerchia antica dentro le sue antiche mura. Firenze ha tre cerchi di mura uno dentro l’altro a seconda di sua ampliazione, come avvenne di Bologna e di Padova. Nel cerchio inDigitized

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XV. 28

temo è l’abbazia di s. Benedetto ora Chiesa di santo Stefano, dove si battevano le ore più regolarmente d’ oggi,4coine io esperimentai, quando ascoltava il mio maestro Boccaccio da Certaldo leggere in delLa ChiesaLa prima cantica della divina Commedifond ella toglie ancora e terza e nona ossia detta Chiesa non suonpiù le ore di terza e di nona: non aveva ca- ! tenda la donna fiorentina non portava ornamenti intorno al collo, smaniglio o collana sul petto , sulle braccia: non corona ornamento del capo specialmente delle regine. Lucano afferma che anche le romane portavano corona: non donne contigiate non donne che s’ adornassero con quelle calze di cuoio, trapunto o stampato intorno al piede, le quali cose si chiamano contigie da cui contigiate; ma ora le donne portano tali contigie e di più con punta acuta, estringonsi la vita con cinti d’argento ed oro: non cintura che fòsse a veder piu che la persona ossia che mentisse il proprio stato e condizione: allora le fornaie non si ornavano di.perle5(non faceva nascendo ancor ! paura la figlia al padre perché ora, sia pur ricco il padre, .j Lutto deve spendere per dote della figlia cheiltempoela dote non fuggian quinci e quindi la misura. Per bene intendere il Lestbisogna costruirlo così che il tempo non fuggia la misura quinci la età della fanciulla non superava la misura per una parte, ossia non prendevano marito che di venti o venticinque anni, mentre ora lo prendono di quindici e perfino di dodici anni e la dote non fuggia la misura quindi e la dote nòn era eccessiva, o superiore alle forze dello stato paterno. Licurgo sanzionò la legge che le donne passassero a marito senza dote: le leggi civili e canoniche all’incontro la prescrivono. L’uomo il più ricco ai tempi di Cacciaguida non dava più di tsecento scudi per dote; ora si vogliono mille, mille e cmquecento

scudi d’oro. E la dote eccessiva invece di dare aiuto [p. 296 modifica]286

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a sostenere i pesi del matrimonio, depaupera le famiglie del marito, perché dietro a gran dote vanno le grandi pretese. Non aveva case di famiglie vote vogliono alcuni, riferirlo agli esili: ma ciò non regge, perché accaduta la cacciata di Parte, Fiorenza restò non pertanto popolata, ed era più numerosa del tempo di Cacciaguida, come dice egli stesso nel canto seguente. Al tempo suo due, tre, o quattro famiglie erano raccolte in una sola casa, ma adesso un solo fiorentino con moglie e due figli occupa un ampio palazzo, che sarebbe comoda abitazione per dieci famiglie Sardanapalo non era giunto anco;’ Sardanapalo ultimo re degli assiri uomo molle e libidinoso cui si attribuisce I’ invenzione delle coltri e delle piume a mostrare cio che in camera si puote; non era ancor giunta in Fiorenza la mollezza di Sardanapalo per ornati e comodità di abitazioni; ed ora s veggono camere tanto de- / liziose ed ornate, che pareggiano per non dir superano igabinetti delle regine, e tali delizie ed ornati sono per lo più incitamenti a libidine. Montemalo non era vinto ancor dal vostro UcelatoioCosì chiamavasi ai tempi di Dante Monte- mario, dal quale fl viaggiatore che da Viterbo recavasi a Roma aveva la veduta di quella città, come dal monte Uccellatoio si presenta quella di Fiorenza a chi viene ad essa per la via di Bologna. L’ Uccellatoio è fuori di Fiorenza cinque miglia, monte sterile, arido, silvestro, ed all’ incontro Monte- mario è fertile, verde ed ameno che qual monte Mario cossi / sera vinto nel calo nel deperimento degli edifici come e vinto ‘/t nel montare nel salire, ora I’ ccellatoio mostra maggiori edilizi in Fiorenza, che il monte Mario non ne mostri in Roma; ma presto avverrà che il primo faccia vedere maggiori ruine dell’ altroDante parla con iperbole per più mordere la superbia,

o a dir meglio superfluità di Fiorenza,,( [p. 297 modifica]

canto
XV. 287

Tutte lecose hanno un fine. Dove ora è la superba Babilonia, la gran Troia, Rornalnvincibile sovrana dcl mondo? Bellincion Berci vid io andar cinto di cuoio e d ossoXvaloroso guerriero. della famiglia dei Ravegnany, il quale portava una cintura di cuoio, con fibbie ed ornati d’sso, non già di gemme ed oro come ora e vidi venir da lo specchio la donna sua sanza I volto dipinto e sua moglie torsi dallo specchio senza belletio sul viso: e vidi quel di Neri del qe si dirà in seguito. e quel dei Vechio altro uomo di taglio antico semplice, e senza pompa esser contenti a la pelle scoperti contentarsi di andar vestiti di pelle senza alcun fregio et le sue donne al fuso et al pennecchio e le mogli loro contente del fuso e della rocca; mentre ora le donne fiorentine perdono il tempo ad azzimarsi lascivamente. o fortunate! o quelle donne ben fortunate! ciascuna era certa disua sepoltura ciascuna aspettava nella patria, fra parenti, congiunti, figli ed amici di chiuder gli occhi nell’eterno sonno e nulla e niuna era ancor diserta nel lecto per Francia era ancora abbandonata dal marito, che la lasciava fredda nel talamo, mentre egli per Francia, Fiandra, Inghilterra correva, a romper la fede in amorose avventure. E se le mogli or seguitassero i vagabondi mariti, fuori di patria spesso miseramente morirebbero, avvera ndosi quel detto in terra straniera tu bene vivrai ma misera e trista la fuori morrai se poi non li seguitassero vivrebbero vedove disperate vivendo ancora il marito. Alcuni leggono e nulla era diserta era priva di marito, morto per Francia combattendo per la Francia; ma la prima lezione è migliore. L una veghiava ai studio de la culla I’ una vegliava intorno al bambino che vagiva nella cuna et consolando usava I idioma che pria li padri e le madri trastuila e per quietarlo

usava del linguaggio solito per addormentarlo cioè della [p. 298 modifica]288

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nina nana — I altra traendo a la rocha la chioma l’altra traendo il filo dalla conocchia favoleggiava con la sua famiglia contava la sera alcune favole di Troiani, e di Fiesole e di Roma della città di Troia, di Fiesole e di Roma. De’ Trojani e di Roma potevano dirsi verità invece di favole, ma di Fiesole ‘/J, bisognava inventare per metterla in qualche conto. Aggiunge Cacciaguida che aL SUO tempo pochi perversi avrebbero fatta la impressione che farebbero ora in Fiorenza pochi virtuosi. Cianghella nobile di Fiorenza fu della schiatta di quei della Tosa, maritata nella città d’ Imola a Lito degli Alidosi padre di quell’Alidosio che tolse Imola ai bolognesi aiutato da Maghinardo Pagano come altra volta fu detto Di questa Cianghella io potrei dire molte cose raccontatemi dall’ amatissimo padre mio —Magno Compagno—il quale lungamente insegnò con lode e profitto presso la casa abitata da detta signora; ma mi limiterò ad un solo fatto che serve a giustificare laopinioneche Dante aveva di lei, arrogante ed intollerabile. Portava per casa un berretto secondo il costume fiorentino, e teneva sempre in mano una verga colla quale percuoteva il servo ed il cuoco. Un giorno andò per ascoltare la Messa nella vicina Chiesa de’padri Predicatori d’ Imola, e mentre un frate declamava dal pulpito, le donne sedutene’panchi, ed attente alla predicjJnon si mossero, nè si alzarono al di lei arrivo, e per questo ella montò in furore, e mise le mani addosso fleramente a queste ed a quelle, lacerando ad una le treccie, ad altra i veli e le bende. Soffersero poche un tale oltraggio, e molte resero la pariglia, dal che nacque un subbuglio, una scena fra gli uomini che facevano cerchio alle contendenti, e che si misero a ridere tanto, che il predicatore costretto a ridere con essi, pose fine in tal modo alla predica. Che più? Essa, mortole il marito, tornò a Fiorenza, ed ivi immersa in vanità, visse laiDigitized

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canto
XV. 289

damente circondata da proc Nel mentre che si celebravano tfunerali sul di lei cadavere’uin frate ingenuo e di corta rneit 4 nel funebre elogio disse — aver trovato in questa femmina un solo peccato, cioè che aveva mangiato il popolo fiorentino: — una CiangheUa un Lapo Saltarello due temerari e perversi fiorentini. Saltarello fu un legale litigioso, parolaio e molto infesto a Dante mentre fu in esigi io sana tenuto allor tal ‘- maraviglia avrebbero fatto a quel tempo antico tal maraviglia qual or sana Cincinnato e Corniglia come farebbe ora maraviglia in Fiorenza trovare uno simile a Cincinnato, o scorger donna da mettere a paro di Cornelia. Di Cincin nato parchissimo ed amantissimo della repubblica si parlò nel sesto canto. Livio scrive che vendette un campo, e rinunciò alla maggiore dignità, mentre i fiorentini si farebbero scannare per l’opposto. Cornelia poi era la figlia del gran Scipione Africano, madre de’ Gracehi, donna nìagnanima e tanto pudica che sdegnò sempre i secondi voti. Maria mi die chiamata in alle grida la vergine Maria invocata da mia madre,e’dobn del parto, mi aggiunse citta(litìo a Fiorenza a cosi riposalo e cosi bello viver di cittadini a tanto quieto e puro vivere dell’ordinata città a cosi fida cittadinanza a cittadini incapaci di tradire la patria, come or fanno, a cosi dolce ostello a tal dolcezza domestica, e nel antico vostro baltisteo insieme fui cristiano e Cacciaguida e nel vostro antico battistero, una volta tempio di Marte, fui battezzato col nome di Cacciaguida. Moronto fu mio frate et Eliseo ebbi due fratelli, Moronlo ed Eliseo col cognome della mia stirpe: mia donna venne a me di Vai di Pado dalla città di Ferrara, nella valle di Po, anzi chiusa da tre rami del Po e quindi il sopranome tuo si feo il cognome di Aldighieri, giacchè la di lui mogliefu degli — Voi. . 19

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‘ Aldighieri di Ferrara. Nel I I7 poi Corrado re de’romani, in compagnia di l4odovico re di Francia, passò coll’esercito al conquisto di Terra Santa. Cacciaguida lo seguì, e si rese per valore molto caro al suo re, che lo distinse e lo onorò, finché pugnando cogli infedeli rimase estinto sul campo. Ecco perché Dante prese ragione di porlo nella sfera di Marte avendo militato come cristiano, sotto principe cristiano, e per la fede cristiana, e morto per Cristo; poi seguitai i imperator Corrado seguitai Corrado terzo imperatore et ei mi cinse de la sua militia mi adornò del titolo di Cavaliere suo tanto per ben operar gli venni a grado tanto gli fui caro. dietro gli andai incontro a la nequitia contro la pessima legge dì Maometto di quella legge il cui popol saraceno usurpa vostra giustitia ingiustamente ritiene Terra Santa che appartiene ai cristiani. E qui per incidenza tocca il papa che permette che sianoconculcati e malmenati que’ luoghi dagl’ in fedeli per colpa di pastor di papa Bonifazio VIII che allora sedeva sulla cattedra di Pietro. Quivi in quella Terra Santa fui io da quella gente turpe disviluppato dal mondo fallace fui trafitto da quella gente trista degi’ infedeli, e toLto al mondo ingannatore il cui amor molt anime deturpa l’amore deL qual mondo guasta molte anime e venni dal martirio a questa pace e venni dalla morte alta pace eterna, dove colgo la paLma ed il frutto della mia guerra. N.B. Ne’vcrsi 12 al 18 spiega Dante quel piovere (tal cielo striscie di lume a guisa di raggi nelle Irime ore (iella notte de’giorni estivi, credute dal volgo stelle cadenti. [p. 301 modifica]a


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XVI.

TFTO MOT)P.RNO O poca nostra nobiltà di sangue, Se gloriar dite la gente fai Quaggiù, dove l’affetto nostro langue, Mirabil cosa non mi sarà mai; Chè là dove appetito non si torce, Dico nel Cielo, io me ne gloriai. O Ben sei tu manto che tosto raccorce, Sì che, se non s’appon di die in die, Lo tempo va d’intorno con le force. Dal voi, che prima Roma sofferie; In che la sua famiglia men persevra, Ricominciaron le parole mie: 12 Onde Beatrice, ch’ era un poco scevra, Ridendo parve quella che tossio Al primo fallo scritto di Ginevra. lo cominciai: voi siete il padre mio; Voi mi date a parlar tutta baldezza; Voi mi levate sì, ch’ io son più cli’ io. 18 Per tanti rivi s’ empie d’ allegrezza La ment& mia che di sè fa letizia, Perchè può sostener che non si spezza. Ditemi dunque cara mia primizia, Quai fur gli antichi vostri, e quai fur gli anni

Che si segnaro in vostra puerizia? [p. 302 modifica]292

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Ditemi dell’ ovil di san Giovanni, Quanto era allora, e chi eran le genti Tra esso degne di più alti scanni? 27 Come si avviva allo spirar dei venti Carbone in fiamma, così vidi io quella Luce risplendere ai miei blandimenti: 30 E come agli occhi miei si fe’pii.ì bella, Così con voce più dolce e soave, Ma non con questa moderna favella, 33 Dissemi: da quel dì che fu detto Ave, Al parto in che mia madre, ch’è or santa, S’alleviò di me ond’ era grave, 36 Al suo Leon cinquecento cinquanta E trenta fiate venne questo foco A rinfiammarsi sotto la sua pianta. 39 Cli antichi miei e io nacqui nel loco, Dove si trova pria I’ ultimo sesto Da quel che corre il vostro annual gioco. Basti dei miei maggiori udirne questo: Chi ci si furo, e onde venner quivi, Più è tacer, che ragionare, onesto. Tutti color che a quel tempo eran ivi Da potere arme tra Marte e il Battista, Erano il quinto di quei che son vivi: 48 Ma la cittadinanza, ch’ è or mista Di Campi e di Certaldo e di Figghine, Pura vedeasi nell’ ultimo artista. ‘31 O quanto fora meglio esser vicine Quelle genti ch’ io dico, e al Galluzzo, E a Trespiano aver vostro confine,

Che averle dentro e sostener lo puzzo [p. 303 modifica]

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XVI. 93

Del villan d’Aguglion, di quel da Signa, Che già per barattare ha l’occhio aguzzo! Se la gente, che al mondo più traligna, Non fosse stata a Cesare noverca, Ma, come madre a suo figliuol, benigna, 60 Tal fatto è Fiorentino, e cambia, e merca, Che si sarebbe volto a Simofonti, Là dove andava 1’ avolo alla cerca. 63 Sariesi Montemurlo ancor dei Conti: Sariensi i Cerchi nel pivier d’Acone, E forse in Valdigrieve i Buondelmonti. 66 Sempre la confusion delle persone Principio fu del mal della cittade, Come del corpo il cibo che s’ appone. E cieco toro più avaccio cade, Che cieco agnello; e molte volte taglia Più e meglio una che le cinque spade. 72 Se tu riguardi Luni e Urbisaglia Come sono ite, e come se ne vanno Diretro ad esse Chiusi e Sinigaglia, 75 Udir come le schiatte si disfanno, Non ti parrà nuova cosa nè forte, Poscia che le cittadi termine hanno. 78 Le vostre cose tutte hanno br morte, Sì come voi; ma celasi in alcuna, Che dura molto, e le vite son corte. 81 E come il volger del Ciel della Luna Copre e discopre i liti senza posa, Così fa di Fiorenza la fortuna: 84 Per che non dee parer mirabil cosa

Ciò ch’ io dirò degli alti Fiorentini, [p. 304 modifica]294

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Onde la fama nel tempo è nascosa. 87 Io vidi gli Ughi, e vidi i Catellini, Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi, Già nel calare, illustri cittadini; 90 E vidi così grandi come antichi, Con quel della Sannella quel dell’Arca, E oldanieri, e Ardinghi, e Bostichi. 93 Sovra la porta, che al presente è carca Di nuova fellonia di tanto peso, Che tosto fia jattura della barca, 96 Era no i Ravignani, onde è disceso 11 conte Guido, e qualunque del nome Dell’alto Bellincione ha poscia preso. 99 Quel della Pressa sapeva già come Regger si vuole, e avea Galigaio Dorata in casa sua già l’eisa e il pome. 101 Grande era già la Colonna del Vaio, Sacchetti, Giuochi, Sifanti e Barucci, E Galli, e quei che arrossan per lo staio. 105 Lo ceppo, di che nacquero i Calfucci, Era già grande, e già erano tratti Alle curule Sizii e Arrigucci. 108 O quali vidi quei che son disfatti Per br superbia! e le palle dell’oro Fiorian Fiorenza in tutti suoi gran fatti. 111 Così facean li padri di coloro, Che, sempre che la vostra Chiesa vaca, Si fanno grassi stando a consistoro. I t L’ oltracotata schiatta che s’ indraca Dietro a chi fugge, e a chi mostra il dente

Ovver la borsa, come agnel si placa, 117 [p. 305 modifica]

canto
XVI.

Già venia su, ma di piccola gente, Sì che non piacque a Ubertin Donato Che il suocero il facesse br parente. 120 Già era il Caponsacco nel mercato Disceso giù da Fiesole, e già era Buon cittadino Giuda e Infangato. 123 io dirò cosa incredibile e vera: Nel piccol cerchio s’entrava per porta, Che si nomava da quei della Pera. 126 Ciascun, che della bella insegna porta Del gran Barone, il cui nome e il cui pregio La festa di Tommaso riconforta, 12.) Da esso ebbe milizia e privilegio: ivvegna che col popol si rauni Oggi colui che la fascia col fregio. 132 Già eran Gualterotti e importuni, E ancor sana Borgo più quieto, Se di nuovi vicin fosser digiuni. i3 La casa, di che nacque il vostro fleto Per lo giusto disdegno che v’ ha morti, E posto fine al vostro viver lieto, 138 Era onorata essa e suoi consonti. O Buondelmonte, quanto mal fuggisti Le nozze sue per gli altrui conforti! 141 Molti sarebber lieti, che son tristi, Se Dio ti avesse conceduto a Ema La prima volta che a città venisti. 144 Ma conveniasi a quella pietra scema Che guarda il ponte, che Fiorenza f,ssc Vittima nella sua pace postrema. Ii7

Con queste genti, e con altre con esse, [p. 306 modifica]296

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Vidi io Fiorenza in sì fatto riposo, Che non avea cagione onde piangesse. 1110 Con queste genti vidi io glorioso E giusto il popol suo tanto, che il giglio Non era ad asta mai posto a ritroso, Nè per division fatto vermiglio. COMMENTO DI BENVENUTO In quattro parti si divide il canto. Nella prima, vanaglo. ria per nobiltà di sangue. Nella seconda, origine della casa di Dante. Nella terza, condizione di Fiorenza al tempo di Cacciaguida. Nella quarta, nobili famiglie fiorentine di que’di. La vera nobiltà è la virtù dell’animo, e Dante ne aveva a dovizia, senza bisogno di scuotersi quando sentì la nobiltà antica di sua prosapia. o nostra nobilta di sangue poca non mi sera mai mirabil cosa se tu fai la gente gloriar di te qua giu per quanto sia poca cosa la nobiltà dei natali a petto della vera nobiltà, non mi maraviglierò pii che gli uomini ne menino vanto nel mondo dove I afl’ecto nostro langue dove le nostre passioni ci allontanano dalla virtù che perchè io me ne gloriai la dove appetito non si torze io dico nel cielo se io stesso in cielo me ne gloriai. Ma come mai Dante poteva senlir vanagloria in Paradiso dov’ è impossibile il peccato? Si risponde che Dante era moralmente in Paradiso, e colla sola mente, e volle significare che la vanagloria corrompe non solo le umane, ma ben anche le menti celesti, occupate cioè della contemplazione delle cose divine, i filosofi, i teologi. Anche i ss. dottori si compiacquero di far memoria della nobiltà di loro ,schiatta. ben sie tu manto che tosto raccorce manto perchè spesso la nobiltà nasconde molte turpitudinì,

ma che tosto diventa corto si che i tempo va d intorno con la [p. 307 modifica]

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force perché il tempo colte forbice lo va tagliando di giorno in giorno di die in die e manca affatto il manto raccorciato se non sappon se la nobiltà di generazione in generazione non si rinfranca con novelle virtù. Ecco perchè veggiamo nobili e chiare famiglie estinguersi per lo più in un imbelle, in uno stolto, in un malvaggio. Cesare, sconfitto Pompeo, tornato a Roma, ordinò quella città in maniera che tutte le dignità concentrò in sè medesimo. Fu allora che i romani per adularlo incominciarono a parlargli col VOI ossia col plurale, quasi ad espressione che in lui concorrevano tutti i voleri. Dante usò verso del suo antenato l’adulatorio modo de’ romani con Cesare: ricominciaron leparole mie le mie prime parole furono dai voi — che Roma prima so/ferie che Roma la prima volta usò con Cesare, vinto Pompeo, o secondo altra lezione che prima s o/ferie che prima si offerse a Roma dai romani a Cesare, del qual modo, ossia del voi in plurale in che la sua famiglia me’n persevera oggi i romani non usano più tanto del voi quanto da principio, giacché ad un imperatore, ed allo stesso papa prescelgono dare dei tu: oggi giorno credo che la sola Toscana e Lombardia conservino il costume de’ romani con Cesare. onde Beatrice eh era un poco scevra che era rimasta un poco in disparte durante questo ragionamento ridendo parve quella che tussio al primo fallo scripto de Ginevra al bacio che fu il primo fallo di Ginevra, di cui si parlò nell’inferno. Come la fante di Ginevra accorgendosi del primo pericoloso passo fatto dalla sua padrona nell’amore di Lancilotto, tossì per farla cauta, similmente Beatrice fece a me sorridendo un segno che non approvava il voi da me preferito. Io cominciai a dire proseguendo: voi siete il padre mio lo

stipite di mia famiglia voi mi date a parlar tanta baldezza [p. 308 modifica]298

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quanta ne mostro voi mi levate si che io son piu eh io voi m’ innalzate sopra di me stesso. la mente mia che fa lelicia di se per tanti rivi s empie d allegrezza perche possa tenere che non si spezza per tanti modi si empie d’allegrezza la mente mia, che si rallegra di sè medesima, considerando che ella può contenere tanta allegrezza senza spezzarsi, ossia rimaner oppressa: ditemi dunque o cara mia primitia quaifur gli antichi vostri ditemi, ve ne prego, o mio antico stipite, quali furono i vostri avi e quai fuor gli anniquanhi anni erano corsi dall’ incarnazione quando voi nasceste? I toscani contano gli anni dall’incarnazione, i lombardi dalla natività di Cristo che signaro in vostra pueritia dal tempo del vostro nascimento. Dalla venuta di Cristo datano i cristiani, come una volta datavano le genti dai consoli e principi; anzi fino al giorno d’oggi gli spagnuoli nelle loro scritture datano da Cesare: ditemi del ovil di san Giovanni ditemi del popolo che ha per suo protettore san Giovanni, cioè de’ fiorentini ovile perchè il popolo è come il gregge regolato dal pastore; quanto era allora in quanto numero e chi eran le genti degne di piu alti scanni e quali erano, e quanti i nobili degni di maggIor distinzione. Vid io quella luce I’ anima di Cacciaguida rispienderc ai miei biandimenti folgorar di maggior luce alle parole di rispetto e di lode cosi come carbone s avviva in fiamma a lo spirar di venti al pari del carbone che si avviva al vento del mantice. La parola veloce come il vento, e chiamata da Omero pennuta accende la mente più che il vento avvivi il carbone e dissemi con voce piu dolce e soave più dolce e soave di quel che prima era così come si fece più bella agli occhi mci quando si rese più lucente agli occhi miei ma non con questa moderna favella non però con questo volgar foDigitized by [p. 309 modifica]Google øì*,


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XVI. 299

rentino, ma colla lingua quasi latina de’ tempi suoi: ciò allude alla disapprovazione che i fiorentini vadano girando pci mondo, perdendo il patrio idioma. È certo per altro che i viaggiatori fiorentini parlano un più colto linguaggio in confronto di quelli che mai non uscirono di citt(Ovvero Caccia- guida non usava del discorso umano, ma di un angelico linguaggio. Rispondendo poi alla seconda inchiesta di Dante vuole esprimere che dall’ incarnazione dei Verbo sino al proprio nascimento erano passati 411S4 anni, locchè dimostra col corso del pianeta di Marte in cui trovavasi. da quello di che fu dict ave al parto in che mia madre che e hor sancla s allevio di me dal giorno dell’ incarnazione di Gesù Cristo quando l’arcangelo Gabriele disse ave Maria al giorno che mia madre mi partorì ond era grave, questo pianeta di Marte questo foco venne a rinfiarnmarsi al suo leon sotto la sua pianta cinquecento cinquanta et trenta fiate venne a riaccendersi sotto i piedi del leone cinquecento cinquanta e trenta volte. Marte - compie li suo corso nello spazio circa di due anni, e così, se si calcolano interi sarebbero 1460, ma avendo riguardo alle frazioni si vogliono soltanto 114 anni. Si noti che dice di sua madre che e hor sancta e quindi l’assicura in Paradiso. Gli antiqui mci i miei maggiori et io naqui nel loco ed io nascemmo in Fiorenz%ove si trova pria I ultimo sesto nell’ ultimo sestiere. Firenze era una volta divisa per sestieri, cioè in sei parti: ora IL) quartieri al pari di Bologna da quel — che corre il vostro annual gioco ove il cavallo che correle- loce nei vostro giuoco annual) incontra pria I’ ultimo.sesticrc ‘ ‘ da porta san Pietro, e dove esso principia venendo da Mercato vecchio. Hanno per costume i fiorentini in ogni anno, e per la festa di san Giovanni Battista di far correre cavalli barberi

al pallio, seguendo 1’ esempio antico de’ greci e romani,k [p. 310 modifica]300

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Quelli che correvano al pallio, passavano dinanzi alla casa degli Elisei al principio dell’ ultimo sestiere nel Mercato vecchio, luogo di contratti antico e famoso, come Rialto a Venezia, e Carobbio in Bologna. E presso alla casa degli Elisei ora un arco trionfale, al quale riparando i rei di qualunque • delitto, godevano dell’immunità; tanto privilegio godevano i nobili deg’i Elisei! — Basti de miei maggiori a dirne questo per evitare ogni jattanza: eh ei si fossono et onde venir qui chi fossero e donde vennero ad abitare in Fiorenza ce piu fionesto tacere che fagiona ’e può intendersi tanto il) buono che in cattivo senso: buono, non essendo conveniente la lode nella propria bocca; cattivo, per non ricordare cose disoneste. Gli Elisei vennero , dai Frangipani di Roma, ed è questo il motivo per cui Dante in un canto dell Inferno appellasi romano. tutti color che a quei 4/ tempo eran ivnel t1s in Fiorenza da poter arme capaci alle armi tra iWarte e I Bali ,sta trovavansi tra Ponte Vecchio alla cui testa era la statua di Marte e la Chiesa di s. Giovanni Battista una volta tempio di Marte. Così con tali confini si precisa la grandezza dell’antica città, e si è certi che Fiorenza allora non era abitata ollr’Arno. Presso la detta Chiesa evvi la porta detta del vescovo, e fuori del borgo s. Lorenzo le mura arrivavano alla porta di santa Maria verso via Regia. erano il quinto di quei che son vivi erano la quinta parte degli abitanti di Fiorenza d’oggi t3Oma la cittadinanza che e or mista ma i cittadini che ora sono un miscuglio di campi della villa de’ campi distanti da Fiorenza sei miglia di Certaldo caste lo del conta- do fiorentino in Va! d’ EIsa di cui fu ser Fozio ribaldo giurista, e Giacomo che fu di tanta temerità, che minacciando il podestà, uomo eccellente, di deporre il comando, costui con tutta arroganza gli rispose — credi di esser tu solo capace di goverDigitized by Google ‘j4?* / [p. 311 modifica]4% -


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nar questa terra? — e tosto strinse il bastone del comando, montò la scala del palazzo pubblico, e si mise al banco a render ragione, e durò così molti giorni. A compenso il’ uomini così malvagi Certaldo può melter fuori un vanto, che lo compensa con usura, dico Giovanni Boccaccio, veramente Bocca d’oro, mio venerando maestro, caldo ammiratore di Dante, e che scrisse tal libro che molto serve ad intenderlo: scrisse pure — Della genealogia degli Dei, delle vicende degli uomini illustri, delle illustri donne, sui fiumi, delle Buccoliche e tante altre opere lasciò — e di Fighine altra villa del conado fiorentino distante dalla città di Fiorenza dodici miglia. Di Fighine fu serDego, esso pure ribaldo giurista: pura vedeasi ne I ultimo artista tale cittadinanza vedeasi pura fino nell’ ultimo artigiano, che era vero fiorentino O quanto fora meglio esser vicine quelle genti eh io dico oh quanto sarebbe stato meglio aver vicine le genti nominate et al Galluzzo et a Trespiano aver vostro confine e meglio / avere il vostro confine al Galluzzo’odaTrespiano, luoghipoCO più lontani di miglia da Fiorenza che averle dentro e! sostener lo puzzo che averle tanto vicine e domestiche, e sostenere il puzzo del villan d Aguglion Ubaldo di Aguglione, villa del contado fiorentino, quale Ubaldo ful più infesto a Firenze per un libro infame da lui scritto a sostegno delle parti guelfe e ghibelline; di quel da Signa altro paesetto lontano da Fiorenza cinque miglia sopr’Arno, e ritengono che ser Fazjo fosse di detto paese 4iomo venalJche gia per barattar ha I occhio aguzzo, e meritano quindi la pece infernale. Dante poi ripete ogni male della sua patria dalle dissensioni fra l’impero e la Chiesa, imperocchè al tempo di Federico li nacquero le parti o fazioni, ed avvennero le cacciate da Fiorenza/ tal fatto e Fiorentino e cambia e merca (aDigitized

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luno divenne cittadino di Fiorenza mercanteggiaudo che suarebbe volto a Simifonti che sarebbe ritornato a SimifonLe, pover1uogo in vai d’Eisa preso a gran fatica dai fiorentini, e distrutto la dove andava i avolo a la cerca sua terra natale, dove l’avolo viveva di limosina, o andava alla cerca intorno le mura della cittgse la gente che al mondo piu trali?4Jt. 4 &-,gna se le persone che dovriano seguire le vestigia degli antichi e più degli altri deviano dal retto sentier non fosse stata a Cesare noverca non fosser state qual matrigna all’ imperatore, giacché Cesare suona Imperatore ma come madre a suo /1- gliol benigna ma come madre a figlio fossero state a Cesare benigne. ,& Sariasi Monte Murlo ancor de Conti dei conti Guidi ai quali fu dato dall’ imperatore, e che poscia vendettero al comune di Fiorenza(per non poterlo difendere dai pistoiesariansi i Cerchi nel Pivier dAcone dei Cerchi molto si disse e si dirà nel canto seguente nel Pivier nella Pieve. Acona è paese del contado fiorentino in cui nacquero i predetti Cerchi e forse in Valdigrieve i Bondelmonti luogo così nomato a fiume Greve nel Fiorentino donde i Buondelmonti vennero a Firenze. — valle del fiume Greve — la confusion de le persone la mescolanza delle persone di diverse parti sempre principio fu del mal de la Cittade perché si riempie oltre la sua capacità come del corpo il cibo che s appone come è principio di malore al nostro corpo il cibo che si soprappone dopo aver mangiato a sazietà,te cieco Toro piu avaccio ca&<e Loro più satollo casca più resto che cieco agw3llo che I’ agnello ignorante; aliegoricamente più presto cade il nobile vizioso del vizioso popolano. Pure io credo che diversa sia la mente di Dante, la quale voglia esprimere, che la città quando è piena

d’ innocenti villani è più forte e potente di quel che piena di [p. 313 modifica]

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nobili, esprimendo questi ultimi nel toro, e gli altri nell’timile e pacifico agnello. Quanto è maggiore il popolo, tanto è minore I’ intelletto al dir di Aristotile/e molte volte taglia piu e meglio una che le cinque spade una sola spada cittadina spesso più ferisce e taglia che cinque spade straniere, ovvero il ferro di scarso popolo unanime ed unito taglia più e ferisce, che cinque spade nobili discordi e divise. Cacciaguida volendo rispondere all’ ultima inchiesta di Dante —quali furono anticamente le chiare famiglie de’ fiorentini, premette che le città più eccelse mancarono del tutto, od in parte, e quindi non è a maravigliarsi che mancate siano anche le famiglie fiorentine. udir come le schialte si disfanno come le famiglie si perdano non ti para nova cosa non ti parrà nuovo ne forte nè strano posciache le cittade termine hanno dacchè han pur fine anche le stesse città. Stu rtguardi Luni Luni città capitale della Lunigiana ora distrutta,i e della quale si disse nel canto XX dell’ Inferno e Urbisaglia città della Marca di Ancona non lungi da Macerata, e che ora non mostra che pochi ruderi e ruine. Fu tanto vasta, che per la sua vastità fu detta lJrbs alia altra Roma ,Le per corruzione Urbisaglia’j come son ite come sono cadute e come Chiusi città della Toscana, da cui venne il re Porsenna, che tentò di ricondurre dentro Roma i Tarquinii che ne erano stati espulsi. In Chiusi i galli sennoni furono la prima volta sconfitti dai romani, que galli fieri nemici, che tante volte invasero Roma, la presero, e col ferro, e col fuoco la devastarono,Lmeno del CampidogliJ Ora Chiusi distrutta mostra gli avanzi in luogo palustre e pestifero. E Senogallia città della Marca fra Ancona e Fano, alla spiaggia dell’Adriatico, costrutta dai galli sennoni, e da essi tenuta in dominio. Senogallia dicesi fabbricata dai galli senDigitized

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noni ailoraquando entrarono in Italia guidati da Brcnn%Mentre volgevano a Roma, trovarono una bella pianura, e credendola adatta a gente d’arme, perché avente prati verdi, selve vicine, prossimo il mare, ed un porto, credettero non potere mancare i viveri, vi fissarono stanza, e vi eressero molti fabbricati, la cinsero di mura, e distinsero il luogo con molte altissime torri. Oggi per altro è quasi derelitta per l’a. ria pestilenziale in cui niuno può mantenersi sano, nè ripromettersi lunga vita. ha però un pingue vescovato; come se ne vanno detro ad esse come sono in seguito ugualmente cadute, o sparite dopo Luni ed Urbis$agliae nostre cose tuttehanno or morte le cose mondane han tutCe un fine si come vo: Co. me l’avete voi pazzi mortali, che credete coli’ innalzare mura, e procreare famiglie di non morir mai. ma celasi in akuna chedura molto e le vite son corte ma la morte di ciascuna cosa che dura molto si nasconde a voi che durate poco, ovvero a voi mortali si nasconde la morte delle opere virtuose, fu cosi di Firenze la fortuna tale fu la sorte di Firenze come il voiger del del de la luna copre e discopre i liti senza posa come il girar della luna è cagione che pci flusso del mare si coprano, e si discoprano i lidi continuamente, così la fortuna è cagione che Fiorenza or sia coperta or discoperta di abitatori, e ciò per l’avvicendarsi degli esilii, e del richiamo degli esiliati; perche non dcc parer mirabil cosa cio eh io diro degli alti fiorentini perlocchè non deve far maraviglia quanto dirò de’fìorentini antichissimi onde la fama nel tempo e nascosa la fama de’ quali è nascosta nella lunghezza del tempo. Io vidi gli (ighi e vidi i Catelini Filippi Greci Ormanni et Alberighi gia nel calar illustri cittadini iii due modi descrive la loro nobiltà, col chiamarli illustri, perché in Roma

secondo 14ivio due erano gli ordini: I’ uno illustre formato dai [p. 315 modifica]

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nobili e del senato, e l’ordine equestre formato dai cavalieri armati. Dante qui parla della nobiltà illustre nel calar ese nel decadere erano illustri, quanto esserlo dovevano maggiormente prima della decadenza? el vidi cosi grandi come antiqui con quel della SeneUa quel del Archa el Soldanieri ci Ardinghi e Bostichi famiglie una volta magnifiche ed antiche, e quindi illustri, giacché l’antichità di nome suppone nobiltà, anche secondo Aristotile/ Ravignani nobili famiglie quasi estinte, dalle quali vennero i conti Guidi, altri nobili ond ee disceso il conte Guido. Per intendere come il conte Guido di- scendesse da questi per mezzo di Guald rada di ser Bilincione bisogna rileggere quanto di questi si disse nell’inferno; equalunqueposcia ha preso del nome del alto Bilincione dai Ravignani venne una famiglia nuova de’Bilincioni, così chiamata dal valoroso guerriero ser Bilincione erano stavano i Ravignani suddetti sopra la porta della vecchia città — porta san Piero. Ora nuovi cittadini vennero ivi ad abitare, cioè i Cerchi, villani prepotenti, de’quali si disse poco sopra, capi della parte bianca che al presente e carca di nova fellonia che ora è piena di nuovi felioni, fatti cittadini di Fiorenza che tosto fla iactura de la barca che presto saranno la perdizione della repubblica de tanto peso per loro grave malvagità. Dante parla della cacciata della parte bianca e de’ Cerchi avvenuta tre anni dopo al tempo in cui parla, e mostra così vaticiiiare riportandosi al tempo di sua visione del 4300, ma tutto era avvenuto quando scriveva. Quel de la Presa sapea gia come regger si uole il primogenito della famiglia della Presa sapeva le arti di ben governare, e non è piccola lode! ci avea Galigaio dorato in casa sua gia lelcio e lpomo e la casa de’Galigai era già distinta di nobiltà: il distintivo loro era la doratura dell’eisa e

— VoI. 3. 10 [p. 316 modifica]306

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pomo della spada. grande era gia la colonna del Vaio ed era già illustre la famiglia de’ Pigli, la quale aveva nello scudo in campo rosso una colonna listata coi colori della pelle del vaio. Giochi, Sachetti, Sifonti cI Barucci e Gali quei che arossan per lo staiojquesti ultimi furono i Chiaramontesi che avendo I’ incarico d aistribuire sale o frumento del comune, falsarono lo staio alterando una doga, e l’uno di essi fu per tal fatto decapitato. Di qui ebbe origine l’ordinanza che ogni staio fosse di ferro7Qo ceppo,(di che iaaquero i Calfucci era gia grande. I Donati erano già illustri che furono capo, ostipite della famiglia Calfucci, illustre tuttora e gia erano (ratti a le curule Sui et Arrigucci e già erano promossi a digniti gli Stii e gli Arrigucci. Le sedie curuli, nelle quali sedevano i dittatori romani, i consoli, i pretori, qui sono prese metaforicamente per le supreme magistratur4 ,(O quali vidi que che son disfatti per br superbia gli Uberti, lo stipite de’ quali fu Farinata capo della fazione ghibellina, il quale con molte virtù illustrò la famiglia. Pure furono scacciati per loro superbia, come si disse nell’ Inferno. Si racconta che, mentre Farinata fuggiva per l’esilio suo già pronunciato, giungesse ad un luogo detto la Stea, e gridasse —ahmiei amici miei amici! cui ser Mosca rispondesse non • lagnaru de’ tuoi amici, ma della tua borsa — e le palle d oro /iorian Fiorenza in tutti i suoi gran fatti accenna ai Lamberti, e con ciò mostra che furono più nobili degli Ubert, sebbene s’impugni da molti: in tutte le azioni di peso ed importanza i Lamberti erano sempre preferiti, locchè si prova dai molti privilegi ottenuti, fra i quali — di essere sepolti cavalieri sopra cavalli di bronzo. — Cosi facean li padri di coloro che sempre che la nostra

Chiesa vaca si fanno grassi stando a Concistor<così fiorian [p. 317 modifica]

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Fiorenza, o 1’ adornavano gli antenati de’ Visdomini , che erano patroni del vescovado e diventavano economi delle rendite di esso ogni qual volta vacava quella sede, radunandosi nel ve- / scovato. Da tal famiglia vennero altre due, della Tosa ed Aliotti. i oltre cui ala schiatlaiDante allude alla famiglia degli Adimari, o con altro nome de’aviciul1i, uno de’ quali si nomò Boccaccino, offeso da Dante, mentr’ era al governo; il perché costui fu poi sempre a lui avverso impedendo che fosse rimesso - dell’esilio(he sindraca razza presuntuosa, che diventa fiera A qual drago dietro a chi fugge perseguitando il timido che fugge et a chi mostra £ dente over la borsa come agnel si placa e diviene agnello verso chi sì oppone, o le mostra la borsa: e diffatto per amor di denaro aveva sofferti sfregi e bastonate gui venia su cominciava ad avere potere ma di picciola gente ma con gente di basso stato. Ubertino de’ Donati a mala voglia soffrì che la sorella di sua moglie fosse data ad un Adimari si che non piacque ad Ubertin Donato che il suocero poi il fesse br parentjer Bilincione fu suocero di Ubertino. Gia era il Caponsaeco nel mercato: la famiglia de’ Caponsacchi abitava già in mercato vecchio disceso giu da Fiesole discesa da Fiesole e gia era bon cittadino Giuda el Infangaio famiglie in esilio perché ghibelline. Io diro cosa incredibile e vera aggiungerò una cosa che non sembra credibile, che cioè una porta della città prendesse il nome da un pvato. Nel piccol cerchio s mirava per por- : la che si nomava da quei de la Pera equi malamente alcuni sostengono che Dante parli della famiglia PeruzzVLa porta col nome de la Pera, non era delle principali della città, ma portella, o di privilegio. Quattro infatti allora erano le principali porte della città porta san Piero — porta presso il

Duomo — porta san Paolo — porta santa Maria,4 ciascun che [p. 318 modifica]308

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de la bella insegna porta del gran Barone cinque nobili famiglie— Pulci, Nerli, Zandonati, Conti de’Gangalandi cia casa della Bella. Tutti portano nell’ arme daghe d’argento, quali ottennero dal baron Ugo vicario in Toscana per Ottone 111. Ugo morì in Fiorenza, avendo prima dotate molte chiese, e specialmente laBadia di santa Maria. E perchè morì nel giorno della fe. sta di s. Tommaso, così ogni anno si fa in tal giorno solenne commemorazione di lui il cui nome il cui pregio la festa di Tomaso riconforta rinnova alla memoria in di lui onore da esso ebbe militia e privilegio alcuni ebbero da esso titolo di cavaliere, e privilegio di nobiltà, avegnache col popolo si rauni oggi colui che la fascia col fregi’ sebbene Giano della Bella, che fa suo stemma quello di U cingendolo per altro intorno di un fregio d’ oro per distinguersi dagli altri, si unisca al popolo, e sia divenuto acerrimo nemico de’ nobili, come lo furono i Gracchi; ma al pari di essi ebbe la pena. Gia eran Gualteròtti et Importuni in pregio e aneorsaria Borgo plu quieto,Borgo santi apostolje di nuovi vicin fosser digiuni s nuovi vicini non lo avessero eccitato a di scordie: la casa di che nacque il vostro fleto la famiglia degli Amidei, ond’ ebbe origine il vostro pianto, ossia ladivisione di Fiorenza in Guelfi e Ghibellini. Buondelmonte de’Bondelmonti andava a sposare una fanciulla degli Amidei, e fuchiamato da una signora di casa Donati, che mostrandogli la figlia bellissima, lo fece subito innamorare di lei, e la sposò. Gli Amidei ingiuriati nella tradita loro fdnciulla, chiamati a consiglio gli Uberti, i Lamberti, gli Abbati, ed altri Ghibellini, sponendo il ricevuto insulto, dopo molto contrasto, deliberarono di trucidare l’autore dell’ingiuria, come accadde per mezzo di ser Mosca de’ Lamberti per lo giusto disdegno che v ha morti pel giusto sdegno dell’affronto ricevuto e posto fin [p. 319 modifica]c*t’ro xii. 309 al vostro viver lieto e vi troncò ogni quiete, e felicitàjera onorata essa e i suoi consorti era in onore la famig1’ì degli Amidei, come pure quella degli Uccellini, e dei Gerardini. o Bond.elmonte/44quanto mal fuggisti le nozze sue per gli altrui conforti o Bondelmonte, quanto male facesti a tradire le promesse nozze colla fanciulla degli Amidei per gl’impulsi che a mancare di parola avesti dalla madre della fanciulla de’ Donati! molti sarebber lieti che son tristi molti vivrebberoin patria tranquilli e contenti, che ora sono sotterra, vittima dell’odio e vendetta, o sbanditi, erranti, lontani da’ suoi e dalla patria! se Dio ti avesse conceduto ad Ema la prima volta che a citta venisti se Dio ti avesse fatto annegare nel fiumicello Ema la prima volta che tu venisti a Fiorenzaalcuni vogliono che il territorio d’ Eina fosse in dominio àe’Buondelmonti. — E qui nota che Dante pare che nell’ultimo alluda al progenitore di quello che tradì l’Amidei, non al traditore. Ma conveniasia quella pietra scema che guarda i Ponte che Fiorenza fesse vittima ne la sua pace postrema ma invece che Buondelmonte annegasse nell’Ema, si conveniva che Fiorenza negli ultimi giorni ch’ ebbe di pace e di concordia sacrificasse Buondelmonte a quella rotta statua di Marte che guarda Ponte Vecchio. Il Buoadelmonte fu ucciso dagli Amidei e congiunti a piè del ponte suddetto vicino alla statua di Marte dio della guerra, che si pasceva di sangue umano, e cui fu offerto quello del giovane. Con queste genti con queste famiglie vid io glorioso e giusto il popoi suo tanto vidi il popolo di Fiorenza così giusto e glorioso che il giglio non era ad asta mai posto a ritroso che il giglio, sua insegna, non essendo mai venuto in mano de’ nemici, non era mai stato posto a rovescio sull’asta [p. 320 modifica]310 PÀRAÙÌSO era costume de’ vincitori rovesciare le insegne trionfante, an- che nelle guerre civili della stessa Piorenza :/4ne per division fu vermiglio il giglio dell’arme antica di Fiorenza era bianco in campo rosso: dopo la divisione civile, i Guelfi posero il giglio vermiglio in campo bianco nè si era per parti faUo rosso di sangue civile. Quando i romani conquistavano qualche città, e l’aggregavano all’impero, la distinguevano coll’arme in cui lo scudo era rosso, e colle lettere S. P. Q. R. senatus populusque romanus. Nicola da Rienzo sgridando la viltà de’ romani che venner dopo, interpretav osi le lettere islesse. Sozzo popolo questo romano. — Le vinte città, e così aggregate potevano aggiungere al romano ogni altro emblema, ed i perugini aggiunsero un grifo, Fiorenza i gigli, che divennero rossi per le guerre civili, ma sussistono ancora bianchi nella sommità del palazzo del podestà)on queste genti e con altre con esse colle dette famiglie, e con altre men distinte vid io Fiorenza in si fatto riposo vidi io la città di Fiorenza in tanta quiete che non avea cagion onde piangesse che mai non sorgeva in essa motivo dt dolore e di pianto. N. B. Ne’ versi 82 sa immagina Dante che la naturale attrazione

della luna cagioni il flusso e riflusso del mare. [p. 321 modifica]

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XVII.

TESTO MODERNO Qual venne a Climenè per accertarsi Di ciò che aveva incontro a sè udito, Quei che aneor fa li padri a’ figli scarsi; 3 Tale era io, e tale era sentito E da Beatrice, e dalla santa lampa, Che pria per me avea mutato sito. 6 Perché mia Donna: manda fuor la vampa Del tuo desio, mi disse, sì ch’ella esca Segnata bene dell’interna stampa; 9 Non perché nostra conoscenza cresca Per tuo parlare, ma perché 1’ ansi A dir la sete, sì che l’uom ti mesca. O cara pianta mia, che sì t’ insusi Che, come veggion le terrene menti Non capere in triangolo due ottusi, Così vedi le cose contingenti Anzi che sieno in se, mirando il punto, A cui tutti li tempi son presenti; 18 Mentre ch’io era a Virgilio congiunto Su per lo monto che l’anime cura, E discendendo nel mondo defunto, 21 Dette mi fur di mia vita futura Parole gravi, avvegna ch’io mi senta,

Ben tetragono ai colpi di ventura. 24 [p. 322 modifica]312

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Percliè la voglia mia sana contenta D’intender qua! fortuna mi s’appressa; Chè saetta previsa vien più lenta. 27 Così diss’ io a quella luce stessa, Che pria in’avea parlato, e, come volle Beatrice, fu la mia voglia confessa. 30 Nè per ambage, in che la gente folle Già s’invescava pria che fosse anciso L’ Agnel di Dio che le peccata tolte, Ma per chiare parole, e con preciso Latin rispose quell’ amor paterno, Chiuso e parvente del suo proprio riso: La contingenza, che fuor del quaderno Della vostra materia non si stende, Tutta è dipinta nei cospetto eterno: 39 Necessità però quindi non prende, Se non come dal viso in che si specchia Nave che per corrente giù discende. 42 Da indi, sì come viene a orecchia Dolce armonia da organo, mi viene A vista il tempo che ti s’ apparecchia. 45 Qual si partì Ippolito d’Atene Per la spietata e perfida noverca, Tal di Fiorenza partir ti conviene. Questo si vuole, e questo già si cerca, E tosto verrà fatto a chi ciò pensa Là dove Cristo tutto dì si merca. 51 La colpa seguirà la parte offensa In grido, come suoi; ma la vendetta f’ia testimonio al ver che la dispensa.

Tu lascerai ogni cosa diletta [p. 323 modifica]

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XVIJ. 313

Più caramente; e questo è quello strato Che 1’ arco dell’esilio pria saetta. Tu proverai sì come sa di sale Lo pane altrui, e come è duro calle Lo scendere e il salir per l’altrui scale. 60 E quel che più ti graverà le spalle, Sarà la compagnia malvagia e scempia, Con la qual tu cadrai in questa valle; 63 Che tutta ingrata, tutta matta ed empia Si farà contra te; ma poco appresso Ella, non tu, n’ avrà rossa la tempia. 66 Di sua bestialità il suo processo Farà la prova, sì che a te fia bello Averti fatta parte per te stesso. 69 Lo primo tuo rifugio e il primo ostello Sarà la cortesia del gran Lombardo, Che in su la Scala porta il santo uccello; 72 Che avrà in te sì benigno riguardo, Che del fare e del chieder, tra voi due, Fia primo quel che tra gli altri è più tardo. 7$ Con lui vedrai colui che impresso fue, Nascendo, sì da questa stella forte, Che notabili fien l’opere sue. 78 Non se ne sono ancor le genti accorte Per la novella età, che pur nove anni Son queste ruote intorno di lui torte. 81 Ma pria che il Guasco l’alto Arrigo inganni, Parran faville della sua virtute In non curar d’argento, nè d’affanni. Le sue magnificenze conosciute

Saranno ancora sì, che i suoi nemici [p. 324 modifica]314

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Non ne potran tener le lingue mute. 87 A lui t’aspetta e a’ suoi benefici: Per lui fia trasmutata molta gente, Cambiando condizion ricchi e mendici: 90 E porterai scritto nella mente Di lui, ma noi dirai: e disse cose incredibili a quei che fia presente. 93 Poi giunse: figlio, queste son le chiose Di quel che ti fu detto: ecco le insidie, Che dietro a pochi giri son nascose. 96 Non vo’ però che a’ tuoi vicini invidie, Poscia che s’infutura la tua vita Via più là che il punir di br perfidie. 99 Poi che tacendo si mostrò spedita L’anima santa di metter la trama in quella tela ch’io le porsi ordita, 102 io cominciai, come colui che brama, Dubitando, consiglio da persona Che vede, e vuoI diriltamente e ama: 105 Ben veggio, padre mio, sì come sprona Lo tempo verso me per colpo darmi Tal, ch’è più grave a chi più s’abbandona: 108 Perchè di provedenza è buon ch’io m’armi, Sì che, se loco m’è tolto più caro, io non perdessi gli altri per miei carmi. III Giù per lo mondo senza fine amaro, E per lo monte, del cui bel cacume Gli occhi della mia Donna mi levaro, I 14 E poscia per lo Ciel di lume in lume Ho io appreso quel che, s’io ridico,

A molti fia sapor di forte agrume: 117 [p. 325 modifica]

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XVII. 31S

E s’ io al vero son timido amico, Temo di perder vita tra coloro, Che questo tempo chiameranno antico. l2O ia luce, in che rideva il mio tesoro, Ch’io trovai lì, si fe’ prima corrusca, Quale a raggio di Sole specchio d’oro; l23 Indi rispose: coscienza fusca O della propria o dell’altrui vergogna, Pur sentirà la tua parola brusca. 126 Ma nondimen, rimossa ogni menzogna, Tutta tua vision fa manifesta, E lascia pur grattar dove è la rogna; l29 Chè, se la voce tua sarà molesta Nel primo gusto, vital nutrimento Lascerà poi, quando sarà digesta. 13 Questo tuo grido farà come vento, Che le più alte cime più percuote; E ciò non fia d’ onor poco argomento. 135 Però ti son mostrate in queste ruote, Nel monte e nella valle dolorosa, Pur l’anime che son di fama note: 138 Chèl’ animo di quel ch’ode, non posa, Nè ferma fede per esempio ch’ haia La sua radice incognita e nascosa, Nè per altro argomento che non paia. 142 COMMENTO DI BENVENUTO Si divide il canto in quattro parti. Nella prima, il Poeta ricerca Cacciaguida di alcuni pronostici fattigli nell’ Inferno e Purgatorio. Nella seconda, risposta di Cacciaguida. Nella terza, rifugii di Dante nell’ avversità. Nella quarta, Dante viene esortato a compiere il suo Poema. [p. 326 modifica]316 PARADiSO Fetonte figlio del Sole rimproverato da Epafo, figlio di Giove, di essere uno spurio e non figlio di Apollo, ricorse a sua madre Climene per essere certo del padre suo, ed essa lo rimise a Febo, dal quale ottenne, per prova di paternità, di potere per un giorno solo governare il carro del Sole; ma malamente lo resse, e fu cagione dell’incendio mondiale. come allegoricamente fu detto altrove. Dante intende esprimere ch’ esso pure qual figlio del Sole si turbò di quanto gli venne rinfacciato, e ricorse a Beatrice, perchè lo diriggesse al vero suo padre, e lo schiarisse di un dubbio, che molto lo tormentava. Io era tal tanto dubbioso qual quei come quel Fe- tonte che ancor fa li padri scarsi ai figli e così Fetonte è un avviso, per regola dei padri a non essere tanto teneri verso de’ figli nell’ accordar loro qualunque inchiesta; dal che poi ritraggono affanni e disperazione, venne a Climenedi lui madre per accertarsi di cio che aveva udito in contra a se da Epafo che gli aveva detto esser bastardo e non figlio del Sole et tal era sentito e tante sventure si erano sentite contro di me e da Beatrice e da la saneta Lampa e da Beatrice, e da Cacciaguida che pria per me havea mutato sito che a mio riguardo si era tolto dal destro lato della croce, ai cui piedi era Dante. Il perchè Beatrice mi disse manda for la vampa del tuo disio palesa 1’ ardente tuo desiderio si ch el esca signata ben de la interna stampa che esprima 1’ intero animo tuo, giacché le parole sono le chiavi che aprono gi’ interni sentimenti non perche nostra conoscentia cresca per tuo parlare non perché la nostra vista in Dio si accresca colla tua verbale inchiesta ma perche t ausi a dir la sete ti avvezzi a palesare i tuoi desiderii si che i om ti mesca si che possiamo appagarli.

Mescere è termine toscano, e suona dar da bere. Quantunque [p. 327 modifica]

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XVII. 317

i nostri desiderii siano noti a Dio, pure a mostrare umiltà, e dipendenza torna bene a palesarli con parole. O cara pianta mia che si i insusi o mio trisavolo, che si ti levi insuso in Dio, t’ innalzi come veggion le terrene menti non capere in triangolo due ottusi in quello stesso modo che le menti umane veggono che due angoli ottusi non possono essere contenuti in un triangolo cosi vedi le cose contingenti anzi che siano in se, mirando Il punto a cui tutti li tempi son presenti mirando in Dio, cui tutti i tempi sono presenti, vedi le cose che hanno a venire colla massima evidenza. Gli angoli, secondo i geometri, sono di tre sorta — rettcf, acuto ed ottuso. — 11 retto si ha quando una linea retta cade perpendicolarmente sopra alla retta come -+.; l’acuto, quando la retta non perpendicolarmente, ma cade verso una dell’ estremità dell’ altra ....; I’ ottuso, quando la retta che cade sulla retta sottoposta oltrepassi in inclinazione 1’ angolo retto, ossia è l’opposto all’angolo acuto . Ora il triangolo è una figura chiusa da tre rette, e quando in essa figura volessero com prendersi due angoli ottusi, la figura non poi rebbe chiudersi giammai. Dante richiamando alla memoria i pronostici di Ciacco, Farinata e Vanni Fucci nell’ Inferno, di Oderisi ed altri nel Purgatorio, ora vuoi farsi più certo dei mali che debbono colpirlo parole gravi diete mi fuor di mia vita futura mi fu preconizzato la cacciata dalla patria, il mio esiguo mentre eh io era congiunto a Virgilio quando aveva Virgilio per guida nel Purgatorio che lanima cura sana, e purga da ogni peccato e discendendo nel mondo defunto discendendo nel1’ Inferno che è il vero mondo de’ morti avvegnache io mi senta ben tetragono ai colpi di ventura quantunque mi senta

d’ animo forte ed invincibile ai colpi dell’ avversa fortuna. [p. 328 modifica]318

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Tetragono è figura cubica di sei uguali faccie quadrate, che, comunque cada su di un piano, rimane sempre in piedi. Aristotile chiama — tetragono l’uomo virtuoso —perche la voglia mia seria contenta d intender qual fortuna mi s apprena il mio fermo proposito di conoscere quale sventura mi sarà più vicina; il perchè vorrei che mi diceste quale disastro mi coglierà pel primo che saetta previsa vien piu lenta perché la saetta che si prevede, più facilmente si scansa, o meno ferisce. Aristotile persuadeva Alessandro a tener sempre seco filosofi ed astrologi che gli predicessero il futuro, giacché, quantunque sia inevitabile il destino, nondimeno la presdenza vi mette in caso di premunirvi dal maggior danno. cosi diss io a quella luce stessa che pria m avea parlato così diss’ io a Cacciaguida che prima mi parlò in quella sfera e come volle Beatrice, fu la mia voglia confessa a cui, per volontà di Beatrice, io confessai, manifestai il mio desiderio. Ma quelki amor paterno quell’amoroso progenitor mio chiuso e parvente del suo proprio riso nascosto entro il suo proprio splendore rispose per dare parole e con preciso latin rispose con parole chiare e con aperto favellare italiano non per ambage in che la gente folle gia s invischiava pria che fosse anciso i agnel di Dio che le peccata bile non con equivoche risposte, e di doppio senso quali davano gli Dei de’gentili, che potevano interpretarsi a pro e contro, e che usavansi prima della venuta di Gesù Cristo, il quale col sangue mondò il genere umano della prima colpa fatale. Tullio deride le risposte a Creto ed a Pirro, e dice che i responsi di Apollo potrebbero servire di regola pci dialettici. Orosio afferma che per questa ragione molti secoli prima della se— nuta di Cristo l’oracolo di Apollo si era abbandonato, la contingentia che non si stende fuor del quaderno de la vosira

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materia non vi è futuro contingente dentro al perimetro del vostro mondo tutta ce dipinta nel cospetto eterno che non sia presente alla mente di Dio; e siccome potrebbe obbiettarsi, se Dio prevede ogni futura contingenza, essendo egli infallibile, le azioni non son più libere ma necessarie; egli aggiunge necessita pero quindi non prende se non co’ne dal viso in che si specchia nave che per corrente giu discende pci Torrente però, da questo nostro vedere in Dio gli avvenimenti, non dipende la necessità loro, come lo scendere di una nave per la corrente del fiume, non dipende dall’ occhio, al quale si fa vedere. Come pertanto l’occhio che vede la nave non influisce sul di lei corso, così la previdenzadivina non influisce sulla libertà di detti contingenti. da indi si mi vene a vista il tempo che ti si apparecchia da questa divina vista mi si presentano gli avvenimenti che debbono coglierti si come dolce armonia vene ad orecchio da organ come dal suono dell’organo giunge grata armonia all’orecchio, così l’miei- letto beato vede in Dio quanto deve accadere. Fedra moglie di Teseo, secondo che scrive Seneca, fu presa da furente amore pel suo bellissimo ed onestissimo figliastro Ippolito, e lo ricercò di corrispondenza. Avendo ricusato Ippolito, essa, a coprire la propria vergogna, si mise a gridare. et ti conviene partii’ tal da Fiorenza ti sarà forza partire da Fiorenza nel modo qual si parti Ipolito tiglio di Teseo da Atene sua patria per la spietata et perfida ,aoverca per la perfida e crudele matrigna che perdette un inclito giovane degno di amore più puro. Così come Ippolito innocente fu scacciato dalla patria, e soffrì tanta sventura perctiè sdegnò di acconsentire alle brutte voglie della matrigna, Dante giusto ed incolpevole fu scacciato da Fiorenza, altra A Iene, e sua patria, perchè non volle acconsentire alle di lei [p. 330 modifica]320 PARADJSO illecite brame, e soffrì tutti i mali di lungo esilio. Atene fior di sapienza espulse cittadini illustri ingiustamente, secondo Valerio e Giustino: Fiorenza, quantunque meno sapiente diAtene, espulse ottimi personaggi, Dante, Petrarca, Boccaccio ed altri molti, questo si vole e questo gia si cerca e tosto verra fato a chi cio pensa la dove Cristo tutto di si merea Ali tuo esilio si vuole da un sommo potere in Roma, e da ser Corso Donati e da1i altri fruoi avversarin Firenze.la colpa seguira la parte offesa in grido come sole s’ imputerà ogni colpa alla parte bianca, che verrà scacciata, perchè ai miseri ordinariamente viene imputato ogni male, gridando il popolo incontro ad essi ben ti sta — fosse il male al doppio — — ma la vendetta fia testimonio al ver che la dispensa ma la divina giustizia che viene dall’eterno Vero farà tosto seguire la vendetta in prova della falsa imputazione. Con ciò Dante allude all’acerba morte di ser Corso Donati. Tu lascerai ogni cosa dilecta piu caramente tu abbandonerai figli, patria, genitori, moglie, amici, parenti: e Dante aveva infatti lasciato quest’ opera divina incominciata, e che tanto amava, quale per fortuna ricuperò e questo e quello strale ed è questo il dardo del dolore che l arco de i exiliopria saetta che l’arco dell’esilio prima ti scaglia, e quest’arco ne scaglia tanti, che gli esiliati, non reggendo a tanti mali, lasciano le afflitte salme sopra terreno straniero, tu proverai si come sa di sale lo pane altrui farai esperienza com’è salato il pane degli altri, imperocchè guai a quelli che inangiano coll’altrui appetito e come e duro calle lo scendere e I salire per l altrui scale e quanto è duro e penoso scendere e salire le scale degli altri per bisogni o soccorsi: e quei che piu ti gravera le spalle e quel che piì ti farà grave la sventura sara la compagnia malvaggia e scempia con la qual tu

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XVII. 32 1

cadrai in questa valle saranno i Cerchi malvagi e crudi coi cui dovrai trovarti nella miseria e nell’esilio. Ser Nerio de’ Cerchi fu così protervo e rozzo che per istanza di papa Bonifazio ricercato di far pace con Cursio Donati rispose al papa stessokperchè mi ritenete qui? lasciatemi andare alla patria mia: cui Bonifazio: e chiti ritiene? allora ser Nerio senza altro aggiungere se ne fuggì; ma Cursio più destro rimase, sempre supplicando presso del papa, e potè cavar 1’ ordine della scacciata de’Cerclii che tutta ingrata sconoscente al bene che tu facevi alla repubblica col consiglio e vigilanza tua tutta matta el empia percliè alla sconoscenza aggiunse il più alto castigo in cambio del benefIzio;ma poco presso e ciò avvenne circa tre anni dopo ella ne avrà rossa la tempia tanto sarà oppressa, quanto tu sarai onorato: di sua bestialita il SUO processo fara la prova l’evento Iwoverà la predizione, perché guai a coloro che disprezzano i consigli de’sapicnti si che a te fa bello averti fatta parte per te stesso sicché potrai menar vanto d’esserti separato dai loro consigli, ed aver fatto parte da te solo. Lo primo tuo refugio e primo ostello sara la cortesia del gran Lombardo che in su la scala porta il santo uccello tu sarai prima mente accolto ed ospitato da Bartolommeo della Scala, che dall’imperatore ottenne la signoria di Verona, e per questo ha un’aquila sulla scala nello stemma. Bartolommeo prevenne la indigenza di Dante, e non aspettò che dimandasse soccorso che avra in te si benigno riguardo che sarà tanto delicato nel soccorrerti che dei far e del chieder fra voi due fia prima quel che Ira gli altri e piu tardo egli darà prima che tu chiegga, all’opposto di quanto sogliono far gli altri grandi\con lui vedrai colui %Can Grande che impresso fue nascendo che nacque sotto il forte influsso di Marte si da quella

RAMBAI.DI — Voi. 3. 21 [p. 332 modifica]322

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stella forte che notabili fien I cipere sue e sarà da Marte tanto ispirato, che le sue nobili gesta saran portale dalla fama nel mondo. non se ne sono ancor le genti accorte per la novella etanon hanno ancora le genti avuto argomento del genio guerriero per la tenera sua età che pur nov anni son queste rote intorno di lui torte intorno al quale queste sfere si sono aggirate soltanto nove volte, ossia ha soltanto nove anni. Ma Dante intende degli anni marziali che sono composti di ventiquattro mesi, giacché Marte quasi in due anni scorre lo zodiaco; era dunque tra i sedici e diecisette anni, ma pria che I Guasco I alto Arrigo inganni ma prima che papa Clemente V di Guascogna ingannil’ imperatore Arrigo VII, di tale inganno si dirà nel XXX canto parran faville de la sua viri ute in non curar d argento ne d affanni appariranno gl’in(lizi della sua grandezza nelle magnifiche spese, e nel coraggio in guerra. Di qui conosci che la liberalità basta persèsola a coprire molti vizi. Avendolo il padre condotto ancor fanciullo a vedere un gran tesoro, alzata la veste, vi pisciò sopra, per il che gli spettatori argornentarono la futura di lui magnificenza le sue magnificenlie le magnifiche sue opere saranno ancora conosciute si che suoi nemici non ne potranno tener le lingue mute saranno tanto grandi, clic dovranno lodarsi dagli stessi nemici suoi; tributo clic strappa la virtù anche da chi li odia: a lui t aspecia ci a suoi benefici mettiti nelle di lui braccia. E di vero Cane molto onorò Dante compiacendelo in jitLe cose, di tutto provvc(Iendolo. E doveva il poeta restituirgli buona mercede, come fa qui anche aldilà del merito. Per lui fia transmutata molta gente esalterà alcuni, umilierà altri cambiando condition ricchi e mendichi alcuni ricchi impoveriran no, alcuni poveri arricchiranno e porteranno scriplo ne

la menie di lui e noi cUrai e (li lui porterai scritto nella tua [p. 333 modifica]

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XVI1.

memoria, senza appalesarle ad alcuno, queste cose che io ti predico e disse cose e Cacciaguida disse altre cose Incredibili a quei che fien presenti incredibili a coloro che coi propri occhi le vedranno. Cane soggiogò tutta la Marca Trivigiana, e Rainaldo poeta veronese ne chiude 1’ elogio in questi due versi dell’ epitaffio he in questi luoghi an gran cose oprasse — Marca sei sa da crude! Marte oppressa. Cacciaguida terminando il suo discorso poi giunse aggiunse o figliol queste son le ghiose le illustrazioni, dichiarazioni di quei che ti fu dicto da molti e nell’ Inferno e nel Purgatorio: ecco le insidie le occulte macchinazioni della fortuna e de’ tuoi nemici che son nascose detro a pochi giri che tenderanno a colpirti poco piè di due anni, ovvero che sono lungi da te per poche rivoluzioni di sole, dopo le quali ti verran manifesle. non vo pero cli a tuoi vicini invidi poscia che s in futura la tua vita via piu la che punir di br perfidie io non voglio però che tu odii i tuoi concittadini che lian trionfato di te, giacchè essendo la tua vita per durare oltre quel tempo nel quale la perfidia loro sarà punita, tusopravviverai contento. Ovvero, non voglio che tu invidi la parte nera, che fiorirà, giacchè la invidia non è altro, che la dispiacenza dell’altrui felicità. Poiche I anima sancta di Cacciaguida si mostro spedita di metter la trana in quella tela ch io le porsi ordita mostrò di avere compiuta la tela che io gli aveva ordita: la trama è quel filo che si conduce nell’orditura, e Dante aveva prima ordita, e Cacciaguida tessuta la tela colle molte dimostrazioni ed interpretazioni tacendo col tacere, dal che compresi il compimento io cominciai come colui che dubitando brama consiglio di persona che vede e vole et ama drittamente io coininciai a parlare a guisa di colui, clic timido e (lubbioso preL ‘/4 • . [p. 334 modifica]PARADiSO gadi consiglioclii drittaniente vede, vuoleed ama di dario— o padre mio ben veggio sì come sprona lo tempo verso ne per colpo d armi tal che e piu grave a chi pia s abbandona o iadrc mio, ben veggo che tal tempo impetuosamente rovina sopra di me preparandomi un colpo nascosta mente, e che sai’cbbe più grave quando non fosse preveduto, e quando non cercassi di ripararvi perchedi protvedentia e bon eh io marmi laonde è necessario, che io provvegga si che se loco me tolto pia caro io non perdessi gli altri per i miei carmi cosicché se mi è tolta la mia cara patria, io non abbia a perdere altri luoghi d’asilo per cagione del mio poetare franco ed ardito; ovvero se ier ingiustizia ho perduta la patria, non vorrei perdere ogni rifugio, dando materia di repulsa a chi potrebbe darmi ospizio, troppo arditamente scrivendo. gia per lo mondo senza fine amaro nell’ Inferno o per lo monte del cui bel cacume gli occhi de la mia donna mi levaron e nel Purgatorio, dalla cui cima gli occhi di Beatrice mi levarono al cielo e poscia per lo ciel di lume in lume e poscia di sfera in sfera ho io apreso quel che s io ridico a molti fiasapor di forte acume io imparai cose e ne vidi, che se le palesassi, farebbero dolore ed offesa a molti. esio al vero son timido amico temo di perder vita fra coloro che questo tempo chiamaran antico e se non azzardo di palesare il vero, temo di perdere onore e fama fra i posteri. Che farò dunque? Primo consiglio di Cacciaguida. la. luce in che ridea il mio tesoro la luce di che splendeva il mio antico tesoro chio trovai li in Marte si fe pria corusca si rese più fiammeggiante prima di parlare quale specchio doro a raggio di sole come specchio d’oro in cui ferisca raggio di sole indi t’ispuose lo stesso Cacciaguida. — Coraggio figlio mio: dirai con fermezza male di tutti coloro che lo meritano, giacché dispiacerà il vero [p. 335 modifica]C.’NTO xVII. 32: per un momeuLo, ma poi piacerà. — conscientia fusea o di la propria o de I altrui vergogna pur sentira la tua parola brusca solamente colui che avrà la coscienza macchiata da opera vergognosa, o propria o d’altri, sentirà le punture delle tue parole o diretiamente o per parte de’congiLlnti ma nondimen rimossa ogni menciogna fa manifesta lu(ta tua vision ma coraggiosamente e con tutta verità palesa tutto ciò che vedesti nell’ Inferno e nel Purgatorio, ma lascia pur grattar dov e la rogna e lascia che chi ha la rogna se la gratti; che se la voce tua sara molesta al primo gusto che se il tuo dire sembrerà di primo momento aspro ed acerbo ella sara poi vitale nutrimento quando sara digesta si cambierà poi esaminata e ben ponderata che sia, in nutrimento salubre della vita morale. E fu profeta, perché molti potenti, de’ quali gli avi furono inaltraltati da lui, pure amando questo libro, e facendo plauso di verità al rimprovero degli antenati, cercano di seguire il libro, correggendosi di più di quello che seguire le vestigia de’ maggiori rimproverati. Questo tuo grido fara come vento che le piu alte cime piu percuole questo tuo gridare, manifeslando le cose da te vedute e udite, sarà come il vento che scuote maggiormente, e piega le alte cime degli alberi, ossia colpirà i sovrani, i principi, i potenti maggiormente che il popolo e cio non fa dhoizor poco argomento e ciò servirà a tuo più alto onore; pero ti son mostrate in queste ‘otc sul monte e nella valle dolorosa per I anime che son di fama note ecco perché ti si fecero osservare nel Purgatorio e nell’ Inferno solamente le anime, che furono più spettabili nel mondo; che laniìno di quel eh o- de non posa ne ferma fede per excinplo eh aja la sua radice incognita ci ubscosa perciocchò I’ animo di chi ode non si acquieta fede agli esciìipi che gli si iongono sotto deDigitized

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gli occhi, se questi esempi sono tolti da persone basse e sconosciute ne per altro argomento che non paja o che noiT si mostrino in altra maniera famosi.

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canto
XVIII.

TSTO MOI)kRNO Già si godeva solo del suo verbo Quello Spirto beato, e io gustava Lo mio, temprando il dolce con l’acerbo: E quella Donna che a Dio mi menava, Disse, mula pensier, pensa eh’ io sono Presso a Colui che ogni torto disgrava. 6 lo mi rivolsi all’ amoroso suono Del mio conforto; e quale io allor vidi Negli occhi santi amor, qui l’abbandono: 9 Noi) perch’ io pur del mio parlar diffidi, Ma per la mente che non può redd ire Sopra sè tanto, s’altri non la guidi. 12 Tanto posso io di quel punto ridire, Che, rimirando lei, lo mio affetto Libero fu da ogni altro desire; Fin che il piacere eterno, che diretto Raggiava in Beatrice, dal bel viso Mi contentava col secondo aspetto. 18 Vincendo me col lume d’ un sorriso, Ella mi disse: volgiti e ascolta, Che non pur ne’ miei occhi è paradiso. ¶21 Come si vede qui alcuna volta L’affetto nella vista, s’elio è tanto,

Che da lui sia tutta l’anima tolta; [p. 338 modifica]328

paradiso

Così nel fiamnìeggiar del fulgor santo, A ch’ io mi volsi, conobbi la Voglia In lui di ragionarmi ancora alquanto. 27 E cominciò: in questa quinta soglia Dell’albero che vive della cima; E frutta sempre, e mai non perde foglia, 30 Spiriti son beati, che giù, prima Che venissero al Ciel, fur di gran voce, Sì ch’ogni Musa ne sarebbe opima. 33 Però mira nei corni della Croce: Quel ch’io or nomerò lì farà l’alto, Che fa in nube il SUO fuoco veloce. 36 lo vidi per la Croce un lume tratto Dal nomar losuè, come egli feo: Nè mi fu noto il dir prima che il fatto. E al nome dell’alto Maccabeo Vidi moversi un altro roleando; E letizia era ferza dcl paleo. 42 Così per Carlo Magno e per Orlando Due ne seguì lo mio attento sguardo, Come occhio segue suo falcon volando. Poscia trasse Guiglielmo, e Rinoardo, E il Duca Gottifredi la mia vista Per quella Croce, e Roberto Guiscardo. 48 lndi tra l’altre luci mota e mista Mostrommi l’alma che m’avea parlato, Quale era tra i cantor del Cielo artista. lo mi rivolsi dal mio destro lato, Per vedere in Beatrice il mio dovere O per parole, o per atto segnato; 54 E vidi le sue luci tanto mere, [p. 339 modifica]CANTo XVIII. Tanto giocoiìde, che la sua sembianza Vinceva gli altri, e l’ultimo solere. E conie, per sentir più diletianza, Bene operando l’uorn di giorno in giorno 5’ accorge che la sua virtute avanza; 60 Sì m’accorsi io, che il mio girare intorno Col Cielo insieme avea cresciuto l’arco, Veggendo quel miracolo più adorno. (i3 E quale è il trasmutare in piccol varco Di tempo in bianca donna, quando il volto Suo si discarchi di vergogna il carco; 66 Tal fu negli occhi miei, quando fui volto, Per lo candor della temprata stella Sesta, che dentro a sè m’avea raccolto. 69 lo vidi in quella Giovial facella Lo sfavillar dell’amor che lì era, Segnare agli occhi miei nostra favella. 72 E come augelli surti di riviera, Quasi congratulando a br pasture, Fanno di sè or tonda, or lunga schiera; Th Sì dentro ai lumi sante creature Volitando cantavano, e faciensi Or D, or I, or L, in sue figure. 78 Prima cantando a sua nota moviensi: Poi, diventando l’un di questi segni, Un poco s’arrestavano e taciensi. 81 O diva Pegasèa, che gl’ ingegni Fai gloriosi, e rendili longevi, Ed essi teco le cittadi e i regni, Illustrami dite, sì ch’ io rilevi

Le br figure COIfl’ÌO l’ho concetto: [p. 340 modifica]330

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Paia tua possa in questi versi brevi. 87 Mostràrsi dunque in cinque volte sette Vocali e consonanti; e io notai Le parti sì come mi parver dette. 90 Diligitejustitiam, primai Fur verbo e nome di tutto il dipinto, Qui judicatis lerram, fur sezzai. 93 Poscia nell’ M del vocabol quinto Rimasero ordinate si, che Giove Pareva argento lì d’ oro distinto. 96 E vidi scendere altre luci dove Era il colmo dell’ M, e lì quetarsi Cantando, credo, il ben che a sè le niove. 99 Poi, come nel percuoter de’ ciocchi arsi Surgono innumerabili faville, Onde gli stolti sogliono agurarsi, 102 Risurger parver quindi piu di mille Luci, e salir, qual assai e qua! poco, Sì come il Sol che l’accende, sortille; l0l E quietata ciascuna in suo loco, La testa e il collo d’un’aquila vidi Rappresentare a quel distinto foco. los Quei, che dipinge lì, non ha chi il guidi, Ma esso guida, e da lui si rammenta Quella virtù che è forma per li nidi. I ti L’altra beatitudo, che contenta Pareva in prima d’ingigliarsi all’ emme, Con poco moto seguitò la imprenta. 11.4 O dolce stella, quali e quante gemme Mi dimostraron che nostra giustizia

Effetto sia del Ciel che tu ingemme! 117 [p. 341 modifica]

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XVIII. 331

Per ch’io prego la Mente, in che s’inizia Tuo moto e tua virtute, che rimiri Onde esce il fumo che il tuo raggio vizia; 120 Sì che un’ altra fiata ornai s’adiri Del comperare e vender dentro al tempio, Che si murò di segni e di martìri. 123 O milizia del Ciel, cui io contemplo, Adora per coloi’ che sono in terra Tutti sviati dietro al malo esempio. 126 Già si solea con le spade far guerra; Ma or si fa togliendo or qui or quivi Lo pan che il pio Padre a nessun serra: 129 Ma tu, che sol per cancellare scrivi, Pensa che Pietro e Paolo, che moriro Per la vigna che guasti, ancor son vivi. Ben puoi tu dire: io ho fermo il desiro Sì a colui che volle viver solo, E che per salLi fu tratto a martiro, Ch’io non conosco il Pescator, nè Polo. 136 COMMENTO DI BENVENUTO In quattro parti dividesi il canto. Nella prima, Beatrice corregge il Poeta. Nella seconda, Cacciaguida palesa gli spiriti famosi della sfera. Nella terza, ascende ilPoeta al sesto cielo di Giove. Nella quarta, il Poeta sgrida i Pastori rispetio al regime secolare. Quello Spirito beato Cacciaguida gia si godea solo del suo verbo si compiaceva delle cose che gli andavano per il pensiero elio gustava lo mio concetto temprando I dolce con i acerbo perchè insieme a cose gloriose e liete aveva udito

1’ acerbo valicinio dell’ esilio, e quella donna che a Dio mi [p. 342 modifica]33

paradiso

menava Beatrice, o la teologia che conduce gli uomini a Dio disse mi disse muta pensier cangia pensiero: cosi mostra Dante che pensava alla vendetta de’ suoi nemici pensa eh io sono presso a Colui che ogni torto disgrava pensa che io sono presso a Dio che dice a me la vendetta ed io retribuirò — io mi rivolsi a I amoroso sono dcl mio conforto in i rivolsi al suono di quelle amorose parole che mi confortavano delle avversità minacciate e qual amor io allor vidi negli occhi santi qui i abbandono e q4anto amore io vidi allora ne’di lei occhi lascio di dirlo, non perche io pur del mio parlar diffidi ma per la mente che non po redire supra si tanto s altri non la guida non solamente perchè io disperi di irovar parole a ciò efficaci, ma per cagione ezianclio della memoria che non può rappresentare convenientemente 1’ immagine veduta, se non è aiutata dalla grazia celeste: tanto poss io di quel pinido ridire soltanto posso io dire di quel momento che ‘iinirando lei che mirandola libero fu lo mio affecio da ogni altro desire ossia io non ebbi più nulla a desiderare. Finche I piacere eterno che dietro ragiava in Beatrice finché il divino lume che direttamente raggiava ìn Beatrice del bel viso mi contentava col secondo aspecto vincendo inc con lume dun sorrixo del bel viso di lei mi contentava col secondario venire agli occhi miei, con un sorriso distogliendomi da quella beata contemplazione èlla mi disse. — L’ uomo non può immediatamente vedere Iddio, ma solo per mezzo di Beatrice, come l’uomo vede il sole per mezzo di uno specchio che lo rifletta. volgite ci ascolta ‘volgiti al tuo antico parente, ed ascoltalo che non pur ne miei ochi e Paradiso che il Paradiso non è negli occhi miei. io conobbi la voglia in lui di ragionarmi ancora alquanto mi accorsi che Cacciaguida

aveva ancora volontà di parla rimmi nel /kunmeygiar del folgore [p. 343 modifica]

canto
XVIII 555

saneto nello scintillar della luce di che esso vestivasi a cui mi volsial quale mi volsi per comando d Beatrice cosi come laf(cclv si vede qui alcuna volta nella vista s elio ce tanto che d4 lui sia tolta tutta i anima anche nel mondo qualche volta si conosce dall’esterno l’affetto che occupa tutta l’anima. Diffatto vediamo I’ uomo per eccessivo gaudio tremare, per forte timore impallidire, per vergogna mostrare vivo rossore nel volto; così Dante dalla favilla della luce di Cacciaguida conobbe il di lui desiderio e I comintio —. spiriti beati son in questa quinta soglia e cominciò a dire: vi sono spiriti beati in questa quinta sfera o pianeta di Marte de lalbero che vive de la cima e frueta sempre e mai non perde foglia del quinto grado del Paradiso, o dell’ albero che fiorisce, sempre lieto e beato, e che non avrà mai fine. Dante metaforicamente chiama albero la quinta sfera che quali spiriti fuordi gran voce giu furono di gran norma e fama nel mondo prima che venisser al cielo a cogliere il premio del loro valore si che ogniMusa ne sarebbeopima sicché potrebbero stancare le Muse per encomi arli. peio mira nei corni de la Croce guarda però nella parte superiore della croce; quell’o che io nomaro fara li I acto che fa in nube il suo foglio veloce qualunque spirito verrà da me nominato, getterà uno splendore corusco come folgore che scoppia da nube. Gli spiriti stessi furono di coraggio e valore ardentissimi, e quello splendore scintillante che getteranno al nominarli figurerà la loro gloria. Morto Mosè, gli successe Giosuè a condurre il popolo di Dio, ed ebbe la terra promessa. un lume io vidi traclo per la croce del nomar losue com l si (cv io vidi un lume sfavillar per la croce al momento che fu pronunciato Giosué ne mi fu noto pria il dicer che I faelo ed appena si pronunciava quel nome, vidi quel lume. Dante immaginò che ogni spirito, noDigitized by Google [p. 344 modifica]334 PARADiSO minato che fosse, gettasse lume, per significare la carità e gloria, che conosciute danno splendore. al nome de I alto Machabeo Giuda Maccabeo combattè con valore alla difesa del tempio, e nel giorno in cui cadde, aveva prima ucciso piiìdi mille nemici vidi rnoversi un altro rolando vidi moversi altro lume in cerchio e letizia era ferza del paleo e la letizia facea girare a rota quello spirito, come la sferza fa girare il palco. — Paleo è un pezzetto di legno che serve al trastullo de’ fanciulli in Firenze: nella parte superiore largo e piano, nell’ inferiore acuto, ma tutto tondo. I fanciulli con una cordicella fermata all’ estremità di una verga, come una frusta, percuotono il palco dopo averlo posto in giro ed in moto, e quanto seguitano a percuoterlo, altrettanto seguita la circolazione del palco. La letizia degli spiriti opera come la cordicella nel paleo. Di Carlo Magno si disse nel VI del Paradiso come combattè e vinse Desiderio re de’ longobardi infesto alla Chiesa. Ricuperò anche la Spagna dalle mani de’saraceni, se vogliasi credere ad Alcuino e Turpino. Molte fDvole però lo riguardano. lo mio sguardo attento due ne’ segui cosi attentamente osservai due così sfavillare come Giosuè e Giuda per Carlo Magno e per Orlando quest’ ultimo figlio del conte Melone, e della sorella di Carlo fu uno dei dodici Paladini creati da Carlo in Francia, e che morì combattendo per la fede in Ispagna Com occhio segue suo falcon volando come 1’ occhio attentamente tien dietro al volo del falcorie. Poscia trasse per quella croce la mia vista poscia per quella croce trassero il mio sguardo Guielmo che fu conte d’ Oringa in Provenza, figlio del conte di Narbona e Renoardo fortissimo capitano che combattè per la fede contro de’saracciii, cognato del primo e I duca Gotifredo qnesli fu creato [p. 345 modifica]CASTO XVIII. 33S re di Terra Santa riacquistata, ma non volle mai essere incoronato per rispetto all’ incoronazione di spini di Gesù Cristo. Dopo di lui regnò in Gerusalemme Baldòvino di lui fratello, il quale conquistò alla Chiesa gran parte dell’Asia e Roberto Guiscardodi questo si è detto quanto basta nell’inferno: ben- clic tardi fuarnicoedifensoredeila Chiesa,e molto lasoccorse. indi fra I altre luci mota e mista mostrommi Salma che mi avea parlato qual era tra i cantor del cielo artista indi l’anima splendiente di Cacciaguida che fin allora mi aveva parlato, mossasi e riunitasi alle sue compagne, mi fece conoscere quale artista fosse tra i cantori dei cielo, poichè ricominciò a cantare. Alcuni ignorantemcnte sostengono che Dante in quest’ ultimo testo volesse allutiere a David, ch’ è posto invece nella sfera di Giove. lo mi voLti dal mio destro lato per vedere in Beatrice il mio dover io mi volsi a Beatrice che stavami alla destra per sapere quel che fare dovessi, o per parlar o per acio distinto o colla voce o col gesto; e vidi le sue luci tanto mere e vidi i suoi occhi tanto puri e sereni tanto jocunde tanto lieti e giocondi che la sua sembianza vincea gli altri e luitimo solere che la giocond ità superava il solito giubilo. e si in accorsi io che I mio girare intorno col cielo insiem avea cresciuto I arco ed in tal modo mi accorsi che girando col cielo in circolo era passato in altra più ampia sfera, in Giove, sesto cielo veggendo quel miracolo piu adorno veggendo il pianeta di Giove più ornato di Marte, con gemme più preziose, re e principi, ovvero si accorse di salire più in alto vedendo Beatrice farsi più lucida e spiendiente. comlom suecorge che la sua virtute avanza come s’accorge l’uomo di giorno in giorno che fa progressi per sentii’ piu dilettanza ben operando sentendo maggior compiacenza (lei retto tipeDigitized

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rare; e I trasmutar fu tale ne li ochi miei e Io mia traslazione fu tale per me qual donna imbianca in piccol varco di tempo come la donna che in un momento divien pallida quando il volto suo discarchi il carcho di vergogna deponga il rossore di verecondia. tal fu negli occhi miei e fu tale la impressione de’ miei occhi quando fui volto per lo candore de la temperata stella sesta quando vidi lo splendore bianco e puro del sesto cielo di Giove, pianeta temperato che dentro a se rn havea riccolto dentro cui mi trovava. In tal pianeta sono le anime di coloro che giustamente ressero e governarono gi’ imperi. Io vidi in quella facella joviale nello splendido pianeta di Giove lo sfavillar de lamor che li era i diversi piriLi lucenti che ivi si trovavano signar agli occhi miei nostra favella rappresentare a’ miei occhi lettere o caratteri italici. che creature sancte che le anime de’ santi regnanti volitando volando in vari modi cantavano dentro ai lumi di cui eran vestiti e facean se e faceano di sè stessi le lettere or D or I or L. in sua figura figuravano atteggiandosi in vari modi le dette lettere, e risultavano le parole diligite justitiam qui judicatis terram amate la giustizia, o voi regnanti della terra si come auselli surti di rivera come gli uccelli che sorgono dal palude quasi congratulando a br pasture quasi in espressione di letizia pci pascoli trovati fanno di se or lunga or tonda schiera formano fila or lunga, or tonda, a guisa di lettere, secondo che Lucano afferma delle grue; poi cantando a sua nota movense accompagnavano al canto il danzare, e così le parole dette cantando, scrivevano volando, figuraadosi come le lettere componenti le stesse parole del canto. poi diventando bun di questi signi poi figurata una lettera

s arreslavan un poco fermavano il moto e taceasi ed il canto. [p. 347 modifica]

canto
xviii. 337

Dante quasi sgomentato dal nuovo e difficile argomento invoca l’aiuto superno, com’ è costume de’ poeti. Egli fece altrettanto al principio e fine della cantica dell’ Inferno, al principioe fine della cantica del Purgatorio,al principiodella cantica del Paradiso, ed ora verso la fine. La invocazione ègenerica chiamando la diva Pegasèa così detta dal cavallo Pegaso, che fece scaturire un fonte sul parnaso colla percossa del piede. Perseo figlio di Giove vinse Medusa, e troncatole il capo, dal sangue che ne sgorgò, nacque il cavallo alato Pegaso. Allegoricamente Perseo è Cristo, Pegaso la fama. o diva Pegasea o divina Musa che fai gloriosi gi ingegni e rendeli longevi che dài gloria agl’ingegni per lunga età e per secoli et essi le ciitadi e li regni e gl’ ingegni eterna no la fama delle città e de’ regni: Troia, Roma, Assiria, Grecia sei sanno iUustrami di te illumina l’intelletto mio si eh io rilevi rappresenti le br /1- gure le figure di dette lettere eom io I o concepte come le ho concepite in mente mia: tua possa paia in questi versi brevi fammi grazia di potere chiarire il significato di esse in pochi versi. L’orazione cantata da detti spiriti era composta dktrenLacinque lettere tra vocali e consonanti septe vocali e consonan ti mostrarsi dunque in cinque volte cinque volte moltiplicando sette avremo il numero trentacinque, e tréntacinque lettere compongono 1’ orazione. Le lettere altre sono vocali, altre consonanti: cinque vocali, così dette perché danno suono da sè, consonanti le altre perché suonano colle altre et io notai le parte distinsi ad una ad una le lettere si come parver diete secondo che si cantavano. Le prime due parole diligite juslitiam — fuor verbo e nome pri.. mai le prime nome e verbo, diligite amate questa pa. rola, che felicita l’uomo, e verbo justitiam nome che feB.4M

BALDI — VoI. 3. [p. 348 modifica]338

paradiso

licita il mondo qui judicatis terram voi giudici del mondo fur sezzai diLuito il dipinto furono gli ultimi vocaboli di quel singolare dipinto. L’orazione è nel libro della Sapienzacap. I. Sant’Agostinodimanda: cosa sono i regni senza giustizia? Poscia nel M del vocabol quinto rimasero ordinate p0- scia nella lettera M di terra M ch’ è la quinia parola quelle anime lucenti rimasero ordinate si che love pareva argento li d oro distincto così che la stella di Giove dov’ era 1’ M pareva argento fregiato in oro. Le anime poi formanti le lettere di quell’ orazione sono di sei illustri regnanti che saranno descritti nel canto seguente. e vidi altre luci scender dov era I colmo del M e li quietarsi e vidi altre anime splendienti scendere dalla croce e posa rsi sul colmo dell’ M cantando credo il ben che se le move lodando la divina giustizia che le volge a contemplazione del bene che fecero in terra. poi piudi mille parver resurger quindi poi più di mille anime parvero sorgere dall’M in cui si erano poste esalir quale assai qual poco e andare in su poco o molto secondo il grado di gloria si come I sol che I accende sortille come Iddio diè loro in sorte (li potere più o meno elevarsi come innumerevoli faville sorgono nel percuotere di ciocchi arsi come sorgono moltissime faville quando si percuote un tizzone acceso onde li stolti sogliono augurarsi è costume d’ italia che nell’ inverno i fanciulli, stando di sera al fuoco, percuotano gli accesi tizzoni, e mentre si alzano le faville essi facciano i’ augurio dicendo: — Tante città, tanti castelli, tanti agnelli, tanti porcelli ! — Poi quietate ciascuna in stzo loco poi fermata ciascun’ anima lucente al luogo adatto vidi rappresentare la testa e £ collo di un aquila a quel distincto focho poi vidi che quelle

anime così collocate rappresentavano la testa ed il collo di un’ [p. 349 modifica]

canto
XVIII. 339

aquila. Con ciò Dante vuoi significare che i regni tutti del mondo dipendono dal romano, nel quale è primo pregio la giustizia, come le diverse membra del corpo umano dipendono dal capo. L’aquila è l’insegna dell’impero romano, come diffusamente si disse nel VI canto: quel che dipingi qui non ha chi I guidi quel che dipingi in questo luogo non è guidato da alcuno ma esso guida e quella virtu che e forma he L’universo aDiofa somigliante si rammenta da lui da quel pittore eterno sull’esempio de’ nostri pittori sull’altrui esemplare, anzi dallo stesso esemplare la natura prende qualunque cosa fa. L altra beatitudo che contenta pareva d ingigliarsi a i emme l’altra schiera degli spiriti beati, prima quietata nel colmo dcli’ M che pareva contenta d’ ivi formarsi quasi una corona di gigli con pocho moto seguito la irnprenta facendo poco movimento, compiè la figura dell’ aquila, o dolce stella o propizio pianeta di Giove che gli astronomi chiamano fortuna maggiore quali e quante gemme mi dimostraro che nostra justitia si ha eft’ecto del cielo che tu ingemmi quali e quante anime splendenti mi fecero conoscere che la giustizia della terra sia l’effetto dell’ influsso del pianeta che tu adorni. perch io prego la mente in che s initia tuo moto e tua virtute laonde io prego Dio, nel quale ha origine il tuo moto ed influsso che t’imiri ond esce il fumo che tuo raglo vitia che palesi donde viene la nebbia che oscura il tuo raggio; donde derivi l’avarizia che offusca la virtù. E qui il Poeta invoca l’ira divina sopra chi abusa delle sacre cose, perché li flagelli come quando scacciò i negozianti dal tempio si che un altra fiata ornai si adiri del comperare e vendere dentro al tempio chesi muro disangue e di martiri in modo che Cristo il quale flagellò coloro che facevano mercato nel tempio, si adiri in’ altra volta contro chi rinnova questo mercato nella [p. 350 modifica]340 pniso sua Chiesa edificata COI) miracoli, e col sangue tle’inarliri. O militia del ciel cui io contemplo o chiesa militante che io scorgo nel pianeta di Giove adora per coloro che sono in terra tutti sviati dreto al mal exemplo prega pei miseri mortali che vanno fuor di strada sull’ esempio de’ maggiori. E vediamo infatti in ogni dove alcuni degli addetti alla Chiesa passare la vita fra le delizie, ed in cerca di ricchezze, di prebende, di dignità, incapaci a manovrare il remo della nave di san Pietro. E costoro conobbero il gius umano e divino, l’antico e nuovo Testamento. Quando gli apostoli sprezzarono i beni del mondo, e furono santamente poveri fecero infiniti proseliti a Cristo, incontrando mali minaccie, tormenti e morti. Ma ora si fanno proseliti a Ltitt’ altro fine lontano dall’ imitazione di Cristo. gia sisolea con le spade fare guerra come al tempo degli antichi romani ma hor si fa togliendo or qui horquivi lo pan che I pio padre a nessuno serra ma ora si fa guerra perfino con rninaccie q proibizioni togliendo ai fedeli il pane, che Dio misericordioso flOi) nega ad alcuno; ma tu che sol per cancellare serivi pensa che Pietro e Paulo che moriron per la vigna che guasti ancor son vivi rifletti che san Pietro e san Paolo, che morirono per la fede di Cristo, possono ancora castigarti dal Cielo in cui vivono beati. Ben puoi tu dire qui Dante morde I’ avarizia di costoro, perché fa loro dire: — Noi siamo continuamente seguaci di colui che volle viver solo, e che per ballo di una meretrice fu tratto al martirio; sicchè non temiamo nè san Pietro, nè sai) Paolo — Ed alcuni pazzi vogliono tali espressioni allusive al diavolo scacciato dal Paradiso; ma il diavolo non volle vivere solo invece farsi uguale a Dio, ed ebbe perciò molti cornpagoi nel cielo, come ne ha nell’ Inferno. Altri vogliono che Dante alluda a Simon Mago, che mentre si trasportava dai deDigitized

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XVIII.

moni fu fracassato nella caduta, ma anche questi HOfl volle viver solo, ma sibbene coi demoni, e con Nerone peggiore di essi. Diversi riferiscono le parole a Sardanapalo re degli assiri,che fu tutto delizie,eflnalmente si precipitò nei fuoco; ma Sardanapalo ben lungi dal voler viver solo, si circondò di una turba di meretrici. Finalmente molti acutamente le interpretarono nel modo seguente: —-lo amo la vita contemplativa di saii Giovanni Battista, e non curo la vita attiva di san Pietro e san Paolo — ma Dante in questo luogo vieva fare un rimprovero, e non poteva quindi mettere in bocca ai simoniaci tale risposta, che non sarebbe degna di rimprovero come non lo è la vita di contemplazione che presceglierebbero. Dirai quindi che il Poeta allude ai fìorino, in cui è coniata la effigie di san Giovanni Battista, ed allora vuoi dire il testo io ho fermo il disiro si a colui che volle vive,’ solo e che per salto fu tratto a martiri eh’ io non conosco ilpescalor ne Polo. Ho fermo e costante volere di acquistare formi, e non conosco nè Pietro nè Paolo i quali sprezzarono i beni del mondo. Dante aveva usato di questo epigramma, quando imprecando contro Firenze disse altrettanto. San Giovanni fu decapitato in premio del leggiadro danzare della figlia di Erodiade. Visse nella solitudine del deserto. [p. 352 modifica]CANTo XIX. TKITO NODIHr4() Pa rea dinanzi a me con I’ ale aperte La bella image, che nel dolce frui Liete faceva l’anime conset’te. Parea ciascuna rubinetto, in cui Raggio di Sole ardesse sì acceso, Che ne’ miei occhi rifrangesse lui. 6 E quel, che mi convien ritrar testeso, Non portò voce mai, nè scrisse inchiostro, Nè fu per fantasia giammai compreso; Ch’io vidi, ed anche udii parlar lo rostro, E sonar nella voce e Io e Mio, Quando era nel concetto Noi e Nostro. 12 E cominciò: per esser giusto e pio Son io qui esaltato a quella gloria, Che non si lascia vincere a desio: E in terra lasciai la mia memoria Sì fatta, che le genti lì malvage Commendan lei, ma non seguon la storia. IS Così un sol calor di molte brage Si fa sentir, come di molti amori Usciva solo un suon di quella Image; 21 Onde io appresso: o perpetui fiori Dell’ eterna letizia, che pur uno Parer mi fate tutti i vostri odori, 24 [p. 353 modifica]CA%TO XIX. 343 Solvetemi, spirando, il gran digiuno, Che lungamente m’ha tenuto in fame, Non trovandoli in terra cibo alcuno. 27 Ben so io che, se in Cielo altro reame La divina giustizia fa suo specchio, IL vostro non l’apprende con velame. Sapete come attento io in’ apparecchio Ad ascoltar; sapete quale è quello Dubbio, che m’è digiun cotanto vecchio. 53 Quasi falcon che uscendo del cappello, Move la testa, e con l’ale s’applaude, Voglia mostrando, e facendosi bello; 56 Vidi io farsi quel segno, che di lande Della divina grazia era contesto, Con canti, quai si sa chi lassù gaude. 59 Poi cominciò: colui, che volse il sesto Allo estremo del mondo, e dentro a esso Distinse tanto occulto e manifesto, 42 Non potèo suo valor sì fare impresso In tutto l’Universo, che il suo Verbo Non rimanesse in infinito eccesso. E ciò fa certo, che il primo superbo, Che fu la somma d’ogni creatura, Per non aspettar lume, cadde acerbo. 48 E quinci appar ch’ ogni mjnor natura È corto ricettacolo a quel bene, Che non ha fine, e sè in sè misura. Dunque nostra veduta, che conviene Essere alcun de’raggi della Mente, Di che tutte le cose son ripiene,

Non può di sua natura esser possente [p. 354 modifica]

paradiso

Tanto, che Il suo principio non discerna Molto di là, da quel ch’cgii è, parvente. Perè nella giustizia sempiterna La vista che riceve il vostro mondo, Come occhio per lo mare, entro s’interna; 60 Chè, benché dalla proda veggia il fondo, In pelago noi vede, e nondimeno Egli è, ma cela lui l’esser profondo. 63 Lume non è, se non vien dai sereno. Che non si turba mai, anzi è tenèbra, O ombra della carne, o suo veleno. 66 Assai t’è mo aperta Iaiatèbra, Che t’ascondeva la giustizia viva, Di che facèi quistion colanto crebra. Chè tu dicevi: un uoin nasce alla riva Dell’indo, e quivi non è chi ragioni Di Cristo, nè chi legga, nè chi scriva; 7’2 E tutti suoi voleri e atti buoni Sono, quanto ragione umana vede, Senza peccato in vita o in sermoni. 75 Muore non battezzato e senza fede: Ov’è questa giustizia che il condanna? Ov’è la colpa sua, s’egli non crede? 78 Or tu chi sei, che vuoi sedere a scranna, Per giudicar da lungi mille miglia Con la veduta corta d’una spanna? 81 Certo a colui, che meco s’assottiglia, Se la Scrittura sovra voi non fosse, Da dubitar sarebbe a maraviglia. 84 O terreni animali, o menti grosse, La prima volontà, ch’ è per sè buona,

CÀTO [p. 355 modifica]XiX. Ia sè, eh’ è sommo ben, mai non si mosse. 87’ Cotanto è giusto, quanto a lei consuona: Nullo creato bene a sè la Lira, Ma essa, radiando, lui cagiona. 90 Quale sovr’ esso il nido si rigira, Poi che ha pasciuto la cicogna i tigli, E come quei ch’è pasto la rimira; 93 Cotal si fece, e sì levai li cigli, La benedetta immagine, che l’ali Movea sospinta da tanti consigli. 96 Roteando cantava, e dicea: quali Son le mie note a te, che non le intendi, Tal è il giudicio eterno a voi mortali. 99 Poi si quetaro quei lucenti incendi Dello Spirito Santo ancor nel segno, Che fe’i Romani al mondo reverendi. 102 Esso ricominciò: a questo regno Non salì mai chi non credette in Cristo, Nè pria, nè poi ch’ei si chiavasse al legno. 10S Ma vedi, molti gridan Cristo, Cristo, Che saranno in giudicio assai men prope A lui, che tal che non conobbe Cristo. 108 E tai Cristian dannerà l’Etiòpe, Quando si partiranno i due collegi, L’uno in eterno ricco, e l’altro inòpe. 111 Che potran dir li Persi ai vostri Regi, Come ei vedranno quel volume aperto, Nel qual si scrivon tutti suoi dispregi? 114 Lì si vedrà tra 1’ opere d’ Alberto Quella che tosto moverà la penna,

Per che il regno di Praga fia deserto. 117 [p. 356 modifica]

paradiso

Lì si vedrà il duol, che sopra Senna induce, falseggiando la moneta, Quei che morrà di colpo di cotenna. 120 Lì si vedrà la superbia che asseta, Che fa lo Scotto e I’ inghilese folle Sì, che tion può soffrir dentro a sua mela. 123 Vedrassi la lussuria e il viver molle Di quel di Spagna, e di quel di Boemine, Che mai valor non conobbe, nè volle. 126 Vedrassi al Ciotto di Gerusalemme Segnata con un I la sua bontate, Quando il contrario segnerà un emme. 129 Vedrassi l’avarizia e la viltate Di quel che guarda l’isola del foco, Dove Anchise finì la lunga etate: 132 E a dare ad intender quanto è poco, La sua scrittura fien lettere mozze, Che noteranno molto in parvo loco. 13 E parranno a ciascun l’opere sozze Del barba e del fratel, che tanto egregia Nazione e due corone han fatto bozze. 13S E quel di Portogallo, e di Norvegia Lì si conosceranno, e quel di Rascia, Che mal ha visto il conio di Vinegia. O beata Ungheria, se non si lascia Più malmenare! e beata Navarra, Se s’ armasse del monte che la fascia! I U E creder dee ciascun, che già, per arra Di questo, Nicosia e Famagosta Per la br bestia si lamenti e garra,

Che dal fianco dell’altre non si scosta. i,S [p. 357 modifica]

canto
XIX. 347

COMM!NTO Dl BENVENUTO Parla l’aquila del canto precedente. Si divide il canto in quattro parti. Nella prima, niodo inaudito di discorrere dell’ aquila. Nella seconda, ricerca se possa salvarsi senza battesimo chi esercitò in vita tutte le virtù. Nella terza, risposta a detta dimanda. Nella quarta, il Poeta sgrida i re cristiani del tempo suo. La bella image dell’aquila, sublime uccello, segno di vittoria e trionfo che qual aquila le anime conserte le anime disposte ed unite nel figurarla facea lete nel dolce frui metteva nel dolce godimento della visione di Dio parea dinanzi a me con I ali aperte mi si mostrava coli’ ali aperte in segno di parlarmi. parea ciascuna di quelle anime rubinetto piccola gemma preziosa, rossa di colore in cui raggio di sole ardesse si acceso in cui ferisse ardente raggio di sole che rifrangesse lui ne miei occhi che dai rubinetto si rifrangesse negli occhi miei. — 11 raggio di gloria mandato dai sole di giustizia riflette la luce da questi spiriti in chi li osserva, e voce non porto mai, ne inchiostro scripse e non fu mai nè detto nè scritto quel che mi convien intrar testeso ciò che debbo descrivere in questo punto; ne fu gia mai compreso per fantasia nè poeta alcuno giammai immaginò tal cosa eh io vidi el ancho udi parlar lo rostro imperocchè vidi ed ascoltai parlare il becco dell’aquila e sonar ne la voce Io e Mio qtando era nel concepto Noi e Nostro e neila voce che usci- va da quel rostro udii Io e Mio, come se fosser voci solamente dell’ aquila, ma il concetto era Noi e Nostro, sicché la voce era una, ma il concetto era di molti. e comintio ed incominciò: io son exaltato a questa gloria io sono elevata a questa

gloria che non si lascia vincere a disio gloria la maggiore [p. 358 modifica]348

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che desiderare si possa, ovvero che appaga ogni possibile desiderio per esser justo e pio per avere usata giustizia non disgiunta dalla clemenza. Era dunque l’interno concetto dell’aquila — noi fummo esaltati a questa gloria, perché siamo stati nel mondo e giusti e pii, — e sino alla fine del discorso Len ne sempre, dirò così, internamente il plurale, esternamente il singolare. EI in terra lasciai la mia memoria si facta e lasciai nel mondo di mia giustizia e clemenza memoria tale che le genti si malvagie che gli uomini malvagi conamendan lei la lodano e la innalzano colle parole ma non seguon I istoria aia non seguono gli esempi. Molti re infatti alzano a ciclo Traiano, Camillo, Scipione, Catone, Tito, Antonino, Pio, ed iiivecedi seguirli, corrono dietro od a Tiberio od a Nerone. un sol calore di molte bragie si fa sentir così molte bragie fanno sentire un solo calore nel modo come di molti amori usciva sol un suon di quella Image che dai molti affetti di quegli spiriti figura nti I’ aquil;I usciva una voce sola ond io appreso ond’ io dimandai. O perpetui fiori de I eterna leticia o fiori che spandeste nella mortale, e spargete odori nella vita eterna che pur uno parer mi faci tutti i vostri odori che con uno solo mi fate SCI1- tire tutti i vostri odori: metaforicamente i vostri canti, avendo rispetto alla metafora fiori — solveteme , spirando il gran digiuno che lungamente m a tenuto in fame ponete lime col vo stro parlare alla mia ignoranza che lungamente mi ha tenuto in desiderio non trovandosi in terra cibo alcuno non trovando io in terra cibo alcuno conveniente a tale digiuno, ossia ragione che mi venga tolta tale ignoranza. Così Dante esprime che il dubbio non poteva sciogliersi colla sola ragione naturale.

ben so io che la divina fusticia fa altro reame suo [p. 359 modifica]

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XIX. 5i9

specchio in celo che I vostro non I apprende con velame se in cielo la giustizia divina si mostra ad alcuni beati regnanti, io ben so che l’ordine vostro non vede sotto velo la delta giustizia; ovvero voi avete tal grado di beatitudine, che vedete in Dio la vera giustizia, clic solo si può vedere da un beato. Dante alludea Traiano ed a Rifeo: sapite e allento io mapparecchio ad ascoltare sapete quale ce quel dubio che m e digiuno cotanto vecchio voi sapete come ascolterò attenta mentela risposta a quel dubbio, che mi ha da tanto tempo tenuto in vivissimo desiderio. il dubbio di Dante era. — Come possa con giustizia essere dannato all’inferno colui che, vivendo seeondo le leggi di natura, nè potendo essere a giorno della fede di Cristo, muoia senza battesimo. Vid io quei signo eh era contesto di laude de la divina gratia vidi quell’ aquila formata dall’ unione di quegli spiriti laudanti la giustizia e clemenza divina col canto farsi moversi cum canti quai si sa chi lassu gode fra i canti che non possono guslarsi che dai bi”iIi qual il Falcon eh uscendo del capello move la testa e con 1 ali si plaude voglia mostrando e facendosi bello come fa leone, cui il cacciatore leva il cappello, e move la testa, e si rallegra, ed allargando le ali niostra desiderio di volo e di prèda, facendosi più bello e pomposo. Similitudine bellissima! poi comintio poi l’aquila cominciò. Colui che volse ilsesto a extremo del mundo e dentro a esso distinse tanto occulto e manifesto Iddiò che formò il mondo (sesto o sesta è il compasso) e dentro ad esso mondo ordinò tante cose a noi occulte, e tantO manifeste non poleo suo voler si far impresso tutto I universo non potea al momento (Iella creazione far conoscere nell’ universo il suo sapere, che il suo concetto he I suo verbo non rimanesse in infinito cxDigitized

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paradiso

cesso non rimanesse infinitamenleal di sopra dell’ intellettodi I ogni sua creatura. Non lo poteva Iddio, come non potrebbe fare un altro simile a sè. Creò perfettissimo il primo angelo, e non ostante non arrivò a comprendere il valore divino, se tentò farsi simile a Dio. e cio fa certo e ciò rende certo quanto si è detto che il primo superbo che fu la somma d ogni creatura per non aspectar lume cadde acerbo giacchè avvenne al superbo Lucifero, la prima e più eccellentedi ogni creatura, che per non aspettare il lume della grazia divina cadesse dal cielo prima di essere confermato in grazia; e quinei appare eh’ ogni minor natura e quindi risulta che ogni creatura minore di Dio ee corto receptaculo è incapace di comprendere a quel bene che non ha fine e se in se misura quel bene ch’ è infinito, e ch’è la misura di sè stesso, tutto comprendendo in sè. Dunque nostra veduta che conviene essere akun de raggi de la mentedunque il nostro intelletto,ch’è pur raggiodella mente divina, di che tutte le cose son ripiene qual raggio tutto riempie non po di sua natura esser possente tanto non può di sua natura arrivare lanto in là che non discerna suo principio molto parvente di la, di quel ch egli e che non discerna 1’ intendimento divino sotto apparenza molto discoI sta dal vero. Alcuni vorrebbero attribuire nostra veduta agli spiriti beati, e non può stare, perchè Dante aveva detto non trovare la soluzione del suo dubbio in terra. pero la vista che riceve il vostro mondo s interna, ne la giustitia sempflerna come occhio per lo mar s interna entro però I’ intendimento che voi mortali ricevete da Dio s’ interna per entro la sempiterna giustizia, come 1’ occhio entra per entro il mare che ben- che di la proda veggia il fondo che sebbene dal lido 1’ occhio veda il fondo in pelago noi vede non lo vede però in alto mare e non dimrno ee li ma cela lui i esser pro fundo e nondiDigitized

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XIX. 3Sl

meno anche in alto mare il fondo è, quantunque la profondità all’occhio si nasconda. La infinita sapienza di Dio si paragona al fondo del mare, e l’intelletto, occhio dell’ anima, all’ occhio fisico nostro. Ecco perhè accadono molte cose che ci sembrano dannose edingiuste, eppur sono nella divina sapienza. lume non ce se non vien da sereno non vi è cognizione o lume se non viene da Dio che non si turba mai che mai non si cambia anzi ce tenebra anzi il nostro intelletto lo oscura o umbra de la carne e suo veleno o per illecite passioni o per malizia. E così conclude che senza il lume della fede, per mezzo de’ Sacramenti èimpossibile che alcuno si salvi. Assai t ce mo aperta la latebra che t ascondeva la giusi itia viva quanto basta ti si dissiparono le tenebre che ti nascondevano la giustizia divina di che facevi question cotanto crebra sulla quale tanto spesso movevi dubbio e ricerca che tu dicevi perché tu dicevi un hom nasce a la riva de i Indo nell’estremo oriente. Indo è fiume, dal quale India prende il nome. L’ indiano per la lontananza e difficoltà del cammino può men degli altri sapere della fede di Cristo e qui non ce chi ragiona di Cristo ne chi lega ne chi scriva e nell’ India niuno insegna, niuno predica, niuno scrive sulla venuta, pas sione e risurrezione di Cristo, come fecero i santi dottori, e specialmente sant’ Agostino, che scrisse oltre mille volumi, e cui non basterebbe a leggerli la pitì lunga umana vita: e tutti soi voleri et acti boni sono quanto ragione umana vede sanza peccato in vita o in sermoni e tutte le volontà ed operazioni sia in parole, sia in atti, siano buoni nell’ Indiano secondo la ragione naturale more non baptizato e sanza fede e quell’ indiano muore senza battesimo e senza aver conosciuta la fede di Cristo ov e questa justicia che I condanna?

come si può giustamente condannarlo? or e la colpa sua [p. 362 modifica]32

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s elio ion crede? Come può essere colpevole se gli era impossibile conoscere quello per cui si condannerebbe? Dice pure I’ Apostolo di sè stesso. Merito perdono, perché ignorante mancai. QLIi l’aquila inveisce contro gl’ignoranti presuntuosi, che temerariamer)te azzardano di criticare la giustizia di Dio eccedente le loro forze intellettuali, e che avendo la vista più corta di un palmo azzardano di giudicare di cose lontane le mille miglia. o tu chi se che voi sedereascrannaperjudicare da lungi mille miglia con la veduta corta duna spanna? Chi sei tu presuntuoso ignorante, che vedi quanto è lungo il tuo naso, e pretendi arrivare la profondità della giustizia divina. certo sarebbe da dubitare c meraviglia a colui che 8 assottiglia mecho se la seriptura non fosse sopra voi certo a celui che mi ricerca con sottigliezza, la investigazione sarebbe cagione di dubbio, se la mente umana, limitatissima per sè stessa non avesse nella s. Scrittura mille ragioni di quietarsi alle giuste ed infallibili disposizioni di Dio. Un servo diceva ad altro servo non cercar ragione de1 voler del padrone — e noi diciam comunemente che i signori, che san fare, proibiscono di dimandar ragione di quel che fanno. o terreni animali o menti grosse o animali di terra , ignoranti la prima volunta eh e di se bona da .se eh e sommo bene mai non si mosse Dio prima volonà, in sè stessa buona, mai non si di- parti da sè medesima, e fu sempre a sè medesima uguale cotanto e giusto quanto a lei consuona tanto è giusto quanto più ad essa conforme: nullo creato bene a se la tifa Dio nulla deve alle creature ma essa lui casiona ma essa crea tura viene ridotta all’ essere per sola bontà di Dio. Il vasaio forma il vaso a diversi usi, per balsami, er olii, per lo sterco, per la urina, per le medicine, pei veleni. — La CiceDigitized

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XIX. 33

gna, cibati i figli, vola intorno al nido, quasi per raccogliere gli sguardi riconoscenti de’ figli., e del pari I’ aquila, cibato il lungo digiuno di Dante, si aggirava intorno di lui che la guardava riconoscente la ben dada image 1’ aquila composta da tanti spiriti sapienti che tali moveasospinta da tanti consigli che movea 1’ ali per tante volontà quanti erano gli spiriti che la componevano si fece cotal qual la cicogna si rigira sopr esso il nido poi eh a pasciuti i figli si nìosse come la cicogna, che vola intorno al nido dopo cibati .1 figli ci io si levai le ciglia ed io la guardai, come i figli della cicogna pasciuti guardano la madre come quel che pasto la riinira: quell’ aquila roleando cantava e diceva vola ndomi intorno dicea nel canto il giudicio eterno ce a voi mortali la giustizia divina è tanto a voi mortali nascosta qual son le mie note a te che non lintendi com’ è inintelligibilea te questo mio canto. Poi sequitaron quei lucenti incendi de lo Spirito Sancto. poscia si quietarono quei lucenti incendii dello Spirito Santo, ossia cessarono il movimento ancor nel segno che [ce i romani al mondo reverenti restando tuttora nella forma e figura dell’aquila, insegna del romano impero. esso ricomincio il segno ricominciò chi qualunque non crede in Cristo non saZio mai a qzsto regno chi non è credente non salì e non salirà a questo regno celeste ne pria ne poi che I si chiavasse a legno nè prima nè dopo della passione e morte di Cristo in croce. Prima bisognava credere in Dio venturo: dopo in Dio venuto a redimere il genere umano. Tutti quelli che si tolsero al Limbo avevano creduto in Cristo venturo, gli altri salvati dopo, credettero in Cristo venuto, e di questi si parlerà nel canto XXXII. ma vedi molti gridan ‘rj.qto, cristo, molti dicono di credere e gridano altrui la

J.(Il. . 23 [p. 364 modifica]354

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fede di Cristo che saranno in judieio assai men prope che nel giorno del gindizio finale saranno meno vicini a Dio a Lui eh e tal che non cognosce Cristo ch& un indiano sul quale facesti ricerca di salute, o di dannazione. et tai cristian dannera lEtiope quando si partirarano in due collegi I uno in • eterno ricco i altro inope e(1 a sì fatti cristiani sarà cagione • di vergogna l’etiope, quando la s(biera de’giusti sarà sepa• rata dai maledetti da Dio. i’ una beata, I’ altra in eterno duolo che potran dir li Persi ai nostri Regi quando vedranno quel volume aperto nel quale si serivon tutti suoi dispregi qual vituperi non potranno dire i re persiani, che non conobbero il Vangelo ai vostri re cattolici, quando vedranno aperto il • volume, nel quale saranno scritte tutte le costoro vergogne? Per prova I’ aquila chiama ad esame i re cristiani di quel tempo cominciando da Alberto imperatore, del quale Dante tanto disse nel canto VI del Purgatorio li si vedrai vedrai nel gran volume tra I opere d Alberto tra le opere di Alberto • d’ Austria quella che tosto movera la penna che moverà • la penna di Dio a registrarla per che l regno di Praga sia • deserto per la quale il regno di Boemia, la cui capitale è Praga, sarà deserto. Il primo magnifico re della cristianità fu il re di Francia Filifpò detto il bello che commise molte iniquità esposte nel Purgatorio; Ora tocca soltanto la di lui avarizia e morte miseranda li sivedra si vedrà in quel gran volume il duol che sopra Senna induce falseggiando la moneta quei che morra di colpo di cotenna il dolore che cagiona in Parigi Filippo il Bello che morì alla caccia ucciso da un cignale, dopo aver fatta coniare moneta falsa. Si chiama cotenna la cote di detto cignale perchè grossa e setolosa, come così chiamasi anchela testa dell’ uomo quando sia grossa

e pelosa. li si vedra la superbia che assetasi vedrà in quel [p. 365 modifica]

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volume l’avidità superba di regno che fa lo Scoto, e i Inglese foUe che rende folli il re di Scozia, e quel d’inghilterra. Edoardo il temerario fu re, per quel che parmi , di tutte due le Isole, dell’Anglia, più grande, nell’Oceano occidentale, cui è unita la Scozia, si che non puo soffrir dentro asua meta tanto che sdegna i propri confini., miei giorni il re d’ inghil. terra ha invasa la Francia, stringendo il re, e devastando le migliori di lei provincie. vedrassi la lussuria e i viver molle di quel di Spagna et di quel di Boemmedi Alfonso X re di Castiglia, eh’ era stato nominato re de’ roriani, odi Venceslao re di Boemia figlio di Ottachero dt cui si parlò nel canto VII del Purgatorio che mai valor non conobbe ne volle che mai non conobbe, nè volle conoscere virtù, vedrai ai Ciotto dl Jerusalem segnata con un I la sua bontale quando il contrario signera un M. Nel gran libro si vedrà la partita di Ciotto o Zoppo re di Puglia e Gerusalemme, segnata col numero I mentre i vizi Io saran con un M cioè colla cifra di mille. Per ahro alcuni vogliono attribuirgli molta larghezza, sebbene vendesse la propria figlia al marchese d’ Este come si disse nel Purgatorio. , Vedrassi l’av”àritia e la viltade di quel che guarda i I sola del foco si vedrà 1’ animo vile ed avaro di Federigo figliuolo di Pié’ d’ Aragona, che regge la Sicilia, ov’ è il fuoco dell’ Etnae Anchise fini la lunga etate nel qual luogo Enea venendo da Troia perdette Anchise suo vecchio padre che guidava la lunga peregrinazione. Enea, dopo avergli alzato un magnifico tumulo, istitui giuochi solenni, perchè in memoria del padre fossero annualmente celebrati: così Virgilio; et fien littere mozze che noteranno molto in parvo loco a dare o Intender quanto e poco la sua scriPtura,NPer far conoscere quanto fu vile, la scrittura che formerà la storia delle sue oDigitized by Google [p. 366 modifica]356 PARADiSO pere sarà formata di lettere abbreviaLehe per la stessa brevità loro, noteranno la di lui dappocaggine,\e le opere sozze dei Barba e dei [ratei e le opere vergognose ‘dello zio e del fratello di esso Federico, lacopo re di Aragona fratello, e lacopo re di Maiorica zio, che tanto egregia natione e due corone han fatto bozze o bastarde che hanno vituperato tanto egregia nazione e due corone parranno a ciascun si leggeranno da Lutti nel gran volume,e quei di Portogallo e di Norvegia Portogallo uno de’cinqw regni di Spagna: Norvegia regione settentrionale freddissima, dove i giorni sono assai brevi, e d’onde vengono eccellenti falconi si conosceranno li in quel libro per viltà ed avarizia, e qwi di Rascia che male ha visto il conio di VenegiaRascia è parte di Schiavoniii li suo re falsificò i ducati di Venezia. o beata Ungheria se non si lascia pw malmenare — e beata Navarra se s armasse dei monte che la fascia l’Ungheria aveva trono vacante per la morte di Andrea tiglio di Carlo Martello, e quindi dice, se non si lascia malmenare nella scelta di nuovo re malvagio. — Chiama poi beata Navarra allora senza re, quando si cingesse di forti nelle montagne che la circondano, per difendersi validamente da qualunque attacco nemico./\ E c’reder dcc ciascun che gia per arra di questo creder deve ciascuno che per presagio di questo mal governo dì Navarra Nicosia e Famagosta per la br bestia si lamenti e gar• ra l’isola di Cipro in cui trovansi le dette due città molto si lamenta e stride per 1’ uomo bestiale che la regge che dal • fianco de i altre non si scosta il quale non si scompagna dagli alti-i re sopraddetti, e non lascia d’ imitarne la bestialità. Voler descrivere la varietà, sontuosità e lusso delle mense in quell’ isola sarebbe impossibile. Gli uomini temperati allontanino

pertanto gli occhi e le orecchie dai costumi lubrici, e [p. 367 modifica]

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XIX. 37

mereiricii di quell’ isola, che coli’ aiuto di Dio, i genovesi espugnarono,

multarono ed oppressero [p. 368 modifica]

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TESTO MODRRY4O Quando colui che tutto il mondo alluma, Dell’ ernisperio nostro si discende, Che il giorno d’ ogni parte si consuma, 3 Lo Ciel, che sol di lui prima s’accende, Subitamente si rifà parvente Per molte luci in che una risplende. 6 E questo atto del Ciel mi venne a mente, Come il segno del mondo e de’suoi duci Nel benedetto rostro fu Lacente: 9 Però che tutte quelle vive luci, Vie più lucendo, cominciaron canti Da mia memoria labili e caduci. 12 O dolce Amor, che di riso ti ammanti, Quanto parevi ardente in quei favilli, Che aveano spirto sol di pensier santi! 15 Poscia che i cari e lucidi lapilli, Onde io vidi ingemmato il sesto lume, Poser silenzio agli angelici squilli, 18 Udir mi parve un rnormorar di fiume, Che scende chiaro giù di pietra in pietra, Mostrando 1’ ubertà del suo cacume. 21 E come suono al collo della cetra Prende sua forma, e sì come al pertugio Della sampogna vento che penètra; 24

CÀNTO [p. 369 modifica]XX. i rimosso d’aspettare indugiò, Quel mormorar dell’ Aquila salissi Su per lo collo, come fosse bugio. 27 Fecesi voce quivi, e quindi uscissi Per lo suo becco in foriiia di parole, Quali aspettava il core, ove io le scrissi. 30 La parte in me, che vede e pale il Sole Nell’ aquile mortali, incominciomini, Or fisamente riguardar si vuole, 33 Perchè dei fuochi, onde io figura foinnii, Quelli onde l’occhio in testa mi scintilla Di tutti i loro gradi son li Sommi. 36 Colui, che luce in mezzo per ptipilla, Fu il cantor dello Spirito Santo, Che l’arca traslatò di villa in villa: Ora conosce il merLo del suo canto, in quanto effetto fu del suo consiglio, Per lo rimunerar, ch’è altrettanto. Dei cinque, che mi fan cerchio per ciglio, Colui, che più al becco mi s’ accosla, La vedoella consolò del figlio: Ora conosce quanto caro costa Non seguir Cristo, per l’esperienza Di questa dolce vita e dell’opposta. 48 E quei che segue in la circonferenza, Di che ragiono, per l’arco superno, Morte indugiò per vera penitenza: Ora conosce che il giudicio eterno Non si trasmuta, perchè degno preco Fa crastino laggiù dell’ odierno. L’ altro che segue, con le leggi e meco, [p. 370 modifica]360 PARADISO Sotto buona intetizion che fe’ mal frutto, Per cedere al Pastor si fece Greco. Ora conosce come il mal dedutto Dal suo bere operar non gli è nocivo, Avvegna che sia il mondo indi distrutto. 60 E quei che vedi nell’arco declivo, Guiglielmo fu, cui quella terra plora, Che piange Carlo e Federigo vivo. 63 Ora conosca come s’innamora Lo Ciel del giusto rege, e al sembianto Del suo fulgore il fa vedere ancora. 66 Chi crederebbe giù nel mondo errante, Che Rifeo Troiano in questo tondo Fosse la quinta delle luci sante? 6) Ora conosce assai di quel che il mondo Veder non può della divina grazia, Benchè sua vista non discerna il fondo. 72 Qual lodoletta che in aere si spazia Prima cantando, e poi tace contenta Dell’ultima dolcezza che la sazia; 75 Tal mi sembrò l’imago della imprenta Dell’ eterno piacere, al cui disio Ciascuna cosa, quale ella è, diventa. 78 E avvegna eh’ io fossi al dubbiar mio Lì quasi vetro allo color che il veste, Tempo aspettar tacendo non patio; 81 Ma della bocca: che cose son queste? Mi pinse con la forza del suo peso: Perch’io di corruscar vidi gran feste. 8 Poi appresso con 1’ occhio più acceso

Lo benedetto segno mi rispose, [p. 371 modifica]

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Per non tenermi in arnrnirar sospeso: 87 lo veggio che tu credi queste cose, Perch’io le dico, ma non vedi come; Sì che, se son credute, sono ascose. Fai come quei, che la cosa per nome Apprende ben, ma la sua quiditate Veder non puote, s’altri non la prome. 93 Regnum ccelorum violenza paLe Da caldo amore e da viva speranza, Che vince la divina volontate, 96 Non a guisa che l’uomo all’ uom sovranza; Ma vince lei, perchè vuole esser vinta, E vinta vince con sua beninanza. (39 La prima vita del ciglio e la quinta Ti fa maravigliar, perchè ne vedi La region degli Angeli dipinta. t02 Dei corpi suoi non uscir, come credi, Gentili, ma Cristiani in ferma fede, Quel dei passuri, e quel dei passi piedi: 1O Chè I’ una dallo Inferno, u’ non si riede Giammai a buon voler, tornò all’ossa: E ciò di viva speme fu mercede: 108 Di viva speme, che mise sua possa Nei prieghi fatti a Dio per suscitarla, Sì che potesse sua voglia esser mossa. 111 L’anima gloriosa onde si parla, Tornata nella carne in che fu poco, Credette in Lui che poteva aiLitarla; I1 E credendo, s’accese in tanto foco Di vero amor, che, alla morte seconda, Fu degna di venire a questo loco. 117 [p. 372 modifica]362 PARÀDISO L’altra per grazia, che da sì profonda Fontana stilla, che mai creatura Non pinse I’ occhio insino alla prima onda, 120 Tutto suo amor laggiù pose a drittura: Perchè di grazia in grazia Iddio gli aperse L’occhio alla nostra redenzion futura; 123 Onde credette in quella, e non sofferse Da indi il puzzo più del paganesmo; E riprendeane le genti perverse. 126 Quelle tre donne gli fur per battesmo, Che tu vedesti dalla destra ruota, Dinanzi al battezzar più d’un millesmo. 129 O predestinazion, quanto rimota É la radice tua da quegli aspetti, Che la prima cagion non veggion tota! 13 E voi, mortali, tenetevi stretti A giudicar; chè noi, che Dio vedeino, Non conosciamo ancor tutti gli eletti: 135 Ed enne dolce cosi fatto scemo! Perché il ben nostro in questo ben s’affina, Che quel che vuole Iddio e noi volemo. 1Z8 Così da quella immagine divina, Per farmi chiara la mia corta vista, Datd mi fu soave medicina. 141 E come a buon cantor buon citarista Fa seguitar Io guizzo della corda, In che più di piacer lo canto acquista; 144 Sì mentre che parlò, mi si ricorda, Ch’io vidi le due luci benedette, Pur cone batter d’ occhi si concorda,

Con le parole niover le fiaminette. 148 [p. 373 modifica]

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COMMENTO DI BENVENUTO Si divide il cauto in quattro parti. Nella prima, quali anime compongano I’ aquila. Nella seconda, l’aquila che torna a parlare nomina cinque beati lumi, de’ quali si compone il suo occhio. Nella terza, si scioglie un dubbio. Nella quarta, si parla della immensa profondità della divina predestinazione. Come il sole vicino all’ occaso lascia apparire or una, or due, or tre, or molte stelle, così l’aquila col suo tacere aveva lasciato luogo alle anime de’ beati nella figura della croce di mostrarsi e di sfavillare Io Ciel che prima sol $ accende di lui il cielo prima illuminato dal sole mondano, che non ha lume, che da lui subitamente si ri/’a parvente tosto diviene più splendido per altro lume per molte luci in che una risplende per molte stelle, ciascuna delle quali rifletta dal corpo suo i raggi di una sola luce, cioè del sole (ritenevasi che il sole illuminasse le stelle) quando colui il sole che alluma tutto i mondo che illumina tutto il creato si discende dei nostro hemisperio parte dal nostro emisfero ad un altro che il giorno si consuma d ogni parte e si fa notte. Come ogni stella riceve il lume dal sole, così quelle anime lo ricevevono dall’ aquila: volgendo il sole all’ occaso, le stelle in prima nascoste cornpariscono a varie riprese in occidente, e del par mettendosi l’aquila al silenzio, le anime a varie riprese cominciarono a cantare e scintillare e quest acto del ciel mi venne in mente e I’ apparir delle stelle nell’ atto della caduta del sole mi venne in mente come il signo dei mondo e de suoi duci nel benedetto rostro fu tacente quando 1’ aquila, segno dell’ impero mondiale, e degli imperatori, si tacque. pero che tutte quelle vive luci vie piu lucendo cominciaron canti la-

bili e caduchi da mia memoria imperocchè quelle splendide [p. 374 modifica]64

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anime, gettando maggiore splendore cominciarono a cantare con tanta dolcezza, che mi è impossible ritenere e descrivere. O dolce amore che di riso ti amanti o dolce amore di Dio, che ti nascondi sotto quella luce ridente quanto parevi ardente in quelli fiacoli come sembravi ardente in quelle scintillè ed in quel canto che aveano spirto solo di pensiersancu mossi soltanto da santi pensieri. li Poeta ora descrive lo scorrere della voce pci collo dell’ aquila, dicendo che gli sembrò il mormorio di basso fiume che va rompendo le scarse e pure sue onde fra i sassi. Udire mi parve un mormorare di fiume che scende chiaro giu da petra in petra mostrando I uberta dei suo cacume mostrando la copia delle acque che prorompe dalla sua cima. La voce in dolce suono discendeva per l’ampia gola dell’aquila di anima in anima, quale Dante somiglia ai sassi, perchè fermi e costanti nella giustizia ; poscia che i chiari e lucidi lapilli dopo che le lucenti gemme o le risplendenti anime beate ond io vidi ingemmaio il sexto lume che vidi ad ornamento nel pianeta di Giove poser silenzio a li angelici squilli quietarono l’angelico canto: e quel mormorare del aquila rimaso d aspectare indugio e quel mormorio dell’ aquila subitamente salissi per la golgia su per lo collo come fosse buso si vide salire pci collo come se fosse stato bucato cosi ome sono prende sua forma al collo de la cetra nel modo che nei collo della cetra o chitarra il suono si accorda nelle molte corde e si come vento che penetra al pertugio de la sampogna e come il fiato penetra nel foro della zampogna- Quei mormorio fecesi voce qui nel detto collo e quindi uscissi per lo beccho in forma di parole e dal collo uscì pd becco in forma di parole quale aspeclava il cor dov io le scripsi che io ardentemente aspettava di sentire, e che scolpii nel

cuore. [p. 375 modifica]

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li Poeta ora non intende rimproverare, ma invece di glorificare i sovrani che per la retta amministrazione del regno meritarono le lodi umane e le divine, ed or godono della e- terna felicità. incominciommi a dire quell’ aquila — la parte che vede e pate il sole ne I agulie mortali l’occhio delle aquile del mondo or si volo riguardar fissamente in me ora guarda e contempla da che viene in me formato perche di fochi ondio figura fommi perché dei lumi coi quali io mi formo questa figura di aquila, o coi quali in forma d’aquila mi mostro altrui: quelli onde I occhio in testa mi scintilla quei lumi o spiriti splendenti de’ quali 1’ occhio mio è composto son li sommi sono i più illustri, i massimi. colui che luccin mezzo per pupilla dell’ occhio fu il cantor de lo Spirito Sancto David che cantò i salmi mosso dillo Spirito Santo: ed i salmi suoi furono metrici e distinti in versicoli: cantore, perchè que’salmi si cantano con certe norme musicali che larca traslato e di villa in villa l’arca del giuramento, come si disse nel canto X del Purgatorio, dalla casa di Aininadab di Gabaon alla propria città: ora conosce il merito del suo canto in quanto effecto fu del suo consiglio per lo remunerar eh e altre- tanto ora conosce quanto effeLto produsse quel suo canto nel consiglio dell’Eterno col premio che ottenne rispondente al merito suo, ossia conosce la quantità del suo merito dalla quantità del premio che ora gode. Colui di cinque che mi fan cerchio per ciglio quegli dei cinque che mi formano il dintorno dell’ occhio che piu al beccho mi s’ accosta e ch’ è piiì vicino al becco la vedovella consolo del figlio è l’imperatore Traiano che consolò la vedovella pci figlio ucciso, come si disse diffusamente nel Purgatorio canto X. E perché Traiano fu pagano, perciò soggiunge

quanto pericolo corra l’animo non essendo credente nella [p. 376 modifica]366

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fede di Cristo: ora conosce quanto caro costa non seguir Clari- sto per I experientia di questa dolce vita e per I opposita per l’esperienza che ora fa godendo della beaLiLudine del Paradiso e per quella che già fece nell’ Inferno, dove stette cmquecent’ anni, prima che alle preghiere di san Gregorio, per quanto si pensa, fosse liberato. Traiano era stato l’ottimo fra gli Augusti. E quel che segue la circonferentia di che ragiono per l’arco superno e quel che sta nel luogo più alto del cerchio morte indugio per vera penitentia Ezechia che avvisato della morte da un Angelo, proruppe in pianto perché aveva detto nel mezzo de miei 9iorni andro alle porte dell inferno Dio mosso alle di lui lagrime gli concesse una proroga a morire, di quindici anni. Perché poi di primo aspetto sembra che il giudizio di Dio immutabile allora siasi cambiato, soggiunge ora conosce che 1 giudicio eterno non si trasmuta quando degno preco fa crastino la giu de I hodierno ora conosce che gli eterni giudicii di Dio non si trasmutano, quando egli sa che per preghiera a lui accetta, accade domani quello che era predeLto dover oggi accadere. Altrettanto si disse nel Pur. gatorio canto I nel verso che cima di judieio non s avalla. L altro che segue con la legge e meco. Costantino che sanzionò le leggi imperiali, colle quali ridusse tutte le dignità e la sede dell’ impero nel papa, è con me, come fu detto nel VI canto sotto buona intenzione che fece mal frueto con buon fine, che fallì per umana avarizia; per cedere al Pastore per dar luogo al papa si fece greco trasferì la sua dimora a Bisanzio. E perchè secondo Dante la donazione di Costantino alla Chiesa fu la ruina del mondo romano, per non togliere il merito a Costantino della buona intenzione, dice che il catLivo

frutto non fu a lui imputabile, ora conosce come i mal [p. 377 modifica]

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dedueto dai suo bene operare non gli e nocivo avvegnache sia il mondo indi si destrucio ora comprende come non ha fatto danno all’anima sua il male conseguito dal suo retto operare, ossia la trista conseguenza della sua donazione, sebbene per essa sia 1’ impero andato in ruina. Guillelmo o Guglielmo ultimo re di Sicilia fu avo di Costanza, della quale si parlò nel Purgatorio e Paradiso; ottimo re de’ suoi tempi per liberalità, giustizia, clemenza e per ogni altra eroica virtù. Regnò in Sicilia nel 11 4 equel che vedi nel arco declivo e quel che vien dopo nella parte del detto arco che declina, dove comincia a scendere l’arco del ciglio dell’ aquila Gulielmo fu cui quella terra plora che piange Carlo e Federico vivo fu Guglielmo Il detto il buono, cui piange morto quella Sicilia che si duole di veder vivi Carlo lo Zoppo e Federigo d’ Aragona. L’ uno le faceva guerra per farsene signore, l’altro con sua brutta avarizia la travagliava: ora conosce come s innamora in celo di giwto Rege ora conosce quanto nel cielo si ama la regale giustizia et al sembiante del suo fulgore il fa vedere ancora e lo fa conoscere ancora dal suo splendido sembiante. Chi crederebbe giu nel mondo erante chi nel mondo crederebbe che Rifeo Troiano in questo tondo fosse la quinta de le luci sanete? che fosse la quinta luce santa formante l’occhio dell’aquila, Rifeo Troiano? Secondo scrive Virgilio, fu uomo di gran giustizia e cuore per la sua patria. Rifeo, sembra aver avuta grazia speciale da Dio, grazia non conosciuta dagli uomini, essendo stato di fede pagana molti secoli prima della venuta di Cristo, perciò il Poeta soggiunge ora conosce a88ai di quel che il mondo veder non puo de la divina gra. tia benche sua vista non discerna il fondo ora conosce chia.

ramente che il mondo non può conoscere della grazia divina, [p. 378 modifica]368

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perché non arriva a toccarne la profondità. Così Dante ad esprimere gi’ ignoti fini della grazia divina, la estende di quando in quando agli stessi infedeli, cui ispirando vera credenza li fa degni di salute. La stessa osservazione può servir di risposta all’inchiesta, se l’indiano virtuoso e giusto possa senza battesimo salvarsi. Che questa sia la mente di Dante si conosce maggiormente da quanto dice in appresso o predestinatiofle ecc. L image de la imprenta de I eterno piacere al cui desio ciascuna cosa diventa qual ella e mi sembro tale tale mi parve l’aquila contenta, imagine di quel romano impero, in cui l’eterno beneplacito ha ordinata la mondiale monarchia, per volontà del quale Iddio, ogni cosa è quello che è, ogni creatura è quello che piacque a Dio che fosse quale olodeua che in cere si spatia prima cantando e poi tace contenta de I ultima dolcezza che la sazia quale lodolelta che va volando per l’aria, e poi sazia dell’ ultimo canto si tace, e si posa. tempo aspeclar lacen4o io non palio non tollerai di aspettare tacendo avvegna che io fossi al dubiar mio li quasi vetro al color che I veste perché era così ardente della soluzione del dubbio che voleva manifestare, che come il colore trasparisce nel vetro, così in me il dubbio traspariva; ma da la bocca mi pinse con la forza del suo peso ma la gravezza del dubbio mi spinse alla bocca queste parole che cose son queste? come va che i pagani siano fra i beati in cielo? aveva pur detto nel canto precedente a questo regno non sali mai chi non ere dette io Cristo? A tali parole le anime beate fecero gran festa col loro cresciutosplcndoreperch io di corruscare vidi gran festa. Poi appresso lo benedetto segno mi rispuose con i occhio pit acceso per non tenermi sospeso in ammirare poscia l’aDigitized

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quila benedetta mi rispose folgorando maggiormente nell’ occhio per farmi cessare la maraviglia — io veggo che tu credi queste cose perche io le dico tu credi queste cose, perchè sono (11 fede ma non vedi come ma non conosci come ciò possa essere si che se son credute sono ascose e così ad onta di tua credenza ti rimangono ascose; fai come quei che aprende bene per nome la cosa ma non puo veder la sua quiditale per se s altri non la prome fai come colui che impara il no- medi una cosa, ma non può comprenderrie la essenza se altri non la dimostra, o palesa. regnum celorum violentia pale da caldo amore e da viva speranza il regno de’ cieli si acquista, od è vinto colla viva carità e speranza; ossia il regno de’cieli cede alla violenza del buon desidèrioe della viva speranza degli uomini che vince la divina volonta giacché questi affetti vincono la divina volontà. Volle Iddio che il pagano fosse dannato; pure permise che tal volontà fosse vinta per Traiano dalla carità di san Gregorio, e dalla viva speranza di Rifeo non a guisa che I orno a I oin sovrancia non a modo che I’ uomo prevalga all’ uomo ma vince lei ma la speranza e carità vincano il volere divino perche vuole esser vinta perché vuole esser vinto e vinta vince con sua benignanza ed il volere divino poi vinto vince colla sua bontà. La prima vita del ciglio e la quinta Traiano e Rifeo ti fan maravigliare ti fanno sttipire perche ne vedi la region deliAngelidepinta perchè vedi adorna delle loro anime la regione degli angeli, cioè il Paradiso: di corpi suoi non uscir come credi Gentili ma Criliani in piena fede Rifeo e Traiano non morirono gentili, come tu credi, ma cristiani con ferma fede quel dei passuri e quel dei passi piedi Rifeo che visse prima di Cristo credendo nc’piedi crocifiggendi, e Traiano che visse dopo Gesii Cristo credendo ne’piedi già croceRAMBATDI — VoI. 3. 24

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fissi; che I una torno a I ossa de I Inferno ove non si rieik giamaiabon volerel’anirna di Traiano, dall’inferno, nel qual luogo stando, nessuno mai si converte a Dio col buon volere, tornò ad abitare il suo corpo e cio di viva speme fu mercede e ciò fu mercede alla speranza viva di san Gregorio, che si fece forte nelle preghiere fatte a Dio onde meritare la detta anima di viva speme che mise la possa nei preghi fatti a Dio per suscitarla si che potesse sua voglia esser mossa sì che la volontà di Traiano potesse essere mossa a credere nel venuto Messia. I anima gloriosa tornata ove si parla 1’ anima di Traiano, di cui si parla tornata ne la carne in che fu poco riunitasi al proprio corpo, in cui per poco tempo poi sopravisse credette 4fl lui che potea aiutarla credette in Cristo che poteva salvarla credendo s accese in tanto foco di vero amore e divenuta fedele, si accese di tanta carità che la morte seconda fu degna di venire a questo loco che resuscitata dalla morte del paganesimo fu degna della beatitudine in questo pianeta. L altra anima di Rifeo pose tutto suo amore la giu mentre visse a dirittura nell’equità, nella giustizia per gratia che stilla da si profonda Fontana per la grazia divina che stilla da inesauribile fonte che mai creatura non pinse locchio fin a la prima onda che cosa creata non potè collo sguardo giammai arrivano Nel fondo perche di gratia in gratia Iddio gli aperse I occhio a la nostra redemplion futura perchè unendo grazia a grazia gli aprì I’ intelletto, e credette nella nostra redenzione, per mezzo della passione di N. S. Gesiì Cristo; onde credette in quella e non sofferse de ndi il puzzo piu del Paganesmo e dopo tale ispirazione non sentì piiì la mala olenza del paganesimo che uccide l’anima. Il culto de’ gentili aveva in sè la demoralizzazione de’costumì

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come si ha dalle storie anche degli stessi greci e romani. Una donna incoronava una scrofa presso Lavinio e riprendea le genti perverse e rimproverava e riprendeva i pagani che adoravano quelle divinità. queUe tre donnechetuvedestide la dextra rota le tre virtù teologali Fede, Speranza e Carità che tu vedesti alla destra ruota del carro apparso sulla cima del Purgatorio le fuor per battesmo gli servirono di battesimo dgnanci al baptizar piu d un milliesmo dall’eccidio di Troia fino alla fabbricazione di Roma corsero 14 anni: dalla fondazione di Roma fino alla nascita di Gesù Cristo 7ì anni; dalla nascita di Cristo all’ istituzione del battesimo trent’ anni. O predestination divina quanto la tua radice la tua profondità e rimota da quelli aspecti lontana dalla capacità del nostro intelletto, della nostra umana vita che la prima cagion non veggion tutta che noti possono arrivare a conoscere la prima cagione, donde move la predestinazione, e voi mortali tenetivi stretti a giudicare e voi mortali astenetevi dai temerari giudizi che noi che Dio vedemo non conoscemo ancor tutti gli diedi noi che vediamo in Dio non sappiamo il numero de’ predestinati, e coi faeto scernae questa limitazione dì veduta ene dolce ci è grata perche I ben nostro la nostra beatitudine $ a/fina in questo benediventa migliore e più perfetta nella conformità al voler divino che quel che vuoi Dio noi voleino che facciamo della sua volontà la nostra pure. cosi soave medicina data mifu da quella imagine divina così mi fu data da quell’ aquila una dolce medicina per farmi chiara la mia corta vista per ischiarire il mio corto intelletto, e mi ricorda che io vidi le due luci benedette ed ho in memoria che vidi le anime risplendenti di Rifeo e di Traiano mover lefiammette pur come battei’ d occhi si concorda con le parole mentre si

parlo d’accordo colle parole che uscivan (lall’aquila brillare [p. 382 modifica]372

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le fiarnmelle in quella guisa che si accordano nel movimento le palpebre di ambidue gli occhi si come buono citarista fa seguitare lo guizzo de la corda a buon cantore come capace citaredo fa conformare il suono della corda a buon canto in che piu di piacere lo canto acquista dal quale accordo si aumenta il piacere del canto. Maggiorcontento quindi sentiva Dante dalle parole dell’ aquila accompagnata dallo scintillare di quelle due anime, di quello che avrebbe sentito dalle parole soltanto. N. B. Nei versi 3 e 24 Dante spiega cosa sia suono degl’istromenti, affermando essere 1’ aria la quale ne esce come siringandosi in tIa armoniose.

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XXI.

TESTO MOlMkN() Già eran gli occhi miei rifissi al volto Della mia Donna, e l’animo con essi, E da ogni altro intento s’era tolto; Ed ella non t’idea; ma: s’io ridessi, Mi cominciò, tu ti faresti quale Semele fu, quando di cener fessi; 6 Chè la letizia mia, che per le scale Dell’eterno palazzo più s’accende, Come hai veduto, quanto più si sale, 9 Se non si temperasse, tanto splende, Che il tuo mortal potere, al suo fulgore, Sarebbe fronda chetuono scoscende. 12 Noi siam levati al settimo splendore, Che sotto il petto del Leone ardente Baggia mo misto giù del suo valore. Ficca diretro agli occhi tuoi la mente, E fa di quegli specchio alla figura, Che in questo specchio ti sarà parvente. 18 Qual sapesse quale era la pastura Del viso mio nell’aspetto beato, Quando io mi trasmutai ad altra cura, 21 Conoscorebbe quanto mi era grato Ubb’iire alla mia celeste scorta,

Contrappesando l’un con l’altro lato. [p. 384 modifica]37

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Dentro al cristallo, che il vocabol porta,

  • Cerchiando il mondo, del suo caro duce,

Sotto cui giacque ogni malizia morLa, Di color d’oro, in che raggio traluce, Vidi io uno scalèo eretLo in suso Tanto, che nol seguiva la mia luce. 30 Vidi anche per li gradi scender giuso Tanto spiendor, eh’ io pensai che ogni lume Che par nel Ciel, quindi fosse diffuso. E come, per lo natural cosLume, Le pole insieme, al cominciar del giorno Si muovono a scaldar le fredde piume: 36 Poi altre vanno via senza ritorno, Altre rivolgon sè onde son mosse, E altre roteando fan soggiorno; 39 Tal modo parve a me che quivi fosse In quello sfavillar che insieme venne, Sì come in certo grado si percosse: E quel, che presso pi4ì ci si ritenne, Si fe’sì chiaro, ch’io dicea pensando: lo veggio ben l’amor che tu m’acenne. 45 Ma quella, onde io aspetto il come e il quando Del dire e del tacer, si sta; onde io Contra il disio fo ben s’io non dimando. Per ch’ella, che vedeva il tacer mio Nel veder di Colui che tutto vede, Mi disse: solvi il tuo caldo desio. 51 E io incominciai: la mia mercede Non mi fa degno della tua risposta, Ma, per colei che il chieder mi concede,

Vita beata, che ti stai nascosta [p. 385 modifica]

canto
XXI

Dentro alla tua letizia, fammi nota La cagion che sì presso mi t’accosta; E di’ perché si tace in questa ruota La dolce sinfonia di Paradiso, Che gitì per l’altre suona sì devota. 60 Tu hai l’udir mortal sì come il viso, Rispose a me; però qui non si canta Per quel che Beatrice non ha riso. 63 Giù per li gradi della scala santa Discesi tanto sol per farti festa Col dire e con la luce che mi ammanta; 66 Nè più amor mi fece esser piiì presta; Chè più e tanto amor quinci su ferve, Sì come il fiammeggiar ti manifesta. 69 Ma l’alta carità, che ci fa serve Pvonte al consiglio, che il mondo governa, Sorteggia qui, sì come tu osserve. 72 lo veggio ben, dissi io, sacra lucerna, Come libero amore in questa Corte Basta a seguir la provvidenza eterna. Ma questo è quel che a cerner mi par forte; Perchè predestinata fosti sola A questo ulicio fra le tue consorte. 78 Non venni prima all’ ultima parola, Che del suo mezzo fece il lume centro Girando sè come veloce mola. 81 Poi rispose I’ amor che v’era dentro: Luce divina sovra me s’appunta Penetrando per questa onde io m’ invenLro. 84 La cui virtù con mio veder congiunta Mi leva sovra me tanfo, ch’io veggio [p. 386 modifica]376 PARAWSO La somma Essenza della quale è inunta. 87 Quinci vien l’allegrezza, onde io fiammeggio, Perchè alla vista mia, quanto ella è chiara, La chiarità della fiamma pareggio. 9) Ma quell’ alma nel Ciel che più si schiara, Quel Sarafin che in Dio più l’occhio ha fisso, Alla dimanda tua non soddisfara; 93 Però che sì s’inoltra nell’abisso Dell’eterno statuto quel che chiedi, Che da ogni creata vista è scisso. 96 E al mondo mortal, quando tu riedi, Questo rapporta, sì che non presuma A tanto segno più mover li piedi. La mente che qui luce, in terra fuma: Onde riguarda, come può, laggiue Quel che non puote, perchè il Ciel l’assuma. tO Sì mi prescrisser le parole sue, Ch’io lasciai la quistione, e mi ritrassi A dimandarla umilmente chi fue. Tra due liti d’ Italia surgon sassi, E non molto distanti alla tua patria, Tanto che i tuoni assai suonan più bassi, 108 E fanno un gibbo, che si chiama Catria, Di sotto al quale è consecralo un ermo Che suole esser disposto a sola latria. III Così ricominciommi il terzo sermo; E poi continuando disse: quivi Al servigio di Dio mi fei sì fermo, I l! Che pur con cibi di liquor d’ ulivi Lievemente passava caldi e gieli,

Contento nei pensier contemplativi. 117 [p. 387 modifica]

canto
xxi. 377

Render solea quel chiostro a questi Cieli Fertilemente, e ora è fatto vano, Sì che tosto convien, che si riveli. l2O In quel loco fui io Pier Damiano, E Pietro Peccator fui nella casa Di Nostra Donna in sul lido Adriano. I3 Poca vita mortal m’ era rimasa; Quando io fui chiesto e tratto a quel cappello. Che pur di male in peggio si travasa. l26 Venne Cephas, e venne il gran vasello Dello Spirito Santo, magri e scalzi Prendendo il cibo di qualunque ostello: l2i Or voglioti quinci e quindi clii rincalzi Li moderni pastori,e chili meni, Tanto son gravi e chi diretro gli alzi. l32 Copron dei manti loro i palafreni, Sì che duo bestie van sotto una pelle: O pazienza, che tanto sostieni! l3i A questa voce vidi io più fiammelle Di grado in grado scendere e gira rsi: E ogni giro le facea più belle. 138 D’ intorno a questa vennero e fermarsi, E fèro un grido di sì alto SUOnO, Che non potrebbe qui assomigliarsi: Nè io lo intesi, sì mi vinse il tuono. COMMENTO DI BENVENUTO Coritemplanti della vita solitaria. Il canto si divide in quattro parti. Nella prima, il Poeta ascende al settino cielo di Saturno. Nella seconda, si manifesta uno Spirito contemplativo.

Nella terza, ricerche a detto Spirito. Nella quarta, li [p. 388 modifica]378

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Spirito parla de’ monachi degenerati e del molle lusso de’prelati sgridandoli. Gli occhi miei gia cran ri/lei al volto de la mia donna già i miei occhi si erano di nuovo fissati nel volto della mia donna, di Beatrice e lanimo con essieda ogni altro intento e era tolto e con tutto l’animo mi era rivolto ad essa togliendolo da ogni altra contemplazione. Dante finge di non avere scorta in Beatrice maggiore letizia o maggior lucidezza nel salire ad altra sfera, come soleva mostrarla, dal che la stessa Beatrice si scusa colla debolezza di Dante, che sarebbe stato oppresso dalla crescente lucidità e fulgore. Spiega il suo concetto portando la similitudine di Semele figlia di Cadmo, amata da Giove, che istigata dalla gelosa Giunone chiese a Giove che • le si mostrasse in tutta la sua maestà: ottenne la grazia, e rimase • dalle folgori di lui incenerita, e quella non ridea non era più lieta come soleva ma incomincio a dirmi sio ridessi ti palesassi tutta la mia letizia tu ti faresti quale Semele fu quando di cenere fessi tu resteresti di cenere al pari di Semele arsa dai fulmini di Giove quando le si mostrò nell’ intero splendoredi sua maestà. che la bellezza mia che piu s accende perché la bellezza mia ha più splendore per le scale de £ eterno palacio per le sfere del cielo come hai veduto quanto piu si sale come vedesti: a misura che si va più in alto tanto spiende che se non si temperasse che se non si arrestasse tuo mortal podere il tuo potere umano al suo folgore sarebbe fronda che trono scoscende sarebbe come ramo che dal folgore si rompe. L’ intelletto umano quando colla sua contemplazione si avvicina alla prima causa, non deve essere temerario nella pretesa di conoscerne tutta la bellezza. Noi sem levati al septimo splendore altri leggono al settimo

alla sfera di Saturno, settimo pianeta che soltolpecto del [p. 389 modifica]

canto
XXI. 379

Leone ardente raggia mo misto giu del suo valore che essendo ora in congiunzione col segno ardente del leone vibra sulla terra i suoi raggi misti ai forti influssi di esso leone. Sa- turno freddo e secco era allora in congiunzione col leone segno secco, ma caldo. Quando nel 1300 Dante fece questa maravigliosa visione Saturno era in leone sette gradì, e Giove in ariete ventiquattro: Marte in pesci pure ventiquattro gradi, il Sole in ariete nel principio, Venere in pesci, Mercurio in vergine, Luna in libra ecc. ficca la mente di rietro agli occhi tuoi e fa di quelli specchio a la figura che in questo specchio ti sara parvente tieni la mente attenta appresso agli oc- e chi tuoi, e di questi fa specchio alla figura, ossia rimira quanto in questo specchio ti apparirà, chi sapesse qual era lapastura del viso mio nell aspecto beato chi sapesse qual era il diletto nel guardare il viso di lei quando mitrasmutai ad altra cura quando mi volsi a guardare a quanto mi aveva indicato Beatrice conoscerebbe quanto m era a grato obedire a la mia celeste scorta conoscerebbe quanto mi fu caro I’ ubbidirla contrapensando I un con I altro lato coni rappesando il piacere dell’ obbedirla colla privazione di questa vista beatificante: ovvero compensando la gravezza della contemplazione col diletto che ne deriva. Dante mostra in Saturno un’aurea scala, perché i beati di Saturno mentre viveano in terra ascendevano al cielo colla contemplazione che viene figurata in una scala, strumento col quale dal basso si sale in alto; e colla contemplazione dalla terra al cielo, e dal cielo a Dio. Il cielo anch’ esso a guisa di scala è distinto per gradi, sfere e mondi. vid io un Scaleo erecto in suso una scala dritta in alto tanto che noI seguia la mia luce tanto che l’occhio non ne misurava la cima dicobr

d oro per indicare la perfezione della vita con templativa [p. 390 modifica]380

paradiso

in confronto delle altre in che raggio traluce il raggio della grazia divina, il raggio dell’ eterno sole: vidi dentro al cristallo che il ,vocabol porta cerchiando il mondo del suo caro Duce sotto cui giaque ogni malitia morta dentro al pianeta, • checol suo giro cerchiando il mondo, porta il nome diSatur• no già re di esso mondo, sotto 1’ impero del quale fu quell’ età senza malizia, che perciò si disse dell’oro: Saturno fu re di Creta, e sotto il di lui regno fiorì la giustizia, sicché quell’i• sola provò ogni sorta di beni. Vidi anche tanti spiendori scender giuo per li gradi vidi ancora nella stessa scala molti turni spiendienti discendere pei gradi di essa cli io pensai ch ogni lume che par nei celo che credetti che ogni lume del cielo fosse quindi diffuso fosse sparso in quella scala. e parve a me che I tal modo fosse qui e mi parve che in detta scala si facesse in quel sfavillar che nseme venne con quello splendore di molti contemplativi spiriti insieme venuti si come si percosse in certo grado tosto che si fu lo splendore con impeto gettato in un grado come le pole uccello della specie delle pìche si moveno dall’ albero inseme in gran numero a sealdar le fredde piume a riscaldare le piume dal freddo notturno al cominciar dei giorno all’alzarsi del Sole. Altri vogliono che debba interpretarsi la primavera, perché le pole si allontanano da noi nell’ autunno, ma io prescelgo la prima lezione più secondo alla lettera: per lo natural costume per istinto poi altri vanno via sencia ritorno poi alcune partono senza tornare: altre rivoigonsi onde son mosse, et altre fan sogiorno roteando volando in cerchio per gli aerei campi. Già in molti luoghi le anime sono figurate negli uccelli che spiegano il volo più veloci, e le anime de’ contemplativi sono veloci, lievi, spedite, non gravate di carne, non rattenuDigitized

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canto
XXI. 381

le dalle cure mondane; e come le pole SOflO amanti di solitudine, così i contemplativi amano l’eremo; e se quegli uccelli insieme volgono a qualche luogo, tosto si dividono, si separano, e s’indrizzano a parti diverse, come le anime de’ contemplativi in questa scala: umili e placide le prime, umili e placide le anime contemplative. E quel che presso ci si ritenne piu e quello spirito beato che si fermò più presso a me ed a Beatrice — san Pier Damiano, contemplativo e speculativo spirito, il quale pel primo condusse austera vita nell’ eremo, ed in vecchiaia fu creato cardinale, chiamato — Pietro da Ravenna ed il cui corpo trovasi nella città di Faenza, nella Chiesa di santa Maria ad un estremo della città e si fece si chiaro eh io dicea pensando tanto si fece splendido, che fra me stesso dicea io veggio ben i amor che tu m accenne io scorgo bene il desiderio di soddisfare alle mie domande; ma si sta quella ond io aspeclo il come e I quando dei dire e del tacer ma è presente Beatrice che mi è norma del quando io debba parlare e tacere ond io fo ben che non dimando contro I desio e credo meglio frenare il mio desiderio e flOfi parlar dimandando: perch ella che vedea il tacer mio nel veder di colui che tutto vede per lo che essa Beatrice che il mio silenzio forzato vedeva in Dio mi disse: solvi il tuo caldo disio mi disse, parla, palesa pure il tuo ardente desiderio elio incominciai a dire così. La mia mercede il merito mio non mi fa degno de la tua risposta non mi dà titolo ad avere una risposta da te; ma o vita beata o anima beata che ti stai nascosa dentro a la tua leticia dentro allo splendore di cui ti circondi fammi noia la cagion che miti accosta si presso dimmi il iwrchè mi ti

accosti tanto per colui che chieder mi concede Ier Iddio che [p. 392 modifica]382

paradiso

mi concede la grazia di ricercarti. e di e rispondimi ancora perche la dolce sinphonia di Paradiso si tace in questa rota perché in quesLa sfera di Saturno non si ode il canto del Paradiso che suona si devota giu per I altre che si ode con tanta soavità nelle altre sfere inferiori? — Quell’ anima beata rispuose a me — tu ai lo oldire mortal si come il viso il tuo udito è debole come la tua vista onde qui non si canta per quel che Beatrice non ha riso per la cagione stessa per cui Beatrice non ti ha riso, così qui non si canta, perché saresti oppresso dalla troppa dolcezza. giu per li gradi de la scala sancta io discesi tanto sol per farti festa col dire e con la lu ce che mi amanta io discesi pci gradi sino all’ ultimo della scala solo per mostrarti la mia volon[ù di risponderti, crescendo il fulgore della luce che mi circonda. nepiu amore mi fece esser piu presta non venni a te più presto degli altri per maggiore amore in verso dite: che piu e tanto amore qui su ferve si come I flammeggiar ti manifesta che vi sono altri spiriti su per questa scala che hanno maggior carità, come ti fa palese il loro splendore. ma i alta canta ci fa serve prompie ai consiglio che il mondo governa sortegia qui si come tu observema la divina provvidenza che ci fa ministri a reggere il governo del mondo, assortisce ed elegge qui ciascuna a quel ministero ch’ essa vuole, come tu vedi. Diss io veggio io, ben o sacra lucerna allora dissi io, veggo ben io, sacrosania alma spiendiente come libero amore in questa corte basta a seguire la provvidentia eterna che la carità in questo regno conduce all’obbedienza dell’eterna provvidenza, ossia che non forza, ma libero amore vi move a fare il volere di Dio; ma questo e quello che a cernerc mi pare forte ma quello che mi par difficilissimo a vedere e ad intendere si è perche predestinata fosti sola a questo officio

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canto
XXI. 583

Ira le tue consorte perchè fosti prescelta di venire a me fra tante altre anime beate? Non venni prima a I ultima parola non aveva appena pronunciata 1’ ultima parola che del suo mezzo fece il lume centro girando se come veloce mola che cominciò a volgersi come macina, velocemente intorno a sè stessa poi I amor chev era dentro rispuose poi l’anima che era dentro a quel cerchio veloce rispose — luce divina sopra me $ appunla raggio di grazia divina mi coglie penetrando per questa ond io mmventro penetrando la luce che mi circonda la cui virtu congiunta col mio vedere il potere del qual raggio di grazia divina congiunto col mio sapere mi leva sopra me tanto m’ innalza tanto sopra di me eh io veggio la summa essentia di la quale e munta che io scorgo la essenza divina, della quale il detto raggio di grazia è un’ emanazione; quinci venne I allegrezza ondio fiammeggiodi là venne la letizia di cui cresce io splendore perche a la vista mia quanto ella ce chiara la chiarita de la fiamma pareggio laonde alla chiarezza della visione che ho di Dio faccio pari la chiarezza della luce che mi circonda. Quantunque io vegga in Dio molti segreti, giacché fui molto contemplativo, pure non so, nè posso sapere quanto tu ricerchi. Ma quel alma nel ciel che piu si chiara ma quell’alma che più nel cielo vede in Dio — san Pier Damiano quel Sera- fin che n Dio piu locchio affizo quel serafino che tiene continuamente lo sguardo in Dio a la dimanda tua non satisfara non soddisfarà alla tua domanda pero che si s inoltra nel abisso del Eterno statuto quel che chiedi imperocchè quanto ricerchi si profonda tanto nell’Eterno volere che da ogni vista creata e scisso che ogni occhio ne è tanto lontano, quanto il finito dall’ infinito, e al mondo mortal quando tu [p. 394 modifica]384 PARADiSO redi questo rapporta si che non presuma a tanto segno pin mover li pedi e quando tu ritornerai al mondo de’ mortali racconta questa impossibilità di penetrare l’arcano della divina predestinazione, acciocchè il mondo non presuma di penetrare colla mente entro sì gran segreto. • La mente che qui luce in terra [urna la mente umana che in cielo è luce, in terra è fumo ossia è tenebrosa onde ri• guarda come puo La giu quel che non puole perche I ciet lassumma onde considera come esser possa che essa mente • sia atta a comprendere laggiù quello che non comprende • quassù in cielo, si mi prescrisser le parole sue tanto mi persuasero le di lui parole eh io lasciai la questione che io abbandonai la dimanda e mi ritrazi a dimandar humilmente chi fue e mi restrinsi a dimandare chi era. San Pier Damiano fondò due nobili monasteri, uno nell’Apennino in alpe altissima tra Marca e Toscana, Ira Gubbio e la Pergola; e tal monastero regge tuttora. Un altro presso Ravenna in santa Maria in Porto, lontano tre miglia dalla città, e rispetto al primo, Sassi surgon tra dui liti ditalia s’alza Apennino tra il lido del mar Tirreno, ed il lido del mare Adriatico. E’ Italia è un isola all’occidente, e l’Apennino la divide pel lungo, e la circonda e la chiude colle alpi sue da una parte, perché non è veramente isola, e quella parte la separa dalla Gallia e Germania non molto distanti alla tua patria tanto che troni assai sonan piu bassi e non molto distanti da Fiorenza tanto sorgono, e s’innalzano che sorpassano le nuvole nelle quali si generano i fulmini. -— L’altezza in cui si generano i fulmini è di sedici stadi dalla superficie della terra. Ritengono alcuni che si parli di Camaldoli nel Casentino, ma più avanti si smentisce. e fanno un gibbo che se chiama Catria e formano un

rialto che si noma Catria; nell’ ingresso della Marca d’ Ancona, [p. 395 modifica]

canto
XXI. 385

tra Gubbio e la Pergola: questo è il monte di cui parla Lucano, ed in cui rifugiossi Pompeo di sotto al quale e construdo un hermo che sole esser disposto a sola Latria sotto. al qual rialto trovasi un eremo ed un monastero, in cui si è solito celebrare il culto al vero Dio. Cossi ricominciommi il terzo sermo il terzo discorso, giacché nel primo aveva séiolti due dubbi , ed uno nel secondo: in questo poi palesa chi fu e poi continuando disse poi continuò quivi al servitio di Dio mi fei si fermo nel detto luogo Catria mi dedicai al servigio di Dio, tolto al mondo che contento nei pensier contemplativi che vivendo nella sola contemplazione passava caldi e geli levemente senza addarmene soffriva caldo, e freddo pur con cibo de liquor dulivi con vii cibo, condito soltanto con olio, cece, od altri legumi, senza carne o grasso. quel Chiostro solea render fertilmente a questi celi quel monastero solea mandare anime alla beatitudine celeste et ora ee facto vano ma ora nessuno vi passa in contemplazione la vita si che tosto convien che si riveli si che bisognerà che cambi sua destinazione, in quello loco fui io Petro Damiano in Catria mi nomarono Pier Damiano e Petro Peccator fui ne la casa di nostra Donna in sul lito Adriano e fui Pietro peccatore. nel monastero di santa Maria in Porto di Ravenna nel lido Adriatico. Vogliono alcuni, che quel Pietro peccatore fosse altro frate dell’ ordine, ma non può essere, perché Damiano si precisa in Catria, e qui si nomina per umiltà: poca vita mortale m era rimasa aveva ancora poco tempo da vivere quando fui chesto e tracto al gran capello che pur di male in peggio si traversa quando mi si volle dare iJ cappello di cardinale, che va passando di male in peggio. Venne Cephas san Pietro, capo degli Apostoli e primo papa; venne il gran vasello del Spirito Sancto e san Paolo, R.4M1aI.DI — Voi. . [p. 396 modifica]386


paradiso

compagno di san Pietro, chiamato vaso di elezione magri e scalci secchi e senza veste prendeiido il cibo di qualunche hostello chiedendo la elemosina ed il pane a qualunque casa. • or li moderni Pastori voglion chi rincalzi quinci e quindi ma i Pastori d’ oggi giorno vogliono essere sostenuti, o chi dia loro di braccio da ambo i lati e che li meni e chi dreto rincalci tanto son gravi e chi li onduca o sollevi, tanto son divel)utl disutili e ben diversi da san Pietro e da san Paolo, ed han vesti tanto lunghe, che spazzano il suolo, diverse dalla brevità e qualità de’ due primi: copron di manii lorò i pala freni colle ampie br cappe coprono i cavalli o le mule sopra cui cavalcano si che duo bestie van sotto una pelle: quella che porta ed il portato/o pacientia che tanto sosterai! o divina sapienza che tanto sopporti. Il santo si abbandona a più acre invettiva quando tratta della vita indegna che alcuni di costoro menavano terminando col dire, che avendo essi conosciuto che. ogni stato porta con sè degi’ incomodi, essi artificiosamente riserbaronsi la sola parte del piacere. Dante poi con molto ingegno pone la detta imprecazione in bocca di un santo cardinale, che conobbe la loro vita, e scrisse con più coraggio e con più verità cose anche più amare. Due ope.. re lasciò in istile clegantissimo: l’una Pistolee Sermoni; l’altra delle Colpe Prelatizie tutte due piene delle costoro vergogne. San Damiano nella sua rigidità sgrida anche san Girolamo che aveva detto — Dio non poter ritornare la perduta verginilà. - A questa voce vid io piu fiamelle di grado in grado scendere e gittarsi a tali parole io vidi più luci o più anime lucenti scendere pei gradi di quella scala, e circolare velocemente intorno a sè stesse et ogni giro le facea piu belle e

farsi più splendienti ad ogni giro. dintorno a questa vérnaero [p. 397 modifica]

canto
XXI 387

e fermarsi intorno a san Pier Damiano e fenno un grido di si alto sono ed alzarono un grido in segno di approvazione dell’invettiva di san Pier Damiano che non potrebbe quivi assomigliarsi che non vi è similitudine fra noi che possa servire ad esprimerlo: ne io lo intesi si mi vinse il tono nè io lo intesi, perché rimasi stupido a quell’alto grido d’invocazione

dell’ira (li Dio, come si dità nel canto seguente. [p. 398 modifica]

canto
XXII.

TWSTO uoniawe Oppresso di stupore alla mia guida Mi volsi, come parvol che ricorre Sempre colà dove più si confida: 3 E quella come madre che soccorre Subito al figlio pallido e anelo Con la sua voce che il suoi ben disporre. 6 Mi disse: non sai tu che tu sei in Cielo, E non sai tu che il Cielo è tutto santo, E ciò che vi si fa vien da buon zelo? 9 Come t’avrebbe trasmutato il canto, E io ridendo mo pensar lo puoi; Poscia che il grido t’ ha mosso cotanto? Nel qual se inteso avessi i prieghi suoi. Già ti sarebbe nota la vendetta, La qual vedrai innanzi che tu muoi. La spada di quassù non taglia in fretta, Nè tardo, ma che al parer di colui Che disiando, o temendo l’aspetta. IS Ma rivolgiti ornai inverso altrui: Che assai illustri spiriti vedrai, Se come io dico, la vista ridui. Come a lei piacque gli occhi dirizzai, E vidi cento sperule, che insieme

Più s’abbellivan con mutui rai. [p. 399 modifica]

lo stava come quei che in sè ripreme
La punta del disio, e non si attenta
Del dimandar, sì del troppo si teme:27
E la maggiore e la più luculenta
Di quelle margherite innanzi fessi,
Per far di sè la mia voglia contenta.
Poi dentro a lei udii: se tu vedessi,
Com’io, la carità che tra noi arde,
Li tuoi concetti sarebbero espressi:
Ma perchè tu aspettando non tarde
All’ alto fine, io ti farò risposta
Pure al pensier di che sì ti riguarde. 56
Quel monte, a cui Cassino è nella costa,
Fu frequentato già in su la cima
Dalla gente ingannata e mal disposta.
E io son quei che su vi porLai prima
Lo nome di Colui che in terra addusse
La verità che tanto ci sublima: 42
E tanta grazia sovra me rilusse,
Ch’ io ritrassi le ville circostanti
Dall’empio culto che il mondo sedusse.
Questi altri fochi tutti contemplanti
Uomini furo, accesi di quel caldo
Che fa nascere i fiori e i frutti santi. 48
Qui è Maccario, qui è Romualdo;
Qui son li frati miei, che dentro ai chiostri
Fermar li piedi e tennero il cuor saldo. S i
• E io a lui: l’affetto che dimostri
Meco parlando, e la buona sembianza,
Ch’ io veggio e noto in tutti gli ardor vostri,
Così mi ha dilatata mia fidanza,

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paradiso

Come il Sol fa la rosa: quando aperta TanLo divien quanto ella ha di possanza. Però ti prego, e tu, padre, mi accerta S’ io posso prender tanta grazia, ch’ io Ti veggia con immagine scoperta. 60 Onde egli: frate, il Luo alto desio S’adempierà in su l’ultima spera, Ove s’adempion tutti gli altri e il mio. 63 Ivi è perfetta, matura, e intiera Ciascuna desianza: in quella sola É ogni parte là dove sempre era; 66 Perchè non è in luogo, e non s’impola, E nosLra scala infino a essa varca: Onde così dal viso ti s’ invola. 69 Infin lassù la vide il patriarca Jacob isporger la superna parte, Quando gli apparve d’ angeli sì carca. 7 Ma per sauna mo nessun diparte Da terra i piedi: e la regola mia Rimasa è giù per danno delle carte. 7! Le mura, che soleano esser badia, Fatte sono spelonche, e le cocolle Sacca son piene di farina ria. 78 Ma grave usura tanto non si tolle Contra il piacer di Dio, quanto quel frutto, Che fa il cor de’ monaci sì folle; 81 Chè quantunque la Chiesa guarda, Lutto É della gente che per Dio dimanda, Non di parente, nè d’altro più bruLLo. 84 La carne dei mortali è tanto bis nda,

Che giù non basta buon cominciamento [p. 401 modifica]

canto
XXII. 9I

Dal nascer della quercia al far la gliiaiida. 87 Pier cominciò senz’ oro e senza argento, E io con orazione e con digiuno, E Francesco umilmente il suo convento. 90 E, se guardi al principio di ciascuno, Poscia riguardi là dov’è Lrascorso, Tu vederai del bianco fatto bruno. Veramente Giordan volto retrorso Più fu e il mar fuggir, quando Dio volse, Mirabile a veder, che qui il soccorso. Così mi disse, ed indi si ricolse AI suo collegio, e il collegio si strinse: Poi come turbo in su tutto si accolse. 99 La dolce donna dietro a br mi pinse Con un sol cenno su per quella scala, Sì sua virlù la mia natura vinse. l0’2 Nè mai quaggiù, dove si monta e cala, Naturalmente fu sì ratto moto, Che agguagliar si potesse alla mia ala. l0! S’io torni mai, Lettore, a quei devoto Trionfo, per Io quale io piango spesso Le mie peccata, e il petto mi percuoto; 108 Tu non avresti in tanto tratto e messo Nel foco il dito, in quanto io vidi il segno Che segue il Tauro, e fui dentro da esso. I Il O gloriose stelle, o lume pregno Di gran virtù, dal quale io riconosco Tutto qual che si sia, il mio ingegno. 1 14. Con voi nasceva, e si ascondeva vosco Quegli ch’ è padre d’ ogni morlal vita, Quand’io sentii da prima l’aer Tosco: 117 [p. 402 modifica]392 PÀRADISO E poi quando mi fu grazia largita D’ entrar nell’ alta ruota che vi gira, La vostra region mi fu sorLita. t2O A voi divotamente ora sospira L’anima mia, per acquistar virtute Al passo forte che a sè la tira. 123 Tu sei sì presso all’ ultima salute, Cominciò Beatrice, che tu dèi Aver le luci tue chiare e acute: 16 E però, prima che tu più t’mIei, Rimira in giuso, e vedi quanto mondo Sotto li piedi già esser ti fei; 129 Sì che il tuo cuor, quantunque può, giocondo S’appresenti alla turba trionfante, Che lieta vien per questo tera tondo. Col viso ritornai per tutte quante Le sette spere. e vidi questo globo Tal, ch’io sorrisi del suo vii sembiante: 13$ E quel consiglio per migliore approbo, Che 1’ ha per meno; e chi ad altro pensa Chiamar si puote veramente probo. 138 Vidi la figlia di Latona incensa Senza quell’ombra, che mi fu cagione Per che già la credetti rara e deo8a. I 41 L’aspetto del tuo nato, Iperione, Quinci sostenni, e vidi come ei move Circa, e vicino a lui Mala e Dione. 144 Quindi mi apparve il temperar di Giove Tra il padre e il figlio; e quindi mi fu chiaro Il vairiar che fanno di br dove: 147

E tutti e sette mi si dimostraro [p. 403 modifica]

canto
XXII. Z3

Quanto son grandi, e quanto son veloci, E come sono in distante riparo. L’aiuola, che ci fa tanto feroci, Volgendomi io con gli eterni Gemelli, Tutta m’apparve dai colli alle foci: Poscia rivolsi gli occhi agli occhi belli. I4 COMMENTO DI BENVENUTO Si manifesta lo spirito di s. Benedetto. Si divide il canto in cinque parti. Nella prima, continuazione del lamento sulla depravazione de’ prelati. Nella seconda, manifestazione di s. Benedetto eminentemente contemplativo. Nella terza, inchiesta a detto spirito. Nella quarta, il Poeta sale al Firmamento. Nella quinta, uno sguardo ai sottostanti pianeti, ed al miserabile nostro globo. Oppresso di stupore mi voLti a la mia guida io Dante, spaventato dal grido de’ molti spiriti, che alla imprecazione di san Pier Damiano unirono le loro proprie, chiamando la superna vendetta contro i perversi mi raccolsi a Beatrice. San Girolamo, san Bernardo si accordano con san Pier Damiano. Ma Beatrice gli mostra che Iddio nella sua provvidenza permette tali mali per alti fini, che non sono dall’ uomo conoscibili; permeLte che i tiranni ed i malvagi abbiano impero onde punire sudditi colpevoli come parvol che ricorre sempre cola dove piu si confida come fanciullo che sempre si rifugia presso la madre, nella quale più di ogni altro confida. Dante era un alunno di Beatrice, che qual madre, colla dottrina, lo aveva allattato fanciullo, e reso adulto lo cibò di forti e sostanziosi cibi teologali. e quella come madre che socore subito al figlio pallido e anelo con la sua voce che sol bene disporre ed essa, qual madre che tosto corre a soccorreDigitized

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paradiso

re il figlio pallido e palpitante colla voce, che tanto serve a quietare e calmare il fanciullo mi disse non sai tu che tu sei in celo e non sai tu che i celo e tutto sancto e cio che ci si fa vien da bon gelo mi disse — ti sei forse dimenticato di essere in cielo, eh’ è tutto santo, e che in esso tutto è opera di carità! Se questi spiriti santi implorano vendetta non son mossi dall’ ira, ma da carità; e fidente in Dio, devi esserlo tu pure che tutto che egli fa è dentro la infinita giustizia, quantunque sia a te impossibile di conoscerne il fine, come ti avrebbe trasmutato il canto et io ridendo mo pensar lo puoi. Ora puoi pensarecomeilcantodi quelli spiriti, ed il mio riso ti avrebbero trasmutato posciache il grido t a mosso cotanto se quel grido ti ha cotanto commosso. Più ti dovrà scuotere la maravigliosa armonia delle sfere celesti che si figura nel canto, ed il mio riso rappresentato col maggiore splendore nel quale se inteso avessi i preghi suoi nel qiial grido, se avessi inteso ciò che si pregò gia ti sarebbe nota la vendetta ti sarebbe già palese la vendetta che tu vedrai manzi che tu muoi che Iddio prenderà di que’ pastori ribelli a Dio, che antepongono il fasto mondano all’umiltà insegnata da Gesù Cristo avanti che tu muoia — con ciò preconizza la carcerazione e morte di Bonifacio VIII. La spada di quassu non taglia in fretta la giustizia di Dio non è precipitosa ne tardo mai che al piacer di colui che desiando o temendo l’aspecta e non è mai tarda se non al parere di chi la brama o i’ aspetta tremando. ma rivolgiti ornai inverso altrui ma lascia quest’ argomento, e volgiti ad altri spiriti che assai illustri spiriti vederai come dico I aspecto ridui a me se, come ti dico, rivolgi gli occhi ad altri spiriti illustri che qui son molti. come a lei piacque io gli occhi ritornai volsi gli occhi secondo volle BeaDigitized

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canto
XXII. 395

trice e vidi cento sperule e vidi centinaia di sferette, di gbbeLLi che insieme piu 8 abellivan con mutui rai che si facevan piu belli col riverbero de’ mutui raggi. Figura Dante con tale invenzione che que’ santi contemplativi s’ informassero a vicenda, e facessero profitto dei mutui consigli e soccorsi, come abbiamo per certo dalle loro vite. lo stava come quei che n se ripreme la punta del disio io stava come colui, che temendo di recar noia a’suoi maggiori, frena il desiderio. Ogni uomo discreto deve guardarsi di rompere il corso alle sante contemplazioni e non 8 attenta di domandare si del troppo si teme e sapendo che ogni troppo è vizioso, DOD azzarda la inchiesta: e I maggior e la piu loculenta di quelle margarite innanzi fessi e la maggiore e più rilucente di quelle gioie celesti si fece innanzi, cioè s. Benedetto, di cui si parlerà in appresso per far di se la mia voglia contenta offrendosi egli a sciogliere ogni mia difficoltà. Poi dentro a Lei udii poi ascoltai in quella pietra preziosa il seguente discorso — se tu vedessi com io la canta che tra noi arde li tuoi concepti sarebbono ezpressi se tu vedessi, come veggo io in Dio la carità ardente che è tra noi, i tuoi desideri sarebbero già da te manifestat. ma per che tu non tarde al alto fine aspectando ma perchè tu non ritardi di giungere all’ alto fine del tuo viaggio, che è di veder Dio io ti faro risposta pure ai pensier da che si ti riguardi ti dirò ancora chi son io che avevi in animo e desiderio di sapere, senza azzardare di chiederlo. San Gregorio scrisse un libro — dialoghi — vita — e virtù di san Benedetto, e le poche cose qui dette vengono da tal libro, quel monte a cui Cassino e ne la costa quel monte che ha nel pendio il castello di Cassino, e che ha lo stesso nome fu frequentato gia in su la cima da la gente ingannata e mal disposta fu frequentato da gente idolatra mal dispoDigitized

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paradiso

sta contro la verità, in un tempio eretto in quella cima e io son quel che su vi portai prima lo nome di colui che in terra addusse la verita che tanto ci sublima ed io pci primo vi portai il nome di Gesù Cristo, che recò la divina verità che c’ innalza all’ ultima sfera: e tanta gratia sopra me rilusse che ritrasse le ville circumstanti da 1 impio culto che i mondo sedusse e tanta grazia m’ infuse lo Spirito Santo che potei togliere dall’ idolatria, che aveva sedotto I’ intero mondo, tutte le genti dei luoghi dintorno. Fu più difficile a san Benedetto togliere quelle genti dal culto d’ Apollo ossia del sole, perché I’ influsso del Dio adorato era più sensibile di ogni altro, e per questo il culto era durato varie centinaia d’ anni dopo la venuta di Cristo, questi altri fochi foron homini tutti contemplanti questi altri spiriti ardenti di carità furono uomini sommamente contemplativi accesi di quel caldo che fa nascere i fiori e i frueti santi lo Spirito Santo infonde grazia operante e cooperante, e così prod uce quel fiore e quel frutto de’quali si è discorso nel canto Il dell’inferno. quivie Macario antico eremita qui e Romoaldo fondatore dell’ordine Camaldolese quivi son li frati miei che dentro ai chiostri fermar li piedi e tener il cuor saldo qui sono i miei fratelli, che chiuserc’ ogni affetto umano nel chiostro, e furono sempre costanti nel proposito di santa contemplazione. Come il pesce muore fuori dell’acqua, così muore alla santità il monaco fuori della cella. et io a lui risposi I affecto che dimostri me- co parkzndo e la bona sembianza eh’ io veggio e noto in tutti li ardori vostri il singolare affetto che mi dimostri parlandomi, e l’aspetto di voi tutti ardenti di carità che io scorgo e distinguo cossi m a dilatata mia fidanza così mi ha reso coraggioso ed ardito come il sole fa la rosa quanto aperta tanto diven quani ella e di possanza ad apririni, come la rosa

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all’ ardore del Sole sì apre per quanto son grandi le foglie sue, ossia io presi di voi tale confidenza, quanto prendere ne poteva, e più non avrò timore di esservi, come prima molesto, nel ricercarvi. Pero ti prego e tu padre m accerta s io O88O prender tanta grazia eh io ti veggio con imagine 8coperta ti prego quindi o padre, se posso essere capace o meritevole di tanta grazia, che tu miti mostri nella vera tua sembianza. ond clii rispose o frate il tuo alto disio fratello, 1’ ardente tuo desiderio di vedermi a faccia scoperta 8 adempiera in su i ultima spera ove $ adempie tutti gli altri e I mio si compierà nel cielo empireo, dove tutti gli altri desidèri insiem col mio saranno appagati. ivi ee perfecta matura e intera ciascuna disianza ogni desiderio è ivi perfettamente, debitamente ed interamente adempiuto: in quella sola ce ogni parte la ove empr era in quella sola sfera le parti di essa non mutano mai luogo; ossia quella sola tra le altre sfere rimane immobile per- che non ce in kco non simpolaperchènonsi muove, non muta luogo, non ha poli intorno ai quali aggirarsi e nostra scala in/mo a essa varca e la nostra contemplazione giunge fino alla cognizione di Dio, onde cosi dal viso ti 8 invola il perchè ti si toglie dal cospetto, ossia non puoi arrivare col tuo intelletto al sommo di questa scala che poggia ai piedi di Dio. il Patriarca Iacob la vide porger la parte superna in/mn la su quando gli apparve si carca dangei il patriarca Giacobbe, quando gli apparve carica di angeli, la vide arrivare colla cima fino lassù. Giacobbe la vide in sogno mentre fuggiva 1’ ira del fratello Esau, che aveva frodato della eredità e benedizione paterna, ma per sauna mo nessun diparte da terra i piedi ma per salire questa scala ora nessuno solleva gli affetti

dalla terra. Dante però parla troppo largamente, percbè [p. 408 modifica]398

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anche oggi trova nsi monaci sotto l’abito e regola di san Benedetto che vivono santamente, come io stesso ne’ conobbi fra quei di monte Oliveto: ovvero dovrà ritenersi che san Benedetto abbia rispetto solo ai primi contemplativi, od al solo monte Cassino di cui qui si parla, e che ora è deserto; e la regola mia rimasa ee per danno de le carte e la mia regola che insegna a vivere religiosamente e nella divina contemplazione è rimasta nel mondo per consumare inutilmente la carta, ove si scrive e trascrive. Il rispettabile mio maestro Boccaccio da Certaldo, mentre girava per la Puglia, preso dalla celebrità del luogo. volle visitare il nobile monastero di Monte Cassino di cui si parla; e specialmente in desiderio di vedere la scelta libreria di quel luogo, chiese rimessamente ad un monaco, che in grazia gliela volesse aprire e mostrare. Quel monaco rozzamente lo prese per un braccio e gli mostrò la scala che conduceva alla biblioteca sempre aperta. Boccaccio con gran velocità montava, non parendogli d’ essere mai troppo presto per trovare il bramato tesoro, e giuntoalla sommità della scala trovò che la porta della biblioteca era non solo aperta, ma senza chiave, e sul limitare cresciuta l’erba; e l’erba era altissima sulle fenestre per trascuraggine collabenti e sempre aperte esse pure. I libri sparsi, e variamente svolti ed ammonticchiati sui panchi mostravano tutti il colore della polvere che erasi alzata su d’ essi per lungo tempoCompassionando a tanta jattura, si mise ad aprire ora questo ora quel volume, e trovò opere peregrine di peregrini autori con quinterni staccati, o stracciati, con margini o sporcati o tagliati, o con inchiostro deformati. Piangendo allora sulle fatiche e le veglie di tanti ingegni preclari venuti alle mani d’ uomini perduti, con dolore e con alti sospiri se ne parti: e

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ad altro frate che nel partire incontrò, richiese, perchè que’ preziosissimi volumi fossero in tal modo guasti e malconci: cui quel frate alcuni miei fratelli per bisogno han tagliati quinterni, e formati psalteri da vendere ai ragazzi, servendosi de’margini per fare brevi pei divoti. —Ora, o uomo di studio, suda, gela, astienti dal vino e dalle donne per comporre libri di scienze! Le mura che solean esser badia luogo d’uomini santi, perfetti, casa d’ orazione, badia son facie spelunche di ladri e te cocolle gli abiti e cappucci loro son sacca piene di farina ria sono sacchi ripieni d’ogni viziosa pravità, o sacchi pieni di farina tolta dai beni della Chiesa, e convertita nello sfogo di malvagie passioni, ma grave usura tanto non si tolte eontra i piacer di Dio quanto quello fructo che fa il cor de monaci si folte; ma non vi è colpa che tanto offenda Iddio quanto i redditi o frutti della Chiesa malamente dai monaci contro la Chiesa convertiti. L’usuraio è ladro, il monaco che converte i beni della chiesa ad altro uso contro di lei è sacrilego che quantunque la chiesa guarda tutto ee delta gente che per Dio domanda non di parenti ne d altro più brutto che quanto la Chiesa serba di avanzo, provveduto al necessario, tutto è di chi chiede la elemosina, è dei poveri, non dei parenti. Questo passo riguarda il così detto Nepotismo: e di certo in ciò non seguono le vestigia di Cristo, il quale non ebbe parenti che non fosser santi, somigliano essi le macchine che da vicino scagliano enormi massi, da lontano piccolissimi, la carne di mortali e tanto bianda tanto pieghevole che glu non basta bon cominciamento dal nascer della quercia al far la ghianda che nel mondo non basta aver bene incominciato se non si prosegue fino al frutto. Pier comincio il suo convento sanz oro e sanza argenki [p. 410 modifica]400 iawiso san Pier Damiano senz’ oro ed argento istituì I’ ordine della Colomba et io con oration e con digiuni ed io san Benedetto con orazioni e con digiuni e Francesco humilmenk il suo Convento e san Francesco fondò il suo convento coli, umiltà; e tu se riguardi I principio di ciascuno e se getti uno sguardo al principio dei detti conventi poscia riguardi La dove e trascorse e poi come precedettero i successori, e quelli di san Pier Damiano da poveri ricchi, ed i miei di san Benedetto da contemplativi voluttuosi, ed i fratti minori da umili superbi veramente Giordan volto e ritroso piu fu e I mar fuggir quando Dio volse mirabile a vedere che quil soccorso veramente fu più mirabile cosa vedere il Giorda• no volto all’indietro, o fuggire il mare, quando così volle • Iddio, che non sarebbe vedere qui il provvedimento a quel • male, che per colpa de’ traviati religiosi viene alla Chiesa di Dio. Quando il popolo d’ lsraello volgeva alla terra promessa, giunse al fiume Giordano, e le acque tornarono indietro verso la sorgente. — Mosè col popolo di Dio che aveva liberato dalla schiavitù di Faraone, giunse al mar rosso, e lo stesso mare si aprì, e le acque stettero sospese qual muro a destra e sinistra, finchè il popolo passò a piede asciutto. Sopraggiunse Faraone col numeroso suo esercito, ed entrando nello asciutto fondo del mare, quando tutte le genti eran già dentro, le acque tornarono al luogo abbandonato, e soffocarono e seppellirono lo stesso Faraone e l’esercito intero. I due miracoli furono contro le leggi di natura; ma punirnei malvagi è pur anche della umana giustizia. Cossi mi disse ci indi si racotse al suo collegio e i collegio si strinse: così mi disse san Benedetto, e si nascose fra i compagni dai quali erasi tolto, e tutti si strinsero insieme per

riascender la scala : poi come turbo in su tutto 8 avolse poi [p. 411 modifica]

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come vento turbinoso tutti si levarono in alto verso dell’ cmpireo dove hanno la vera br sede. Beatrice spinge Dante con essi all’ottava sfera. la bella donna detro a loro mi pinse con un solo cenno su per quella scala Beatrice amorosa mi spinse dietro a quelli spiriti con un moto del viso, che m’accennava di salire io pure per quella scala sì tanto sua virtu la scienza soprannaturale vinse la mia natura elevò, sublimò la mia natura per sè stessa incapace; ne mai si ratto moto nè mai così veloce movimento fu qua giu si vide ud mondo dove si monta e cala naturalmente dove si sale, o scende secondo le norme di gravità che uguaqliar si potesse a la mia ala che potesse uguagliarsi al mio volere, al mio desiderio, alla mia volontà, od al mio volo, che noi) uccello, non saetta, flOfl folgore son tanto veloci, come io fui per quella scala seguendo gli spiriti beati. O lector tu avresti intanto tracto e messo il dito nel fo- co O lettore, non avresti avuto tempo di mettere e togliere il dito dal fuoco in quanto io vidi I segno che segue 1 Tauro gìacchè più presto io vidi il segno di gemini che segue iunmediatamente il Tauro e fui dentro ad esso e mi trovai dentro al segno medesimo s io ritorni mai a quel divoto triunpho modo di giurare — se torni al cielo dove trovasi la Chiesa trionfante per lo quale iopian9o spesso le mie peccata e i pecto mi percuoto per cui io spesso piango i miei peccati, e faccio penitenza: Beatrice poi lo spinse verso della scala per esprimere che anche Dante per via di contemplazione aveva percorse tutte le sfere. o gloriose stelle o lume pregno di gran virtù dai qual io riconosco tutto qual che si sia I mio ingegno qui Dante descrive la sua nascita sotto i’ influsso di gemini ed apostrofa allo stesso segno. Il sole sorgeva in quel segno quando egli nacque, e dice in plurale stelle perchè gemini

Vo!. 3. [p. 412 modifica]402

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è segno doppio. —--O Gernini di tanto influsso, da cui tutto l’ingegno che ho, qualunque sia, riconòsco con voi nasceva e s ascondeva vosco quegli che e padre (1 ogni mortal vita il sole, generatore di ogni virtù mortale, nasceva e cadeva con gemini quando io sentii da prima i acre Tosco quando dall’utero materno venni alla luce in Fiorenza. Cusì Dante fa conoscere eh’ era persuaso doversi attribuire alle cause seconde l’influsso per l’attitudine alle scienze, imperocchè clii nasce sotto Geminì è naturalmente ingegnoso, più poi quando il sole, che è il dio de’ sapienti, trovasi in quel segno. poi quando mi fu gratia largita d intrar ne £ alta rota che vi gira e poi quando per divina grazia mi fu concesso di entrare nell’ottava sfera, che contiene in sè le altre tutte la nostra region mi fu sortita fui graziato di scorrere questa parte in cui vi trovate. Se dunque siete segno di tanta virtù sotto 1’ influsso (lei quale venni al mondo, ed ascesi al cielo a voi divota7nente ora sospira I anima mia per acquisiar virtute devota I’ anima mia vi supplica di accordarie tanto potere che basti al passo forte che a se la lira alla difficile impresa di descrivere il ciclo empireo, di favellare della Trinità, e della unione della natura divina colla umana. Beatrice comintio: tu se si presso a i uiti,na salute tu sei tanto vicino all’ Empireo, ultimo e più alto luogo di saivazione che tu dci avere le luci tue chiare ci acute che devi avere 1’ intelletto illuminato e capace e pero prima che tu pit unici e quindi prima clic più entri in (letta salute rimira in gìu guarda abbasso e vedi quanto mondo sotto li piedi gia esser ti fei e vedi quanto ti allontanasti dal mondo, e quante sfere lasciasti sotto di te, si che il tuo cor quaiuunche p0 iocundo s appresenti a la turba triouphante siediè

il tuo cuore Si presenti colla letizia maggiore che puoi [p. 413 modifica]

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XXII.

avere alla Chiesa trionfante che lieta vien in questo etera tondo che viene festante per questo etereo rotondo tratto, per questo cielo. col viso ritornai per tutte quante le sette spere io volsi gli occhi a tutte quante le sfere sottoposte, da Saturno fino alla luna e vidi questo globo tale eh io sorrise del suo vil sembiante e vidi questa terra abitata dagli uomini così piccola che del vile suo aspetto mi risi, e quel consiglio per migliore approbo che I a per meno e giudico di più senno chi men la stima e chi ad altro pensa chiamar si puote veramente probo e chi volge altrove i suoi pensieri, cioè al cielo, può dirsi con verità uomo retto e sapiente. Vidi la figlia di Latona incensa sanza quel ombra che mi fu cagione perche gia la credetti rara e densa vidi la luna senza quelle macchie che io credetti derivare dal raro e denso, e ch’ esso si sforzò d’ impugnare nel canto Il. o Iperione quivi sostenni I aspecto del tuo nato e vidi come si move circa e vicino a lui Maia e Dione quivi, o Iperione, pel vigore novello della mia virtù visiva, gli occhi miei ebbero forza di sostenere la luce del sole tuo figliuolo, e vidi com’egli move intorno Mala la figliuola di Atlante e madre di Mercurio, e qui si prende per lo stesso pianeta di Mercurio. Dione poi fu madre di Venere, e si prende per lo stesso pianeta di Venere: quindi mi apparve il temperare di Giove tra 1 Padre e I Figlio Giove nel mezzo di Marte e Saturno, tempera l’uno e l’altro, perchè caldo ed umido, mentre Saturno è freddo, e Marte, secco ossia vidi il temperato pianeta (li Giove tra il pianeta di Saturno e quel di Marte e quindi mi / chiaro il variai’ che fanno di br dove e quindi scoprii, o conobbi chiaramente i cambiamenti del luogo loro, ora più ora meno distanti dal sole, ed ora innanzi ora dietro di lui c luttisepte mi si dimoDigitized

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straron quanto son grandi e quanto son veloci e tutti mi mostrarono la loro grandezza e velocità. La luna percorre Io zodiaco in un mese, Mercurio, Venere, ed il Sole in un anno: Marte in due: Giove in dodici: Saturno in trent’anni e come sono in distante riparo e come sono riparati e difesi I’ uno dall’altro a una giusta distanza. L aiolla il globo terrestre, la piccol aia che ci fa tanto feroci tanto superbi tutta m apparve da colli alle foci dalle montagne ai mari, volqendom io con li eterni Gemelli girando io nel segno di gemini o dei due gemelli — Castore e Poi. luce, nati ad un parto; poscia rivolsi gli occhi agli occhi belli poscia mi volsi a guardare gli occhi di Beatrice per sapere quel che dovessi fare. Molto giova il confronto delle cose inferiori tanto vili e spregevoli colle superne e celesti. N.B. Ne’versi 139 140 141. Moslra Dante di avere errato quando cagione delle macchie lunari aveva ritenuto il raro e denso, ed avve— dutosi di non aver colto nel segno si corregge.

I,. / [p. 415 modifica]

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XXIII.

TKSTO MOhKHN() Come l’augello, intra l’amate fronde Posato al nido de’ suoi dolci nati La notte che le cose ci nasconde, 3 Che per veder gli aspetti desiati, E per trovar lo cibo onde li pasca, in che gravi labori gli son grati, 6 Previene il tempo in su l’aperta frasca, E con ardente affetto il Sole aspetta, Fiso guardando pur che l’alba nasca; 9 Così la Donna mia si stava eretta, E attenta, rivolta in ver la piaga, Sotto la quale il Sol mostra men fretta; 12 Sì che, veggendoia io sospesa e vaga, Fecemi quale è quei, che disiando Altro vorria, e sperando si appaga. Ma poco fu tra uno e altro quando; Dei mio attender, dico, e del vedere Lo Ciel venir più e più rischiarando. IS E Beatrice disse: ecco le schiere Del trionfo tu Cristo, e tutto il frutto Ricolto del girar di queste spere. Pareami che il suo viso ardesse tutto, E gli occhi avea di letizia sì pieni, Che passai’ mi convien senza costrutto. [p. 416 modifica]PAIADISO Quale nei plenilunii sct.eni Trivia ride tra le ninfe eterne, Che dipingono il del per tutti i seni, Vitl’io sopra migliaia di lucerne Un Sol, che tutte quante le accemlea, Come fa il nostro le viste smiperne: E per la viva luce trasparea La lucente sustanza tanto chiara Nel viso mio, che non la sostenea. O Beatrice, dolce guida e cara! Ella mi disse: quel che ti sovratiza È virttì da cui nulla si ripara. Quivi ò la sapienza, e la possanza Che aprì le strade tra il Cielo e la Terra, Onde fu giù sì lunga desianza. 59 Come fuoco di nube si disserra Per dilatarsi sì che non vi cape, E fuor di sua natura in giù s’atterra; Così la mente mia, tra quelle dape Fatta più grande, di sè stessa uscio, E che si fesse rimembrar non sape. Apri gli occhi e riguarda: qual sono io: Tu hai vedute cose, che possente Sei fatto a sostener lo riso mio. lo era come quei che si risente Di visione obblita, e che s’ ingegna Indarno di ridurlasi alla mente, Quando io udii questa profferta, degna Di tanto grado, che mai non si stingue Dcl libro che il prelerito rassegna.

Se mo sotiasser tutte quelle lingue, [p. 417 modifica]

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Che Polinnìa con le suore fero Del latte br dolcissimo piè pingue, Per aiutarmi, al millesino dcl vero Non sì verria, cantando il santo riso, E quanto il santo aspetto facea mero. E così, flgurando il Paradiso, Convien saltare il sacrato poema, Come chi trova suo cammin reciso. Ma chi pensasse il ponderoso tema, E l’omero mortal che se ne carca, Noi biasmerebbe, se sotto esso trema. 66 Noii è pareggio da picciola barca Quel che fendendo va l’ardua prora, Nt da nocchier ch’ a sè inedesmo parca. () Perché la faccia mia sì t’ innamora, Che tu non Li rivolgi al bel giardino, Clic sotto i raggi dì Cristo s’ infiora? 72 Quivi è la rosa, in che il Verbo Divino Carne si fece: quivi son li gigli, Al cui odor s’apprese il buon cammino. 7ì Così Beatrice: e io, che a’suoi consigli Tutto era pronto, ancora mi rendei Alla battaglia dei debili cigli. 78 Come a raggio di sol, che puro mci Per fratta nube, già prato dì fiori Vider coperto d’ ombra gli occhi miei; SI Vidi io così più turpe dì splendori Fulgurati di su da raggi ardenti, Senza veder principio di fulgori. O benigna virtù clic sì li impreuti,

Su t’esaltasti per largirini loco [p. 418 modifica]408

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Agli occhi lì che non cran poSsenti 87 Il nome del bel fior, cli’ io sempre invoco E mane e sera, tutLo mi ristrinse L’animo ad avvisar Io maggior foco. 90 E come ambo le luci mi dipinse Il quale e il quanto della viva stella, Che lassù vince, come quaggiù vinse, 93 Per entro il cielo scese una facella Formata in cerchio a guisa di corona, E cinsela, e girossi intorno a ella. 96 Qualunque melodia più dolce suona Quaggiù, e più a sè l’anima Lira, Parrebbe nube che squarciata tuona, 99 Comparata al sonar di quella lira, Onde si coronava il bel zaffiro, Del quale il del più chiaro s’ inzaffira. 10 lo sono amore angelico, clic giro L’alta letizia che spira del ventre, Che fu albergo del nostro desiro: l0i E girerommi, Donna del Ciel, mentre Che seguirai tuo Figlio, e farai dia Più la spera suprema, perché gli entre. 108 Così la circulata melodia Si sigillava, e Lutti gli altri lumi Facean sonar lo nome di Maria, I I I Lo real manto di Lutti i volumi Del mondo, che più ferve e più s’avviva Nell’alito di Dio e nei costumi, 114 Avea sopra di noi l’interna riva Tanto distante, che la sua parvenza

Là, dove io era, ancor non mi appariva: 117 [p. 419 modifica]

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XXIII 409

Però 1101) ebber gli occhi miei potenza Di seguitar la coronata fiamma, Che si levò appresso sua semenza. 120 E come fantolin, che ver la mamma Tende le braccia poi che il latte prese, Per I’ animo che in fin di fuor s’ infiamma, 123 Ciascun di quei candori in su si stese Con la sua cima sì, che l’alto affetto, Che avevano a Maria, mi fu palese. 126 Indi rimaser lì nel mio cospetto, Regina ca1i cantando sì dolce, Che mai da me non si partì il diletto. 129 Oli quanta è 1’ ubertà che si soffolce In quell’ arche ricchissime, che foro A seminar quaggitì buone bobolce! 13 Quivi si vive e gode del tesoro, Che s’acquistò piangendo nell’esilio Di Babilonia, ove si lasciò l’oro 133 Quivi trionfa, sotto l’alto Filio Di Dio e di Maria, di sua vittoria, E con l’antico e col nuovo concilio Colui, che tien le chiavi di tal gloria. 139 COMMENTO Dl BENVENUTO Trionfo di Cristo. Si divide il canto in quattro parti. Nella prima, Beatrice dispone Dante a vedere il trionfo di Cristo. Nella seconda, mostrasi il capo e duce della schiera. Nella terza, descrizione della milizia. Nella quarta, nona sfera. Come l’uccello che ha nido nascosto, si affanna pci cibo a’ SUOI implumi , e s’alza prima dcl giorno, e guarda verso oriente

aspettando il sole che Io rischiari a provvetJerlo , così [p. 420 modifica]410

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Beatrice volta all’oriente aspettava la comparsa dell’eterno Sole, per provvedere Dante di cibo spirituale, la donna mia stava erecta ct attenta Beatrice stava dritta ed attenta rivolta in ver la piaga sotto la quale il sol mostra men fretta rivolta verso la parte media del cielo, nella quale il girare del sole sembra più lento cosi come I ausel posato al nido de suoi dolci nati come I’ uccello fermo al nido de’ suoi dolci figli la notte che le cose ci nasconde in tempo di notte mira le amate fronde tra le fronde in cui nasconde il nido che prevene il tempo in su i aperta frasca prima di giorno sorge dal nido e si mostra sugli aperti rami per veder gli aspecti disiali per desio di vedere i suoi pulcini amali ci per trovar lo cibo onde li pasca e per poter trovare il cibo da pascerli in che gravi labori gli son grati PCI’ CUI le più gravi fatiche gli riescono grate; ci con ardente affecto il sole aspecta e coli’ ansia del desiderio aspetta il sorger del sole fizo guardando pur se lalba nasca guardando fisamente se l’alba si mostri si che veggiendola io sospesa e vaga sicché vedendola io così sospesa, e vogliosa di guardare fecimi quale e quei che disiande altro vorria e sperando s appaga restai quieto e pago colla speranza che tien luogo della cosa; ma poco fu ira i uno e 1 altro quando ma corse poco tempo tra 1’ attendere e vedere de mio attendere dico e de vedere che il cielo sempre più si rischiarasse lo ciel venir piu e piu rischiarando. E Beatrice disse: ecco le schiere del triunpho di Gristo e tutto il frutto ricolto dei girare di queste spere ecco le schierede’Santì cdi Maria Vergine guidate da Gesù Cristo, le quali menano trionfo della vittoria che in vari modi riportarono nelle guerre di fede nei mondo. Ed il trionfo si mena nell’ olLava sfera dove son riunite le virtù che si dispensano ai pianeti inferiori: ecco tutto il frutto raccolto delle benefiche inDigitized

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XXIII. t1

fluenze di queste sfere circolanti. Queste schiere sono composte di vergini dalla luna; degli spiriti attivi di Mercurio; degli amorosi di Venere; de’ dottori del sole; de guerrieri di Marte; de’principi e sovrani di Giove; de’ contemplativi di Saturno: raccolti intorno al sommo duce ed imperatore trionfano di loro vittorie. pareami che I suo viso ardesse lutto mi parea che il volto di Beatrice ardesse e gli occhi avea si pieni di letitia che passar mi convien senza constructo e mostrava negli occhi tanta letizia, che non caverei costrutto alcuno se tentassi descriverla. Qual nei pleniluniz sereni quando la luna è piena, ed a ciel sereno Trivia ride tra le ninfe eterne Diana ride tra le stelle: Diana chiamasi trivia da tre virtù che le danno tre diversi nomi—Luna, Diana, Proserpina,—e pei tempi diversi — incremento, stato, e diminuzione -— che dipingon lo ciel per tutti i seni quali ninfe adornìno il cielo in ogni parte; così vidi un sole Cristo sopra migliaia di lucerne sopra immensa moltitudine di anime spiendienti che tutte quante I accendeva quel sole tutte le irradiava come fa il nostro le viste superne come fa il nostro sole sensibile che illumina le stelle, e gli altri corpi celesti, ovvero come il sole illumina le sfere, così Cristo le schiere de’ beati che ebbero I’ influsso de’ pianeti. e la lucente substantia e I’ umanità santissima di Gesù transpareva traluceva, trasparia per la viva luce di Cristo tanto chiara nel mio viso tanto lucida agli occhi miei che non Sa sostenea che non poteano sostenerla, allegoricamente perché 1’ umano intelletto non basta a comprendere la natura ed essenza di Cristo. O Beatrice dolce guida e cara! esclamai quindi, o Beatrice mia dolce guida, quante niaraviglie mi fai vedere! ella mi disse quel che ti sobrancia quello clic sopravanza la tua [p. 422 modifica]412 PARAI)ISO vista ee virtu è il figlio di Dio da cui nulla si ripara clic vince ogni intelletto. quivi e la sapientia e la possanza egli è l’onnisciente, l’onnipotente che apri la strada Ira £ eieloe la terra chiusa pel peccato del primo padre onde fu gia si bnga disianza del quale aprimento di strada fu sì lungo desid rio fra i santi padri per tante migliaia d’ anni, come si ha da lsaia e dal re David. la mente mia faeta più grande usci di se stessa la mente mia superò sè stessa ovvero uscì fuori di sè stessa e rimembrar non sape che si fesse e non può ricordare che avvenne tra quelle dape tra quelle delizie di Paradiso si come focosi disserra di nube per dilatarsi si che non vi cape al pari del fuoco che scappa da nube che non è capace a conienerlo e fuor di sua natura il fuoco naturalmente tendendo all’ insiì giu s atterra si sparge verso terra. La mente di Dante alzata dalla terra al cielo del seggio dell’ eterno Sole, chiusa nella nube della carne viene esaltata oltre la sua natura, e non potendo contenerlo, quel raggio o foco di nube, si dilata e fugge verso terra. apri gli occhi e riguarda apri gli occhi e guardami di nuovo qual son io? come sono ora? tu hai vedute cose che se facto possente a sostener lo riso mio avendo visto Cristo, ora sei divenuto capace di sostenere la mia letizia, che prima non potevi. Io era come quei che si risente svegliato che sia di visione oblita di sogno dimenticato che s ingegna indarno di ridurlasi alla mente che indarno si affatica di richiamare a memoria. Vogliono alcuni riferire la visione piuttosto a Beatrice che a Cristo, ma io ritengo più a quest’ultimo che all’altra. Quando io udi questa proferta degna di tanto grado quando Beatrice disse apri gli occhi profferta degna di tanta gratitudine che mai non si stingue de libro che I preterito rasi-

gnu mai noti si caticellarà dalla memoria clic fa conserva delle [p. 423 modifica]

canto
XXIII. 443

cose passate: non si verria al milliesmo del vero non si arriverebbe alla millesima parte di vero cantando il saneto riso descrivendo la santa letizia e quanto il sancto aspecto e quanto il santo viso di Beatrice [acea mero facea puro si mo sonasser tutte quelle lingue che Polzmnia con le sorore [ero del latte br dokissimo piu pingue se ora cantassero tutti quei poeti, che Polinnia, con le muse fecero pitì pingui del br dolcissimo latte per aiutarmi in mio aiuto. Dante chiama le muse sorelle a Polinnia sì perché si dicono venute dagli stessi genitori, sì perchè tutte le scienze sono insieme legate. Usa del latte per figurare la scienza poetica, perché essa prima si offre ai giovani secondo Macrobio, sant’Agostino e Virgilio; anche poi per significare che la bellezza e profondità della teologia massimamente consiste nell’ Incarnazione del Verbo. e cossi figurando il Paradiso lo sacrato Poema convien saltare come chi trova suo cammin reciso e così come feci del riso di Beatrice, conviene cF il sacrato Poema, mentre va descrivendo il Paradiso, salti, trapassi molte cose indescrivibili, come l’uomo che viaggia deve saltare, quando trova rotta la strada. ma chi pensasse il ponderoso thema il profondo e grave argomento dell’essenza di Gesù Cristo e I umero mortal che se ne carca e se considerasse che io mortale assumo argomento di cosa immortale noi biasimarebbe non avrebbe ragione di biasimano se sott esso trema se vacilla sotto del peso (li così grave materia, non ce paregio di pichola barca non è prova di piccola barca questa che io vado arditamente tentando quel che fendendo va I ardua prora e non è propria ne da nocchier che a se medesimo parca di nocchiero che tema naufragio, e per sua salvezza non azzardi entrare in allo mare. Come sono indispensabili buon legno e valente nocDigitized

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cli icro in alLo mare, cosi è necessario molto ingegno, e capace poeta a trattare sublime argomenio. Perche la faccia mia I innamora che tu non ti rivolgi al bei giardino, che sotto i raggi di Grislo s infiora? ma perchè, disse Beatrice a Dante, non ti volgi, troppo Innamorato de’ miei occhi, al bel coro de’beati; al bel giardino, cbe ha fiori fioriti solto i raggi della grazia divina, o del sole etemo? quivi ce la rosa in che il verbo divino carne si fece tra quei lumi ardenti, o in quel giardino, trovasi la mistica rosa, Maria Vergine, in cui il figlio di Dio prese umana carne: qui son li gigli al cui odore si prese il bon cammino quivi sono i gigli più odorosi di quel giardino i santi apostoli, martiri e confessori: e nel giglio distinguonsi tre cose — bianchezza fuori, rossezza dentro, odore che emana dall’ una e dall’ altra. — La bianchezza indica purità, la rossezza carità, l’odore la fama — ; all’odore de’quai gigli ossia alle Predicazioni, orazioni, miracoli, si apcrsoJa via del Paradiso, come si disse nel Purgatorio canto XXI1 — gia era il mondo tutto quanto pregno ecc. Cossi Beatrice così disse a me Beatrice, io che ai suoi consigli Lutto era pronto ancora mi rendei a la battaglia dei debiti cigli ed io ubbidiente e pronto volsi gli occhi a quelli spiriti beati, quali occhi prima erano indeboliti dalla vista di Cristo, e dovevano risentirsi dal nuovo splendore. Vid io piu turbe di splendori molte schiere d’ anime splendienti fulgurati di su de raggi ardenti colpiti dai raggi dall’alto dell’ eterno Sole senza veder principio di fulgori senza vedere donde tali raggi venissero cossi come a raggio di sole che puro mci per fracla nube come raggio di sole che sorta da nube rotta e trapassi schietto gli occhi miei vider prato di fiori gia coperto d ombra come il Poeta qualche volta

Vi(lC in prato fiorito battere uno schietto raggio di sole clic [p. 425 modifica]

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XXIII. 41

trapassa da nul)e rotta senza vedere il sole, così ora scorgeva i raggi piovere dall’alto su quelle schiere, e non vedeva il sole donde i raggi piovevano su d’ esse, ossia non vedeva N. S. Gesù Cristo, o benigna virtu che si I imprenhi o benefico influsso che tanto illumini quelle schiere! su t exaltasti per kzrgirne loco agli occhi li che non erano possenti tu ti tenesti a tanta altezza perchè gli occhi miei potessero aver campo di sostener tanta luce. Quanto è più lontano la luce offusca meno, e la vicinanza di Gesù Cristo gli avrebbe tolto di vedere la Beata Vergine, gli apostoli,e gli altri beati spiriti delle schiere. Il nome del bel fiore della rosa mistica, cli Maria Vergine, che come la rosa è la più bella de’ fiori, e questa è la più bella delle vergini ch io sempre invoco e mane e sera che mattina e sera sempre invoco per mia singolar devozione mi strinse i animo ad avisar io maior foco mi colpì nell’ animo più che a veder tutti gli altri, perché essa portò il Sole eterno, e perché sola tra quei beati ora sta nella sua carne. come ambo le luci mi dipinse il quale e i quanto de la viva stella che lassu vince come quagiu vinse e come ad ambedue gli occhi miei si fecero manifesti la qualità, lo splendore, la quantità e l’estensione della viva stella che in cielo vince nello splendore tutti i beati, come in terra vinse tutti nelle virtù una facella un angelo ardente formata in cerchio che volgendosi in giro velocemente formava un cerchio a guisa di corona della forma di una corona scese per entro i celo discese dal cielo e cinscla e girossi intorno ad Ella e mise dentro al suo cerchio Maria. Dante flgnraamente ci dice, che l’angelo che annunziò l’incarnazionedel Verbo esaltò la beata Vergine su lutti i cieli, e la collocò presso del figlio dcli’ eterno Padre- Maria è la stella del mattino, e come più vicina all’ eterno Sole, più luce (la lui riceve; quindi nell’ Apocalisse si rhiama (bnDigitized

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na che ha il sole e la luna sotto de’piedi,ed il capo coronato di dodici stelle — qualunche melodia piu dolce sona qua fJiU e più a se I anima lira ogni melodia che si oda nel mondo più soave, e più attraente parrebbe nube che squarciata lona parrebbe tuono che scoppia da nube squarciata comparata al sonare di quella lira confrontata colle parole o canto di quell, angelo ch’ è lira celeste onde si coronava il bel zaffiro del qual il cel s inzaphira del quale si ornava Maria che forma la più bella gerrirna di quel purissimo cielo. Io sono amore angelico che giro I alta letitia che spira • del ventre che fu albergo del nostro disiro io sono angelo • pieno di amore, che spiego, girando intorno a te, o gran Donna, l’alta letizia che a noi venne dal tuo santo grembo, il quale fu albergo del Redentore da noi tanto desiderato. el girarommi o donna del cicl, mentre che seguirai tuo figlio e farai dia piu la spera suprema perche gli entre e mi aggirerò intorno a Le, o Regina della corte beata, finchè seguirai tuo Figlio, e farai più risplendente il cielo empireo per lo tuo • entrare in esso. Cossi la circulata melodia si sigillava così quella melodia, che usciva dalla facella che si moveva in giro, terminava e lutti gli altri lumi facean sonar il nome di Maria e tutti gli altri spiriti beati cantavano il nome di Maria con vari e diversi attributi. lo real manto di tutti volumi del mondo il prjmo mobile, ch’ è il inanto o coperta delle altre sfere che piu ferve e piu s avviva ch’ è cielo di fiamma o luminoso, più divino degli altri tutti il quale si ravviva nell habito di Dio e di costumi dallo Spirito Santo, e dall’esercizio delle virtù. 14a nona sfera è come il primo ministro di corte che riceve ogni potere direttamente da Dio, e lo distribuisce ad ogni sfera

inferiore avea i interna riva la parte concava di essa sfera [p. 427 modifica]

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XXIII. 417

nona: la parte interna di un globo chiamasi concava, la parte esterna convessa, come in una cipolla tanto distante tanto lontana da noi che la sua parvenza ancor non appariva la dove io era che non si poteva vedere dalla sfera ottava in cui io mi trovava; pero non ebber gli occhi miei potentia di seguitar la coronata fiamma che si levo presso a sua sementa quindi gli occhi miei non furono capaci di seguitare Maria coronata dal cerchio veloce dell’ angelo, la quale si alzò vici na al suo divino Figlio. Maria non ebbe influsso di cielo, come gli altri beati che rimasero nell’ ottava sfera. Ciascun di que cantori si stese in su con la sua cima si ciascuna di quelle anime beate si alzò volgendo tanto la cima della loro fiammella chemi fu palese tatto affecto ch elli aviano a Maria che vidi chiaramente quanto affetto portavano a Maria. Tutti gli uomini dovrebbero avere singolar devozione a Maria Vergine, ed alzando a lei le braccia supplicarla, che qual madre amorosa, madre di grazie, madre di misericordia ci proteggesse in ogni pericolo, e ci assistesse in punto di morte. Quegli spiriti rimasti nell’ ottava sfera come fantolin che ver la mamma tende le braccia poi che lacie prese con la mano che in fin di fuori s infiamma fecero inverso di Maria, come il bambino, che sazio di latte, stende le tenerelle braccia verso della mamma per 1’ istinto che si palesa vivo fino nell’ e- sterno, ossia per l’amore che fuori dell’animo si appalesa, quasi fiamma negli atti; indi rimaser li nel mio cospecto can- - tando si dolce Regina celi che mai da mi non si parti il dilecto poscia quegli spiriti beati restarono con me nell’ottava sfera cantando così dolcemente — Regina Coeli latare alleluia — antifona del tempo pasquale — che la dolcezza ancor dentro mi suona. oh quanta ce I uberla che si soffolce in quelle arche richissime che fuoron a seminar qua giu bone boRAMBAI ,DI — Voi. . [p. 428 modifica]418 PARADiSO • bolce! Oh quanta è la raccolta dì premio che si sostiene da quegli splendori che in sè ricevono la beatitudine, quali fu.. • rono buoni aratori e seminatori in terra delle viritì cristiane! Bobolco è il conduttore de’ buoi. Quivi si vide e gode dei tesoro che $ acquisto piangendo nell ezilio di Babilon ov clii lascio loro Quivi in Paradiso si gode dalle anime quel tesoro, che fu da loro conquistato coi patimenti e col pianto in questo mortale esilio, ove si rinunziò alle ricchezze: quivi triumpha sotto I alto Figlio di Dio e di Maria di sua vietoria e con 1 antico e col novo concilio quivi col Figliuolo di Dio e di Maria trionfa ogni anima beata • (li sua vittoria in compagnia degli altri Beati del vecchio e del nuovo Testamento colui che Iene le chiavi di tal gloria san Pietro che tiene le chiavi del regno celeste. Niuno puòentrare in Paradiso se non per mano della Chiesa santa, la cui prima pietra fu san Pietro. Oh sia che noi facciamo parte di quel concilio!

N. B. Ne’vri 40 41 4 Danie siiega come si fornii il fulnhifte. [p. 429 modifica]

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XXIV.

T1STO MODKRN() O Sodalizio eletto alla gran cena Dei benedetto Agnello, il qual vi ciba Sì, che la vostra voglia è sempre piena; 5 Se per grazia di Dio questi preliba Di quel che cade della vostra mensa, Anzi che morte tempo gli prescriba, Ponete mente alla sua voglia immensa, E roratelo alquanto: voi bevete Sempre del fonte onde vien quei ch’ ei pensa 9 Così Beatrice: e quelle anime liete Si fero spere sopra fissi poi1, Fiammando forte a guisa di comete. 12 E, come cerchi in tempra d’oriuoli Si giran sì, che il primo, a chi pon mente Quieto pare, e l’ultimo che voli; Così quelle carole diITerente mente danzando della sua ricchezza Mi si facean stimar veloci e lente. 18 Di quella, ch’io notai di più bellezza, Vidi io uscire un foco sì felice, Che nullo vi lasciò di piiì chiarezza; E tre fiate intorno a Beatrice Si volse con un canto tanto divo,

Che la mia fantasia noI mi ridice, 21E [p. 430 modifica]420

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Però salta la penna, e non lo scrivo: Chè l’immaginar nostro a cotai pieghe, Non che il parlare, è troppo color vivo. O santa suora mia, che sì ne preghe Devota per lo tuo ardente affetto, Da quella bella spera mi disleghe: Poscia, fermato il foco benedetto, Alla mia donna dirizzò lo spiro, Che favellò così, come io ho detto. Ed ella: o luce eterna del gran viro, A cui nostro Signor lasciò le chiavi, Che portò giù, di questo gaudio miro, 36 Tenta costui de’ punti lievi e gravi, Come ti piace, intorno della Fede, Per la qual tu su per lo mare andavi. 39 S’egli ama bene, e bene spera, e crede, Non t’è occulto, perché il viso hai quivi, Ove ogni cosa dipinta si vede. Ma, perché questo regno ha fatto civi Per la verace Fede, a gloriarla Di lei parlare è buon che a lui arrivi. Sì come il baccellier s’ arma, e non parla Fin che il maestro la quistion propone, Per approvarla, non per terminarla. Così m’armava io d’ ogni ragione, Mentre clì’ella dicea, per esser presto A tal qucrente e a tal professione. Di’, buon Cristiano, fatti manifesto: Fede che è? onde io levai la fronte In quella luce onde spirava questo. Poi mi volsi a Beatrice; e quella pronte


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XXIV.

Seinbianze feinmi, perchè io spandessi L’acqua di fuor del mio interno fonte. La grazia che mi dà ch’io mi confessi, Cominciai io, dall’ alto primipilo, Faccia li miei concetti essere espressi. 60 E seguitai: come il verace stilo Ne scrisse, padre, del tuo caro frate, Che mise Roma teco nel buon filo, 63 Fede è sustanza di cose sperate, E argomento delle non parventi: E questa pare a me sua quiditate. 66 Allora udii: dirittamente senti, Se bene inLendi, perchè la ripose, Tra le sustanze, e poi tra gli argomenti. 69 E io appresso: le profonde cose, Che mi largiscon qui la br parvenza, Agli occhi di laggiù son sì nascose, 72 Che l’esser loro v’è in sola credenza, Sopra la qual si fonda l’alta spene: E però di sustanza prende intenza. 7 E da questa credenza ci conviene Sillogizzar senza avere altra vista: Però intenza di argomento tiene. 78 Allora udii: se quantunque s’acquista Giù per dottrina fosse così inteso, Non v’avria luogo ingegno di sofista. 81 Così spirò da quell’amore acceso; Indi soggiunse: assai bene è trascorsa D’esta moneta già la lega e il peso; 8 Ia dimmi se tu 1’ hai nella tua borsa.

E io: sì, l’ho sì lucida e sì tonda, [p. 432 modifica]422

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Che nel suo conio nulla mi s’inforsa. S7 Appresso uscì della luce profonda, Che lì splendeva: questa cara gioia, Sopra la quale ogni virtù si fonda, 90 Onde Li venne? e io: la larga plola Dello Spirito Santo, ch’è diffusa in su le vecchie, e in su le nuove cuoia, 93 É sillogismo, che la mi ha conchiusa Acutamente Ì: che in verso d’ella Ogni dimostrazion mi pare ottusa. 96 lo udii poi: l’antica e la novella Proposizione che sì ti conchiude, Perchè I’ hai tu per divina favella? 99 E io: la prova che il ver mi dischiude, Son l’opere seguite, a che natura Non scaldò ferro nìai, nè battè ancude. lO Risposto fummi: di’, chi L’assicura, Che quell’ opere fosser? quel medesmo Che vuoi provarsi, non altri, liti giura. los Se il mondo si rivolse ai Cristianesmo, Diss’io, senza miracoii, quest’ uno É tal, che gli altri non sono il centesmo: 108 Che tu entrasti povero e digiuno in campo a seminar la buona pianta, Che fu già vite e ora è fatta pruno. III Finito questo, l’alta Corte santa Risonò per le spere: un Dio lodiamo, Neila meiode che lassù si canta. I I E quel Baron, che si di ramo in ranio, Esaminando, già tratto m’avea, Che all’ ultime fronde appressavamo, 117

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XXIV. 3’25

Ricominciò: la grazia che donnea Con la tua mente, la bocca L’aperse lnsino a qui, come aprir si dovea; l’20 Si eh’ io approvo ciò che fuori emerse: Ma or conviene esprimer quel che credi, E onde alla credenza tua s’ offerse. 123 O santo padre, o spirito, che vedi Ciò che credesti sì, che tu vincesti Ver lo sepolcro più giovani piedi, 12( Cominciai io, tu vuoi ch’io manifesti La forma qui del pronto creder mio, E anche la cagion di lui chiedesti. 129 E io rispondo: io credo in uno Iddio Solo ed eterno, che LuLLo il Ciel muove, Non moto, con amore e con desio; 132 E a tal creder non ho io pur prove Fisiche e metafisiche; ma dalmi Anche la verità che quinci piove 15i Per Moisè, per profeti, e per salmi, Per l’evangelio, e per voi, che scriveste, Poi che l’ardente Spirto vi fece almi. 138 E credo in tre persone eterne, e queste Credo una essenza sì una, e sì trina, Che soffera iongiunto sunt et esie. 141 Della profonda condizion divina, Ch’io tocco mo, la mente mi sigilla Più volte l’evangelica dottrina. 144 Questo è il principio: questa è la favilla Clic si dilata in fiamma poi vivace, E, come stella in Cielo, in me sintilla. 167

Come il signor clic ascolta quel che piace, [p. 434 modifica]424

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Da indi abbraccia il servo, gratulando Per la novella, tosto ch’ei si tace; li0 Così benedicendomi cantando Tre volte cinse me, sì come io tacqui, L’apostolico lume, al cui comando lo avea detto; sì nel dir gli piacqui. COMMENTO DI BENVENUTO Fede, Speranza e Carità. Il canto si divide in quattro partì. Nella prima, discorso di Beatrice agli apostoli. Nella seconda, san Pietro interroga Dante sulla fede. Nella terza, trattazione di alire cose pertinenti alla fede. Nella quarta, si ricerca il Poeta come e perchè creda. O Sodalitio eleclo alla gran cena del benedetto Agnello o beata compagnia eletta alla gran cena di nostro Signor Gesù Cristo, che per redimere il genere umano fu immolato quale agnello innocente il quale vi ciba si quale agnello vi ciba in maniera che non avete mai più a desiderare cosa alcuna che la vostra voglia e sempre piena allegoricamente. — O partecipi della beatitudine del Paradiso, la quale Dio dispensa così che non avete mai cosa alcuna a desiderare se questi preliba se Dante pregusta di quel che cade da la vostra mensa di quello che viene dalla dottrina degli apostoli, pria che morte li prescriva tempo prima che morte gli tolga il tempo per grazia di Dio per ispeciale favore di divina grazia ponete mente all affection immensa all’ardente di lui desiderio di conoscere le vostre dottrine e roratelo akiuanto e spargete sopra di lui alcun poco di rugiada, ossia confortatelo ad illuminare il suo intelletto: voi bevete sempre del fonte onde viemi quello eh el pensa voi bevete sempre dell’acqua di grazia divina

donde nasce il suo desiderio. cossi Beatricedissee quelle [p. 435 modifica]

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XXIV.

anime liete si feron spere si fecero circoli sopra fizi poli sopra poli fissi, ossia cominciarono a ruotare quasi sfere su perni fissi fiammando volte a guisa di comete gettando da sè lunghi raggi come le comete. e quelle carote e quei luminosi cerchi di spiriti circolanti Carola è piccol vaso, ornato per lo più di argento nel quale le donne oltre i cucchiai custodiscono altri utensili d’ argento, danzando de la sua richeccia ditTerentemente mostrando colla danza la loro gloria in modo diverso mi faceano estimare veloce e lente a seconda della loro velocità arguiva più gloria, e meno dalla loro lentezza cosi come cerchi si girano in tempra d orioli nel modo che le ruote di un orologio si movono si che 1 primo la prima interna ruota pare queto a chi pon mente pare non moversi a chi la guarda e I ultimo che voli e la esterna, ultima, più lontana pare che voli rispetto alla prima. Alcuni di troppa fantasia vogliono vedere qui san Pietro formar perno intorno a cui si aggirino gli altri apostoli, locchè non è. Di quella spera ch io notai di piu chiareccia da quella carola o cerchio luminoso che aveva vista più lieta vidi io uscire un foco si felice Vidi sortire un raggio di così ardente carità che nullo vi lascio di piu belleccia che lasciò indietro tutti gli altri raggi delle altre carole. e tre fiatesi volse intorno di Beatrice e tre volte si aggirò veloce, intorno a Beatrice, o per venerazione alla SS. Trinità, o per figurare le tre virtù sulle quali Dante doveva interrogarsi con un canto tanto divo con un canto tanto divinamente dolce che la mia fantasia non mi I ridice che la mia mente non è capace di poter rappresentare; pero la penna salta e non lo scrivo quindi passo oltre, senza occupa rmene che I immaginar nostro ce troppo vivo colore a cotai pieghe non che il parlar perché [p. 436 modifica]426 PAAD1SO la nostra immaginazione, non che il parlare è troppo audace, se tenta di esprimere tanto penetrante dolcezza. O sancta soror mia che si divota ne preghi san Pietro disse a Beatrice, o mia santa sorella che pregasti, tanto fervidamente devota per loro ardente a/J’ecto con devota ed ardente carità l’intero sodalizio, d’ irrorare Dante tu mi disleghi da quella bella spera tu mi stacchi da quella bella sfera degli apostoli; bella perchè in essa son gli spiriti più in vita stretti con Cristo, e son a lui più vicini nella eterna, il foco benedieto san Pietro ardente d’ amor divino poscia fermato quel trino giro dricio lo spiro drizzò la lingua a la mia donna che favelio cossi come io o detto a Beatrice che aveva parlalo come si disse. Ed ella e Beatrice o luce eterna del gran Viro o eterna luce di san Pietro. principe e fondatore della fede cristiana, cui Dio concesse tanto potere a cui nostro Signor lascio le chiavi cioè il potere di assolvere e condannare eh ci porto giu di questo gaudio miro che Gesù Cristo portò in terra dal Paradiso quando prese umana carne tenta costui esaminalo di punti Levi e gravi sopra materia facile, o difficile intorno de la fede come ti piace sulla fede, quanto ti piace per la qual tu su per lo mare andavi in forza della qual fede camminavi a piede asciutto sul mare di Tiberiade, come se fossi stato in Lerra. San Matteo C. Xlii. E qui Beatrice dimandava, che s’interrogasse Eiante sulle tre virtù teologali — Fede, Speranza e Carità. — s cUi ama bene se ami di carità e bene spera se ha buona speranza e crede ed ha vera fede. So bene che non ee occulto non ti è ignoto perche il viso hai quivi dave ogni cosa dipinta si vede Perchè haì gli occhi rivolti in quella parte ov’ è colui — iddio — nel quale si vede dipinta ciascuna

cosa. [p. 437 modifica]

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XXIV. 4’27

Ma perche questo regno ha faeto civi per la verace /éde ma perchè il cielo ha acquistato gran tiumero di cittadini per la fede verace a gloriarla di lei parlare ee bon che a lui arivi per glorificarla anche con parole torna bene ragionare di lei; e quando si legga a lui torna bene ragionar della fede con Dante, il quale, per confondere i detrattori invidiosi, e le menti di coloro che non arrivando a comprendere il parlar figurato, spesso male interpretavano i suoi detti e lo calunniavano, volle trattarne in questo canto, io me armava d ogni ragione cossi mentre cli ella diceva mentre Beatrice parlava io andava scorrendo tutti gli argomenti nella mia mente che potevano servire alle risposte per esser presto a tal querente et a tal professione per essere pronto a rispondere all’interrogante san Pietro, ed alla materia molto ardua della fede, in cui bisogna essere cauti, perchèsempre s’incontrano scogli, e niun altro errore cagiona il danno che produce un piccolo errore nella fede: Dante la chiama professione, perché il cristiano professa la fede di Cristo alL’ atto del Battesimo si come I Bacellier s arma bacelliere chi sostiene quistione in un circolo — come il bacelliere si prepara, si premunisce di ragioni e non parla finche il maestro la quistion propone senza parlare finché il maestro non proponga la quistione. — Maestro è colui che dalla cattedra propone una quistione agli uditori per approvarla perchè la si sciolga non per terminarla perchè il maestro solo in altra lezione la scioglie. San Pietro è il maestro, Dante è il bacelliere, come lo fu per tanto tempo in Francia alla Sorbona. O bon cristiano di san Pietro chiese a Dante — rispondi o buoi) cristiano fatti manifesto—fede che è?e dimmi apertan)ente, che cosa è la fede? ond io levai la fronte in quella

luce onde .spirava questo io alzai gli occhi sopra san Pietro [p. 438 modifica]428

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che m’interrogava ;poi mi volsi a Beatrice indi mi voltai a Beatrice ci essa pronta sembianza femmi perche io spandesse I acqua di fuor del mio interno fonte ed essa mi fece cenni che m’incoraggirono a palesare quanto io internamente pensava sulla fede, dietro i principii teologici da me ap. presi. Cominciai io: la gratia che mi da cli io mi confessi da tatto primipilo io così cominciai la risposta. La grazia concessami da Dio, che vivente ancora, venga in cielo a colloquio con san Pietro primo duce della Chiesa di Gesù Cristo. — Primipilo dicevasi dai romani il capo della prima centuria nell’ ordine de’ Triarii, o secondo sant’ Isidoro, colui che scagliava il primo pileo in battaglia, e san Pietro fu veramente primipilo per la fede faccia li mci concepti bene expressi mi conceda di palesare chiaramente i miei interni concetti e seguitai — o Padre come I verace sub ne scripse del tuo frate che mise Roma teco nel bon filo o padre, come scrisse san Paolo fratello in Gesù Cristo, e fratello di amore nell’ apostolato con te, il quale mise Roma nel retto sentiero della fede, perché ambidue incontrarono il martirio sotto Nerone fede e sustantia di. cose sperate ci argumento delle non parvenii fede è sostanza di cose sperate, ed argomento dì quelle che non appaiono e questa pare a me sua quiditate e questa sembrami la vera definizione, allora udi che san Pietro diceva di- fittamente senti se beni intendi perche la ripose tra le sustantie e poi tra gli argumenti tu hai risposto ottimamente se bene intendi, il perchè san Paolo la ripose prima tra le sostanze e poi fra gli argomenti. EI io appresso ed io soggiunsi le profonde cose che mi largiscon qui la br parvenza le cose eccelse che qui in cielo mi si mostrano son si ascose agli occhi di la giu sono così

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XXIV. 429

sconosciute all’ intelletto de’ mortali che I esser loro v ee in sola credentia che la loro esistenza è posta nella fede sopra la quale se ferma alta speme sulla quale è fondata la più viva speranza e pero prende intentia di substantia e quindi prende concetto, o nome di sostanza e da questa credenza ci con- vene sillogizare sanza avere altra vista e da questa fede ci è forza argomentare senza veder altro, o senza prova alcuna sensibile e pero tene intenza de argomento quindi ha concetto o nome di argomento; dunque secondo san Paolo la fede è l’argomento, non la prova delle cose che non appaiono agli occhi nostri, altrimenti la fede non sarebbe fede. É poi sostanza in quanto che sussiste per sè, senza bisogno di altro soggetto: la fede sostiene tutto 1’ edificio spirituale ; è la pietra fondamentale su cui è posto lo stesso edificio. Ottimamente adunque fu risposto essere la fede sostanza delle cose sperabili, perchè essa è la cagione che le cose sperate si sostanzino in noi, ossia in certo qual modo faccia sussistere in noi, operando a modo che le cose future siano quasi presenti, e le cose invisibili quasi si veggano. Allora udii che san Pietro seguitava se quantunque s acquista giu per doctrina fosse cosi inteso non gli avria loco ingegno di sophista se qualunque dottrina della vostra valle di miserie avesse questo spirito ed interpretazione, non sarebbe possibile che si ascoltasse alcun sofisma nel definirla cosi spiro da quel amore acceso tali parole uscirono da san Pietro ardente di divino amore: indi soggiunse — assai bene e trascorsa di sta moneta gia la lega al peso abbiamo bene esaminati (ti questa moneta il peso ed il fino, ossia bene abbiamo trattata la materia della fede ecc. (e qui, per quanto a me sembra il testo è tronco e mancante).

Ala dimme se tu t ai ne la tua borsa questa moneta; se [p. 440 modifica]430

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hai la fede chiusa nellanima?ed io: si e e si lucida e si tonda che nel suo conio nulla mis In/’orsa sì, risposi, la mia fede è così pura e perfetta che nulla mi resta di dubbioso rispetto a lei. appresso usci de la luce profonda poi aggiunse san Pietro che li splendeva in quel luogo circondato da luce questa cara gioia sopra la quale ogni virlu si fonda onde ti venne la virtù della fede, sulla quale è basata ogni altra virtù, come l’avesti? ondio ed io la larga ploia de lo Spirito Santo dice di/fusa in su le vecchie e in su le nove cuoia ee siUogzsmo che la mi ha conchiusa acutamente si che verso d ella ogni dimostration mi parve ottusa la grazia dello Spirito Santo che è sparsa sulle pergamene del vecchio Testamento, e del nuovo, mi è tale argomentazione acuta, che ogni altra in di lei confronto mi pare debolissima; ovvero — io l’ebbi per infusione dello Spirito Santo che fece dai profeti annunziare l’incarnazione, la morte e la risurrezione di N. S. Gesù Cristo; e per mezzo della Scrittura del nuovo Testamento, mostrando già avverate le profezie de’ profeti cogli eva ngeli, epistole di san Paolo, e degli altri apostoli. Io udii poi san Pietro chiese di nuovo I antica e la novella proposition che cosi ti conclude perche I ai tu per divinafaveua? l’antico e nuovo Testamento di fede li credi tu opera d’uomo o divina? elio soggiunsi la prova che il t’cr mi dischiude son I opere seguite a che natura non scaldo ferro mai ne batte incude la prova del vero mi viene dai miracoli, ossia dai fatti soprannaturali: la natura non potè mai resuscitare i morti e fare quant’ altro fece nostro Signor Gesù Cristo, o fecero altri in di lui nome. risposto fummi ma san Pietro di nuovo di chi t assicura che quel opere fosser quel medesmo che vuoi provarsi ne altri il ti giura ma chi ti assicura

la verità dei miracoli? la Scrittura Sacra che ha essa [p. 441 modifica]

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pure bisogno di prova èla prova del tuo vero: dissioallora io — o quelli furono miracoli, o non furono: se furono miracoli non potevano venire che da Dio; se poi non furono, dimanderò, come mai tanti infedeli, senza prova visibile, e per la sola parola degli apostoli credettero e presero il battesimo? Non è questo il maggiore dei miracoli, se I mondo si rivolse ‘al cristianesmo senza miracoli, quest uno e tale che gli altri non sono il centesmo se il mondo senza vedere miracoli si fece cristiano, non è questo miracolo tale, che gli altri tutti non valgano la di lui centesima parte per argomentare la fede? che entrasti povero e digiuno in campo a seminar la boivi pianta che fu gui vite et ora ee faeta pruno perché tu entrasti nel mondo povero e mendico a spargere la fede di Cristo, che prima era pianta di vita, ed ora per opere di alcuni uomini perversi è divenuta pianta spinosa e mortale. — In questo passo alcuni azzardano di obbiettare Anche Maometto povero, e quasi tapino trasse alla sua nuova fede numerose, e popolate nazioni. Ma quegli non era così povero, ed ignorante, e sedusse non i sapienti, ma i più vili ed abbietti per mezzo di voluttà sensuali. Finito questo terminato questo dialogo I alta corte san- cia risono per le spere nella melode che la su si canta colla dolce melodia che si ode lassù, si udì pei circoli luminosi cantare Te Deum laudamus — E quel Barone che si di ramo in ramo gia tracio mi avea ezaminando che all uLtime fronde appressavamo ricominciò e san Pietro tanto potente nel regno di Dio, od in cielo, quanto un Barone nella terra, che esaminandomi con tante dimande mi aveva finalmente condotto all’ albero della fede, tornò a dire la gra ha che donnea con la tua mente la grazia che signoreggia compiacendosi, nella tua mente t aperse la bocca In fino a qui

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come aprir si dovea la teologia della quale è imbevuta la mente tua, t’insegnò di rispondere sin qui come si vuole e si deve della fede si eh io aprovo cio che fori emerse sicchè io pienamenteapprovo ogni risposta che midesti; ma ora convien esprimere quel che credi ora resta che tu mi dica quello che credi et onde a la credenza tua si offerse e come e perché ti rendesti credente. O sancto padre o padre santo o spirito che vedi o spirito beato che ora presenzialmente vedi cio che credesti ciò che a- vesti pec fede si che vincisti ver lo sepukro piu giovani piedi tanto che correndo al sepolcro dì Gesù Cristo, vincesti il giovane tuo condiscepolo san Giovanni, entrando prima di lui in quel sacro recinto. Questa è la interpretazione di molti: ma per più accostare la mente di Dante, è meglio interpretare, che san Pietro vecchio vincesse san Giovanni più giovane in fede, perchè san Giovanni correndo coi piedi al sepolcro di Cristo non fu tanto presto, che san Pietro non vi arrivasse più presto colla fede della’risurrezione, cominciai io Dante tu vuoi eh io manifesti la forma qui del prompto creder mio prima parte della tua dimanda et anco la casion di lui che- desti seconda parte et io rispondo. Ch io credo in uno Dio solo e Eterno io credo in un solo eterno Dio, senza principio e senza fine che tutto I ciel move per suo amore non moto non mosso e spinto con amore e con disio con volere e carità infinita; et a tal creder non o io pur prove phisice et netaphisiche ed a tale credenza non ho soltanto prove di natura o soprannaturali dammi anche la verità che quinci piove per Moyse ,per Propheti et per psalmi per I Evangelio el per voi che scriveste poi che i ardente .‘pirito vi fee almi ma ben anche la verità che scontrasi in

Mosè, ne’profetì. ne’ salmi, negli evangeli, e ne’vostri scritti, [p. 443 modifica]

canto
XXIV. 455

dopo che Io Spirito Santo, piovendo sii voi la stia grazia, vi fece santi. Mosè scrisse la Genesi — Furono profet lsaia, Geremia, Daniele, Ezechiele ed altri. — David scrisse trenta- sei salmi, ed antonomasticamente si chiama profeta. Gli evangelisti furono Lucca, Giovanni, Marco e Matteo. e credo in Ire Persone eterne e queste credo una essentia si una e si Irina che sofera conjuncto sono et este e credo in tre eterne persone in una sola essenza così una e trina che le si convenga il plurale cd il singolare del verbo essere. levangelica doetrina piu volte I’ eva ngelio in piè capitoli e luoghi mi suggella la mente m’ imprime nella mente de la profunda condition divina eh io tocco mo quella Trinità di sopra accennata. questo ce il principio questa la favilla che si dilata poi in fiamma vivace questa è l’origine, questa è la prima scintilla che diviene poi gran fiamma viva e come stella in cielo in me scintilla e manda da me favilla al pari delle stelle che scintillano in cielo. Dante col poco che disse della Trinità impugna la perfidia degi’ infedeli che la negano. Non seguite l’opinione di Avicenna che ritiene ogni fede buona, imperocchè può sembrare buona a ciascuno la propria fede, e non esser tale. L apostolico lume san Pietro al cui comando io havea diclo alle cui dimande io aveva risposto sulla fede tre volle cinse me tre volte mi girò intorno la fronte cantando si corn io La qui cantando, dopo che io ebbi unito di parlare si nel dire gli piaqui tanto fu contento delle mie risposte. cossi come i signore che ascolta quel che i piace così come il padrorio che riceve buone notizie da indi abbraccia il servo poscia stringe il servo fra le sue braccia gratulando applaudèn(Io per la. novella per la buona avuta notizia tosto che si tace tosto che il servo che gliela recò, si tace.

— Vo!. 3. [p. 444 modifica]i54

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Notisi ne’ versi 1.5 14 15 ‘the la invenzione degli orologi a ruote non ha indizio fuori d’ italia più antico, e quindi si deve concludere che l’invenzione stessa fosse in iLalia, se l’Allighieri che apparLiene al

secolo XIV se ne giovò per similitudine. [p. 445 modifica]

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XXV.

TESTO MODRRNO Se mai continga, che il poema sacro, Al quale ha posto mano e Cielo e Terra, Sì che m’ ha fatto per più anni macro, Vinca la crudeltà che fuor mi serra Del bello ovile, ov’io dormii agnello Nemico ai lupi che gli danno guerra; 6 Con altra voce omai, con altro vello Ritornerò poeta, e in sul fonte Del mio battesmo prenderò il cappello: U Però che nella Fede, che fa conte L’anime a Dio, quivi entrai io, e poi Pietro per lei sì mi girò la fronte. 12 Indi si mosse un lume verso noi Di quella spera, onde uscì la primizia Che lasciò Cristo dei vicari suoi. E la mia Donna piena di letizia Mi disse: mira, mira; ecco il Barone, Per cui laggiù si visita Galizia. 18 Sì come, quando il colombo si pone Presso al compagno, l’uno e l’altro pande, Girando e mormorando, l’affezione, 21 Così vidi io l’un dall’altro grande Principe glorioso essere accolto,

Laudando il cibo che lassù si prande. [p. 446 modifica]56

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Ma poi che il gratular si fu assolto, Tacito incontro a me cIascun s’affisse Ignito sì, che vinceva il mio volto. Ridendo allora Beatrice disse: Inclita vita, per cui la larghezza Della nostra Basilica si scrisse, 50 Fa risonar la speme in questa altezza: Tu sai che tante volte la liguri, Quante Gesù ai tre fe’pitì chiarezza. Leva la testa, e fa che t’ assicuri, Clic ciò che vien quassù dal mortal mondo, Convien che ai nostri raggi si maturi. Questo conforto del fuoco secondo Mi venne; onde io levai gli occhi ai monti, Che gli incurvaron pria col troppo pondo. Poi che per grazia vuoi che tu t’ affronti Lo nostro Imperadore, anzi la morte, Nell’aula piiì segreta Co’ suoi Conti, Sì che, veduto il ver di questa Corte, La Speme, che laggiù bene innamora, In te e in altrui di ciò conforte; Di’quel ch’ella è, e come se ne infiora La mente tua, e di’ onde a te venne: Così segulo ‘1 secondo lume ancora. E quella pia, che guidò le penne Delle mie ali a così alto volo, Alla risposta così mi prevenne: La Chiesa militante alcun figliuolo Non ha con più speranza, come è scritto Nel Sol che raggia tutto nostro stuolo. Però gli è conceduto, che di Egitto

- . DiiGoogIeJ [p. 447 modifica]

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XXV. 457

Venga in Gerusalemme per vedere, Anzi che il militar gli sia prescritto. Gli altri due punti, che non per sapere Son dimandati, ma perch’ ci rapporti Quanto questa virtù ti è in piacere, 60 A lui lascio io; che non gli saran forti, Nè di iattanza; ed egli a ciò risponda, E la grazia di Dio ciò gli comporti. 65 Come discente che a dottor seconda Pronto e libente in quel ch’egli è esperto, Perchè la sua bontà si disasconda, 66 Sperne, diss’ io, è uno attender certo Della gloria futura, il qual produce Grazia divina e precedente merLo. 69 Da molte stelle mi vien questa luce: Ma quei la distillò nel mio cor pria, Che fu sommo cantor del sommo Duce. 7 Sperino in te, nell’alta Teodia, Dice, color che sanno il nome tuo: E chi noi sa, s’egli ha la Fede mia? 7 Tu mi stillasti con lo stillar suo Nella pistola poi, sì ch’io son pieno, E in altrui vostra pioggia ripluo. 78 Mentre io diceva, dentro al vivo seno Di quello incendio tremolava un lampo Subito e spesso a guisa di baleno. 81 indi spirò: l’amore, onde io avvampo Ancor ver la virLtì, che mi seguette Fino alla palma e allo uscir dei campo, 84 Vuol ch’ io respiri a te, che Li dilette

Di lei; ed emmi a grato che tu diche [p. 448 modifica]i38

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Quello che la Speranza ti promette. 87 Ed io: le nuove e le Scritture antiche Pongono il segno, e esso lo mi addita, Delle anime che Dio s’ ha fatte amiche. 90 Dice lsaia, che ciascuna vestita Nella sua terra fla di doppia vesta; E la sua terra è questa dolce vita. 93 E il tuo fratello assai vie più digesta, Là, dove tratta delle bianche stole, Questa rivelazion ci manifesta. 96 E prima, presso il fin d’ este parole, Sperent in te di sopra noi s’ udì, A che risposer tutte le carole: Poscia tra esse un lume si schiarì, Sì che, se il Cancro avesse un tal cristallo, Il verno avrebbe un mese d’ un sol dì. IO! E come surge, e va, ed entra in ballo Vergine lieta, sol per fare onore Alla novizia, non per alcun fallo; 105 Così vidi io lo schiarato splendore Venire ai due che si volgeano a ruota, Qual conveniasi al loro ardente amore. los Misesi lì nel canto e nella nota; E la mia Donna in br tenne 1’ aspetto, Pur come sposa tacita ed immota. I Il Questi è colui che giacque sopra il petto Del nostro Pellicano; e questi fue Di su la Croce al grande uflcio eletto, I l La Donna mia così, nè però piue Mosser la vista sua da stare attenta Poscia che prima alle parole sue. i I ‘

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{ANTO [p. 449 modifica]XXV. 43 Quale è colui che adocchia, e s’ argomenta Di vedere eclissar lo Sole un poco, Che, per veder, non vedente diventa, l2O Tal mi feci io a quell’ ultimo fuoco, Mentre che detto fu: perché L’ abbagli Per veder cosa che qui non ha loco? in Terra è terra il mio corpo, e saragli Tanto con gli altri, che il numero nostro Con 1’ eterno proposito s’ agguagli. 126 Con le due stole nel beato chiostro Son le due luci sole che saliro: E questo porterai nel mondo vostro. I29 A questa voce lo infiammato giro Si quietò con esso il dolce mischio, Che si facea del suon del trino spiro; i32 Sìcome, per cessar fatica o rischio, Li remi p.ria nell’ acqua ripercossi Tutti si posano al sonar d’un fischio. Abi quanto nella mente mi commossi, Quando mi volsi per veder Beatrice, Per non poter vederla, bench’ io fossi Presso di lei, e nel mondo felice! I9 COMMENTO DI BENVENUTO Virtù della Speranza. Si divide il canto in quattro parti. Nella prima, san Giacomo interroga Dante sulla speranza. Nella seconda, tre dimande sulla stessa virtù. Nella terza, s’ interroga il Poeta donde gli venne tal virtù. Nella quarta, san Giacomo parla della carità. Dante sperava in ricompensa del suo Poema di poter tornare

alla sua cara patria Fiorenza, ed ivi essere coronato [p. 450 modifica]440

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d’ alloro. ritornero in patria poeta ornai con altra voce con altra più gloriosa fama, non con vii manto, ma con quel di poeta con altro vello: uscì di Fiorenza giovane ancora, e con abito vanamente superbo, ed ora vecchio e sapiente sarebbe tornato con altra fama e paludamento e previdero il capello la corona d’alloro in sul fonte in san Giovanni di Fiorenza dov’ è il fonte battesimale se mai continga che I poema sacro se mi avvenga che il sacro mio Poema al qual a posta mano e cielo e Terra cui concorsero la divina scienza e la umana, o cielo perchè trattò de’celesti, o terra in quanto trattò di cose terrene, ovvero per cielo intendi la grazia divina che rese il Poeta capace alle scienze, come dice nell’ Inferno vegiando il ciel ecc. e nel Purgatorio non pur per opra delle rote magne ecc. finalmente nel Paradiso parlando di gemini. Per la terra poi vuoi significare Io studio, le veglie, le fatiche d’ animo e di corpo si che m a faclo per molt’ anni macro così che mi ha reso estenuato e consunto, come Io ripete nel Purgatorio invocando le muse o sacrosante Vergini se fame, freddo, vigilie mai per voi soffersi ecc: E come accadde a Dante, a me pure lo stesso accadde nell’ esporlo, e nel commentarIo vinca la crudella de’ miei cittadini che mi sera fuor del bel ovil della città di Fiorenza bellissima fra le città ov io dormi agnello giovane, puro, innocente inimico ai lupi che li danno guerra e fui contrario ai lupi che la tormentano e la guastano. Come i lupi naturalmente insidiano gli agnelli, così i cittadini pravi di Fiorenza insidiavano i buoni. Nota che il Poeta dice dubitativamente se mi avvenga, perché non potè mai ottenere il ritorno, che secondo le leggi d’ allora non si accordava che per riformazione. La speranza è gran conforto ne’ mali, ma specialmente nell’ esilio, senza del che sarebbe

più frequente la disperazione. [p. 451 modifica]

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XXV 441

Pero eh io mirai quivi nel fonte battesimale ne la fede cattolica che fa conte I anime a Dio che rende conosciute le anime a Dio e poi Pietro per lei si mi giro la fronte e poi Perché san Pietro ricercommi su la fede, e con triplice giro mi laureò. un lume indi si mosse di quella spera verso noi san Giacomo Maggiore figlio di Zebedeo pieno della virtù della speranza si mosse dal circolo degli apostoli e venne poscia verso di noi onde usci la primicia che lascio Cristo di vicari suoi dal qual circolo era uscito san Pietro, il primo de’ vicari che Gesù Cristo lasciò i terra. e la mia donna piena di letitia e Beatrice lietissima mi disse mira mira mi disse: guarda, guarda ecco il Barone per cui la giu si visita Galitia ecco san Giacomo apostolo, in devozione del quale i pellegrini visitano il sepolcro di lui in Compostella della Galizia. lvi è la basilica fabbricata, e dotata da Carlo Magno: cossi vid io I un vidi san Giacomo essere accolto ricevuto dall alro grande principe glorioso da san Pietro laudando il cibo che la su si prande lodando la grazia di Dio della quale si vive lassù si come I columbo quando si pone presso al compagno al pari, che poncdo un colombo presso di un altro compagno e I un pande che I’ tino esprime I affection a I altro I’ affetto e girando e mormorando girandogli intorno, e mormorando. ma poi che il gratular si fu accolto ma finite le accoglienze grate tacito in contro a me ciascun si a/fisse ignito si che vinceva il mio volto ciascuno tacito si fissò in me infuocato e risplendente tanto, che mi era forza di chinare il volto, non potendo reggere al fulgòre. Ridendo allora Beatrice disse -- O inclita vita per cui targhezza di la nostra Basilica si scripse allora Beatrice lietissirna esclamò -— anima gloriosa, che tanto egregiamente seri- vesti della reggia dcl ciclo fa risonare la spane in questa alDigitized by Google [p. 452 modifica]PARADiSO tezza fa che si oda il nome della speranza in questo alto cielo, interrogando Dante su tale virtù: tu I sai che tante volte la figuri quanto Jesu ai tre fe piu carezze sai che tante volte nel testo evangelico tu sei figura della speranza, quante volte Gesù Cristo fece a tre soli discepoli più chiara manifestazione della sua divinità. Gesù Cristo volle sempre testimoni de’ suoi miracoli san Pietro come simbolo della fede, san Giovanni della carità, san Giacomo della speranza. San Giacomo allora disse a Dante leva la testa e fa che i assicuri alza la testa, e fissa lo sguardo sicuro che cio che ven qua su del mortal mondo convien che ai nostri raggi si maturi perchè quanto del mondo viene al cielo, conviene che si renda capace a sostenere i nostri splendori, questo conforto mi venne del foco segondo questo conforto e coraggio mi vennero da san Giacomo ch’ era secondo rispetto a san Pietro ond io levai gli occhi ai monti allegoricamente — li alzai, verso dov’ erano san Pietro e san Giacomo, che gI incurvaron pria col troppo pondo che prima, per la troppa luce che da loro raggiava eransi abbassati. Poi che I nostro Imperatore giacché Dio che regna in ogui luogo per grazia vuoI che tu t’ a/fronti Li concede per grazia di parlare nell aula piu segreta co suoi Conti nella Corte celeste che è luogo più segreto di quell’ imperatore che sta co’suoi primi ministri e famigliari anzi la morte prima che tu muoia si che conforti di cio la spene che la giu bene ina mora perchè si avvivi la speranza laggiù nel mondo che accende l’animo al vero bene in te e in altrui per tua salute, e per quella degli altri veduto il vero di questa Corte conosciuta la vera beatitudine di questa Corte; di quel ch ella ce definiscimi la speranza di come s infiora la mente tua come fiorisce e vive

la mente tua di speranza e di onde a li venne e come Li venne [p. 453 modifica]

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XXV.

la speranza: cossi ancora segui il segondo lume così nuovamente m’ interrogò san Giacomo dopo avermi detto — leva la testa ecc. e quella pia Beatrice pietosa che guido le penne de le mie ale a cossi alto volo che guidò la mia mente nella salila del Paradiso mi prevenne a la risposta. La Chiesa militante alcun figliolo non a con piu speranza com è scripto nel Sole che raggia tutto nostro stolo. La Chiesa militante non ha alcuno fra suoi flgliuoli più fornito di speranza di costui, cioè di Dante come ciò apparisce in Dio, il quale come sole illumina tutti noi; pero gli e concedutochedi Egipto vegna in Gerusalemme per vedere anzi che I militar gli sia prescripto perciò venne graziato che dalla schiavitù del mondo venisse alla celeste Gerusalemme, prima che fosse poo termine al suo combattere nella vita mortale. lascio a lui li altri diii puncti che son dimandati lasciò a lui la risposta alle altre due dimande fatte non per sapere ma perche gli rapporti quanto questa vertu c ee in piacere non già per appren - dere nulla di nuovo, ma perchè racconti quanto questa virtù sia amata da noi che non li saran forti ne di jactantia che non gli riusciranno difficili, nè gli daranno motivo di vana- gloria, come potea essergli l’altra domanda, a cui rispose Beatrice: et dli a cio risponda e risponda bene e la gratia di Dio cio li comporti e lo assista la divina grazia nel risponderti. come discente come discepolo che siconda a doctore che risponda al maestro promplo e libente in quel che gli e experto franco e libero in ciò che sa perche la sua bonta si disasconda perchè la sua capacità si faccia conoscere diss io risposi spene e un attender certo di gloria futura il qual produce gratia divina e precedente merito. Per bene interpretare il testo è a sapersi che la definizione della speranza

si trae dalla definizione data dal gran Maestro delle sentenze. [p. 454 modifica]

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La speranza é aspettazione di gloria futura proveniente da grazia divina e da merito precedente. Da molte stelle mi vien questa luce. Questa definizione mi viene da molti chiarissimi scrittori sacri, i quali più sopra furono rappresentati in forma di stelle ma quel la distillo nel mio cor prima che fu sommo cantor del sommo duce ma chi la infuse prima nel mio cuore fu David che cantò tanto eccelsamente le lodi di Dio. dice ne la sua teodia dic’ egli ne’ suoi cantici in lode di Dio, o iiella sua psalmodia color che sanno il nome tuo sperano in te nel salmo VIII confiteor tibi etc.: sperino in Te coloro, che conobbero il nome tuo , giacché non abbandonasti mai clii volle chiamarti e chi noi sa speri s elio a la fede mia se ha la mia fede. tu mi stillasti collo stillar suo poi ne la epistola si ch io son pieno e in altii vostra pioggia repluo David stillò in me la speranza, e poi tu che da lui attingesti, e la tua epistola canonica ricca delle cose dette da David in modo che son pieno, e le cose sparse da voi in me io spurgo, ripiovo, verso in altrui. —Abbiamo in detta epistola — Beato chi sopporta le tentazioni, giacché avrà la corona da Dio. — O pazienti, rincoratevi, che arriva il Signore. Un lampo subito e spesso a guisa di baleno una luce subitanea e frequente come baleno tremolava scintillava dentro ai vivo seno di quello incendio nel seno di quello spirito ignito di san Giacomo mentre io dicea mentre gli rispondeva indi spiro indi soggiunse I amore ond io avampo ancor ver la vertu che mi seguelte in fin la palma et a luscir dei canipo l’amore di cui ardo ancora verso la virtù della speranza, che mi seguì fino alla palma, che riportai nel martirio, ed all’uscìre dal campo di battaglia, cioè dal inondo all’eterna vita vuoI eh io respiri a ti che li (lik’eti di lei mi spinge a parlare

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XXV.

con te che ti piaci di trattare della speranza el emmi a grato che tu diche quello che la speranza ti promette e sii cortese spiegarmi, cosa ti promette la speranza? elio: Le nuove e le scripture antique pongono il segno ci esso lo mi addita del anime che Dio s a facte amiche il nuovo ed il vecchio Testamento prefiggono il segno, al quale devono mirare colla loro speranza le anime che Dio ha fatte amiche a sè; ed esso segno, che è questo Paradiso, mi dimostra col fatt,o, che è veramente il termine cui tende la speranza dei giusti. Dice Jsaia cap. 41 che ciascuna vestita che ogni anima vestita di luce ne la sua terra fia di doppia vesta nel cielo avrà la beatitudine dell’anima e del corpo e la sua terra ee questa dolze vita e la sua terra, o sua patria è questo Parad iso. e I tuo fratello assai c e piu digesta la dove tracta de le bianche stole questa rivelation ee manifesta e san Giovanni molto più digerita e schiarita ce la manifesta nell’Apocalissi cap. 111 cioè la risurrezione e glorificazione de’corpi; dunque la speranza promette la vita eterna e beata. E prima presso al fin di ste parole sopra a noi si udi — sperent in te e prima che fossero terminate queste parole si udì cantare sopra di noi — sperino in te quelli che conobbero il nome tuo a che rispuose tutte le carole al quale canto risposero tutti gli altri cerchi, o spiriti luminosi e beati, fuori degli apostoli. Sia il sole nel principio di capricorno, ed un cristallo grande quanto il sole sia nel principio di cancro. Quando il sole ascenderà sopra I’ orizzonte del cristallo, di- scenderà in occidente, e viceversa: capricorno e tauro sono segni opposti. Siccome poi il sole gradatamente percorre tutto il segno di capricorno, così il cristallo percorrer lo deb

1w, movendosi pari col sole. poscia dopo quel canto un lume [p. 456 modifica]

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tra esse si chiari un lume tra esse divenne più spiendiente. — San Giovanni Evangelista — che se I cancro avesse un tal cristallo I inverno havrebbe un mese di un sol di nel mese in cui il cancro regna, tramontando il sole, spunta cancro, e quando tramonta cancro sorge il sole. — Se il cancro. avesse una siffatta lucentezza, il mese d’inverno in cui il sole è in capricorno, non vedrebbe mai notte, e sarebbe quel mese un lungo dì. Se si ponesse il cristallo al capricorno, si avrebbe lo stesso fenomeno in estate, se ad ariete in autunno, se a libra in primavera, se a tutti i segni si avrebbe sempre giorno e mai notte. Ed a maggiore spiegazione immagina due soli uno in oriente l’altro in occidente: calando l’uno, i’ altro sorgerebbe, e così sarebbe sempre chiarezza e giorno. E vidi io lo schiarato splendore e vidi san Giovanni evangelista che tanto luceva venire ai due a san Pietro e san Giacomo che si volgeano a rota che circolavano intorno a sè stessi qual conveniasi al br ardente amore in ragione di loro ardente carità cosi come virgine lieta sorge e va et entra in ballo sol per fare onore a la novitia non per alcun fallo nel modo che una vergine sorge, va, ed entra in ballo sol per fare onore alla novella sposa, non per essere vagheggiata, non per vanità, o sinistra intenzione. La similitudine di san Giovanni alla vergine non potrebb’ essere più propria perchè a lui vergine Gesù Cristo raccomandò la vergine madre, ed esso vergine come la vergine nel ballo entrò nella circolazione degli apostoli. misesi ne lo canto e nela nota egli cominciò a cantare coi predetti e la miadonna in loro tenia 1 aspeclo pur comesposa tacita et immota e Beatrice fissò gli occhi in quei tre che cantavano colla stessa melodia sperent in te ecc. come novella sposa vergognosa, senza moversi, e senza parole.

Poi disse a Dante questi ee colui che giaque sopra Ipeclo [p. 457 modifica]

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del nostro Pellicano questi è san Giovanni che nell’ultima cena riposò nel petto di Gesù Cristo, quale chiama pellicano, perchè si apri il petto come il pellicano a vivificare i morti figli e questo fue din su la croce a grande offitio etecto e fu egli da Gesù Cristo pendente in croce prescelto a custodia della madre. la donna mia cossi così disse Beatrice ne le parole sue pero mosser piu la vista sua di stare attenta poscia che pria nè quanto avea detto potè stornarle la vista che tenne sempre fissa come prima l’aveva. Io mi feci tale a quello ultimo foco mentre che detto fu io divenni tale all’ udire parlare di san Giovanni ardente del fuoco di carità qual e colui che adocchia e 8 argomenta de veder eclipsar I sole un poco quale è colui che s’ ingegna di guardare al sole che crede alcun poco essersi oscurato che per vede,’ non vidente diventa e per vedere si rende incapace di vedere. L’ occhio mortale fisamente guardando nel sole resta privo della facoltà di vedere, al pari di Dante che guardando finalmente san Giovanni evangelista sole di carità, si rese non veggente. Tentava egli di sapere se san Giovanni aveva seco il corpo suo, come ritengono molti, e gli fu risposto perche ti abbagli per veder cosa che qui non ha loco? perchè ti abbagli nella vista per vedere il corpo mio, che qui non è? In terra e terra il corpo mio il mio corpo è per corriizione risoluto nella terra di cui fu formato esaragli tanto con gli altri che I numero nostro con i eterno proposito si agguagli e sarà ivi cogli altri corpi fino a tanto, che il numero di noi beati, crescendo, si agguagli a quello che Dio ha stabilito, cioè sino al giudizio universale, le due luci sole che saliron Cristo e Maria soltanto che saliron all’empireo son con le due stole nel beato chiostro sono col corpo ed anima in ParaDigitized

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diso e qUe8to apporterai nel mondo vostro e questo racconterai nel mondo, quando vi tornerai. L infiammato giro si quietò a questa voce la mola ignita degli ardenti apostoli si quietò alle ultime parole di san Giovanni con esso il dolce mischio che si [acea nel son del inno spiro e con esso la dolce alterna melodia dei predetti Pietro, Giacomo e Giovanni si come i remi pria ripercossi dai naviganti nell acqua si posano tutti al sonar d un fischio tutti si fermano ad un fischio del capitano per cessare fatica o rischio per ragione di riposo, o per arrestare il cammino; così ad una sola parola dell’ apostolo cessarono quelli spiriti dal moto e dal canto. Ah quanto ne la mente mi commossi esclamò Dante per non poter veder quando mi volsi per veder Beatrice allorché voltandomi non la potei vedere beii che io fossi presso di lei e nel mondo felice benchè io fossi presso dì lei in Paradiso!

Aveva Dante rimasta la vista abbagliata nel mirar san Giovanni. [p. 459 modifica]

canto
XXVI.

TRSTO MODRRWO Mentre io dubbiava per Io viso spento, Della fulgida fiamma, che lo spense, Uscì uno spiro che mi fece attento, 3 Dicendo: intanto che tu ti risense Della vista che hai in me consunta, Ben è che ragionando la compense. 6 Comincia dunque, e di’ ove s’appunta L’anima tua, e fa ragion che sia La vista in te smarrita e non defunta: 9 Perchè la Donna, che per questa dia Region ti conduce, ha nello sguardo La virtiì, ch’ebbe la man d’Anania. 12 lo dissi: al suo piacere e tosto e tardo Vegna rimedio agli occhi che fur porte, Quando ella entrò col foco onde io sempre ardo. 1 Lo ben che fa contenta questa Corte, Alfa e Omega è di quanta scrittura Mi legge amore o lievemente o forte. 18 Quella medesma voce, che paura Tolta m’ avea del subito abbarbaglio, Di ragionare ancor mi mise in cura; 21 E disse: certo a più angusto vaglio Ti conviene schiarar: dicer convienii Chi drizzò l’arco tuo a tal bersaglio. 24

RAMBAIDI — Voi. 3. 29 [p. 460 modifica]

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E io: per filosofici argomenti, E per autorità, che quinci scende, Cotale amor convien che in me s’ imprenti; t1 Chè il bene, in quanto ben, come s’intende, Così accende amore, e tanto è maggio, Quanto più di bontà in sè comprende. Dunque alla essenza, ov’è tanto avvantaggio, Che ciascun ben, che fuor di lei si trova, Altro non è che di suo lume un raggio, Pii che in altra convien che si muova La mente, amando, di ciascun che cerne Lo vero in che si fonda questa prova. 56 Tal vero allo intelletto mio discerne Colui che mi dimostra il primo amore Di tutte le sustanze sempiterne. 59 Sternel la voce del verace Autore, Che dice a Moisè, di sè parlando: lo ti farò vedere ogni valore. Sternilmi tu ancora, incominciando L’ alto preconio, che grida 1’ arcano Di qui laggiù sovra a ogni altro bando. E io udii: per intelletto umano, E per autoritade a lui concorde De’ tuoi amori a Dio guarda il sovrano. Ma di’ancor, se tu senti altre corde Tirarti verso lui, sì che tu suone Con quanti denti questo amor ti morde. SI Non fu latente la santa intenzione Dell’aquila di Cristo, anzi m’accorsi Ove menar volea mia professione.

Però ricominciai: tutti quei morsi, [p. 461 modifica]

canto
XXVI.

Che posson far lo cor volgere a Dio, Alla mia cantate son concorsi; Chè l’essere del mondo, e l’esser mio, La morte ch’ei sostenne perch’io viva, E quel che spera ogni fedel, com’io, 60 Con la predetta conoscenza viva Tratto m’ hanno del mar dell’ amor torto, E del diritto m’han posto alla riva. 63 Le frondi, onde s’infronda tutto l’orto Dell’ Ortolano eterno, amo io cotanto Quanto da lui a br di bene è porto. 66 Sì come io tacqui, un dolcissimo canto Risonò per lo Cielo, e la mia Donna Dicea con gli altri: Santo, Santo, Santo. 69 E come allume acuto si dissonna Per lo spirto visivo che ricorre Allo spiendor che va di gonna in gonna, 72 E lo svegliato ciò che vede abborre; Sì nescia è la sua subita vigilia, Fin che la stimativa noi soccorre; 7!i Così degli occhi miei ogni quisquiiia Fugò Beatrice col raggio de’ suoi, Che rifulgea da più di mille miiia: 78 Onde meglio che innanzi vidi poi, E quasi stupefalto dimandai D’un quarto lume, ch’ io vidi con noi. 81 E la mia Donna: dentro da quei rai Vagheggia li suo Fattor I’ anima prima, Che la prima Virtù creasse mai. 84 Come la fronda, che Ilette la cima

Nel transito del vento, e poi si leva [p. 462 modifica]

paradiso

Per la propria virtù che la sublima, 87 Feci io intanto in quanto ella diceva, Stupendo, e poi mi rifece sicuro Un disio di parlare onde io ardeva; 90 E cominciai: o pomo, che maturo Solo prodotto fosti, o Padre antico, A cui ciascuna sposa è fila e nuro; 93 Devoto quanto posso a te supplico, Perché mi parli: tu vedi mia voglia; E, per udirti tosto, non la dico. 96 Tal volta un animaI coperto broglia, Sì, che 1’ affetto convien che si paia, Per lo seguir che face a lui la invoglia: 99 E similmente I’ anima primaia Mi facea trasparer per la coperta Quanto ella a compiacermi venia gaia. 102 lndi spirò: senza essermi profferta Da te la voglia tua, discerno meglio Che tu qualunque cosa t’è più certa; 105 Perch’ io la veggio nel verace speglio, Che fa di sè pareglie l’altre cose, E nulla face lui di sè pareglio. 108 Tu vuoi udir quanto è che Dio mi pose Nell’ eccelso giardino, ove costei A così lunga scala ti dispose; 111 E quanto fu diletto agli occhi miei, E la propria cagion del gran disdegno E i’ idioma ch’ io usai e fei. I li Or, figliuol mio, non il gustar del legno Fu per sè la cagion di tanto esilio, Ma solamente il trapassar del segno. I 17

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canto
XXVI.

Quindi, onde mosse tua Donna Wrgilio, Quattromila trecento e due volumi Di Sol desiderai questo concilio: 120 E vidi lui tornare a tutti i lumi Della sua strada novecento trenta Fiate, mentre ch’io in terra fumi. 123 La lingua, ch’ io parlai, fu tutta spenta Innanzi che all’opra inconsumabile Fosse la gente di Nembrotte attenta; 126 Chè nullo effetto mai razionabile, Per lo piacere uman che rinnovella Seguendo il Cielo, sempre fu durabile. 129 Opera naturale è ch’ uom favella: Ma, così o così, natura lascia Poi fare a voi, secondo che v’abbella. 132 Pria che io scendossi alla infernale ambascia, I si appellava in terra il sommo Bene, Onde vien la letizia che mi fascia. 135 Ili si chiamò poi; e ciò conviene; Che l’uso de’mortali è come fronda In ramo, che sen va, e altra viene. 138 Nel monte che si leva pitì dall’onda, Fui io, con vita pura e disonesta Dalla prima ora a quella ch’ è seconda, Come il Sol muta quadra, all’ora sesta. 142 COMMENTO Dl BENVENUTO Il canto si divide in quattro parti. Nella prima, l’apostolo san Giovanni esamina Dante sulla virtù della carità. Nella seconda, prosegue. Nella terza, mostrasi Adamo. Nella quarta,

Adamo ragiotia sulla sua felicità ed infelicità. [p. 464 modifica]454

paradiso

Mentre io dubiava per lo viso spento mentr’ era in pena per non vedere il viso di Beatrice, stante la vista oppressa dallo splendore di san Giovanni de la fulgida fiamma che lo spense usci uno spiro che mi fee attento dalla fulgida fiamma dell’evangelista Giovanni uscì una voce che attirò la mia attenzione dicendo — intanto che tu ti risenti de la vista che ai in me consunta ben ee che ragionando la compensi dicendo, frattanto che tu rinfrancbi la tua vista, oppressa dal mio splendore, non sarà male ti compensi ragionando con te della carità, comincia dunque e di ove si appunta I anima tua comincia dunque dal palesare francarnente il tuo desiderio e fa ragion che sia la vista in te smarrita e non difunia e ritieni che la tua vista è ufl pc alterata ma non spenta perche la donna che per questa dia region ti conduce a ne lo sguardo la virtù eh ebbe la man di Anania perché Bearice che ti conduce per questa regione celeste e divina ha negli occhi il potere, ch’ ebbe Anania, di rendere a te la vista smarrita e lo farà, come Anania la rese a san Paolo. Io dissi: rimedio vegna e tosto e tardo agI occhi risposi, siano pure presto o tardi , come si vuole, rinfrancati gli occhi miei che fuor porte quando ella entro col foco ond io sempre ardo che furono come le porte, per cui entrò in me il fuoCO dell’ amor suo. lo ben al suo piaeere che fa contenta questa corte et alpha et Omega di quanta scriptura mi lege amore o lievemente o forte Iddio che fa beate le anime in cielo è principio e fine di quanto sceme amore in me, ossia di quanti impulsi leggeri o forti esso mi dà. Alfa cd Omega sono la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco. quella medesma voce che m avea tolta paura del subito abarbaglio quella voce dì san Giovanni evangelista che mi avea dissipata la paura dello

smarrimento tostano della mia vista di ragionar ancor mi [p. 465 modifica]

canto
XXVI.

mise in cura m’invitò di nuovo a ragionare della carità e disse: certo a piu angusto vaglio ti conviene schiarar melaforicamente — conviene che i tuoi pensieri escano dall’ interno dell’ animo tuo più schiariti, com’ esce da vaglio che abbia angusti fori più schiarìto il fiore della farina dicer conventi chi drizzo i arco tuo a tal bersaglio dimmi chi fu che drizzò I’ amor tuo verso Dio? 1 balestrieri o sagittari tendono l’arco al segno o bersaglio, ma pochi lo arrivano, come gli uomini tendono al sommo bene, ma pochi lo aggiungono. Dante indica due strade — amore nel sommo bene per prove naturali — o per autorità de’ santi. Ei io — cotai amore del sommo bene convien che mi s imprenti s’ imprima per phiiophici argomenti per ragioni, per raziocinii e per autorita de Dottori e per rivelazione che scende quinci che proviene da Dio. Le autorità della Sacra Scrittura sono prevalenti le mille volte ad ogni filosofico raziocinio, il perchè sant’ Agostino diceva. — Più credo ai pescatori che ai dialettici. — che I bene in quanto ben come s intende cosi accende amore e tanto maggio quanto più di bonta in se comprende peroccliè il bene in quanto è bene, tosto che vien conosciuto, accende dell’amore di sè, e tanto più, quanto più esso racchiude di bontà; dunque la mente di ciascun che cerne il vero dunque la mente di qualunque che scorga questa verità in che si fonda questa prova’nella quale verità si fonda ogni dimostrazione convien che si mova amando al esentia deve volgere l’amore all’ essenza divina ove e tanto avantaggio che ciascun ben che si trova fuor di lei non e altro che un lume di suo raggio piu che in altro ove si trova tanta utilità, che quanto di bene si trova fuori di tal essenza non è altro che luce di uno de’suoi raggi infiniti, colui che mi deinostra el primo amor [p. 466 modifica]456 PARADiSO diluite le substantie sempiterne Aristotile nel libro — Etici — metafisici — cause — sceme tal vero al intellecto mio spiega tal verità al mio intelletto. Si legge poi nell’ Esodo cap. XXXIII che Iddio parlava con Mosè faccia a faccia, e che Mosè un giorno gli disse—o Signore, mostrami la faccia tua — sceme la voce del verace autore lo dimostra la voce di Dio, autore della verità che parlando di se dice a Moise io ti faro vedere omni valore che parlando di S COL) Mosè gli disse io ti mostrero la mia faccia. Scemnilmi ancora tu me lo spieghi anche tu, o Evangelista comentando tatto preconio col tuo vangelo che incomincia — In principio erat verbum etc. —- che grida i’ arcano di qui la giu sovra ogni altro bando che grida 1’ arcano ineffabile della generazione del Verbo divino al mondo, più sublimemente di ogni altro banditore. Vogliono, alcuni che l’Apocalisse scritta da s. Giovanni nell’ isola di Patmos veramente contenga i secreti o gli arcani di Dio, a cui Dante abbia voluto alludere piuttosto che all’ evangelo, ma io sono per la prima interpretazione, che mi sembra più della mente del Poeta. et io udi san Giovanni, per intellecto humano et per autoritade a lui concordi guarda a Dio il sovrano di tuoi amori condotto da ragione naturale, e dalla concorde divina autorità, riserba a Dio il principale de’ tuoi amori. madi ancora se tu senti altre corde tirarti verso lui ma palesa pure se hai altre ragioni od autorità che ti volgano a Dio si che tu sone con quanti denti questo amor te morde si che tutti sian noti gli argomenti dell’ amor tuo verso Dio. Non fu latente la saneta intentione di I aguglia di Cristo Non fu nascosta l’intenzione di san Giovanni, cui si dà per insegna l’aquila, simbolo della sublimità con che principia il suo vangelo anzi m’ accorsi dove volea menare mia profesDigitized

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canto
XXVI.

sione e mi avvidi dove voleva ferire la sua ricerca. poiricominciai quindi soggiunsi tutti quei morsi tutti quelli argomenti e ragioni che possono far volgere lo core a L’io che servono ad amar Dio sono concorsi a la mia caritade hanno servito a mettermi nel cuore anche la carità: che £ esser del mondo perchè diede l’essere all’ universo e lesser mio e diede l’essere a me, perch io viva la morte che I sostenne e la passione ch’ ei soffrì perché io vivessi di vita eterna e quello che spera ogni fedel com io e quanto spera ogni fedele cristiano come son io m hanno traclo mi hanno strappato dal mar dellamor torto dall’amore mondano, dalle umane passioni ed affetti che allontanano dal vero bene e m an posto a la riva del diritto e mi hanno messo in sicuro con la predicta conoscentia viva colle vive suddette dimostrazioni. am io cotan lo le frondi onde si fronda tutto I orto del ortolano eterno cotanto quanto da Lui è porto a br di bene le creature che adornano tutto il mondo che da Dio è conservato e provveduto, sono da me amate a misura del bene che loro è porto da Dio, cioè io amo in loro la perfezione e I’ opera di Dio. Sant’Agostino c’ indica i gradi della carità, e primamenie — ama ciò ch’ è sopra te — Dio poi ciò ch’ è fra te e l’anima tua. (in dokissimo canto risono per lo celo si come io taqui que’ beati alzarono un canto dolcissimo, appena io tacqui e la mia donna dicea con gli altri e Beatrice cantava cogli altri beati — Santo, Santo, Santo etc. — Ed a maggiore intelligenza di quanto segue, fingi che alcuno sia profondamente addormentato in oscurissimo luogo, e nel luogo stesso entri rIsplendentissimo lume repentinamente: lo svegliato, quasi stupido, si guarda tosto all’intorno, e si spaventa, finché a poco a poco, facendosi capace di sostener tanta luce, colla virtù estimativa conosce la realtà delle cose. Dante allo splenDigitized

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paradiso

dore dell’ Evangelista era rimasto abbarbagliato ed aUonito, ma Beatrice gli rinfranca la vista capace a sostenere la nuova maggior luce — Beatsece fugo ogni quisquiglia quisquilie sono le reliquie del fieno nella mangiatoia: qui vale ingombro, impedimento — Beatrice tolse ogni impedimento — dagli occhi miei da miei occhi smarriti col faggio di suoi che rifulgea da piu di mille miglia colla luce radiante più di mille miglia lontano dagli occhi suoi cossi come si disonna nel modo, in cui uno si sveglia a lume acuto a vivo e penetrante lume per lo spirto visivo che ricorre a lo spiendore per la vista che volgesi allo splendore che va di gonna in gonna che passa e penetra in ogni dove, I fisici pretendono che 1’ occhio si componga di molte tonache o spoglie e lo svegliato abhorre cio che vedee lo svegliato si spaventa di quanto vede si cenescia la subita vigilia tanto è privo dì discernimento il suo subito svegliarsi infin che I estimativa non soccorre finchè la virtù stimativa non gli fa conoscere il vero. Ond io vidi poi dopo avermi Beatrice rinfrancati gli occhi mci che innanzi meglio e più chiaramente di prima e quasi stupefaclo dimandai d un quarto lume eh io vidi tra noi e quasi stupido per maraviglia, ricuperata la vista più acuta di prima, dimandai chi mai fosse quel fulgido lume, che quarto io vidi tra noi;era venuto insieme cogli altri apostoli. e la mia donna e Beatrice rispose dentro di quei rai vàgheggia il suo Faetor I anima che la prima vertu creasse mai Iddio Creatore in quei raggi di luce vagheggia la prima anima, ch’ egli creò più perfetta di tutte le altre. — Altri leggono diversamente, e forse meglio così. — Tra i raggi di quel quarto lume l’anima prima cioè Adamo vagheggia il suo Creatore. t’ce io intanto in quanto ella dicea dli’ udire tali parole di Beatrice stupendo altamente maravigliaiido dapprima e poi gitizedbyGOOgIe [p. 469 modifica]CASTO xxvi. 49 mi rifece sicuro un disio di parlare ond io ardeva e poi rimettendomi per un ardente desiderio di parlargli, feci come la fronda come il ramo di un albero he /lecta la ima che piega la vetta nel transito del vento al soffiare del vento e poi si leva per la propria virtu che la sublima e poi si rialza, per la naturale tendenza di volgere in alto. el cominciai. io a dirgli così. O pomo che maturo solo producto fosti o pomo creato da Dio maturo e perfetto o padre antiquo di tutto il genere umano che fu e sarà a cui ciascuna sposa e figlia e nuro ogni donna maritata è figlia di Adamo e moglie di un figlio di Adamo, dunque a lui è figlia e nuora divoto quanto io posso supplico a ti con ogni venerazione ardisco pi’egarti perche mi parli di volgere a me tua voce: tu vedi mia voglia tu leggi in Dio il mio ardente desiderio e non la dico per udirli tosto e non lo espongo a risparmio di tempo. Ogni animale coperto da pelle è capace di far conoscere I’ interno affetto per mezzo di un esterno movimento, e del pari Adamo colle diverse vibrazioni del suo splendore mostrava la sua disposizione di rispondere a Dante. talvolta un animaI coverlo broglia si che I affecto convien che si paia per lo seguire che face a lui la invoglia talvolta un animale che sia coperto con pelle o panno si a- gita in sì fatta guisa, che conviene che il suo desiderio si manifesti, sta nte il movimento che al di sotto di quello fa il panno, o la pelle seguendolo slmikmente 1 anima primaia mi [acea trasparere per la coverta quanto ella a cfompiacermi venia gaia in simil guisa Adamo faceva trasparire dal lume in cui era nascosto, quanto per compiacermi diveniva allegro. Indi spiro indi Adamo disse io discerno meglio la voglia tua che tu qualunche cosa t epiu certa sanza essermi proferta io coiiosco meglio il tuo desiderio,chc noii conosci tu la cosa [p. 470 modifica]6O PARADiSO che ritieni per più sicura, quantunque tu non mcl palesi con parole pereh io la veggio nel verace speglio che fa di se pareglio I altre cose e nulla face lui di se pareglio perché io veggo il tuo desiderio nel vero specchio ch’ è Dio, che fa le altre cose pari, uguali a sè stesse, ma niuna cosa può rappresentar Dio nella sua vera immagine, tu vuoli udir quant e che Dio mi pose nell exeeko giardino ove costei a cosi lunga scala ti dispuose. Tu vuoi sapere quanto tempo è trascorso dacchè Dio mi pose nel Paradiso terrestre, al quale Beatrice ti fece giungere per tanto lunga scala e la prima cagion del gran disdeqno e la vera cagione che mosse lo sdegno di Dio e I idioma eh io usai e eh io fei e la lingua che inventai e della quale feci uso? Or figUol mio non il gustar de legno fu per se la cagion di tanto ezilio ma solamente il trapassar del segno o figlio mio, non fu il semplice gustare del pomo la cagione per cui fui scacciato dal Paradiso terrestre, ma bensì I’ avere oltrepassati i termini prescritti dal volere di Dio. Volli conoscere il bene ed il male per essere un Dio. quindi onde mosse tua donna Virgilio quindi da quel luogo, dal Limbo, dal quale Beatrice mosse Virgilio in tuo soccorso desiderai questo concilio desiderai questa adunanza di beati, concordi in un medesimo volere quatro milia trecento e dui volumi di sole quattro mila trecento e due rivoluzioni di sole o 43O anni e vidi lui tornare a tutti lumi de la sua strada novecento trenta flate,nentre eh io in terra fumi e vidi il sole tornare in tutti i segni dello zodiaco novecento trentavolte, cioè vissi 930 anni. — Gli ebrei fanno un computo diverso da quello seguito da Dante. La lingua eh io usai fu tutta spenta il linguaggio che io

inventai ed usai fu interamente perduto innanzi che all opra [p. 471 modifica]

canto
XXVI. 461

ineonstimabile fosse attenta la gente di Nembrot prima che la gente di Nembrot si mettesse a costruire la torre di Babele, opera che non poteva essere consumata, o condotta a fine. In quell’opera nacque la confusione delle lingue a punizione di superbia che nullo effecto mai rationabile per lo piacere human che rinovdlla seguendo I ciel sempre mai fu durabile perciocchè niuna opera proveniente dall’ arbitrio dell’ anima ragionevole fu mai eternamente durevole per ragione della volontà degli uomini, che si cambia al cangiare degli astri, ed a seconda del loro influsso, opera naturale ee che favella hom I’ uomo ha dalla natura la parola ma natura lascia poi fare a voi segondo che v abbellii ma la natura vi lascia uscirne in un modo, o in un altro come vi piace. In tutte le parti del mondo si creò a piacere un idioma, il sommo bene Dio onde vene la leticia che mi fascia dal quale mi viene la beatitudine che mi circonda lun 8 appellava in terra nomavasi un —pria ch io scendessi a la infernale ambascia prima di essere scacciato dal Paradiso a condurre la vita di sventura nella terra. poi si chiamo EI in ebraico e cio conviene e ciò è di conseguenza che luso di mortali ce come fronda in ramo che sen va e laltra vene che la volontà degli uomini è come foglia degli alberi, che caduta 1’ una, ne viene un’ altra. Finalmente Adamo racconta quanto tempo stette nel Paradiso terrestre ed in sostanza vuoi esprimere che non vi stette che sei ore compite, dalla prima ora fino alla sesta, prendendo la similitudine dal termine, che divide il quarto orientale dall’ occidentale. Il giorno naturale è composto di ventiquattr’ ore, diviso in quattro parti di sei per ciascuna. io fui nel monte che si leva piu da i onda nei monte del Purgatorio che più di ogni altro s’ innalza sopra le acque dei mare che circondano la terra, ed in cima al quale è il Paradiso terDigitized

by Google [p. 472 modifica]462

paradiso

restre con vita pura innocente e disonesta poi disonesta pel violato precetto da la prima ora a quella che sicunda come i sol muta I hora sexta quadra dalla prima ora del giorno in cui fui creato sino a quella che seguita, quando il sole muta

quadrante, o la prima quarta che ha sei ore. [p. 473 modifica]

canto
XX Vii.

TESTO MODERNO Ai Padre, al Figlio, allo Spirito Santo Cominciò gloria tutto il Paradiso Sì che m’ inebbriava il dolce canto. Ciò ch’iovedeva mi sembrava un riso Dello universo; per che mia ebbrezza Entrava per l’udire e per lo viso. 6 Ogioia! o ineffabile allegrezza! O vita interna d’amore e di pace! O senza brama sicura ricchezza! 9 Dinanzi agli occhi miei le quattro face Stavano accese, e quella che pria venne, Incominciò a farsi più vivace; E tal nella sembianza sua divenne, Qual diverrebbe Giove, s’ egli e Marte Fossero augelli, e cambiassersi penne. La provedenza, che quivi comparte Vice e uficio, nel beato coro Silenzio posto avea da ogni parte, IS Quando io udii: se io mi trascoloro, Non ti maravigliar; chè, dicendo io, Vedrai trascolorar tutti costoro. 21 Quegli che usurpa in terra il loco mio, Il loco mio, il loco mio, che vaca

Nella presenza del Figliuoi di Dio, 24 [p. 474 modifica]464

paradiso

Fatto ha del cimiterio mio cloaca Del sangue e della puzza, onde il perverso, Che cadde di quassiì, laggiù si placa. 27 Di quel color che, per lo Sole avverso, Nube dipinge da sera e da mane, Vid’ io allora tutto il Ciel cosperso. 30 E come donna onesta che permane Di sè sicura, e per 1’ altrui failanza, Pure ascoltando, timida si fane; Così Beatrice trasmutò sembianza: E tale eclissi credo che in Ciel fue, Quando palI la suprema Possanza. 36 Poi procedetter le parole sue Con voce tanto da sè trasmutata, Che la sembianza non si mutò piue: 39 Non fu la Sposa di Cristo allevata Del sangue mio, di Lin, di quel di Cielo, Per essere ad acquisto d’oro usata; Ma per acquisto d’eslo viver lieto E Sisto, e Pio, Calisto, e Urbano Sparser lo sangue dopo molto fleto. Non fu nostra intenzion che a destra mano Dei nostri successor parte sedesse, Parte dall’altra del popol Cristiano; 48 Nè che le chiavi, che mi fur concesse, Divenisser segnacolo in vessillo Che contra i battezzati combattesse; Nè ch’io fossi figura di sigillo A privilegi venduti e mendaci, Ond’ io sovente arrosso e disfavillo. In veste di pastor lupi rapaci

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canto
XXVII.

Si veggion di quassiì per tutti i paschi: O difesa di Dio, perchè pur giaci! Del sangue nostro Caorsini e Guaschi S’ apparecchian di bere: o buon principio, A che vii fine convien che tu caschi! 60 Ma l’alta providenza, che con Scipio Difese a Roma la gloria del mondo, Soccorrà tosto, sì come io concipio. 63 E tu, figiluol, che per lo mortal pondo Ancor giù tornerai, apri la bocca, E non asconder quel ch’ io non ascondo. 66 Sì come di vapor gelati fiocca In giuso l’aer nostro, quando il corno Della Capra del Ciel col Sol si toccà; 69 In su vidi io così l’etere adorno Farsi, e fioccar di vapor trionfanti, Che fatto avean con noi quivi soggiorno. 72 140 viso mio seguiva i suoi sembianti, E seguì fin che il mezzo, per lo molto, Gli tolse il trapassar del più avanti: 75 Onde la Donna, che mi vide assolto Dell’attender in su, mi disse: adima Il viso, e guarda come tu sei volto. 78 Dall’ ora ch’io avea guardato prima, lo vidi mosso me per tutto l’arco, Che fa dal mezzo al fine il primo clima; 81 Si ch’ io vedea di là da Gade il varco Folle d’Ulisse, e di qua presso il lito, Nel qual si fece Europa dolce carco. 8 E più mi fora discoperto il sito Di questa aiuola; ma il Sol procedea, — VoI. 3. 30 [p. 476 modifica]I66 PAHAflISO Sotto i miei piedi, un segno e più partito. 87 La mente innamorata, che donnea Con la mia Donna sempre, di ridure A essa gli occhi più che mai ardea. 90 E se natura, o arte fe’ pasture Da pigliar occhi per aver la mente, In carne umana o nelle sue pinture, 9 Tutte adunate parrebber niente Ver lo piacer divin che mi rifulse, Quando mi volsi al suo viso ridente. E la virtù, che lo sguardo m’indulse. Del bel nido di Leda mi divelse, E nel Ciel velocissimo m’impulse, 99 Le parti sue vivissime ed eccelse Sì uniformi son, ch’io non so dire Qual Beatrice per loco mi scelse. Ma ella, che vedeva il mio desire, Incominciò ridendo tanto lieta Che Dio parea nel suo viso gioire: La natura del moto, che quieta Il mezzo, e tutto l’altro intorno move, Quinci comincia come da sua meLa. 108 E questo Cielo non ha altro dove Che la Mente divina, in che s’accende L’amor che il volge, e la virtù ch’ei piove. I li Luce e amor d’un cerchio lui comprende, Sì come questo gli altri, e quel precinto Colui che il cinge solamente intende, I lt Non è suo moto per altro distinto; Ma gli altri son misurati da questo,

Sì come diece da mezzo e da quinto. 1 17 [p. 477 modifica]

canto
XXVII.

E come il tempo tenga in cotal Lesto Le sue radici e negli altri le fronde, Ornai a te può esser manifesto. l2() O cupidigia, che i mortali affonde Sì sotto te, che nessuno ha potere Di ritrar gli occhi fuor delle tue onde! 123 Ben fiorisce negli uomini il volere; Ma la pioggia continua converte In bozzacchioni le susine vere. 126 Fede e innocenza son reperte Solo nei parvoletti: poi ciascuna Pria fugge che le guancie sien coperte. l29 Tale, balbuziendo ancor, digiuna, Che poi divora, con la lingua sciolta, Qualunque cibo per qualunque luna: 132 E tal, balbuziendo, ama e ascolta La madre sua, che, con loquela intera, Desia poi di vederla sepolta. 13! Così si fa la pelle bianca, nera, Nel primo aspetto, della bella figlia Di quel che apporta mane, e lascia sera. 138 Tu, perchè non ti facci maraviglia, Pensa che in terra non è chi governi; Onde si svia l’umana famiglia. 141 Ma prima che Gennaio tutto si sverni, Per la centesma ch’ è laggiù negletta, Ruggeran sì questi cerchi superni, 144 Che la fortuna, che tanto s’aspetta, Le poppe volgerà u’ son le prore, Sì che la classe correrà diretta;

E vero frutto verrà dopo il fiore. 148 [p. 478 modifica]G8

paradiso

COMMENTO Dl BENVENUTO Il canto si divide in quattro parti. Nella prima, invettiva di san Pietro. Nella seconda, l’esercito trionfante sale al cielo empireo, e Dante getta uno sguardo sulla terra. Nella terza, Dante sale alla nona sfera. Nella quarta, imprecazione all’umana cupidigia. Quegli spiriti beati innalzarono un cantodi grazie e lodi a Dio Trino pci triplice trattato delle tre virtù con tanto dolce melodia che tutte le anime ne eran commosse. tutto i Paradiso Lutti quegli spiriti beati in Paradiso comintio gkwia al Padre al figlio e allo Spirito Sancto si che il doke canto in inebriava cominciarono a cantare — gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo — con tal dolce armonia, che io ne riinasi inebriato: cio ch io vedea mi sembrava un riso de I universo mi pareva che sorridesse i’ intero universo perche mia ebrezza mirava per I udire e per Io viso perchè sorrideva tutto che vedeva ed ascoltava, o gioia o inefabil allegrezza! o gaudio, o letizia indescrivibile! o vita integra d a- more e di pace o vita di amore e di pace sempiterna? o sanza brama sicura richezza o vera e tranquilla ricchezza senza affanni! Le quattro face stavano accese dinanzi agli occhi miei san Pietro, san Giacomo, san Giovanni, ed Adamo, toltisi dagli altri spiriti stavano, sfavillando, dinanzi a me e quella pria che venne e san Pietro incomintio a farsi ptu vivace cominciò a farsi più acceso e divenne tal ne la sua se,nbianza qual diverebbe Giove s eh et Marte fusser augeti e canibionson penne e tale divenne il lume di san Pietro, quale diverrebbe il pianeta Giove, se a somiglianza di uceello che

muta le penne con altro uccello, mutasse il suo candore nel [p. 479 modifica]

canto
XXVII. 469

rosso di Marte, ossia la luce candida di san Pietro si tinse in 1•0550. La provvedentia che quivi comparte vice et officio che in questo luogo distribuisce le funzioni, ed i poteri avea p0- sto silentio da ogni parte nel beato coro aveva fatto cessare il canto in ogni parte quand io udii quando sentii che san Pietro mi diceva — non ti maravigliar se io mi trascoloro non ti maravigliare se io muterò colore che dicendo io vedrai Irascolorar tutti costoro che a quanto dirò, vedrai che anche gli altri tutti lo cambieranno. Quei che usurpa in terra il loco mio il loco mio il loco mio ripetendolo tre volte in segno di estrema indignazione. Quel Bonifacio Vili che in terra tiene il mio posto che vaca ne la presenza del flgliol di Dio che manca della presenza del fìgliuol di Dio, (qui Dante sfoga il suo sdegno contro Bonifacio) ha facto cloaca del cimiterio mio ha reso una cloaca il Vaticano, ovvero la mia Roma, nella quale è sepolto il corpo mio, del sangue della puzza per la guerra coi cristiani onde il perverso che cade di qua su la giu si placa onde Lucifero scacciato dal cielo trova chi lo seconda in terra. Vidi io allora tutto I cielo cosperso di quel colore che dipinge nube per lo sole averso allora io vidi, come aveva predetto san Pietro, tutto il cielo spai’so di un color rosso, come quello di nube pregna di vapori in cui feriscano i raggi opposti del sole da sera e da mane e la mattina e la sera. e Beatrice trasmuto sembianza Beatrice pure cambiò di aspetto cosi come donna honesta che permane disesicura come donna che si sta sicura nella sua innocenza e per laltrui falla cia pure ascoltando timida si face ee ascoltando raccontare falli altrui, diviene rossa e paurosa. e tal ecclipse credo che

nel ciel fue quando pati la suprema possanza e credo che [p. 480 modifica]470

paradiso

una simile eclisse avvenisse quando Gesù Cristo mori sulla croce. Poi proceder le parole sue con voce tanto da se tramutata che la se,nbianza non si muto piu la voce di san Pietro cambiò nella misura stessa in cui si era mutato il suo colore, ossia non si cambiò più. la sposa di Cristo non fu allevata del sangue mio di Lin di quel di Cleto la Chiesa non fu allevata col latte del mio sangue, di quel di Lino, di quel di Cleto successori di san Pietro e santi martiri per essere usata ad acquisto d oro perché fosse mezzo per acquistare ricchezze mondane ma per acquisto d esto viver lieto ma per l’acquisto del Paradiso; e Sixto Pio e Calisto et Urbano sparser lo sangue dopo molto ,fleto e Sisto, Pio, Calisto ed Urbano sparsero molte lagrime sulle persecuzioni de’cristiani, e finirono col soffrire il martirio per la fede. non fu nostra intention che a dextra mano di nostri successori parte sedesse parte dal altra del popol cristiano non fu nostra volontà che si seguissero parti, e si mantenessero le discordie fra i cristiani colle fazioni ora guelfe or ghibelline ne che le chiavi che mi furon concesse divenisser signaculo in vezillo che contro battezzati combattesse nè che le chiavi che mi furono da Cristo concesse e dipinte nella bandiera papale, diventassero un segno di guerra contro i Ghibellini che erano pur battezzati e membri di una medesima Chiesa. Così il Poeta allude a quei pastori , che imprendono guerre contro cristiani, ne che io fossi figura di sigillo e privilegi venduti e mendaci ond io sovvente arrosso e disfavillo nè che la immagine Impressa nel sigillo pontificio autorizzasse a privilegi e dispense vendute per denari, e fondate sopra menzogne, ond’io spes so divento furente di sdegno e di vergogna.

Si veggion di qua su per tutti i paschi lupi rapaci t’i [p. 481 modifica]

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XXVII. 71

veste di Pastori si veggono dal cielo nelle chiese lupi rapaci sotto tal manto. o difesa de Dio perche pur giace? o vendetta di Dio, perché dormi? Caorsini e Guaschi si apparecchian di bere del sangue nostro del patrimonio donato dai fedeli alla Chiesa s’ apparecchiano ad impinguarsi quei di Cahorsa nella Guienna, del qual paese era Giovanni XXII caorslno, e quelli della Guascogna paese del pontefice Clemente V guascone o bon principio del papato a che vii fin convien che tu ca$chi: sarà avvilito ed oppresso se non si correggono i vizi suinclicati. Ma I alta provvideniia che con Scipio difese a Roma la gloria del mondo ma la provvidenza di Dio che per mezzo di Scipione conservò a Roma la gloria del mondo soccorra tosto si eom io conseipio deh tosto soccorra a tanta jattura! e tu /1- gliolo che per lo mortal pondo ancor giu tor,nerai apri la bocca e non nascondere quel eh io non nascondo e tu figlio, che pel corpo mortale in cui tuttora sei, dovrai tornare nel mondo, grida pure apertamente queste parole che io qui pronuncio, e propala in terra quanto io paleso nel cielo. Vidi io cosi in su farsi i ci era adorno e fioccare in su vidi l’eterea regione del cielo così adornarsi di vapori triunphanti di spiriti trionfanti che faclo avieno con noi qui soggiorno che restati erano con noi nell’ottava sfera, quando Cristo e Maria salirono all’ empireo si come I air nostro flocca in giuso di vapori gelati come I’ aria si riempie di fiocchi di neve quando il corno de la capra dei cielo col sole si tocca quando il capricorno è in compagnia del sole, cioè da mezzo decembre a mezzo gennaio. lo viso mio seguiva i suoi sembianti la vista mia seguiva quegli spiriti che partivano e seguio finche I mezzo e li seguì fìnchè Io spazio di mezzo li toLse il trapassar di piu avanti tolse ;i miei occhi cli più veDigitized

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derli per Io molto per la gran distanza; onde la donna che mi vide asciolto dall attendere ii$su il perché Beatrice, vedendo mancare la ragione di guardare più in su dietro agli spiriti che partivano mi disse: adima il viso e guarda come tu se volto abbassa lo sguardo, e mira quanto il cielo ti ha aggirato intorno alla terra in questo spazio di tempo. Dal ora eh io avea guardato il primo io vidi mosso me per tutto I arco che fan dal mezzo al fine il primo clima dal tempo in cui io aveva altra volta guardata la terra a quello, in cui poscia la riguardai, vidi che io aveva percorso insieme coi gemelli I’ arco che dal meridiano all’orizzonte occidentale forma il primo clima: aveva girato un quadrante, o sei ore. Gli astrologi distinguono sette climi si eh io vedea di la da Gade il varco folle d Ulisse e di qua presso il lito nel quak si fe Europa dolce carco si che io, trasportato all’ orizzonte occidentale, e trovandomi perpendicolarmente sopra di quello insieme al segno dei gemelli, vedeva di là da Gade, o Cadice, il luogo, ove follemente Ulisse tentò di navigare e fece naufragio; e dalla parte orientale del nostro emisfero vedeva il lido fenicio, dove Giove, trasformato in toro, rapI Europa, e se ne fece dolce carco. Agenore re de’ fenici ebbe una figlia nomata Europa che fu rapita da Giove sotto forma di toro, o con una nave che aveva egualmente la insegna del toro. Il padre mandò tre suoi figli a cercarla. E qui alcuni obbiettano, perché Dante innestò molte volle oscenità degli Dei gentili; cui si risponde che ciò fu colpa de’poeti non della poesia, i quali sebbene eretici potevano essere morali. Origene gran teologo era stato eretico, e nulla perdeUe la teologia: Valerio, Marziale, Marziano Capella ed altri gran poeti scrissero molte cose della turpitudine degli Dei; potrebbe per ciò conseguirsi che le loro opere siano cattive? e pi

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mi fora discoperto il sito di questa ariola e mi sarebbe stato possibile scoprire il punto della terra che I sol procedea sotto i miei piedi un segno epiu partito perchè il sole sotto ai miei piedi andava innanzi a me, distante da me un segno dello zodiaco, e pitì, e la terra non era rispetto a lui illuminata. La mente innamorata che donnea sempre con la mia donna la mente mia nnamoraÌa, che sempre vagheggiav’a con Beatrice piu che mai ardea di ridurre gli od ad essa sempre più desiderava di fissare in lei lo sguardo: e se natura e arte [ce pasiure da pigliar occhi per aver la mente in carne humana o nelle sue picture e se la natura o I’ arte produssero bellezze onde pascere gli occhi per attrarre le menti, l’una ne’corpi umani, l’altra nelle sue dipinture tutta adunate parrebber niente ver lo piacer divino che mi rifulse quando mi volsì al suo viso ridente tutte adunate parrebbero nulla a petto del divino piacere che m’ invase quando mi volsi al di lei lieto viso, e la virtu che losguardom indulse e tanta impressione mi fece lo sguardo benigno di Beatrice che mi divelse dal bel nido di Leda che mi tolse dal segno dei gemelli. Castore e Polluce figli di Giove e di Leda, madre di E- iena, si fingono mutati nel segno di gemini o gemelli, come si disse nel Purgatorio e nel ciel veloci1,ssimo compulse e mi slanciò dentro al primo mobile, le parti sue vivissime ci exceThe son si uniformi che io non so dire per qual loco Beairice mi se elesse le parti del primo mobile son tanto vive, eccelse, ed uniformi, che non so dire in qual luogo Beatrice mi avesse lanciato. Ma ella che vede il mio disire ma essa che leggeva il mio desiderio di sapere qualche cosa del primo mobile in(‘omincio ridendo tanto lieta che Dio parea nel suo volto gioiFe

incominciò a dirmi con tanta letizia che parea che lo stesso [p. 484 modifica]474

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Dio gioisse nel di lei volto. la natura del mondo che quieta il mezzo e tutto i altro intorno move quinci comincia come da sua meta il moto circolare dei cieli, di cui è natura lener quieto il centro e movere il resto, ha cominciamento da questo cielo, ch’ è ultimo termine di esso moto: e questo cielo non hae altro dove che la mente divina ed oltre questo ciclo non è che la mente divina in che s accende I amor che i volge dalla quale esso prende il suo moto e la vertu eh ci piove e I’ influsso sugli altri, luce et umore d un cerchio Sui comprende si come questo gli altri, e quel precinto intende solamente colui che il cinge luce ed amore lo circondano a quel modo cli’ esso circonda gli altri Otto cieli inferiori, e quel cerchio di luce e di amore governa solamente quel Dio che lo ravvolge al primo mobile, non ce suo moto distinto per altro non è il suo moto distinto da altro moLo ma gli altri son men.surati da questo pur come dieci da mezzo e da cinque ma gli altri moti sono misurati, come è misurato il dieci dalla sua metà cioè dal cinque, e dal suo quinto ch’é il due: e ornai po essere a te manifesto come il tempo legna le sue radici in cotai lesto e negli altri le fronde ed ornai ti può essere manifesto come il tempo in quel primo mobile abbia la sua occulta origine, e negli altri cieli i moti a noi visibili. — Se il moto della nona sfera è la misura degli altri, dunque è la radice del tempo. non essendo altro il tempo clic il numero dei moti al dir di Aristotile. Se poi la radice è in lui, dunque i rami si estenderanno pci moti degli altri cieli, e questi sotì chiamati frondi. Il primo mobile compie la sua rivoluzione in ventiquattr’ ore, e così radicalmente ha le ore, i giorni, i mesi, e gli anni, che poi si distinguono per mezzo del sole. O cupidigia che a/fondi i mortali si sotto te che nissuno 1w potere di tra” gli occhi [noi’ de Se tue onde esclamt’

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XXV1I. 47t1

quindi san Pietro — o cupidigia, che affondi tanto gli uomini sotto di te, che nessuno è capace di sottrarsi, e venir fuori da’ tuoi abissi; il voler ben fiorisce negli homini la buona volontà mostra negli uomini il fiore, ma non arriva al frutto ma la pioggia continua converte in bozachioni le susine vere ma come la pioggia continua converte le vere susine, o prune in bozzacchioni o susine guaste e vane, così i frequeuti stimoli a male operare trasmutano il buon volere, fede et innocentia son reperle solo nei parvoletti troverai la fede e 1’ innocenza solo nei fanciulli e poi ciascuna fuge pria che le guancie sien coperte poi ciascuna fugge prima che le guancie siano coperte dalla prima lanugine: tal ancora balbutiendo digiuna osserva il digiuno un fanciullo che ancora non sa perfettamente pronunciar la parola che poi con la lingua sciolta divora qualunche cibo per qualunche luna che poi adulto e buon parlaLore, divora qualsivoglia cibo vietato dalla Chiesa nei giorni di digiuno, in qualunque stagione la Chiesa lo prescriva. e tal balbuttendo ama et ascolta la madre sua che dista poi di vederla sepolta tal altro non avendo ancora spedita la lingua, ama e rispetta le correzioni della madre sua e divenuto adulto e distinto parlatore, augura la morte alla stessa sua madre. Così la pelle bianca si fa nera nel prtmo aspecto di la bella figlia di quello che apporta matte e lascia sera così la pelle bianca della bella figlia del sole che apporta il mattino e lascia la sera, ossia la natura umana, della quale gli antichi credettero padre il sole, nel lrimo aspetto bianca si fa nera, ossia nel principio buona si perverte poscia e si fa rea. Si può anche moralmente interpretare cosi. — La purità o l’innocenza dell’ umana natura, figlia del sole eterno di Dio, che apporta il mattino, la luce di grazia, e nella sera le tenebre [p. 486 modifica]476 PARADiSO (lei peccato, si fa turpe e nera colla colpa, e rimane bianca coll’in nocenza. —- Applicandola ai malvagi prelati, la Chiesa bellafiglia di Dio diviene da bianca nera,da pura torbida, da virtuosa viziosa. Ma questa speciale allusione è contro la lettera del testo, che impreca contro la generale umana cupidigia. Tu. perche non li faci maraviglia nel ritenere tutti gli uomini dediti a cupidigia pensache ii terra nonechi governi pensa che non vi è chi governi nè le cose spirituali nè le temporali; dal che ne viene che gli uomini sopra tanto esempio deviano dai sentiero, che conduce all’eterna beatitudine, e battono la strada de’ vizi ossia della morte: e tutto dì sentiamo il volgo scusarsi coli’ altrui esempio. ma prima che gennaio tutto sverni per la centesma eh e iaqgiu negtecta. Per intelligenza del testo è a sapersi che ogni anno è compostodi trecento sessantacinque giorni e sei ore, meno una centesima parte di ciascun giorno, locchè produce un giorno di più ogni cento anni, e quindi dice Dante, che prima che gennaro sorta dalla quarta invernale, che incomincia dal mezzo decembre col sole ai principio di capricorno, e termina alla fine di pesci alla metà di marzo, ossia dopo il corso di 4500 anni il mondo sarà riformato, ma questi cerchi supervai ma queste sfere celesti ruggiran si strideranno tanto che la fortuna che tanto $ aspecla che l’arrivo del Veltro aspettato ad esLirpare la cupidigia dal mondo volgiera le poppe ove son le prore farà prendere diverso cammino alla nave di san Pietro si che la classe correra directa sì che la flotta correrà direttamente al porto di virtù e di salute. Classe o flotta per indicare più navi, ossia Sacerdozio ed Impero: e vero frucio verra dopo il fiore in rapporto a quanto superiormente si disse, che il buon volere fioriva nella prima età, ma poi non giungeva al frutto,

e moralmcnte, cessando la nefanda, avarizia, quei buoni hori [p. 487 modifica]

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xxvii. 477

produrranno buoni frutti. non guasti da tanto esempio pria che gennaro tutto si sverni esca interamente ti’ inverno per la centesina eh e laggiu neglecia non si calcolò la centesima, non perchè non si conoscesse, ma per non introdurre con- fusioni nel calendario. Dante per altro fissando un lungo tempo, pare che si contraddica sulla venuta dei Veltro che altra volta mise in breve venturo. Ma il lungo tempo si scusa coli’ uso, dicendosi tutto giorno, prima che passin mille anni, diecimila anni accadrà la tal cosa,e non si vuoletantoallontanarla,ma invece indicare un tempo assai più corto.

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TUTO MODERNO Poscia che contro alla vita presente Dei miseri mortali aperse il vero Quella, che imparadisa la mia mente; 3 Come in Io specchio fiamma di doppiero Vede colui che se ne alluma dietro, Primache l’abbia in vista o in pensiero, 6 E sè rivolve per veder se il vetro Gli dice il vero, e vede ch’el si accorda Con esso, come nota con suo metro; 9 Così la mia memoria si ricorda, Ch’ io feci, riguardando nei begli occhi, Onde a pigliarmi fece Amor la corda. E come io mi rivolsi, e furon tocchi Li miei da ciò che pare in quel volume, Quandunque nel suo giro ben s’adocchi, Un punto vidi che raggiava lume Acuto sì, che il viso, ch’egli affuoca, Chiuder conviensi per lo forte acume. 18 E quale stella par quinci più poca, Parrebbe Luna locata con esso, Come stella con stella si collòca. 21 Forse cotanto, quanto pare appresso Alo cinger la luce che il dipigne, Quanto il vapor che il porta più è spesso,

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xxviii. I,7)

Distante iALoriI() ai pno Ori cerchio d’ igne Si girava sì ratto, che avria vinto Quel moto che più tosto il mondo cigne: E questo era d’ un altro circuncinto, E quel dal lerzo, e il terzo poi dai quarto, Dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinlo. 50 Sopra seguiva il settimo sì sparto Già di larghezza, che il messo di Juno intorno a contenerlo sarebbe arto. 55 Così l’ottavo, e il nono; e ciascheduno Più tardo si movea, secondo ch’era in numero distante più dall’uno: E quello avea la fiamma più sincera, Cui men distava la favilla pura; Credo, però che più di lei s’invera. La Donna mia, che mi vedeva in cura Forte sospeso, disse: da quel punto Dipende il Cielo e tutta la Natura. 42 Mira quel cerchio che più è congiunto, E sappi che il suo movere è sì tosto Per l’affocato amore onde egli è punto. E io a lei: se il mondo fosse posto Con l’ordine ch’io veggio in quelle ruote, Sazio mi avrebbe ciò che mi è proposto. 48 Ma nel mondo sensibile si puote Veder le cose tanto più divine, Quanto cile son dal centro più remote. Onde, se il mio desio deve aver fine In questo miro e angelico tempio, Che solo amore e luce ha per confine,

Udir conviemmi ancor come l’esempIo [p. 490 modifica]8O .

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E l’esemplare non vanno d’un modo; Chè io per me indarno a ciò contemplo. Se li tuoi diLi non sono a tal nodo Sufficienti, non è maraviglia, Tanto per non tentare è fatto sodo. 60 Così la Donna mia; poi disse: piglia Quel che io ti dirò, se vuoi saziarti, E intorno da esso t’ assottiglia. 6 Li cerchi corporali enno ampi e arti, Secondo il più e il men della virtute, Che si distende per tutte br parti. C6 Maggior bontà vuoi far maggior salute: Maggior salute maggior corpo cape, S’egli ha le parti ugualmente compiute. 69 Dunque costui, che tutto quanto rape L’alto Universo seco, corrisponde Al cerchio che più ama e che pii sape. Perchè, se tu alla virtù circonde La tua misura, non alla parvenza Delle smistanze che ti appaion tonde, Tu vederai mirabil convenenza Di maggio a più, e di minore a meno, In ciascun Cielo, a sua Intelligenza. 78 Come rimane splendido e sereno L’ emisperio dell’ aere, quanto soffia Borea da quella guancia, onde è più leno, 81 Perché si purga e risolve la roffia, Che pria turbava, sì che il Ciel ne ride, Con le bellezze d’ogni sua paroflla; 84 Così feci io, poi che mi provvide

La Donna mia del suo risponder chiaro, [p. 491 modifica]

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XXVI11. 481

E come stella in Cielo il ver si vide. 87 E poi che le parole sue restaro, Non altrimenti ferro disfavilla Che bolle, come i cerchi sfavillaro. 90 Lo incendio br seguiva ogni scintilla: Ed eran tante, che il numero loro Più che il doppiar degli scacchi s’ immilla. 93 lo sentiva osannar di coro in coro Al punto fisso, che li tieni all’ubi, E terrà sempre, nel qual sempre foro; 96 E queÌla che vedeva i pensier dubi Nella mia mente disse: i cerchi primi T’ hanno mostrato i Serafi e i Cherubi. 99 Così veloci seguono i suoi vimi, Per simigliarsi al punto quanto ponno, E posson quanto a veder son sublimi. 102 Quegli altri Amor, che intorno gli vonno, Si chiaman Troni del divino aspetto, Perchè il primo ternaro terminonno. 10 E dèi saper che tutti hanno diletto Quanto la sua veduta si profonda Nel Vero, in che si queta ogni intelletto. 108 Quinci si può veder come si fonda L’esser beato nell’atto che vede, Non in quel ch’ama che poscia seconda: 111 E del vedere è misura mercede, Che grazia partorisce e buona voglia: Così di grado in grado si procede. 114 L’ altro Lernaro, che così germoglia In questa primavera sempiterna, Che notturno Ariete non dispoglia, 117

RAMBALDI — Voi. 3. 31 [p. 492 modifica]4.82

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Perpetualemente Osanna sverna, Con tre rnelode, che suonano in tree Ordini di letizia, onde s’interna. 120 In essa Gerarchia son l’alte Dee, Prima Dominazioni, e poi Virtudi: L’ ordine terzo di Podestadi ee. 12 Poscia nei due penultimi tripudi Principati e Arcangeli si girano: L’ultimo è tutto di Angelici ludi. 126 Questi ordini di su tutti rimirano, E di giù vincon sì, che verso Iddio Tutti tirati sono e tutti tirano. l2I E Dionisio con tanto desio A contemplar questi ordini si mise, Che li nomò e distinse com’ io. Ma Gregorio da lui poi si divise: Onde, sì tosto come gli occhi aperse In questo Ciel, di sè medesmo rise. l5 E se tanto segreto ver profferse Mortale in terra, non voglio che ammiri; Chè chi il vide quassù gliel discoperse Con altro assai del ver di questi giri. 139 COMMENTO DI BENVENUTO Diversi ordini angelici. Si divide il canto in tre parti. Nella prima, principio, virtù ed ordine degli angeli. Nella seconda, ricerche sugli angeli. Nella terza, distinzione singolare e nominativa degli ordini angelici. Gittando lo sguardo in uno specchio, se vi scorgiamo rappresentata una fiamma, tosto volgiamo indietro lo sguar do per conoscere come si trovi nello specchio, ed altretDigitized

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XXVIII. !i83

tanto fece Dante, perchè guardando negli occhi di Beatrice vi scorse dentro ardentissimo lume, e si volse per accertarsi donde veniva, e la mia memoria si ricorda ed ho presente eh io feci riguardando nei belli occhi negli occhi di Beatrice onde amo’ fece la corda a pigliarmi dei quali amore fece corda a legarmi a lei cossi come colui che si n alluma retro come colui che, avendo un lume dietro le spalle, vede fiamma didoppiero in lo specchio scorge un lume di torcia o cero nello specchio prima che I abbia in vista od in pensiero all’ Imprevvista, e senz’ averla veduta e si ‘ivolge per veder se I vero li dice i vetro e si volge indietro per vedere se lo specchio gli dice la verità e I vede che I saccorda con esso come corda con suo metro e trova corrispondere la fiamma al doppiere, come la corda al tono od al canto poscia che quella che imparadixa la mia mente dopo che Beatrice che mi fa contemplare il Paradiso aperse il vero mi mostrò la verità contro a la vita presente di miseri mortali contro il cattivo governo ed avarizia de’ mortali. E vidi un punto Dio qual centro che raggiava lume mandava raggi cli luce acuto si tanto acuti che i viso ch elli affoca che la vista che tal punto infiamma chiuder conviensi per lo forte acume a forza deve abbassarsi, a forza gli occhi si debbono chiudere a tanta acutezza di luce come io mi rivoLsi quando mi voltai e come li miei occhi furon tocchi da cio che pare in quel volume furono tocchi da quanto apparisce in quel cielo, che intorno si volge, nel primo mobile quandunque qualunque volta ben s adocchii ben si guardi nel suo gfro in tutta la sfera. e quella stella par quinci più poca; par,‘ebbe luna locata con esso come stella si loca e quel punto lucente era così piccolo, che qualunque più piccola stella si

fosse posta in riscontro di quello, sarebbe parsa una luna: [p. 494 modifica]484

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lante int.nde significare che come la luna ch’ è minima in confronto delle stelle ci sembra massima per la vicinanza, così quella stella che ci sembra minima per la distanza, messa accanto a quel lume, a quel punto, ci sembrerebbe massima per ragione dello splendore di quel punto che si fa vedere chiaramente, quantunque immensamente distante. Qui Dante descrive gli ordini degli angeli sotto forma di circoli di fuoco, e dice che il primo ordine, o circolo igneo angelico, si move velocissimamente intorno a detto punto, e tanto a lui vicino come il cerchio di vapori intorno alla luna chiamato — Alo—da Aristotile. distante intorno al punto un cerchio d igne si girava si ratto che arria vinto quel moto che piu tosto il mondo cinge dintorno a quel punto, ed a qualche distanza movevasi un cerchio di fuoco tanto velocemente, che il moto di quel cielo che più veloce si gira cingendo il mondo tutto, ossia il primo mobile, sarebbe vinto in velociU. E quel cerchio si movea forse cotanto quanto pare appresso Alo citiger la luce che il dipinge quando I vapor che I porta piu ee spesso forse come l’alone pare che circondi in vicinanza la luce della luna o del sole, che forma e cobra lo stesso alone, e che è cotanto distante, allorchè l’alone ha con sè densi vapori. E questo ordine primo era circutncincto da un altro il secondo girava intorno al primo e quel secondo dal terzo ed il terzo poi dal quarto il quarto dal quinto ed il quinto dal sexto sopra seguiva il septimo si spargo gui da larghezza il settimo ordine superiore era così largo, così esteso in larghezza che i messo di Juno sarebbe arcto a contenerlo intero che I’ iride messaggiera di Giunone, formandosi di un circolo intero, comparirebbe stretta in confronto: cosi I oclavo e i nono così erano gli ordini ottavo e nono. e ciascuno piu tùrdo si movea secondo eh era in numero distante piu [p. 495 modifica]CASTO XXVIII. 8S da luno e ciascuno sì moveva gradatamente più tardo in ragione dei diversi numeri di distanza dal punto luminoso, o Dio, che chiamasi uno. e quello havea la fiamma più sincera e quel cerchio od ordine splendeva di fiamma più viva cui men distava la favilla pura ch’era nieiìo lontano dal detto punto più luminoso credo pero che piu s invera di lei perchè, io penso, che così più partecipi della eterna verità. Rifletti che accade al contrario ne’ circoli nostrali, e nelle sfere degli elementi,ede’diversi cieli, e così pure negli artificiali, come negli orologi. — In questi il cerchio più distante ha maggiore velocità dell’altro più vicino, se voglia compiere contemporaneamente il suo giro. Quindi la donna mia Beatrice che mi vedea in cura forte sospeso in dubbio grave per la detta osservazionedisse: da quel punto depende i ciel e tutta la natura da quel punto luminosissimo o da Dio tutto dipende. mira quel ciet’co che più gli e coniunto e sappi che I suo mover e si tosto per I affocato amore ond clii ee punto osserva quel cerchio che più gli è vicino; la sua velocità esprime I’ ardenza di amore che Io brucia. e io a lei ed io risposi a Beatrice se I mondo fosse posto con i ordine che io veg,qio in queste rote satio mi avrebbe cio che mie proposto se io vedessi i cieli scemare e di luce e di moto e di pregio colI’ ordine di questi cerchi, ossia se i più remoti fossero più tardi come ora mi fai notare, mi sarei quietato. ma nel mondo sensibile se puote vedere le rote tanto piu divine quanto cile son dal centro piu remote ma noi veggiamo nel mondo i circoli essere tanto più divini quanto sono più lontani dalla terra ch’ è loro centro onde se il mio desio dee aver fin se pertanto il mio dubbio deve essermi tolto in questo miro et angelico tempio in questo maraviglioso primo mobile clic mostra l’ordine degli angeli che solo amoDigitized

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re e luce a per confine oltre il quale non sono altri cieli coi-porci, ma soltanto 1’ empireo ch’ è cielo di amore e di beatrice sapienza udii’ conviemmi ancor bisogna che tu mi dica di più come lo ezempio sotto e i ezempiare sopra non vanno d un modo non concordino. Esemplare nomasi quello da cui si trae 1’ esempio nella pittura e scoltura ch io per me indarno a cio contempio locchè da per me solo non son capace d’ intendere. Soggiunge Beatrice se li tuoi diii non sono sufficienti a tal nodo non ee maraviglia tanto ce facto sodo per non tentare se il tuo intelletto, metaforicainente diti della mano, non basta a sciogliere il nodo, non èa maravigliarsi, tanto questo nodo, per non essersi mai tentato di scioglierlo, è divenuto sodo e duro cosi la donna mia: poi disse così prima- mente Beatrice disse, e poscia piglia quello eh io ti diro se vuoi saciarti e t assotiglia d intorno da esso mettiti in mente quanto vengo a dirti, e medita sopra di esso, se vuoi saziai-ti di dimostrazione. li cerchi corporali son ampi et arti li cerchi o sfere mondiali sono ampi o stretti secondo il piu o il men de la virtute secondo che sono più o men capaci delLa virtù od influsso che si distende per tutte loi’ parti che si sparge in tutte le parti loro, maggior bonta vuoi far maggior salute quanto più sono influenzati, tanto più son buoni negli effetti maggior salute maggior corpo cape ed hanno maggior virtù in ragione dell’ ampiezza del loro corpo s elle a le parti ugualmente compiute se ha tutte le parti di ugual perfezione. Dunque costui questo nono cielo in cui siamo che tutto quanto rape i altro universo seco che rapisce, tira seco in giro tutto l’universo corresponde ai cerchio che piu ama e che piu sape corrisponde nella rapidità del moto a quello de’

cerchi spirituali ch’ è il più piccolo, e che contiene i seralìni, [p. 497 modifica]

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XXVIII. 87’

i quali hanno più di amore e di sapienza. Così 1’ ottava sfera si governa dal second’ ordine dei cherubini presso ai Sera- tini, e così degli altri; perche tu vedrai mirabil consequenhia di maggio e piu da minore a meno se tu circundi la sua misura a la vertu non a I apparentia de le substantie che t appaion tonde in ciascun cielo a sua intelligenza perlocchè se tu rivolgi il tuo potere estimativo alla virtù della sostanza o delle angeliche intelligenze che ti appaiono disposte in quei giri, non all’ apparenza dello spazio che comprendono, tu vedrai in ciascun cielo maravigliosa corrispondenza alla sua intelligenza motrice, dcl cielo maggiore in grandezza al più virtuoso e perfetto ordine di celesti intelligenze, e del cielo minore all’ordine meno perfetto. Non confondere quantità estensiva coll’intensiva: la estensiva corporea è apparente; la intensiva spirituale non è apparente. Augusto fu il più grande dei regnanti, non per grandezza corporea, essendo stato piccolo di corpo, ma per sapienza, virtù e possanza. Alessandro fu magno per virtù, piccolo di corpo. Cosi fec io poiche mi provide la donna mia del suo rispondere chiaro e come stella in cielo il vero i vede così accadde a me, dopo che Beatrice m’ebbe risposto con tanta chiarezza, come chiara si vede stella nel cielo come I emisperio de I aicre il nostro emisfero superiore rimane splendido e sereno quando Borea soffia resta lucente e sereno al soffiare di borea da quella guancia ond e piu leno a tramontana con soffio più mite perche la ro/fla che pria turbava si purga e risolve perchè la nebbia, o vapori che pria oscuravanlo, si sperde e risolve si che I ne ride con le bellezze di ogni sua paroffia sì che sembra il cielo rallegrarsi di sua bellezza; dissipati nebbia e vapori da ogni sua parte. ferro che bolk nel fuoco non altramente non diversamente disfa’illa maiìda faDigitized

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villecome i cerchi sfavillaro come sfavillarono i nove cerchi, che volevano esprimere la comparsa degli angeli. poiche le parole ste restaro dopo che Beatrice tacque I incendio suo seguiva ogni scintiUa et eran tante che il numero loro s immilliava più che I doppiar degli scacchi quello sfavillare che pareva un incendio era imitato da ciascuna scintilla, che in altre minutissime favilluzze si moltiplicava più che il doppiar degli scacchi più volte contenga di migliaia. Io sentiva osannari di choro in choro al punto fixo che li tiene al (ibi e terra sempre nel qual sempre furon io sentiva di coro in coro cantare Osanna a Dio che tiene que cori intorno a sè nel luogo loro conveniente, e terrà in eterno, come vi furono. e quella che vedea i pensier dubbi ne la mia mente disse e Beatrice che leggeva in Dio ogni dubbiezza della mia mente disse i cerchi primi t anno mostrato seraphin et cherubin i due primi cerchi vicini al punto luminosissimo sono due ordini, il primo de’serafini, 1’ altro de’ cherubini cosivebei seguono i suoi vimi cosi velocemente seguono la forza di amore che a Dio li unisce—metaforicamente vimi, vinchi, legami per somigliarsi al punto quanto ponno per somiglia rsì a quel punto più che br sia possibile e posson tanto quanto son sublimi e lo possono tanto, quanto a veder Dio sono in luogo più sublime, ossia più vicini allo stesso Dio. Quelli altri amori che intorno li vanno si chiamano troni del divino aspecto perche I primo ternaro terminonno gli altri angeli ardenti di amore che muovonsi intorno ai due primi cerchi chiamansi troni, dando Iddio per loro mezzo i suoi giudizi, e compiono così il primo ternodei nove ordini, giacché questi ordini sono distinti in tre ternari, ciascun ternaro contiene Ire ordini, ed il primo ternaro ha i sera6ni, i cherubini, ed i troni: e dei sapere tu Dante teologo che tutti hanno

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diletto quanto la sua veduta si profonda nel vero in che se queta ogni intellecto che tutti i predetti ordini hanno tant1 beatitudine e felicità, quanto è maggiore la loro vista in Dio, eh’ è la stessa verità in cui si quieta ogn’ intelletto; quinei si puo vedere come i esser beato si fonda nel aclo che vede dal che si può conoscere come la loro beatitudine dipenda dalla vista loro in Dio non in quel eh ama che poscia siconda non nell’ amore eh’ è dopo. — L’ amore nasce dal conoscere, nè si può conoscere senza vedere; sicché ad amore è necessaria preventiva veggenza, sicché la vista o corporea, o spirituale precede sempre l’amore. Dice sant’ Agostino che negli angeli soli è natura che non può peccare, e Dante qui ci dice che gli angeli son beati in quanto per loro natura han vista in Dio e del vedere e misura mercede e la vista maggiore o minore è in premio od a seconda che grafia partorisce e bona voglia della grazia, o buon volere: cosi di grado in grado si procede così negli altri ternari la mercede o premio proporziona la vista. L altro ternaro che cosi germoglia in questa primavera sempiterna che nocturno ariete non dispoglia 1’ altro ternaro o gerarchia, che così si conserva in Paradiso, qual è un’ e- terna primavera, cui non dispoglia, o non isfronda ariete nell’autunno, quando cioè il segno dell’ariete, opposto al sole corre in tempo di notte sopra il nostro emisfero perpetualemente Osanna sverna perpetuamente canta Osanna con tre melodie con tre cantilene, perché ogni ordine ne fa una distinta secondo la diversità degli uffici in tre ordini di teli- cia onde s interna e così la melodia si fa trina. — Gli astronomi fanno molte distinzioni de’pianeti, o segni: alcuni son chiamati mascolini, altri umani, altri bestiali, altri fissi, altri

mobili. L’ariete è segno diurno, la libra notturno; ma sopra [p. 500 modifica]1i90

paradiso

fu chiamato notturno 1’ ariete per esprimere I’ equinozio. In essa gerarchia son le Ire dee in detta gerarchia son le tre schiere angeliche prima dominalioni e poi virtude prima le dominazioni, poi le virtè: I ordine tertio e di pod1e- stadi il terzo ordine è di podestà. poscia ne due penultimi tripudi poscia nel cerchio settimo e nell’oLiavo, ove i detti cori tripudiano si girano principati cI arcangeli si aggirano i principati e gli arcangeli. i ultimo ee lutto di angelici ludil’ultimo è tutto di spiriti festeggianti che hanno il nome di angeli. Angelo però è nome comune a tutti i nove ordini, e divent.a speciale solo per quest’ ultimo ordine. Questi ordini di su lutti s amirano questi angelici cori tutti rimiransi dalla parte superiòre al punto ov’ è Iddio e di giu vincon si che verso Iddio tutti tiraeti sono e lutti tirano e dalla parte di sotto hanno forza sopra quelli che loro sono soggetti, sì che gli angeli tirati verso Dio, tirano a sè grado per grado tutti quelli che sono loro sottopposti. E Dionisio con tanto desio a contemplar questi ordini si mise che li nomo e distinse com io san Dionisio Areopagita scrisse un libro — Della celeste gerarchia, — neI quale descrisse e distinse gli ordini angelici come fece Dante. Si mise a contemplare questi ordini con tanto trasporto e zelo, che li pose come io li pongo. ma Gregorio da lui poi si divise ma san Gregorio tenne diversa opinione onde si tosto come gli occhi aperse in questo cielo di se medesmo rise ma rise di sè medesimo appena giunto in Cielo, e vide il vero ordine degli angeli. Molti santi dottori si sforzano di trovare concordia tra Dionisio e Gregorio, e tra questi specialmente san Tommaso d’Aquino. E se tanto segreto ver profferse mortale in terra e se verità

cotanto nascosta agli occhi degli uomini pose in vista, [p. 501 modifica]

canto
XXVI1I. 491

manifestò san Dionigi, quando era in terra fra mortali non voglio eh ammiri non voglio che te ne maravigli che chi il vide quassu gliel discoperse che san Paolo quando fu rapito in cielo alla terza sfera vide tali cose, e gliele narrò, essendo stato san Dionisio discepolo di san Paolo con altro assai del ver di questi giri con altre molte cose relative alla natura degli angeli. N.B. Dante qui in germe ravvisò chiaramente il sistema dell’attrazione

svolto poi con tanto grido dal Newton. [p. 502 modifica]

canto
XClX.

?STO MODBRNO Quando ambodue li figli di Latona, Coperti del Montone e della Libra, Fanno dell’ orizzonte insieme zona, 3 Quanto è dal punto, che il zenit inlibra, infin che l’uno e l’altro da quel cinto, Cambiando l’emispero, si dilibra, 6 Tanto, col volto di riso dipinto, Si tacque Beatrice, riguardando Fiso nel punto che mi aveva vinto. 9 Poi cominciò: io dico, e non dimando Quel che tu vuoi udir, perciì’io l’ho visto Ove si appunta ogni ubi e ogni quando. Non per avere a sè di bene acquisto, Ch’ esser non può, ma perchè suo splendore Potesse, risplendendo, dir: sussisto; 15 ln sua eternità di tempo fuore, Fuor d’ ogni altro comprender, come ei piacque, Si aperse in nuovi amor l’eterno Amore. 18 Nè prima quasi torpente si giacque; Che nè prima nè poscia procedette Lo discorrer di Dio sopra queste acque. 21 Forma, e materia congiunte e purette Usciro ad atto che non avea fallo,

Come d’arco tricorde tre saette: [p. 503 modifica]

canto
XXIX. 493

E come in vetro, in ambra, o in cristallo Raggio risplende sì, che dal venire All’esser tutto non è intervallo; 27 Così il triforme effetto dal suo sire Nell’esser suo raggiò insieme tutto Senza distinzion nello esordire. 30 Concreato fu ordine, e costrutto Alle sustanze, e quelle furon cima Nel mondo, in che puro atto fu prodiitto. 33 Pura potenza tenne la parte ima; Nel mezzo strinse potenza con atto Tal vime, che giammai non si divima. 36 Jeronimo vi scrisse lungo tratto Dei secoli, degli angeli, creati Anzi che I’ altro mondo fosse fatto. Ma questo vero è scritto in molti lati Dagli Scrittor dello Spirito Santo: E tu te ne avvedrai, se bene agguati: 42 E anche la ragion lo vede alquanto, Chè non concederebbe che i motori Sanza sua perfezion fosser cotanto. Or sai tu dove e quando questi amori Furon creati e come; sì che spenti Nel tuo desio già sono tre ardori. 48 Nè giugneriesi, numerando, al venti Sì tosto, come degli Angeli parte Turbò il suggetto de’ vostri elementi. L’altra rimase, e cominciò quest’arte, Che tu discerni, con tanto diletto, Che mai da circuir non si diparte.

Principio del cader fu il maledetto [p. 504 modifica]494

paradiso

Superbir di colui che tu vedesti Da tutti i pesi del mondo costretto. Quelli, clic vedi qui furon modesti A riconoscer sè della bontate, Che gli avea fatti a tanto intender presti; 60 Perché le viste br furo esaltate Con grazia illuminante, e con br merto, Sì ch’ hanno piena e ferma volontate. 63 E non voglio che dubbi, ma sie certo, Che ricever la grazia è meritorio, Secondo che l’affetto le è aperto. 66 Ornai d’intorno a questo concistorio Puoi contemplare assai, se le parole Mie son ricolte, senz’ altro aiutorio. 69 Ma, perchè in terra, per le vostre scuole, Si legge che 1’ angelica natura É tal, che intende, e si ricorda e vuole; 7 Ancor dirò, perché tu veggi pura La verità cha laggiù si confonde, Equivocando in sì fatta lettura. 73 Queste sustanze, poi che fur gioconde Della faccia di Dio, non volser viso Da essa, da cui nulla si nasconde: 78 Però non hanno vedere interciso Da nuovo obbietto, e però non bisogna Rimemorar per concetto di’iso. 81 Sì che laggiì non dormendo si sogna, Credendo e noti credendo dicer vero: Ma nell’uno è più colpa e più vergogna. 84 Voi non andate giù per un sentiero,

Filosofando: tanto vi trasporta [p. 505 modifica]

canto
XXIX.

L’arnor dell’ apparenza e il suo pensiero. 87 E ancor questo quassù si comporta Con men disdegno, che quando è posposta La divina Scrittura, e quando è torta. 90 Non vi si pensa quanto sangue costa Seminarla nel mondo, e quanto piace Chi umilmente con essa si accosta. 93 Per apparer ciascun s’ingegiia, e face Sue invenzioni, e quelle son trascorse Dai predicanti, e il Vangelio si tace. Un dice, che la Luna si ritorse Nella passion di Cristo, e s’interpose, Perchè il lume del Sol giiì non si porse; 99 E altri, clic la luce si nascose Da sè: però agI’ ispani e agi’ Indi, Come ai Giudei, tale eclissi rispose. 10 Non ha Firenze tanti Lapi e Bindi, Quante sì fatte favole per anno In pergamo si gridan quinci e quindi; 10$ Sì che le pecorelle, che non sanno, Tornan dal pasco pasciute di vento, E non le scusa non veder br danno. 108 Non disse Cristo al suo primo convento: Andate, e predicate ai mondo ciance, Ma diede br verace fondamento. i 11 E quel tanto sonò nelle sue guance; Sì che a pugnar, per accender la Fede, Dell’Evangelio fero scudi e lance. I 14 Ora si va con motti e con iscede, A predicare, e pur che ben si rida,

Gonfia il cappuccio, e piè non si richiede. 117 [p. 506 modifica]496

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Ma tale uccel nel becchetto si annida, Che se il vulgo il vedesse, non torrebbe La perdonanza, di che si confida; 120 Per cui tanta stoltezza in terra crebbe, Che, senza prova d’alcun testimonio, A ogni promission si converrebbe. 123 Di questo ingrassa il porco Santo Antonio. E altri assai, che son peggio che porci Pagando di moneta senza conio. 126 Ma perchè sem digressi assai, ritorci Gli occhi oramai verso la dritta strada, Sì che la via col tempo si raccorci. 129 Questa Natura sì oltre s’ ingrada In numero, che mai non fu loquela, Nè concetto mortal, che tanto vada. 132 E se tu guardi quel che si rivela Per Daniel, vedrai che in sue migliaia Determinato numero si cela. 135 La prima luce che tutta la raia, Per tanti modi in essa si ricepe, Quanti son gli splendori a che s’ appaia. 138 Onde, però che all’atto che concepe, Segue l’affetto, d’ amor la dolcezza Diversamente in essa ferve e tepe. 141 Vedi l’eccelso ornai e la larghezza Dell’eterno valor, poscia che tanti Speculi fatti s’ha, in che si spezza,

Uno manendo in sè, come davanti. 145 [p. 507 modifica]

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XXIX. 497

COMIENT0 Dl BENVENUTO IL canto si divide in quattro parti. Nella prima, tre quistioni intorno alla natura degli angeli. Nella seconda, caduta degli angeli. Nella terza, invettiva contro coloro che pospongono ed alterano le sacre carte. Nella quarta, si torna alla materia degli angeli. Beatrice col volto dipinto di riso si tacque Beatrice raggiando il viso suo d’ un riso si tacque risguardando fixo nel puneto che mi avea vinto fissa guardando nel punto tanto spiendiente, e folgorante, che io non aveva potuto sostenere tanto quant ce dal punto che il Zenit intibra tanto quanto è dal punto dello Zenit nel tempo che tiene in equilibrio il sole e la luna, ovvero che la luna sorge sull’orizzonte ed il sole Iramonta, Beatrice riguardando in quel punto si tacque Zenit è quel punto che perpendicolarmente dal cielo cade sul nostro capo, e che passa in un istante pel continuo movimento (1cl cielo in/in che luno e laltro infin che il sole e la luna si dilibra sorte dall’ equilibrio da quel cinto dall’ orizzonte cambiando I emisperio quando ariete ascende, la luna tosto discende in libra quando ambidue li figli di Latona il sole e la luna che per poetica finzione si ritengono figli di Latona coverti del montone e de la libra il sole in ariete e la luna in libra, segni opposti fanno del orizzonte insieme zona fanno zona a sè medesimi dell’orizzonte, cioè sono circondati dall’orizzonte. In somma poco Beatrice stette fissa in quel punto. Poi comintio: io dico non dimando quel che tu voi udii’ pere/i io i o visto la ove si appunta ogni ubi et ogni quando poi Beatrice cominciò: io ti dico, e non ricerco quanto desideri, perchè io I’ ho visto in Dio, nel quale è presente ogni tempo. non per avere in se aquisto di bene Dio non creò I’ universo per aver maggior bene che non puo esser pCrCI)è

II4MBALDI — Vo!. . [p. 508 modifica]498

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è impossibile ma perche suo spiendore potesse rispiendendo dir subsislo ma affinchè il suo raggio risplendendo in altre sussistenze potesse dire io sussisto in quelle in sua eternita di tempo [ore fuor d ogni altro comprendere prima che fosse il tempo e fuori d’ogni comprendere umano, ma in modo comprensibile solamente da Dio come ei piacque come a lui piacque i eterno amore i’ infinito amore in novi amori si aperse si manifestò nelle creature; e può intendersi estensivamente anche ai nove ordini angelici, ne prima quasi brpente si giacque nè prima della creazione si stette Iddio quasi inerte che ne prima ne poscia procedette io discorrer di Dio sopra queste acque lo scorrere di Diosopra questeacque, cioè l’atto della creazione degli esseri, operato quando il tempo non era, ossia nell’eternità, non può dirsi che fosse operato nè prima, nè poscia, perché esprimono tempo che non ha luogo nell’ eternità. Dio fino dall’eternità ebbe in mente 1’ universo esemplare, che poi ridusse ad atto, imperoccbè il tempo è misura di moto ed il moto non può essere senza corpo, dunque prima del corpo o materia impossibile il tempo. Forma e matera coniuncte e strecte forma e materia insieme unite senza mescolamento di eterogeneo usciro ad essere che non avea fallo in forza dell’atto libero del volere divino che non falliva ne’ suoi effetti, uscirono nello stesso tempo come d arco tricorde tre saette come da una balestra di tre corde tre dardi. La successione è moto da un punto ad un altro, come nella generazione, nella quale si move la materia dal luogo a quo, e va a terminare in luogo ad quem; ma la creazione non potè avere il luogo a quo perché non proveniente da luogo, e non potendo aver moto, dunque neppur successione. Un raggio di sole ferendo tre corpi gi’ illumina tutti tre nello stesso istante, così la potenza del divìuo

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canto
XXIX. 99

amore nelle creature: e il (riforme effecio dei suo Sire la creazione degli angeli, della materia, e della forma usciti ad (in tempo da Dio raggio tutto insieme dall essere senza distin(bn nel exordire fu tutta ad un tempo, e nello stesso momento, senza distinzione alcuna cosi come raggio respiende in vetro in ambro o in cristallo si che non ee intervallo dai venire all essere lutto come raggio di sole illumina nello stesso istante il vetro, l’ambra, ed il cristallo, senza che si distingua intervallo fra il venir della luce ed i corpi illuminati. Dio volendo l’universo possibilmente perfetto, fece le creature dissimili, altrimenti non si sarebbe potuta conoscere tal perfezione. San Tommaso d’Aquino distingue in tre classi le cose create— intellettuali semplicemente, e queste sopra i cieli; corporali semplicemente, e trovansi al centro della terra nell’ infima regione; corporali ed intellettuali insieme, equeste sono nel mezzo. Le semplicemente intellettuali, come son gli angeli, distinguonsi in gerarchie; le semplicemente corporali in tre gradi — infime le pietre, i metalli, medie gli alberi, erbe, piante; supreme gli animali. Le intellettuali e corporali insieme sono pure di tre gradi, perchè alcune di sostanza intellettiva sono congiunte col corpo quasi motrici, altre che movono i cieli, altre congiunte ai corpi per forma — gli nomini. — Tutte in diverso modo hanno più e meno di bontà, secondo che più o meno loro s’ aprì l’eterno amore. ordine e conslrueto fu concreato alle subslantie insieme a queste sostanze fu creato e stabilito l’ordine loro e quelle le sostanze semplicemente intellettuali furon cima del mondo potenziate ad esercitare azione sulle altre, furono messe in cima del mondo; sopra i cieli, e questi sono gli angeli in che puro acto fu produtto nelle quali fu infuso un atto puro; ed è I’ atto puro senza materia, e senza potere a far qualche cosa, [p. 510 modifica]iOO PARADiSO o a patire come le pietre, animali ecc. ed in quest’ è minor bontà, iene la parte ima la più bassa parte del mondo: nel mezzo furono collocate le sostanze prodotte colla sola potenza di ricevere l’azione altrui, ossia i corpi sublunari, nel mezzo strfrase polentia cum acto tal vime che gia mai non si divima tra la cima e la parte più bassa del mondo tal legame strinse la potenza coll’atto che mai non si discioglie, le intelligenze moventi, il mondo e l’uomo. Geronimo vi scripse lungo tracio di secoli de li angeli creati, anzi che I altro mondo fosse facto san Girolamo scrisse a voi mortali intorno agli angeli creati tanti secoli prima dalla creazione del mondo. Sei mila anni non sono ancora compiti del mondo nostro, egli dice; e quanto tempo fosse scorso dalla origine de’secoli si può fissare ad arbitrio, nel qual tempo gli angeli, i troni, le dominazioni, e gli altri ordini fossero creati; sicchè pare che ammetta essere scorsi moltissimi secoli dalla creazione degli angeli alla creazione del mondo. Ma è ben tut’ altro la verità. San Tommaso lo scusa col dire che san Girolamo parlò secondo l’opinione de’ greci. ma tale scusa, oltre che spregevole, porterebbe che sempre potessero, o dovessero scusarsi gli errori i più gravi, ma questo vero ce scripto in molti lati dagli scriptori de lo Spirito Sancto ma questa verità che ti ho detta, cioè che gli angeli furono creati nello stesso tempo che fu creato il mondo corporeo, è scritta in molti luoghi della Sacra Scrittura, e dai santi dottori e tu te ne avedrai se ben aguati e tu ne avrai prova di fatto, se leggi con diligenza quelle opere ci anco la rason il vede alquanto ed anche la ragione naturale lo puo rilevare che non concederebbe che i motori sanza sua per/etion fosser cotanto perchè essa non potrebbe persuadersi che gli angeli destinati motori de’ cieli stessero tanto tempo privi del loro atto, e perciò della loro perfezione.

EgitizedbYGOOgIe - ____ [p. 511 modifica]

canto
XXIX. 501

Or sai tu dove questi amori e quando prima che fosse il tempo e come per un puro atto del volere di Dio in un istante furon creati e così si che spenti nel tuo desio gia sono tn ardoni•sono sciolti i tuoi tre gravissimi dubbi che ti agitavano. ne giugneresti numerando al venti si tosto come de li angeli parte turbo il subiecto de vostri elementi non potresti contare fino al numero venti tanto presto, quanto presto una parte di quegli angeli turbò il vosro globo composto di quattro elementi, I altra rimase e comincio quest arte che tu discerni con tanto diletto che mai da circuire non si diparte l’altra parte degli angeli buoni rimase ferma al servizio di Dio e cominciò il canto e l’allegrezza che tu vedi, con tanto dileto che mai non lasciano di moversi velocemente in giro intorno a quel punto. Principio di cadere fu il maledetto superbire di colui che tu vedesti costretto di tutti pesi del mondo la detestabile superbia di Lucifero fu la prima cagione di sua caduta nel centro della terra oppresso da tutti i gravi che tendono al centro: quelli che vedi qui furon modesti furono umil,ed 01)- bedienti a riconoscer si de la bontade a riconosceie il loro essere della divina Bontà che gli avea fatti a tanto intendere presti clic gli aveva ammoniti a non lasciarsi sedurre, il perché ebbero grazia che li confermò nella grazia ; pere/te le viste loro furon exaltate con grotia illuminante e con br merlo si che anno piena e ferma voluntate perché furono aiutati dalla grazia illuminante e prevenierite destinata ai meriti loro, il perché hanno ferma, e piena volontà confermata nella beatitudine loro. L’angelo ebbe la grazia prima di essere beato, per la ti1ial grazia meritò la beatitudine; quindi Dante vuoI signili—

care clic il ricevere la grazia da Dio fu iiieiilorio della beal i— [p. 512 modifica]O2

paradiso

tudine nella quale gli angeli si trovano. enon vogliochedubbi ma sia certo che ricever la grazia e meritorio secondo che I affecto le e aperto in ragione dell’ affetto con che si accoglie. ornai ci intorno a questo concislorio poi contemplare ornai puoi vedere in questa unione d’angeli, e contemplare senza bisogno di altro aiuto senza altro adiutorio se le parole mie si ricotte se le parole mie siano ritratte da buone autorità e dimostrazioni: ma ancor diro perche tu veggi pura la verita che si confonde la giu ma perchè tu vcgga la verilà iii tutto il suo lume, aggiungerò ancora, perché possa confutare gli errori che laggiù ud mondo si prendono equivocando in si facta lectura equivocando nell’ interpretazione ditale scrittura. perche in terra per le vostre scole si legge dalle cattedre che I anqelica natura e tale che intende esi ricorda e vole che gli angeli abbiano intelletto, memoria e volontà. Ma nell’angelo non è intelletto agente, nè possibile come nell’uomo, mentre l’intendere è su noi qualche volta in potenza, e qualche volta in atto; dunque l’intelletto non può ritenersi negli angeli che per similitudine, avendo innata la intelligenza, edìn questo senso deve interpretarsi Dante. 1’ uomo vuole il bene cui va dietro per mezzo di raziocinii, de’ quali l’angelo non abbisogna. E neppure la memoria ch’ è potenza per mezzo di un organo corporeo, e non può trovarsi nell’ angelo che è sostanza spirituale. La memoria inoltre è soltanto del passato, e l’angelo vede in Dio presenzialmente le cose ari— che future. Queste substantie poi che furon focunde de la faccia di Dio non volser viso da essa da cui nulla si nasconde queste sostanze angeliche dacchè furono beatificate dalla vista di Dio non tolsero mai gli occhi da Dio a cui nulla è occulto:

pero non hanno vedere interciso da nuovo obietta e pero [p. 513 modifica]

canto
XXIX.

non bisogna rememorar per concepto diviso quindi non hanno il vedere interrotto da nuovo oggetto sopravveniente: la loro mente è continua nell’ atto, e quindi la facoltà della memoria a noi necessaria per richiamare un’idea divisa ed allontanata dalla mente, non è necessaria per essi: si che laggiu non dormendo si sogna ecco perchè nel mondo si sogna ad occhi aperti credendo e non credendo dicer vero tanto che gli angeli si ricordino alla maniera degli uomini, quanto tenendo la opposta dottrina: alcuni sognano credendo dire la verità, altri sognano credendo di non dirla ma nel uno ce più colpa e più vergogna cd in questi ultimi è più colpa e più vergogna. Voi non andate giu per un sentiero filosofando voi giù in terra fllosofando non tenete una medesima via, cioè quella che conduce al vero tanto vi trasporta I amore del apparenha e suo pensiero tanto vi tira fuori di strada la smania di comparire, piuttosto che di essere filosofi, piuttosto far pompa di dottrina, che essere veramente dotti. e ancora questo qua su si comporta con mcii disdegno e questa smania di comparire eccita meno lo sdegno di Dio che quando ee postposta la divina scriplura o quando e torta di quel che quando si pospone, e si lascia la Sacra Scrittura, o viene storta- mente applicata. Alcuni moderni predicatori pare infalti che si vergognino di citare san Matteo e san Marco, mentre ad ogni parola citano Aristotile, Averroe, Platone ecc. Altri poi storpiano il testo, e gli danno strana interpretazione con di- spregio de’ santi dottori che tanto scrissero per far conoscere il di lei vero senso. non vi si pensa quanto sangue costa a seminarla nel mondo non pensano costoro quanto prezioso

sangue fu sparso per propagarla nel mondo e quanto piace [p. 514 modifica]

paradiso

chi humilenente in essa s accosta e non sanno quanto sia accetto a Dio chi umilmente la rispetta e la segue. P’r apparere ciascun s ingegna e face sue inventioni. Per comparir dotto, per far pompa di dottrina e d’ingegno, s’ inventa; e quelle son trascorse da predicanti ed i predicatori seguono tali invenzioni e I vangelio si tace e si lasciano indietro le verità del vangelo per simili baie. Alla morte p. e. di Nostro Signor Gesù Cristo accadde una terribile eclissi. Ora alcuni opinarono che la luna ch’ era allora XXVa, resse pei segni, e si fra pponesse in linea retta al sole, coprendone l’intera luce. Un dice che la Luna se ritorse ne kipassion di Cristo e $ interpose perche I lume del Sole giu non si porse la luna era piena. e mente che la luce si nascose da si pero a li Ilispani ci a li Indi co;ne a Giudei tale eclipserispose ed altri che la luce si nascose da sè, onde avvenne che la detta eclissi fosse agl’ispani ed agi’ indiani come ai giudei cioè in occidente, in oriente e mezzodì. Il Sole di giustizia pativa sulla croce; e Dionisio Areopagita, allora il primo dci filosofi, esclamò o il Dio della natura soffre, o la macchina dcl mondo si sciòglie. — Ed avverti che lo stesso Dionisio prima della sua conversione seguiva opinione contraria, come lo confessa egli stesso nelle lettere a Policarpio. Un’ eclissi non può essere per leggi di natura generale in tutto il mondo. Non ha Firenze tanti Lupi e Bindi -— Lapa è un’ erba che si arrampica stringendosi ad altra pianta, e di qui venne il nome di Lapo — avaro — loquace — importuno —— rapace; e come in Venezia trovansi molli col nome di Marco e Marino per rispetto a san Marco patrono della città, esan Marino patrono del mare, in cui Venezia fu innalzata, Firenze non ha tanti col nome di Lapo e di Bindo quante si fatte favole si cr-

dan per anno quinci e quindi in Peryanw quanLc ti i queste [p. 515 modifica]

canto
XXIX. 505

favole si proclamano nel corso di un anno solo in questo ed in quel luogo dai pulpito si che le pecorelle che non sanno e così le pecorelle ignare lornan dal pasco pasciule di vento inetaforicamente pasciute di vento, ossia di favole, tornano dal pascolo e non li scusa non veder lo danno e non le scusa la loro ignoranza, perchè ignoranza vincibile. non disse Cristo al suo primo convento —. andate e predicate al mondo ciance— non disse GesLì Cristo all’adunanza degli apostoli, andate pci mondo a predicare ciance, favole, menzogne, ma diede loro verace fondamento ma loro diede 1’ eva ngelio e quel tanto sono ne le sue guancie e soltanto il vangelo gli apostoli predicarono si che a pugnare contro degi’ increduli ed eretici per accender la fede ne’ cuori freddi e duri fecer del Evangelio scudo e lance si fecero lancie e scudi dello stesso vanO gelo. Oh quante volte io stesso, invece dell’ evangelio sentii dal pergamo spiegarsi, e predicarsi alle donnicciuole la fisica, l’astrologia, l’astronomia, la medicina! Ora si va a predicare con moti e con ischede ora si predica con arguzie, e con buffonerie epur che bensiridagonfia il capuccio e piu non si richiede e basta che si rida perché sia soddisfatta la vanità del predicatore. ma tale uccello nel becchetto se annida ma tale uccello ha il nido nella pulita del cappuccio, il diavolo cioè che si figura colle ali ed unghie e colla velocità dell’ uccello che se I volgo il vedesse che se I’ uditorio potesse vederlo vedrebbe la perdonanza di che si confida non si fiderebbe di quella razza di predicatori, per cui tanta stulticia crebbe in terra che si converebbe a ogni permission sanza prova d alcun leslimonio: fu per questo che la umana stoltezza allargò cd estese tanto il suo regno, che a qualunque che predicasse, ciecamente fosse creduto, e senza alcuna pro’a di loro facoltà si largisscro offerte, liDigitized

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inosine e doni. di questo ingrassa il porco Sancto Antonio ed altri assai che son peggio che porci, pagando di moneta senza conio: con tali offerte impinguano i frati corrotti di moneta senza conio. Ma perche sem digressi assai ma perchè abbiamo fatta troppa digressione dal proposito nostro ritorci gli occhi ornai verso la dritta st,’ada torniamo presto sul dritto cammino si che la via col tempo si raccorci sì che la via, affrettando il passo, si faccia breve, come è breve il tempo che ci resta. questa Natura si oltre $ ingrada in numero che mai non fu loquela ne concepto mortale che tanto vada la natura angelica va così moltiplicando di grado in grado, d’ordine in ordine, che il numero non può da mortale nè esprimersi, nè immaginarsi et se tu guardi quel che si rivela per Daniel vedrai che in su migliaia determinato numero si cela e se tu ben bene esamini quanto lasciò scritto Daniele nel cap. VIII mille millia ministrabant ci, cI decem centena millia assistebant ci vedrai che nel numero espresso dalle parole sue non si manifesta numero determinato. Daniele mette un numero determinato per esprimere un indeterminato, la prima luce che tutta la raia Iddio che irradia di splendore tutta la natura angelica per tanti modi in essa si ricepe quanti son li splendori a chi $ appaia per tanti modi e maniere è ricevuto da essi angeli, quanti sono i raggi diretti da Dio onde la dolcezza diversamente ferve e tepe e così la beatitudine è maggiore, o minore perocche I afl’ecto de amore segue allatto che concepe perchè la volontà di amore viene all’istante dell’ir’ radiamento, il perchè i serafini in atto di carità si accendono d’ amor divino, e sono più supremi, i cherubini in atto di sapienza, i troni in atto di giudizio, e cosi degli altri.

Vedi ornai ornai sei in grado di conoscere lo excelso e [p. 517 modifica]

canto
XXIX. tO7

la krnghezza l’altezza e immensità de i eterno valore della potenza di Dio poscia che s a facti tanti specoli in che si spezza — speculi — specchi chiama gli angeli, come quelli che da sè riflettono i raggi della luce divina ne’ quali si divide, si spezza per la riflessione dell’ immagine sua in ciascuno di essi valor uno inanendo in se come davanti rimanendo egli sempre nella sua unicità ed indivisibilità come era innanzi la creazione degli angeli.

N. B. Nei versi 98 e 99 spiega Dante come avviene l’eclissi. [p. 518 modifica]

canto
XXX.

TESTO MODERNO Forse seimila miglia di lontano Ci ferve l’ora sesta, e questo mondo China già I’ ombra quasi al letto piano, Quando il mezzo del cielo a noi profondo Comincia a farsi tal, che alcuna stella Perde il parere infimo a questo fondo: E come vien la chiarissima ancella Del Sol più oltre, così il Ciel si chiude Di vista in vista infimo alla più bella: 9 Non altrimenti il trionfo, che lude Sempre dintorno al punto che mi vinse, Parendo inchiuso da quel eh’ egli inchiude, A poco a poco al mio veder si estinse: Per che tornar con gli occhi a Beatrice Nulla vedere e amor mi costrinse. 15 Se quanto infimo a qui cli lei si dice Fosse conehiuso tutto in una loda, Poco sarebbe a fornir questa vice. IS La bellezza ch’io vidi si trasmocla Non pur di là cia noi, ma certo io credo Che solo il suo Fattor tutta la goda. 2l Da questo passo vinto mi concedo Più che giammai da punto di suo tema

Suprato fosse comico, o tragedo. [p. 519 modifica]

canto
XXX. 09

Che, come Sole il viso che più trema, Così Io rimembrar del dolce riso La mente mia da sè medesma scema. 27 Dal primo giorno ch’ io vidi il suo viso In questa vita infimo a questa vista, Non è il seguire al mio cantar preciso: 30 Ma or convien, che il mio seguir desista Più dietro a sua bellezza poetando, Come all’ ultimo suo ciascuno artista. 33 Cotal, quale io la lascio a maggior bando Che quel della mia tuba, che deduce L’ardua sua materia terminando, Con atto e voce di spedito dLlce Ricominciò: noi semo usciti fuore Del maggior corpo al del ch’è pura luce; 39 Luce intellettual piena d’amore, Amor di vero ben pien di lelizia, Letizia che trascende ogni dolciore. 42 Qui vederai l’una e l’altra milizia Di Paradiso, e l’una in quegli aspetti Che tu vedrai all’ ultima giustizia. Come subito lampo che discetti Gli spiriti visivi, sì che priva Dell’ atto I’ occhio dei più forti obietti; 48 Così mi circonfulse luce viva, E lasciommi fasciato di tal velo Del suo fulgor, che nulla mi appariva. Sempre l’amor, che queta questo Cielo, Accoglie in sè così fatta salute, Per far disposto a sua fiamma il candelo. Non fur più tosto dentro a me venute [p. 520 modifica]PARAbISO Queste parole brevi, ch’ io compresi Mc sormontar di sopra a mia virtute; E di novella vista mi raccesi Tale, che nulla luce è tanto mera, Che gli occhi miei non si fosser difesi. 60 E vidi lume in forma di riviera Fulgido di fulgori intra due rive Dipinte di mirabil primavera. 63 Di tal fiumana uscian faville vive, E d’ ogni parte si mettean nei fiori, Quasi rubin che oro circotiscrive. 66 Poi, come inebbriate dagli odori, Riprofondavan sè nel miro gurge, E s’una entrava, un’altra ne uscia fuori. 69 L’alto desio, che mo t’infiamma e urge, D’ aver notizie di ciò che tu vei, Tanto mi piace più, quanto più turge. 72 Ma di quest’acqua convien che tu bei, Prima che tanta sete in te si sazii: Così mi disse il Sol degli occhi miei. Th Anche soggiunse: il fiume, e li topazii, Ch’ entrano e escono, e il rider dell’ erbe Son di br vero ombriferi prefazii: 78 Non che da sè sien queste cose acerbe Ma è difetto dalla parte tua, Che non hai viste ancor tanto superbe. 81 Non è fantin che sì subito ma CoI volto verso il latte, se si svegli Molto tardato dall’ usanza sua, 84 Come fec’ io, per far migliori spegli

Ancor degli i1 chinandomi all’onda, [p. 521 modifica]

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XXX. 11

Che si deriva perchè vi s’immegli,. 87 E sì come di lei bevve la gronda Delle palpebre mie, così mi parve Di sua lunghezza divenuta tonda. 90 Poi, come gente stata sotto larve, Che pare altro clic prima, se si sveste La sembianza non sua in che disparve; 93 Così mi si cambiaro in maggior feste Li fiori e le faville, sì ch’io vidi Ambo le corti del iel manifeste. 96 O splendore di Dio, per cui io vidi L’ alto trionfo del regno verace, Dammi virtù a dir come io lo vidi. 99 Lume è lassù che visibile face Lo Creatore a quella creatura, Che solo in lui vedere ha la sua pace: 102 E si distende in circular figura In tanto, che la sua circonferenza Sarebbe al SoI troppo larga cintura. 10 Fassi di raggio tutta sua parvenza Reflesso al sommo del mobile primo, Che prende quindi vivere e potenza. 108 E come divo in acqua di suo imo Si specchia, quasi per vedersi adorno, Quando è nel verde e nei fioretti opimo; 111 Sì soprastando allume intorno intorno Vidi specchiarsi in più di mille soglie, Quanto di noi lassù fatto ha ritorno. I 14 E se 1’ infimo grado in sè raccoglie Sì grande lume, quanto è la larghezza

Di questa rosa nell’estreme foglie? 117 [p. 522 modifica]

paradiso

La vista mia nell’ampio e nell’ altezza Non si smarriva, ma tutto prendeva Il quanto e il quale di quella allegrezza. 120 Presso e lontano lì nè pon, nè leva; Chè, dove Dio senza mezzo governa, La legge natural nulla rileva. 125 Nel giallo della rosa sempiterna, Che si dilata, rigrada e redole Odor di lode al Sol che sempre verna, 126 Quale è colui che tace e dicer vuole, Mi trasse Beatrice, e disse: mira Quanto è il convento delle bianche stole! 129 Vedi nostra città quanto ella gira! Vedi li nostri scanni sì ripieni, Che poca gente ornai ci si desira. 152 In quel gran seggio, a che tu gli occhi tieni Per la corona che già v’è su posta, Prima che tu a queste nozze ceni, 15 Sederà I’ al ma, che ha giù Augosta, Dell’alto Arrigo, che a drizzare Italia Verrà in prima ch’ella sia disposta. 15$ La cieca cupidigia, che v’ ammalia, Simili fatti vi ha al fantolino, Che muor di fame e caccia via la balia: 141 E ha Prefetto nel foro divino Allora tal, che palese e coperto Non anderà con lui per un cammino. 144 Ma poco poi sarà da Dio sofferto. Nel santo uficio; ch’ei sarà detruso Là dove Simon mago è per suo merLo,

E farà quel d’Alagna esser più giuso. 148 [p. 523 modifica]

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COMMENTO DI BENVENUTO Empireo. Si divide il canto in quattro parti. Nella prima, sparizione degli angeli. Nella seconda, il Poeta sale al cielo empireo. Nella terza, trasmutazione di Dante. Nella quarta, una sede vuota da riempirsi da un’anima illustre. Accadde in quel cielo quanto avviene nel nostro mondo, e cioè che al nascere del sole spariscono le stelle, e sparirono quegli angeli al comparire del sole eterno di giustizia. Secondo gli astronomi, la terra ha un circuito di ventiquattro mila miglia, ed il sole la gira in venliqua(tr’ore: così scorre mille miglia ogni ora. Nominando i’ ora sesta, è lo stesso che dire il sole lontano sei mila miglia, e l’ora sesta è la prima ora del giorno per noi, sicchè Dante vuoi dire ch’ era alla prima ora del giorno, i ora sexta fri di lontano (orsi sei millia miglia nell’ equinozio i’ ora sesta è il meriggio — il sole arde meridiano forse sei mila miglia lontano e questo mondo e la terra china gia I ombra quaAi a tuo piano la notte ch’ è l’ombra della terra già se ne parte quando I mezzo del cielo a noi profundo allorchè il mezzo del cielo ch’ è il più alto rispetto a noi comincia a farsi tale che alcuna stella perde il parere in fino a questo fondo comincia a schiarirsi pei primi albori, sicchè alcuna stella sparisce, e non si fa più vedere dal fondo in cui siamo, e come vien la chiarissima ancilla del sole piu oltre ed a misura che si avanza i’ aurora, ancella del sole così il ciel si chiude di vista in vista infimo a la piu bella sparisce dal cielo a poco a poco ogni stella, fino la più folgorante. Non altramente il trionpho che lude sempre dintorno al punto che mi vinse non altrimenti il trionfo che festeggia sempre intorno a Dio, il cui splendore non fui capace di sostenere parendo inchiuso da quel eh i inchiude parendo coperto RAMBAt.pJ — Voi. 3.

!514 [p. 524 modifica]PARADiSO dall’eterno sole, clic prima gli angeli coprivano si strinse a poco a poco al mio vedere alla mia vista disparve e si dileguò perche tornar con gli occhi a Beatrice nulla vedere amor mi costrinse perché la cessazione della gioconda vista degli angeli, e I’ amore per Beatrice mi fecero tornare con gli occhi a lei. Allegoricamente intende significare che doveva trattare di altra materia sublime, divina, se quanto infimo a qui di lei si dice fosse conchiuso tutto in una loda se quanto si è detto sin qui ne’ vari luoghi della bellezza di Beatrice fosse tutto in un solo raccolto poca sarebbe a fornir questa vice sarebbe poco per degnamente lodarla. la bellezza eh io vidi si tras;noda non pur di la da noi tanto passa il modo e la misura non solo umani ma certo io credo che solo il suo fa- ci ore tutta la goda ma sono persuaso che Dio solo, che n’ è l’autore, tutta la possa comprendere. Interrogato Simonide cosa era Dio, se ne cavò egregiamente non rispondendo nulla. Da questo passo vinto mi concedo da questo passo della mia narrazione io mi confesso sgomentato più che giammai da punto di suo thema soprato fosse comico o tragiedo più che fosse giammaìun comico o tragico nel più difficile passo dell’ assunto argomento. E Dante confessa il vero, perchè non vi fu mai poeta che azzardasse descrivere la divina essenza in trinità, unità, umanità e di’riniLà: che come sol in viso che piu trema cosi lo rimembrar del dolce riso la menti’ mia da mi medesmo scima perciocchè come il sole fa scemo ed inabile a guardarlo un occhio languido, così la rimembranza del dolce riso di Beatrice mi sopravanza le forze naturali. dal primo,giorno eh io vidi I suo viso dal principio di quest’ opera dove si dice — la gloria di colui ecc. e noni dal momento che conobbe Beatrice in terra in questa vita e- terna infimo a questa vista dell’ estrema bellezza che non puo

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XXX.

spiegare non me preciso al mio cantar I seguir non fu impedito il mio canto; ma or convien che mi seguir desista ma ora conviene che cessi di cantare di lei piu dietro a sua bellezza poelando nè che vada più poetizzando sulla bellezza di lei come al ultimo suo ciascuno artista come fa ciascun artista giunto all’ estremo di suo potere per toccare la perfezione dell’opera. Ogni arte ha i suoi confini. Cotal Beatrice nell’ ultimo grado di sua bellezza quale io la lascio a maggior bando che quel di la mia tuba quale io lascio laudanda da migliore, e più capace poeta di me che diduce I ardua sua materia terminando che si affretta a dar fine alla sua ardua impresa cum acio ci voce da expedito duce ricomincio con gesto e voce di franco capitano ricominciò: noi siamo usciti fuore dal maggior Corpo al Ciel che e vera luce noi siamo usciti dal maggiore cielo corporeo che abbrac• cia gli altri cieli minori, e siam saliti al cielo empireo, luce intellettual piena d amore luce non corporea piena di amore, amor di vero ben pien di letitia amore di bene non fallace che cagiona sempre letizia, lei itia che trascende ogni dolciore letizia che sorpassa ogni dolcezza. qui vedrai luna e I altra militia di Paradiso, e luna in quelli aspecti che tu vedrai al ultima fusticia. Qui vedrai gli angeli che militarono contro gli spiriti ribelli, e gli uomini santi che militarono contro i vizi: e questa seconda milizia ora a te si mostrerà il) quello stesso corporale aspetto, in che tu la vedrai nel giorno del finate giudizio. — in tal giorno si vedrà anche in umano aspetLo nostro Signor Gesù Cristo e la Vergine Beata. Luce viva luce divina mi circunfulse mi fasciò di splendore e lasciommi fasciato di tal velo del suo fulgore che nulla mi apparia e tanto mi nascose ch’ io non poteva più veder

cosa alcuna casi come subito lampo che discetii lispiriti [p. 526 modifica]IG

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-visivicome lampo sul)itaneo che disgreghi gli spiriti visivi si che priva de I atto I occhio di piu forti obietti sì che priva l’occhio dell’azione di più forti oggetti.sempre amore che queta questo Cielo accoglie in se con si facta salute per fare disposito a sua fiamma il candelo. Sempre Iddio che fa contento e bealo questo cielo, accoglie in sè le anime con tal salute da disporla alla luce di sua vista, quasi come I’ uomo dispone la candela al lume, ch’ ella render deve. Non fuor piu tosto dentro di me venute queste parole brevi eh io compresi me sormontare sopra mia virtute appena ebbi udite quelle brevi parole di Beatrice, ch’ io mi sentii maggiore di me stesso e di novella vista mi raecest tale e la mia vista, o gli occhi miei si sentirono tanto potenti che nulla luce ee tanto mera che 9li occhi miei non si fosson difesi che non vi sarebbe stata luce tanto acuta che gli occhi miei non avessero potuto sostenere. e vidi lume in forma di rivera e vidi un lume come fiume di luce: Dante finge di vedere tanta luce, come fiume scorrente tra fonde rive e dal fiume sprizzare faville sulle rive, che avevano seco 1’ odore de’vari fiori prima d’ immergersi. Pretesero alcuni che in tal modo Dante figurasse il cielo cristallino, fondandosi sul detto del Profeta — benedite le acque che sono sopra del cielo — ma Dante era già nell’empireo; dunque non potea descrivere il cielo cristallino. Inoltre esso più avanti fa dire a Beatrice, che è necessario bere delle acque di quel fiume, e perciò io ritengo, che invece del cielo cristallino, Dante abbia voluto figurare la grazia divina che scorre qual fiume dall’ altoal basso, cioè ai mortali, e per le due rive figuni il nuovo e veccbio Testamento, ed i fiori siano i santi e beati, e le faville gliangeli ministri di tal grazia fulvido di fulgore spiendiente di molti splendori mIra due rive dipinte da mirabil primaveDigitized

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ra fra due rive smaltate di verde e di fiori d’ infinite forme, colore e odore. Di tal fiumana uscian faville vive uscivano da tal fiume vive faville; allegoricamente angeli ardenti di amore e d ogni parte si mettean ne fiori e dall’ una e i’ altra riva si mettevano tra i fiori quasi rubin che oro cireonscrive come tanti rubini legati in oro, e cioè angeli i quali chiudevansi dentro ad un fiore, come il rubino si chiude nell’ oro —poi quelle faville angeliche come inebriate de li odori asperse dagli odori de’ fiori riproforadavan se nel miro gorge s’ immergevano di nuovo nel gorgo maraviglioso e 8 una mirava un altra usciva fuori e se una favilla s’ immergeva, un’altra sortiva dal fiume. Con ciò Dante esprime, ed accerta che gli angeli sono in continuo moto nell’eseguire i supremi comandi, ministrando la divina grazia. L alto disio che mo (infiamma et urge d aver nolitia di cio che tu vuoi tanto mi piace piu quanto piu (urge il desiderio di avere cognizione di quanto vedi,quale altamente ti agita ed arde la mente, mi piace quanto è più turgido ed intenso; ma di quesi acqua convien che tu bei prima che tanta sete in te si saci. Ma prima che sia pago il tuo desiderio, è necessario che tu beva di quest’ acqua cosi mi disse il sole degli occhi miei così mi disse Beatrice, seguendo la metafora del fiume—conviene che avvezzi la vista in questa luce, prima che il tuo desiderio in essa si acquieti. anche soggiunse disse di più il fiume e i topaci eh entrano ci escono quel fiume e le faville, o rubini eh’ entrano ed escono e I rider de I erbe e la verdura e fiori delle rive son di br vero umbriferi prefatii sono prefigurativi i significati del loro vero, o di quel che sono in realtà, non che da se sien queste cose acerbe non perchè queste cose siano difficili a intendersi ma ce difecto de [p. 528 modifica]IS PABADISO la parte tua che non hai viste ancor tanto superbe ma è la tua imperfezione di vista, che non arriva ancora a tanta altezza. Non ce /antin che subito rua non vi è bambino che vada tanto frettoloso col volto verso il lacte scsi svegli moit tardato dall wanza sua colla bocca verso le poppe materne quando più tardi del solito siasi svegliato come feci io per far migliori spegli ancor degl occhi chinandomi all onda che si deriva perche Vi 5 immegli come io feci per fare che gli occhi miei acquistassero virtù di divenire specchi acconci a vedere gli oggetti celesti chinandomi all’ onda che scorre dal divino fonte, perchè la vista delle anime facendosi migliore, divenga capace di sostenere la pienezza della luce di Dio: esi come di lei bevve la gronda delle palpebre mie e come behbero di quell’onda le sopracciglia degli occhi miei, ossia appena ebbero attinta quell’ acqua cosi mi parve di sua lunghezza divenuta tonda la lunghezza del fiume mi parve che si accorciasse, e lo stesso fiume mi apparve di figura rotonda. poi li fiori e le faville mi si cambiaron in maggior festa in più nobile e bella figura si eh’ io vidi ambo le Corti del Ciel manifeste l’una e l’altra milizia d’angeli ed uomini scopertamente così come genti state sotto larve così come persone prima mascherate che pare altro che prima se si sveste che togliendosi la maschera dal volto, sembrano tutt’ altra cosa da quello che compariva no la sembianza non sua in che disparve. ossia la sembianza della maschera svanendo al togliersi la maschera o larva. O spiendor de Th’o o divina luce per cui io vidi lalto trionp’ao del Regno verace per cui grazia mi fu concesso vedere 1’ alto trionfo degli angeli e dei beati del Paradiso dammi virtu a dir coni io lo vidi aiutami a descrivere coDigitized

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XXX. l9

me io Io vidi, lume e la su presso al punto luminosissimo che face visibile lo Creatore a quella creatura che solo in lui vedere a la sua pace che rende visibile il Creatore a quella creatura, che non trova la sua beatitudine che nel vedere quel lume, che si distende in circolar figura che si conforma iii figura di circolo in tanto che la sua circonferentia sarebbe troppo larga cintura al Sole tanto larga che sarebbe troppo largo cinto al sole cli’ è uno de’ maggiori corpi celesti. tutta sua parvenza fossi di raggio riflexo al sommo del mobil primo che prende quinci vivere e polentia quant’ egli appire si forma di un raggio solo ed unito, che riflettesi alla parte superiore del primo mobile, il quale appunto da questo raggio prende vita e potenza di operare nei cieli sottoposti; e cotne divo in acqua di suo imo si specchia quasi per vedersi adorno quanto ee nel verde e nei fioretti opimo e come colle in acqua che scorre all’ ima sua falda si speccliia, quasi per vedersi adorno, quando in primavera è ricco di verdura e di fiori. Fingi dunque un colle acclive, ameno, vestito d’erbe e di fiori, a piedi del quale scorra un limpidissimo ruscello, che ripeta nelle chiare sue onde la figura del colle stesso, ed avrai una leggiera idea di quelli spiriti, che trovavatisi nella con vessità di una rosa, specchiantisi in quella purissima luce del punto di mezzo. E vidi si supcrstando cd io Dante vidi sopra del primo mobile quanto di noi la su facto a ritorno quante anime tornarono al cielo in cui sono beate specchiarsi intorno intorno a lume specchiarsi intorno al centro in più di mille soglie in un infinito numero di sedi, essendo infiniti di numero i gradi di beatitudine: e se I infimo grado in se raccoglie si grande lume, quanta ce la larghezza di questa rosa ne le extreme

foglie! e se i’ ultima sede è illuminata da sì gran splendore, [p. 530 modifica]2O

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immagina quanto esser tlee lo splendore delle sedi vicine! la vista mia nel ampio e ne i altezza non si smariva gli occhi miei non si smarrivano nella latitudine e nell’akezza ma tutto prendea il quanto e I quale di quell allegrezza mì tutta comprendea la qualità e quantità della beatitudine di quelle sedi. presso o lontano li ne pon ne leva che Dio dove sanza mezzo governa la legge naturale nullo rileva vicinanza o lontananza nè aggiunge nè toglie, perocchè dove Dio governa senza l’interposizione delle cause seconde, quella legge di naturj , per cui la causa più agisce in vicinanza che in distanza, ivi non ha luogo. Nel giallo della rosa sempiterna che si dilata digrada e ridole odore di lode al Sole che sempre verna nel mezzo della rosa sempiterna, dove sono alcuni fili gialli, ella s’innalza per gradi dilatandosi, ed olezza al sole che ivi produce eterna primavera Beatrice ni trasse quale è colui che tace e dicer vuole Beatrice condusse me che voleva pur dire e non poteva parlare e disse: mira quanto ce il Convento de le bianche stole! e mi disse: mira quanta è l’adunanza di coloro che sono adorni delle bianche vesti! Nell’ Apocalisse i santi che trionfano con Cristo sono rappresentati — amicti sbus albis — vedi nostra città quanto ella gira! vedi li nostri soanni si ripieni che poca gente ornai ci si desira vedi quanto è grande la nostra Gerusalemme, vedi come sono piene le sedi della rosa, che ora mai più non ne rimangon per altri! E con ciò Dante avvisa di un termine, perchè infatti la gente umana deve avere un numero fisso di tanti salvandi, quanU furono gli angeli precipitati. Altri vogliono che siano per essere quanti gli angeli buoni, in modo che l’ordine degli aogeli sia per essere uguale a quello degli eletti. — Dante caotamente

lascia tutto incerto. [p. 531 modifica]

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XXX. I21

,I Arrigo VI imperatore per invito di Clemente VI discese in Italia ed operò magnifiche gesta e I alma de I alto Henrieo Vi che fia la giu augusta che regnerà in terra che a drizzare Italia verra in prima eh ella sia disposk,z,4e 1’ Italia era guasta da parti, da tirannide e da guerre intestine sedera quel gran seggio monterà quel gran trono,Ka che tu gli occhi tieni cui tu hai fisso lo sguardo per la corona che gia v e su posta per la corona di gloria che già è preparata a’ suoi merit,4rima che tu a queste nozze ceni prima che tu muoia di natural morte, e venga a questa beatitudine e delizie,J— prima che ceni —perché Arrigo morì nel 1313 ai 2di agosto in Toscana nel castello di Bonconvento, e Dante morì nel 1321 in settembre nel dì della festa di santa Croce in Ravenna, ov’ è sepolto presso al convento de’ frati minori in condegna tomba coli’ epitaffio fattogli da Giovanni di Virgilio bolognese contempo- raneo ed amico suo. La cieca cupidigia che v’ amalia la cieca avarizia che v’ incanta v a fatto simili al fantolino che more per fame e caccia via labaliavi ha resi somiglianti al bambinoche muore di fame, e scaccia Ia.nutrice. Ma checchè dica Dante di questo ricusato soccorso di Arrigo, io non so vedere quali vantaggi recar possano all’italia questi stranieri o galli, o germani che siano, se non rapine e devastazioni e fia prefetto 11’’ iiel Foro divino allora tal che palese e coverto non andra con lui per un cammino/e fia pontefice allora Clemente V che si opporrà ad Arrigo con palesi e con occulti provvedimenti. Clemente acconsentì che il re Roberto resistessc ad Arrigo, e gl’impedisse la venuta e la coronazione. Ma poco poi sarà da Dio sofferto nel santo tifficio,4Ie- mente sopravvisse ad Arrigo circa sette mesi e mezzo1h ei’sara

detruso egli sarà cacciato la dove Simon Mago e per .suo [p. 532 modifica]22

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meno nella bolgia de’simoniaci: efara quei dAiagna esser piu giuso Bonifacio Vili era di Anagni, città della Campania come nel canto XIV dcli’ Inferno, ove Dante preconizza la morte a Clemente. Dante loda Arrigo che conobbe in vita, e trattò faniigliarmente, e forse sperava col di lui mezzo tornare alla patria, come si lusingava, e fece conoscere in qualche lettera, e nel libro — monarchia. — E poteva a ragione lodare

Arrigo, se vien lodato perfino dai di lui nemici. [p. 533 modifica]

canto
XXXI.

ThSTO MODKRNO in forma dunque di candida rosa Mi si mostrava la milizia santa, Che nel suo sangue Cristo fece sposa. 3 Ma l’altra che volando vede e canta, La gloria di Colui che la innamora, E la bontà che la fece cotanta, 6 Sì come schiera d’api, che s’infiora Una fiaLa, e un’altra si ritorna Là dove il suo lavoro s’insapora, 9 Nel gran fior discendeva, che s’adorna Di tante foglie, e quindi risaliva Là dove il suo amor sempre soggiorna. I2 Le foce tutte avean di fiamma viva, E l’ali d’oro, e l’altro tanto bianco, Che nulla neve a quel termine arriva. ii Quando scendean nel fior di banco in banco, Porgevan della pace e dell’ardore, Ch’elii acquistavan ventilando il fianco. 18 Nè lo interporsi tra il disopra e il fiore Di tanta moltitudine volante impediva la vista e lo splendore; 21 Chè la luce divina è penetrante Per l’universo, secondo che è degno,

Sì che l’Lilla le puote essere ostante. 24 [p. 534 modifica]24

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Questo sicuro e gaudioso regno, Frequente in gente antica e in novella, Viso e amore avea tutto a un segno. 27 O Trina luce, che in unica stella Scintillando a br vista sì li appaga, Guarda quaggiuso alla nostra procelia. 30 Se i Barbari, venendo da tal piaga, Che ciascun giorno d’ Elice si copra Rotante col suo figlio ond’ ella è vaga, 33 Veggendo Roma e l’ardua sua opra Stupefaceansi, quando Laterano Alle cose mortali andò di sopra; 36 io, che era al divino dall’umano, E all’ eterno dai tempo venuto, E di Fiorenza in popoi giusto e sano, 39 Di che stupor doveva esser compiuto! Certo tra esso e il gaudio mi facea Libito non udire, e starmi muto. 42 E quasi peregrin , che si ricrea Nel tempio del suo voto riguardando, E spera già ridir com’ elio stea, 45 Sì per la viva luce passeggiando Menava io gli occhi per li gradi Or su, or giù, e or ricirculando. 48 E vedea visi a carità suadi, D’altrui lume fregiati e del suo riso, E d’ atti ornati di tutte onestadi. La forma generai di Paradiso Già tutta il mio sguardo avea compresa, in nulla parte ancor fermato fiso; 54

E volgeami con voglia riaccesa [p. 535 modifica]

canto
XXXI. 525

Per dirnandar la mia Donna di cose, Di che la mente mia era sospesa. Uno intendeva, e altro mi rispose: Credea veder Beatrice, e vidi un Sene Vestito con le genti gloriose. 60 Diffuso era per gli occhi e per le gene Di benigna letizia, in atto pio, Quale a tenero padre si conviene. Ed: Ella ov’è? di subito diss’ io; Onde egli: a terminar lo tuo desiro Mosse Beatrice me del luogo mio: 66 E se riguardi su nel terzo giro Del sommo grado, tu la rivedrai Nel trono che i suoi merli le sortiro. 69 Senza risponder gli occhi su levai, E vidi lei che si facea corona Riflettendo da sè gli eterni rai. 72 Da quella region, che più su tuona, Occhio mortale alcun tanto non dista, Qualunque in mare più già s’abbandona, 75 Quanto da Beatrice alla mia vista: Ma nulla mia facea; chè sua effige Non discendeva a me per mezzo mista. 78 O Donna, in cui la mia speranza vige, E che soffristi per la mia salute In Inferno lasciar le tue vestige; 81 Di tante cose, quante io ho vedute, Dal tuo potere e dalla tua bontate Riconosco la grazia e la virtute. 8 Tu m’hai di servo tratto a liberiate

Per tutte quelle vie, per tutti i modi, [p. 536 modifica]326

paradiso

Che di ciò rare avean la potestate. S7 La tua magnificenza in me custodi, Sì che l’anima mia, che fatta hai sana. Piacente a te dal corpo si disnodi. 90 Così orai; e quella sì lontana, Come parea, sorrise, e riguardommi; Poi si tornò all’ eterna fontana, 95 E il santo Sene: a ciò che tu assommi Perfettamente, disse, il tuo cammino, A che prego e amor santo mandommi, 96 Vola con gli occhi per questo giardino; Che veder lui ti acconcerà lo sguardo Più a montar per lo raggio divino. 99 E la Regina del Cielo, onde io ardo Tutto d’ amor, ne farà ogni grazia, Però ch’ io sono il suo fedel Bernardo. 102 Quale è colui, che forse di Croazia Viene a veder la Veronica nostra, Che per I’ antica fama non si sazia, 10l Ma dice nel pensier, fin che si mostra: Signor mio Gesù Cristo, Iddio verace, Or fu sì fatta la sembianza vostra? 108 Tale era io mirando la vivace Carità di colui che in questo mondo Contemplando gustò di quella pace: 111 Figliuol di grazia, questo esser giocondo, Cominciò egli, non ti sarà noto Tenendo gli occhi pur quaggiuso al fondo; 114 Ma guarda i cerchi fino al più remoto, Tanto che veggi seder la Regina,

Cui questò regno è suddito e divoto. 117 [p. 537 modifica]

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XXX1. 527

Io levai gli occhi; e come da mattina La parte orienta I dell’ orizzonte Soverchia quella dove il Sol declina; 120 Così, quasi di valle andando a monte Con gli occhi, vidi parte nello est remo Vincer di lume tutta I’ altra fronte: 123 E come quivi, ove s’aspetta il temo, Che mal guidò Fetonte, più s’ infiamma, E qiinci e quindi il lume si fa scemo; 126 Così quella pacifica Orifiamma Nel mezzo si avvivava, e d’ogni parte Per egual modo allentava la fiamma, 129 E a quel mezzo con le penne sparte Vid’ io più di milleAngelifestanti, Ciascun distinto e di fulgore e d’arte. 132 Vidi quivi ai br giochi e ai br canti Ridere una bellezza, che letizia Era negli occhi a tutti gli altri Santi. 13 E s’ io avessi in dir tanta divizia, Quanto a immaginar, non ardirei Lo minimo tentar di sua delizia. 138 Bernardo, come vide gli occhi miei Nel caldo suo cabor fissi e attenti, Li suoi con tanto affetto volse a lei,

Che i miei di rimirar fe’pitì ardenti. 142 [p. 538 modifica]28

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COMMENTO DI BENVENUTO Il canto si divide in quattro parti. Nella prima, funzioni degli angeli. Nella seconda, invocazione a Dio. Nella terza, mostrasi san Bernardo. Nella quarta, san Bernardo mostra a Dante il Paradiso, e specialmente la gloria di Maria Vergine. Dante nel canto precedente vide quel fiume di luce assumere la più perfetta forma di un tondo, ma come accade a chi di primo momento contempla un dipinto, che non distingue tosto i dettagli, ma soltanto vede 1’ insieme; così ora Dante dopo aver veduta una figura circolare, la particolarizza per una candida rosa. dunque la mii itia saneta che Cristo fece sposa nel suo sangue, le anime pertanto, che Gesù Cristo a prezzo del proprio sangue fece sue spose mi si mostrava in forma di candida rosa mi eran dinanzi agli occhi sotto forma di candida rosa. La rosa era formata da quel lume rotondo, ed avea sostanza, colore e odore in sè sola: come la Trinità ha tre persone ed un solo Dio. La luce ancora è una e trina, come il Poeta la chiama più avanti. Ma i altra degli angeli che vede che guardano più profondamente in Dio e canta la gloria di Colui che I inamora e cantano la gloria di Dio che li accendedell’amoree la bonla che la fece cotanio e la divina Bontà che loro accordò tanta beatitudine descendea nel gran fiore che si adorna di tante foglie scendea nell’ immensa rosa, ricca di tante foglie, quali formano altrettante sedi di beati. e quindi risaliva e togliendosi dalla rosa tornava la dove il suo amore sempre soggiarna al gran punto della divinità si come schiera d api che sinflora una fiata e si ritorna la dove suo lavoro s insaponi come schiera d’api che si getta nna volta sui fiori, e poi ritorna nell’alveare a fabbricare il dolcissimo mele. Le api riCOflO5COflO

un capo, pronte e leggiere a servirlo. ed amano i [p. 539 modifica]

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XXXI. 529

fiori, da cui, traendo il meglio, formano nell’alveare il mele: tutto ciò si applica agli angeli dell’ empireo. Le api pigre ed inutili si scacciano dall’alveare; gli angeli pravi furono scacciati dal Paradiso. le faccie aveano tuUedi fiamma viva avean tutti faccia ardente e rossa, ad esprimere l’ardente loro a- more di carità ei ali doro adenotare la loro prontezza ed instancabililà e i altro ed il restante di br figura tanto bianco che nulla neve a quei termine arriva tanto bianco che la neve in confronto sarebbe scura, e ciò per denotare la loro purità. Quando scendean nel fiore di bianco in bianco quando scendevano di sede in sede nel fiore porgevan della pace ci del ardore recavano pace ed amore eh dli acquistavan ventilando il fianco ch’ essi angeli acquistavano, battendo I’ ali in alto, o nell elevarsi a Dio; ne linterporsi tra I dLopra ci i fiore di tanta moltitudine volante impediva la vista e lo spiendore nè lo interporsi della volante moltitudine tra il di sopra ed il fiore, cioè tra il divin trono, eh’ era in alto, e la rosa che rimaneva sotto, impediva la vista e lo splendore del punto più luminoso che la luce divina ce penetrante per luniverso sicondo che e digno perché la luce divina penetra in ogni luogo secondo il modo di essere e la virtiì di ciascuna parte si che nulla le poi esser obstante sicché nulla può impedina, come abbiamo l’esempio ne’corpi celesti, che uno non toglie la vista dell’altro p. e. la luna non toglie di veder Saturno; e se tanto accade nelle cose corporee, quanto più nelle spirituali, questo sicuro e gaudioso regno frequente in gente antica et in novella havea viso et amore tutto ad un segno questo eterno regno di delizie, pieno di antiche, e di moderne genti aveva la vista e I’ amore diretti ad un punto solo. Dante al vedere quella pace, e quell’ amore non potè a meno di non ricordare la discordia ed i mali non solo della RAMBALDI — foI. 3. 34 [p. 540 modifica]3O PARADiSO sua patria, ma del mondo intero, e quindi si mosse ad implorare 1’ aiuto divino esclamando o trina luce o divinità inna ed una che scintillando in muta stella a lo,’ vista si li appaga che solo col tuo splendore appaghi la loro vista guarda qua giu a la nostra procdlla volgi lo sguardo misericordioso alla miseria di questo mondo. se i Barbari del Settentrione che una volta vivevano in miseri tuguri, e quasi in antri di fiere venendo di tal piaga che ciascun giorno d Elice si copre rotante col suo figlio ond ella ee vaga venendo da tal regione ogni giorno coperta dalla costellazione Elice, od Orsa maggiore, che si aggira vicina a Boote od Arturo suo figlio. Giove aveva stuprata Calistene, vergine seguace di Diana, quale da Giunone fu convertita in orsa, e la stessa poi, ed il figlio mutato in costellazione, quella Orsa maggiore, questi Orsa minore o Boote, quella col nome d’Elice, questi col nome di 4- r. Arturo veggiend.o Roma e 1 ardua sua opera visitando Roma e scorgendo i maravigliosi suoi edifizi stupefaceansi rimanevano stupefatti quando Laterano a le cose mortali ando di sopra quando Roma si fece la prima e più magnifica città del mondo. San Tommaso d’Aquino era solito dire che l’anima sua aveva tre desiderii di veder Roma in fiore — Cristo in carne —e di sentire l’apostolo disputante. — Laterano era in Roma un magnifico edifizio vicino a s. Marcellino, verso settentrione, e fu palazzo di Nerone secondo Martino. Augusto diceva di aver trovata Roma dipja, ma egli 1’ aveva rifatta di marmo: io che era venuto al divino dal umano dalla terra al cielo a I eterno daltempo da mondo mortale soggetto a tempo a luogo di eternità dove non è tempo e di Firenze il popol fusto e sano ironicamente, e quindi da Firenze che ha cittadini pazzi ed iniqui de che stupor doveva esser compiuto!

da quale stupore doveva esser compreso! Pjì certamente dei [p. 541 modifica]

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XXXI.

barbari del Settentrione, perché le loro maraviglie erano per opere mondane, fra le quali opere ed il veggente è qualche proporzione, ma io scorgeva 1’ eccellenza delle cose divine in confronto delle miserie terrene, fra le quali non vi é, nè vi può essere proporzione, essendo impossibile tra finito ed infinito, certo il gaudio immenso nel vedere Roma celeste mi [acea libito mi scusava non udirnii e starmi muto se non udiva e non parlava tra esso gaudio. E quasi peregrin che si rkrea nei Tempio dei suo voto riguardando e spera gia redire com elio stea e quasi pellegrino che si ricrea al riguardare il tempio del suo voto, ossia il tempio che aveva fatto voto di visitare, e spera, tornato a casa, ridire ora a questo or a quello com’ esso tempio sia costrutto su per la luce passeggiando menava io gli occhi per li gradi mo su mo giu et mo ricirculando così io scorreva a foglia per foglia quella rosa ora su, ora giù, ora in cerchio. Il tempio di Gerusalemme aveva molte sedi. Gesù Cristo disse nelle case di mio padre sono molte dimore; e ve- dea spiriti a carità suadi e vedea volti ardenti di carità d aimd lumi fregiati e di suo riso e d acti ornati e di tutta ho nestade fregiati del lume ch’ emana da Dio, e del fulgore proprio, che nasce da sentita letizia. Lo mio sguardo aveva gia tutta compresa la forma generai di Paradi,o io aveva in generale guardato il Paradiso, ed aveva visto I’ insieme di esso in nulla parte ancorfirmaio fizo ma non mi era ancora fissato a verun dettaglio: e voigeami con voglia raccesa per dimandar la mia donna di cose che la mente mia era sospesa e già voìgeami nuova mente a Beatrice perché mi dicesse dove si trovavano le sedi di Maria Vergine, e di lei, che non vedeva? uno Intendea si altro mi rispose uno era il mio intendimento, la mia aspetDigitized

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tativa, ed altra cosa ben diversa corrispose all’ intenziòne mia. credea veder Beatrice e vidi un Sene vestito con te genti gloriose credeva di veder Beatrice e vidi un vecchio fasciato del lume divino insieme cogli altri glorificati. Questo vecchio era san Bernardo abbate di Chiaravalle, istitutore di un ordine, e sugoso dottore. Dante lo chiama vecchio, perchè di età e sapere fu tale: fu dolce, mite, umile, placido in sommo grado: difuso era per qli occhi e per le gene di benigna letitia in acto pio quale a tenero padre si conviene la benigna letizia gli si leggeva negli occhi e nelle guancie, e stavasi in atto pietoso di tenero padre. E subito dissio: ella ovè? ed io subito dimandai dov’è Beatrice? or4d clii san Bernardo rispose a terminai’ lo tuo disiro Beatrice mosse mi di loco mio per appagare ogni tuo desiderio, dalla mia sede Beatrice mi mandò a te: se riguardi su nei terzo giro del sommo grado tu la rivedrai nel trono che i suoi meriti li sortiro e se tu alzi gli occhi al terzo giro più vicino al mezzo, tu la vedrai nella sede destinata ai meriti suoi, ed in quell’ istesso giro siede anche Rachele che figuratamente si prende per la vita contemplativa, come la stessa Beatrice disse nel canto Il dell’ Inferno — ch’ io mi sedea con l’antica Rachele ec. sanza rispondere gli occhi io su levai tosto alzai gli occhi e vidi lei che si [acea corona ‘e/lectendo da se gli eterni rai e la vidi farsi corona, riflettendo dai seggi eterni, e da sè i raggi della divina luce. Dice lsaia sederà solitario e taeercì, perchè si alzò sopra sè stesso — alcuno occhio mortale qualunche s abbandona piu giu in mare qualunque occhio mortale penetri nel più profondodel mare non dista tanto da quella region che piusu lona nonè tanto bntano da quella regione del cielo in cui si forma il tuono quaiaio da Beatrice la mia vista quanto Beatrice era lontana daDigitized by Google [p. 543 modifica]CASTO XXXI. gli occhi miei: ma nulla mi facea tanta distanza che sua effige non discendeva a me per mezzo misto che 1’ immagine sua non mi arrivava frammista ad alcun corpo posto fra gli occhi del riguardante e 1’ oggetto veduto, come nel mondo. O donna in cui la mia speranza vige o donna, che rinforzi ogni mia speranza e che soffristi lasciar te tue vestige in Inferno per la mia salute e che scendesti fin nell’ Inferno per condurmi a salvezza riconosco la grazia e la virtute di tante cose quant o veduto dal tuo poder e dalla tua bontate tutto il profitto tratto dal vedere l’inferno, che scorsi colla guida di Virgilio cia te mandato, il quale pure mi accompagnò nel Purgatorio, e dall’ esser degno di vedere il Paradiso condotto da te stessa, io tutto riconosco dal tuo potere e dalla tua bontà. tu m ai di servo tracto a Ubertade tu dalla schiavitù delL’ignoranza e de’ vizi mi hai messo nella libera strada della virtù e della scienza per tutte quelle vie per tutti modi che di cio fare avean podesta col timore delle pene ch’ io vidi sofferte dai viziosi, e col premio che Dio accorda ai vii’tuosi. la tua magnificentia in me custodi in me custodisci gli effetti della tua magnificenza, che questa ha luogo ne’ grandi doni, la liberalità ne’piccoli si che I anima mia che facta hai sana piacente a te dal corpo si disnodi si che l’anima mia che tu risanasti dall’ ignoranza e dai vizi, piaghe dell’anima. — L’ uomo è afflitto primamente da tre mali — ignoranza — vizio — miseria; ma quest’ ultima affligge il corpo, le prime due I’ anima — sotto de’ tuoi precetti si separi dal corpo. Io cosi orni cosi pregai e quella cosi lontana come parea sorrise e riguardomi gratulando e Beatrice, tanto lontana come sembrava, mi sorrise guardandomi, quasi a compiacenza del mio animo grato poi si torno al eterna fontana

poi tornò a contemplar Dio, da cui sgorga ogni feliciti. e 1 [p. 544 modifica]I34

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Santo iene ed il santo vecchio aggiunse Dante sia qui colla scorta di Beatrice aveva veduti gli ordini de’ beati, de’ serafini, cherubini, degli angeli, e la forma del Paradiso; ma per arrivare al cospetto di Dio non credea aver forza bastante, se non per intercessione di Maria Vergine. Prega quindi san Bernardo di raccomandarlo a Maria, perchè lo degni, quantunque immeritevole, di grazia tanto sublime. E san Bernardo fu il più devoto della Vergine Madre fra gli alunni di Beatrice, che disse: vola con gli occhi per questo giardino getta un rapido sguardo all’ empireo che veder lui te acconcera io sguardo che nel guardarlo ti rafforzerà la vista piu a montar per lo raggio divino seguendo il raggio che etnana da Dio per arrivare al suo aspetto a vederlo a cio che tu assommi perché tu conduca al sommo, all’ ultimo termine perfettamente il tuo cammino la tua grand’ opera a che pregoedamorsancto mandommiper cui mi pregò l’amor santo di Beatrice a qui venire, e la Regina dei Cielo la Vergine Maria ond Io tutto ardo di amore ne fara ogni gratia per la quale io nutro la più ardente devozione spero che ti degnerà della grazia pero c1 io sono il suo fidel Bernardo essendole in vita stato sempre devoto, ed avendo tante altre grazie da lei ottenute. io era tal mÉrando la verace canta di colui. lo rimasi talmente colpito dalla vera pietà di san Bernardo che in questo mondo contemplando gusto di quella pace che per mezzo della contemplazione, mentre visse, gustò della pace dell’ empireoi quale e colui che forse de Croatia viene a tder la Veronica nostra che per l’antica fama non si sacia eguale al pellegrino che viene dalla Croazia o Schiavonia a vedere il santo Sudano, o l’immagine del Salvatore GestI Cristo, nomato Veronica dalla figlia di Costantino; perchè a Digitized by oog1e [p. 545 modifica]CAt’TO XXXI. Cristo fu dato un fazzoletto da Veronica per asciugarsi il sudore, mentre andava ad esser crocefisso, e vi lasciò Impressa 1’ immagine sua che non si sacia della vista ma dice nel pensier finche si mostra ma dice dentro di sè nell’ atto di mirano Signor mio, Jesu Cristo, Dio verace or fu si facla la sembianza vostra? fu tale il vostro volto, la vostra immagine? Figliol di gratia o Dante eletto da Dio, disse san Bernardo questo essere iocundo non ti sara noto tenendo gli occhi pur qua giu al fondo non acquisterai bastante conoscenza di questa corte celeste guardando solamente quaggiù mo guarda i cierch i in fino al piu rimoto tanto che vegi sederla Regina cui questo regno e subdito e divoto ma scorri tutti i gradi della rosa in Lutti i cerchi, fino a tanto che trovi la sede di Maria, cui è suddito come a regina tutto questo regno, io levai gli occhi io alzai gli occhi e quasi con gli occhi andando di valle a monte e come se li avessi alzati da valle profonda ad altissimo monte vidi parte ne lo stremo vincer di lume tutta I altra fronte vidi nell’ ultimo più alto cerchio una parte di esso vincer di luce tutte le altre parti della sua circonferenza cosi come da mattina la parte oriental dell origiunte 80V- verchia quella dove i Sol declina come la luce del sole nella mattina soverchia la luce di quando cade. Maria, aurora dell’universo è più luminosa, e più folgorante di raggi di ogni altra parte dell’empireo, perchè riceve il lume dell’eterno sole cui è più vicina; e quella orea fiamma e quella fiamma di eterno fuoco d’ amore pacifica che mise pace dopo tanta guerra fra Dio e 1’ uomo s’avvivava nel mezzo era più viva nel mezzo et d ogni parte per ugual modo allentava la fiamma e dall’ una parte e dall’ alira gettava raggi che ugualmente

diminuivano in ragione della distanza cosi come quivi [p. 546 modifica]S36

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ove $ aspecla il themo che mal guido Fetonte piu s infiamma e quinci e quindi il lume si fa scemo così come in quella parte ove si aspetta il timone del carro del sole che Fetonte non seppe guidare, ossia dove il sole sta per ispuntare, più s’infiamma il cielo, e di qua e di là il lume perde di sua vivezza. E vidi io piu di mille Angeli festanti con le penne sparte e vidi più di mille angeli per festaspiegare, ed agitar l’ali a quel mezzo a quella sede di Maria ciascun distinto di fulgore e darle tulti distinti nello splendore, come nell’ufficio: vidi una bellezza ridere ai br giochi e a br canti vidi pure la più bella fra le donne piacersi lieta de’ br giuochi e canti che la qual bellezza era letitia negli occhi a lutti gli altri Sancli tutti gli altri santi posti sotto la protezione di Maria, per di lei mezzo contemplavano Dio. e s io avessi in dir tanta divitia quanto a immaginar e se avessi I’ eloquenza pari alla mia immaginazione, non ardirei lo minimo tentar di sue deliia non azzarderei di descrivere la più piccola parte che la riguarda; non tenterei di esprimere la minima parte della deliziosa mostra, che Maria Vergine faceva colassù. Bernardo come vide gli occhi miei nel caldo suo calore fixi el attenti quando san Bernardo vide gli occhi miei attenti e fissi nell’ardente fiamma di Maria li suoi con tanto affecto volee a lei anch’egli volse gli occhi suoi a Maria con tanto affetto che i miei di rimirar feci più ardenti che fece più ardenti

i miei occhi di rimirarla. [p. 547 modifica]

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XXX1I.

T$TO MODZRNO Affetto al suo piacer quel contemplante Libero ufficio di dottore assunse, E cominciò queste parole sante: 3 La piaga che Maria richiuse e unse, Quella, che è tanto bella da’ suoi piedi, È colei che l’aperse e che la punse. 6 Nell’ordine che fanno i terzi sedi, Siede Rachel di sotto da costei Con Beatrice, sì come tu vedi. 9 Sara, Rebecca, Judit, e colei, Che fu bisava al Cantor che, per doglia Del fallo, disse: miserere mci, 12 Puoi tu veder così di soglia in soglia Giù digradar, com’ io che a proprio nome Vo per la rosa giù di foglia in foglia: 15 E dal settimo grado in giù, sì come Infimo a esso, succedono Ebree, Dirimendo del flor tutte le chiome; 18 Perchè, secondo lo sguardo che fee La fede in Cristo, queste sono il muro A che si parton le sacre scalee. 21 Da questa parte, onde il fiore è maturo Di tutte le sue foglie, sono assisi

Quei che credettero in Cristo venturo. 24 [p. 548 modifica]38

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Dall’ altra parte, onde sono intercisi Di vuoto i semicircoli, si stanno Quei che a Cristo venuto ebber li visi. 27 E come quinci il glorioso scanno Della Donna del Cielo, e gli altri scanni Di sotto lui cotanta cerna fanno; 30 Così di contra quel del gran Giovanni, Che sempre santo il deserto e il martiro Sofferse, e poi l’inferno da due anni; E sotto lui così cerner sortiro Francesco, Benedetto, e Agostino, E gli altri sin quaggiù di giro in giro. 36 Or mira l’alto provveder divino; Chè l’uno e l’altro aspetto della Fede Egualmente empierà questo giardino. 39 E sappi che dal grado in giù, che fiede A mezzo il tratto le due discrezioni, Per nullo proprio merito si siede, 42 Ma per l’altrui, con certe condizioni; Chè tutti questi sono spirti assolti Prima che avesser vere elezioni. Ben te ne puoi accorger per li volti, E anche per le voci puerili., Se tu li guardi bene e se li ascolti. 48 Or dubbii tu, e dubitando sui; Ma io ti solverò forte legame, In che ti stringon li pensier sottili. 51 Dentro .alP ampiezza di questo reame Casual punto non puot.e aver sito, Se non come tristizia, o sete, o fame; Chè per eterna legge è stabilito

CÀNTO [p. 549 modifica]XXXII. 539 Quantunque vedi, sì che giustamente Ci si risponde dall’anello al dito. 57 E però questa festinata gente A vera vita, non è sine cauta Intra sè qui più e meno eccellente. 60 Lo Rege, per cui questo regno pausa In tanto amore e in tanto diletto, Che nulla volontà è di più ausa, 63 Le menti tutte nel suo lieto aspetto, Creando, a suo piacer di grazia dota Diversamente; e qui basti l’effetto. 66 E ciò espresso e chiaro vi si nota Nella Scrittura Santa in quei Gemelli, Che nella madre ebber I’ ira commota. 69 Però, secondo il color dei cappelli Di coLaI grazia, I’ altissimo lume Degnamente convien che s’ incappelli. 72 Dunque, senza mercè di br costume, LocaLi son per gradi differenti, Sol differendo nel primiero acume. 75 Bastava sì nei secoli recenti Con l’innocenza per aver salute, Solamente la fede dei parenti. 78 Poiché le prime dadi fur compiute, Convenne a’maschi alle innocenti penne, Per circoncidere, acquistar virtute; 81 Ma poi che il tempo della Grazia venne, Senza bauesmo perfetto di Cristo, Tale innocenza laggiù si ritenne. 84 Riguarda ornai nella faccia che a Cristo

Più si assomiglia, chè la sna chiarezza [p. 550 modifica]

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Sola ti può disporre a veder Cristo. 87 lo vidi sopra lei tanta alleggrezza Piover portata nelle menti sante Create a trasvolar per quell’altezza, 90 Che quantunque io avea visto davante, Di tanta amrnirazion non mi sospese, Nè mi mostrò di Dio tanto sembiante. 93 E quell’Amor, che primo lì discese, Cantando Ave, Maria, gratia piena, Dinanzi a lei le sue ali distese. 96 Rispose alla divina cantilena Da tutte parti la beata Corte, Sì che ogni vista sen fe’piiì serena. 99 O santo Padre, che per me comporte L’esser quaggiù, lasciando il dolce loco, Nel qual tu siedi, per eterna sorte, 102 Qual è quel Angel, che con tanto gioco Guarda negli occhi la nostra Regina Innamorato sì, che par di foco? 103 Così ricorsi ancora alla dottrina Di colui, che abbelliva di Maria, Come del Sol la stella mattutina; E egli a me: baldezza e leggiadria, Quanta esser puote in Angelo e in alma, Tutta è in lui, e sì volern che sia; 111 Perch’ egli è quegli che portò la palma Giuso a Maria, quando il FigIluol di Dio Carcar si volle della nostra salma. 114 Ma vieni ornai con gli occhi, sì come io Andrò parlando, e nota i gran .patrici

Di questo Imperio giustissimo.e pio. 117 [p. 551 modifica]

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XXXI).

quei due che seggon lassù più felici, Per esser propinquissimi ad Augusta, Son d’ esa rosa quasi due radici. 120 Colui, che da sinistra le si aggilista, É il Padre, per Io cui ardito gusto L’ umana specie tanto amaro gusta. 123 Dal destro vedi quel Padre vetusto Di santa Chiesa, a cui Cristo le chiavi Raccomandò di questo fior venusto. 126 E quei che vide tutti i tempi gravi, Pria che morisse, della bella sposa, Che s’acquistò con la lancia e coi clavi, 129 Siede lungh’ esso; e lungo l’altro posa Quel Duca, sotto cui visse di manna La gente ingrata, mobile e ritrosa. 132 Di contro a Pietro vedi sedere Anna Tanto contenta di mirar sua figlia, Che non move occhio per cantare Osanna. 13 E eontro al maggior Padre di famiglia Siede Lucia, che mosse la tua Donna, Quando chinavi a ruinar le ciglia. 138 Ma pcrchè il tempo fugge, che ti assonna, Qui farem punto, come buon sartore Che, come egli ha del panno, fa la gonna; 141 E drizzeremo gli occhi al primo Amore, Sì che, guardando verso lui, penetri, Quanto è possibil, per lo suo fulgore. 14i Veramente, nè forse, tu ti arretri, Movendo l’ali tue, credendo oltrarti: Orando grazia convien che s’ impetri, 147

Grazia da quella che puole aiutarli: [p. 552 modifica]

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E tu mi seguirai con l’affezione, Si che dal dicer mio lo cuor non parti: E cominciò questa santa orazione. ilO COMMENTO Dl BENVENUTO Forma particolare del Paradiso. Il canto si divide in quattro parti. Nella prima, disposizione de’ beati ne’ gradi del Paradiso tanto del vecchio, che del nuovo Testamento. Nella seconda, ricerca sui bambini innocenti. Nella terza, beatitudine 411 Maria Vergine, ed angelo Gabriele. Nella quarta, i primi patrizi della corte celeste. Quei coniemplante i effecto al suo piacer. Devoto al piacere di Maria Vergine, e perché Dante fosse soddisfatto delle sue nuove curiosità libero ufficio de dociore assumpse s. Bernardo assunse spontaneo 1’ ufficio d’ istruirmi e comintio queste parole sanete e così cominciò, distinguendo i gradi, e primamente da Eva che sta ai piedi della Vergine Maria, quei1a che ee tanto bella Eva fu bellissima comeccbè formata dalla mano di Dio da suoi pedi a piedi della Vergine Maria, ossia in secondo grado ee colei è quella che aperse e che La punse la piaga che per la prima commise il peccato originale clae Maria richiuse el unse che Maria curò e sanò, piaga che aveva mortalmente affetto tutto il genere umano. In tal modo una donna perdette, ed una salvò tutto l’umano genere. nel1 ordine che fanno i terzi sedi nel terzo ordine o gradi sede con Beatrice come tu vedi Rachel di sotto da costei sotto di Eva. La prima sede è quella di Maria — la seconda sede od ordine è quella di Eva — la terza sotto Eva quella di Rachele. Poi san Bernardo mette insieme quattro ordini seguenti. tu puoi veder cosi di soglia in soglia digradargiu in tal modo e con tale gradazione di sede in sede puoi vedere Sara meDigitized

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XXXII. 45

glie di Abramo, che vecchia partorì Isacco e Rebecca: questa divenuta moglie d’ Isacco, gli partorì Giacobbe ed Esau, de’ quali si parlerà in appresso. Queste tre donne sono molto lodate nel vecchio Testamento — Rachele per amor del marito — Rebecca per prudenza — e Sara per fedeltà — (udii Giuditta bellissima e decorosissima, che con eroico coraggio liberò Betulia dall’ ira di Oloferne cui troncò il capo, come nel Purgatorio canto XII e colei che fu bisava al Cani or che per doglia del fallo disse — miserere mei — Ruth moabita, moglie di Booz, bisava di David cantore dello Spirito Santo, e del Salmo — miserere mci -— che egli compose per dimandare perdono dell’enorme peccato commesso nell’ ordinata uccisione di Una suo condottiero d’armata, onde più liberamente godensi la di lui moglie Bersabea: sant’ Agostino chiama David uomo di sangue, non perchè fosse uomo di guerra, ma per l’omicidio di Una, che fu in un tempo adulterio e tradimento: come io che vo per la rosa giu di foglia in foglia a proprio nome a misura che io, vado di foglia in foglia giù per la rosa, nomino ciascnn beato col rispettivo nome; e pone Sara in quartoRebecca in quinto, Giuditta in sesto, eRuth in settimogrado: e dal septimo grado in giu, si come in fino adesso succedono Ebree dirimendo del fiore tutte le chiome. Sette sono le donne già nominate, e tutte ebree: ed altre pure ebree, succedono di grado in grado per lo in giù, sicchè formano una linea che divide, ed attraversa tutti i gradi del cerchioperche segondo lo sguardo che fee la fede in Cristo queste sono il muro a che si parton le saere scalce perocchè queste donne sono come un muro, da cui dividonsi questi gradi per la distinzione de’ beati secondo il modo con che la loro fede guardò in Cristo. Innanzi la Redenzione, la fede guardava in Cristo

venturo: dopo, in Cristo venuto. [p. 554 modifica]

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Dante divide l’Empirio come vien divisa la terra, la cui metà è l’Asia, e l’altra la Europa, essendo l’Aftrica in gran parte compresa nell’Asia secondo sant’Agostino e Sallustio ecc. Il poeta immagina che I’ Empireo sia diviso da una retta in due eguali parti semicircolari, e dall’ una parte stiano tutti i salvati del vecchio testamento, nell’ altra i salvati del nuovo quelli che eredettono in Cristo venturo i Profetti, i Santi Padri ebrei, e gli eletti prima della Redenzione sono a/fixi seggono da questa parte della rosa onde il fiore è maturo metaforicamente di numero compilo di tutte le sue foglie essendo piene tutte le sedi, nè potendosi da niun altro occupare se fosser vuote, per la suaccen nata distinzione, quei eh a Cristo venuto ebber li visi i fedeli del nuovo Testamento si stanno di- voti stanno devoti contemplando Iddio, ovvero d’ altra parte onde sono interei$i i semicircoli dalL’ altra parte dalla quale i semicircoli sono interrotti da spazi vuoti si stanno quei che a &isto venuto ebber li visi seggono i credenti in Dio venuto. E quesia parte della rosa può dirsi immatura, perchèdi giorno in giorno si riempie, e quando saran pien tutte lesedi,finirà il mondo. Il numero delle sedi di questa parte tanto piene che vuote, uguaglia il numero dell’ altra parte. Come quinci il glorioso seanno de la donna del Ciel e gli altri scanni di sotto lui cotanta cerna fanno e come da questa parte la sede di Maria e le altre sedi sotto di essa, fan-. no cotale separazione o distinzione cosi di contra quel del gran Giovanni così fa nella parte contraria quella di san Giovanni che sempre sancto il deserto e I nartiro sofferse poi unferno da dui anni che santo fin nell’ utero della madre andò fin dall’età di sette anni nel deserto, fu decapitato per com piacer ad una fanciulla che ballava e stette due anni nel Limbo, quanti ne corsero dalla sua morte a quella di CristoesotDigitized

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XXXII. 545

io lui cosi cerner sortiro e sotto di lui così ebbero in sorte di formare linea di divisione Francesco Benedetto et Augostin et altri sin qua giu di giro in giro san Francesco, san Benedetto, sant’Agostino, ed altri fino all’ estremità della rosa di foglia in foglia. Or mira tallo provveder divino or vedi l’alta provvidenza di Dio che i uno e i altro aspeclo de la Fede empira questo giardino che l’una e 1’ altra schiera de’ beati, quella che credette in Cristo venturo, e 1’ altra in Cristo venuto empiranno egualmente le scalee dei due grandi semicircoli della Rosa, nelL’uno de’quali sono ancora molte sedi vuote. esappi che dal grado in giu che fiede a mezzo il tracio le dui discretioni per nullo proprio merito si siede ma per altrui con certe condiclioni e sappi che dal grado quartodecimo della scala che taglia in croce le due fila alla loro metà siedono quelli che non ebbero proprio merito i bambini — che sono glorificati solo pei meriti di Gesù Cristo; che tutti questi sono spiriti ascioltiprima che avesser vere electioni tutti questi sono spiriti che furono sciolti dai legami del corpo prima che fossero in istato di discernere il male ed il bene: ben te tw puoi accorger per li volti ci anco per le voci puerili se tu li guardi bene e se tu li ascolti tu facilmente te ne puoi accorgere dalle faccie e voci di fanciullo se ben bene li guardi, e li ascolti. Or dubii tu e sui dubitando ora tu hai clubbiezze su quanto ti ho detto, e ad onta del tuo dubitare te la stai in silenzio; ma io disolvero il forte legame ma io scioglierò il difficile nodo in che ti stringon li pensier sottili perché sotlilmente consideri come essendo quei bambini morti senza s’era elezione e quindi senza merito, siano distinti nel grado di gloria, dentro all ampiezza di questo riame casual punto R.4MrAI.nI — Voi. 3. [p. 556 modifica]a


paradiso

non pote avere sito se non come Iristitia sete o fame. In Paradiso non può aver luogo alcun evento casuale, come non vi hanno luogo tristezza, sete e fame. li Paradiso è governato da tal re tanto provvido quanto giusto, che tutto dispone con maravigliosa proporzione, cosicchè nulla di eccedente, nulla di mancante, nulla d’ indebito vi si può trovare. Questi bambini pertanto sono qui variamente glorificati per grazia di Dio, la cui volontà è legge immutabile; che quantunque vedi ee stabilito per eterna Lege che quanto qui vedi è stabilito da legge eterna si che giustamente ci si risponde dal anello al diW che tanta è la gloria quanta è la capacità del gloriato, come il dito è grosso quanto è largo l’anello. Il creatore dà in dote all’anima la grazia sua come a sposa, e l’anello è la stessa grazia. e pero questa festinala gente morta anzi tempo; ovvero affrettata a vera vita non e sine causa intrasi piu o meno qui exceUente non è qui più o meno eccellente I’ uno riguardo all’altro senza giusta ragione. Così vuoi Dante significare che Dio non predestinò tutti a sorte uguale, perchè alcuni di questi bambini hanno più, altri meno gloria, come i superiori che meritarono grazia precedente. Lo Rege Dio per cui questo regno pausa che fa regnare in questo regno eterna pace e quiete in tanto amore ci in tanto dilecto espressi colla luce e collo splendore, essendo più o meno, quanto più o meno la luce che nulla votuntale di piu ausa che niuna volontà potrebbe desiderare maggiore diletto dota la mente dota I’ anima di gratia della sua grazia alsuo piacer diversamente a suo libero volere più una, che l’altra creando tutte in suo lieto conspecto creandole tutte a lieto fine: e qui basti lo effecto e quanto a ciò basti il sapere che la cosa è così, senza presumere d’investigare i segreti di

Dio. La sola volontà di Dio è la cagione della differenza de’ [p. 557 modifica]

canto
XXXII.

bambini predestinati alla gloria, quale volontà di Dio non è simile alla nostra, e perché tale, e perché nulla la muove, e non vuole, e non può volere che quanto è giusto, è inutile dimandarne il perché, o la ragione, imperocchè secondo san Paolo non si può arrivare a tanto che per rivelazione. Abbiamo nella Genesi, che Isacco ebbe dalla sua Rebecca due figli gemelli, i quali fin nell’utero materno facevano guerra fra loro, locchè spaventò il genitore, che fervidamente pregava Iddio a significargli quali sciagure si minacciavano per tanto fenomeno. Gli fu risposto che dai gemelli sarebbero venute due nazioni, ed il popolo dell’ una servirebbe al popolo dell’ altra. E giunto il momento dcl parto, sortì per primo un bambino di pelo rosso che fu nomato Esau, poscia un altro di pelo nero, che teneva stretto con una mano il piede del primo, quasi a significare tu non andrai senza di me — e fu nomato Giacobbe. li padre amava più il primogenito Esan, la madre più il secondo Giacobbe, ed avendo il padre stesso perduta la vista pei molti anni che lo gravava no, ella scambiò in Esau il suo diletto Giacobbe, facendolo invece di quello ricevere la benedizione paterna; e fu il diletto anche a Dio, Esau oggetto di sdegno. e cio espresso e chiaro vi si nota nella Scriptura Sancla in quei gemelli che ne la mente ebber lira commota e la predestinazione appare chiara nelle Sacre Carte in Giacobbe ed in Esau, che nel materno grembo ebbero contrasto ed ira, sforzandosi ciascuno di nascere il primo, e di avere maggioranza sull’altro. Pero secondo il color di capelli di colai grati i alt issimo lume degnamente convien che s incapelii però, secondo il quale ed il quanto di essa grazia infusa dal beneplacito (li Dio, conviene che l’altissimo lume, o lume beatifico si faccia corona di gloria di esse anime; dunque senza merDigitized

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paradiso

ce di br costume dunque senza merito di loro opere locali son per gradi differenti sono predestinati a differenti gradi sol diferendo nel primo acume nella varia forza visiva atta a mirar Dio più o meno d’appresso, nella loro creazione sortita. bastavabi nei seculi recenti bastava certamente ne’ primi secoli, quando il mondo era recente solamente con linnocentia clla sola innocenza la fede da parenti per haver salute la fede de’ genitori perchè fossero glorificati — e ciò fino ad Abramo poiche le prime etadi fur compiute prima e seconda età convenne a maschi alle innocenti penne per circumcider acquistar virtu convenne ai maschi. bambini innocenti, onde volare al cielo, acquistar forza alle ali loro col mezzo della circoncisione; ma poiche il tempo della gratia venne ma dopo Cristo venuto tale innocentia la giu non si ritenne senza baptesmo perfecto di Cristo gi’ innocenti morti senza il battesimo perfetto di Cristo furono ritenuti nel limbo. — Dopo la venuta di Cristo, il tempo nomasi di grazia, perchè colla di lui passione e morte il genere umano fu liberato dalla schiavitù del peccato. Riguarda ornai ne la faccia che piu somiglia a Cristo in forma humana ma torna a guardare nel volto di Maria Vergine che la sua chiarezza sola tipuo disporre a vedei’ Cristo che il di lei splendore soltanto ti può dare tale conforto da sostenere la vista di Gesù Cristo, io vidi tanta allegrezza piover sopra lei io vidi tanto splendore mandarsi a lei dal divin Figlio portata nelle menti sancle create a transvolar per quellaltezze e da lei negli angeli destinati a trapassare, volando dal trono di Dio alle sedi dei beati, e da queste al detto trono che quantunque io havea visto davante che qualunque cosa aveva prima veduta di tanta admiration non mi sospese non mi fece tanto stupore ne mi nos(ro di Dio tanto sembiante nè mi fece veDigitized

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XXXII. 49

dere un volto più somigliante a Dio. Con quanto artifizio il Poeta ci mostra la gloria della Beata Vergine Maria! In tutta questa cantica aveva in genere descritta la beatitudine e la gloria di Beatrice e degli angeli con vari modi, colori, similitudinì e metafore; ma il paragone del volto di Cristo specifica, e rende tanto sublime la idea, da non potere andare più innanzi! e quello amore che poi li discese cantando Ave Maria gralia piena e l’angelo Gabriele che annunziò a Maria il gran mistero anti a lei le sue ali distese fermò le ali divine dinanzi a lei; rispose a la divina cantilena da tutte parti la beata corte si che ogni vista si fee piu serena rispose a quella salutazione angelica la intera corte de’ beati col — Dominus tecum ecc. aumentando ogni volto la propria letizia espressa col maggiore splendore. O Sancio Padre o san Bernardo che per me comporti I esser qua giu lasciando il dolce loco nel qual tu sedi per eterna sorte che a mio riguardo ti degnasti discendere al più basso luogo della rosa, lasciqndo il sublime grado che secondo i tuoi meriti ti fissò 1’ Eterno. — San Bernardo era con sant’ Agostino nel quart’ ordine qual ce quel angelo che con tanto gioco guarda negli occhi la nostra regina innamorato si che par di fuoco? qual angelo è quello che guarda in volto a Maria Vergine con tanta ardenza di amore che pare di fuoco? cosi ricorsi ancora a la doctrina di colui che come la stella mattutina del Sole abelliva di Maria così ricorsi alla dottrina di san Bernardo, che tanto si faceva bello di Maria Vergine, come la stella del mattino si fa bella del sole oriente. Venere precedendo nel suo corso il sole viene illuminata da lui più che gli altri pianeti; e del pari san Bernardo dottore, quasi stella, precorse nella devozione a MaDigitized

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paradiso

ria più di ogni altro, scrivendo sul di lei pianto e dolore, e più di ogni altro ottenendo grazie da lei. EI clii a me e san Bernardo mi rispose la bellezza e leggiadria quanta esser puote in angelo ci in airna tanta ce in lui quanta amabilità e leggiadria può trovarsi in uno spirito angelico, tutta si trova in lui: si vokm che sia e noi beati ci uniformiamo al voler divino perche dli è quello che portoe la palma giuso a Maria quando il figliuol di Dio carne si volse de la nostra salma perché egli è quell’ angelo che portò la palma simbolo di pace, quando il Figliuolo di Dio si degnò di assumere umana carne. Dante lo aveva descritto in genere altra volta, ma qui Io mostra nella specialità anche dell’uflicio suo. ma veni ornai con gli occhi corn io andro parlando et nota i gran Patrici di questo imperio justissimo e pio ma segui cogli occhi qpanto io t’ indicherò colla voce, e nota particolarmente i senatori dell’ordine illustre di questa Roma celeste, dove impera il più giusto, ed il più clemente di tutti i sovrani. Quelli due che segon la su piu felici per esser propinquissimi ad Augusta son d esta rosa quasi due radici quei due, Adamo e san Pietro, i quali seggono in gradi i più sublimi per essere vicinissimi a Maria imperatrice di questa Roma, possono dirsi quasi due radici di questa rosa. Ottaviano fu chiamato Augusto perché consacrato, e sotto il di lui impero Cristo vestì carne umana; così per lontana convenienza Cristo che suona unto può chiamarsi Augusto, e la di lui madre e sposa di Dio Augusta essa pure. colui che da sinistra li si aggiusta ce il Padre per lo cui ardito gusto lhumana specie tanto amaro gusta quegli che da sinistra è vicino a Maria è Adamo padre del genere umano, che per avere gustato del

pomo vietato fece I’ uman genere soggetto alle miserie, ed [p. 561 modifica]

canto
XXXII.

alla morte: dal destro vedi quel Padre Vetu.sto dal destro lato vicino a Maria è san Pietro vecchia pietra della fede e di santa Chiesa e della santa Chiesa a cui Cristo le chiavi raccomando di questo fior venusto a cui Cristo affidò le chiavi di questo giardino, o le chiavi del Paradiso. Gli ebrei verso il mezzo della rosa stanno alla sinistra di Maria, i cristiani alla destra. E quei che vide tutti i tempi gravi pria che morisse di la bella sposa che s acquistoe con la lancia e con chiavi sede lungh esso e presso san Pietro siede san Giovanni Evangelista che prima di morire vide le calamità future della santa Chiesa, sposa bella che Cristo si acquistò colla passione, e per cui fu inchiodato in croce e ferito di lancia nel costato e lungo I altro posa quel Duca sotto cui visse di manna la gente ingrata mobile et ritrosa e vicino ad Adamo siede Mosè duce del popolo ebreo, che sotto di lui nel deserto visse di manna, popolo ingrato, volubile, retrogrado. Liberato dalla schiavitù di Faraone adorò il vitello d’ oro: mentre si cibava di manna scagliava sacrileghe ingiurie contro chi la faceva piovere. Di contro Petro vedi seder Anna tanto contenta di veder sua figlia che non inove occhio per cantare osanna. Siede di contro a san Pietro Anna madre di Maria tanto conténta di contemplarla, che da lei non diparte l’occhio, sebbene canti Osanna cogli altri beati: e contro I maggior Padre de famiglia e dirimpetto ad Adamo nella parte opposta della rosa sede Lucia che mosse la tua donna quando chinavi a ruinar le ciglia stassi Lucia che mosse Beatrice a soccorrerti, quando ricadevi nella valle dei vizi, come al canto il dell’inferno ed Viii del Purgatorio. Ma perche I tempo fugge che t assonna qui farem punto [p. 562 modifica]PAIIAD1SO come bon sartore, che come clii ha dei panno fa la gonna. Ma perché fugge il tempo di tua visione, quasi sonno a te per divina grazia concesso, qui porremo fine alla contemplazione del Paradiso, come il bravo sartore che fa la tonaca secondo il panno e drizzeremo gli occhi ai primo amore e volgeremo gli occhi a Dio, ultima felicità si che penetri perché coll’acume dell’ occhio giunga guardando verso lui quanto ee possibile per lo suo fulgore a guardarlo più a dentro che ti sarà possibile. Aveva detto Iddio — l’uomo non mi vedrà, e vivrà — san Bernardo avvisa Dante che senza I’ intercessione di Maria Vergine sarebbe temeraria presunzione di giungere a tanto, e lo invita ad implorarla. Veramente conviene che s impetri gratia orando conviene che s’ impetri tal grazia pregando grazia da quella che pote aiutarci l’intercessione di Maria che più di tul.ti può aiutarli ad ottener quanto brami e ne forsi tu t aretri onde non t’ arretri movendo lati tue fidando nelle tue forze credendo oltrarti credendo di aggiungere il fine e tu mi seguirai con laffectione con l’intenzione si che non parti il cuor dal dicer mio perché il tuo ardente volere non sia lontano dalla preghiera che sono per fare ci comintio questa santa orazione, e san Bernardo cominciò la preghiera del

canto seguente. [p. 563 modifica]

canto
XXXIII.

TESTO MODERNO Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, Umile e alta più che creatura, Termine fisso d’eterno consiglio, Tu se’ colei, che l’umana Natura, Nobilitasti sì, che il suo Fattore Non disdegnò di farsi sua fattura. 6 Nel ventre tuo si raccese l’amore, Per lo cui caldo nell’ eterna pace Così è germinato questo fiore. 9 Qui sei a noi meridiana face Di cantate, e giù intra i mortali Sei di speranza fontana vivace. 12 Donna, sei tanto grande, e tanto vali, Che qual vuoi grazia, e a te non ricorre, Sua desianza vuol volar senz’ ali. La tua benignità non pur soccorre A chi dimanda, ma molte fiatc Liberamente al dimandar precorre. 18 In te misericordia, in te pietate, In te magnificenza, in te si ad una Quantunque in creatura è di bontate. Or questi, che dall’ infima lacuna Dell’ universo insin qui ha vedute 140 vite spiritali a una a una, 24 [p. 564 modifica]PARADiSO Supplica a te per grazia di virtute, Tanto che possa con gli occhi levarsi Più alto verso I’ ultima salute; E io, che mai per mio veder non arsi Più ch’ io fo per Io suo, tutti i miei prieghi Ti porgo, e prego che non sieno scarsi, 30 Perchè tu ogni nube gli disleghi Di sua mortalità coi prieghi tuoi, Sì che il sommo piacer gli si dispieghi. 33 Ancor ti prego, Regina, che puoi Ciò che tu vuoi, che tu conservi sani, Dopo tanto veder, gli affetti suoi. 36 Vinca tua guardia i movimenti umani: Vedi Beatrice con quanti Beati Per li miei prieghi ti chiudon le mani. 39 Gli occhi da Dio diletti e venerati Fisi nell’ orator ne dimostraro Quanto i devoti prieghi le son grati. 42 Indi allo eterno lume si drizzaro, Nel qual non si dee creder che s’ invii Per creatura 1’ occhio tanto chiaro: E io, che al fine di tutti i desìi Mi appropinquava, sì come io doveva, L’ ardor del desiderio in me finii. 48 Bernardo m’ accennava e sorrideva, Perch’ io guardassi in suso: ma io era Già per me stesso tal qual ci voleva; Chè la mia vista, venendo sincera, E più e più entrava per lo raggio Dell’ alta luce, che da sè è vera. 54

Da quinci innanzi il mio veder fu maggio [p. 565 modifica]

canto
XXX1II.

Che il parlar nostro che a tal vista cede, E cede la memoria a tanto oltraggio. S7 Quale è colui che sognando vede, E dopo il sogno la passLone impressa Rimane, e 1’ altro alla mente non riede; 60 CoLai son io, che quasi tutta cessa Mia visione, e ancor mi distilla Nel cor lo dolce che nacque da essa. 63 Così la neve al Soi si disigilla: Così al vento nelle fogii levi Si perdea la sentenza di Sibilla. 66 O somma luce, che tanto ti levi Dai concetti mortali, alla mia mente Ripresta un poco di quel che parevi; 69 E fa la lingua mia tanto possente, Che una favilla sol della tua gloria Possa lasciare alla futura gente; 72 Che per tornare alquanto a mia memoria, E per sonare un poco in questi versi, Più si conceperà di tua vittoria. 75 Io credo, per 1’ acume ch’ io soffersi Del vivo raggio, ch’ io sarei smarrito, Se gli occhi miei da lui fossero avversi: 78 E mi ricorda ch’ io fui più ardito Per questo a sostener tanto, ch’io giunsi L’ aspetto mio col valor infinito. 81 O abbondante grazia, ond’ io presunsi Ficcar lo viso per la luce eterna Tanto, che la veduta vi consunsi! 84 Nel suo profondo vidi, che s’ interna lega1o con amore in un volume [p. 566 modifica]PAIIADISO Ciò che per l’universo si squaderna, 87 Sustanza e accidente e br costume, Quasi conflati insieme per tal modo, Che ciò eh’ io dico è un semplice lume. 90 La forma universal di questo nodo Credo ch’io vidi, perchè più di largo, Dicendo questo, mi sento ch’io godo. 93 Un punto solo mi è maggior letargo, Che venticinque secoli alla impresa, Che fe’ Nettuno aminirar i’ ombra d’ Argo. 96 Così la mente mia tutta sospesa Mirava fisa immobile e attenta: E sempre di mirar faceasi accesa. 99 A quella luce colai si diventa, Che volgersi da lei per altro aspetto É impossibii che mai si consenta: 10 Però che il ben, eh’ è dei volere obbietto, Tutto s’ accoglie in lei, e fuor di quella É difettivo ciò ch’è lì perfetto. b0 Ornai sarà più corta mia favella Pure a quel eh’ io ricordo, che d’ infante, Che bagni ancor la lingua alla mammella; 108 Non perchè più che un semplice sembiantc Fosse nei vivo lume ch’io mirava, Che tale è sempre quale era davante, 111 Ma per la vista che si avvalorava In me, guardando, una sola parvenza, Mutandoini io, a me si travagliava. I1 Nella profonda e chiara sussistenza Dell’ alto lume parvemi tre giri

Di tre colori e (l’una contenenza: 117 [p. 567 modifica]

canto
XXXIII. 557

E l’un dall’altro, come In da In, Parea reflesso; e il terzo parea foco, Che quinci e quindi egualmente si spiri. 120 O quanto è corto il dire, e come fioco Al mio concetto!e questo a quel,ch’io vidi, È tanto, che non basta a dicer poco. 123 O luce eterna, che sola in te sidi, Sola t’intendi, e da te intelletta, E intendente te ami e arridi! 126 Quella circulazion, che sì concetta Pareva in te, come lume reflesso, Dagli occhi miei alquanto circospet(a, 129 Dentro da sè del suo colore stesso Mi parve pinta della nostra effige: Per che il mio viso in lei tutto era messo. 132 Qual è il geomètra che tutto si affige Per misurar lo cerchio, e non ritrova, Pensando, quel principio ond’ egli indige; 135 Tale era io a quella vista nuova: Veder voleva come si convenne L’ imago al cerchio, e come vi s’ indova: 138 Ma non eran da ciò le proprie penne; Se non che la mia mente fu percossa Da un fulgore, in che sua voglia venne. 141 All’alta fantasia qui mancò possa: Ma già volgeva il mio desiro e il velle, Sì come ruota che ugualmente è mossa,

L’Amor che move il Sole e l’altre stelle. 145 [p. 568 modifica]

paradiso

COMMENTO DI BENVENUTO In quattro parti dividesi il canto finale. Nella prima, preghiera di san Bernardo alla Vergine Maria Nella seconda, per intercessione di lei Dante giunge alla Visione del sommo bene. Nella terza, prega il Poeta di potere manifestare alcun poco della di lui gloria. Nella quarta, scorge la umanità nella divinità. Dante finge che san Bernardo improvvisi questa Orazione, ma era stata composta prima che Dante nascesse. Virgine madre perchè fu madre non per opera d’ uomo, ma di un Dio figlia del tuo figlio figlia dell’ eterno Padre ch’ è la stessa cosa di Cristo figlio quanto alla divinità humile et alta umile per costumi e vita, e disse all’ angelo annunziatore — eCCO la serva del Signore — alta poi perché la madre di Dio è regina dell’empireo termino fizo d eterno consiglio prescelta da Dio per madre del Verbo divino prima della creazione del mondo. tu sei colei che nobilitasti si 1 humana natura tu sei quella che tanto sublimasti 1’ umana natura che i suo factore non disdegno di farsi sua factura che Dio creatore dell’ umana natura non isdegnò farsi uomo vestendo umana carne. Maria fu mediatrice tra Dio e I’ uomo; e chi l’avea creata, Dio non isdegnò di essere partorito da lei. L amore lo Spirito Santo per lo cui caldo per la cui virtù questo fiore e così germinato questa rosa è così germogliata ne la eterna pace nell’empireo, giacchè qui sono gli apostoli, i martiri, i confessori, i profeti, i patriarchi, e gli antichi padri ch’ erano nel limbo si racese nel ventre tuo si ravvivò nel ventre tuo. Prima della venuta di Cristo niun beato aveva qui sede; ma gli angeli soli spiegavano le ali in quell’immenso luogo; ma tu, o Maria, congiungendo 1’ urnaDigitized

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canto
XXXIII.

nità colla divinità, e nobilitando i’ umana natura, riconducesti gli esuli nella patria celeste, e riempisti l’empireo. Tu sei a noi meridiana face di canta tu sei a noi beati in questo luogo luce di meriggio di carità e se giuso intra i mortali e giù nel mondo fontana vivace di speranza fonte inessicabile di speranza. Donna tu se tanto grande e tanto vali o Maria, hai tanto impero e potere che qualche chiunque brama di ottener grazia da Dio et a le non ricorre e non ti prega ad essere mediatrice sua disianza vuoi volar senz’ ali il suo desiderio non sarà mai compiuto. la tua benignita non pur succorre a chi dimanda la tua benignità e misericordia non solo prestano soccorso a chi le implora ma molte flateprecorre liberamente al dimandare ma molte volte precedono la domanda: in te si aduna misericordia in te pielate, in te magnificenza in te quantunque di bontate e ‘in creatura in te compassione, in te pietà, in te magnificenza, in te si trova qualunque virtù può trovarsi in creatura. Così è in te la verginità della sfera della luna, l’attività di quei di Mercurio, la benignità di quelli di Venere, la sapienza di quei del sole, la fortezza di quei di Marte, la giustizia di quei di Giove, la contemplazione di quei di Saturno: in te l’ardore de’serafini, io splendore de cherubini: in te l’amabilità di Rachele, la sapienza di Rebecca, la fedeltà di Sara: tu puoi, tu sai, tu vorrai esaudire Dante che ti prega — puoi, perché regina - — sai, perché sapientissima, avendo portata in te l’increata sapienza — vorrai, perché clementissima. Or questi che dal infima lacuna del Universo ora questo Poeta che dal basso centro della valle infernale in/in qui ha vedute le vite spirilali ad una ad una ha veduto fin qui Io stato degli spiriti ad uno ad uno supplica a te per gratia di virtule tanto che possa con gli occhi levarsi più alto verDigitized by Google [p. 570 modifica]l6O PARADiSO so i ultima salute ti supplica di essere graziato di virtu tale ch’ei possa levarsi con gli occhi fino a Dio che è il fine di ogni salute e beatitudine. EI io che mai per mio veder non arsi piu eh io fo per lo suo ed io che mai non desiderai di vedere per me più di quello che vorrei eh’ ci vedesse ti porgo tutti i miei preghi e prego che non siano scarsi ti prego con tutto il cuore, e vorrei che il mio pregare non fosse inefficace perche tu li sleghi ogni nube di morlalita peràhè tu gli sperda ogni nube di umanità con i preghi tuoi a tuo Figlio si che il sommo piacer li si dispieghi sì che Dio a lui per grazia si mostri. ancor li prega regina che poi ciò che tu voli o regina, che puoi quanto vuoi, ti prega ancora che tu conservi sani, dopo tanto veder gli a/fedi suoi che tutti i suài affetti, dopo tanta contemplazione, siano per tuo mezzo rivolti al vero bene, e quest’ opera ottenga lo scopo di allontanare dai vizi, e di richiamare a virtù: tua guardia vinca i movimenti humani la tua protezione vinca ogni umana vicenda e vedi Beatrice con quanti beati per li miei prieghi ti chiodon le mani e vedi che ancor Beatrice, che gli fu guida sino a questo punto, e tanti altri beati insieme con me, t’implorano in di lui aiuto, e ti pregano. Gli occhi di Maria dilecti et venerati da Dio cari a Dio, e che tanto rispetta, perchè sublimò come Dio la donna, come signore la serva, come padrone la schiava all’apice di ogni dignità fissi nei oratore fissi in san Bernardo, veramente oratore o per lo stile, o per la verace eloquenza, o per l’ardenza dell’affetto ne dimostraro quanto i devoti preghi li son grati mostrarono quanto tal prieghi le erano grati ed accetti: indi a I eterno lume s ad,’izzaro poscia si volsero al Sole eterno nei qual non si dee credere che svii per creatura i oeDigitized

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canto XXXIII. 561

chio cotanto chiaro nel qual sole non può l′occhio umano arrivare molt’oltre, nè mai tanto quanto la Vergine Maria.

Et io che al fine di tutti desii appropinquava ed io che mi avvicinava a veder Dio, in cui si quietano tutti i desideri ed i voti finii l ardor dei desiderio si com io doveva prossimo al fine di tutte le cose non doveva, o poteva altro desiderare. Bernardo mi accennava e sorridea perch io guardassi suso san Bernardo sorridendo per la grazia ch’io aveva ricevuta di giungere a tanta altezza, mi faceva cenno acciocchè alzassi gli occhi a Dio ma io era gia piu steso tal quale el votea ma io li aveva già alzati siccome egli voleva che la mia vista venendo sincera e piu e piu intrava per lo raggio de la luce alta che e vera da se perciocchè la mia vista diventando pura e chiara a mano a mano che cresceva per la divina grazia infusami, penetrava nella immensa luce divina, che ha la verità di sua esistenza in sè medesima. il mio veder fu maggior da quinci innanzi la mia vista quindi si fece più acuta sempre che l mio parlare dimostra che a tal vista cede del mio discorso che non può arrivare a tal vista e cede la memoria a tanto oltraggio e la memoria cede a tanto soperchio, ossia la memoria è superata dalla grandezza ed altezza della cosa ch’io vidi. L’ uomo può intendere di più di quanto possa dire o ricordare di Dio, perche appressandosi ai suo desir nostro intellecto si profunda tanto che detro la memoria non po ire come fu detto altra volta.

Io son cotal rammentando quelle cose quale colui che vede sognando come chi le ha viste in sogno e la passione impressa rimane dopo il sogno e conserva dopo il sonno la impressione del sogno e l altro a la mente non rede ma la specialità delle cose sognate non torna alla memoria che quasi tutta cessa mia visione perchè mancata quasi in-

RAMBALDIVol. 3. 36
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teramente la mia visione ancora mi distilla nel cor lo dolce che nacque da essa e non pertanto sento ancora nel cuore la dolcezza che da lei mi venne: cosi la neve al sol si disigiLla così la neve si scioglie perdendo la sua forma: cosi al venhii ne le foglie levi si perdea la sententia di Sibilla. Narra Virgilio che la Sibilla Cumana scriveva i suoi oracoli nelle foglie, le quali tosto disordinavansi e sperdevansi dal vento. Enea prima di discendere all’inferno interrogò la Sibilla di Cuma che aveva un tempio, i cui avanzi anche oggi si trovano presso la stessa città di Cuma diruta e sepolta, non molto lungi da Napoli. Le Sibille furono molte, e si fa menzione dagli scrittori almeno di dieci. L’ Eritrea profetizzò la nascita di Gesù Cristo in alcuni carmi commentati da sant’Agostino, e dai quali si raccolgono queste parole — Gesù Cristo Salvatore. Anche la stessa Sibilla Cumana predisse la venuta di Cristo, come si ha nel primo canto dell’inferno. O somma luce che tanto ti levi da concepti mortali o somma luce, che tanto ti alzi dai concetti mortali a la mia mente ripresta un poco di quel che parevi deh torna alla mia memoria un poco di quanto m’apparivi, allorchè io ti rimirava! e fa la lingua mia tanto possente e rendimi tanto p0- tente nei carmi che una favilla sola de la tua gloria possa lasciare a la futura gene che possa tramandare alla posterità un piccolo raggio di tua gloria col descriverlo che per tornare alquanto a mia memoria e per sonare un poco in questi versi piu si concepera di tua vittoria perché alcun poco ravvivata la mia memoria, più potrò narrare ad altrui, e più nche apprenderanno gli altri di questo regno. Io credo per I acume eh io soffersi del vivo raggio eh io sarei smarrito se gli occhi miei da lui fossero aversi io credo che per l’acume del vivo raggio divino mi fossi smarDigitized

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canto
XXXIII. 63

rito, se gli occhi miei si fossero rivolti altrove — secondo il detto del Profeta — allontana gli occhi miei ecc. Nota la differenza fra la vista umana e divina; imperocchè 1’ occhio umano non può vedere l’eccellente sensibile, e veggendolo si rende incapace di vedere altri minori sensibili lumi: all’ incontro l’occhio spirituale, l’intelletto, o vuoi l’occhio beato e divino, scorgendo il sommo splendore dell’eterno sole si rinforza, e si fa capace di maggiormente sostenere i lumi inferiori. io mi ricordo ch io fui piu ardito per questo a sostenere tanto eh io giunsi I aspecto mio col volere infinito e mi ricordo che per questo fui più ardito a sostenere esso lume, tanto, che congiunsi i miei occhi con Dio, cioè vidi nella sua essenza. oh habundante gratia ond io presunsi o somma grazia, per la quale fui tanto ardito ficar lo viso per la luce eterna piantar lo sguardo nell’ eterno sole tanto che la veduta vi consunsi tanto che la mia vista, sebbene acuta si esaurì, e si perdette nell’infinito! Io vidi nel suo profondo cio che s interna ligato con amore in un volume, che si squaterna per lo universo io vidi legato in un sol volume che contiene le idee eterne, tipi di tutto ciò, che si manifesta diffuso per 1’ universo. In esso volume sono in presenza tutte le cose future. substantie tutto ciò che per sè sussiste et accidenti tutto ciò che tiene sua sussistenza da altra cosa che potrebbe essere e non essere e br costume e loro proprietà o modi di agire quasi con/lati insieme per tal modo che cio ch io dico ee un semplice lume quasi uniti insieme in tale maniera, che quanto io dico non è che un cenno, e non descrizione: la forma universaldiquesto nodo 1’ essenza divina che produce ed annoda le dette cose credo chio vidicredo di aver veduto, e dice dubitativamente,

perchè aveva ancor l’occhio umano perche dicendo [p. 574 modifica]64

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questo mi sento eh io godo piu di largo perché dicendo queste cose, sento che più largamente godo, e mi si espande il cuore a maggiore letizia. — Alcuni leggono perche dicendo questo piu di largo parlando così largamene ecc. e questo pare più della mente di Dante. un punto solo in e maggior letargo che venticinque seculi a 1 impresa che fe Neptuno ammirar i ombra d Argo un punto solo del tempo scorso dalla mia visione mi porta maggiore oblio, che non apportarono son già venticinque secoli, gli Argonauti per l’impresa del Vello d’oro a Nettunno, il quale fu preso da maraviglia scorgendo la prima nave che solcava quel mare. — Erano scorsi venticinque secoli da quell’impresa al punto in cui Dante scriveva. La mente mia tutta sospesa mirava fiza immobile ti attenta così la mia mente tutta stupefatta fisarnente mirava con immobilià ed attenzione e sempre di mirare faceasi accesa e sempre più le crescea l’ansia di guardare: aquellaluce cotai si diventa che per altro aspetto volgersi da lei ee impossibile che mai si consenta visto che tu abbi una volta in Dio, rimani tale che ti è impossibile volgere altrove lo sguardo pero che il bene eh e del vedere obiecto tutto s accoglie in lei e fuor di quella e defectivo cio che e li perfetto imperocchè il bene che è l’oggetto della volontà tuttosi riunisce in quella vista, e fuori di lei non è altro vero bene. Ornai sara piu corta mia favella pur a quello eh io i-icordo ornai il mio parlare, per lo scarso mio rammentarmi, sarà più corto che d un fante che bagna ancor la lingua a la ma nelladi quello che fanciullino lattante, il quaIecomin cia a parlare non perche piu che un semplice sembiante fosse nel Volume eh io mirava che tale ce sempre qual sera davante

ma per la vista che s avvalorava in me guardando [p. 575 modifica]

canto
XXXIII.

unti sola parvenza mutandom io a me si travagliava non perchè nel vivo lume, cioè in Dio, fosse varietà di aspetti, ma perchè la mia vista, avvalorandosi nel mirare in lui una medesima sembianza si cangiava rispetto a me, cioè si trasmutava in meglio al mutarsi della mia virtù visiva. Ne la profunda e chiara sussistenza de I alto lume nell, essenza del sommo splendore parveni tre giri mi apparve la figura della Trinità in tre giri di tre colori e duna contenenza di tre colori e di una sola misura e lun da laltro come In da In panca reflexo e 1’ un cerchio o giro colorato parea proveniente dall’altro come Iride da Iride e 1 terzo parea foco che quinci e quindi egualmente spiri ed il terzo — lo Spirito Santo, — pareva fuoco che in ogni luogo o parte spirasse amore, o che spirava dall’ uno e dall’ altro dei due giri, o quanto e corto il dire e come fioco al mio concepto! oh quanto è scarso in me il potere della parola, e come debole ad esprimere il mio concetto! e questo a quello eh io vidi ee tanto poco che non basta a dicere poco e questo ch’ io uso, questo mio linguaggio a petto di quanto vidi è così scarso, che la parola non basta ad esprimere con proprietà questa scarsezza. Dante è prudentissimo nel trattare la Trinità per non somigliare il fanciullo che tentava con un cucchiaio di vuotare il mare. o luce eterna che sola in te sidi o eterna luce, che sola in te riposi! sola te intendi t’intendi da te sola e da te intellecta et intendente te a me arridi e da te intesa ami e gioisci di essere sola intendente te stessa. quella cinculation che si concepta pareva in te come lume reflexo dagli occhi miei alquanto eircumspecta dentro da se del suo colore stesso mi parve pineta e figurata di la nostra effige quello de’ tuoi giri, che pareva procedere da te, come il raggio riflesso procede dal raggio diretto, alquanto intorno guardato dagli occhi miei,parDigitized

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paradiso

vemi in sé stesso, col proprio colore dipinto della umana effiie perche i mio viso in lei tanto era messo là onde la mia vista tutta intera era fissa alla detta circolazione, o colore della Divinità. Quale il geometra che tutto s affige come il geometra che ferma la mente a considerare per misurare lo cerchio e non ritrova quello principio ond clii indige per cercare la quadratura del circolo, o per cercare se vi sia un’area di quadrato uguale ad un dato circolo, o quella verità o quel principio cli cui abbisogna tale era io a quella vista nuova era tale io a quella vista in Dio: veder voleva come si convenne lirnago al cerchio e come vi s indova io voleva comprendere come al detto secondo giro si conviene 1’ effigie umana, cioè come alla seconda persona ch’ è il Verbo, si convìene la Natura umana, e come essa Natura umana accomodatamenie, e quasi nel proprio suo dove si riponga. ma non eran da cio le proprie penne ma 1’ intendimento mio non aveva tanto valore; se non che la mia mente fu percossa da un fulgore, in che sua voglia venne se non che la mente mia fu percossa da uno splendore mosso dalla grazia divina, allume del quale avvenne quanto la mia mente bramava. A i alta phantasia qui manca possa qui mancano l’ali alla mia fantasia; ma gia volgea il mio disio e I velie si co- me rota che egualmente e mossa lo amore che move il Sole e laitre stelle ma l’amore che muove il sole e l’altre stelle, cioè Iddio volgeva il mio desiderio ed il mio volere concordemente al volere di lui, sì come ruota che in ogni sua parte egualmente è mossa, congiungendo il principio col fine; imperocchè dal principio al fine Dante intese di arrivare all’ultimo di tutti i beni, all’ultima felicità, cui ci faccia giungere Colui, che degnò di tanta grazia il nostro Poeta, perché haitcndo strada di onore, di gloria e di eternità vi pervenisse. [p. 577 modifica]1M1CE Proemiale . Pag. . ARGOMENTI DI GASPARO GOZZ1


canto
I.

Al primo ciel dove gioia s’inizia, Che più non manca, il cantor nostro sale, E con Beatrice trae maggior letizia: A cui chied’ ei come in suo corpo vale A salir colassuso: ella risponde, Che per ascender quivi mette I’ ale Buon voler che al voler di Dio risponde.


canto
Il.

La prima stella, che lo del alluma, Accoglie Dante, cui qual alma sgombra Dello suo frale, buon desiro impiuma. Chiede a Beatrice che cagioni t’ombra In quella face, sì che sembri a nui Così quaggiù di vari segni ingombra; Ed essa la ragion ne rende a lui. 55 [p. 578 modifica]68 INIJICE


canto
lii.

Quelle, che d’esser verginette e pure Avean promesso con br voto a Dio, Ma poi da forza altrui non fur sicure, Benchè serbasser cuor pudico e pio, MosLran quassuso loro eterna pace, E mercè giusta di santo desio; Tal condizion Piccarda nota face.


canto
IV.

Perchè a senso morta! meglio s’ esprima Il maggior grado di gloria o minore, Che han l’alme dell’empireo su la cima; Di cerchio in cerchio all’occhio dell’Autore Divise, mentr’ei va, veder si fanno, A cui scioglie la mente d’altro errore La bella guida, che toglie ogn’ inganno. 70


canto
V.

L’alto legame, onde lo voto stringe, Qui si palesa: indi al secondo cielo Ignota forza il buon vate sospinge. Dove con puro e luminoso velo Vede molt’ alme vestite e contente, Otide una piena d’amichevol zelo Di quel che brama chiarir lui consente. ‘ 88


canto
VI.

Giustiniario Imperador favella, E qual ci fosse già nel morte! suolo, E storia di sue leggi rinnovella. Poi dell’imperiale aquila il volo Vittorìoso seguendo descrive; E che in sua stella risplende Io stuolo Dell’anime che fur nel mondo attive. • 104 Digitized by Googie

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INDICE 5G‘)

CANTO Vll.

Di nostra redenzion Beatrice spiega
Cose, che sono nella mente in forse
Di lui , cui freno di carne ancor lega ,
Poiché il mal serne d'Animo si torse
Dalla via vera per l’ ingiusto dente,
Che le'eu0 danno quando il melo morse,
E perchè il corpo un di lìa eternamente. - H2

CANTO Vlll.

Tu rioevi ambedue, Venere stella,
Lo cui nome nel mondo è si profano,
E coslà Palme con sua gloria abbella.
Carlo Martello in quel luogo sovrano
Parla, e dichiara in fin come pur puole
Germoglio peggiorar di ceppo umano
Per colpe nostra, e non di quelle ruolc. - 158

CANTO ix. ,

Cuniua suora LPRnclino i danni
Di varie terre annunzia , e gli conferma,
Che su nel cielo vede i loro elîanni.
Ed inlanlo la luce ivi si ferma
Di Folco da Marsiglia, che de'ma|i
Firenze accusa, dì sue colpe inferma;
Poi d’ira altrove rizu i giusli strali. . 178

CANTO X

Al quarto cielo, ove lo reggia sorge,
Onde sìggiorna qui l' aiuola nostra,
Lieve il Poeta va, che non s’ accorge.
Fra molli lumi al suo viso si mostra
Tommas d‘ Aquino, che d’ allri {ulgori
Gli dà conlezzn, che in si chiara chionlra
A lui fan cerchio irraggiando di fuori. - Mm

[p. 580 modifica]7O INI)ICE


canto
Xl.

Nel puro cerchio dell’alme scintille Segue Tommaso in sua lieta favella, Poicbè rifulse di nuove faville. La vita di Francesco poverella A Dante narra, e qiial d’ ogni altra spos.i Pur Povertade a lui parva più bella, Che sembra ad occhio umano orribil cosa. • 213


canto
XII.

Volgesi intorno alla ruota primiera Nova ghirlanda, che per grata cura Viva sfavilla entro s’i bella sfera. Quivi la vita di Bonaventura Narra di san Domenico qual fosse, E quella guerra, onde con fede pura Entro agli sterpi eretici percosse.


canto
XIII.

Spiega Tommaso, che s’ el disse prima Che il quinto spirto non ebbe secondo, Altrui colai sentenza non adima. indi ammaestra, che nel cupo fondo O’ incerti dubbi a giudicar sia lento Uom, fin che vive giìi nel cieco mondo, In cui s’inganna umano accorgimento. • 44


canto
X1V.

Ode il Poeta che la chiara luce. Ch’ ivi circonda gli spirti beati, Tal sarà sempre avanti al sommo Duce: Poi Beatrice e Dante son traslati Al quinto cielo, in cui divino segno Forman di croce raggi costellati, E Cristo ingemma il prezioso legno. • 259 [p. 581 modifica]iNDICE ?7I


canto
XV.

Un beato astro della croce sanLa Si move, dentro al cui vivo fulgore Di Cacciaguida l’anima s’ammanLa. E ardeudo in dolce favilla d’amore, Ch’ei fu tritavo suo a Dante dice, E che pugnando pien di santo ardore Per la Fede ivi salse, e fu felice. �73


canto
XVI.

Quando pria giunse nell’ umana vita Racconta Cacciaguida, e di che genti Fu la famiglia sua prima fornita. E le più chiare schiatte de’ valenti Loda, e rammenta l’antica virtute, Onde a Firenze i cittadin possenti Serbavano il riposo e la saluLe. ‘


canto
XVII.

Lo buon congiunto a Dante dà contezza Dello suo esilio, e quanto gli dichiara Dcc sofl’erirne strazio ed acnarezia; Indi lo sprona, che quant’ ivi impara, E quanto vide negli altri due regni Senza temer, con penna ardita e chiara Liberamente in carte verghi e segni. 311


canto
XV III.

Sale il PoeLa al sesto ciclo; scorge Schiera, che luminosa roteando Varie figure di parole porge: In cui legge, che qui vissero amando Santa Giustizia, ed or beati sono Nel cielo, e questo van significando Nel tìg’irato br tacito suono. 317

$ / INDICE [p. 582 modifica]

canto
X1X.

Molte bell’alme insieme collegate Forman l’aguglia, onde il Poeta apprendc Quel che indarno volea molte tìate. Il benedetto rostro poi riprende Li re malvagi, entro al cui sen Giustizia La sua pura facella non accende; Sicchè il mondo paLio di br nequizia.


canto
XX.

Di sommi regi, che Giustizia amaro, Molti commenda I’ aquila celeste, Percbè più appaia il mal dal suo contraro. Poi d’ un velame d’ alto dubbio svestc Lo buon Poeta con divini detti Il divo uccello; e cose manifeste Fa, che son cupe a’ mortali intelletti. • 358


canto
XXI.

Spiriti contemplanti nel pianeta, Che feo con sua virtù l’età dell’oro, Dante ritrova nella vita lieta. Scende per una scala il santo coro, Che dalla stella fino al cielo sorge, E Pier Damiano parlando fra loro Rispo.,ta al chieder del Poeta sorge.


canto
XXII.

Di Benedetto la celeste vita Cbius in sua luce narra come al pio CulLo già trasse assai gente smarrita. A lui palesa Dante il suo desio Di lui veder fuor de’ suoi raggi belli, EI gliel prometto più dtppresso a Dio. Intanto sale agli eterni Gemelli. [p. 583 modifica]INDICE


canto
XXIII.

Vede la sapienza e la possanza, Ch’ apre le strade fra ‘I cielo e la terra, In un fulgor che tutti gli altri avanza; E quella Rosa mistica, che guerra Fe’ col suo parto al più empio nemico, Sicchè l’uscio del del ne si disserra, Poicbè pagato fu il peccato antico. 405


canto
XXIV.

Lo buon Pastor, cui del cristiano gregge Cristo il governo già da prima diede, E l’alte chiavi e la divina legge: Fattosi innanzi, allo Poeta chiede, Per farne con esame sperienza, Quai sieno i fondamenti di sua Fede; EI gli risponde, e vera è sua credenza. 419


canto
XXV.

Quegli, per cui Galizia ancor s’ onora, Ed or è lume nella pura stanza Fra quei che un solo oggetto sì innamora, Chiede tre cose intorno alla Speranza, Una Beatrice, due ne scioglie Dante: Giovanni Evangelista indi s’avanza Fra I’ altre due facelle eterne e sante. 435


canto
XXVI.

Ch’egli ama Dio Dante a Giovanni spiega, E che a ciò il trasse intelligenza e fede, Onde conobbe il ben che l’alme lega. Poi vestito di luce Adamo vede, Lo quale brevemente soddisface A quanto ci col desiro in suo cor chiede, Poichè si legge là quanto altri tace. 449 [p. 584 modifica]iNDICE


canto
XXVII.

Contra i pastor non buoni arde di sdegno Degli Apostoli il primo, e si rammarca, Che mal s’ occupi il suo loco sì degno. Ed ecco che il Poeta intanto varca Al nono cielo lucido e felice, Qual natura e virtù fra gli altri il marca Lì pienamente a lui spiega Beatrice. • 463


canto
XXVIII.

Quale ad occhio mortal divina essenza Mostrar si puote, in un punto di Luce Appare a Dante, ond’ei n’ha conoscenza. Intorno intorno Amor sempre conduce Nove lucidi cerchi innamorati AI primo punto, che di tutto è Duce; E cori sono d’angeli beati. ‘ 478


canto
XXIX.

Nella divina maestate intende i dubbj del Poeta la sua Guida, E gliene spiega sì, che gli comprende. Poi contra i falsi teologi grida E contra gli orator sacri, che ciance E motti dicon aol perchè si rida; Tal che non suona il ver nelle br guance. • 49


canto
XXX.

Nell’empireo ciel vedesi lume Fra due rive fonte: alte faville Vengono e vanno a sì mirabil fiume. Poscia il Poeta aguzza sue pupille, E allor ved’ esser gli angeli e i beati Quei che paneano veloci scintille, E fulgor puri agli occhi appresentanti. ‘ 50S [p. 585 modifica]INDICE


canto
XXXI.

La forma generai di Paradiso Dante comprende con inteso sguardo. Sale Beatrice al seggio a lei preciso. Intanto verso lui viene non tardo Della Regina Vergine beata A dimostrargli il gaudio san Bernardo, Anima di lei sempre innamorata. * 52


canto
XXXII.

Qui vedi il Fior, che il sommo fruLLo diede, Onde s’ aperse il cielo a noi mortali, Ove l’alma di qua sciolta sen riede. Vicino al vago fior dispiega l’ali L’angiol che nunzio fu di tanta pace; E lodan mille spiriti immortali L’alta Reina del regno verace. 57


canto
XXXIII.

La ista del Poeta è ornai sincera Sì, che più oltre fa sempre viaggio Nell’alta luce, che da se è vera. Ma ben s’vvede, che intelletto saggio Veste non trova d’umane favelle, Onde ridir di quaL risplenda raggio L’Anior, che muove il sole e l’altre stelle. *

. [p. 587 modifica]ANNOTAZIONE UNICA Per tutta giusilficazione di quanto fu detto nella Illustrazione delta vita ed opere di Ben’en’sto, e per essere certi del merito del Commento volL.to in italiano, si riportano le parole scritte dal non mai bastante— mente lodato Lodovico Antonio Muratori.— 7’. I. Antiquitates itali— cae medii un’i— e specialmente nell’ — Excerpta Historica ex Cornmentariis manuscriptis Be,wentUi de Imola in Dantis Comoediam desurnpta cx Codice manuscripto Bibliothecae Estensis. Qui mores hominum, qui ritus in- Italia viguerint dum barbarica Saecula fluebant, mihi potissimum in hoc opere investigandum proposui. Nullo autem ex libro tantum lucis in ejusmodi inquisitione sperare possis, quantum ex insigni Dan tis Aldigherii Poemate, sive Comoedia Italica scripta ante annos quadringentos et ultra. Verum quae ibi metro conclusa sunt, atque ad iIIius temporis homines eL res gestas pertinent, ita interdum tenebris cii’ cumclusa se exhibent nobis, tam sero natis, ut nisi Interpretes opem ferant, coecutiamus ad non pauca necesse sit. Neque desunt qui amplissimis Commentariis jamdiu se contulere ad illustrandum nobile philosophi hujus Poetae opus: videlicet Bernardi,ìus Daniellus, Chrisiopharus Landinus, e! Alezander Vellutellus, eoruiuque libri non semel ex oflìcinis typographicis publicum in diem prodiere. Alios ante — Voi. 3. 37

$78 [p. 588 modifica]ANOTAZ1ONE se codein mrnere funcios ideni Landinus in Praefatione commemoral. Plures etiam, atque adeo omnes Dantis interpretes recensuit clar. V. Apostolus Zenus Tom. VI Diarii Lileralor. Ilal.pag. 183. Praeterea circurMertur Commentarius italicus in ejusdem Aldigherii Poema anno Christi MCCCCLXXVII typisVendelini Spirensis Venetiis impressus et Ben- venuto Imolensi tributus: cuius etiam auctoritate non semel usi sunt Academici Cruscani in Vocabulario Italicae Linguae. Ai jamdudum praesenseruni eruditi viri , falso ululo quaesiium fuisse honorem ejusmodi Commentario, quippe cujus minime aucior fui! Benvenulus, sed alter, qui fortassis ex Benvenuti labore profecit. Porro illud certissimum est, Benvenutum reliquisse posi se amplissimum laiinum Commentarium in universum Danhis Poema; ejusque exemplum in membranis scriptum adservari in Estensi Bibliotheca, uti et in Ambrosiana et Floren— tina. Alibi quoque reperiri mihi persuasum est. Praeterea dubitari vix potest, quin Benvenutus, uli ceieris Daniis Inierpreuibus antiquilate ila el erudilione praeiverit. Immo quae nuper laudati Scriptores congessere, UI Aldigheriano Poemati lucem adferrent, omnia fere delibata fuere cx ejusdem Benvenuti Commenlariis Mslis, quamquam faienlem neminem habeamus, se illius scrinia expilasse. Neque Benvenuto difficile fuit explicare, quae [p. 589 modifica]ANNOTAZIONE 79 oIim videbantur eoque magis videri abstrusa possuni temporibus nostris in Poemate Dantis. Is enim in eodem saeculo floruil quo el ipse Dantes. Patria liii fuli Forum Cornelii, nunc Imola. Pater Magnus Compagnus, qui in ea Urbe, legii tam laudabiliter, quam utiliter juxta habitationem Liti de Alidosiis. Fortassis illius pater appellatus, notusque fuit cx agnomine Magna Compagno; nam familia de Rambaldis Benvenuto tribuitur. Philosophiae aliisque ar— tibus ci scientiis operam dedit praesertim Bononiae, ubi ipse testatur se per decennium fuisse versatum. Historiae vero potissimum studuit, cujus etiam specimen ad posteros transmisit; hoc est, Libellum, Augustali titulo donatum, quod Romanorum Caesarum catalogum , et vitae compendium complectatur usque ad Vincislaum suo tempore regnantem. Singulari studio colebai Benvenutus Principes Atestinos Ferrariae ac Mutinae dominantes; inter quorum praerogativas Literarum ac Literatorum amor postrema numquam fuit: ac propterea NicoIao Il Marchioni Opusculum hoc dicatum voluit. Illud autem manu exaratum servat non tantumEstensis, sed ci Ambrosiana Bibliotheca cum hocce ululo: Augustalis Libellus Clarissimi Historici Benvenuti de Rambaldis de Imola ad nobilissimum illustrem Mar. chi onem Ferrariae, Kalendis Januarii novo advenlante anno t’Jhristi MCCCLXXXVI a lulio tiaesare [p. 590 modifica]X() ANOTAZIONE (Ui J’?nrislaìnn usqzie !rnperaiorern Caroli flhium, Angustorurn vitarn breviler scribil. Editionem FreIieria nam con tuli ego cum Estensi Codice el in muhis vitiatam aut mancam experi. Quare Opusculum ipsurn suae restitutum integritali, inter scriplores rerum Italicarurn rursus evulgare decreverarn. At quandoquidem non unani habemus ejusdem editionem ac praeterea nullum aut exiguum emolunìenturn erudito homini inde sperandurn est, consilium hoc tandem abjeci. Porro ex dictisjam habes, quo ternpore Benvenutus floruerit, hoc est anno Christi MCCCLXXXVI. Sed longe antea eius fama increbuerat, atque haec illi peperit arclam animi conjunclionem cum Francisco Peirarcha, celeberrimo aevi sui viro, quem constat e vivis sublaium anno MCCCLXXIV. Vide ejusdem Petrarchae Epistolam XI Lib. 14 11cr. Senilium scriptam Benvenuto Imolensi Rhetori suo, ubi de Poetis probis et improbis disputat. Is eliam Canto XVIII Infer. auctor est, ad Romanum Jubileum se fuisse profectum anno MCCCL Quod tamen prae ceteris animadvertendurn est, singulari familiaritate conjunclus fui! Benvenuius no— sler cum loanne Boccaccio, clarissimo scriplore saeculi XIV cui lantum debet Italica Lingua. Hunc ille magistrum suum appellare con suevit. Ad Cani Imfer. ail: Thtm .semei poriarelur quidam Pardus per ci— [p. 591 modifica]ANNOTAZ1ONE 8I vì!alem Florentiae pueri currentes clarnabani: vide Lonzarn, ul rnihi narrabai suavissimus Boccaccius de Certaldo. Sed praecipue de illo nientionem facit ad Cant. XVI vcrs. 46. Parad. in haec verba scribens — Temporibus rnodernis /loruil Boccaccius de £er— (aldo, qui suavitale suae sapienhiae e! eloqueniiae, reddidil ipsum loeum Certaldi celebrern e! [amosum. Hic siquidern Ioannes Boccaccius, verius Buc— ca Aurea, venerabilis praecepior rneus, diligentissi— mus cullor ci [arniliarissirnus nostri Aucioris, ibi pulchra opera edidil. Praecipue edidi! unurn librum magnurn e! uiilem de Casibus virorum illus!rium. Item Libellum de mulieribus claris. 11cm Librum de fluminibus el Librum Bucolicorurn ecc. Quum tradit Benvenutus, Boccacciurn fuisse diligmlissimum culiorem, e! familiarissimum nostri Auc!oris, idest Dantis, ne puta, inter eosdem intercessisse amiciiiam aut studiorum communionem. Boccaccius enim natus dicitur anno Christi MCCCXIII. Dantes vero anno MCCCXXI naturae debitum solvit, ac propterea puer ne illum quidem vidisse aut audisse potuit, et praecipue exulem, eL Ravennae sedentem, ubi vitam cim morte commutavit. Itaque hisce verbis tantuinmodo Boccaccius multurn Operae posuisse dicitur in legenda eL explicanda Dantis Comoedia. Iinmo el in eain scribere Coniinentarium aggressus fiierai , quem aineii ultra pri— [p. 592 modifica]ANNOTAZIONE muin Cantum inininie produxit. Tanto autem praeceptore el amico usus Benvenutus, nil mirum si supra ceteros posi se natos aptus fuji ad interpre-. tanda plurima, quae Dantes brevibu innuil, el luce indigebant. Ad quod opus etiam adhibuit Interpres eruditus, quotquot potuil, el libros. Porro Commentarii hactenus memorati, quorum auctor Benvenutus Imolensis, manuscripti in membranis in fol. adservantur in Bibliotheea Serenissimi Ducis Mutinae. In calce legitur: Eiplicit conimenlum Magistri Benvenuti de Imola super Dantem Allegherii de Florentia, MCCCCVIII ultimo Atgjusti. Haec tempus indicant, quo librarius ad umbilicum perduxit librum, spissum sane Opus, quod perpetua interpretatione textum Dantis prosequatur. In- de verbo excerpsi, quae nunc publici juris facio. Ei cur non integrum librum? quisquam pelai. Insiituti profecio mei non erai lectoribus propinare heietam immanem copiam rerum Grammaticaliurn, CL Fabularum Ethnicarum , sive 101 Romanae aul Grecae Historiae monumenta jam nota, quibus Benvenuti Opus abundat. Qui haec omnia sull, el gratiam universae reipublicae Literariae initurum se sperai, edito integro Scriptoris hujus Commentario, provinciam hanc aggrediatur, quam ei liberam Iubens relinquo. Mihi placuit, ea tantummodo seligere, quae, ad mores, ad ritus, ad historiarn Saeculi praeDigitized by Google [p. 593 modifica]ANNOTAZIONE 83 sertim declini lertii, eL subsequentis pertineni apud Benvenutum, eL ea Lectorum oculis unico veluti obtutu consideranda exhibere, upote quae oblectationem parere posse legentibus niihi creduntur, et certe usui non mediocri esse possunt amatori- bus barbaricae eruditionis. Simul autem ex hoc specimine palani fiet, quod sentiendum sii de receniioribus Daniis Interpretibus, qui aul ex pennis Benvenuti, dissimulato ejus nomine, sibi laudem quaesierunt, aul ejus luce destituli, sumpserunt illustrandam egregii Poetae Comoediam. Denique satis haec erunt, ut intelligas, quare Leander Albertus ordinis Praedicatorum, in Italiae descriptione, ubi de Imola verba facit, inter illustres illius Urbis scriptores appellarit. — Benvenuto dignissimo filosofo e poeta, il quale chiosò le Comedie di Dante ove dimostra non meno ingegno che dottrina —. [p. 595 modifica]REPERTORIO DELLE COSE PIÙ NOTABILI CONTKNUTh NEL COMMENTO DI BENVENUTO RAMBALDI DA IMOLA SIJLLF 1IIE CANTICIIL 1)I DANTE ALL1GHIERI [p. 597 modifica]A Abano (d’) Pietro. inj’. pag. 481. iurg. 328 Abbati (degli) Prete Neri. purg. 460. Abele inf. 57. Abramo, ebreo. inf. 78. Abramo, patriarca inf. 116, par. 543, 548. Acabbo, re d’ lsraello. inf. 618. Acam. purg. 410. Accidia (I’) purg. 370. Accursio, fiorentino giurisconsulto. inj’. 385 Achille. inf. 149, 156, 751. purg. 186. Achitofel in11. 695. Acri, assediata dal Soldano. inf. 054. Adamo inf. 57. purg. 554, 017, 638. par. 458 e seg. 550. Adimari (degli) Tegghiaio. inf. 399. Adamo, bresciano. inf. 733. Adelasia, moglie di Barali, marsigliese in11. 192. Adrasto. inf. 622. Adridno V. purg. 385. Agamennone par. 98. Agenore, re di Tiro. inf. 725. par. 472. Alaedi (degli) Rainiero. inf. 550. Alba ing’. 70. Alberto, imperatore. purg. 134. par. 354. Alcibiade inf. 36. Alchimiainf. 711. Aldobrandino 1. 11. inf. 4, 5. Alessandro Magno inf. 306. Alessandro, imperatore de’romani. ing1. 578 Alfeo inf. 000. Alfonso X, re di Castiglia. par. 355. Alidosi (degLi) Lito. par. 288. [p. 598 modifica]i88 REPERTORIO Alpi (le) inf. 645. Altea, regina di Calidonia. purg. 49. Amata, moglie di Latino, re. purg. 545. Amazzoni, vergini. inf. 127. Amone, figlio di Davidde. inf. 695. Amore di Dante per Beatrice. inf. 57. Anassagora. inf. 132. Andalò (degli) Loderingo. inf. 550. Andromaca. inf. 727. Andrea, re di Ungheria. inf. 6. Aneddoto di un predicatore ipocrita. inf. 546. di due Cardinali sopra risposte date a vani potenti. inf. 556. — del filosofo Talete. inf. 480. fortuito. inf. 197. di varie donne di Verona sul conto di Dante inf. 67. Anfianao, uno dei sette guerrieri all’assedio di Tebe. inf. 48 Purgat. 249. Angelo Gabriele. par. 549. Angoli (gli) in geometria. par. 517. Anteo, gigante. rnf. 761. Anima (I’) nelle sue qualità. purg. 496. Desidenii dell’ anima. par. 550. Anna (sant’) madre di Maria par. 551. Annibale. inf. 667. purg. 29. Antigone. inf. 625. Antioco, re di Siria inf. 468. Apennini (degli) diramazione. purg. 285. par. 584. Api (le) par. 528 Apia (d’) Giovanni. inf. 645. Apollo. purg. 15.par. 11, 17. Apostrofe (dell’) inf. 612. Apostrofe ai gemini, segno dello Zodiaco. par. 401’ Aquila, uccello di Giove. purg. 185. insegna dell’impero romano. pvrad. 109, 568. Aracne di Colofonia. purg. 248. Arca (1’) costrutta da Mosè. purg. 09. par. 565. Aretusa di Arcadia. inf. 600. [p. 599 modifica]DELLE COSE l’tu NOTABILi 89 Argonauti (gli) inf. 444. par. 564k Argia figlia di Adrasti. inf. 625 Argugliosi (degli) purg. 476. Aria, e fuoco purg. 556. Arli, città nel narbonese. inf. 245. Arnaldo, cognominato Daniele. purg. 521. Arno, fiume, origine, csuocorso.purg. 282. Arpie (le) inf. 323. Arrigo Vii, imperatore. par. 322. Arrigo VI, imperatore. par. 521. Arturo, re di occidente. inf. 7s5. par. 550. Arunte. inf. 55. 485. Ascanio. inf. 52, 70, 025. Assalonne. inf. 695. Assuero, re. purg. 344. Astrologia. purg. 98. Astrologi. inf. 478. par. 472. Atene. purg. 510. Attila, re degli Unni. inf. 515, 541. Attributi distinti della individua Trinità. inf. 89. Aurelio, imperatore de’ romani. inf. 596. Aurora (I’) concubina di Titone purg. t82. Avicenna. inf. 158. Azzone da Este 1. 11. 111. inf. 4, 5. purg. 109. par. 184, 188. B Babilonia. inf. 561. Bacchi (i) da seta purg. 215. Baiamonte inf. 451. Barattieri, impeciati inf. 525. — paragonati ai cani, ai delfini, alle rane, ai gatti ed ai sorci inf. 327. Barbarossa Federico I. purg. 567. Battaglie operate in Italia inf. 660. Battistero in Fiorenza. inf. 457. Beatrice di Aldobrandino, moglie ad Andrea, re di Ungheria ml. 6. [p. 600 modifica]REPERTORiO Beatrice Portinari. purg. 587. par. 20. 549. Belisario (di) le tre gloriose imprese. par. 111. Benedetto (san) patriarca. par. 395. 508. Benedetto d’Anagni inf. 461. Benedetto XL inf. 465. Berlinghieri Raimondo di Narbona. par. 139. Bernardo (san)purg. 577. par. 552, 554, 542, 549, 552, 558, e segg. Bertinoro inf. 646. Biblioteca del monastero di Monte Cassino. par. 398. Bilaqiia. purg. 96. Bismantova monte. purg. 88. Bizia e Pandaro, fratelli troiani. inf. 54. Boccaccio da Certaldo alla visita del monastero di Monte Cassino par. 598. Boezio. inf. 123. Bologna, corografia. inf. 440. Borsari Guglielmo. inf. 402. Bonconte inf. 558. purg. 126. Bonifacio VIII. inf. 450, e segg. 052, e segg. purg. 405, e se. par. 195, 504, 469, 522. Boote. par. 550. Bontura, barattiere. inf. 605. Bornio (del) Bertrando. inf. 602. Broccia (della) Pietro. purg. 128. Brunelleschi Angele. inf. 593. Bruto Marco. nemico di Tarquinio inf. 127. uccisore di Giulio Cesare. inf. 827, e segg. Buoncompaguo di Montefeltro. inf. 558. c Cacciaguida. par. 278, 523, 331. Caccianemici Venedico. inf. 438, 550. Cadmo colla moglie Ermione si allontana dal regno di Tebe, e si na sconde nelle solitudini di Schiavonia. inf. 600, 725. Caino uccisore di Abele, inf. 57. Caio Cassio. inf. 827. DigWzedbyGOOgIe [p. 601 modifica]DELLE COSE Pfl1 NOTABILI 9t Calcante, augure. inf. 492. Callistene, stuprata da Giove. pur. 550. Callisto, vergine di Arcadia. psrg. 504. Calliope. inf. 67. Candelabri (i) sette. psrg. 569, 684. Can Grande della Scala. pur. 321. Cane, capitano pur. 187. Cane, costellazione inf. 597 Canto degli spiriti beati. pur. 468. Camilla. inf. 55, 127 Camino (da) Ricardo. pur. 188. Campania, o Terra di lavoro. piirg. 64. Capaneo, uno desette re, che si adunarono in Argo per la guerra di Tebe. inf. 354. Capelletti, famiglia. purg. 135. Carlo Magno, imperatore. inf. 752, 791. pur. 157, 54, 441. Carlo di Pipino, il Nano. pur. 156. Carlo di Lodovico, re di Francia. inf. 072. Carlo 11. re di Puglia. inf. 465. pur. 165, 367. Carlo Martello amico di Dante pur. 168. Cariddi, scoglio inf. 190. Carro a due ruote, con che si figura la Chiesa. pwrg. 75. Carro, costellazione. purg. 584. Casali distinti di Romagna. psirg. 290. Casa (la) Sveva. purg. 79. Casaro (del) Giacomo. purg. 109. Casa (la) de’Cancellieri, divisa in due fazioni, Bianchi, e Neri. ,nf. 581, 785. Casella, musico. purg. 50. Caso singolare accaduto nel battistero di Fiorenza. inf. 457. Cassandra. inf. 727. Cassino monte, pur. 59S, 398. Castel sant’ Augelo in Roma. inf. 457. Castellano Guelfo, e Loderico degli Andalò, mediatori delle vertenze fra la parte ghibellina, e guelfa. inf. 551. Castore, e Polluce. purg. 93. pur. .73. [p. 602 modifica]REPERTORIO Catalana, ipocrita. inf. 554. Catria, monte. par. 384. Catoni (dei) la famiglia. inf. 550, 571, purg. 17, 19, 21. Cattolica (la), castello inf. 688. Cavaicante de’Cavalcanti. inf. 258, 614, 507, 006. Cecilio Stazio poeta. purg. 446. Cecrope, re d’Atene. purg. 206. Celestino V. (Pietro de Moroni) af. 95, 401. Celso, senatore romano. purg. 352. Cesare (Calo Giulio) inf. 45, 126, 378. piirg. 517. par. 15, 192, 297. Cesena. inf. 650. Cerbero, mostro iufernale. snf. 170. Cerchi (de’) ser Nerio. par. 321 Cerere. purg. 55j. Cervia. inf. 744. Chiara (santa) d’Assisi. par. 65. Ciacco, fiorentino, parassito. inf. 13, 214. Ciappetta Ugo. purg. 400. Cibele. inf. 361. Cicerone. inf. 136. Ciclopi. inf. 356. Cimabue, pittore. psrg. 232. Ciampolo, spagnuolo. inf. 525. Cincinnato Quinzio. par. 118. Ciniro, re di Pafo. inf. 730. Cione del Bello degli Allighieri. inf. 705. Circe, maga. inf. 028. purg. 284. Circe, monte d’ Italia. nif. 028 Ciro re inf. 66. purg. 251. Civini (de’) Zenone. inf. 78, 153. Clemente V. inf. 407. par. 322, 521. Cleopatra. inf. 155, 407. par. 153. Clitennestra. purg. i#3. Colonnesi (i), famiglia inf. 466. Colonia, città di Lamagna. inf. 541. Confini dell’ Italia. par. 167. par. 384. [p. 603 modifica]DELLE COSE P111 NOTABiLi i93 Congiura di sessanta Senatori contro Cesare. iiif. 828. Contadino (un) ignorante burla I’ astrologo Guido Boccati. inf. 493. Conti (i) di Montefeliro. purg. 113. — di Santa Flora. purg. 228. Cornelia. inf. 120. par. 289. Corneto, castello. inf. 324. Corradino. inf. 675. Costantino Magno. inf. 472, 656. purg. 6Ì5. par. 109, 560. Costanza di Ruggiero, re di Sicilia. par. 87. Crasso, console romano. purg. 412 reonte. inf. 622. Creta, isola. inf. 360. Creusa. inf. 70. Crociera (la), costellazione. purg. 16. Culto de’ Gentili. par. 370. Cunizia sorella del tiranno Azzelino da Romano. par. 183. Curiazii (i) celebri tre fratelli albani. par. 113. Curio, oratore romano. inf. 690. D Damiano (s. Pier) istitutore dell’ordine della Colomba. par. 400. Damiata, città in Egitto. In,1. 361. Daniele, profeta. Par. 76. Danubio, fiume. inf. 779. Dardano. inf. 126. Dario, re de’ Persiani. inf. 482. Davidde. inf. 094. purg. 106, 208, 433. par. 543. Delfini di mare. inf. 523. Democrito. inf. 151. DescriziØne del custode del purgatorio. purg. 17. della nascita di Dante sotto l’influsso di gemini. par. 401. — di ordini di Angeli sotto forma di circoli di fuoco par. 484, e segg. — del purgatorio. purg. 35. — della mondana voluttà. purg. 379. di una visione, nella quale Dante finge essersi ritrovato in una seI- va. inf. 27. 58 [p. 604 modifica]REPERTORIO Descrhione dell’ ingresso all’inferno. inf. 89. — del passo generale dell’inferno. ,nf. 99. — di Caronte. ‘r 101 — di Dite. inf. 219. delle arene dell’ Africa. inf. 840. di un Castello in forma sferica. inf. 434. dell’arsenale di Venezia. rnf. 502 dei serpenti nelle arene libiche. inf. 57!. — della spelonca di Caco. snf. 592. dello stato di varie città di Romagna. inf. 644. — dei giganti. £nf. 754. di Lucifero. snf. 824. dell’uscita dell’inferno. lnf. 851. Dialogo fra Virgilio, e Sordello. purg. 144. Diamante (il) par. 42. Didone. Inf. 153. Diluvio universale. purg. 40. Diogene. inf. 132. Dionisio, tiranno di Siracusa. inf. 507. Dioscoride Anazarbeo. inf. 134. Diomede. inf. 025. Discordia tra Roma, e Federico li. purg. 531. Domenico (san) par. 230. Domiziano, imperatore. purg. 445. Doni (i) sette dello Spirito Santo. purg. 569. Donati (de’) Bosio. in,1. 595, 598, 751. — Cianfa. inf. 594. — Cursio. purg. 479. — Forese.purg. 481. Dione, per Venere la dea. par. 103. Per Venere il pianeta par. 403. E Ebrei (gli) forzati alle opere più vili. purg. 47. Eclissi (I’) par. 504. Ecuba, moglie di Priamo. inf. 727. 1doardo, il temerario. par. 3. [p. 605 modifica]DELLE COSE PIÙ NOFABILI 59 Effetti (gli) dell’ira. purg. 545. Eufrate, fiume. purg. 642. Egisto. purg. 93. Egiziani (gli) purg. 46. Elena. inf. 37, 155, 624, purg. 95. 187. Elementi (gli) in natura. inf. 151. Elettra. inf. 126. Elia, profeta. inf. 617. purg. a76. Luce, od Orsa maggiore, costellazione. par. sso. Elpenore. inf. 100 EIsa, fiume. purg. 659. Eliseo. inf. 618. Empedocle. inf. 133. Empireo (1’) per. 544. Enea. inf. 45, 52, 09, 100, 624, 666, 740. purg. 571, 411, 585,par. 113, 279, 555, 562. Lnoc. purg. 576. Enrico 111. inf. 311. — 1V. purg. 88. Eolo, re de’venti. purg. 548. Epitafio di Dante. inf. 3, 22. Equinozio. purg. 91. Eraclio, imperatore. purg. 826. Eraclito. inf. 133. Ercole. inf. 301, 590. per. 193. Erisitone. purg. 459. Esau. inf. 97. per. 175, 97, 543, 547. Esopo, poeta. inf. 541. Ester. purg. 544. Este, castello. purg. 115. Esercito della chiesa militante. purg. 615. Età (le) quattro del mondo. in,1. 562. per. 580. Etna. inf. 153. per. 169. Eteocle. inf. 621. Eurialo, e Niso, fedeli amici. inf. s. Luripilo, augure. inf. 491. [p. 607 modifica]96 REPERTORIO Euclide. in,”. 137. Eunoè, fiume. purg. 643. Euridice. inf. 135. Europa, figlia di Agenore. inf. 75. par. 47. Eva. snf. 97. pur. 542. Evangelisti (gli) par. 433. Ezechia. purg. 250. pur. 666. Ezzelino. in,”. 309. pur. 184. F Fabii (dei) la famiglia. par. 119. Fabrizio, console romano. purg. 397. Facoltà dell’anima. in,’. 323. Faenza, città. in,”. 645, 648. Fagluola (della) Uguocione. purg. 400. Falerno, monte. purg. 63. Falaride, tiranno di Sicilia, e di Agrigento. inf. 639. Faraone (di) sogni. inf. 737 al passaggio del mar rosso. pur. 400, 151. Fazioni di bianchi, e di neri. inf. 17i, 581. Federico Il. in,”. 267, 332, 547. purg. 775. Federigo d’Aragona. pur. 367. Fedra. inf. 149. pur. 319. Fenice (la) inf. 570. Feto (il) nell’ utero materno. in,”. 597. Felonte. inf. 425, purg. 94, 575.par. 316, 536. Fiesole, città. in,’. 677. Filippo il Bello, re di Francia. in,”. 488, 154, 400. psrg. 154, 400, 401, 409, 628, 667. pur. 354. Filippo Argenti degli Adimari. in,”. 213. Fiumi infernali (dei) origine. inf. 358, 36. d’Italia. pur. 124. — all’oriente. purg. 41. all’occidente. 41. Figli (i) dodici di Giacobbe. In1’. 736. Folco. pur. 192. Fondazione della chiesa primitiva. purg. 621. [p. 608 modifica]DELLE COSE PIÙ NOTABILi 97 Fondazione dell’ ordine della milizia della B. V. denominato l’ordine dei frati Gaudenti. inf. 550. Fortuna (sulla), digressione. inf. 196. Formiche (le) purg. 514, 710. Forlimpopoli. inf. 646. Forli inf. 644. Fotino. inf. 275. Flegia inf. 211. Fra Gomita. inf. 520. Francesca da Rimino. ìnf. 58. Francesco (san) par. 20, e segg. 51, 400. Frati Gaudenti. inf. 791. Furie infernali. inf. 234. Fulmine, scoppio (del). par. 412. Q Gaeta, città nella Puglia. inf. 629. Gallieno, poeta. purg. 14. Ganimede. purg. 185. Gange, fiume. purg. 642. Gedeone. purg. 483. Gemini, costellazione. purg. 93. Gerio. inf. 706. Gerione, mostro. inf. 413, 424, 591. Geroboamo. purg. 249. Gerusalemme. purg. 41. Gesù Cristo. pur. 410, e segg. Ghinazzano (da) Stefano. inf. 648. Giacobbe. inf. 97, 116, 559, 736. par. 397, 545. Giacomo di Borgogna. purg. 407. Giacomo maggiore (san). par. 441, e segg. Giamflgliaccio. inf. 421. • Giasone. inf. 442. pur. 40. Giberto di Gorizia. purg. 88. Giove. inf. .356. purg. 93. pur. 472, 530. Gloabbo. inf. 695.

$9 [p. 609 modifica]8 REPERTORIO Giotto, pittore. purg. 25. Giovan Battista (san) inf. 540. purg. 452. par. 541, 577, 454. e segg. 544, 551. Giocasta. inf. 621. psrg. 442. Giosuè. purg. 410. par. 194, 555. Giovanni da Procida. pai. 169. Giubileo. inf. 458. purg. 51.. Giuditta. purg. 252. par. 545. Giudici di Pisa. purg. 286. Grazia operante e cooperante dello Spirito Santo par. 59ò. Griffolino d’Arezzo. inf. 714. Giulia. inf. 128. Giuochi. purg. 124. Giuseppe, ebreo. p.wg. 485. Giustiniano, imperatore. par. 109. Glauco. par. 22. Gloria di Maria Vergine. par. 549. Virtù par. 559. Guaitano Francesco. inf. 465. Gualfredo. inf. 506. Guido Bonati, astrologo. i.if. 45. — narra il tenor di sua vita, la conversazione, e la sua dannazione. inf. 650. — da Montefeltro. tnf. 641. — Guerra. inf. 397. — di Monforte. inf. 5i. Guerre puniche. inf. 671. par. 120. Guglielmo, ultimo re di Sicilia. par. 567. — di Monteferrato. purg. 157. Guinicelli Guido. purg. 252, 515. Guiscardo Roberto. i.if. 672. I lasone. inf. 468. Imola. inf. 849. Impero romano. par. 109. Imprecazione a Fiorenza. inf. 612. [p. 610 modifica]DELLE COSE Pn) NOTABILi 99 imprecazione a Pisa. nf. 808. incarnazione dcl Verbo. per. 415. Incendio di Sodoma. purg. 515. — di Fiorenza. inf. 614. Ingresso di Dante al Purgatorio. purg. 15. Interminelli Alessio. inf. 447. invettiva (dell’) inf. 612. Invenzione della moneta. inf. 734. Ipocriti, loro castigo. inf. 546. Ipocrate. inf. 138. Iracle, regina, e moglie di Acabbo. inf. 618 iride (I’) purg. 501. iride, regina di Egitto. purg. 620. ironia (dell’) inf. 612. Isacco. per. 548, 547. Isifile. purg. 519, 443. Istituzione di una società stoltissima ìn Siena, nomata Società nobile e cortigiana. inf. 717. Italia (dell’) sLato. in’. 51. L Landone (fra) da Gubbio. inf. 552. Latini Brunetto. inf. 373, 587. Leandro. purg. 555. Lambertazzi (i) inf. 642. Lamento sulla depravazione dei prelati, per. 585, 395. Lampa Branca. inf. 814. Lancia di Achille. inf. 751. Lano di Siena. inf. 558. Laterano, magnifico edifizio in Roma. per. 530. Latino, re. inf. 51. Latona. purg. 413. Lavinia, figlia di Latino. inf. 52, 70. Lodi a Maria Vergine. per. 415. Lodovico, re di Francia. purg. 153. Lombardia. inf. 43. [p. 611 modifica]600 REPERTORIO Lombardo Marco. purg. 524. Lontra (la) inf. 525. Lorenzo (san) par. 82. Lottatori in Grecia. inf. 443. Lucano. inf. 120. Lucrezia. inf. 128. Lumaca (la) inf. 603. Luna (la) inf. 631, 704, 495. par. 404. Macario, eremita. par. 396. Macchie lunari. par. 45, 49, 405. Maghinardo. inj”. 641, 648. Magna Grecia. purg. 64. Mala, figliuola di Atlante, e madre a Mercurio.par. 44)5. Malacoda, capo de’demoni. inf. 509. Malaspina sconfigge i Bianchi. inf. ssi. Mali dell’ uomo. par. 533. Malatesta (dei) origine. inf. 158, 641, 646. Malatestino di Rimino. inf. 688. Maometto. inf. 679. purg. 622. Manfredi inf. 672, 811. purg. 72. Manlii (dei) la casa. par. 118. Manto, figlia di Tiresia. inf. 496. Mantova inf. 45, 480, 490. Marcantonio. par. 135. Marco Regolo. purg. 28. Marco Bruto. in[. 827. Matilde (di) gli atti. purg. 537, 550, 566. Maria Vergine. pur. 414 e segg. Maria, madre ebrea. purg. 459. Mario. inf. 60. Marino (san) purg. 88. Marsia, satiro. par. 15. Martino, papa. inf. 461. purg. 474. Martiri per la fede. pur. 470. [p. 612 modifica]DELLE COSE P111 NOTABILI 601 Marte, Dio protettore di Fiorenza. inf. 841. Marte, pianeta. purg. 43. Marzia, moglie di Catone. inf. 128. purg. 18, 30. Marzucco. purg. 127. Massimo acceso d’amore per Paolina. inf. 149. Medea. inf. 445. Medicina, castello. inf. 687. Medusa. inf. 236. Memorie sui sepolcri. purg. 243. Menfi. inf. 301. Mercurio. inf. 239. Meridiano (il) purg. 42. Merito del poema di Dante. inf. 7. Messina, stretto o faro (di) inf. 290. Metabo, re dei Volsci. inf. 55. Metamorfosi (la) di alcuni illustri personaggi. inf. 605. Netelli (dei) la famiglia. purg. 198. Micol.purg. 210. Milano. purg. 369. Minotauro. inf. 294. Miniato (san) purg. 255. Minosse, giudice dell’ inferno. inf. 145. purg. 30. Mirra bollente d’incestuoso aflètto pet padre. inf. 140, 730. Miseno, suonatore di tromba. inf. 100. Mitridate. purg. 29. Mnesteo. inf. 54. Modi (de’) Andrea. inf. 386. Modo di conoscere le cose. purg. 66. Montecchi. purg. 135. Montone, fiume. :nf. 405. Mosca (la) inf. 617. Mosè. inf. 115. purg. 46. par. .333, 400, 456. 551. Nostri infernali. inf. 234. Moventi (i) dei romani ad opere stupende. purg, 24. Muse (le) purg. 11. par. 413. Museo, musico insigne. purg. 52. 39 [p. 613 modifica]602 REPERTORIO Musica (la) purg. 53. par. 24. Muzio Scevola. pur. 82. N Nabucodonosor. purg. 251, 451. Napoli. purg. 63. Narciso. par. 58. Nasidio. inf. 569. Nembroth. inf. 756. purg. 245. pur. 461. Nerone. purg. 14. Nicola (san) purg. 398. Nilo, fiume. inf. 825. purg. 642. Niobe, regina. purg. 248 Nino, re degli assirii. inf. 151. Niso, ed Eurialo. inr. 52. Noli, città. purg. 88. Nomenclatura dei demoni. inf. 513. o Ocozia. inf. 618. Oderisi. purg. 234, 242. Odofredi (degli) Odofredo. in(. 35. Oloferne.purg. 251. pur. 543, Omero. inf. 119. Opizzone I. Il. inf. 5, 6, 309. Orazi (i tre) pur. 113. Orazio. inf. 120. Orazione dominicale (dell’) spiegazione. purg. 222. Oreste. purg. 267. Orfeo. inf. 134. pur. 11. Origine delL’arte poetica. inf. 3. degli Estensi. inf. 3. Origene, teologo. p’ir. 472. Orizzonte (1’). purg. 40. Qrlando aduna i dispersi cristiani. inf. 752. Orini (degli) Niccolò, papa. inf. 439. 464. [p. 614 modifica]1)ELLE COSE PIÙ NOTABLLL 603 Orsini Matteo Rosso. inf. 465 purg. 128. Ottaviano (Calo Augusto) inf. 45. par. 550. Ottone 1V cala in Italia. inf. 397. purg. 128. Ovidio. inf. 120. Ozzine. inf. 55;. P Padovani Giacomo. in,. 337. Padova. purg. 112. Palinuro. purg. 129. Pallavicino Uberto. inf. 790. Palladio (il) di Troia. inf. 625. Paolo (san) Apostolo. par. 340, 585, 426,e segg. Parche (le) purg. 42:5, 500. Paride. purg. 93. Parnaso, monte. par. 12. Pazzi (de’) Guglielmo. inf. 538. Peccato originale.purg. 148. Pallante. inf. 55. Pena (della) de’violenti contro del prossimo. inf. 297. — de’ violenti nella persona. in,. 505. — de’violenti in sè stessi. inf. 323. de’ violenti contro i beni. inf. 556. de’violenti in genere. inf. 349. degli usurai. inf. 419. dei simoniaci. inf. 455. — degli astrologi. inf. 478. — dei barattieri. inf, 501. — degl’ipocriti. inf. 546. — dei ladri. inf. 570, 595. dell’astuzia fraudolenta. inf. 615. — degli scismatici. inf. 666. — dei falsari. inf. 707. — dei traditori dci parenti. inf. 777. — dei traditori della paLria. inf. 787. — dei traditori in genere. inf. 8. [p. 615 modifica]C04 RIPERTORIO Pena dei vili e tristi compresi sotto il vocabolo di — oattivi — asf. 91. — dei lussuriosi. inf. 148. dei golosi. inf. 109. — degli eretici. inf. 244. — degl’iracondi, ed accidiosi. inf. 2oo. — degli avari e dei prodighi. inf. 189. Pandaro, e Bizia, fratelli troiani. nif. 54. Paride. inf. 36, 156. Penelope. inf. 028. Pennabilli, nel contado di Montefeltro. snf. 040. Perillo (di) morte. inf. 852. Persio, figlio di Giove, vinse Medusa. par. I57. Persio, poeta. purg. 447. Persecuzione della Chiesa sofferta dagl’imperatorl romanl.purg. 4. Peschiera, castello. in,’. 488. Personificazione di Beatrice Portia;ri. inf. 75. — di Dante. inf. 66. Peste nella città di Egina. inf. 708. Pentesilea. in’. 127. Pestone, serpente. inf. 599. Pianeti (i) par. 405, 480. Pianto di donne sulla persecuzione della Chiesa. purg. 634. Piche (le) purg. 15. Piccarda, sorella di Cursio de’ Donati. par. 00. Pier Damiano (san) par. 381, e segg. Pier Pettinaio, eremita. purg. 274. Pieridi (le) purg. 14. Pietro apostolo (san) in,1. 59, 455. purg. 198, 290. ptw. 49, 85, 551. Pietro di Aragona. purg. 155. Pigmalione. purg. 410. Pila (della) Ubaldino. purg. 475. Pilato. purg. 409. Pipistrello (del) descrizione, inj”. 825. Pirro, conquistatore della Beozia. in,’. 727. purg. 15. par. 117. Pisani (i) vanno per la conquista dell’isola di Maiorca. in,’. 579. Digitized by oog1e [p. 616 modifica]DELLE COSE PIÙ NOTABILI 6Oi l’isitrato di Atene. purg. 510. Pistoia (di) origine. inf. 590. Pitagora. inf. 152. Pianto, poeta. purg. 446. Plutone (di) descrizione. inf. 187. Poesia (della) origine. par. 10. Poeti greci. nirg. 447. Poeti, che fiorirono sotto Augusto. par. 16. Pola, città nell’ Istria. inf. 245. Polinice, figlio di Edipo, re di Tebe. snf. 794. purg. 448. Polidoro. inf. 727. Poli (i) artico, ed antartico. inf. 631. Polissena. inf. 727. Policleto, architetto. purg. 207. Polenta, castello. inf. 644. Polluce, e Castore. purg. 93. par. 475. Pompeo. par. 120. Prato, castello fra Fiorenza e Pistoia. inf. 012. l’rato (del) Niccola, cardinale. iiif. 465, 613. Prassitele, scultore. purg. 207. Priamo. inf. 70. purg. 253. Primordi di Roma sotto i primi sette re. par. 110. Profezia di san Giovanni Battista. inf. 470. Profezie sull’ incarnazione, morte, e risurrezione di G. Cristo. par. 450, e segg. Proserpina. purg. 551. Publio Cornelio Scipione l’Africano. inf. 763. Prisciano, monaco. inf. 585. Plutone, re dell’inferno. inf. 187. Puzio Sciancato. inf. 65. Puzio de’Galligani. inf. 593. Il Rachele. par. 532, 542. Rainaldo, poeta veronese. par. 525. Rambaldi Benvenuto ricorre al legato di Bologna contro il vizio della sodoinia inf. 585. [p. 617 modifica]606 REPERTORIO Ravenna. inf. 644. Re discendenti da Carlo Magno. purg. 599. Re (i) d’Egitto. purg. 46 d’lsraello. par. 97. — di Tebe. inf. 358. Cristiani. par. 354. Rebecca par. 543, 547. Bifeo, troiano. par. 567, 378. Roboamo, figlio di Salomone. purg. 248. Roberto, re di Sicilia. inf. 6, 581. par. 521. Rodolfo di Germania ha guerra col re di Boemia. purg. 151 Roma (stato di) inf. St. sotto de’consoli. par. 116. sede del Sacerdozio, e dell’Impero. inf 70. Romagna (confini della) purg. 289. Romoaldo (san), fondatore dell’ordine Camaldolese. par. 396. Romolo e Remo. par. 114, 176. Ruino Bartolomeo. inf. 526. Rusticucci Giacomo. inf. 597. Rutb.par. 543. Sabello. inf. 599. Salomone. purg. 584. Salse (le) in Bologna. inf. 439. Samaritana (la) purg. 420. San Leo, città di romagna. purg. 87. Sansone. par. 28. Sara. par. 543. Sardanapalo, re degli assirii. par. 541. Sardegna, isola. inf. 528. Saturno, re. inf. 560. par. 580. Saturno, pianeta. par. 379. Saul, primo re d’lsraelle. purg. 247. Scala (della) Bartolomeo. par. 521. Scilla, scoglio. inf. 190. [p. 618 modifica]DELLE COSE PIÙ NOTABILI 607 Sconfitta de’fiorentini dai senesi. inf. 787.’ Scipione. inf. 66. purg. 253, 360. 574. pur. 120. Scisma (lo). inf. 083. Scotto Michele, indovino. in(. 492. Scotto Nino. purg. 166. Scrittori di Teologia, pur. 207. Scrovigni (degli) Rainaldo. in[. 4, 21. Seleuco, re dell’Assiria. inf. 468. Semele, incenerita dai fulmini di Giove. pur. 378. Seneca. in[. 156. Seniori (i), che s. Giovanni descrisse nell’Apocalisse. purg. 572. Senogallia, città. pur. 303. Sepso, serpente. in[. 599. Seraste. inf. 54. Serse, re di Persia. purg. 553. pur. 175. Serpente (il) purg. 166. Sfinge, mostro. purg. 057. Sibille, (le) pur. 62. Sicilia, isola. rn(. 528. Silvano Provinciano. purg. 234, 272. Silvio. inf. 70. Sillogismo (dello) pur. 218. Simon, mago. in1”. 455. Sinone, greco. inf. 740. Sion, monte. purg. 94. Sirene (le) purg. 580. Socrate. purg. 29. Sodomiti. mi”. 384. Sogno della madre di Dante. inf. 15. Soldano (il) di Babilonia. 129, 654. Soldanieri Giovanni. inf. 701. Sole (il) inf. 617. purg. 18. pur. 445, 515. Solone, filosofo, pur. 175. Simonia (alla) imprecazione. inf. 469. Sonno (del) in[. 31. Soratte, monte. inj”. 657. [p. 619 modifica]608 REPERTORIO Sordello, par. 151, 144, 165. Spegna divisa in cinque regni. inf. 526. Spelonca (la) della Sibilla. lnf. 100. Spettacolo rappresentante le pene dell’ inferno fatto sulle acque d’ Ar no. in(. 818 Speranza (della) definizione. par. 443. Strage di Monte Aperto di guelfi contro i Mbibellini. inf. 262. Stati d Italia, pur. 135 Statua sul monte Id». inf. 561. Stelle (le). purg. 16. par. 46, 248. Stellione (lo). lnf. 597. Stemma (lo) dei Visconti. purg. 170. Stile (dello) inf. 47. Stomaco (Io). purg. 494. Strabone. par. 132. Strofadi (le). inc. 525. Sudano (il) del Salvatore. par. Salmone. inf. 53. T Tacchi Ghino. purg. 125. Taide di Atene. inf. 448. Talete, uno dei sette sapienti. inf. 480. purg. 604. Talpa (la). purg. 388. Tamar, sorella d’Amor. inf. 695. Tantalo. purg. 246. Tarlato. purg. 127. Tarpea. in[. 55. purg. 197. Tarquinio Superbo. in(. 127. par. 114. Telegono, figlio di Ulisse, in[. 652. Temi. purg. 657. Tempio di Diana in Efeso. inf. 94. Templani (i)purg. 407. Teo. inf. 53. Teobrato, filosofo. purg. s. Teodato, re de’goti. par. 110. [p. 620 modifica]DELLE COSE PiÙ NOTABILI 609 Teodosio, imperatore de’ romani. purg. 164, 214. Teoria del flusso e riflusso del mare. inf. 370. Tereo, re di Francia. purg. 184. Terenzio, poeta. purg. 446. Terra la) promessa. purg. 47. Terra (circuito della) pur. 513. Teseo. purg. 482. pur. 250. TeLi consegna il figlio Achille a Chirone. purg. 186. Tetragono, figura cubica. pur. 518. Tevere (il) inf. 643. purg. 52. Tideo Calidonio, tebano. inf. 794. Tigri, fiume. purg. 642. Tigri (tre) contrastano il cammino a Dante. inf. 56. Tiresia, augure. in[. 484. pur. 58. Tisbe. purg. 532. T1Lo Flaminio, console. purg. 25. TiLo, imperatore. purg. 427. pur. 156. Titone di Laomedonte. purg. 182. Tizio. in[. 770. Tobia. pur. 79. Tolomei (de’) Pia. purg. 118. Tolomeo. inf. 137. Tommaso (san) pur. 207. Torquato. purg. 28. Torri di Bologna. inf. 771. Tosa Cianchella, moglie a LILo degli Alidosi d’ Imola. pur. 288. ToLila, re de’goti. pur. 183. Traiano, imperatore. purg. 210, e segg. pur. 565, e segg. Trionfo di Cristo, pur. 409. Tristano, inf. 156. Tulla. mi”. 55. Tullo Ostilio. pur. 113. Tumulto in Roma per l’odio contro i Colonna. inf. 655. Turbine (il). inf. 92. Turno, barattiere, sua morte. inf. 535. Turno. inf. 52. [p. 621 modifica]610 REPERTORIO ‘i Ubaldini (degli Ottaviano, cardinale. inf. 268. — Ruggiero, arcivescovo. inf. 71)5. Uberti (degli) Mosca. inf. 691, 255. Ubertini (degli) Guglielmo. inf. 337. Uberto Camisone. inf. 786. Uberti (degli) Tolosano. inf. 581. Ugolino (conte) di Pisa. inf. 793, 803. Ulisse. inf. 100, 625, 632. par. 472. Uomo (1’) si eterna colla scienza. inf. 5. Urbino. inf. 643. Urbisani (degli) Bonagiunta. purg. 476. Una. par. 543. Valois (di) Carlo. inf. 460. purg. 405. Vanità (della) dei francesi. inf. 715. Vanni Schicchi. inf. 731. Vanni Fucci. inf. 570. Vapori (i)purg. 108. Varrone, oratore, poeta, istorico. purg. 447. Vesolo, monte. inf. 495. Venceslao. purg. 153. par. 355. Venere. purg. 555. par. 163. Vercelli, città. inf. 687. Verucchio. inf. 647. Vesuvio, monte. purg. 64. Vino Vibio. purg. 29. Vigne (dalle) Pietro. inf. 328. purg. 128. Vipera (la) purg. 170. Virgilio, poeta. inf. 41, e segg. monte, ed opere purg. 64. Eccellenza del dire. purg. 145, 564. par. 279, 517, 460. Virtù cardinali (le) purg. 22. Virtù de’ cristiani (le) purg. 148. Virtù morali (le) purg. 148. teologali (le). ptrg. 575 par. .371, 46. [p. 622 modifica]DELLE COSE l’tU NOTABIL.1 611 Visconti (dei) la famiglia. purg. 168. Vitaliano. in[. 421. Vizi degli uomini in diversi stati di vita. inf. 38. z Zalengo, legislatore. pur. 155. Zambrani Tribaldello. inf. 792. Zan’he Michele. inf. 530. Zanzara (la) inf. 617. Zavorra (la) Inf. 605. Zeno (santo) purg. 368. Zodiaco (lo). purg. 48, 87, 92. pur. 20t

) ! ‘t [p. 623 modifica]’A f?* /Ad 7 ‘ / A // ‘-i, ,_ I (1/ ‘, : “ S. OfTIcii Imolae 2 Julii 1850. Imprtmatur Fr. Tu. MATTI0u O. PP. S. Theologiae Lector Vic. S. O. Imprimalur S. GALEATI Dep. EOCI. Visto ed appro’ato per la Stampa GIowAI’riI DoLt. MAZZOTJANI Rev. Gov. [p. 624 modifica] ‘-7. [p. 625 modifica]i .-.1- , 6_, jryj’q

2’) A? 7!’ / [p. 626 modifica]1’’ [p. 627 modifica] This book should be returned to the Library on or before the laet date stamped below. A fine of five cente a day ie inourred b retaining it beyond the speoifled se return promptly. STALL. y CHAR i